Di Gianfranco Dosi
Introduzione Il quadro normativo
Si deve alla legge 4 aprile 2001, n. 154 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari)1 l’in¬troduzione nel nostro ordinamento giuridico di specifici ordini di protezione contro gli abusi fami¬liari disciplinati sul versante civile dal nuovo titolo IX bis del primo libro del codice civile (articoli 342-bis e 342-ter c.c.) e sul versante penale dalla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.), cui si è aggiunta, con il decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009, n. 38, la misura cautelare autonoma del “divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa” (art. 282-ter c.p.p.).
L’art. 342-bis c.c. esplicita i presupposti per l’emissione degli ordini di protezione in ambito civile prevedendo (nel testo modificato dalla legge 6 novembre 2003, n. 3042) che “Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 342-ter”.
A sua volta l’art. 342-ter individua il contenuto degli ordini di protezione, la sua durata e le moda¬lità per la sua attuazione3.
Gli ordini di protezione in sede penale sono stati costruiti, invece, come “misure cautelari”, in particolare come misure di coercizione dell’imputato e al tempo stesso di protezione della persona offesa.
La legge 154/2001 aveva individuato l’unica misura nell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis c.p.p.) a cui poi, come si è detto, una riforma del 2009, ha aggiunto il divieto di avvicina¬mento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p.). In connessione con la misura cautelare dell’allontanamento è anche prevista, analogamente a quanto avviene in ambito civile, la misura cautelare del pagamento periodico di un assegno.
Statisticamente le misure civili hanno incontrato nella prassi meno fortuna rispetto alle misure cautelari penali più largamente utilizzate, negli ultimi anni, per il contrasto alla violenza soprattut¬to di genere. Tra le tante ragioni della miglior fortuna delle misure penali certamente vi è l’aumen¬tata sensibilità, tempestività ed efficienza, rispetto al passato, del sistema penale a tutela delle vittime di abusi domestici.
Parte I Le misure civili
I I presupposti per l’emanazione da parte del giudice civile degli ordini di protezione
Come si è detto, l’art. 342-bis c.c. consente l’emanazione in ambito civile delle misure di prote¬zione previste nell’art. 342-ter c.c. quando “la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”.
Originariamente il testo dell’art. 342-bis c.c. attribuiva competenza al giudice civile solo nei casi in cui la condotta violenta non costituisse anche reato procedibile d’ufficio, così distribuendo all’inter¬no di ambiti predeterminati la competenza tra il giudice civile e quello penale. L’art. 1 del decreto legge 6 novembre 2003, n. 304 ha abolito questa precisazione e di fatto quindi oggi la competen¬za del giudice civile costituisce una giurisdizione generale potendo portare all’emanazione di un ordine di protezione per ogni tipo di condotta. Si è creata, quindi, una sovrapposizione di compe¬tenze e di procedimenti (anche se, come si dirà, le misure penali subiscono il condizionamento dei presupposti specifici di applicazione delle misure cautelari mentre in ambito civile non sussistono condizionamenti analoghi) che potrebbero portare in alcuni casi anche a sovrapposizione di prov¬vedimenti.
La finalità della misura civilistica è, però, quella di reagire all’abuso familiare non nella prospettiva di una futura sanzione (come in ambito penale dove la misura cautelare si accompagna all’avvio di un procedimento penale) ma con un intervento che si esaurisce in una misura il più possibile rapida e in senso lato cautelare e preventiva che possa assicurare l’interruzione dell’abuso domestico e la riduzione dei rischi di reiterazione della violenza.
La natura in senso ampio cautelare e non sanzionatoria è stata affermata da Cass. civ. Sez. I, 5 gennaio 2005, n. 208; Cass. civ. Sez. I, 15 gennaio 2007, n. 625; Trib. Bari 1 aprile 2008; Trib. Reggio Emilia, 10 maggio 2007; Trib. Padova, 31 maggio 2006; Trib. Terni, 26 settembre 2003; Trib. Bari, 18 luglio 2002; Trib. Napoli, 1 febbraio 2002 Trib. Bari, 11 dicembre 2001.
a) I presupposti oggettivi
Presupposto oggettivo dell’ordine di protezione civile è una condotta (commissiva4) che causa ad un’altra persona della famiglia “grave pregiudizio5 all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà”.
L’abuso familiare si connota quindi per queste semplici e ragionevoli caratteristiche oggettive. Deve trattarsi di una condotta che lede gravemente l’integrità fisica o morale o la libertà di un altro soggetto (non gli interessi patrimoniali). Nonostante la formulazione tutto sommato generica (con¬siderata la impossibilità di una elencazione tipica delle condotte), è chiaro dal testo della legge che non è sufficiente il pericolo di un pregiudizio, ma occorre che vi sia stato un grave pregiudizio (non un pregiudizio imminente o non attuale) ad uno dei tre beni giuridici indicati che sostanzialmente possono essere ricondotti alla lesione dei diritti della personalità. L’esclusione – stando al testo della norma – delle condotte che determinano solo un pericolo di pregiudizio costituisce certamente un limite della normativa dal momento che spesso proprio le condotte antecedenti, pur non causa di grave pregiudizio, possono essere considerate presagi del comportamento violento. Tuttavia bisogna prendere atto del testo abbastanza univoco della norma ed interpretarla in tal senso.
Certamente se la condotta integra gli estremi di un reato (minacce, percosse, lesioni gravi o gra¬vissime, mutilazioni, abbandono di incapaci; maltrattamenti, sequestro di persona, violenza priva¬ta) si è in presenza di una lesione dei diritti della persona tutelati dall’ordinamento che è possibile considerare in sé fonte di “grave pregiudizio”, a prescindere dal fatto che si tratti di reati per i quali il giudice penale possa emettere le misure cautelari previste negli articoli 282-bis e 282-ter c.p.p. che presuppongono, una pena edittale superiore nel massimo ai tre anni di reclusione (art. 280 c.p.p.). Il giudice civile ha quindi competenza di fatto esclusiva per gli abusi domestici costituenti reato con pena detentiva più bassa, come per esempio le percosse o le lesioni lievi, non potendo in questi casi il giudice penale emettere misure cautelari.
Secondo una decisione di merito (Trib. Trani, 17 gennaio 2004) non costituiscono comporta¬menti integranti grave pregiudizio le condotte scortesi, inurbane e irriguardose. L’ostilità, la fred¬dezza, la diffidenza di una persona verso un’altra per essere presupposto dell’ordine di protezione devono tradursi in condotte che causano grave pregiudizio, anche se isolate e non continuative. Hanno torto pertanto alcune isolate e lontane pronunce di merito (Trib. Trani, 12 ottobre 2001; Trib. Bari, 10 aprile 2004) che hanno ritenuto che soltanto le condotte abituali, e non quelle solate ed occasionali, possono essere poste a fondamento di una richiesta di un ordine di prote¬zione. Anche quindi condotte isolate, purché gravi, possono essere un presupposto dell’ordine di protezione (Trib. Palermo, 4 giugno 2001).
