Unioni civili. Legittimo l’annullamento dell’annotazione di riconoscimento della filiazione
Tribunale di Reggio Emilia, decr. 22 aprile 2021 – Pres. Rel. Parisoli
TRIBUNALE DI REGGIO EMILIA
VOLONTARIA GIURISDIZIONE CIVILE
Il Tribunale in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Francesco Parisoli – Presidente rel.
dott. Damiano Dazzi – Giudice
dott. Stefano Rago – Giudice
nel procedimento di V.G. iscritto al n. r.g. 4886/2020 promosso dal Procuratore della Repubblica
presso questo Tribunale per ottenere l’annullamento dell’atto di riconoscimento di figlio nato fuori
dal matrimonio iscritto al n. 1190 II 2 Anno 2020 e della relativa annotazione a margine dell’atto di
nascita del minore
Lette le note depositate dai soggetti interessati
Visto il parere del Giudice Tutelare
O S S E R V A
In data 2 aprile 2020 l’Ufficiale dello stato civile del Comune di Reggio Emilia ha formato l’atto di
nascita di J, nata a Reggio Emilia il (omissis) (omissis) 2020, (atto n. (omissis) parte II serie B anno 2020)
sulla base della dichiarazione resa dalla madre XX, la quale, come si legge nell’atto stesso, ha
affermato al pubblico ufficiale che la bambina, come da allegata attestazione di nascita, era nata dalla
“Unione di essa dichiarante con un uomo non parente né affine con lei nei gradi che ostano al riconoscimento
ex art. 251 c.c.”
Il giorno 28 ottobre 2020, il medesimo Ufficiale di stato civile ha raccolto la dichiarazione di YY, unita
civilmente con XX, di voler riconoscere, con il consenso della madre biologica, la minore J come
propria figlia.
L’atto di riconoscimento è stato iscritto nel registro degli atti di nascita del Comune di Reggio Emilia
parte II serie B con il n. (omissis) ed annotato a margine dell’atto di nascita del minore.
Su segnalazione dello stesso Ufficio dello stato civile, preoccupato di tutelare l’interesse del minore,
il Procuratore della Repubblica presso questo Tribunale, richiamato l’art. 95 del d.P.R. 396/2000 ha
chiesto di procedere alla rettificazione “e dunque all’annullamento dell’annotazione di riconoscimento
della filiazione richiesto dalla sig.ra YY nei riguardi nella minore J.”.
Nel giudizio camerale hanno depositato memoria difensiva XX e YY per eccepire la inammissibilità
del ricorso proposto dal P.M. e per sentir respingere, nel merito, la richiesta di annullamento
dell’atto di riconoscimento.
Secondo le interessate, il ricorso del P.M. è inammissibile, anzitutto, perché l’Ufficiale dello stato
civile non avrebbe potuto sindacare la rispondenza al vero della dichiarazione di riconoscimento,
ma avrebbe dovuto limitarsi a ricevere la dichiarazione di YY, essendo funzione tipica degli atti dello
Stato Civile di attestare la rispondenza a quanto dichiarato all’Ufficiale di Stato Civile e da questi
annotato a margine dell’atto di nascita.
Il Procuratore della Repubblica, pertanto, con il ricorso ex art. 95 d.P.R. 396/2000 avrebbe potuto
unicamente censurare la legittimità dell’atto sotto tale profilo, ma non avrebbe dovuto contestare,
nel merito, la legittimità del riconoscimento attuato da YY perché, così facendo, avrebbe prospettato
una questione di status da far valere con l’azione prevista dall’art. 263 c.c. in un giudizio di
cognizione ordinaria.
L’altro profilo di inammissibilità deriverebbe, sempre nell’assunto delle interessate, dalla genericità
del ricorso, in quanto privo della enunciazione dei motivi di annullamento dell’atto, senza specifici
riferimenti normativi ed inidoneo a consentire agli interessati un adeguato esercizio del diritto di
difesa.
