Stalking. Non è necessario che gli atti persecutori si manifestino in prolungata sequenza temporale
Cass. Pen., Sez. V, Sent., 26 gennaio 2024, n. 3215; Pres. Catena, Rel. Cons. Guardiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con l’ordinanza di cui in premessa il tribunale di Catanzaro, adito ex art. 309, c.p.p., confermava
l’ordinanza con cui il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Catanzaro, in data 29
dicembre 2022, ha applicato nei confronti di A.A. la misura cautelare del divieto di avvicinamento
alla persona offesa e all’abitazione di quest’ultima, in relazione al reato ex art. 612 bis, c.p., oggetto
dell’imputazione provvisoria, commesso in danno di B.B.
2. Avverso l’ordinanza del tribunale del riesame ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il A.A.,
lamentando: 1) violazione di legge, in punto di mancanza di autonoma valutazione da parte del
giudice dell’impugnazione cautelare, che si è limitato a riproporre le ragioni poste a fondamento
dell’ordinanza cautelare impugnata, anche con riferimento alla sussistenza delle esigenze cautelari;
2) violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del delitto di cui
all’art. 612 bis, c.p., e all’attualità del profilo cautelare, avendo il tribunale del riesame omesso di
considerare la rilevanza della revoca della querela da parte della persona offesa e della circostanza
che quest’ultima non ha assolutamente modificato il proprio stile di vita; 3) violazione di legge e vizio
di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari.
3. Con requisitoria scritta del 7 luglio 2023, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso
la Corte di cassazione, dott.ssa Picardi Antonietta, chiede che il ricorso venga dichiarato
inammissibile. Con memoria del 7 settembre 2023, il difensore di fiducia del A.A., insiste per
l’accoglimento del ricorso.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
4. Preliminarmente va fatta chiarezza sulla questione della remissione della querela da parte della
persona offesa. Il tema non è stato affrontato dal tribunale del riesame, sul presupposto che la dedotta
remissione della querela fosse una circostanza sopravvenuta, estranea al thema decidendum.
Su tale profilo il difensore del A.A. si sofferma nei motivi di ricorso, sia pure al limitato fine di
sottolineare come la dedotta circostanza, non valutata dal tribunale del riesame, abbia inciso sui gravi
indizi di colpevolezza e sull’attualità dell’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione criminosa,
determinandone il venir meno (cfr. pp. 3 e 6 del ricorso). Solo con la menzionata memoria del 7
settembre 2023, il ricorrente deduce specificamente il venir meno della condizione di procedibilità,
stante la remissione della querela da parte della persona offesa, che, nel corso della testimonianza
resa in dibattimento (come da relativo verbale allegato alla memoria, in conformità al principio
dell’autosufficienza del ricorso) ha escluso che l’imputato abbia proferito nei suoi confronti “minacce
reiterate nei modi indicati dall’art. 612, secondo comma”, circostanza che, ove sussistente, avrebbe
reso irretrattabile la querela, ai sensi dell’art. 612 bis, co. 4, c.p. Orbene sul punto si osserva,
innanzitutto, che non risulta agli atti, consultabili in questa sede, essendo stato dedotto un error in
procedendo, alcuna formale remissione di querela, seguita da una formale accettazione da parte
dell’imputato, ai sensi dell’art. 340, c.p.p., condizioni indispensabili, ai sensi del combinato disposto
degli artt. 152, 155, c.p. e 340, c.p.p., affinché la remissione della querela produca l’effetto estintivo
del reato previsto dall’art. 152, co. 1, c.p. La necessità di una formale remissione di querela, seguita
da una formale accettazione del querelato, è, infatti, imposta dalla previsione dell’art. 612 bis, co. 4,
c.p.p., secondo cui la remissione della querela può essere soltanto processuale, con esclusione,
dunque, della remissione extraprocessuale, espressa o tacita che sia, dovendosi intendere per
remissione processuale quella disciplinata dal combinato disposto degli artt. 152, c.p., e 340, c.p.p.
(cfr. Sez. 4, n. 16669 del 08/04/2016, Rv. 266643). Sotto diverso profilo, va rilevato, in aggiunta a
quanto già osservato, che il tema dedotto in memoria non aveva formato oggetto di una specifica
deduzione nei motivi di ricorso (con i quali, come si è detto, la dedotta remissione della querela era
finalizzata a dimostrare l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e dell’attualità delle esigenze
cautelari), dovendosi, pertanto, qualificare come motivo nuovo, la cui inammissibilità deriva, ai sensi
dell’art. 585, co. 4, secondo periodo, c.p.p., dall’inammissibilità dei motivi originari.
