Affidamento esclusivo e principio di bigenitorialità.

Tribunale di Alessandria, 21 settembre 2022.
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale di Alessandria, Sezione Civile, riunito in camera di consiglio nelle persone
dei magistrati:
Dott. Antonio Marozzo Presidente
Dott. Giuseppe Bersani Giudice
Dott. Marco Bonci Giudice Relatore
ha pronunciato il seguente
DECRETO
nel procedimento recante il numero V.G. 1450/2021, per la disciplina dei rapporti tra
genitori non uniti in matrimonio e figli, promosso da:
TIZIA (C.F. ____________), nata ad Alessandria, il ____1976, con l’Avv. Cesare
Fossati
– ricorrente –
Giurisprudenza di merito Ondif
contro
CAIO (C.F. _____________), nato ad Alessandria, il _______1975, contumace
– resistente –
Intervento del Pubblico Ministero in data 1.10.2021.
OSSERVA
1. Con ricorso ex artt. 337-bis ss. c.c. in data 9.6.2021, la Sig.ra Tizia ha rappresentato,
tra l’altro: che, dall’anno 2010, ha convissuto more uxorio col Sig. Caio; che, dalla loro
unione, in data 19.9.2014, è nato il figlio, Caietto; che, nell’anno 2019, è cessata la
relazione affettiva tra i genitori; che, parallelamente, “si verificavano significative
fratture della relazione del papà con il bambino”; che, in particolare, il padre si
allontanava ciclicamente dal figlio, tanto che Caietto manifestava chiari segni di
disagio e che, dal 26.12.2020, trascorsa una giornata di maggiore tensione tra i genitori,
il padre non ha più frequentato il figlio. Alla luce di quanto precede, la Sig.ra Tizia ha
domandato l’affidamento c.d. “super-esclusivo” a sé del figlio Caietto, la disciplina di
un regime di frequentazione padre/figlio solo in luogo neutro, pur nella prospettiva
della ricostruzione del loro rapporto, l’obbligo del padre, allorché avrà documentato i
propri redditi, di corrispondere mensilmente alla madre, a titolo di contributo al
mantenimento del figlio, la somma ritenuta di giustizia, oltre al 50% delle spese
straordinarie e l’avvio di un percorso psicoterapeutico in favore del minore.
2. All’udienza, innanzi al Giudice Relatore, del 1.10.2021, alla quale il padre – non
costituito – è comparso personalmente, la madre ha dichiarato: “un amico mi ha detto
che il Sig. Caio non lavora più da circa un anno e ha interrotto i rapporti con la sua
famiglia d’origine. L’ultima volta che il papà ha visto Caietto è stato il 26.12.2020.
Caietto ha provato a sentirlo più volte per telefono e lui non rispondeva. Dopo una
decina di giorni, si sono sentiti e[,] al momento dello scambio, Caietto piangeva”. Il
padre ha dichiarato: “l’ultima volta che ho visto Caietto è stato il 26.12.2020. Non ho
mai rinnegato il mio ruolo d[i] padre. L’interruzione dei rapporti con Caietto è dovuta
alla mia volontà di non entrare in conflitto con la madre. Non mi ritengo nella ragione.
Ammetto di non aver accetto il fatto che Tizia si sia rivolta alla Dott.ssa Piccinelli,
nulla contro questa persona”. All’esito, le parti hanno chiesto un breve rinvio.
3. All’udienza, innanzi al Giudice Relatore, dell’8.10.2021, il padre ha depositato
deduzioni scritte (in cui si legge, tra l’altro: “[…] dichiaro di non essere riuscito a
trovare soluzioni proficue per risolvere i problemi emersi sulla gestione di mio figlio
Caietto e che hanno creato l’interruzione dei rapporti […]. Non nego di aver
accumulato tensione per motivi estranei al rapporto con Caietto […]. Mai avrei pensato
di stare così tanto tempo senza mio figlio […]. Mi metto a disposizione per un
riavvicinamento a Caietto […]”). Il padre ha, altresì, prestato il proprio consenso “a
che la Dott.ssa Luisa Fornari segua Caietto come psicologa” e ha manifestato la propria
disponibilità “a depositare le [sue] dichiarazioni dei redditi per gli anni d’imposta 2018,
2019 e 2020”. Il difensore della Sig.ra Tizia ha rappresentato di ritenere opportuno che
il nucleo familiare sia monitorato dal CISSACA di Alessandria e che siano verificate
le competenze genitoriali proprie del padre, Sig. Caio.
Con decreto in data 12.10.2021, il Collegio, in via provvisoria e urgente, ha affidato
il figlio minore esclusivamente alla madre e ha disposto che il padre frequentasse il
figlio solo in luogo neutro, a cura del CISSACA di Alessandria, incaricato di
monitorare il nucleo familiare e, in via istruttoria, ha nominato CTU la Dott.ssa Patrizia
De Rosa, formulando il seguente quesito: “dica il CTU, letti gli atti, ascoltato il minore
ed esaminati i genitori e le altre figure con cui il minore ha consuetudine di vita,
esperito un tentativo di conciliazione, esperito ogni accertamento ritenuto opportuno,
acquisita la documentazione ritenuta necessaria dalle parti o presso enti pubblici e
privati: 1) quali siano le principali connotazioni di personalità dei genitori del minore
(e delle altre figure con cui il minore ha consuetudine di vita), approfondendo la loro
competenza a svolgere, con la necessaria responsabilità, il proprio ruolo educativo e
affettivo nei confronti del figlio, con riguardo alla rispettiva idoneità a porgersi in
rapporto empatico e accogliente nei suoi confronti e a garantire l’accesso del figlio
all’altra figura genitoriale; 2) quali siano le eventuali patologie psichiatriche dei
genitori del minore, riferendo – nel caso – in ordine all’incidenza di tali patologie nel
rapporto col minore e riguardo alla sua sicurezza; 3) quale sia la qualità delle relazioni
esistenti tra il figlio e ciascun genitore; 4) quale sia il miglior progetto per l’affidamento
e la collocazione del minore, inclusa una dettagliata proposta di disciplina di
frequentazione col genitore non collocatario, evitando – se possibile – di proporre
soluzioni temporanee/provvisorie e fornendo, invece, indicazioni utili per l’adozione
di un provvedimento definitivo, seppure modificabile all’esito di un eventuale nuovo
giudizio; 5) quali siano, se necessari o opportuni, gli interventi attivabili, a livello
individuale e/o di coppia, per costruire o consolidare il rapporto tra i genitori, ovvero
per supportare il minore”.
5. Con comparsa in data 16.11.2021, il Sig. Caio si è costituto in giudizio e ha
rappresentato: che ha la volontà di recuperare appieno la propria funzione di padre;
che, in data 27.6.2016, si è sottoposto a un delicato intervento chirurgico alla testa; che
le difficoltà nel rapporto padre/figlio sono da ascriversi anche alla condotta di
alienazione tenuta dalla madre e che è privo di occupazione lavorativa. Alla luce di
quanto precede, il Sig. Caio ha chiesto l’affidamento condiviso del minore, con
collocazione presso la madre, la disciplina di un ampio regime di frequentazione
pare/figlio e la determinazione del proprio obbligo contributivo.
6. All’udienza, innanzi al Giudice Relatore, Dott.ssa Martina Bianchi, del 18.11.2021,
il CTU ha assunto l’incarico peritale. Le parti hanno manifestato il loro accordo a che
il padre corrisponda mensilmente alla madre, a titolo di contributo al mantenimento del
figlio, la somma di Euro 250,00, oltre al 50% delle spese straordinarie.
7. Con relazione depositata in data 2.3.2022, il CISSACA di Alessandria ha
rappresentato, essenzialmente: che “la sig.ra Tizia è apparsa collaborativa e fiduciosa
durante gli incontri, reputando la presa in carico del Servizio scrivente come
un’opportunità positiva”; che “la signora ha esplicitato che l’ex compagno è sempre
stato un ottimo padre e vorrebbe che ricominciasse ad avere un rapporto naturale con
il figlio”; che “durante gli incontri, il sig. Caio è apparso collaborativo e disponibile al
confronto nonostante abbia ribadito il proprio disappunto rispetto alla situazione, a suo
dire, surreale in cui si è trovato coinvolto”; che “il sig. Caio ha raccontato di aver
superato positivamente il periodo di preoccupazione e stress causato dalla scoperta e
successiva asportazione del tumore cerebrale”; che “in merito all’anno trascorso senza
contatti con Caietto, il sig. Caio ha espresso il proprio dispiacere e rammarico per aver
perso la quotidianità con il figlio, dichiarando che nessuno potrà mai ricompensare
questo vuoto, attribuendo la responsabilità a vari attori coinvolti (ex compagna da cui
si aspettava un atteggiamento più leale e collaborativo; avvocato, Tribunale) e
deresponsabilizzandosi” e che “il bambino ha esplicitato di essere contento ed
emozionato a rivedere il padre dopo tanto tempo (i colloqui con il minore sono stati
svolti prima dell’inizio degli incontri in luogo neutro) e che vorrà giocare e dirgli che
gli vuole tanto bene”.
8. Con perizia in data 7.3.2022, la CTU, Dott.ssa Patrizia De Rosa, ha così concluso:
“[…] il sig. Caio è una persona di 46 anni che si presenta ombrosa, chiusa e vischiosa
nel suo modo di funzionare. Egli porta la sua verità soggettiva, con modalità oscure e
poco comprensibili. Vi è una tendenza alla confabulazione ossia raccontare in modo
grossolano e poco reale sul piano spazio temporale le sue “verità”. Non è possibile
raccogliere una sua cronistoria secondo i gradienti, che permettano la comprensione
della dinamica dei fatti. Quindi è necessario un approfondito esame del Periziando sul
piano neuropsicologico per escludere segni precoci di deterioramento mentale, che
potrebbe comportare agiti collegati all’impulsività ed alla difficoltà mnesica, il che
comporterebbe un non comprensione delle sue condotte. Pertanto appare necessario
una presa in carico neurologica che accerti il funzionamento, e la presenza dei seguenti
segni per causa organica. La signora Tizia, di anni 45, appare ai colloqui collaborativa
e disponibile al racconto spontaneo […]. Ella non presenta alcuna alterazione dei tratti
di personalità ed è una persona adeguata e disponibile al confronto […]. Nella
situazione specificata, è certamente evidente che la signora Tizia persegua l’obiettivo
della partecipazione, dell’attenzione e del contatto affettivo del genitore, anche
separato, verso i propri figli […] e, anche per quanto riguarda la comunicazione fra lei
e Caietto, si evidenziano, durante i colloqui, sia una buona sintonia fra loro, sia una
complicità funzionale (funzione rappresentativa e comunicativa) […]. Non vi è mai
stata una sollecitazione nel figlio al rifiuto del padre, anzi a parere della scrivente, ha
cercato in tutti i modi di sostenere il ruolo paterno, venendo meno alle sue possibili
ferite emotive dovute alla condotta del sig. Caio […]. A parere della scrivente appare,
per esempio, utile per lui una sorta di orientamento psicopedagogico per sostenere la
loro relazione. Per questo si ritiene molto importante che il signor Caio, inizi
seriamente e stabilmente un percorso di supporto psicologico, ma anche una
valutazione neurologica che evidenzi il suo stato funzionale […]. Affido: per le
modalità con cui il sig. Caio si è posto e si sta ponendo verso il figlio, si ritiene che
l’affido esclusivo rinforzato alla sig.ra Tizia sia di base per consentire a Caietto uno
sviluppo adeguato. Ad oggi il padre non ha mai esercitato un suo interesse all’area
salute e studio, delegando alla madre e portando motivazioni fittizie e manipolative nel
ritardare le cure, per supportare la sua percezione di vittima rispetto alla madre. Appare
importante un intervento sulla coppia genitoriale con incontri mensili, che non
dovranno essere disattesi da nessuno dei due genitori, perché potrebbe essere inteso
come un attacco verso un processo di crescita per attivare la bigenitorialità. Si ritiene
di priorità una presa in carico psicologica del minore, anche nel privato, che sia
disponibile a collaborare con i servizi sociali di competenza, svincolata dal segreto
professionale. Collocazione: presso la madre. Frequentazione: al momento vi sono
frequentazioni gestite in ambito di luogo neutro. Non vi sono elementi che possano
confortare uno svincolo dai luoghi neutri, e debba dapprima essere effettuata una
valutazione neurologica e psichiatrica che permetta di comprendere l’effettivo
funzionamento del sig. Caio, che è apparso omertoso o per problemi organici
(conseguenze dementigene post intervento di craniotomia temporofrontale) o
psichiatrici conseguenti al trauma da tumore cerebrale. Solo dopo questi accertamenti
sarà possibile effettuare un percorso di genitorialità che permetta la cooperazione sotto
il controllo dei servizi sociali […]”.
9. All’udienza, innanzi al Giudice Relatore, dell’11.3.2022, le parti hanno
rappresentato che “non c’è contestazione sulla casa familiare, intestata solo alla Sig.ra
Tizia”. Il difensore del padre ha rappresentato che “non si oppone all’affidamento super
esclusivo del minore Caietto alla madre” e che “il proprio cliente è disponibile a
proseguire le cure farmacologiche per le sue patologie e che mostra il desiderio di
ampliare la frequentazione col figlio”. Il difensore della madre ha chiesto un rinvio
dell’udienza “affinché si possa proseguire il monitoraggio del nucleo, per poi, a
distanza di qualche tempo, poter eventualmente aggiornare la perizia”. Il Giudice
Relatore ha, quindi, disposto la prosecuzione degli incontri padre/figlio solo in luogo
neutro e del monitoraggio del nucleo familiare, come già disposto dal Collegio.
10. Con relazione depositata in data 9.6.2022, il CISSACA di Alessandria ha
rappresentato, essenzialmente: che “la madre […] ha riferito un positivo miglioramento
del figlio in tutti gli ambiti della quotidianità”; che “a detta della donna, le maestre
hanno evidenziato maggiore attenzione e rendimento scolastico, maggiore
partecipazione ed integrazione all’interno del gruppo e maggiore serenità del bambino.
Anche in ambito sportivo, il riscontro degli allenatori è stato positivo e la sig.ra Tizia
ha valorizzato il benessere manifestato dal figlio negli ultimi mesi, in concomitanza
della frequenza regolare degli incontri con il padre”; che “la sig.ra Tizia ha esplicitato
che il figlio attende con entusiasmo l’incontro settimanale con il padre e, nonostante
non racconti ciò che succede durante il luogo neutro, il bambino al rientro a casa è
sempre sereno e felice”; che “nonostante il raffronto positivo osservato nella relazione
con il figlio, il sig. Caio è apparso focalizzato sul proprio malessere riferito alla
stanchezza ed alla fatica dell’iter burocratico, ribadendo di sentirsi una “vittima del
sistema”” e che “considerato il forte legame positivo fra padre e figlio, richiede a
codesta Autorità Giudiziaria la possibilità di ampliare la durata dell’incontro
settimanale (due incontri a settimana)”.
11. All’udienza, innanzi al Giudice Relatore, del 22.6.2022, il difensore della madre ha
rappresentato di concordare in ordine all’ampliamento dei luoghi neutri, come
suggerito dai Servizi Sociali. Anche stessa la madre ha dichiarato che “il figlio
manifesta il desiderio di incontrare il padre, in qualche occasione anche in assenza dei
Servizi Sociali”, talché entrambe le parti hanno concordato in ordine “all’opportunità
di avviare un percorso per l’auspicabile futuro svincolo dai luoghi neutri, con
l’eventuale rivalutazione da parte della CTU, a distanza di un congruo periodo di
tempo”. La Dott.ssa Maria Chiara Calitri (CISSACA di Alessandria) ha “conferma[to]
che gli incontri in luogo neutro padre/figlio si stanno svolgendo regolarmente e che
l’operatore non è mai intervenuto per comportamenti inadeguati del padre”. Il Giudice
Relatore ha, quindi, “conferma[to] la prosecuzione degli incontri padre/figlio in luogo
neutro, come disposto dal Collegio, con possibilità, per il CISSACA di Alessandria, di
aumentare le occasioni e gli orari degli incontri in luogo neutro, come suggerito
nell’ultima relazione”, incaricando il CISSACA di Alessandria di proseguire il
monitoraggio del nucleo familiare e di consentire la coordinazione genitoriale.
12. Con relazione depositata in data 31.8.2022, il CISSACA di Alessandria ha riferito,
essenzialmente: che “a partire dal 29 luglio u.s. gli incontri sono stati ampliati (da
un’ora ad un’ora e mezza e successivamente due ore) con la possibilità di uscire sul
territorio”; che “nonostante si siano svolti solo tre incontri con le nuove modalità,
Caietto al termine degli incontri è apparso sereno, tranquillo e desideroso di incontrare
il padre anche senza la presenza dell’educatrice”; che “il sig. Caio ha ribadito di essere
esausto e stremato dalla situazione che subisce ma che non comprende e che vive con
estremo disagio, vergogna ed insofferenza”; che “la sig.ra Tizia si è dimostrata
collaborativa e flessibile rispetto alle nuove modalità di incontri fra padre e figlio,
reputando fondamentale per Caietto, un graduale avvicinamento e liberalizzazione
degli incontri con il padre. A detta della donna, il minore è sempre felice e sereno dopo
gli incontri e richiede alla madre maggiori spazi e tempi da trascorrere con il papà”;
che “dall’ultima udienza in Tribunale, i genitori del piccolo Caietto, hanno ripristinato
una comunicazione tramite telefonate e messaggi” e che “considerato il breve periodo
di attuazione delle nuove modalità di incontri, si ritiene necessario la prosecuzione del
monitoraggio, valutando un’eventuale progressiva liberalizzazione sulla base
dell’andamento degli incontri ed il confronto con i vari operatori (psicologa del minore
e psicologa del sig. Caio) coinvolti sulla situazione”.
13. All’udienza, innanzi al Giudice Relatore, del 14.9.2022, il difensore della madre ha
rappresentato di “essere favorevole alla liberalizzazione degli incontri padre/figlio,
anche alla luce delle relazioni degli enti incaricati. In estate, in accordo coi Servizi
Sociali, padre/figlio si sono già incontrati positivamente”. Il Giudice Relatore ha
evidenziato la “necessità di sentire la Dott.ssa Calitri, posto che, nella relazione, i
Servizi Sociali, pur evidenziando la positività degli incontri, hanno comunque
suggerito la prosecuzione degli incontri in luogo neutro”.
14. All’udienza, innanzi al Giudice Relatore, del 19.9.2022, la Dott.ssa Maria Chiara
Calitri (CISSACA di Alessandria) ha riferito: “come ho riportato nella relazione
depositata e come ho potuto verificare nel corso degli incontri svoltisi sinora, il minore,
Caietto, non correrebbe rischi nel caso in cui fosse prevista una frequentazione
padre/figlio libera e non più in luogo neutro. Peraltro, già da qualche tempo il
CISSACA di Alessandria svolge un monitoraggio molto leggero degli incontri,
all’inizio e al termine di essi, lasciando, poi, che padre e figlio gestiscano in autonomia
gli incontri, i quali, poi, vengono riportati come positivi”. Il difensore della madre,
tuttavia, ha evidenziato come il CTU avesse ritenuto necessaria una previa verifica
psichiatrica sulla persona del padre, pur rilevando che “vi è accordo nel senso che la
frequentazione padre/figlio sia liberalizzata, non identificandosi rischi per il minore,
Caietto”. Entrambi i genitori hanno dichiarato di essere riusciti a instaurare un canale
di dialogo tra loro e di concordare in ordine al seguente regime di frequentazione
padre/figlio: “il padre andrà a prendere Caietto all’uscita da scuola tutti i martedì e lo
riaccompagnerà a casa della madre entro le ore 21:30, dopo avergli dato la cena. Nel
weekend, Caietto starà, alternativamente, col padre e con la madre, l’intera giornata del
sabato e l’intera giornata della domenica, dalle ore 9:30 alle ore 21:30”. Quanto alla
verifica psichiatrica ritenuta necessaria dal CTU, entrambi i difensori hanno
concordato in ordine alla possibilità di depositare “una perizia psichiatrica, asseverata
innanzi all’Autorità Giudiziaria, sui punti indicati nella perizia del CTU, Dott.ssa De
Rosa, che sarà visionata dal perito psichiatra”. La causa è stata, quindi, rimessa al
Collegio che qui decide, nei termini che seguono.
15. È indubbia la positività dell’andamento del percorso di riavvicinamento
padre/figlio, tanto che i genitori hanno potuto concordare un regime di frequentazione
non più in luogo neutro. Ciò è stato possibile per la dedizione manifestata, in questi
mesi, da entrambi i genitori, i quali sono riusciti ad anteporre il bene del figlio, Caietto,
rispetto al proprio, con risultati già visibili nella condizione del minore, che, infatti, è
apparso molto più sereno.
16. La CTU, Dott.ssa Patrizia De Rosa, specialista psichiatra, oltreché psicoterapeuta,
tuttavia, ha rigidamente subordinato la liberalizzazione della frequentazione
padre/figlio a una valutazione del padre da parte di un neurologo e da parte di uno
psichiatra (“non vi sono elementi che possano confortare uno svincolo dai luoghi
neutri, e debba dapprima essere effettuata una valutazione neurologica e psichiatrica
che permetta di comprendere l’effettivo funzionamento del sig. Caio, che è apparso
omertoso o per problemi organici (conseguenze dementigene post intervento di
craniotomia temporofrontale) o psichiatrici conseguenti al trauma da tumore cerebrale.
Solo dopo questi accertamenti sarà possibile effettuare un percorso di genitorialità che
permetta la cooperazione sotto il controllo dei servizi sociali”).
17. Il Collegio, dunque, ritiene di poter conferire efficacia all’accordo delle parti non
appena sarà depositata la valutazione psichiatrica e neurologica richiesta dal CTU;
valutazione che, per abbreviare quanto più possibile i tempi di una piena ripresa della
frequentazione padre/figlio, potrà essere depositata, come richiesto dal padre, in forma
di perizia asseverata innanzi all’Autorità Giudiziaria. L’udienza è fissata a breve
sempre nell’ottica dell’accelerazione dei tempi, secondo quanto richiesto soprattutto
dal padre.
P.Q.M.
– rinvia la causa all’udienza, innanzi al Giudice Relatore, del 2 novembre 2022, ore
10:15, per l’esame della perizia psichiatrica e neurologica asseverata innanzi
all’Autorità Giudiziaria, che potrà essere depositata telematicamente entro il
28.10.2022, ferme le attuali condizioni;
– dispone la prosecuzione del monitoraggio del nucleo familiare da parte del CISSACA
di Alessandria, che relazionerà entro il 28.10.2022.