Nel merito, hanno affermato la piena legittimità dell’atto impugnato dal P.M. sostenendo che
l’Ufficiale dello stato civile del Comune di Reggio Emilia ha compiuto un’applicazione corretta di
norme già esistenti nel nostro ordinamento per garantire piena tutela ai figli di genitori omosessuali.
In particolare, l’art. 8 della legge 40/2004 impone di riconoscere il figlio della coppia che ha prestato
il consenso, il quale può anche avvenire, ai sensi dell’art. 9 stessa legge, per fatti concludenti e tale
norma deve intendersi riferita anche ai figli di coppie omosessuali per non creare una evidente
disparità di trattamento e una ingiustificabile violazione del principio di uguaglianza tra minori nati
da coppie eterosessuali, pur facendo ricorso alla fecondazione assistita, e rispetto a minori nati
all’estero da coppie omosessuali il cui atto di nascita sia stato trascritto in Italia.
Ancora, la legittimità dell’operato dell’Ufficiale dello stato civile deve essere riconosciuta, secondo
le interessate, allo scopo di tutelare la minore e nel supremo interesse di quest’ultima ad essere
inserita in un nucleo familiare composto da due genitori ed a ricevere cura, educazione, istruzione
ed assistenza morale da parte di entrambi.
È intervenuto nel giudizio anche il Sindaco del Comune di Reggio Emilia, nella sua qualità di
Ufficiale di Stato Civile, per segnalare, tra l’altro, l’orientamento non uniforme esistente in tema di
riconoscimento dei minori nati nell’ambito di coppie dello stesso sesso unite civilmente.
Il giudice tutelare, sentito ai sensi dell’art. 96 cpv. d.P.R. 396/2000, ha espresso parere non favorevole
all’accoglimento del ricorso in quanto ritenuto contrario all’interesse della minore.
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Le eccezioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalle interessate XX e YY non sono fondate.
L’art. 7 del d.P.R. 396/2000, nell’osservanza del più generale principio di legalità che regge l’azione
della P.A., attribuisce all’ufficiale dello stato civile il potere-dovere di rifiutare l’adempimento di un
atto da chiunque richiesto.
Tale norma circoscrive il limite che incontra l’Ufficiale dello stato civile nell’esercizio delle sue
funzioni, delineando una attività non discrezionale diretta ad evitare che possano essere poste in
essere situazioni giuridicamente rilevanti in contrasto con specifiche disposizioni di legge.
Era, dunque, preciso dovere dell’Ufficiale dello stato civile del Comune di Reggio Emilia verificare
la legittimità del riconoscimento prima di provvedere alla relativa formazione, non essendo
consentita la formazione di un atto contra legem.
Nel caso in esame, poi, è dirimente la previsione dell’art. 42 d.P.R. 396/2000 che fa obbligo a chi
intende riconoscere un figlio nato fuori dal matrimonio davanti all’Ufficiale dello stato civile di
dimostrare che nulla osta al riconoscimento a norma di legge.
Del resto, la S.C. ha ricordato che il procedimento di rettificazione degli atti dello stato civile,
disciplinato dall’art. 96 d.P.R. 396/2000, è ammissibile ogni qualvolta sia diretto ad eliminare una
difformità tra la situazione di fatto, quale è o dovrebbe essere nella realtà secondo le previsioni di
legge, e come risulta dall’atto dello stato civile per un vizio, comunque o da chiunque originato, nel
procedimenti di formazione di esso ed in tale procedimento l’autorità giudiziaria dispone di una
cognizione piena sull’accertamento della rispondenza di quanto richiesto dal genitore in relazione
alla completezza dell’atto con la realtà generativa e di discendenza genetica e biologica del minore
(cfr. Cass. n. 13000/2019).