5. Tali ultimi motivi, invero, risultano inammissibili, perché del tutto generici e aspecifici, nonché
manifestamente infondati e versati in fatto. Al riguardo vanno ribaditi i principi affermati dalla
giurisprudenza di legittimità, che da tempo ha evidenziato come, in materia di provvedimenti de
libertate, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né di rivalutazione delle condizioni
soggettive dell’indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all’adeguatezza delle misure, trattandosi
di apprezzamenti di merito rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha
applicato la misura e del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità è quindi circoscritto all’esame
del contenuto dell’atto impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno
determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni
rispetto al fine giustificativo del provvedimento (cfr. Cass., sez. II, 2.2.2017, n. 9212, rv. 269438;
Cass., sez. IV, 3.2.2011, n. 14726; Cass., sez. III, 21.10.2010, n. 40873, rv. 248698; Cass., sez. IV,
17.8.1996, n. 2050, rv. 206104), essendo sufficiente ai fini cautelari un giudizio di qualificata
probabilità in ordine alla responsabilità dell’imputato (cfr. Cass., sez. II,10.1.2003, n. 18103, rv.
224395; Cass., sez. III, 23.2.1998, n. 742). Pertanto quando, come nel caso, in esame, vengono
denunciati vizi del provvedimento di conferma emesso dal tribunale del riesame in ordine alla
consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte di Cassazione spetta il compito di verificare,
in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il
giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la
gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione
riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di
diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari
dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente
all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza, oltre che
all’esigenza di completezza espositiva” (cfr. Cass., sez. V, 20.10.2011, n. 44139, O.M.M.). Orbene,
non appare revocabile in dubbio che il tribunale del riesame di Catanzaro abbia fatto buon uso di tali
principi, in quanto, con motivazione approfondita e immune da vizi, in cui sono stati presi in debita
considerazione i rilievi difensivi, ha ritenuto sussistente il requisito dei gravi indizi di colpevolezza a
carico del A.A., in ordine al reato oggetto della contestazione. Ciò sulla base di un’attenta
ricostruzione delle risultanze investigative, fondate sulle dichiarazioni della persona offesa,
sottoposte a penetrante vaglio critico da parte del giudice dell’impugnazione cautelare, che ha
evidenziato come “il propalato della vittima appaia coerente, lineare, circostanziato quanto ai tempi,
ai luoghi e all’autore della condotta illecita, oltre che scevro da intenti calunniatori o vendicativi”,
conformemente al consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le
dichiarazioni della persona offesa possono essere legittimamente poste da sole a fondamento
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, non trovando applicazione nei confronti
della persona offesa le regole di valutazione della prova dettate dall’art. 192, comma 3, c.p.p., previa
verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e
dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che, peraltro, deve in tal caso essere più penetrante e
rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (cfr. Cass.,
sez. un., 19/07/2012, n. 41461, P.M., rv. 253214). Il tribunale del riesame, inoltre, pur non essendo
necessario, ha individuato riscontri esterni al narrato della B.B., con particolare riferimento
all’aggressione fisica da quest’ultima patita per mano dell’imputato, nel referto medico dell’Ospedale
pugliese (Omissis) di Ca., attestante l’esistenza di un trauma cranico non commotivo, con prognosi di
guarigione in cinque giorni, e nelle informazioni fornite da C.C., che ha assistito alle fasi
immediatamente successive alla menzionata aggressione. Del tutto esaustiva deve ritenersi la
motivazione dell’ordinanza impugnata anche sotto il profilo della ritenuta sussistenza di uno degli
eventi previsti dalla norma incriminatrice, avendo il tribunale del riesame specificamente chiarito
come la B.B., che “viveva da sola ed era abituata a condurre una vita riservata”, avesse “maturato un
perdurante e grave stato di ansia e di paura a causa della frequenza delle condotte dell’indagato”. A
fronte di tale limpido argomentare, i rilievi difensivi con cui si eccepisce la mancanza di autonoma
valutazione da parte del tribunale del riesame e la sussistenza degli elementi costituitivi del reato in
contestazione, risultano del tutto generici e versati in fatto, oltre che manifestamente infondati. Sul
punto non assume valore decisivo il fatto che la persona offesa, nel corso della deposizione
testimoniale resa in dibattimento, il cui relativo verbale, come si è detto, è stato allegato alla memoria
difensiva, abbia escluso di essere stata minacciata dall’imputato, ammettendo solo di avere subìto
l’aggressione fisica in precedenza indicata e di essere stata esposta a una serie di atti emulativi (definiti
dalla donna “dispetti, dispettucci”), consistenti nello spostamento e nel rovesciamento del bidone
della Spazzatura, posto all’esterno della sua abitazione.