1. Il concetto di “integrità fisica” – come è stato ragionevolmente suggerito in dottrina – va con¬siderato come “integrità psicofisica”, essendo evidentemente impensabile che il legislatore abbia voluto escludere il danno all’integrità psichica. Si tratta di una semplice conseguenza del concetto unitario di salute a cui fa riferimento l’art. 32 della Costituzione. Spesso un referto medico po¬trebbe essere sufficiente per considerare esistente il danno all’integrità psicofisica della persona, ma non è escluso che la parte istante possa produrre altra documentazione specifica, come per esempio una consulenza medico legale più approfondita. Non sembra di dover escludere la possi¬bilità per il giudice di disporre anche una consulenza tecnica medico-legale, considerato che l’art. 336-bis c.p.c. – che disciplina il procedimento per l’emissione dell’ordine di protezione – prevede che “il giudice, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione necessari” sebbene la norma individui poi solo specifiche “indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti”. Gli obiettivi di tutela della persona e di contrasto alla violenza, così come il rito camerale previsto, inducono a ritenere esistenti poteri ufficiosi del giudice tesi all’accertamento della verità materiale.
2. La lesione dell’”integrità” morale presuppone una condotta lesiva della dignità e della reputa¬zione di una persona. Si tratta di condotte che possono essere lesive del diritto al nome, del diritto
4 La grave trascuratezza e perfino la connivenza rispetto a condotte poste in essere da terze persone non appa¬iono riconducibili al tipo di condotta richiesto ai fini dell’emissione degli ordini di protezione.
5 L’espressione “grave pregiudizio” compare spesso nel primo libro del codice civile (per esempio art. 151, 330 c.c.).
all’immagine, del diritto alla riservatezza. In concreto ben difficilmente queste condotte potranno essere oggetto di un ordine di protezione dal momento che il pregiudizio grave potrebbe essere difficile da accertare. In giurisprudenza è stata, per esempio, negata la tutela per difetto di prova della lesione dell’integrità morale a condotte quali i pedinamenti, i controlli telefonici, l’uso di epi¬teti dispregiativi (Trib. Bari, 18 luglio 2002; Trib. Bari, 10 aprile 2004).
3. Il grave pregiudizio alla libertà può essere ricondotto a comportamenti contro la libertà persona¬le, la libertà di corrispondenza, la libertà di circolazione, la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà di religione, la libertà legata alla sessualità. Tutte condotte a cui spesso può accompa¬gnarsi comunque anche il grave pregiudizio alla integrità psicofisica.
A differenza di quanto avviene in ambito penale, né l’imputabilità, né l’elemento soggettivo del dolo, costituiscono, stando al dato normativo, un presupposto della condotta richiesta per l’emis¬sione di un ordine di protezione in ambito civile (che potrebbe, quindi, essere richiesto e ottenuto di fronte a condotte messe in atto da persona affetta da disturbi psichici). Viceversa, certamente e ragionevolmente l’esistenza di una causa di giustificazione (si pensi alla legittima difesa), esclu¬dendo l’antigiuridicità della condotta, escludono anche l’emissione dell’ordine di protezione.
b) I presupposti soggettivi
Volendo ora individuare quali sono i soggetti (autori o vittime) che la legge prende in considera¬zione ai fini dell’applicazione della normativi in tema di ordini di protezione, occorre precisare che la condotta in relazione alla quale si può chiedere al giudice l’ordine di protezione è quella com¬messa da un qualsiasi componente della comunità familiare nei confronti di un altro componente della comunità familiare stessa (secondo l’art. 342-bis c.c. dal “coniuge” o da “altro convivente”, in danno “dell’altro coniuge o convivente” e secondo l’art. 5 della legge 154/2001 nei casi in cui “la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente, ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente”.
L’ambito della tutela apprestata dalla normativa introdotta con le legge 4 aprile 2001, n. 154, è quindi la comunità familiare. Sia quella che nasce del matrimonio sia quella che costituisce la fami¬glia di fatto. Questo è stato certamente l’intendimento chiaro del legislatore che, appunto, ha qua¬lificato la legge come insieme di norme di contrasto alla violenza “nelle relazioni familiari”. Questo dato che sostanzialmente fa riferimento al nucleo familiare di persone coabitanti, si desume anche molto chiaramente dalla principale misura che è quella dell’allontanamento “dalla casa familiare”.
So capisce anche che ogni tipo di coabitazione familiare è rilevante ai fini dell’applicabilità della disciplina. D’altro lato l’espressione “casa familiare” – che indica il luogo in cui le persone legate da relazioni familiari abitano insieme – è adoperata proprio con riferimento ai procedimenti che si occupano della separazione della coppia coniugale o dei conviventi di fatto (eterosessuali o omosessuali). Nessun dubbio circa l’applicabilità anche alle unioni civili regolamentate dal decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154.
Per l’individuazione dell’estensione del concerto di ”relazioni familiari” tutelabili con le misure di protezione fondamentale, come si è detto, è l’art. 5 della legge (Pericolo determinato da altri fami¬liari), dove si prevede che “Le norme di cui alla presente legge si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente, ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente”.
Si fa indubbiamente riferimento a tutti coloro che – oltre al coniuge o al convivente (anche se pro¬prietari dell’abitazione: Trib. La Spezia, 4 dicembre 2002) – compongono il nucleo familiare. Si pensi non solo ai figli (salvo quanto si dirà con riferimento ai figli minori) ma agli altri parenti o agli affini che vivono nel nucleo familiare (Cass. civ. Sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828).
In verità la clausola di compatibilità contenuta nella norma (“…si applicano, in quanto compatibi¬li…”) potrebbe consentire l’estensione della tutela al coniuge, al convivente, ai parenti e agli affini offerta dall’art. 342 ter c.c. anche oltre il vincolo di coabitazione, considerato che la misura dell’al¬lontanamento dalla casa familiare (comunque adottabile anche nel significato di “tenersi lontano dalla casa da cui ci si è allontanati”: Trib. Bologna, 25 maggio 2007, Tribunale Napoli, 19 dicembre 2007; Tribunale Padova, 31 maggio 2006 in un caso di conflittualità tra fratelli di cui uno si era già allontanato per timore dell’altro; Tribunale Bologna Sez. I, 22 marzo 2005) non è l’unica misura adottabile. Gli abusi familiari possono infatti continuare anche in seguito all’allontanamento da casa (spontaneo o forzato) dell’autore (Trib. Milano, 27 novembre 1992).