Adozione. È nulla la consulenza tecnica d’ufficio se non rispetta il principio del contraddittorio nell’intero svolgimento delle operazioni peritali

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – rel. Presidente –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 387/2022 proposto da:
D.L.C., elettivamente domiciliato in Roma, Via …, presso lo studio dell’avvocato G. P. E.,
rappresentato e difeso dall’avvocato C. F., giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
U.L., quale Curatore Speciale della minore D.L.V., elettivamente domiciliata in Roma, Via …,
presso lo studio dell’avvocato A.G., rappresenta e difesa da sè medesima;
– controricorrente –
Sindaco Comune L’Aquila quale tutore provvisorio della minore D.L.V., Procuratore Generale
Corte Appello L’Aquila, W.K., Pubblico Ministero C/o Tribunale Minorenni L’Aquila, Coppia
Collocataria / Affidataria Minore (generalità Omesse) W.N.;
– intimati –
e contro
avverso la sentenza n. 32/2021 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, pubblicata il 14/12/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/07/2022 dal cons. ACIERNO
MARIA.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. La Corte d’Appello di L’Aquila, confermando la pronuncia di primo grado ha dichiarato lo stato di
adottabilità della minore D.L.V. (nata nel (OMISSIS)) sulla base delle seguenti affermazioni:
1.1 D.L.C. e sono i genitori biologici della minore. La madre ha perso la vita nel 2018. Il nucleo
familiare, a causa dell’accesa conflittualità tra i genitori che si manifestava in condotte persecutorie
poste in essere dal padre della minore nei confronti della sua compagna, era sotto osservazione già
dal 2017. Con decreto del 28/8/2017 il Tribunale per i minorenni aveva sospeso dalla responsabilità
genitoriale il padre, il quale a causa della ludopatia di cui era affetto, non contribuiva i bisogni della
figlia ed era in cura presso il SERD. Dopo una prima fase di comportamenti aggressivi ed antisociali,
tuttavia, gli incontri con la minore erano risultati positivi per entrambi.
1.2 Dopo la morte della madre il Tribunale peri minorenni ha collocato la minore presso una casa
famiglia ed ha aperto il procedimento volto alla verifica dello stato di abbandono.
Il percorso della minore in casa famiglia non era negativo ma emergeva che il padre aveva nascosto
di essere agli arresti domiciliari e di volta in volta autorizzato dall’Autorità giudiziaria per le visite
alla figlia. Emergeva altresì che aveva a più riprese partecipato a programmi di recupero in relazione
alla ludopatia che pareva aver superato ed aveva due figli adulti con i quali non aveva rapporti.
1.3 La consulenza tecnica d’ufficio evidenziava che il padre aveva competenze genitoriali di primo
grado ma era gravemente carente il relazione a quelle di secondo e terzo livello (relazionali, psichiche
e normative) ed indicava in 4 anni almeno il tempo di recupero delle stesse, attraverso un percorso
psico terapeutico. Il consulente aggiungeva che l’avanzata età del D.L. (nato nel (OMISSIS)) e la
grave rigidità e viscosità del suo pensiero rendevano anche improbabile un effettivo cambiamento.
Tenuto conto che la minore versava in una condizione di istituzionalizzazione dal settembre del 2018
si riteneva che la stessa dovesse essere rapidamente collocata in un ambito familiare competente.
1.4 La sentenza di primo grado dichiarava lo stato di adottabilità della minore e veniva impugnata dal
padre il quale rilevava come la conflittualità con la compagna era stata determinata dagli ostacoli
frapposti dalla stessa agli incontri con la minore e che i reati per i quali aveva scontato la pena erano
di scarso allarme sociale, oltre che molto risalenti nel tempo. Osservava che la figlia gli era molto
legata e aveva piacere di d’incontrarlo aggiungendo di aver seguito un percorso formativo e
piscologico volto ad acquisire adeguate competenze genitoriali. Ciò emergeva dalle relazioni del
Centro per le Famiglie, sottolineando che il CTU non aveva tenuto contro delle osservazioni del
proprio consulente di parte e della psicologa della casa famiglia.
Chiedeva la revoca della dichiarazione di adottabilità pur potendo la figlia mantenere una condizione
di semiresidenzialità per completare il proprio percorso psicologico prima di rientrare a casa. In
subordine chiedeva la cd. adozione mite.
2. La Corte d’Appello ha disposto un supplemento di consulenza tecnica d’ufficio affidata al
medesimo esperto del primo grado al fine di valutare se la conservazione del legame con il padre
rispondesse al preminente interesse della minore o fosse preferibile la definitiva recisione di ogni
legame con la famiglia di origine. Alla luce delle conclusioni del supplemento d’indagine, la corte
D’Appello, dopo aver rilevato che l’esperto aveva fornito esaurienti e convincenti risposte ai rilievi di
parte, ha ritenuto che la ripresa dei rapporti con il padre e la conseguente sovrapposizione di figure
affettive avrebbe determinato effetti destabilizzanti e avrebbe ritardato ulteriormente il rafforzamento
della struttura identitaria della minore. L’atteggiamento collaborativo del padre, l’affetto e
l’attaccamento sempre mostrato dalla bambina verso di lui non avrebbero potuto sopperire al grave
deficit di capacità genitoriali riscontrate.
Tale valutazione ha condotto alla reiezione dell’appello.
3.Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il padre della minore. Ha resistito con
controricorso il curatore speciale della minore. Il ricorrente ha anche depositato memoria.
4.Nel primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1, 8, 10, 15,
44, 45 e 46, oltre che dell’art. 315 bis c.c., ed art. 8 Cedu per non essere stata presa in esame dalla
Corte d’Appello la subordinata richiesta di procedere alla cd. adozione mite. La situazione dedotta in
giudizio, secondo il ricorrente, non impone l’adozione legittimante come extrema ratio dal momento
che la minore e il padre sono molto legati, hanno rapporti continuativi e le osservazioni dei tecnici
dei servizi hanno rilevato la positività di questi rapporti. La Corte non ha fornito risposte su questo
rilevante profilo.
5.Nel secondo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli artt. 156, 157, 161, 162 e 194 c.p.c.,
nonché dell’art. 92 disp. att. c.p.c., e degli artt. 24 e 111 Cost., e la conseguente nullità della
consulenza tecnica espletata in secondo grado. Rileva la parte ricorrente che il consulente d’ufficio
ha richiesto che gli incontri con la minore (accompagnata dalla famiglia affidataria) dovessero essere
effettuati senza la presenza del CTP di parte appellante e del suo legale. Questi ultimi sarebbero stati
messi al corrente dell’esito degli incontri con riassunto orale o idonea audioregistrazione solo nel caso
in cui non fossero stati presenti elementi che avrebbero potuto permettere d’individuare il luogo e
l’identità dei soggetti interessati. Nonostante la ferma e tempestiva opposizione di parte appellante e
la richiesta in via gradata di far partecipare solo il CTP, anche a distanza in modo da poter interloquire
durante i colloqui con la minore anche solo per il tramite del CTU o di disporre video registrazione e
non solo audioregistrazione o infine quanto meno di escludere la presenza della coppia affidataria,
nessuna delle predette istanze era accolta e l’esame della minore si svolgeva come richiesto dal CTU
in contrasto con la tutela del diritto di difesa dell’appellante. Aggiunge il ricorrente che tuttavia erano
presenti i consulenti di parte della curatrice e della coppia affidataria sia ai colloqui con la minore che
con il padre. Anche dopo l’invio della bozza della CTU è stata ribadita la lesione del diritto di difesa
dovuta alla mancata partecipazione del CTP di parte appellante al colloquio con la minore. E’ stato di
conseguenza impedito un esame effettivo del colloquio stesso, attesa l’insufficienza della
audioregistrazione.
5.Ritiene il Collegio che questo motivo vada affrontato per primo per ragioni di priorità logica avendo
ad oggetto la dedotta lesione del diritto di difesa in relazione all’unica attività d’indagine istruttoria
svolta nel giudizio di secondo grado.
5.1. La censura è fondata. Il Collegio condivide pienamente l’esigenza di salvaguardare la riservatezza
della famiglia affidataria nella vigenza della pronuncia di primo grado, provvisoriamente esecutiva,
avente ad oggetto lo stato di adottabilità della minore, così come di garantire loro l’esercizio del diritto
di partecipare attivamente al giudizio d’appello L. n. 184 del 1983, ex art. 5. L’osservanza di queste
prescrizioni legislative, volte a creare un contraddittorio pieno tra tutti i soggetti coinvolti dalla
decisione relativa all’adottabilità della minore non può però determinare la lesione del diritto di difesa
dei genitori biologici i quali sono parti necessarie ed hanno il diritto, sancito dalla L. n. 184 del 1983,
art. 1, di partecipare al giudizio in una condizione di totale parità sia con il tutore o curatore speciale
che con gli affidatari al fine di essere nella condizione (processuale) di salvaguardare il legame
genitoriale con il minore, di rappresentare l’esistenza e la qualità di questa relazione in funzione della
sua conservazione oltre che di promuovere l’interesse del minore a non essere privato della famiglia
di origine, ove non sussistano condizioni effettivamente ostative.
5.2 Nella specie, tuttavia, la salvaguardia della riservatezza della famiglia affidataria è stata realizzata
privando la parte appellante degli stessi poteri e facoltà processuali delle altre parti.
E’ stato dedotto ed allegato ritualmente dalla parte ricorrente che al colloquio con la minore oltre alla
famiglia affidataria erano presenti i consulenti di parte del curatore speciale e della famiglia
affidataria mentre era stata inibita la partecipazione del legale dell’appellante e del consulente di parte.
E’ stato, altresì, evidenziato come fossero state proposte soluzioni che potessero salvaguardare la
riservatezza necessaria senza violare il principio di parità delle armi e come, nonostante tali opzioni
alternative, la Corte d’Appello avesse ritenuto sufficiente a garantire il pieno esercizio del diritto di
difesa l’audioregistrazione del colloquio con la minore.
6. Ritiene il Collegio che la decisione di escludere radicalmente dalla partecipazione al colloquio con
la minore esclusivamente il tecnico ed il difensore della parte appellante sia lesivo del diritto di difesa
di tale parte e non costituisca, certamente l’esclusiva modalità di salvaguardia della riservatezza della
famiglia affidataria e della serenità o della mancanza di condizionamento della minore.
6.1. La determinazione adottata ha prodotto la privazione del pieno esercizio del diritto di difesa ad
una sola parte nello svolgimento dello snodo più rilevante e delicato dell’indagine peritale, ovvero il
colloquio con la minore. Al riguardo deve evidenziarsi che al consulente tecnico d’ufficio deve essere
lasciata un’ampia possibilità di scegliere le modalità di ascolto del minore più idonee a salvaguardarne
la serenità, ad ottenere le risposte utili allo svolgimento dell’indagine e a garantire la riservatezza delle
parti ove imposto dalla legge ma tale libertà di conduzione dell’indagine (autorizzata e condivisa con
il giudice) non può determinare la violazione del principio del contraddittorio. Nella scelta il
consulente, anche attraverso l’indicazione del giudice che del contraddittorio è il principale custode,
non deve trascurare la necessità di non privare una o più parti del diritto di difesa. A titolo
esemplificativo si rileva che le garanzie di tutela della serenità della minore potevano essere realizzate
attraverso forme di colloquio che, pur non escludendo la presenza della famiglia affidataria accanto
alla minore in funzione protettiva della stessa, mettessero in condizione tutte le parti con strumenti di
partecipazione telematica sincronica, ampiamente diffusi ed accessibili, di esaminare ed interloquire,
nei modi concordati con il CTU, nello svolgimento del colloquio anche senza essere visti dalla
minore. La riservatezza della famiglia affidataria poteva essere salvaguardata limitando alla minore
ed al CTU il raggio visivo dei partecipanti a distanza. Ma anche altre modalità potevano essere scelte
salvo quella della privazione della partecipazione diretta od a distanza di una sola parte, trattandosi
di un vulnus che non può essere colmato con l’audio registrazione perchè lo strumento, peraltro
insufficiente in sè in quanto privo della rappresentazione visiva dell’andamento del colloquio, non
colma la forte disparità determinatasi nel dispiegamento del diritto di difesa.
7. Deve, in conclusione, essere accolta la censura relativa alla nullità della consulenza tecnica
d’ufficio, tenuto conto del costante orientamento di questa Corte in ordine alla necessità di rispettare
il principio del contraddittorio nell’intero svolgimento delle operazioni peritali (ex multis Cass. 26304
del 2020).
L’accoglimento del secondo motivo determina l’assorbimento del primo e la cassazione della sentenza
impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione perchè si attenga
nell’esecuzione dell’indagine peritale ai principi indicati nel par 6.1 oltre che, in considerazione
dell’età della minore al momento dell’incombente, ai doveri informativi coerenti con la sua capacità
di discernimento.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo. Cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte d’Appello di L’Aquila, in diversa composizione anche per le spese del giudizio di
legittimità.
In caso di diffusione omettere le generalità.
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2022