Neppure può dirsi inammissibile il ricorso del P.M. per eccessiva genericità o mancata esposizione
dei motivi posti a fondamento della istanza di annullamento
Invero, anche a voler trascurare la considerazione che nel rito in questione, di volontaria
giurisdizione, non valgono le norme del giudizio di cognizione ordinario, deve riconoscersi che il
Procuratore della Repubblica ha demandato al Tribunale la verifica della legittimità dell’atto, a tutela
del pubblico interesse che sottende l’attività dello stato civile.
L’oggetto del presente giudizio, pertanto, è rappresentato dalla rispondenza alla legge del
riconoscimento effettuato da YY davanti all’Ufficiale dello stato civile del Comune di Reggio Emilia
e non anche, come pure affermato dalle interessate, una questione che incide, quantomeno in via
diretta, sullo status del minore.
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In fatto, è pacifico che la minore J è nata a seguito di un percorso di procreazione medicalmente
assistita (PMA) cui si è sottoposta la madre, XX.
La legge n. 40/2004, nella sua originaria formulazione, consentiva il ricorso alle tecniche di PMA di
tipo omologo nei soli casi di sterilità o infertilità irreversibili, documentate da atto medico (art. 4,
comma 1°) e vietava tout court il ricorso a tecniche di PMA di tipo eterologo (art. 4, comma 3°).
L’art. 5 comma 1°, poi, poneva, e tuttora pone, una limitazione di carattere soggettivo, prevedendo
la possibilità di accedere alle tecniche di PMA soltanto per le coppie di maggiorenni di sesso diverso,
coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi.
La Corte Cost., con sentenza n. 162/2014, ha però dichiarato la illegittimità costituzionale del divieto
di PMA di tipo eterologo, sempre limitatamente alle coppie di sesso diverso, sopra indicate, qualora
sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute e irreversibili.
Una ulteriore estensione della possibilità di ricorrere alle tecniche di PMA si è avuta con Corte Cost.
n. 96/15 che ha dichiarato la illegittimità costituzionale degli artt. 1, commi 1 e 2, 4, comma 1, della
legge 40/2004 laddove non consentono la PMA alle coppie che, pur essendo fertili, sono portatrici di
malattie genetiche trasmissibili.
Dal quadro normativo, pertanto, emerge inequivocabilmente che il ricorso alle tecniche di PMA di
tipo eterologo, come nel caso che ci occupa, è legittimo soltanto se praticato da coppie di sesso
diverso e in presenza di patologie che hanno causato una irreversibile sterilità o infertilità.
Si aggiunga che l’art. 1, comma 20, della legge n. 76/2016 sulle unioni civili espressamente esclude
la possibilità di applicare alle coppie omosessuali la normativa sulla filiazione e le disposizioni di
cui alla legge n. 184 del 1983, fermo restando quanto previsto e consentito in materia di adozione
dalle norme vigenti
In forza di tale quadro normativo, pertanto, l’Ufficiale dello stato civile del Comune di Reggio Emilia
avrebbe dovuto rilevare che la dichiarazione di riconoscimento quale propria figlia, di J da parte di
YY contrastava con le predette disposizioni di legge stante il divieto, da esso derivante, per le coppie
dello stesso sesso (nel caso, femminile), anche se unite civilmente, di diventare genitori di un minore
nato in forza di PMA da una di loro.
In tal senso, del resto, si è pronunciata anche la S.C. per la quale «..nel caso di minore concepito mediante
l’impiego di tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo e nato all’estero, non è accoglibile
la domanda di rettificazione dell’atto di nascita volta ad ottenere l’indicazione in qualità di madre del bambino,
accanto a quella che l’ha partorito, anche della donna a costei legata in unione civile, poiché in contrasto con
l’art. 4, comma 3, della l. n. 40 del 2004, che esclude il ricorso alle predette tecniche da parte delle coppie
omosessuali, non essendo consentite, al di fuori dei casi previsti dalla legge, forme di genitorialità svincolate
da un rapporto biologico mediante i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio
o riconosciuto.» (Cass. n. 8029/2020 e n. 7668/2020)
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Peraltro, nell’assunto difensivo delle interessate, se si è ben compreso, la legittimità del
riconoscimento in esame trarrebbe origine dal disposto dell’art. 8 della legge n. 40/2004 per il quale
chi nasce dalla fecondazione artificiale acquista lo stato di figlio nato dal matrimonio o di figlio
riconosciuto della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche di PMA.