II Gli abusi familiari commessi da minori di età
Si è sopra detto che l’art. 5 della legge (Pericolo determinato da altri familiari) prevede l’applicabi¬lità delle norme sugli ordini di protezione, “in quanto compatibili, anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente…”.
Tuttavia se l’autore della condotta è un soggetto minorenne (si pensi all’adolescente in condizione di grave conflitto con i genitori) devono trovare applicazione – secondo la tesi che qui si sostie¬ne – non le norme della legge 154/2001 ma le norme specifiche previste per i minorenni in sede penale e civile.
Pertanto in sede penale troveranno applicazione le sole misure cautelari previste nel DPR 22 set¬tembre 1988, n. 448 (Approvazione delle disposizioni sul processo penale a carico di imputati mi¬norenni) per il principio di tassatività indicato nell’art. 19 del DPR medesimo6 e quindi le “prescri¬zioni”, la “permanenza in casa”, il collocamento in comunità” e la custodia cautelare”: E’ evidente che queste ultime due misure, ove adottabili in relazione ai limiti di pena edittale prevista dalla legge, presuppongono di fatto l’allontanamento da casa del minore. Di per sé non è però prevista l’applicabilità della misura cautelare dell’ordine di allontanamento da casa. Se il fatto è commesso da persona minore dei quattrodici anni troveranno applicazione le specifiche misure di sicurezza previste per i minorenni.
In sede civile non è previsto uno specifico procedimento di contrasto al comportamento del minore che causa grave pregiudizio ad un familiare. Non troverà applicazione quindi il procedimento previsto nell’art. 736-bis c.p.c. introdotto dalla legge 154/2001 (di contrario avviso Tribunale Modena, 30 maggio 2006). Sarà il tribunale per i minorenni che potrà intervenire ai sensi dell’art. 25 (compe¬tenza amministrativa) del R. Decreto 1404/1939 (istitutivo, appunto, del tribunale per i minorenni) a seguito del ricorso della vittima o del Pubblico ministero (allertato per esempio da una segnalazione dei servizi sociali). L’intervento – sostanzialmente civilistico deliberato in camera di consiglio – preve¬de il possibile affidamento del minore al servizio sociale, eventualmente con prescrizioni specifiche.
III Gli abusi familiari commessi contro persone minori di età
L’art. 5 della legge 154/2001 prevede che le disposizioni sugli ordini di protezione trovano appli¬cazione anche nei casi in cui l’abuso è commesso in danno di persona diversa dal genitore o dal convivente e quindi per esempio in danno del figlio.
Problemi si pongono, però, se il figlio vittima della condotta violenta in famiglia è un minore.
In tal caso, mentre sono certamente applicabili le misure cautelari penali nei confronti dell’autore del reato commesso nei confronti del figlio minore, è, invece, discutibile l’applicabilità delle misure civili previste nella legge.
Ci si deve chiedere, quindi, se fare applicazione della disciplina che il nostro ordinamento civilistico prevede in caso di abusi sui minori in famiglia (articoli 330 e seguenti del codice civile) oppure se ritenere possibile anche l’applicazione delle disposizioni civili della legge 154/2001.
Occorre considerare che le norme (art. 330, 333 c.c.) che prevedono l’intervento del tribunale per i minorenni a tutela dei minori vittime di abusi della responsabilità genitoriale7 sono azionabili (ad istanza dei genitori, dei parenti o del pubblico ministero) anche quando l’abuso non è direttamente riferibile alla condotta commissiva dei genitori ma alla loro condotta omissiva, cioè al fatto che i genitori non sono in grado o in condizioni di contrastarlo. Pertanto l’utilizzazione del procedimen¬to di volontaria giurisdizione previsto nell’art. 336 c.c.8 per le condotte indicate negli articoli 330 e 333 c.c., anziché quelle del procedimento di cui all’art. 736-bis c.p.c. introdotto dalla legge 154/2001, appare del tutto plausibile (attesa, peraltro, la competenza per materia esclusiva del tribunale per i minorenni in materia di abusi nei confronti dei minori secondo quanto prevede l’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile).
E’ stata la legge 28 marzo 2001, n. 149 (di poco precedente alle legge 154/2001) ad additare questa soluzione allorché ha modificato gli ultimi commi dell’art. 333 c.c. (condotta del genitore pregiudizievole ai figli) e dell’art. 330 c.c. (Decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli). Il testo vigente delle norme, dopo queste modifiche, prescrive che in caso, appunto, di condotte pre¬giudizievoli commesse in danno dei figli minori, il giudice può anche disporre “l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore”. Per convivente si intende la persona che
6 L’art. 19 prescrive che “Nei confronti dell’imputato minorenne non possono essere applicate misure cautelari personali diverse da quelle previste nel presente capo”.
7 Art. 330 (Decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli)
Il giudice può pronunziare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i do¬veri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.
In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.
Art. 333 (Condotta del genitore pregiudizievole ai figli)
Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l’allon¬tanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.
Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento.
8 Art. 336 (Procedimento)
I provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso dell’altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato.
Il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero; dispone, inoltre, l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito.
In caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche d’ufficio, provvedimenti temporanei nell’interesse del figlio.
Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore.
convive con il genitore del minore (more uxorio come nuovo partner o come coniuge nella fami¬glia ricomposta)9. L’ordine di allontanamento in tal caso è rivolto al genitore ovvero al convivente (more uxorio del genitore) che maltrattta o abusa del minore. Naturalmente l’allontanamento appare condizionato al fatto che in casa con il minore possa poi restare un altro componente del nucleo familiare.
Si deve considerare che prima di tali modifiche le due norme prevedevano irragionevolmente la possibilità per il giudice di disporre il solo “allontanamento del minore dalla residenza familiare”. La tutela del minore si realizzava, insomma, allontanandolo da casa!
In ogni caso, certamente il tribunale per i minorenni nell’esercizio del potere di individuare l’inter¬vento di protezione più adeguato per il minore, può senz’altro fare anche riferimento oltre che alla misura dell’allontanamento dell’adulto abusante, alle misure indicate nell’art. 342-ter c.c. ulteriori rispetto all’ordine di allontanamento dell’autore dell’abuso (Trib. Min. Milano, 20 giugno 2001 che ha ritenuto applicabili per analogia tutte le specifiche misure indicate nell’art. 342-ter c.c.).