Addebito della separazione e assolvimento dell’onere probatorio

Cass. Civ., Sez. I, Ord., 22 settembre 2022, n. 27771;
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6001/2020 proposto da:
L.L., elettivamente domiciliato in Roma, Via …, presso lo studio dell’avvocato R.A., che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato S.A., giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
B.E., elettivamente domiciliata in Roma, Via …, presso lo studio dell’avvocato P.M., che la
rappresenta e difende unitamente agli avvocati P.F., P. C., giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2955/2019 della CORTE D’APPELLO di MILANO pubblicata il 04/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/03/2022 dal cons. MELONI
MARINA.
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Milano, con sentenza in data 11 gennaio 2018, ha pronunciato la separazione giudiziale
tra L.L. e B.E., accogliendo la domanda di addebito avanzata da quest’ultima per violazione del
dovere di fedeltà del marito. Ha previsto l’affidamento condiviso, con esercizio disgiunto della
responsabilità genitoriale, delle figlie minori e assegnato la casa familiare alla madre collocataria.
Inoltre, si è disposto a carico dell’Avv. L. un assegno a titolo di mantenimento della moglie
disoccupata di Euro 2.000,00 mensili e un assegno in favore delle figlie di Euro 2.000,00, oltre al
100% delle spese straordinarie delle stesse.
Successivamente, con sentenza del 19 gennaio 2019, la Corte di Appello di Milano ha respinto
entrambi gli appelli (principale e incidentale) e confermato in toto la sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione L.L., affidandosi a otto motivi contenenti
plurime censure. B.E. si è costituita con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697
c.c., e art. 151 c.c., comma 2, in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), in quanto i giudici di merito
hanno erroneamente disposto l’addebito della separazione al medesimo pur in assenza di prova del
nesso causale tra violazione dei doveri coniugali e intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Con la seconda censura si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per aver
erroneamente assunto che fosse onere del ricorrente fornire la prova dell’insussistenza del nesso
causale tra violazione dei doveri coniugali e intollerabilità della prosecuzione della convivenza.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.,
in quanto la sentenza impugnata non ha indicato il procedimento logico in forza del quale è possibile
retrodatare l’inizio della relazione extraconiugale ad un momento antecedente a quello in cui il
ricorrente ha comunicato la propria volontà di separarsi.
Con la quarta censura si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 116
c.p.c., perchè la Corte territoriale ha erroneamente accertato l’esistenza della relazione extraconiugale
del ricorrente in base alle sole dichiarazioni della moglie, senza indicare le ragioni a fondamento del
proprio convincimento.
Il quinto motivo denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 151 c.c., in quanto i giudici di
merito hanno erroneamente ritenuto accertati fatti neppure desunti dalla resistente, in violazione del
principio dispositivo.
Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta mancanza assoluta di motivazione in riferimento all’art. 360
c.p.c., n. 5) perchè la sentenza impugnata ha omesso di esaminare il calcolo dei redditi del ricorrente
in riferimento alla determinazione degli assegni di mantenimento disposti in favore della moglie e
delle figlie.
Con la settima censurai si deduce la nullità della sentenza ex art. 360, n. 4), perchè, in violazione
dell’art. 132 c.p.c., l’assenza di argomentazioni idonee a far conoscere il ragionamento dei giudici di
merito rende la motivazione, benchè graficamente esistente, solo apparente.
Infine, con l’ottavo motivo, si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 337 bis c.c.,
in riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 3), in quanto i giudici di merito hanno determinato l’ammontare
dei contributi di mantenimento per la moglie e per le figlie basandosi sui redditi lordi e non netti
dell’obbligato.
I primi cinque motivi di ricorso sono fondati.
In tema di separazione, grava sulla parte che richieda l’addebito l’onere di provare sia la contrarietà
del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l’efficacia causale di questi
comportamenti nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza (Cass. 16991/2020). E, in
particolare, grava sulla parte che richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della
separazione all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel
rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l’inefficacia
dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell’infedeltà nella determinazione
dell’intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire
l’anteriorità della crisi matrimoniale all’accertata infedeltà (Cass. 3923/2018; Cass. 2059/2012). Nel
caso concreto, la Corte d’appello, nello statuire che il L. non sarebbe riuscito a provare le “pluriformi
alternative in un lunghissimo tempo della crisi irreversibile della coppia” (p. 13), alternative – si
intende – alla relazione extraconiugale, finisce col porre a carico del medesimo – in violazione dell’art.
2697 c.c., – l’onere di provare la causa della rottura della crisi coniugale, in contrasto con i principi
suesposti. La Corte perviene, peraltro, del tutto incongruamente alla conclusione che, “attesa la
contestualità tra la relazione instaurata da L. con la nuova persona e la separazione da lui annunciata
alla moglie”, la separazione sia al medesimo addebitabile. Per converso, la parte onerata dell’onere
della prova non aveva affatto comprovato che la relazione extraconiugale risalisse ad epoca più
risalente o, almeno, coeva alla dichiarata intenzione del L. di separarsi, avvenuta il 30 marzo 2014.
L’unico episodio comprovato dalla B., invero, a mezzo di relazione investigativa, è stato un incontro
del marito con una donna, avvenuto il 30 maggio 2014, ossia dopo la data suindicata. Il che avrebbe
dovuto indurre la Corte a ritenere che, al di là della apparente vita comune che la coppia svolgeva, la
crisi era molto più risalente, e non certo dovuta alla relazione extraconiugale del marito, che ne è stata
una conseguenza. Tanto più che – come la stessa Corte territoriale rileva – la assenza di rapporti
sessuali tra i coniugi, da tempo, non era stata contestata dalla moglie (p. 10).
Il sesto e settimo motivo di ricorso (mancanza assoluta di motivazione sui redditi) sono infondati. Dal
riepilogo finale operato dalla Corte d’appello (p. 36, si evince che gli importi dovuti dal L. per moglie
e figlie sono stati commisurati al “reddito imponibile” al 2017 per l’attività professionale, ammontanti
ad Euro 47.454,00, ad altre voci di reddito, nonchè “alle somme che sia nel 2016 che nel 2017 L. ha
cominciato a trarre dalle cariche ricoperte nelle varie società”. Ebbene, queste somme – ammontanti
ad Euro 59.195,64, per il 2016 e ad Euro 90.443,66 per il 2017 – costituiscono voci di reddito diverse
dal reddito tratto per l’attività professionale.
L’ottavo motivo di ricorso è, invece, fondato. Il riferimento al reddito imponibile, ossia quello
soggetto a tassazione, prima che questa venga operata, ossia al reddito lordo, è – invero – errato. In
materia di separazione personale dei coniugi, la valutazione delle capacità economiche del coniuge
obbligato, ai fini del riconoscimento e della determinazione dell’assegno di mantenimento in favore
dell’altro coniuge, deve essere operata sul reddito netto e non già su quello lordo, poichè, in costanza
di matrimonio, la famiglia fa affidamento sul reddito netto, e ad esso rapporta ogni possibilità di spesa
(Cass. 9719/2010; Cass. 13954/2018).
In conclusione, il ricorso deve essere accolto in relazione ai primi cinque motivi di ricorso nonchè
all’ottavo motivo di ricorso, rigettato il sesto e settimo motivo, cassato il provvedimento impugnato
con rinvio al Tribunale di Milano.
P.Q.M.
Accoglie i primi cinque motivi di ricorso nonchè l’ottavo motivo di ricorso, rigetta il sesto e settimo
motivo, cassa il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Milano in diversa composizione
perchè provveda anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di
informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione
elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati
nella sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione,
il 11 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 22 settembre 2022

AdS per la persona affetta da abituale infermità di mente

Tribunale Salerno, Sez. I, sent., 27 luglio 2022, n. 2708 – Pres. Costabile, Giud. Rel. Chiosi
TRIBUNALE DI SALERNO
Prima Sezione Civile
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. …/2022 del Ruolo Generale,
avente per oggetto: Dichiarazione di Interdizione, vertente
TRA
M.M., nata a E. (S.) il (…), C.F.: (…)
P.D., nato a C. (S.) il (…), C.F.: (…)
elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. … che li rappresenta e difende in virtù di procura in
calce al ricorso
RICORRENTE
E
P.A., residente in C. (S.) alla Via S. Z. I n. 10
T.M., residente in C. (S.) alla Via S. Z. I n. 10
P.R., residente in C. (S.) alla Via S. Z. I n. 10
P.A., residente in C. (S.) alla Via S. Z. I n. 10
P.R., residente in C. (S.) alla Via S. Z. I n. 10
M.S., residente in C. (S.) alla Via D. n. 317
M.N., residente in P. (M.) alla Via U. n. 19
L.A., residente in E.(S.) alla Via S. A. n. 16
RESISTENTI CONTUMACI
E
P.A., nato a B. (S.) il (…), C.F.: (…)
RESISTENTE CONTUMACE-INTERDICENDO
NONCHE’
IL P.M. IN SEDE
INTERVENTORE EX LEGE
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.Con ricorso depositato in data 11 aprile 2022, M.M. e P.D., in qualità di genitori, hanno chiesto
dichiararsi l’interdizione di P.A. in quanto affetto fin dalla nascita da un ritardo nello sviluppo cognitivo
e linguistico, con conseguente totale compromissione delle facoltà di discernimento e di scelta.
In particolare, i ricorrenti hanno dedotto che A. non è in alcun modo in grado di svolgere le più normali
e quotidiane attività fisiche ed intellettuali, al punto di non essere più in nulla autosufficiente e, dunque,
di necessitare una continua assistenza e cura; al riguardo, hanno precisato che lo stesso non è in grado
di assumere alcuna decisione in merito al proprio stato di salute né di provvedere ai propri interessi
patrimoniali e hanno chiesto la pronuncia di interdizione al fine di tutelarlo in modo adeguato e di
offrirgli completo supporto e sostegno.
Esaminato l’interdicendo, sentiti i suoi genitori, la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione
senza i termini di cui all’art. 190 c.p.c..
2. La domanda non è fondata e deve essere rigettata.
In via preliminare, va dichiarata la contumacia dell’interdicendo e degli altri resistenti, verificata la
regolarità delle notifiche del ricorso.
Deve, inoltre, affermarsi la sussistenza della legittimazione attiva dei ricorrenti ai sensi dell’art. 417 cod.
civ., in quanto genitori conviventi con l’interdicendo.
Tanto premesso, occorre rilevare, in punto di diritto, che l’art. 414 cod. civ., come sostituito dall’art. 4
comma 2 della L. 9 gennaio 2004, n. 6, richiede due condizioni per la dichiarazione di interdizione del
maggiore di età o minore emancipato, che segnano il discrimine di tale forma di protezione dei soggetti
incapaci da altri istituti meno invasivi della loro sfera personale e giuridica, quali l’inabilitazione e
l’amministrazione di sostegno. E’ richiesta, in primo luogo, una “condizione di abituale infermità di
mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi”, ovverosia una particolare gravità della
patologia che, diversamente dallo stato di limitata capacità dell’inabilitato, escluda totalmente la loro
idoneità cognitiva e volitiva anche rispetto agli atti di ordinaria amministrazione. Occorre, poi, che lo
status di interdetto sia “necessario per assicurare la loro adeguata protezione”, il che vale a dire che la
misura, stante la gravità dei suoi effetti, ha carattere residuale ed è riservata a quelle ipotesi in cui la
meno invasiva amministrazione di sostegno non sarebbe in grado di assicurare un’efficacia tutela
dell’incapace.
Al riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che, anche in presenza di patologie particolarmente gravi,
deve accordarsi preferenza allo strumento dell’amministrazione di sostegno ove, in ragione della
specificità della singola fattispecie, esso sia sufficiente a soddisfare le esigenze del caso concreto; in
particolare, ad ipotesi in cui non risulti necessaria una limitazione generale della capacità del soggetto,
poiché la protezione dell’incapace richiede un’attività minima, estremamente semplice, tale da non
rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto, vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio
disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione
ordinaria del reddito da pensione) e per l’attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i
risultati dell’attività di sostegno nei suoi confronti e vuoi per un sereno e pacifico contesto familiare,
corrisponderà l’amministrazione di sostegno, da preferire alle più invasive misure dell’inabilitazione e
della interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, non solo sul piano pratico, in
considerazione dei costi meno elevati e delle procedure più snelle, ma altresì su quello etico-sociale, per
il maggior rispetto della dignità dell’individuo. Per converso, ove si tratti di gestire un’attività di una
certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario
impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in
considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere
contatti con l’esterno, ovvero in ogni altra ipotesi in cui il giudice ritenga lo strumento di tutela
apprestato dalla interdizione l’unico idoneo ad assicurare quella adeguata protezione degli interessi
della persona che la legge richiede, è quest’ultimo, e non già l’amministrazione di sostegno, l’istituto che
deve trovare applicazione (Cass. 12.6.2006 n. 13584; Cass. 22.4.2009 n. 9628).
In definitiva, anche rispetto al soggetto totalmente incapace di provvedere ai propri interessi, il
legislatore affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la
tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacita. Solo
se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può
ricorrere alle ben più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione, che attribuiscono uno status
di incapacità (Corte Cost. 30.11.2005 n. 440). Rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, l’ambito di
applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno
intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di
autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto
soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa
(Cass., 26.10.2011 n. 22332); in estrema sintesi, deve dirsi che si dà luogo all’amministrazione di sostegno
nel caso in cui, per assicurare adeguata tutela ad una persona affetta da abituale infermità di mente, è
sufficiente una gestione solo di specifici affari mentre occorre la dichiarazione di interdizione se la
gestione deve essere generale e globale, dato che una gestione globale degli interessi dell’inabile non
può essere garantita dall’amministrazione di sostegno, in quanto i poteri dell’amministratore in nessun
caso possono coincidere con quelli di un tutore e consistere nel potere di compiere, in nome e per conto
dell’infermo, tutti gli atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione.
Al riguardo, all’udienza del 23 giugno 2022, è stato effettuato l’esame dell’interdicendo, principale fonte
di convincimento del Giudice, che ha evidenziato lo stato di grave ed abituale infermità di mente di A.
che, per la sua patologia, non ha potuto sostenere alcuna forma di dialogo e di interazione con il mondo
esterno, mostrandosi altresì` disorientato nello spazio e nel tempo (cfr. verbale di causa del 23 giugno
2022).
Orbene, nel caso di specie, l’interdicendo, sebbene sia affetto da una grave patologia che ex se
legittimerebbe anche la pronuncia di interdizione, come risulta altresì` dalla documentazione medica
prodotta, non risulta essere titolare di un patrimonio di notevole consistenza e, soprattutto, difficile da
gestire, essendo tra l’altro circondato dall’affetto e dalla cura di una compagine familiare priva di
contrasti; in definitiva, le sue attuali esigenze possono essere soddisfatte con la nomina di un
amministratore di sostegno cui affidare specifici poteri di rappresentanza.
Pertanto, il Tribunale rigetta il ricorso per interdizione ma, in virtù delle considerazioni che precedono,
sulla base dell’art. 418, co 3, c.c., dispone la trasmissione del procedimento al Giudice Tutelare
competente, al quale spetta l’apertura dell’amministrazione di sostegno, la scelta della persona idonea
a ricoprire l’incarico in via definitiva e l’indicazione dei relativi poteri.
A tal proposito, deve dirsi che sono emersi nel corso dell’istruttoria specifici e puntuali elementi da cui
desumere la necessità di adottare singoli provvedimenti urgenti a tutela dell’interessato, atteso che non
è stato nominato il tutore provvisorio, avendo i genitori ricorrenti manifestato la necessità di provvedere
agli interessi personali e patrimoniali di A..
Al riguardo, il Tribunale dispone la nomina della ricorrente, M.M., ad amministratore di sostegno
provvisorio del figlio, attribuendo alla stessa i seguenti compiti nelle more del procedimento per
amministrazione di sostegno:
a) rappresenterà il beneficiario nella richiesta della pensione di invalidità e di altre pensioni e/o
indennità allo stesso spettanti per legge;
b) rappresenterà il beneficiario nella riscossione delle entrate di spettanza dello stesso a titolo di
pensione od altra provvidenza economica mensile che verranno depositate su un conto corrente
bancario o postale intestato al beneficiario dove dovranno altresì` essere trasferiti i saldi di ulteriori conti
di pertinenza del beneficiario che verranno estinti; preleverà mensilmente dal conto suddetto le somme
necessarie per la cura e mantenimento di quest’ultimo;
c) rappresenterà il beneficiario nei rapporti con i terzi, con gli enti della sanità pubblica e privata, con
gli enti locali, previdenziali, assistenziali, nonché con il fisco e la pubblica amministrazione in genere,
sia locale che centrale;
d) avrà cura della persona del beneficiario, provvedendo a rappresentarlo nelle richieste di cure e di
terapie necessarie alla sua salute e tenendo conto dei bisogni e necessità dello stesso.
In considerazione della natura della domanda, nulla si dispone sulle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale di Salerno, Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando, così` provvede:
a) dichiara la contumacia dell’interdicendo e degli altri resistenti;
b) rigetta il ricorso per interdizione presentato nei confronti di P.A.;
c) nomina M.M., nata a E. (S.) il (…), C.F.: (…), amministratore di sostegno provvisorio del figlio, P.A.,
con gli specifici comiti di cui in parte motiva;
d) dispone la trasmissione degli atti del procedimento (compresa la sentenza) al Giudice Tutelare;
a) nulla si dispone sulle spese del giudizio.
Conclusione
Così deciso in Salerno, il 21 luglio 2022.
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2022

Cognome. La volontà dei genitori del minore al mutamento non è condizione sufficiente