Secondo una interpretazione adottata anche da alcuni giudici di merito, lo status di figlio rimane o
viene acquisito anche quando il minore nasce da PMA perpetrata nella inosservanza dei divieti di
legge, ivi incluso quello che riguarda le coppie omosessuali.
L’art. 9 della legge 40, invero, secondo questa tesi, inibisce a chi fa ricorso a tecniche di PMA in
violazione dei divieti di legge di promuovere azione di disconoscimento della paternità nei casi
previsti dall’art. 235, comma 1°, numeri 1) e 2) c.c. e di ricorrere alla impugnazione di cui all’art. 263
dello stesso codice, rendendo in tal modo non più contestabile lo status acquisito dal figlio.
Ancora più significativo, poi, sarebbe l’apparato sanzionatorio introdotto dal legislatore che, all’art.
12, comma 2°, contempla una mera sanzione amministrativa nei confronti di chi, in violazione del
divieto di cui all’art. 5, applica tecniche di PMA a coppie dello stesso sesso, tenendo in tal modo
distinto il fatto della procreazione dalle tecniche scelte per il suo compimento.
Ad avviso delle interessate, non può intendersi tale impianto normativo, anche nel profilo
sanzionatorio, come riferito soltanto a coppie dello stesso sesso, poiché una siffatta interpretazione
comporterebbe la discriminazione delle coppie omosessuali e una disparità di trattamento rispetto
alle coppie omosessuali che, avendo provveduto alla formazione di un atto di nascita all’estero, dove
la PMA è loro consentita, ne ottengono anche la trascrizione nei registri dello stato civile italiano,
alla luce di un orientamento giurisprudenziale, anche di legittimità, che ne esclude il contrasto con
l’ordine pubblico internazionale italiano (v. Cass. n. 14878/2017)
Ora, sul piano ermeneutico, va osservato, ad avviso di questo collegio, che l’art. 8 cit. è previsione
generica il cui intento è di fare chiarezza sulle conseguenze del ricorso alla PMA nei confronti del
nato con riferimento nei casi in cui tali tecniche sono state praticate legittimamente, se si considera
che, in assenza di tale statuizione, i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di PMA non
potrebbero nemmeno conseguire lo stato di figli della coppia che vi ha fatto ricorso, pur
legittimamente: che, però, tale coppia sia quella eterosessuale lo si ricava dallo stesso art. 8 che si
riferisce alle coppie che hanno espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime “..ai sensi
dell’art. 6..” ossia le stesse coppie menzionate nell’art. 5 quali coppie maggiorenni di sesso diverso,
coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile.
La conferma si rinviene proprio nell’art. 9 che individua, come autori del divieto, il coniuge o il
convivente, ossia soggetti di sesso maschile, e, coerentemente, inibisce loro l’azione di
disconoscimento della paternità o l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, ossia
due azioni inequivocabilmente precluse dal lato materno.
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L’assetto costituzionale delle norme sopra richiamate è stato ripetutamente sottoposto all’esame
della Corte Costituzionale.
Con la sentenza n. 221 del 2019, la Corte ha dichiarato infondate le questioni di legittimità
costituzionale degli artt. 5, commi 2, 9 e 10, della legge 40/2004 in riferimento agli artt. 2, 3, 31, comma
2°, 32, comma 1°, e 117, comma 1°, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della
CEDU, ritenendo corretta la interpretazione delle norme di legge indicate — data loro dai giudici
rimettenti — nel senso che alle tecniche di PMA possano accedere solo coppie formate da persone
di sesso diverso.