Non è condivisibile la posizione assunta da Tribunale Piacenza, 23 ottobre 200810 che ha rite¬nuto sovrapponibili i due procedimenti affermando, in un caso di violenza assistita, la competenza del giudice civile monocratico ad ordinare al padre, a sensi degli artt. 342-bis e 342-ter c.c., di versare periodicamente una somma per il mantenimento del figlio “atteso il difetto di coordina¬mento in proposito tra la disciplina degli artt. 342-bis e 342-ter c.c. (quali introdotti dalla legge n. 154/2001) e gli artt. 330 e 333 c.c., così come modificati dalla legge n. 149/2001. Altro giudice (Tribunale Reggio Emilia, 10 maggio 2007) ha comunque espresso una opinione contraria ritenendo le competenze del giudice civile concorrenti con quelle del tribunale per i minorenni.
La soluzione che qui si prospetta è quindi quella di considerare competente all’adozione di misure civili di protezione di un minore di età il tribunale per i minorenni (ai sensi delle norme di cui agli articoli 330 e 333 c.c. aventi come presupposto o la condotta commissiva o quella omissiva dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale) e non il giudice civile ordinario monocratico indicato nella legge 154/2001 (che presupporrebbe, comunque, che sia lo stesso minore, rappresentato dal genitore o da un curatore speciale, a richiedere la misura). Le misure di protezione che il tribunale per i minorenni potrà adottare saranno non solo quelle dell’allontanamento dell’adulto abusante (genitore o convivente di lui) o dell’allontanamento del minore, ma anche quelle previste nell’art. 342-ter c.c.(secondo quanto ritenuto da Trib. Min. Milano, 20 giugno 2001).
Il provvedimento definitivo che prescrive le misure in questione è reclamabile in corte d’appello secondo quanti previsto dalle disposizioni processuali del rito camerale.
IV Gli ordini di protezione previsti dall’art. 342-ter c.c.
L’art. 342-ter c.c. (nel testo, appunto, introdotto dalla legge 4 aprile 2001, n. 154) individua gli ordini di protezione possibili:
1. L’ordine di cessazione della condotta pregiudizievole. In verità si tratta di una misura che non appare autonoma e che dovrebbe essere considerata un presupposto implicito degli altri provve¬dimenti di protezione (così è stato per esempio interpretato da Trib. Palermo, 4 giugno 2001). In ogni caso, un po’ come nell’art. 709-ter c.p.c. avviene per l’ammonimento, non può dirsi che si tratti di una misura del tutto inutile.
2. L’ordine di allontanamento dalla casa familiare dell’autore della condotta.
Costituisce certamente la misura di protezione più significativa che può essere adottata anche se l’abitazione da cui un soggetto viene allontanato è di sua proprietà ed anche in caso di convivenza more uxorio. Ai fini dell’ordine di protezione è sufficiente che le parti abitino in comune l’immobile (Tribunale Prato, 8 giugno 2009).
La temporaneità dell’allontanamento incide solo in misura relativa sul titolo di proprietà del co¬niuge o del convivente che ne è stato allontanato. La possibilità di garantirsi una anticipazione della tutela derivante dall’eventuale successiva assegnazione della casa familiare al coniuge che ha richiesto e ottenuto l’allontanamento non può essere motivo per negare la tutela alla vittima dell’abuso ma semmai motivo per esaminare la sua istanza con maggiore prudenza.
Nel caso di abitazione di proprietà del coniuge allontanato non esiste una norma che preveda l’opponibilità dell’ordine di protezione ai terzi acquirenti, Né appare per analogia applicabile l’op¬ponibilità garantita in sede di assegnazione della casa familiare.
9 E’ stata prospettata anche la tesi che con l’espressione “convivente” la legge abbia inteso riferirsi alla persona che convive con il figlio. In altre parole la norma consentirebbe l’allontanamento del genitore o di chi comunque, autore dell’abuso, convive con il figlio. Di fatto però non pare che questa ricostruzione possa dirsi sostanzialmen¬te diversa da quella sopra prospettata dal momento che il “convivente” del genitore è certamente anche di fatto convivente con il figlio.
10 Tribunale Piacenza, 23 ottobre 2008. Nelle fattispecie di c.d. violenza assistita, ove la vittima diretta dei maltrattamenti è un genitore e i figli vengono loro malgrado costretti ad assistervi, sussiste una sovrapposizione di competenze tra il giudice civile, adito ai sensi degli artt. 342-bis e 342-ter c.c. e dell’art. 736-bis c.p.c., e il tribunale per i minorenni. Tale sovrapposizione di competenze non preclude al giudice civile di pronunciare – in¬tervenuto decreto del tribunale per i minorenni che dispone, ai sensi degli artt. 333 e 336 c.c., l’allontanamento del genitore violento dalla casa familiare e l’affidamento del figlio minore – non solo l’ allontanamento dalla casa familiare del medesimo genitore, ma anche la cessazione della condotta pregiudizievole, quale contenuto essenziale dell’ordine di protezione di cui agli artt. 342-bis e 342-ter c.c..
Ove la detenzione dell’immobile avvenga per un titolo diverso (comodato, locazione) non vi sono ragioni ostative a considerare per analogia quanto previsto in caso di assegnazione in sede di separazione e cioè a considerare l’ordine di protezione come evento che legittima la successione temporanea nel contratto di comodato o di locazione del beneficiario dell’ordine di protezione.
Logicamente l’ordine di protezione dell’allontanamento dalla casa coniugale presuppone che en¬trambi i coniugi vi abitino ancora insieme. Tuttavia Tribunale Napoli, 19 dicembre 2007, come si è detto, ha ritenuto ammissibile l’ordine di allontanamento anche se il coniuge colpevole si è già allontanato, sul presupposto che l’ordine confermerebbe comunque il divieto di far rientro in casa.
3. L’ordine di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro.
4. L’ordine di intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati.
5. L’ordine di pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto del provvedimento di allontanamento dell’autore dell’abuso, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.
Si tratta id una misura di protezione per certi versi “eversiva” soprattutto se adottata nei con¬fronti del convivente more uxorio autore della condotta violenta considerato che neanche nella legge 20 maggio 2016, n. 76 si prevedono forme di obbligatoria reciproca assistenza materiale tra conviventi, fatta salva l’ipotesi cui al comma 65 dell’unico articolo della legge dove si prevede un diritto di natura alimentare alla cessazione della convivenza, per il convivente che si trovi in stato di bisogno. Naturalmente il presupposto comune è costituito dal fatto che sia il coniuge che i con¬vivente vittima della condotta violenta, per poter beneficiare questo ordine di protezione di natura economica devono trovarsi, per effetto dell’allontanamento dell’altro, privi di mezzi adeguati.