T.A.R. Emilia-Romagna Parma, Sez. I, sent., 25 agosto 2022, n. 245
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 287 del 2019, proposto da -OMISSIS-e -OMISSIS-in proprio
e per la minore -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati…, con domicilio eletto presso lo
studio …in -OMISSIS-, …;
contro
U.T.G. – Prefettura di -OMISSIS-, Ministero della Giustizia e Ministero dell’Interno, in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale Bologna,
domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni, 6;
Procura della Repubblica Presso il Tribunale di -OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per l’annullamento
del provvedimento prot. n. -OMISSIS-con cui la Prefettura di -OMISSIS-ha rigettato la richiesta di
modifica del cognome (mediante aggiunta del secondo cognome) della minore -OMISSIS-.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. – Prefettura di -OMISSIS-e di Ministero della
Giustizia e di Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 17 giugno 2022 il dott. Agatino Giuseppe Lanzafame
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
1. In data -OMISSIS-la sig. -OMISSIS-, unita civilmente con la sig. -OMISSIS-, ha partorito la piccola
-OMISSIS- e l’ha riconosciuta come figlia innanzi all’Ufficiale dello Stato Civile di -OMISSIS-.
2. In data-OMISSIS-, la sig. -OMISSIS-ha riconosciuto quale propria figlia la piccola -OMISSIS-
innanzi all’Ufficiale dello Stato Civile di -OMISSIS-, il quale ha annotato nel Registro di Stato Civile
tale riconoscimento, in aggiunta a quello già effettuato dalla sig. -OMISSIS-.
3. In data -OMISSIS-, la sig. -OMISSIS-ha depositato presso la Prefettura di -OMISSIS-istanza per
ottenere il cambiamento del cognome della figlia da “-OMISSIS-” a “-OMISSIS- -OMISSIS-“,
dichiarando quale motivo della richiesta di voler “aggiungere il cognome della mia compagna come
progetto di famiglia” e corredando la propria istanza con la manifestazione di consenso della sig. –
OMISSIS-.
4. In data -OMISSIS-, l’amministrazione ha comunicato il preavviso di diniego alla sig. -OMISSIS- ai
sensi dell’art. 10-bis, L. n. 241 del 1990.
5. In data -OMISSIS-, le sig. -OMISSIS- e -OMISSIS- – “in proprio e in qualità di esercenti la
responsabilità genitoriale della minore -OMISSIS-” – hanno inviato alla p.a. le proprie
controdeduzioni.
6. Con provvedimento -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS-, il Prefetto di -OMISSIS-ha respinto la
domanda della sig. -OMISSIS- con un’articolata motivazione nella quale ha osservato, tra l’altro, che
“nel presente procedimento risultano … compresenti, da una parte, l’interesse privato dalla signora
-OMISSIS- -OMISSIS-a ottenere il mutamento del cognome della figlia minore -OMISSIS- -OMISSIS-
… e dall’altra parte, l’interesse pubblico alla tendenziale stabilità del cognome, quale segno
identificativo della persona, interesse riconducibile alla sfera generale dell’ordine pubblico … nel
suo più ampio significato quale insieme dei principi fondanti l’ordinamento giuridico nel suo
complesso e dei valori etici cui esso si ispira, nonché quale limite estrinseco della sfera
dell’autonomia privata, desumibile, oltre che dalla Carta costituzionale, anche dalle norme
civilistiche attinenti sia i diritti primari che l’autodeterminazione e la libertà negoziale … dalle norme
di diritto internazionale privato … dalla recente normativa sulle unioni civili e dalle norme
comunitarie”; ha evidenziato che “nel caso di specie il minore risulterebbe destinatario di una scelta operata
(imposta) da altri, potendo solo al raggiungimento della maggiore età eventualmente modificare tale scelta, i
cui effetti sul piano dell’identità personale e sociale del medesimo si sarebbero ormai abbondantemente prodotti
e consolidati”; ha sottolineato che “in nessuna norma del vigente ordinamento si rinvengono disposizioni che
contemplano un diritto pieno e assoluto di imporre al figlio (minorenne) di una delle parti di un’unione civile
il cognome dell’altra parte … con l’intento di attribuire al minore una stabile identità familiare”; e ha
conclusivamente affermato che il mutamento di cognome richiesto dalla sig. -OMISSIS- per la
propria figlia non può essere disposto poiché incide “contemporaneamente su un diritto fondamentale e
sull’interesse primario all’identità personale della stessa minore, nonché sull’interesse pubblico alla
tendenziale stabilità del cognome della persona umana”.
7. Con ricorso notificato in data -OMISSIS-e depositato in data -OMISSIS-, le sig.re -OMISSIS-e –
OMISSIS– sempre “in proprio e in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale della minore –
OMISSIS-” – hanno chiesto a questo Tribunale di annullare il provvedimento Prefetto di -OMISSIS-,
-OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS- sulla base di un unico articolato motivo di gravame.
Segnatamente, le due ricorrenti hanno lamentato l’illegittimità del provvedimento del Prefetto per
“violazione e falsa applicazione dell’art. 84 e seguenti della L. n. 396 del 2000; eccesso di potere per
violazione del giusto procedimento; violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e segg. della L. n.
241 del 1990; sviamento di potere” sostenendo – in primo luogo – che “nei procedimenti ex art. 84 e
ss. L. n. 396 del 2000 l’attività del Prefetto è “vincolata” e in presenza del consenso esplicito di
entrambi i genitori, come è nel caso di specie, lo stesso deve unicamente limitarsi a valutare la
documentazione prodotta a comprova della realtà dichiarata”.
Le ricorrenti hanno inoltre osservato che “oltre a eccedere i propri limiti di competenza il Prefetto
della Provincia di -OMISSIS-giunge infatti a una erronea e arbitraria ponderazione degli interessi in
gioco”, notando che la fattispecie oggetto del giudizio ha “a oggetto un’istanza di “aggiunta” e non
di “sostituzione” del cognome della piccola -OMISSIS- e non lede l’esigenza sociale dell’immutabilità
del cognome in quanto la semplice aggiunta di un cognome, mantenendo quindi il precedente, si
limita a maggiormente specificare – e non a modificare – la situazione di fatto esistente” e sostenendo
che “il caso che occupa riguarda esclusivamente il diritto di formalizzare una realtà di fatto già
legalmente riconosciuta a monte”.
Infine, le ricorrenti hanno evidenziato che “il diritto al nome rientri nella categoria dei diritti
inviolabili, in quanto elemento primario nell’individuazione della persona umana che ha una
principale funzione di identificazione attribuita dalla legge alla persona e tutelata anche nei
confronti dello Stato”, sostenendo che “il diniego impugnato determinerebbe un serio pregiudizio
anche alla sfera di diritti inviolabili del minore e potrebbe ingenerare nei consociati incertezza
nell’individuazione della piccola -OMISSIS-, che pur conosciuta nella comunità come figlia delle
Sig.re -OMISSIS-e -OMISSIS-vedrebbe il proprio cognome ricollegato unicamente alla prima delle
due”.
8. Con memoria del -OMISSIS-, l’amministrazione ha spiegato le proprie difese insistendo per
l’infondatezza della pretesa delle ricorrenti.
In particolare l’amministrazione ha evidenziato “l’incoerenza delle argomentazioni proposte dalle
ricorrenti, le quali … nell’intero testo del gravame delineano una costruzione teorica basata su diritti
soggettivi che importerebbe la giurisdizione del giudice ordinario laddove invece è palese che nel
caso in ispecie si è di fronte alla mera impugnativa per asseriti vizi di legittimità di un
provvedimento amministrativo (prefettizio) concernente il cambiamento del cognome di un minore,
e dunque si verte sulla materia dell’interesse legittimo”.
Nel merito, poi, l’amministrazione ha sottolineato di essersi “attenuta rigorosamente all’applicazione
delle norme vigenti, in linea anche con la giurisprudenza in materia, esercitando e congruamente
motivando il potere discrezionale attribuitogli dalla legge”.
9. In data -OMISSIS-, la stessa p.a. ha depositato la sentenza del Tribunale di -OMISSIS-con cui – in
accoglimento del ricorso proposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS–
è stato ordinato all’Ufficiale dello Stato Civile presso il Comune di -OMISSIS-di procedere alla
“cancellazione dell’atto di riconoscimento effettuato da -OMISSIS-con riferimento alla minore –
OMISSIS- … e alla cancellazione della relativa annotazione apposta sull’atto di nascita”.
10. Con memoria del 16 maggio 2022, le due ricorrenti hanno evidenziato di aver promosso innanzi
al Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna procedimento per adozione ex art. 44, L. n. 184
del 1983 e hanno chiesto il rinvio della trattazione della causa in attesa della decisione su tale ultimo
procedimento “che farebbe venir meno … l’interesse … a proseguire il presente giudizio”, insistendo, in
subordine, per l’accoglimento di tutte le domande proposte nel gravame.
11. All’udienza del 17 giugno 2022, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato, sicché il Collegio ritiene di poter prescindere dal prendere in considerazione
la sussistenza di un profilo di difetto di legittimazione in capo alla sig. -OMISSIS-(la quale non ha
proposto istanza al Prefetto; non è destinataria del provvedimento di diniego; e non esercita – almeno
allo stato e fatto salvo l’esito del procedimento di adozione in corso – potestà genitoriale nei confronti
della sig. -OMISSIS-).
2. Il presente giudizio riguarda un’istanza di mutamento del cognome proposta ai sensi dell’art. 89,
D.P.R. n. 396 del 2000, secondo cui “chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un
altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela
l’origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto”.
Il provvedimento prefettizio di decisione su detta istanza, com’è noto, “ha carattere discrezionale,
dovendo l’amministrazione valutare e contemperare i contrapposti interessi pubblici e privati
sussistenti in materia, tra cui, dal lato pubblico, appare preminente l’esigenza che i cognomi siano
tendenzialmente stabili nel tempo, in modo da assolvere alla funzione tipica di identificazione della
persona” (Consiglio di Stato, IV, 29 febbraio 2008, n. 777).
Da ciò discende che tale provvedimento deve essere corredato da una motivazione congrua e logica
da cui si evincano le ragioni che hanno indotto l’amministrazione a determinarsi nel senso
dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza e che, al contempo, “il sindacato esercitabile dal giudice
amministrativo in sede di legittimità è limitato al riscontro di eventuali profili di abnormità
nell’ambito dei criteri valutativi valorizzati dall’amministrazione, non potendo il giudice
direttamente procedere al giudizio di bilanciamento tra gli interessi pubblici e privati coinvolti ma
dovendosi limitare a verificare se il provvedimento di diniego esibisca profili disfunzionali
estrinsecamente percepibili, poggiando su criteri chiaramente inidonei a perseguire e tutelare gli
interessi pubblici e privati in materia (cfr. ancora Consiglio di Stato, IV, n. 777/2008).
Nello stesso senso è stato notato che “dalla natura discrezionale del provvedimento prefettizio
discende “che il sindacato giurisdizionale dello stesso può essere condotto … sotto il limitato profilo
della manifesta irragionevolezza delle argomentazioni amministrative o del difetto di motivazione”
(Consiglio di Stato, IV, 26 aprile 2006, n. 2320).
È stato inoltre specificato che l’ordinamento non prevede un diritto soggettivo al cambiamento del
cognome e che il riconoscimento di una posizione soggettiva di interesse legittimo in capo agli istanti
“intende escludere che dall’esercizio della facoltà del privato, normativamente prevista, di chiedere
la modifica del proprio prenome o cognome, possa conseguire un nocumento del principio
pubblicistico della stabilità dei segni identificativi e della corretta identificazione dei cittadini”
(Consiglio di Stato, I, 8 giugno 2020, n. 1094).
È stato infine evidenziato che “dalla disciplina normativa in materia si evince il principio secondo
cui i cambiamenti, le aggiunte o le rettifiche al nome – inteso in senso ampio – rivestono carattere
eccezionale e sono autorizzate solo in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti, in quanto il
nome costituisce un elemento fondante dell’identità personale, connesso ai suoi profili pubblicistici
come mezzo di identificazione dell’individuo” (Consiglio di Stato, I, 22 maggio 2014, n. 1658).
3. Ciò premesso sulla natura del potere prefettizio, è evidente l’infondatezza delle doglianze
proposte dalle ricorrenti.
3.1. Non può in primo luogo condividersi l’assunto secondo cui “nei procedimenti ex art. 84 e ss. L.
n. 396 del 2000 l’attività del Prefetto è “vincolata” e in presenza del consenso esplicito di entrambi i
genitori, come è nel caso di specie, lo stesso deve unicamente limitarsi a valutare la documentazione
prodotta a comprova della realtà dichiarata”.
Rispetto a tale osservazione deve innanzitutto premettersi che, nel caso di specie, non vi è una
richiesta congiunta da parte di due genitori, ma si è in presenza della richiesta della madre biologica
e del consenso della persona unita civilmente con quest’ultima (il cui cognome dovrebbe essere
aggiunto a quello della minore).
Precisato quanto sopra, va in ogni caso evidenziato che se è vero che l’istanza di mutamento del
cognome della persona minore d’età deve essere di regola presentata congiuntamente dai genitori
(cfr. ex multis Tar Lazio, I, 26 novembre 2018, n. 11410), la concorde volontà degli stessi non limita
in alcun modo il potere discrezionale del Prefetto nella valutazione di detta istanza.
Ciò per un verso, in ragione, del fatto che – in via generale – il potere prefettizio è orientato, come si
è già detto, alla tutela di interessi pubblici, quale è innanzitutto quello della tendenziale stabilità del
cognome della persona. Per altro verso, perché, proprio la presenza di un minore impone al Prefetto
di considerare l’interesse dello stesso all’accoglimento della domanda.
In altri termini, la concorde volontà dei genitori del minore è condizione necessaria (salve ipotesi
peculiari, v. circolare Ministero dell’Interno n. 15/2008 e Tar Bologna, I, 8 novembre 2021, n. 902) ma
non sufficiente per il mutamento del cognome del minore e non esime l’amministrazione
dall’effettuare quel delicato bilanciamento tra i diversi interessi pubblici e privati che vengono in
rilievo in tale materia.
3.2. Non può ritenersi, poi, come hanno sostenuto le ricorrenti, che il Prefetto di -OMISSIS-sia giunto
“a una erronea e arbitraria ponderazione degli interessi in gioco in quanto l’aggiunta del cognome,
a differenza della sua sostituzione, non lede l’esigenza sociale dell’immutabilità del cognome e si
limita a maggiormente specificare – e non a modificare – la situazione di fatto esistente”.
A tal proposito, va in primo luogo osservato che l’aggiunta di un cognome è idonea ad incidere
sull’identità della persona (nonché sull’interesse pubblico alla stabilità dei cognomi) al pari della sua
modificazione.
A ciò deve aggiungersi che, nel caso di specie, la ponderazione degli interessi in gioco effettuata dal
Prefetto non appare nient’affatto manifestamente irragionevole e/o arbitraria. E, infatti, come si è già
notato nella ricostruzione in fatto sub (…), il Prefetto di -OMISSIS-nell’adozione del diniego ha
effettuato un’accurata ricostruzione di tutti gli interessi pubblici e privati che vengono in rilievo nella
vicenda odierna (l’interesse privato dalla signora -OMISSIS- -OMISSIS-a ottenere il mutamento del
cognome della figlia, l’interesse di quest’ultima, nonché l’interesse pubblico alla tendenziale stabilità
del cognome) e ha conclusivamente ritenuto che il mutamento di cognome richiesto dall’istante per
la figlia non può essere disposto poiché incide “contemporaneamente su un diritto fondamentale e
sull’interesse primario all’identità personale della stessa minore, nonché sull’interesse pubblico alla
tendenziale stabilità del cognome della persona umana”.
Corrette e ragionevoli sono altresì le considerazioni, svolte in motivazione, secondo cui “nel caso di
specie il minore risulterebbe destinatario di una scelta operata (imposta) da altri, potendo solo al
raggiungimento della maggiore età eventualmente modificare tale scelta, i cui effetti sul piano
dell’identità personale e sociale del medesimo si sarebbero ormai abbondantemente prodotti e
consolidati” e secondo cui “in nessuna norma del vigente ordinamento si rinvengono disposizioni
che contemplano un diritto pieno e assoluto di imporre al figlio (minorenne) di una delle parti di
un’unione civile il cognome dell’altra parte … con l’intento di attribuire al minore una stabile identità
familiare”.
3.3. Non può essere accolta, poi, l’argomentazione di parte ricorrente secondo cui “il caso che occupa
riguarda esclusivamente il diritto di formalizzare una realtà di fatto già legalmente riconosciuta a
monte”: a tal proposito è dirimente la circostanza che con provvedimento Tribunale di -OMISSIS-è
stata ordinata la “cancellazione dell’atto di riconoscimento effettuato da -OMISSIS-con riferimento
alla minore -OMISSIS- nonché la cancellazione della relativa annotazione apposta sull’atto di
nascita”.
3.4. Prive di pregio, infine, sono le argomentazioni svolte dalle ricorrenti (prima, nell’ambito delle
deduzioni prodotte nel procedimento e, poi, nell’atto introduttivo del giudizio) in ordine al fatto che
il diniego sull’istanza della sig. -OMISSIS- si porrebbe in violazione del “diritto al nome” della
minore.
Per un verso, e in via generale, infatti, deve ribadirsi che non sussiste un diritto al cambiamento del
cognome ex art. 89, D.P.R. n. 396 del 2000 e che il presente giudizio è volto a contestare la decisione
resa dal Prefetto nell’ambito dei poteri allo stesso conferiti dagli artt. 89 e ss. D.P.R. n. 396 del 2000,
sicché sarebbe comunque estranea al perimetro del presente giudizio (oltreché alla giurisdizione di
questo giudice) ogni valutazione circa l’eventuale sussistenza di un diritto soggettivo della minore
ad acquisire il cognome della persona unita civilmente con la madre.
Per altro verso, si è già notato che – come correttamente osservato dal Prefetto di -OMISSIS– “in
nessuna norma del vigente ordinamento si rinvengono disposizioni che contemplano un diritto
pieno e assoluto di imporre al figlio (minorenne) di una delle parti di un’unione civile il cognome
dell’altra parte … con l’intento di attribuire al minore una stabile identità familiare”.
Ancora, deve evidenziarsi che proprio il diritto al nome della persona – quale segno distintivo
dell’identità personale – garantito e protetto dall’art. 6 c.c. impone alla p.a. di considerare con
particolare rigore l’istanza di modifica del cognome di un minore, specie ove tale istanza sia
finalizzata a creare un legame identitario con un soggetto (la persona unita civilmente con l’unico
genitore) che – allo stato e fatto salvo l’esito del procedimento di adozione – non è legato al minore
in questione da alcun vincolo legale idoneo a fornire la necessaria stabilità al legame identitario (che
sarebbe stato) creato dal mutamento del cognome.
4. Per tutte le superiori ragioni, il ricorso deve essere respinto.
5. In ragione della peculiarità della vicenda, tuttavia, sussistono giuste ragioni per disporre
l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna sezione staccata di -OMISSIS-(Sezione
Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003,
n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla
segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad
identificare le parti