Come è noto, infatti, assolutamente costante è l’orientamento della giurisprudenza di legittimità,
secondo cui integrano il delitto di atti persecutori ex art. 612-bis, c.p., anche due sole condotte di
minacce, molestie o lesioni, pur se commesse in un breve arco di tempo, idonee a costituire la
“reiterazione” richiesta dalla norma incriminatrice, non essendo invece necessario che gli atti
persecutori si manifestino in prolungata sequenza temporale (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 46331 del
05/06/2013, Rv. 257560; Sez. 5, n. 33842 del 03/04/2018, Rv. 273622). Nel caso in esame accanto
all’aggressione fisica in danno della B.B., sfociata nelle indicate lesioni, anche a non voler considerare
le minacce, vanno comunque evidenziati quanto meno gli atti emulativi consistenti nello spostamento
ovvero nel rovesciamento dei bidoni di immondizia di fronte alla sua porta di casa, correttamente
valorizzati dal tribunale del riesame, costituenti vere e proprie molestie, essendosi concretizzati tali
atti in un’indebita ingerenza nella sfera individuale della persona offesa, idonea a comprometterne la
serenità e la libertà psichica, come dimostrato in tutta evidenza dal conseguente insorgere nella B.B.
del denunciato grave stato di ansia e di paura, derivante dalla consapevolezza di essere esposta alle
intemperanze e alla violenza del A.A.
6. Manifestamenti infondati e generici appaiono anche i rilievi formulati in ordine alla sussistenza
della ritenuta esigenza cautelare di tutela della collettività. Si osserva, al riguardo, come il Collegio
condivida il recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di
presupposti per l’applicazione delle misure cautelari personali, il requisito dell’attualità del pericolo
di reiterazione del reato, introdotto nell’art. 274, lett. c), c.p.p., dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non
va equiparato all’imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, ma sta invece ad
indicare la continuità del “periculum libertatis” nella sua dimensione temporale, che va apprezzata
sulla base della vicinanza ai fatti in cui si è manifestata la potenzialità criminale dell’indagato, ovvero
della presenza di elementi indicativi recenti, idonei a dar conto della effettività del pericolo di
concretizzazione dei rischi che la misura cautelare è chiamata a realizzare, dovendosi considerare,
nella valutazione del pericolo di recidiva al momento dell’adozione della misura, il tempo trascorso
dal fatto contestato e la peculiarità della vicenda cautelare (cfr. Cass., sez. VI, 27.11.2015, n. 3043,
rv. 265618;
Cass., sez. III, 27.10.2015, n. 49318, rv. 265623; Cass., sez. V, 24.9.2015, n. 43083, rv. 264902).
Orbene tali profili sono stati attentamente considerati dal tribunale del riesame, che, intervenuto poco
tempo dopo il verificarsi dei fatti, ha evidenziato la persistenza del proposito criminoso del ricorrente,
tale da consentire di esprimere legittimamente un giudizio in termini di attualità e concretezza del
pericolo di recidiva pericolo, reso particolarmente elevato dalla prognosi sulla probabile reiterazione
di occasioni criminose, di cui il ricorrente sarebbe in grado di approfittare, che il giudice della
impugnazione cautelare ha ricollegato, sulla base di un ragionamento dotato di intrinseca coerenza
logica, alla gravità dei fatti, che, attraverso l’aggressione fisica culminata nel pugno sferrato al volto
della donna non appena quest’ultima aprì la porta di casa, denotano una particolare pericolosità sociale
dell’imputato, in tutta evidenza incapace di contenere le sue pulsioni, nonché alla circostanza che
quest’ultimo è stato deferito all’autorità giudiziaria il 24 agosto del 2022, dunque in epoca non lontana
nel tempo dai fatti per cui si procede, per il porto ingiustificato di un coltello. La conclusione cui è
giunto il tribunale del riesame appare, pertanto conforme alla previsione dell’art. 274, lett. c), c.p.p.,
(non modificata, sul punto, dalla novella legislativa del 16 aprile 2015, n. 47), nella parte in cui
prevede che il giudizio sulla personalità dell’indagato o dell’imputato possa fondarsi,
alternativamente, su comportamenti o atti concreti o sui suoi precedenti penali, interpretata da un
consolidato orientamento giurisprudenziale, nel senso che gli elementi per una valutazione di
pericolosità possono trarsi anche solo da comportamenti o atti concreti – non necessariamente aventi
natura processuale, pur in difetto di precedenti penali (cfr. ex plurimis, Cass., sez. V, 25.9.2014, n.
5644, rv. 264212).
7. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p.,
al pagamento delle spese del procedimento ed, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma
che si ritiene equo fissare in Euro 3000,00 euro, tenuto conto della circostanza che l’evidente
inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere quest’ultimo immune da colpa
nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186
del 13.6.2000). Va, infine, disposta l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi in caso
di diffusione del presente provvedimento, ai sensi dell’art. 52, co. 5, D.Lgs. 30/06/2003 n. 196.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente
provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52, D.Lgs.
196/2003, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma il 13 settembre 2023.
Depositato in Cancelleria il 26 gennaio 2024.