Gli ordini di protezione esaminati esauriscono il novero dei provvedimenti possibili.
Va anche considerato che l’art. 342-bis c.c. prescrive che il giudice può pronunciare “uno o più dei provvedimenti di cui all’art. 342-ter” con ciò volendo intendere che i provvedimenti in questione possono certamente cumularsi nello stesso decreto ma non escludendo che possano anche essere pronunciati in diversi momenti e anche se l’allontanamento è stato già pronunciato in precedenza. In altre parole l’allontanamento dell’autore della condotta lesiva non esaurisce il potere del giudi¬ce di adottare su istanza di parte, ove necessario, altri tipi di ordini di protezione. Una conferma di quanto sopra si ha nel testo dell’art. 282 c.p.p. dove si prevede che “I provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 [cioè le misure accessorie all’ordine di allontanamento] possono essere assunti anche successivamente al provvedimento di cui al comma 1 [cioè l’ordine di allontanamento], sempre che questo non sia stato revocato o non abbia comunque perduto efficacia”.
Come è stato osservato da diversi autori deve sempre sussistere un criterio di adeguatezza e cioè di proporzionalità tra la condotta tenuta dal soggetto, la gravità del pregiudizio inferto, la misura irrogata e la sua durata. Tutti profili sui quali si può esercitare certamente il potere di controllo del giudice del reclamo.
Una particolare attenzione dovrebbe essere riservata alla circostanza che l’ordine di protezione interessa i rapporti coniugali o tra i partner della coppia e non dovrebbe ostacolare la prosecuzione del rapporto tra ciascuno dei genitori e i figli comuni, tenendo naturalmente conto che l’ordine potrebbe essere stato adottato anche in relazione a condotte indirettamente lesive della serenità dei figli (cosiddetta violenza indiretta o assistita: Trib. Min. L’Aquila, 19 luglio 2002; Tribu¬nale Reggio Emilia, 10 maggio 2007). Si consideri che nel 2013 nell’art. 61 del codice penale concernente le circostanze aggravanti è stata inserita l’aggravante specifica (11-quinquies) dell’ “avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale nonché nel delitto di cui all’articolo 572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza”.
V Il procedimento
La legge 154/2001 ha anche previsto un apposito procedimento camerale (ma di competenza del giudice monocratico), disciplinandolo nell’art. 736-bis del codice di procedura civile (intitolato inadeguatamente “Provvedimenti di adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari”).
La norma prevede che l’istanza per l’ordine di protezione si propone, anche dalla parte personal¬mente, con ricorso da depositare nella cancelleria tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’istante (competenza inderogabile per materia ex art. 28 c.p.c.), che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica. Si tratta di uno dei casi di deroga espressa alla regola in¬dicata nell’art. 50-bis c.p.c. di composizione collegiale nei procedimenti in camera di consiglio11.
11 Art. 50 bis c.p.c. (cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale). Ultimo comma: Il tribunale giudica altresì in composizione collegiale nei procedimenti in camera di consiglio disciplinati dagli articoli 737 e seguenti, salvo che sia altrimenti disposto.
Nel ricorso è evidente che l’istante dovrà indicare non solo i fatti e cioè la condotta violenta nei suoi confronti ma anche i provvedimenti richiesti.
Il ricorso deve essere presentato dalla parte che richiede per sé l’ordine di protezione. Come ha precisato Tribunale Milano, 18 marzo 2015 l’ordine di protezione ex art. 342-bis c.c. deve es¬sere richiesto direttamente dal titolare del diritto soggettivo leso, giusta la disposizione generale di cui all’art. 81 c.p.c. In particolare, il figlio maggiorenne non convivente, non può presentare istanza di protezione al fine di tutelare la condizione soggettiva della madre, oggetto di turbative e molestie da parte di terzi. In questo caso, il ricorso è inammissibile per difetto di legitimatio ad causam, rilevabile d’ufficio. In caso di persona sottoposta ad amministrazione di sostegno, l’ordine di protezione ex art. 342-bis c.c. può essere richiesto dall’amministratore previamente autorizzato dal giudice tutelare.
La parte che ha subìto la condotta pregiudizievole e che instaura il procedimento non ha, in linea teorica, l’obbligo di assistenza legale (potendo presentare il ricorso “anche personalmente”) ma nella prassi è assai difficile che l’accesso al tribunale venga effettuato senza un mandato al difen¬sore. Anche il convenuto in giudizio, cioè l’autore dell’abuso, in linea teorica potrebbe non essere assistito da un difensore, non essendo previsto neanche per lui l’obbligo della rappresentanza in giudizio da parte di un difensore. A tale proposito, però, si deve ricordare che l’art. 7 della legge 154/2001 – con l’evidente intento di non scoraggiare la proposizione del ricorso da parte della vittima – prevede che “tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi all’azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari, nonché i procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti a ottene¬re la corresponsione dell’assegno di mantenimento previsto dal comma 3 dell’articolo 282-bis del codice di procedura penale e dal secondo comma dell’articolo 342-ter del codice civile, sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni altra tassa e imposta, dai diritti di notifica, di cancelleria e di copia nonché dall’obbligo della richiesta di registrazione, ai sensi dell’articolo 9, comma 8, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive modificazioni”.
Il presidente del tribunale designa il giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso.
Per quanto non previsto dalla norma in questione si applicano al procedimento, in quanto compa¬tibili, gli articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile.
Il giudice, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ne¬cessari, disponendo, ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, e provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo.
Nel caso di urgenza, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare imme-diatamente l’ordine di protezione (Trib. Reggio Emilia, 6 maggio 2002, ha motivato l’urgenza con il rischio del compimento di ulteriori condotte di abuso), fissando l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé [da tenersi] entro un termine non superiore a quindici giorni ed assegnan¬do all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. All’udienza il giudice conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione.
Come si vede il giudice può adottare un decreto di rigetto (in rito o nel merito) o di accoglimento nel merito, potendo anche provvedere sulle spese processuali (Trib. Barletta, 1 aprile 2008).
Il decreto in questione non è provvisoriamente esecutivo ma segue le regole dell’art. 741 c.p.c. ed acquista efficacia quando sono decorsi termini per il reclamo; se vi sono ragioni di urgenza il giudice stesso può, però, dichiararlo provvisoriamente esecutivo.