L’intersessualismo richiede giudizio di rettifica dell’atto di nascita

Tribunale di Paola, Decreto 28 ottobre 2021, Est. Ruggiero
TRIBUNALE DI PAOLA
Sezione civile
ha emesso il seguente
DECRETO
nel procedimento ex art. 700 c.p.c. per la rettifica dell’atto di nascita della minore Tizio
promosso da CAIA e SEMPRONIO e iscritto al n. 95/2021 del R.G.V.G.
MOTIVAZIONE IN FATTO E IN DIRITTO
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato il 4.2.21, CAIA e SEMPRONIO, premesso che: 1)
In data 5.10.2020 presso l’ospedale San Giovanni di Lagonegro (PZ) la sig.ra CAIA ha
partorito il neonato Tizio, con sindrome adreno-genitalica al quale è stato subito attribuito
sesso maschile; 2) Il bambino presentava organi genitali esterni ambigui che ad un primo
esame hanno indotto i medici dell’ospedale di Lagonegro (PZ) a ritenere che appartenesse al
genere maschile; 3) la patologia presentata dal neonato, “ sindrome adreno – genitalica con
perdita di sali e genitali ambigui” ha richiesto l’immediato trasferimento del neonato presso
il reparto di neonatologia dell’azienda ospedaliera “San Carlo” di Potenza; 4) da successivi
esami ecografici i medici hanno accertato che il neonato possiede organi genitali interni
femminili e le indagini genetiche sul cariotipo hanno confermato che il pattern cromosomico
è 46 XX, pertanto, di sesso femminile; 5) in data 11.11.2020, il sig. Sempronio, alla luce delle
risultanze di cui sopra, ha chiesto all’ufficio per i servizi demografici, Stato Civile, del
Comune di Scalea, la rettifica del sesso e del nome del figlio Tizio scegliendo come nome
femminile Tizia in luogo di Tizio; 6) In data 21.12.2020 i genitori del bambino, a mezzo del
sottoscritto difensore, hanno nuovamente presentato istanza di rettifica sull’atto di nascita del
nome e del sesso della loro bambina, Tizio; 7) in data 7.01.21, preso atto che l’istanza di
rettifica di cui sopra, presentava un errore di battitura, il sottoscritto difensore ne ha chiesto
la correzione materiale; 8) che ad oggi l’Ufficio preposto alla rettifica dell’atto di nascita, non
ha fornito formalmente risposta alcuna; hanno domandato: in via principale: assunte, ove
occorra sommarie informazioni, accertare e dichiarare che Tizio appartiene al genere
femminile e, conseguentemente, ordinare all’Ufficiale di Stato Civile competente,
responsabile dei servizi demografici – Ufficio Atti Stato Civile – del Comune di Scalea (CS),
di rettificare l’atto di nascita della minore Tizio nata a Lagonegro (PZ) in data _____– 2020
e correttamente scrivere sesso femminile, nome Tizia. Disporre ogni altro provvedimento che
appaia più idoneo a tutelare nell’immediatezza l’interesse della minore e ad eliminare il
pregiudizio subito e subendo, con vittoria di spese di lite.
Dichiarata la contumacia del resistente, all’udienza del 28.10.21 il Collegio riservava la causa
in decisione.
Tanto premesso, il ricorso è inammissibile, per le seguenti ragioni.
Si discute, in dottrina e giurisprudenza, se sia ammissibile un provvedimento d’urgenza ex
art. 700 c.p.c. in funzione di assicurazione provvisoria degli effetti di una sentenza di mero
accertamento, cioè se vi sia spazio per la tutela cautelare atipica di mero accertamento. Il
problema è dato dal fatto che la funzione della tutela di mero accertamento è quella di fornire
certezza giuridica sull’esistenza o sul contenuto di un diritto controverso con un
provvedimento basato sulla piena cognizione del giudice, capace di passare in giudicato
formale e sostanziale. Al contrario, i provvedimenti resi ex art. 700 si fondano sulla
probabilità del diritto invocato, sulla cognizione sommaria dei fatti allegati e sono pronunciati
in funzione del provvedimento principale ed in presenza del periculum in mora; inoltre sono
instabili e quindi incapaci di divenire cosa giudicata. Assegnando dunque al provvedimento
ex art. 700 c.p.c. il contenuto dichiarativo proprio della pronuncia di accertamento si
tratterebbe di anticipare un effetto conseguibile solo a seguito dell’intervenuto giudicato di
merito.
Nel caso di specie, parte ricorrente ha domandato, con ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c., di
accertare e dichiarare l’appartenenza della minore al genere femminile, nonché la
rettificazione dell’atto di nascita della medesima.
Parte ricorrente ha precisato, nelle memorie depositate in data 09.06.2021, di aver “fondato
la domanda sull’articolo 1 della Legge n. 164/1982”.
Ne deriva, per ciò solo, l’inammissibilità del ricorso, in quanto l’art. 1 l. n. 164/1982 richiede
una sentenza passata in giudicato, onde tale effetto specificamente richiesto dalla norma non
può essere anticipato da un provvedimento cautelare, ontologicamente inidoneo al giudicato.
La disposizione testé citata, inoltre, si riferisce testualmente all’attribuzione ad una persona
di “sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni
dei suoi caratteri sessuali”, dunque all’ipotesi di transessualismo, ossia di mutamento di sesso,
generatore di una difformità sopravvenuta tra il contenuto dell’atto di nascita e la realtà
fattuale.
Tale fattispecie è ben diversa da quella di “intersessualismo”, oggetto del presente giudizio,
in cui la detta difformità è originaria, nel senso che il soggetto apparteneva ab origine al genere
sessuale opposto a quello indicato nell’atto pubblico.
Tale divergenza, a differenza del caso di transessualismo, non è dipesa da una sopravvenienza
fattuale, ossia da un’intervenuta modificazione dei caratteri sessuali, bensì da un mero errore
del pubblico ufficiale ovvero da una situazione di “apparenza”, come nella peculiare ipotesi
in oggetto (“sindrome adreno – genitalica con perdita di sali e genitali ambigui”).
In entrambi i casi, la discrepanza tra forma e sostanza, tra contenuto dell’atto e realtà fattuale,
incidente inevitabilmente sulla veridicità del primo, è emendabile mediante lo strumento,
ampio e versatile, previsto dagli artt. 95 ss. del D.P.R. 396/2000, che, non a caso, distinguono
tra correzione e rettificazione.
Si evidenzia in proposito come la Suprema Corte, superata la desueta tesi restrittiva in base
alla quale il giudizio di rettificazione sarebbe esperibile soltanto nei limitati casi di lapsus
calami in cui sia incorso l’ufficiale di stato civile nella redazione dell’atto (e quindi, di fatto,
per la correzione di un mero errore ortografico), affermi ormai da decenni che il procedimento
di rettificazione possa «essere promosso per la eliminazione di ogni ipotesi di difformità fra
la realtà effettiva, alla stregua della normativa vigente, e quella riprodotta negli atti stessi,
indipendentemente dalla ragione di tale difformità e dal soggetto che l’abbia causato» (in
questi termini: Cass. 16 dicembre 1986, n. 7530).
Appare, dunque, indubitabile che sia proprio il procedimento di rettificazione degli atti di
stato civile quello che il soggetto intersessuale deve esperire per la rettificazione
dell’indicazione del prenome e del sesso nel proprio atto di nascita, proprio perché esso tende
«alla riparazione di irregolarità occorse nella redazione degli atti di stato civile», tra le quali
deve essere ricompresa l’«erronea indicazione del sesso» di un soggetto intersessuale, atteso
che, da ultimo, «la rettificazione non tocca l’essenza dell’atto e invariato, quindi, resta, lo
stato della persona alla quale si riferisce» (Così Trib. Firenze 10 giugno 1936).
Il giudizio camerale cui l’art. 95 D.P.R. 396/2000 rinvia presenta natura polimorfa e variabile,
ma, in questo caso, sempre di volontaria giurisdizione «pura»: il procedimento in parola è
finalizzato all’accertamento della veridicità di un fatto materiale così come indicato nell’atto
di nascita, ossia il sesso effettivo di un individuo avente organi genitali ambigui.
In tale ipotesi si ravvisa un unico interesse, comune e convergente, di natura sia pubblica che
privata, alla corrispondenza tra quanto attestato nello stato civile e la realtà dei fatti.
Dall’inquadramento della fattispecie in esame nell’ipotesi di intersessualismo scaturisce la
necessità, per comporre il prefato contrasto tra contenuto dell’atto e realtà fattuale, di esperire
ricorso per rettificazione, che, come innanzi chiarito, è un procedimento di volontaria
giurisdizione, rispetto al quale è incompatibile la domanda cautelare ex art. 700 c.p.c. Ne
deriva, anche sotto tale profilo, l’inammissibilità del ricorso cautelare proposto.
La natura del procedimento, la peculiarità delle questioni trattate e la contumacia del resistente
inducono a disporre la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti, non ripetibili
nei confronti del resistente contumace.
P.Q.M.
Il Tribunale ordinario di Paola, disattesa ogni altra domanda, eccezione o deduzione, così
provvede:
– dichiara inammissibile il ricorso;
– compensa integralmente le spese di lite tra le parti, non ripetibili nei confronti del resistente
contumace

Il principio di autoresponsabilità sovraintende al mantenimento dei figli maggiorenni

Tribunale di Firenze, 19 luglio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE FIRENZE
SEZIONE I CIVILE
Il Tribunale in composizione monocratica nella persona del magistrato dott.ssa Monica Tarchi
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 107/2019
promossa da: TIZIA IULIO, nata a Bari il ____1993 (C.F. _____), residente in Firenze, via ________,
rappresentata e difesa dall’Avv. Niccolò Seghi e CAIA IULIO, a nata a Bari il ___1994 (C.F. __________),
residente in Firenze, via ________, rappresentata e difesa dall’Avv. Luigi Seghi
PARTE ATTRICE
Contro
SEMPRONIO IULIO, nato a Bari il ____.1957 (C.F. _______), residente a Firenze, via ______, rappresentato e
difeso dall’Avv. Claudio Cecchella e dall’Avv. Lucia Elsa Maffei
MEVIA, nata a Casarano (LE) il ____1962 _______, res.te in Bari Via ________, rappresentata e difesa dall’Avv.
Lucia Moramarco
PARTE CONVENUTA
Posta in decisione sulle seguenti
CONCLUSIONI
Parti ricorrenti TIZIA e CAIA come da comparsa conclusionale del 7.06.22 nella quale sono state richiamate
le conclusioni rassegnate nel foglio di p.c. del 7.07.21: “Quanto all’istanza ex art. 446 c.c. le medesime si
riportano al ricorso in corso di causa depositato in data 03.03.2021 che, data l’urgenza, dovrà essere accolto,
ordinando a carico dei convenuti quali obbligati a corrispondere gli alimenti alle figlie determinando l’importo
nella somma già richiesta nel giudizio di merito come alle conclusioni riportate in atti e che di seguito si
precisano. Quanto al giudizio di merito, le sig.re IULIO: in via istruttoria, insistono nell’ammissione dei mezzi
di prova dedotti opponendosi a quelli dedotti da controparte; nel merito, insistono nelle già rassegnate
conclusioni che di seguito si riportano e rassegnate nell’atto di citazione notificato ai conventi in data
18.11.2019 a seguito del mutamento del rito disposto dalla Dott.ssa Mazzeo. Voglia l’Ecc.mo Tribunale di
Firenze, per i motivi di cui in narrativa, contrariis reiectis, condannare il Dr. SEMPRONIO e la Signora MEVIA
al pagamento di un assegno mensile da versarsi direttamente in favore di TIZIA pari ad € 1.000,00, con
rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT, così suddiviso in ragione delle capacità economiche: (i) quanto
ad € 700,00 a carico del Dott. SEMPRONIO; (ii) quanto ad € 300,00 a carico della Sig.ra MEVIA; condannare,
il Dr. SEMPRONIO e la Signora MEVIA al pagamento di un assegno mensile da versarsi direttamente in favore
di CAIA pari ad € 750,00, con rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT, così suddiviso in ragione delle
capacità economiche: (i) quanto ad € 500,00 a carico del Dott. SEMPRONIO; (ii) quanto ad € 250,00 a carico
della Sig.ra MEVIA; in ipotesi, salvo gravame, condanni il Dr. IULIO SEMPRONIO e la Sig.ra MEVIA, ciascuno in
relazione alle proprie sostanze, alla corresponsione di un assegno mensile di mantenimento di € 1.000,00, o
diversa somma ritenuta di giusti-zia, a favore di TIZIA e di € 750,00, o diversa somma ritenuta di giustizia, a
favore di CAIA; in ogni caso, condanni il Dr. SEMPRONIO e la Signora MEVIA al pagamento del 50% ciascuno,
o diversa percentuale in ragione della capacità reddituale, delle spese straordinarie in favore di TIZIA e CAIA.
Con vittoria di spese e compensi. In ogni caso si chiede che il giudice liquidi a favore dei procuratori delle
sig.re IULIO CAIA e TIZIA, ammesse a patrocinio a spese dello Stato, i compensi ai medesimi dovuti per il
giudizio di merito e quello cautelare (anche quello di reclamo e quello ex art. 446 c.c.) come da nota a spese
che si produrrà in sede di discussione o comunque in fase decisoria”.
Parti convenute:
SEMPRONIO come da comparsa conclusionale del 7.06.22 nella quale ha richiamato quelle rassegnate
all’udienza del 18.05.2022 “ in via istruttoria, ammettere i messi di prova capitolati nella memoria n. 2 ex art.
183 comma VI, cp.c.; in rito, dichiarare l’inammissibilità del ricorso introduttivo; perchè promosso con rito
camerale e inammissibilità della disposta conversione; nel merito, quanto a TIZIA, rigetto della domanda con
condanna alle spese, per CAIA: in via principale, rigettare la domanda, in subordine, riconoscimento di un
contributo di e. 230,00, oltre rivalutazione Istat del 50% delle sole spese universitarie per due anni, purchè
nel primo anno abbia superato almeno 5 esami a far data dalla sentenza, con condanna alle spese di
controparte, tenuto conto delle fasi cautelari incidentali avviate”;
MEVIA come da conclusioni rassegnate all’udienza del 18.05.22, nel corso della quale si è riportata alle
conclusioni di cui alla memoria del 26.05.20 e a quelle rassegnate per l’udienza dell’08.07.21 affinchè “ove
accolta nell’an la domanda proposta e determinato l’assegno in favore di TIZIA e CAIA, venga posto a carico
della concludente un importo non superiore ad E 250,00 per ciascuna richiedente, per le ragioni esposte e
documentate; si chiede altresì di determinare in ragione del 70% a carico di SEMPRONIO la quota relativa
alle spese straordinarie e universitarie delle richiedenti”.
Fatto e diritto
1.Con ricorso del 03.01.19, TIZIA e CAIA hanno adìto il Tribunale allo scopo di chiedere il riconoscimento a
loro favore e la relativa quantificazione del contributo a titolo di mantenimento ex art. 337 septies c.c. dovuto
dal padre SEMPRONIO, in quanto, ancorché maggiorenni, non ancora economicamente autosufficienti.
Con provvedimento del 29.10.19, il Giudice ha rilevato che il procedimento fosse da introdurre con atto di
citazione anziché con ricorso, di tal chè, per esigenze di economia processuale, ha fissato udienza al 25.02.20,
disponendo la notifica dell’atto introduttivo nei confronti dei convenuti, sebbene costoro fossero già
costituiti, nel rispetto dei termini di cui all’art. 163 bis c.p.c.; pertanto, in data 18.11.19, è stato notificato a
SEMPRONIO e MEVIA l’atto di citazione del presente giudizio. In data 04.02.20, si è costituito in giudizio
SEMPRONIO, chiedendo il rigetto integrale della domanda formulata dalle figlie TIZIA e CAIA o, in subordine,
di disporre che il valore di detto contributo non superasse la somma di €. 200,00 mensili e che la sua
partecipazione alle spese straordinarie necessarie per le due ragazze si limitasse a quelle mediche non
coperte dal SSN nella misura del 50%. Già costituitasi in data 03.04.19, la madre delle ricorrenti MEVIA,
nonché ex coniuge di SEMPRONIO, ha evidenziato di aver sempre supportato, dal punto di vista economico
le proprie figlie, seppur nei limiti e in proporzione della propria minore capacità economica rispetto all’ex
coniuge; ha chiesto, quindi, che ove fosse accolta nell’an la richiesta di parte attrice, che sia tenuto conto
della diversità reddituale e patrimoniale sussistente tra i due genitori e che in ragione di tale diversità venga
determinato il quantum del contributo al mantenimento della prole, come previsto dall’art. 316 bis c.c..
All’udienza del 01.07.20, il Tribunale ha concesso alle parti i termini per il deposito di memorie ex art. 183 VI
comma c.p.c., e, a seguito delle istanze delle parti di procedere a trattazione scritta stante la vigenza della
pandemia connessa a Covid-19 e l’impossibilità di accesso alle aule giudiziarie, con provvedimento del
04.02.21 ha concesso termine fino al 20.02.21 per il deposito delle rispettive note scritte di trattazione,
riservando ogni decisione. Allo stesso tempo, TIZIA e CAIA, con istanza cautelare in corso di causa ex art. 446
c.c., hanno chiesto in via provvisoria e urgente che il Tribunale ponesse a carico del padre SEMPRONIO e della
madre MEVIA l’obbligo di versare loro un contributo al loro mantenimento; in esito all’udienza tenutasi in
data 08.07.21, il Tribunale, con provvedimento del 16.12.21, ha rigettato l’istanza cautelare dichiarandone
l’inammissibilità, atteso che la misura richiesta ha come petitum, ai sensi degli artt. 433 ss. c.c., l’obbligo di