Con altra sentenza, la n. 237/2019, la stessa Corte ha riconosciuto la legittimità dell’art. 1, comma 20,
della legge 76/2016 sulle unioni civili laddove non estende alle coppie omosessuali la normativa sulla
paternità, la maternità e l’adozione legittimante.
Ancora, con sentenza 230/2020 ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità dello stesso
art. 1, comma 20, della legge 76 del 2016 e dell’art. 29, comma 2, del d.P.R. 396/2000 quest’ultimo
laddove disciplina chi può riconoscere il nato, escludendo le donne tra loro unite civilmente che
abbiano fatto ricorso a tecniche di PMA all’estero.
In estrema sintesi, il giudice delle leggi, nelle diverse pronunce richiamate, muovendo dalla
premessa che la legge 40 del 2004 è ispirata a due distinte finalità, una prima diretta a porre rimedio
a situazioni di sterilità o infertilità derivanti da causa patologica e non altrimenti rimuovibile e una
seconda inerente al nucleo familiare scaturente dalle tecniche in esame che riproduca il modello
della famiglia caratterizzata dalla presenza di un padre e di una madre, ha ritenuto che l’ammissione
alla PMA delle coppie omosessuali comporterebbe la sconfessione diretta di entrambe le linee guida
ora menzionate oltre a sollevare interrogativi particolarmente delicati quanto alla sorte delle coppie
omosessuali maschili, e ha affermato che l’esclusione dalla PMA delle coppie formate da due donne
non è fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull’orientamento sessuale
tenuto conto che la infertilità fisiologica della coppia omosessuale non è omologabile alla infertilità
di tipo assoluto e irreversibile della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive come non
lo è la infertilità fisiologica della donna sola o delle coppie eterosessuali in età avanzata.
Sempre nell’assunto della Corte, la Costituzione non pone una nozione di famiglia inscindibilmente
correlata alla presenza di figli e la libertà e volontarietà dell’atto che consente di diventare genitori
non implica che tale libertà possa esercitarsi senza limiti, dovendo essere bilanciata con altri interessi
di rango costituzionale dal momento che il ricorso alle tecniche de quibus, «..alterando le dinamiche
naturalistiche del processo riproduttivo aprono scenari affatto innovativi rispetto ai paradigmi della
genitorialità e della famiglia radicati nella cultura sociale e ai quali è stata costruita la disciplina costituzionale
artt. 29, 30, 31.».
Il vulnus, più volte prospettato, all’art. 3 Cost. non è stato ravvisato con riguardo all’adozione c.d.
non legittimante — la cui fattispecie esula dall’aspetto della procreazione — e neppure rispetto ai
figli nati all’estero e riconosciuti in Italia dal momento che, per la Corte Costituzionale, «..il solo fatto
che il divieto possa essere eluso recandosi all’estero non è ragione per dubitare della sua conformità alla
Costituzione e la differenza tra la normativa interna e quelle di altre paesi è indifferente al nostro ordinamento
perché, diversamente, dovrebbe pervenirsi alla conclusione che la legislazione interna dovrebbe sempre
allinearsi alla più permissiva tra le legislazione estere che regolano la materia per evitare una lesione del
principio di eguaglianza.» —.
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Detto questo il collegio, invece, ritiene che un evidente profilo discriminatorio possa ravvisarsi
nell’ambito della tutela del minore in situazioni di disgregazione del nucleo familiare nel quale è
inserito.
E’ indubbio che nel nostro ordinamento i figli nati dalla unione di coppie eterosessuali, nel
matrimonio o al di fuori del vincolo coniugale, sono oggetto di una normativa di tutela
particolarmente estesa, sul piano educativo e del mantenimento, che opera in previsione di una
separazione dei genitori e/o del venir meno della loro convivenza ed è connessa allo status di
genitore, con una piena equiparazione tra i figli a prescindere dalla esistenza o meno di un vincolo
matrimoniale tra i genitori
Alla luce delle conclusioni sopra riferite altrettanto non può dirsi sia previsto, invece, per il figlio
minorenne nato e cresciuto, di fatto, all’interno della coppia omosessuale.