Contro il decreto con cui il giudice adotta l’ordine di protezione o rigetta il ricorso, ovvero con¬ferma, modifica o revoca l’ordine di protezione precedentemente adottato è ammesso reclamo al tribunale entro i termini previsti dal secondo comma dell’articolo 739. Il reclamo non sospende l’esecutività dell’ordine di protezione. Il tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con “decreto motivato non impugnabile”. Del collegio non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato.
Poiché il reclamo davanti al tribunale in composizione collegiale si conclude con un decreto moti¬vato “non impugnabile” ne deriva che non è neanche ricorribile per cassazione. In questo senso si è espressa peraltro da ultimo Cass. civ. Sez. VI – 1, 7 dicembre 2017, n. 29492, richiamando Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2017, n. 15482; Cass. civ. Sez. I, 6 novembre 2009, n. 23633, Cass. civ. Sez. I, 5 gennaio 2005, n. 208 e Cass. civ. Sez. I, 15 gennaio 2007, n. 625. Il principio affermato è che in tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari nei casi di cui all’art. 342-bis c.c., il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo con cui si accolga o si rigetti l’istanza di concessione della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, non è impugnabile per cassazione né con ricorso ordinario – stante l’espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell’art. 736-bis c.p.c., introdotto dalla L. 4 aprile 2001, n. 154, art. 3, né con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività.
Resta ferma la possibilità di richiedere sempre al giudice monocratico competente, in base ai prin¬cipi del rito camerale (art. 742 c.p.c.), la modifica o la revoca del provvedimento.
La non ricorribilità per cassazione dei provvedimenti civili potrebbe essere anche una delle cause per le quale nella prassi si fa più frequentemente ricorso, come si è sopra detto, alle misure caute¬lari penali in quanto l’art. 311 c.p.p. prevede, invece, la ricorribilità per cassazione delle decisioni del tribunale penale in sede di riesame delle ordinanze che dispongono una misura cautelare co¬ercitiva.
L’art. 4 della legge prevede che il procedimento per l’adozione degli ordini di protezione non è soggetto alla sospensione feriale (art. 92 ordinamento giudiziario).
VI La durata e l’attuazione dell’ordine di protezione
L’ultima parte dell’art. 342-ter c.c. prevede che il giudice, con il medesimo decreto in cui adotta l’ordine di protezione e gli altri i provvedimenti deve stabilire la durata dell’ordine di protezione (che quindi ha natura temporanea), che decorre dal giorno dell’avvenuta esecuzione dello stesso e che non può essere superiore ad un anno12 e può essere prorogata, su istanza di parte (rivolta al giudice monocratico competente), soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario. Per esempio Trib. Taranto 1 dicembre 2001 ebbe a prorogare la misura dell’allontanamento fino all’udienza presidenziale di separazione che in base all’art. 8 della legge segna il termine oltre il quale le mi¬sure diventano di competenza del giudice della separazione.
Con il medesimo decreto il giudice determina anche le modalità di attuazione. Si tratta di una di¬sposizione opportuna dal momento che un rinvio alle norme sul processo esecutivo sarebbe stato del tutto fuori luogo. D’altro lato la tendenza in atto nel sistema processuale è quello di affidare l’attuazione dei provvedimenti allo stesso giudice che li ha disposti (come previsto per esempio nell’art. 669-duodecies o nell’art. 709-ter c.p.c.). Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’ausilio della forza pubblica e dell’ufficiale sanitario.
VII La possibile concorrenza tra il procedimento civile e la misura cautelare penale dell’allontanamento
E’ possibile che vi sia concorrenza tra il procedimento ex art. 736-bis c.p.c. (azionato dalla vitti¬ma) e la misura cautelare dell’allontanamento adottata dal giudice penale su richiesta del pubblico ministero ai sensi dell’art. 282 c.p.p. e cioè nei casi in cui la pena edittale prevista per il reato per cui procede è superiore nel massimo a tre anni di reclusione (art. 280 c.p.p.) ovvero nei casi in cui si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente (casi in cui, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 282-bis c.p.p., la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 28), ferma sempre l’esistenza degli altri presupposti per l’emissione di una misura cautelare personale (art. 273 c.p.p.).
In dottrina si ritiene che il giudice civile, nel caso di sopravvenienza della misura cautelare penale debba rigettare la richiesta avanzata nel procedimento civile per sopravvenuta carenza di interesse ad agire dell’istante, ma la tesi non è condivisa da tutti. Ragionevolmente si dovrebbe ritenere che tra i due sistemi vi sia autonomia senza possibilità di reciproca influenza e che tuttavia al giudice civile (in primo grado o in sede di reclamo) dovrebbe riconoscersi il potere discrezionale di valutare l’esito del procedimento anche in relazione alla sopravvenuta misura cautelare penale.
VIII Il raccordo tra il procedimento per l’adozione degli ordini di protezione e il procedimento sul conflitto familiare
a) in caso di separazione e divorzio
Il problema del raccordo tra il procedimento per l’adozione degli ordini di protezione e il procedi¬mento di separazione (o divorzio) è risolto dall’art. 8 della legge 154/2001 dove si prevede che le misure di protezione civili e il relativo procedimento non trovano applicazione quando la condotta pregiudizievole è tenuta dal coniuge che ha proposto o nei confronti del quale è stata proposta do¬manda di separazione o di divorzio e nel relativo procedimento si è svolta l’udienza di comparizione dei coniugi davanti al presidente. In tal caso si applicano le disposizioni contenute nella normativa sulla separazione e sul divorzio e nei relativi procedimenti possono essere assunti provvedimenti aventi i contenuti indicati nell’articolo 342-ter del codice civile.
In ogni caso l’ordine di protezione adottato dal giudice civile nel procedimento sopra esaminato perde efficacia qualora sia successivamente pronunciata, nel procedimento di separazione perso¬nale o di divorzio promosso dal coniuge istante o nei suoi confronti, l’ordinanza contenente prov¬vedimenti temporanei ed urgenti assunti dal presidente.
Il principio generale che l’art. 8 della legge 154/2001 ha introdotto è che quando l’abuso familiare è causato dalla condotta di un coniuge contro l’altro non può essere instaurato un procedimento civile ai sensi dell’art. 736 c.p.c. qualora nel giudizio di separazione sia stata tenuta l’udienza presidenziale.
Da questo principio – che attribuisce al giudice della separazione il potere di adottare egli stesso le misure di protezione indicate nell’art. 342-ter c.p.c. – ne discende anche l’altro che prevede la cessazione dell’efficacia dell’eventuale ordine di protezione adottato dal giudice civile qualora sia successivamente pronunciata, nel procedimento di separazione personale o di divorzio promosso
12 Il termine di durata era originariamente di sei mesi ma è stato portato ad un anno da una riforma del 2009.
dal coniuge istante o nei suoi confronti, l’ordinanza contenente provvedimenti temporanei ed ur¬genti assunti dal presidente.