prestare gli alimenti, laddove nel presente giudizio si discute del diritto ad un contributo ai sensi dell’art. 337
septies, c.c., a favore di figli maggiorenni non indipendenti economicamente; con il medesimo
provvedimento, il Tribunale la rigettato la richiesta di prove orali formulate da ambo le parti e disposto una
CTU contabile finalizzata alla ricostruzione del patrimonio del padre e della madre delle ricorrenti, fissando
udienza per il giorno 22.12.21 per il giuramento del consulente dott. Sandro Cantini; nel corso di tale detta
udienza, il convenuto SEMPRONIO ha chiesto di essere rimesso in termini per poter depositare una serie
documenti formatisi successivamente al termine per il deposito della memoria n. 2 art. 183 co. VI c.p.c.; con
ordinanza emessa in data 22/12/21, il Tribunale ha autorizzato il IULIO al deposito di tale documentazione,
riservandosi di decidere sulla sua ammissione, sospendendo il conferimento dell’incarico peritale e
concedendo alle parti termine di gg. 15 dalla data di tale produzione per il deposito di memorie; in ossequio
a tale provvedimento, SEMPRONIO ha depositato in PCT: 1) esposto-querela dell’Avv. FILANO contro
CALPURNIO (investigatore privato) del 11/01/21; 2) rapporto delle indagini della polizia giudiziaria del
16/03/2021; 3) verbale delle sommarie informazioni rese di TIZIA in data 15/02/21; 4) ordinanza di
archiviazione del Gip del tribunale di Firenze in data 13/08/21; 5) iscrizione all’albo praticanti presso l’Ordine
degli avvocati di Firenze di TIZIA, dal 17/04/20, svolgente pratica nello studio dell’Avv. FILANO; 6) istanza per
accesso agli atti amministrativi presso l’Università del Salento per conoscere lo stato degli esami sostenuti di
CAIA, formulata da SEMPRONIO con pec del 23/11/21, con delega all’Avv. Giuseppe Romeo e emissione di
ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna; 7) mail del Prof. Avv. Claudio Cecchella, diretta all’Avv.
Niccolò Seghi, con richiesta di conoscere lo stato dell’iter universitario di CAIA. In data 14.02.22, a
scioglimento della riserva incamerata, il Tribunale ha ammesso l’acquisizione dei documenti depositati dal
convenuto, in quanto non tardivi e rilevanti ai fini del decidere, ha disposto l’esibizione ex art. 210 c.p.c.
all’Università degli Studi UniSalento dello stato curriculare di CAIA ed ha revocato la CTU contabile
precedentemente sospesa; infine, ritenendo la causa matura per la decisione, ha fissato udienza per la
precisazione delle conclusioni e per la discussione orale ai sensi dell’art.281 sexies c.p.c. ; all’udienza di p.c.
del 18.05.022, le parti hanno riportato le proprie conclusioni ed il Tribunale ha trattenuto la causa in
decisione.
Ritiene il Tribunale di dover esaminare nel merito le richieste conclusive delle parti, richiamando per tutte le
altre eccezioni di inammissibilità, deduzioni e/o richieste istruttorie le considerazioni già espresse nei
numerosi provvedimenti adottati in corso di causa.
a) Posizione di TIZIA
Va premesso che ai fine della valutazione della posizione di TIZIA risultano dirimenti i documenti acquisiti in
forza di ordinanza emessa in data 14.02.22, tutti formatisi nell’anno 2021 e pertanto successivamente al
deposito delle memorie istruttorie (la n. 2 scadente il 13/10/2020 e la n. 3 scadente il 2/11/2020) e pertanto
non tardivi; in particolare, dai doc. da n. 1 a n. 5, emerge la sussistenza di una condizione di stabile convivenza
tra TIZIA e l’Avv. FILANO, peraltro già ricavabile dal contratto di locazione stipulato in data 1/06/28, e
registrato all’Agenzia delle entrate di Firenze il 14/06/18, al n. ____, avente ad oggetto l’immobile di cui
entrambi risultano conduttori, sito in Firenze, Via _____ (v. doc. n. 20 allegato alla memoria n. 2 ex art. 183,
6° comma, c.p.c. di parte SEMPRONIO). Osserva, pertanto, il Tribunale che tale condizione di stabile
convivenza, iniziata (e mai cessata) da almeno quattro anni, elide la possibilità che il genitore non
collocatario, in questo caso, il padre SEMPRONIO sia tenuto ancora ad un obbligo di mantenimento verso la
figlia, atteso che la ragazza (di anni 29) ha pacificamente terminato il ciclo di formazione universitaria e risulta
iscritta dal 17.04.20 dall’Albo Praticanti presso l’Ordine degli Avvocati di Firenze; la stessa ha peraltro
stipulato assieme all’avv. FILANO nel giugno 2018 un contratto di locazione ad uso abitativo, ancora in corso,
di tal chè deve ritenersi che quantomeno da tale data è iniziata la convivenza con il compagno, sicuramente
in corso a gennaio 2021, come emerge dall’esposto – querela presentato dallo stesso FILANO contro
CALPURNIO in data 11.01.21, laddove il querelante da atto, nella parte motiva , che il centro dei propri
interessi è la città di Firenze (e non Grosseto, come dedotto in fase conclusiva), ove vive e lavora presso il
proprio studio professionale posto ______. Emerge altresì dagli atti che TIZIA ha interrotto la convivenza con
il proprio padre già a novembre 2017, a causa di un forte litigio con il IULIO e con la sua compagna convivente,
oggi moglie, CLAUDIA, rescindendo così volontariamente lo stato di convivenza con il convenuto presso cui
era stata collocata (essendo all’epoca minorenne) in forza sia della sentenza di separazione emessa in data
11.03.16 dal Tribunale di Bari sia in forza della successiva sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti
civili del matrimonio; risulta altresì che a novembre 2017 TIZIA ha deciso di andarsene motu proprio dalla
casa paterna sita in Firenze, in Via ______, prendendo i propri effetti personali e trovando sin da subito
ospitalità nella casa del proprio ragazzo in Firenze in _______; in ogni caso, la stessa TIZIA IULIO, sentita a
s.i.t. in data 15.02.21 dalla Aliquota Polizia di Stato presso la Procura della Repubblica di Firenze in esito alla
presentazione dell’esposto da parte dell’avv. FILANO nei riguardi di CALPURNIO (investigatore privato
incaricato dal SEMPRONIO di indagare le abitudini di vita della figlia) ha dichiarato alla P.G. di convivere
nell’appartamento di Via ______ assieme al proprio fidanzato FILANO a far data dal maggio 2018. Pertanto,
in ragione della avvenuta cessazione della convivenza con il padre, presso cui TIZIA era formalmente collocata
in forza della sentenza di separazione prima e di divorzio poi, avvenuta per volontà ed iniziativa della stessa
attrice, ed in ragione della condizione di stabile convivenza che essa intrattiene con il fidanzato da oltre
quattro anni, unitamente al fatto che la stessa svolge la propria attività di praticante procuratore presso lo
studio legale del suddetto fidanzato, svolgente a sua volta l’attività di avvocato, deve ritenersi essere stata
da tempo raggiunta una condizione di piena autonomia di vita, sia personale che professionale, dovendosi
ricomprendere anche il profilo della autosufficienza economica, avendo la stessa scelto di formare un proprio
autonomo nucleo familiare, connotato da caratteri di continuità e stabilità, tale da elidere non solo l’onere
di mantenimento che gravava nei confronti del padre, ma anche quello nei confronti della propria madre,
MEVIA, verso la quale TIZIA non ha inteso, né all’epoca né successivamente, ricollocarsi. A ciò va aggiunta
l’avvenuta conclusione da parte di TIZIA del percorso formativo di studio, stante l’avvenuta iscrizione
nell’albo dei praticanti presso l’Ordine degli Avvocati di Firenze a far data dall’anno 2020 (con conseguente
possibile conseguimento della abilitazione alla professione) e l’effettiva possibilità di collaborare dal punto
di vista lavorativo con il compagno, l’avv. FILANO, sia nell’attività forense che in quella dello studio legale,
con conseguente connessa remunerazione.
Quanto, poi, alla richiesta di assegno alimentare (domanda che già dichiarata inammissibile in corso di causa),
non è stata fornita alcuna prova dalla ricorrente circa la sussistenza di un suo stato di bisogno, non essendo
stato neanche dedotta la circostanza di aver richiesto o esservi visto rifiutare una qualche forma di sussidio
statale, quale ad esempio il reddito di cittadinanza. Va, quindi, respinta la domanda formulata da TIZIA nei
riguardi di entrambi i propri genitori, SEMPRONIO e MEVIA, sia con riferimento alla richiesta di versamento
da parte dei convenuti di due differenti assegni di mantenimento, in ragione delle rispettive sostanze e
redditi, sia con riferimento alla richiesta di farsi carico delle spese straordinarie, che sono parimenti da parsi
a carico dei genitori laddove il figlio versi in condizione di non autosufficienza.
b) Posizione di CAIA
Osserva il Tribunale, quanto alla ricorrente CAIA, che dalla documentazione riguardante lo stato curriculare
universitario della ragazza, ottenuto a seguito di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. del 14.02.22,
all’Università del Salento (v. doc. nn. 6 e 7), emerge che la ragazza (oggi di anni 28), è iscritta fuori corso (per la quarta volta) al terzo anno del Dipartimento di Ingegneria dell’innovazione, nel Corso di Laurea triennale
in Ingegneria dell’informazione e deve ancora sostenere i seguenti esami: Fondamenti di informatica –
insegnamento A 000015; Calcolatori elettronici – insegnamento A 000014; Elettronica Analogica ed
Elettronica digitale – insegnamento A 003362, oltre alla tesi di Laurea. Va, pertanto, richiamato nel caso di
specie il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che, affermato il principio di auto-
responsabilità della prole ultramaggiorenne, ha stabilito la non debenza di alcun assegno di mantenimento a
favore del figlio che a causa di propria inerzia colpevole non abbia portato a termine in un ragionevole lasso
di tempo gli studi universitari e che non si sia nemmeno attivato per la ricerca di un’occupazione (cfr.
Cassazione civile, sez. I, 14/08/2020, n. 17183), la quale ha statuito che “Ai fini del riconoscimento
dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il giudice di merito è
tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente
crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo,
fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché
il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di
formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche
dei genitori) aspirazioni”.
A fronte di ciò, CAIA non ha fornito nel corso dell’istruttoria alcuna prova non solo in ordine alla mancanza di
indipendenza economica alla stessa non imputabile, ma anche in ordine all’aver curato, con ogni possibile
impegno e diligenza, la propria preparazione scolastica o di avere con pari impegno operato nella ricerca di
un lavoro, anche a voler prescindere dalla offerta ‘lavorativa’ del padre di condurre un’azienda familiare,
dalla stessa rifiutata in quanto ritenuta non adeguata o in linea con la propria vocazione ovvero il proprio
indirizzo di studi (cfr. Cassazione civile , sez. I , 14/08/2020 , n. 17183 secondo cui “L’onere della prova delle
condizioni che fondano il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne è a carico del richiedente. Ai fini
dell’accoglimento della domanda, pertanto, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di
indipendenza economica – che è la precondizione del diritto preteso – ma di avere curato, con ogni possibile,
impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca
di un lavoro; cfr. Cassazione civile , sez. I , 14/08/2020 , n. 17183 secondo cui ” Il figlio divenuto maggiorenne
ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo
scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per
rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle
opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza
indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni”). Del tutto conferente al
caso di specie appare, peraltro, la recente ordinanza n. 40882/21 della Prima Sezione Civile dalla Suprema
Corte inerente i presupposti della persistenza dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne a carico
del genitore, nella quale la Corte ha avuto modo di affermare che “tra le evenienze che comportano il sorgere del diritto al mantenimento in capo al figlio maggiorenne non autosufficiente, si pongono, fra le altre: a) la
condizione di una peculiare minorazione o debolezza delle capacità personali, pur non sfociate nei
presupposti di una misura tipica di protezione degli incapaci; b) la prosecuzione di studi ultraliceali con
diligenza, da cui si desuma l’esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini,
che sia ancora legittimamente in corso di svolgimento, in quanto vi si dimostrino effettivo impegno ed
adeguati risultati, mediante la tempestività e l’adeguatezza dei voti conseguiti negli esami del corso
intrapreso; c) l’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, svolti
dal figlio nell’ambito del ciclo di studi che il soggetto abbia reputato a sé idoneo, lasso in cui questi si sia
razionalmente ed attivamente adoperato nella ricerca di un lavoro; d) la mancanza di un qualsiasi lavoro, pur
dopo l’effettuazione di tutti i possibili tentativi di ricerca dello stesso, sia o no confacente alla propria specifica
preparazione professionale. Ai fini dell’accoglimento della domanda, è onere del richiedente provare non
solo la mancanza di indipendenza economica – che è la precondizione del diritto preteso – ma di avere curato,
con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno,
operato nella ricerca di un lavoro. Non è dunque il convenuto – soggetto passivo del rapporto – onerato della
prova della raggiunta effettiva e stabile indipendenza economica del figlio, o della circostanza che questi
abbia conseguito un lavoro adeguato alle aspirazioni soggettive. …omissis …Se, pertanto, sussista una
condotta caratterizzata da intenzionalità (ad es. uno stile di vita volutamente inconcludente e sregolato) o
da colpa (come l’inconcludente ricerca di un lavoro protratta all’infinito e senza presa di coscienza sulle
proprie reali competenze), certamente il figlio non avrà dimostrato di avere diritto al mantenimento”; ne
deriva che se “la prova sarà tanto più lieve per il figlio, quanto più prossima sia la sua età a quella di un
recente maggiorenne, al contrario la prova del diritto all’assegno di mantenimento sarà più gravosa, man
mano che l’età del figlio aumenti, sino a configurare il “figlio adulto”, in ragione del principio
dell’autoresponsabilità, con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate ed all’impegno profuso,
nella ricerca, prima, di una sufficiente qualificazione professionale e poi, di una collocazione lavorativa”.
Peraltro, anche l’odierna ricorrente (come la sorella TIZIA) non ha dedotto o fornito prova di aver richiesto il
reddito di cittadinanza o che lo stesso le sia stato rifiutato per mancanza dei requisiti, con ciò manifestandosi
o l’inerzia colpevole della stessa ovvero dovendosi inferire la sussistenza di risorse reddituali /economiche
tali da elidere la possibilità di accesso all’aiuto di Stato ovvero l’insussistenza di un reale stato di bisogno,
circostanze queste che escludono anche il diritto ad una prestazione alimentare come richiesto da ambo le
ricorrenti con sub-procedimento cautelare in corso di causa (cfr. Cassazione civile, sez. I , 20/12/2021, n.
40882 secondo cui “ Il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche
dell’impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di
un’attività lavorativa. Ne consegue che ove l’alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per
incapacità fisica o l’impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un’occupazione confacente
alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata. Va escluso
il diritto agli alimenti per il figlio che, pur non avendo trovato lavoro nonostante il titolo di studio – una laurea
breve – non si è adoperato per usufruire di misure sociali come il reddito di cittadinanza”. Va, quindi, respinta
la domanda formulata da CAIA nei riguardi di entrambi i propri genitori, SEMPRONIO e MEVIA, sia con
riferimento alla richiesta di versamento da parte dei convenuti di due differenti assegni di mantenimento, in
ragione delle rispettive sostanze e redditi, sia con riferimento alla richiesta di farsi carico delle spese
straordinarie per la stessa necessarie, che sono parimenti da parsi a carico dei genitori laddove il figlio versi
in condizione di non autosufficienza. c) Le spese di lite. Quanto alle spese di lite, in considerazione della
natura della causa e del complesso andamento del giudizio, si reputa di dover disporre la loro integrale
compensazione tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle
parti, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, respinta o assorbita, così provvede:
– rigetta le domande formulate da TIZIA nei confronti di SEMPRONIO e MEVIA;
– rigetta le domande formulate da CAIA nei confronti di SEMPRONIO e MEVIA;
– dispone l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.
Manda alla Cancelleria per gli avvisi e gli adempimenti