Il rapporto di filiazione, inteso come fenomeno fattuale, prescinde da una identificazione normativa
e può sorgere e svilupparsi nell’ambito di una unione civile, o di una stabile convivenza che
riproduca la quotidianità della vita familiare, anche indipendentemente dalla esistenza di un
riconoscimento da parte del genitore intenzionale.
Può accadere, e spesso accade, che il figlio biologico di uno dei componenti della unione civile sia
cresciuto e allevato nell’ambito di tale rapporto, riconosca i due componenti della unione, con lui
conviventi, come propri genitori ed entrambi, ossia anche l’altro componente della coppia che non
lo ha generato, contribuiscono alla sua crescita, alla educazione, al mantenimento come se fosse un
figlio legalmente riconosciuto.
Del resto, la filiazione, nella sua accezione sociale, oltre che derivare da un atto, naturale o artificiale,
si sviluppa e si consolida principalmente giorno dopo giorno, nella concretezza di un rapporto
quotidiano imperniato sullo sviluppo di relazione affettive legate alla convivenza e del tutto
indipendenti dalla procreazione
Ora, laddove questa convivenza venga meno a causa di un dissidio tra i componenti dell’unione,
contrariamente a quanto accade per il figlio della coppia eterosessuale, che fruisce di un’ampia
tutela ex lege da parte di entrambi i genitori, colui che — in ragione di una convivenza magari durata
anni — ha sempre nutrito verso entrambi i membri della coppia omosessuale un sentimento filiale,
ricambiato, del tutto analogo, ne resta privo e, soprattutto, ogni possibilità di tutela rimane inibita
anche a colui che sul piano affettivo e sociale si sente e si è sempre comportato come genitore.
Anche al riguardo, peraltro, si è pronunciato il giudice delle leggi, il quale, con sentenza n. 32 del
2021, pur riconoscendo che i nati a seguito di PMA eterologa praticata da due donne versano in una
condizione deteriore rispetto a quella di tutti gli altri nati solo in ragione dell’orientamento sessuale
delle persone che hanno realizzato il progetto creativo, ha ritenuto di non poter porre rimedio al
riscontrato vuoto di tutela del minore, essendo compito del legislatore, nell’esercizio della sua
facoltà discrezionale, trovare «..un ragionevole punto di equilibrio tra i diversi beni costituzionali coinvolti
nel rispetto della dignità della persona umana..», auspicando l’adozione di una disciplina della materia
che sia in grado di individuare le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili
del minore, nato da PMA praticata da coppie dello stesso sesso, anche nei confronti della madre
intenzionale e sottolineando «..che non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa, tanto è
grave il vuoto di tutela del preminente interesse del minore..».
In attesa di tale intervento, peraltro, le norme sopra richiamate, costituenti un oggettivo ostacolo
normativo al riconoscimento della minore J da parte di YY devono considerarsi vigenti e questo
Collegio non può sottrarsi alla loro applicazione
Non si provvede sulle spese stante la natura del procedimento
P.Q.M.
Visti gli artt. 4 e 5 della legge n. 40 del 2004 e 42, 95 e segg. del d.P.R. 396 del 2000,
in accoglimento del ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica, annulla l’atto di
riconoscimento di figlio nato fuori dal matrimonio, iscritto al n. (omissis), parte II, serie B, del Registro
degli atti di nascita del Comune di Reggio Emilia per l’anno 2020 e l’annotazione, ad esso
conseguente, apposta a margine dell’atto di nascita iscritto al n. (omissis), parte II, serie B del
medesimo Registro per l’anno 2020
Così deciso in Reggio Emilia nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile il 22 aprile 2021
Il Presidente est.
Francesco Parisoli