L’art. 8 è considerata una disposizione del tutto ragionevole (in funzione anche dell’esigenza ge¬nerale di concentrazione delle tutele) considerato peraltro che in assenza del meccanismo indicato si rischierebbe una duplicazione di provvedimenti, peraltro ormai resi inutili dall’autorizzazione a vivere separati contenuta nell’ordinanza presidenziale.
Va precisato che mentre l’ordinanza presidenziale contenente l’ordine di protezione può essere reclamata ex art. 708, ultimo comma c.p.c., viceversa l’ordine di protezione successivamente eventualmente adottato dal giudice istruttore non è, secondo i principi generali, reclamabile (lo ha precisato Tribunale Bari Sez. I, 3 marzo 2009 dichiarando inammissibile il reclamo avverso l’ordine di protezione adottato dal giudice istruttore nel processo di separazione). Non è mai am¬messo comunque, in caso di separazione, il reclamo previsto nel quarto comma dell’art. 736-bis c.p.c. (Tribunale Catania, 11 novembre 2008).
b) In caso di procedimento per l’affidamento e il mantenimento di figli nati fuori dal matrimonio
Va ricordata una decisione significativa con cui la Corte di cassazione ha ritenuto competente all’emanazione di ordini di protezione anche il tribunale in composizione collegiale adito in ordine all’affidamento e al mantenimento di un figlio nato fuori dal matrimonio., nonostante che la vis actrativa sia stabilita (dall’art. 8 della legge 154/2001) soltanto in caso di separazione e divorzio.
Si tratta di Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2017, n. 15482 che ha enunciato il principio in base al quale in tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari, di cui agli artt. 342-bis e 342-ter c.c., l’attribuzione della competenza al tribunale in composizione monocratica, stabilita dall’art. 736-bis, comma 1, c.p.c., non esclude l’attrazione al tribunale in composizione collegiale (nella specie chiamato a giudicare in ordine al conflitto familiare e all’affidamento di un figlio tra due ex conviventi more uxorio) del procedimento che sia stato già incardinato avanti ad esso, atteso che una diversa opzione ermeneutica, che faccia leva sul solo tenore letterale delle citate disposizioni, ne tradirebbe la “ratio”, che è quella di attuare, nei limiti previsti, la concentrazione delle tutele ed evitare, a garanzia del preminente interesse del minore che sia incolpevolmente coinvolto, o del coniuge debole che esiga una tutela urgente, il rischio di decisioni intempestive o contrastanti ed incompatibili con gli accertamenti resi da organi giudiziali diversi.
Il richiamo che viene proposto non è tanto all’art. 8 della legge 154/2001 quanto piuttosto alle regole contenute nell’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile. Infatti si legge nella sentenza che con riferimento all’assetto dei rapporti tra i genitori ed il figlio nato fuori dal matrimonio la Corte (Sez. 1, Sentenza nn. 23032 del 2009 e 6132 del 2015) ha già stabilito il principio di diritto secondo cui, “in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, la legge n. 54 del 2006, dichiarando applicabili ai relativi procedimenti le regole da essa introdotte per quelli in materia di separazione e divorzio, esprime, per tale aspetto, un’evidente assimilazione della posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio, in tal modo conferendo una definitiva autonomia al procedimento previsto rispetto a quelli di cui agli artt. 330, 333 e 336 c.c., ed avvicinandolo a quelli in materia di separazione e divorzio con figli minori, senza che assuma alcun rilievo la forma del rito camerale, previsto, anche in relazione a controversie oggettivamente contenziose, per ragioni di celerità e snellezza.
Il principio in questione viene pronunciato ex art 363, co. 3, c.p.c. (ritenuto applicabile anche alle sezioni semplici) nonostante la circostanza che il ricorso (nella specie incidentale) venga poi dichiarato inammissibile
Occorre evitare – afferma la Corte – evitare la lettura delle disposizioni basate “sul solo tenore letterale della (..) disposizione” (nella specie, dell’art. 38 disp. att. c.c., comma 1, come modificato dalla L. n. 219 del 2012), in quanto essa “ne tradirebbe la ratio di attuare, nei limiti previsti, la concentrazione delle tutele onde evitare, a garanzia del preminente interesse del minore, il rischio di decisioni contrastanti ed incompatibili, tutte temporalmente efficaci ed eseguibili, resi da due organi giudiziali diversi”.
Nella previsione degli artt. 342-bis e 342-ter cod. civ. gli ordini di protezione contro gli abusi fa¬miliari sono attribuiti genericamente alla competenza del “giudice”, la cui specificazione viene data dalla specifica previsione processualistica di cui all’art. 736-bis codice di rito. Alla luce di tale ulti¬ma previsione, il provvedimento è adottato “in camera di consiglio” e, dall’organo adito, “in com¬posizione monocratica” (comma 1): secondo quanto stabilito dall’art. 50 bis c.p.c., comma 2, si tratta di una delle ipotesi applicative della riserva di giudizio monocratico, nonostante la disciplina fatta per rinvio all’art. 737 e ss.. Questo, ovviamente, quando la misura sia richiesta principaliter; ma quando la medesima sia domandata nell’ambito di un più ampio conflitto familiare teso a defi¬nire anche questioni che sono riservate alla competenza del giudice collegiale (come nella specie, dove – tra le parti – si è discusso anche dell’affidamento del figlio e di altro) allora sarebbe antie¬conomico ed irrazionale che il giudice collegiale non possa conoscere anche della richiesta misura di protezione, perché questa (ove accolta) non solo giova al coniuge vittima dell’azione violenta o persecutoria ma anche al figlio, che delle condotte antigiuridiche ancor più risente, in quanto privo degli strumenti di elaborazione dei comportamenti propri dell’altro genitore.
IX La sanzione penale per l’inosservanza dell’ordine civile di protezione
L’art. 6 della legge 154/2001 prescrive che “Chiunque elude l’ordine di protezione previsto dall’ar¬ticolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel proce¬dimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio è punito con la pena stabilita dall’articolo 388, primo comma, del codice penale. Si applica altresì l’ultimo comma del medesimo articolo 388 del codice penale”.
La disposizione penale richiamata (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice) costituisce un reato contro l’attività giudiziaria e la legge 154/2001 ne richiama solo il primo e l’ultimo comma anche se nel 2018 la disposizione è stata riformulata in modo da renderla più in¬tellegibile e autonoma.