Curatore speciale del minore con funzioni gestionali e mediative

Tribunale di Genova, Decreto provv. 28 agosto 2022
TRIBUNALE DI GENOVA
Sezione IV Civile
A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 07/06/2022, letti gli atti e sentita
la relazione del Giudice Delegato nel procedimento ex artt. 337 quinques c.c. e 709 ter
c.p.c. promosso da:
TIZIA, nata a Messina (ME), il ____1973, residente in Genova, _____, elettivamente
domiciliata in Genova, Corso Buenos Aires n. 8/24, presso lo studio dell’Avv. Cesare
Fossati, che la rappresenta e la difende come da procura in atti
contro
CAIO, nato in Romania, il _________1975, residente in Genova, ________,
elettivamente domiciliato in Genova, Via XX Settembre n. 32/11, presso lo studio
dell’Avv. Mariagrazia Gammarota, che lo rappresenta e lo difende come da procura in
atti.
Ha pronunciato il seguente
DECRETO PROVVISORIO
Premesso che, con ricorso presentato in data 28/06/2021, la Sig.ra Tizia ha chiesto
disporsi l’affidamento cosiddetto “super esclusivo” dei figli minori Mevio e
Sempronia, nati a Genova rispettivamente il ____2010 e il ____2013, avuti dalla
relazione sentimentale e convivenza more uxorio con il Sig. Caio, instando altresì per
l’adozione di ogni provvedimento ritenuto opportuno ai sensi dell’art. 333 c.c. e 709
ter c.p.c., allegando che:
– la relazione fra le parti, durata tredici anni, si era interrotta nel 2015 a seguito
dell’ennesimo episodio di insulti ed eccessi di gelosia del convenuto nei confronti della
ricorrente e il Sig. Caio si era trasferito altrove;
– dopo i primi mesi di difficoltà nella gestione condivisa dei figli, con ricorso depositato
in data 04/11/2016 la Sig.ra Tizia, a fronte del disinteresse del padre alle esigenze di
cura ed assistenza dei figli, aveva chiesto al Tribunale di Genova di disporre il regime
più consono alle esigenze dei figli, oltre a un mantenimento adeguato;
– all’esito del procedimento iscritto al n.ro R.G.7767/2016 V.G., in cui il convenuto era
comparso senza munirsi di un difensore, con provvedimento del 29/11/2017 questo
Tribunale aveva disposto l’affidamento condiviso dei figli, con un regime di incontri a
fine settimana alternati oltre a un pomeriggio infrasettimanale con pernottamento dei
figli presso il padre, nonché un contributo al mantenimento dei figli a carico del padre
pari a € 200,00 (€ 100,00 per ciascun figlio) oltre al 50% delle spese straordinarie;
– il Sig. Caio si era però sempre reso inadempiente a quanto stabilito dal predetto
provvedimento sia in punto mantenimento dei figli sia con riferimento al regime di
affidamento, venendo meno in particolare ai propri doveri di cura, educazione,
istruzione ed assistenza morale della prole;
– sotto il primo profilo, con atto di precetto del 21/03/2018 la ricorrente aveva promosso
un primo pignoramento presso terzi (R.G.E. 1872/2018) all’esito del quale aveva
ottenuto l’assegnazione delle somme, mentre a seguito di un secondo atto di
pignoramento presso terzi (R.G.E. 2627/2018) le parti erano addivenute ad un accordo
di dilazione del debito per la somma irrisoria di € 50,00 mensili, che però non veniva
osservato dal resistente il quale aveva subìto ripetuti licenziamenti per comportamenti
non adeguati sul luogo di lavoro;
– pertanto, la Sig.ra Tizia aveva promosso la procedura ai sensi dell’art. 3 della Legge
219/2012 nei confronti dell’ultimo datore di lavoro noto, tale ___ Società Cooperativa,
che aveva permesso il recupero di sole due mensilità, in quanto anche questo rapporto
di lavoro nel frattempo era cessato;
– sul piano relazionale, la situazione non era affatto migliorata e si erano verificate
continue fratture del rapporto del padre con i figli, anche a causa delle relazioni medio
tempore intrattenute dal Sig. Caio, delle quali aveva reso partecipi i figli senza curarsi
affatto delle conseguenze sulla loro stabilità ed emotività;
– la ripresa delle frequentazioni padre-figli era sempre stata chiesta, sollecitata e
promossa dalla madre, tramite la ricerca di contatti diretti con il padre, ma
particolarmente difficile si era rivelata la gestione dei periodi festivi come quello
estivo, durante i quali non erano state mai assicurate le due settimane con il padre;
– inoltre, si erano verificati numerosi momenti traumatici in cui i bambini avevano
assistito e subìto direttamente episodi di rabbia incontrollata del padre, con
conseguente necessità per la madre di doverli andare a riprendere nei giorni in cui
avrebbero dovuto stare con il padre e il rifiuto del figlio Mevio di rivedere quest’ultimo;
– per far fronte alle difficoltà create ai bambini dalle ripetute assenze e inadempimenti
del padre, a partire dal 2018 la ricorrente aveva richiesto il supporto di una
psicoterapeuta Dott.ssa Cristina Bisio, che aveva di volta in volta sostenuto le capacità
contenitive e riflessive della ricorrente permettendole così sia di bonificare gli eventi
stressanti vissuti dai figli, sia di promuovere e sostenere, nonostante tutto, l’immagine
paterna e la relazione padre-figli;
– particolarmente complicato si era rivelato poi il periodo emergenziale di cosiddetto
“lockdown”, nel corso del quale il Sig. Caio non aveva osservato le prescrizioni
impartite dalle autorità pubbliche esponendo sia i figli sia la ricorrente ad elevati rischi
di contagio;
– in questo quadro, stante le gravi condotte paterne e l’assoluta inadeguatezza al ruolo
di genitore del padre, che era addirittura arrivato ad insultare pesantemente i figli
provocandone uno stato di ansia ed agitazione, si rendeva necessaria una modifica delle
condizioni di affidamento e l’adozione di provvedimenti in materia di esercizio della
responsabilità genitoriale e relative controversie.
Con successiva istanza del 15/11/2021, depositata nelle more della fissazione
d’udienza, la ricorrente ha chiesto disporsi l’acquisizione ex art. 64 bis disp. att. c.p.p.
degli atti relativi alla procedura pendente presso la Procura della Repubblica presso il
Tribunale per i Minorenni di Genova, la quale con nota del 17/11/2021, su richiesta del
G.D., comunicava che non risultavano iscrizioni relative ai minori.
Con comparsa di costituzione e risposta del 21/12/2021, si è costituito in giudizio il
Sig. Caio, chiedendo il rigetto del ricorso e contestando a sua volta alla ricorrente di
tenere comportamenti alienanti della figura genitoriale paterna, impedendo l’accesso
ai figli e violando il diritto dei minori a godere di una piena bigenitorialità.
In punto economico, il Sig. Caio ha allegato le proprie difficoltà derivanti dalla
precarietà delle occupazioni lavorative di volta in volta reperite che non gli avevano
consentito di far fronte con regolarità ai propri obblighi stante altresì la necessità di
dover far fronte anche ad un canone di locazione pari ad € 450,00 mensili con il
modesto importo di € 720,00 mensili percepito a titolo di indennità di disoccupazione.
All’esito dell’udienza del 21/12/2021, il Giudice Delegato, rilevata un’elevata
conflittualità fra le parti e alla luce delle gravi affermazioni della ricorrente che ha
riferito di comportamenti pregiudizievoli del padre, ha conferito espresso incarico ai
competenti Servizi Sociali affinché attivassero urgentemente un monitoraggio del
nucleo famigliare con presa in carico dei minori da parte del Consultorio Famigliare.
La causa è stata dunque istruita mediante acquisizione di periodiche relazioni di
aggiornamento da parte dei Servizi Sociali incaricati e all’esito dell’udienza del
07/06/2022, dopo ampia discussione, è stata trattenuta in riserva per l’adozione dei
seguenti provvedimenti provvisori.
Ciò premesso, dall’osservazione svolta dai Servizi Sociali sul funzionamento del
nucleo famigliare, è emerso anzitutto che entrambi i genitori sono dotati di buone
capacità genitoriali, sebbene la madre sia più incentrata sugli aspetti organizzativi della
vita dei figli, seppur risultando a tratti eccessivamente controllante, mentre il padre
preferisca occuparsi principalmente degli aspetti ludico-ricreativi (assetto questo che
probabilmente ha sempre caratterizzato il nucleo famigliare unito), presentando
tuttavia delle criticità in punto gestione della rabbia pur senza mai apparire minaccioso
e/o pregiudizievole ai figli.
Tali buone capacità vengono, però, limitate dal conflitto personale tra i genitori che si
presenta tutt’ora e a distanza di molti anni (la relazione si è interrotta nel 2015)
estremamente elevato: i genitori preferiscono infatti rivolgersi continuamente
all’Autorità Giudiziaria subordinando se non addirittura asservendo l’esercizio della
responsabilità genitoriale alla loro volontà recondita, e quindi al loro intento – neppure
troppo mascherato -, di risolvere vittoriosamente il proprio conflitto interpersonale.
In altre parole, le parti sanno fare i genitori ma non si sopportano e fanno di tutto per
farsi del male, introducendo il loro conflitto personale nella gestione genitoriale dei
figli, conflitto che non ha a che fare con i minori se non nella misura in cui i genitori
stessi cercano di trascinarli dentro.
In particolare, secondo la madre il Sig. Caio farebbe pagare ai figli la rabbia che ha
verso di lei ed è convinta che se i bambini vogliono ancora bene al padre è solo grazie
a lei: lo accusa di sentire i figli solo quando fa comodo a lui e per mera circostanza e
di non essere un genitore idoneo a causa dei suoi eccessi di rabbia per cui andrebbe
contenuto mediante incontri protetti con i figli.
Di contro il Sig. Caio si sente vittima del conflitto ed impotente di fronte alle accuse
della Sig.ra Tizia a cui reagisce con rabbia e rispondendo sgradevolmente, accusandola
a sua volta di voler allontanare i figli da lui per mera rivincita personale, ma al tempo
stesso non sfrutta gli spazi di autonomia nella gestione dei figli che gli vengono
concessi preferendo che si occupi la madre delle questioni burocratiche (come ad
esempio i permessi di uscita anticipata dalla scuola), alimentando così, come in un
circolo vizioso, la convinzione di quest’ultima della sua inidoneità genitoriale.
Pertanto, entrambe le parti nutrono elevate aspettative dal presente giudizio: lei vuol
vedere affermata una volta per tutte la propria superiorità genitoriale come premio
finale nell’ambito di questo eterno conflitto personale che intende assolutamente
vincere contro il Sig. Caio, il quale invece si sente vittima del sistema e cerca
disperatamente una rivincita sociale dalle ingiustizie che ha subìto in passato nella sua
vita privata e che continua a subire da parte della Sig.ra Tizia.
In tutto ciò i genitori faticano a riportare al centro della discussione i propri figli, i quali
invece vanno protetti dal conflitto genitoriale ed hanno diritto a preservare una
relazione continuativa e paritetica con entrambi i genitori, che in questo momento non
sono consapevoli della loro esigenza primaria di sottrarsi alle tensioni fra gli adulti e
di non essere coinvolti nel conflitto.
Tale esigenza, se non soddisfatta, rischia di ripercuotersi negativamente sui minori
comportando un grave rischio di tracollo psicologico.
Il superamento del conflitto fra le parti risulta dunque di vitale importanza per
consentire il pieno e corretto esercizio della rispettiva capacità genitoriale nell’ambito
del disposto, ed ancora vigente, affido condiviso oltre che nel preminente interesse dei
figli a godere di una piena bigenitorialità.
In quest’ottica, ritiene il Collegio di dover preliminarmente ammonire e richiamare
entrambi i genitori all’importanza del loro ruolo e dell’obbligo di collaborare nel
preminente interesse dei figli minori a conservare una piena bigenitorialità, invitandoli
a scindere il loro conflitto interpersonale dai profili di gestione dei compiti genitoriali.
Ciò posto, a fronte dell’infondatezza delle accuse materne, si ritiene anzitutto
necessario ristabilire immediatamente il precedente regime di permanenza dei figli
presso ciascun genitore previsto dal decreto del 29/11/2017 di questo Tribunale
(provvedimento che in realtà non è mai stato modificato se non unilateralmente dalla
Sig.ra Tizia) che aveva disposto un regime di incontri a fine settimana alternati dal
venerdì pomeriggio alla domenica sera oltre a un pomeriggio infrasettimanale con
pernottamento dei figli presso il padre.
Quanto invece all’esercizio della responsabilità genitoriale, gli operatori sociali hanno
evidenziato allo stato l’impossibilità di trattare il conflitto in sede di mediazione,
ipotizzando una forma di co-genitorialità parallela non ritenendo al tempo stesso che
un affidamento dei minori ai Servizi Sociali possa incidere sulle decisioni e le azioni
dei genitori dal momento che la loro conflittualità riguarda principalmente il
quotidiano.
Da ciò discende la necessità di adottare una soluzione diversa rappresentata dalla
nomina di un curatore speciale, istituto di recente introduzione, a cui conferire espressi
poteri decisionali in relazione ai minori e che coadiuvi i genitori, anche con compiti di
mediazione, nella gestione dei figli al fine di garantire la corretta gestione
dell’affidamento, rappresentando un punto di incontro delle reciproche richieste e
limitando contestualmente la responsabilità genitoriale delle parti.
Sono noti, infatti, i limiti del Tribunale nel dirimere con uno schema di ordine generale
la micro-conflittualità quotidiana relativa ai tempi di permanenza del minore presso
ciascun genitore, soggetti ad una moltitudine di fattori imprevedibili e contingenti
derivanti dalle giornaliere esigenze di vita, lavorative e sociali dei genitori ma prima di
tutto dei figli, sicché solo parti sono in grado di determinare la propria organizzazione
quotidiana di vita nel superiore interesse del minore alla bigenitorialità.
Il curatore speciale potrà pertanto:
a) assumere tutte le decisioni di maggior interesse per i figli minori concernenti la
scuola, la salute, lo sport, le attività ludico-ricreative e la residenza, sentiti i genitori e
procedendo, se ritenuto, all’ascolto dei minori;
b) rappresentare i diritti dei minori costituendosi nel presente giudizio;
c) coadiuvare i genitori, anche con compiti di mediazione, nella gestione dei rapporti
parentali provvedendo a raccogliere le esigenze di ciascuno dei due rispetto ai figli;
d) garantire la corretta gestione della frequentazione dei minori con entrambi i genitori,
verificando l’idoneità dei rispettivi domicili ed eventuali situazioni patologiche (quali
l’impossibilità per i minori di recarsi nell’abitazione del padre);
e) valutare la fondatezza degli stati di malattia che impediscano le relazioni padre-figli
e stabilire eventuali recuperi delle frequentazioni quando lo stato di malattia abbia
compromesso la continuità delle relazioni;
f) monitorare e verificare l’andamento del piano genitoriale anche attraverso visite
ambientali e sia nella relazione madre-figli che in quella padre-figli trasmettendo al
giudice una relazione sugli episodi verificatisi e sull’andamento della gestione dei
minori.
Al contempo, appare opportuno prescrivere ai genitori di intraprendere un nuovo
percorso di mediazione familiare presso il Laboratorio dei Conflitti ovvero presso un
professionista privato o qualsiasi altro organismo di mediazione, disponendo quindi la
remissione della causa al Giudice Delegato per riferire sui progressi compiuti dai
genitori e sull’eventuale miglioramento della loro capacità genitoriali alla luce di
quanto avvenuto nella gestione dell’affidamento del figlio.
Vanno per il resto confermate le attuali condizioni stabilite dal predetto provvedimento
del 29/11/2017 di questo Tribunale in punto collocazione e mantenimento dei minori,
rimandando all’esito dell’istruttoria ogni ulteriore statuizione sulle ulteriori istanze
delle parti.
P.Q.M.
Il Tribunale, non definitivamente pronunciando,
NOMINA quale curatore speciale dei minori Mevio e Sempronia, nati a Genova
rispettivamente il _____ 2010 e il _________2013, l’Avv. Anna Maria Calcagno, con
studio in Genova, Via Macaggi n. 23, conferendole i poteri di cui in parte motiva e
limitando contestualmente la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori;
ASSEGNA termine al curatore speciale per costituirsi in giudizio nell’interesse dei
minori depositando una memoria difensiva contenente una prima relazione
sull’andamento del progetto entro dieci giorni prima dell’udienza di cui infra;
PRESCRIVE ai genitori di collaborare lealmente nell’attuazione del piano genitoriale
e di intraprendere un percorso di mediazione familiare presso il Laboratorio dei
Conflitti ovvero presso un professionista privato o qualsiasi altro organismo di
mediazione;
CONFERMA per il resto le statuizioni di cui al precedente decreto del 29/11/2017
emesso da questo Tribunale in esito al giudizio R.G. n.ro 7767/2016 V.G.;
FISSA per la verifica e l’aggiornamento l’udienza del 20/12/2022 ore 18.15, dinanzi
al G.D. dott. Danilo Corvacchiola (Piano VI – Aula 6).
Spese al definitivo.
Si comunichi alle Parti ivi compreso il curatore speciale, Avv. Anna Maria Calcagno,
e ai Servizi Sociali del Comune di Genova

La gratuità dell’assegnazione della casa familiare non si estende alle spese correlate all’uso

Corte d’Appello Milano, Sez. III, sent., 27 luglio 2022, n. 2188
CORTE D’APPELLO DI MILANO
Sezione terza civile
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa d’appello promossa avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Varese n.
…/2021, posta in decisione nella camera di consiglio del 22.06.2022
DA
M.V. (C.F. (…) ), con il patrocinio dell’avv…., presso il cui studio in …è elettivamente domiciliata
APPELLANTE
CONTRO
A.G. (C.F. (…) ), con il patrocinio dell’avv…., presso il cui studio in VIA … è elettivamente
domiciliato
G.F. (C.F. (…) ), con il patrocinio dell’avv…., presso il cui studio in VIA …è elettivamente domiciliato
APPELLATI
Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Varese, n…. /2021, pubblicata il 9.12.2021, in
materia di “locazione e comodato di immobile urbano”.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
-Nella descrizione dei fatti: con ricorso ex 447 bis c.p.c., i Sig.ri G.A. e F.G. convenivano in giudizio
la Sig.ra V.M., per sentirla condannare al pagamento a loro favore della complessiva somma di Euro
9.682,33, dovuta da quest’ultima dal 2007 per i consumi di energia elettrica, gas, acqua e per le spese
di manutenzione della fossa biologica dell’appartamento di loro proprietà, dove la V. tuttora abita
con la figlia (nonché loro nipote). Infatti, G.A. e F.G., in quanto comproprietari di un complesso
immobiliare sito a L.G, in via M. n. 5, costituito da tre unità abitative, anni addietro, avevano
concesso in comodato d’uso gratuito, una di queste tre unità immobiliari, a loro figlio, G.G., il quale
aveva adibito l’immobile a casa familiare, andandovi ad abitare con la sig.ra V.M. (all’epoca sua
moglie) e la loro figlia minore. Nell’anno 2007, i coniugi G.G. e V.M. si erano separati giudizialmente,
davanti al Tribunale di Varese, che (con provvedimento Presidenziale del 2007) aveva disposto
l’assegnazione della casa familiare alla moglie. L’assegnazione della casa coniugale alla V. era stata
confermata con la sentenza del Tribunale di Varese, n. 1523/2012, a definizione del procedimento di
separazione giudiziale tra i coniugi. La sig.ra V., dopo la separazione dal marito nel 2007, era dunque
rimasta ad abitare nella casa di proprietà di G. e F., senza tuttavia pagare le spese relative al consumo
delle utenze di acqua, luce, gas ecc., nonostante fosse stata più volte a ciò sollecitata dagli ex suoceri.
-I sig.ri G. e F. lamentavano, quindi, che a seguito dell’assegnazione alla sig.ra V. del loro
appartamento (originariamente dato in comodato d’uso a loro figlio) quest’ultima non aveva mai
pagato le spese relative ai consumi di energia elettrica, acqua e gas ecc. e detto comportamento della
V., che loro reputavano del tutto ingiustificato, li aveva costretti ad anticipare la quota di spettanza
della stessa (per evitare l’interruzione della fornitura trattandosi di un unico impianto) quota della
quale, con ricorso al Giudice, chiedevano il rimborso da parte della V., sostenendo che la stessa fosse
obbligata al pagamento.
-la Sig.ra V., costituendosi in giudizio, rilevava che ai fini della procedibilità del giudizio ex art. 447
bis c.p.c. non poteva dirsi assolta la condizione preliminare dell’avvio della mediazione, poiché in
quella espletata non vi era stata una fattiva partecipazione da parte degli ex suoceri; chiedeva
pertanto la sospensione della causa con concessione alle parti del termine per l’introduzione di un
nuovo ed effettivo tentativo di mediazione. Nel merito, la V. confermava di essere assegnataria di
una porzione di immobile di proprietà degli ex suoceri, che l’immobile da lei occupato non era una
unità abitativa autonoma in quanto separata da una libreria dall’abitazione degli ex suoceri, che le
utenze (energia elettrica, acqua e gas per uso riscaldamento) non erano parimenti autonome in
quanto vi era un unico impianto, con eccezione della corrente elettrica che dal 2011 era stata resa
autonoma, che data la peculiarità dell’immobile in questione non era possibile ripartire tra le parti i
consumi realmente ad ella riferibili e che quindi riteneva di non dover pagare alcun importo
richiesto.
-Il Giudice di primo grado, dopo aver concesso alcuni rinvii per consentire l’esperimento del
procedimento di mediazione obbligatorio, che ha avuto esito negativo, disponeva apposita CTU
volta ad accertare quali fossero le quote da ripartire tra le parti, relative ai consumi di energia
elettrica, gas e acqua e di manutenzione della fossa biologica, relative a ciascuna unità immobiliare.
-Successivamente al deposito della CTU, la Sig.ra Vascon eccepiva la nullità della procura alle liti
inizialmente depositata in giudizio da G. e F., in quanto la stessa si riferiva ad altre cause intentate
sempre nei suoi confronti da G. e F., ragion per cui il Tribunale, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., concedeva
a questi ultimi il termine ultimo fino al 10.06.2021 per la regolarizzazione della procura, mediante
deposito telematico, deposito che veniva da loro effettuato in data 4.06.2021, tramite procura alle liti
in rinnovazione.
-All’esito della CTU, il Giudice del Tribunale tratteneva la causa in decisione e con la sentenza n.
1071/2021, pubblicata in data 9.12.2021, così statuiva: “…accoglie le domande svolte della parte
attrice e, per l’effetto, condanna la parte convenuta a corrispondere alla parte attrice la somma di
Euro 8.504,18, oltre agli interessi legali come in parte motiva. Condanna la parte convenuta a
corrispondere alla parte attrice a titolo di spese di lite la complessiva somma di Euro 3.570,00, di cui
Euro 270,00 per anticipazioni, oltre agli accessori di legge. Pone definitivamente a carico della parte
convenuta le spese della CTU, così come liquidate in corso di causa”.
-In particolare, il Giudice di primo grado -per quanto riguarda le eccezioni preliminari sollevate
dalla Sig.ra V.- quanto alla mediazione, riteneva che dovesse considerarsi correttamente assolta la
condizione del preventivo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, in quanto i
ricorrenti (G. e F.) avevano depositato in giudizio il relativo verbale negativo; quanto alla procura
alle liti, il Giudice rilevava che dovesse considerarsi sanata la presunta nullità della procura
inizialmente prodotta in atti, a seguito del deposito da parte di G. e F. di una nuova procura, entro
il termine loro concesso per la regolarizzazione del mandato.
-Nel merito, il Giudice di primo grado applicava al caso in esame le norme sul comodato gratuito di
immobile ex art. 1808 c.c. secondo cui “Il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese sostenute
per servirsi della cosa”, di conseguenza condannava la V., nella veste di comodataria, al pagamento
delle spese ordinarie di manutenzione dell’immobile dalla stessa occupato; secondariamente, il
Giudice rilevava che, trattandosi di assegnazione di casa coniugale, l’assegnatario della casa
coniugale era tenuto, comunque, al pagamento delle spese connesse all’utilizzo di detto immobile,
come peraltro statuito dalla Suprema Corte (Cass. 18476/2005 e Cass. 10927/2018). Per la
quantificazione delle somme dovute per i consumi di acqua, gas, energia elettrica ecc., il Giudice del
Tribunale, condividendo i calcoli di ripartizione delle spese operati dal CTU, come analiticamente
riportati nell’elaborato peritale, riconosceva a favore dei Sig.ri G. e F. la somma complessiva di Euro
8.504,18, oltre interessi legali dalla domanda al saldo effettivo.
-Con ricorso in appello depositato il 31.01.2022, la sig.ra V. ha impugnato la sentenza e ha chiesto,
in sua riforma, l’accoglimento delle conclusioni come in epigrafe riportate.
-E’ stato chiesto il rigetto dell’appello dai sig.ri G.A. e F.G. che costituendosi hanno replicato ai
motivi di impugnazione ed hanno chiesto l’accoglimento delle conclusioni come in epigrafe
riportate.
– All’udienza del 22.06.2022 i procuratori delle parti, all’esito della discussione orale, hanno precisato
le rispettive conclusioni, riportandosi a quelle formulate nei propri atti introduttivi.
-La causa è stata decisa, come da dispositivo letto in udienza.
-Con il primo motivo di appello, l’appellante V.M. lamenta la violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 182 c.p.c. in relazione all’art. 125 c.p.c. per avere il Giudice del Tribunale ammesso la
sanatoria della procura alle liti mediante la concessione del termine per la regolarizzazione della
stessa, con effetti sananti ex tunc, mentre, la difesa di V. sostiene che la sanatoria non potrebbe mai
operare in ipotesi di insussistenza originaria della procura, come nel caso in esame. Secondo
l’appellante, l’art. 182 c.p.c., così come modificato dalla L. n. 69 del 2009, che prevede la possibilità
di sanare eventuali vizi della procura alle liti entro un termine perentorio concesso dal Giudice,
troverebbe il suo limite nell’art. 125 comma 2 c.p.c., secondo cui la procura al difensore può essere
rilasciata dopo la notifica dell’atto, ma sempre prima dell’avvenuta costituzione in giudizio della
parte rappresentata e detto articolo di legge non sarebbe stato in alcun modo
modificato/abrogato/derogato dalla riforma apportata dalla L. n. 69 del 2009. Dal combinato
disposto dei due articoli in questione, dunque, l’appellante ritiene che il deposito della nuova
procura alle liti da parte dei Sig.ri G. e F., nonostante sia avvenuto entro il termine concesso dal
Giudice del Tribunale (ovvero entro il 10.06.2021), deve considerarsi comunque tardivo, in quanto,
lo stesso, è successivo alla costituzione degli appellati nel primo grado di giudizio e, pertanto, non
rispetterebbe il termine inderogabile previsto dall’art. 125 c.p.c. con conseguente inammissibilità e/o
improcedibilità dell’azione da loro promossa.
-Con il secondo motivo di appello, l’appellante lamenta la violazione del principio dell’onere della
prova che grava su colui che chiede l’accertamento di un proprio diritto, sostenendo che il Giudice
di primo grado, nell’accogliere la domanda dei Sig.ri G. e F., avrebbe violato il principio dell’onere
probatorio disposto dall’art. 2697 c.c. Ciò in quanto, sempre secondo l’appellante – rientrando il caso
in esame nell’ipotesi di comodato gratuito di immobile -l’eventuale pattuizione tra comodante e
comodatario di rimborso delle spese collegate all’uso dell’immobile a carico di quest’ultimo- deve
essere provata in giudizio, trattandosi di un comodato oneroso o modale, che necessita di forma
scritta. Pertanto, l’appellante lamenta che il Giudice del Tribunale, in assenza di una precisa
pattuizione tra comodante e comodatario sulla divisione delle spese per i servizi di energia elettrica,
acqua, gas e manutenzione della fossa biologica in uso all’intero complesso immobiliare, non
avrebbe potuto sostituirsi alla volontà delle parti, nominando un proprio consulente tecnico per
stabilire i criteri di ripartizione dei costi da porre a carico del comodatario.
-Il primo motivo di appello è infondato.
Come correttamente evidenziato dal primo Giudice, appurata l’inefficacia della originaria procura
alle liti (trattandosi di quella utilizzata per altri procedimenti giudiziali pendenti tra le stesse parti)
è sempre possibile per la parte effettuare la sanatoria della propria costituzione in giudizio, mediante
la produzione di una nuova procura ad hoc, con efficacia sanante ex tunc. L’art. 182, comma 2, c.p.c.
nella formulazione introdotta dall’art. 46, comma 2, della L. n. 69 del 2009 (da ritenersi applicabile
anche nel giudizio di appello) secondo cui il giudice che accerti un difetto di rappresentanza,
assistenza o autorizzazione, è tenuto a consentirne la sanatoria, assegnando un termine alla parte
che non vi abbia provveduto di sua iniziativa, con effetti “ex tunc”, senza il limite delle preclusioni
derivanti dalle decadenze processuali, trova applicazione anche qualora la procura manchi del tutto
oltre che quando essa sia inficiata da un vizio che ne determini la nullità, restando, perciò, al
riguardo irrilevante la distinzione tra nullità e inesistenza della stessa (Cass. ord. 23353/2021; Cass.
sent. 23958/2020; Cass. ord. 10885/2018).
-Dunque, è evidente che la nuova formulazione dell’art. 182 c.p.c., contrariamente a quanto
sostenuto dall’appellante, non trova alcun limite nel dettato normativo di cui all’art. 125 comma 2
c.p.c., essendo sempre possibile la sanatoria della procura alla liti, con efficacia ex tunc, entro il
termine stabilito dal Giudice, anche nell’ipotesi estrema, della sua totale mancanza.
-Nel caso in esame, peraltro, si osserva che non risulta una assenza assoluta di procura alle liti
rilasciata prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado dai Sig.ri G. e F. al proprio difensore,
posto che la procura inizialmente depositata in giudizio da costoro, secondo quanto riportato dalla
stessa difesa della Sig.ra V., sarebbe stata utilizzata, sempre dal loro stesso difensore, anche in altri
procedimenti, precedentemente instaurati nei confronti della V..
-Alla luce di quanto premesso, dunque, si rileva che correttamente il Giudice di primo grado ha
assegnato il termine di legge a G. e F. per poter regolarizzare la loro rappresentanza giudiziale, e
questi ultimi hanno provveduto a tale regolarizzazione, mediante deposito tempestivo della procura
alle liti in rinnovazione, così sanando la propria costituzione in giudizio, con efficacia ex tunc.
-Il secondo motivo di appello è infondato.
Nel caso in esame si evidenza, infatti, che, inizialmente il titolo che ha permesso alla Sig.ra V. di
abitare nella casa di proprietà dei Sig.ri G.A. e F.G. era costituito da un contratto di comodato
gratuito, in base al quale questi ultimi, per loro stessa ammissione, avevano concesso l’immobile in
questione in uso gratuito al figlio, il Sig. G.G., che lo aveva adibito a casa coniugale ed era andato a
viverci assieme alla Sig.ra V. (all’epoca sua moglie) unitamente alla loro figlia.
-Tuttavia, a partire dal 2007, con l’avvio davanti al Tribunale di Varese del procedimento di
separazione giudiziale tra il Sig. G.G. e la Sig.ra V.M. (RG 4492/2007) e con la conseguente
emanazione (sempre nel 2007, intanto del provvedimento presidenziale di assegnazione della casa
coniugale alla sola Sig.ra V., poi confermato con la sentenza n. 1523/2012) si è verificata una
conseguente nuova qualificazione del titolo legittimante l’occupazione dell’immobile dei Sig.ri G.A.
e F.G. da parte della Sig.ra V., titolo che, da quel momento in poi, diversamente da quanto indicato
dal primo Giudice, non era più quello di comodato gratuito, ma più correttamente quello di
assegnazione della casa coniugale.
-Pertanto, si rileva che dal 2007, pur nella sua nuova veste (non più di comodataria unitamente al
marito) più propriamente di assegnataria della casa coniugale, la sig.ra V.M. era, comunque,
obbligata alle spese per il consumo delle utenze di energia elettrica, acqua, gas e di manutenzione
della fossa biologica, come legittimamente richiesto da G.A. e F.G.. Ciò in applicazione del principio
di diritto secondo cui “L’assegnazione della casa coniugale esonera l’assegnatario esclusivamente dal
pagamento del canone, cui altrimenti sarebbe tenuto nei confronti del proprietario esclusivo o, in
parte qua, del comproprietario dell’immobile assegnato, sicché la gratuità dell’assegnazione
dell’abitazione ad uno dei coniugi si riferisce solo all’uso dell’abitazione medesima, ma non si
estende alle spese correlate a detto uso, ivi comprese la TARSU e quelle che riguardano
l’utilizzazione e la manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell’abitazione familiare,
le quali sono, di regola, a carico del coniuge assegnatario, …” (Cass. 10927/2018); come peraltro di
recente confermato sempre dalla Suprema Corte secondo cui “l’essenziale gratuità dell’assegnazione
della casa familiare esonera, invero, l’assegnatario dal pagamento di un corrispettivo per il
godimento dell’abitazione di proprietà dell’altro, ma non si estende alle spese correlate all’uso (….),
spese che – in mancanza di un provvedimento espresso del giudice della separazione o del divorzio,
che ne accolli l’onere al coniuge proprietario – vanno a carico del coniuge assegnatario.” (Cass.
16613/2022).
-Da ultimo, gli appellati hanno formulato solo nel petitum della comparsa di costituzione e risposta
la domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c., primo comma, senza neppure allegare alcun elemento
giustificativo della stessa; l’istanza, pertanto, va respinta.
-La sentenza appellata deve, dunque, essere confermata, sulla base di quanto qui motivato.
-Al rigetto dell’appello consegue la conferma della sentenza appellata e, per il principio della
soccombenza sancito dall’art. 91 c.p.c., la condanna dell’appellante alla rifusione, in favore delle parti
appellate, delle spese relative al presente grado di giudizio, che vengono liquidate come in
dispositivo, sulla base dei parametri del D.M. n. 55 del 2014 e dello scaglione applicabile nella
fattispecie con riferimento alla media difficoltà delle questioni trattate, al valore medio per le tre fasi,
esclusa quella istruttoria di fatto non svoltasi, con riduzione a metà della fase decisoria risoltasi in
una unica udienza ed in una discussione orale limitata al semplice richiamo delle difese svolte nei
rispettivi atti scritti.
-Si dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei
presupposti per il versamento, a carico dell’appellante, dell’ulteriore importo pari al contributo
unificato versato.
P.Q.M.
La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando, sull’appello proposto da V.M. contro G.A. e
F.G., avverso la sentenza del Tribunale di Varese, n. 1071/2021, pubblicata il 9.12.2021, così provvede:
-rigetta l’appello;
-rigetta la domanda degli appellati ex art. 96 c.p.c., primo comma;
-condanna l’appellante a rifondere alla parte appellata le spese del grado, che si liquidano in
complessivi Euro 2.867,00 di cui Euro 1.080,00 per la fase di studio, Euro 877,00 per la fase
introduttiva, Euro 910,00 per la fase decisionale, oltre il 15% spese forfettarie ex art. 2 comma 2, D.M.
n. 55 del 2014 ed oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge;
-dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato ex art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, comma
inserito dall’art. 1 comma 17 L. n. 228 del 2012.
Conclusione
Così deciso in Milano, il 22 giugno 2022

Il giudice ha sempre il potere di adottare d’ufficio tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli minori

Cass. Civ., Sez. VI – 1, Ord., 04 agosto 2022, n. 24179; Pres. Bisogni, Rel. Cons. Caiazzo
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25626/2020 proposto da:
M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato B.N. S., che lo
rappresenta e difende, con procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato E.N., rappresentata e
difesa dagli avvocati G. L.S., e S. F.I, con procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 316/2020 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 03/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/03/2022 dal
Consigliere relatore, Dott. ROSARIO CAIAZZO.
Svolgimento del processo
CHE:
Su ricorso di M.M. nei confronti della moglie A.M., il Tribunale di Spoleto, con sentenza del
17.2.2020, disponeva l’affido congiunto dei figli della coppia ad entrambi i genitori, fissandone la
residenza abituale presso la madre, statuendo a carico del M. il contributo al mantenimento dei figli
in Euro 1.300,00 mensili e rigettando la domanda di assegno divorzile. Al riguardo, il Tribunale
considerava che il M. disponeva di un reddito di Euro 3.500,00 mensili, gravato da un mutuo di Euro
1.500,00, a fronte del minor reddito di Euro 500,00 percepito dalla ex-moglie, assegnataria della casa
familiare.
La A. ha proposto appello che la Corte territoriale ha parzialmente accolto con sentenza del 3.7.2020,
determinando l’assegno divorzile a suo favore nella somma di Euro 400,00 mensili e la ripartizione
delle spese straordinarie per i figli concordate nelle percentuali del 60% a carico del M. e del 40%
della ex-moglie, osservando che sussiste una evidente disparità economica e reddituale tra le parti,
dovuta alla mancanza di una stabile condizione lavorativa da parte della A.. Tale divario, accresciuto
dal patrimonio immobiliare e dai benefici che l’ex-marito trae dal supporto della famiglia d’origine e
dalla società da lui amministrata, unitamente al fatto che l’appellante si è sempre dedicata ai figli
pregiudicando così la possibilità di trovare una occupazione stabile, legittima secondo la Corte
d’appello il riconoscimento dell’assegno divorzile.
M.M. ricorre in cassazione con sei motivi. A.M. resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
CHE:
Il primo motivo deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 354 e 112 c.p.c., avendo la
Corte d’appello pronunciato incorrendo in ultrapetizione sulla ripartizione tra i genitori delle spese
straordinarie relative ai figli minori (con la percentuale del 60% a carico del ricorrente) poichè la
relativa domanda, non giustificata da mutamenti dello stato di fatto, costituisce mutatici libelli e
pertanto è inammissibile.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte d’appello statuito sulle
spese straordinarie per i figli minori omettendo di esaminare l’eccezione sollevata dal ricorrente
d’inammissibilità, ex art. 345 c.p.c., della domanda afferente alla modifica delle statuizioni inerenti
alle suddette spese.
Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 9170, art. 5, comma 6, per
aver la Corte d’appello riconosciuto l’assegno divorzile all’ex-moglie sulla base della generica
affermazione della incapacità di quest’ultima di procurarsi un maggior reddito da lavoro, omettendo
inoltre l’accertamento della effettiva impossibilità.
Il quarto motivo denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 111 Cost., comma 6, per
difetto assoluto di motivazione, ovvero per aver la Corte d’appello adottato una motivazione apparente
sui presupposti legittimanti l’assegno divorzile.
Il quinto motivo deduce omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti ed emerso
nella prova testimoniale, ovvero il difetto assoluto di motivazione in ordine alla circostanza
dell’offerta di lavoro (non accettata dalla A.) nonostante tale offerta fosse coerente alle sue attitudini
ed ai suoi interessi. Inoltre, contesta l’incidenza della lieve malattia del figlio minore sulle capacità di
lavoro della madre.
Il sesto motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 9170, art. 5, comma 6,
artt. 2730 e 2732 c.c., art. 24 Cost., art. 346 c.p.c., per aver la Corte d’appello provveduto sull’assegno
divorzile applicando erroneamente un criterio fiscale astratto e richiamando arbitrariamente le difese
svolte dal ricorrente in primo grado.
Al riguardo, il ricorrente si duole che la Corte territoriale, nel determinare l’importo dell’assegno
divorzile a favore dell’ex moglie, abbia tenuto conto della possibilità per il M. di detrarne fiscalmente
l’importo e della richiesta, subordinata al rigetto della domanda di assegno divorzile, di non fissarlo
in misura superiore all’importo di Euro 400,00 mensili.
Il ricorso è infondato.
I primi due motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente poichè connessi, vanno respinti. Il
ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia pronunciato ultra petita in ordine alla percentuale delle
spese straordinarie a carico del ricorrente, considerando la domanda introduttiva della A., la quale
aveva limitato al 50% tale percentuale, e la mancata emersione di fatti nuovi rispetto alla sentenza di
primo grado. Invero, va osservato che in tema di separazione personale tra coniugi e di divorzio – ed
anche con riferimento ai figli di genitori non coniugati – il criterio fondamentale cui devono ispirarsi
i relativi provvedimenti è rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale dei figli (previsto
in passato dall’art. 155 c.c., e ora dall’art. 337 ter c.c.) con la conseguenza che il giudice non è
vincolato alle richieste avanzate ed agli accordi intercorsi tra le parti e può quindi pronunciarsi anche
ultra petitum (Cass., n. 25055/17; n. 11412/14).
Nell’ambito dei procedimenti ex art. 337 bis. c.c., la tutela degli interessi morali e materiali della prole
è sottratta all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti ed è sempre riconosciuto al giudice il potere di
adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la
migliore protezione dei figli minori (Cass., n. 7734/22; n. 21178/18).
Atteso il predetto consolidato orientamento di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, la
sentenza impugnata non è censurabile nella parte in cui ha statuito l’aumento della percentuale delle
spese straordinarie relative ai figli nella misura del 60%, indipendentemente dalla specifica posizione
difensiva della controparte. Il terzo motivo è inammissibile. La doglianza è diretta al riesame del
merito circa la questione della prova incombente sulla A. della concreta ed oggettiva possibilità di
procurarsi un’attività lavorativa (v. al riguardo Cass., SU, n. 18287/18). Invero, la Corte territoriale
ha ritenuto di riconoscere l’assegno divorzile alla controricorrente sulla base della notevole disparità
delle condizioni economiche e patrimoniali degli ex-coniugi, rilevando che la A. si è dedicata e si
dedica ai figli, in particolare al figlio G. che soffre di lievi disturbi autistici. La A. ha sicuramente
incontrato seri ostacoli nel reperire una adeguata occupazione lavorativa compatibile con il suo
impegno nella conduzione della vita familiare.
Deve escludersi pertanto che la Corte territoriale non abbia correttamente applicato i principi
sull’onere probatorio in tema di determinazione dell’assegno divorzile.
Il quarto motivo è inammissibile poichè del tutto generico circa l’insussistenza o apparenza della
motivazione della sentenza impugnata, avendo invece il giudice di secondo grado motivato su ogni
questione dibattuta.
Il quinto motivo è inammissibile per carenza d’autosufficienza in ordine alla doglianza riguardante
l’omesso esame di fatto decisivo. Va osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte, qualora il ricorrente in sede di legittimità denunci l’omessa valutazione di un documento ovvero
di una prova testimoniale, il vizio di motivazione può ritenersi sussistente soltanto nel caso di omesso
esame del documento o di elementi deducibili dal documento, oppure dalla deposizione, che si
palesino idonei a condurre – secondo una valutazione che la Corte di Cassazione esprime sul piano
astratto e in base a criteri di verosimiglianza – ad una decisione diversa da quella adottata dal giudice
di merito. Nella denuncia di questo vizio, il ricorrente ha dunque l’onere, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, di riprodurre il tenore esatto del documento, ovvero della
prova testimoniale, il cui omesso esame è denunciato, riportandone il contenuto nella sua integrità, in
modo da permettere siffatta valutazione di decisività, essendo insufficienti i richiami per relationem
agli atti della precedente fase del giudizio, inammissibili in sede di legittimità (Cass., n. 4405/06; n.
19985/17).
Invero, nel caso concreto, il ricorrente non ha trascritto i verbali della prova testimoniale invocata,
circa l’omesso esame di fatti rilevanti in ordine all’occasione di lavoro occorsa all’ex-coniuge
beneficiario dell’assegno divorzile, precludendo in tal modo anche la verifica della decisività dei fatti
da provare (v. anche Cass., n. 17915/2010; n. 21632/13).
Il sesto motivo è parimenti inammissibile, in quanto diretto sostanzialmente al riesame dei fatti,
avendo la Corte d’appello riconosciuto l’assegno divorzile alla controricorrente applicando criteri
conformi alla giurisprudenza di questa Corte, mentre la censura riguarda fatti irrilevanti estranei alla
ratio decidendi posta a fondamento della sentenza impugnata, quali i riferimenti alla detrazione
fiscale, o alla difesa del ricorrente in primo grado.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle
spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 4100,00 di cui 100,00 per esborsi, oltre alla
maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri
dati identificativi delle parti e dei soggetti in esso menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003,
art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2022