Nel primo comma si prevede che “Chiunque, per sottrarsi all’adempimento degli obblighi nascenti da un provvedimento dell’autorità giudiziaria, o dei quali è in corso l’accertamento dinanzi all’auto¬rità giudiziaria stessa, compie, sui propri o sugli altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo stesso scopo altri fatti fraudolenti, è punito, qualora non ottemperi all’ingiunzione di eseguire il provvedimento, con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032.
Come detto il D.Lgs. 1° marzo 2018, n. 21, ha poi riformulato l’art. 388 prevedendo al secondo comma che “La stessa pena si applica a chi elude l’ordine di protezione previsto dall’articolo 342- ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero am¬ministrativo o contabile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito”.
L’ultimo comma dell’art. 388 c.p. prescrive che “Il colpevole è punito a querela della persona offesa”.
Parte II Le misure penali
______________________________________
I Le misure cautelari di protezione della vittima
Gli ordini di protezione previsti in ambito penale sono stati costruiti dal legislatore come “misure cautelari”, cioè come misure coercitive della libertà dell’imputato a carico del quale sussistono gra¬vi indizi di colpevolezza, adottabili in presenza dei presupposti previsti dalla legge, a cui è assegna¬ta una specifica funzione di protezione della vittima del reato. Per questo, trattandosi in sostanza di ordini di protezione, possono essere chiamate “misure cautelari di protezione della vittima”.
Le specifiche misure cautelari di protezione (di natura coercitiva) sono l’allontanamento dalla casa familiare (art. 282-bis. c.p.p. introdotto dalla legge 4 aprile 2001, n. 154 e in seguito parzialmente modificato13) e il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter c.p.p. introdotto dal decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 convertito con modificazioni dalla legge 23
13 Art. 282-bis c.p.p. (Allontanamento dalla casa familiare)
1. Con il provvedimento che dispone l’allontanamento il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamen¬te la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. L’eventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita.
2. Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi con¬giunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
3. Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prove di mezzi adeguati. Il giudice determina la misura dell’assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell’obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può ordinare, se necessario, che l’assegno sia versato diret¬tamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo.
4. I provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 possono essere assunti anche successivamente al provvedimento di cui al comma 1, sempre che questo non sia stato revocato o non abbia comunque perduto efficacia. Essi, anche se assunti successivamente, perdono efficacia se è revocato o perde comunque efficacia il provvedimento di cui al comma 1. Il provvedimento di cui al comma 3, se a favore del coniuge o dei figli, perde efficacia, inoltre, qualora sopravvenga l’ordinanza prevista dall’articolo 708 del codice di procedura civile ovvero altro provvedimento del giudice civile in ordine ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi ovvero al mantenimento dei figli.
5. Il provvedimento di cui al comma 3 può essere modificato se mutano le condizioni dell’obbligato o del bene¬ficiario, e viene revocato se la convivenza riprende.
6. Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 572, 582, limitatamente alle ipotesi procedibili d’ufficio o comunque aggravate, 600, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-septies.1, 600-septies.2, 601, 602, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612, secondo comma, 612-bis, del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280, anche con le modalità di controllo previste all’articolo 275-bis.
aprile 2009, n. 3814) alle quali si aggiunge, come provvedimento legato alla sola misura dell’allonta-namento, ancorché adottabile anche successivamente, l’ordine di pagamento periodico di un assegno per le persone che, in relazione all’allontanamento dell’imputato rimangono priva di mezzi adeguati.
a) L’ordine di allontanamento
Con il provvedimento che dispone l’allontanamento il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro (ove già allontanatosi) e di non ac¬cedervi in seguito senza l’autorizzazione15.
La giurisprudenza ritiene legittima la misura dell’allontanamento dalla casa familiare nei confronti di chi, pur avendo abbandonato formalmente la casa, continua a sottoporre a “stalking” il coniuge in quanto la predetta misura cautelare non si rende inconciliabile con uno stato di fatto integrato dal già avvenuto abbandono della casa da parte del coniuge indagato atteso che la “ratio” del prov¬vedimento cautelare si esprime in uno spettro valutativo di più ampia portata, includente i rapporti e le relazioni interpersonali del soggetto passivo che trascende la mera quotidianità di vita e di abi¬tudini nel ristretto ambito delle sole mura domestiche della casa familiare (Cass. pen. Sez. VI, 21 gennaio 2009, n. 16658). Il principio era stato in passato già affermato da Cass. pen. Sez. VI, 3 luglio 2008, n. 28958 e Cass. pen. Sez. VI, 29 marzo 2006, n. 18990 secondo cui la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare può essere applicata pur quando manchi la convivenza tra le parti e l’indagato abbia già abbandonato il domicilio domestico. D’altra parte, come ebbe ad affermare Tribunale Roma, 25 giugno 2002 la misura cautelare dell’allontana¬mento dalla casa familiare può essere applicata non solo per far cessare una convivenza a rischio, ma anche per impedire che riprenda, contro la volontà della persona offesa, una convivenza già temporaneamente cessata.
Il presupposto della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare non è, quindi, la condizione di “attuale” coabitazione dei coniugi, ma l’esistenza di una situazione in cui all’interno di una relazione familiare si manifestano condotte in grado di minacciare l’incolumità della per¬sona (Cass. pen. Sez. VI, 15 aprile 2010, n. 17788; Cass. pen. Sez. VI, 4 febbraio 2008, n. 25607).
Il principio appare del tutto condivisibile anche se in un caso specifico in cui una persona era stata accusata di atti persecutori nei confronti di un vicino di casa, la misura è stata ritenuta dalla giuri¬sprudenza illegittima perché “comminata nei confronti di soggetti estranei alla casa familiare” ma nella motivazione si chiarisce che l’operatività dell’art. 282 bis c.p.p. non può essere ammessa al di fuori dei “delitti commessi in ambito familiare” con ciò confermandosi il presupposto generale sopra richiamato (Cass. pen. Sez. V, 19 marzo 2014, n. 2717).
Dal canto suo, ed in contrasto con le decisioni sopra riferite, Uff. indagini preliminari Milano, 10 dicembre 2012 ha ritenuto la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare appli¬cabile per qualsiasi reato e non limitatamente ai reati commessi in ambito familiare o all’interno dell’abitazione familiare.
Trattandosi di misura cautelare è opportuno ricordare che l’ordine di allontanamento è misura meno invasiva della custodia in carcere. Giustamente lo ha ricordato Cass. pen. Sez. VI, 3 giu¬gno 2014, n. 36392 secondo cui in presenza di un grave quadro indiziario, la misura della custo¬dia cautelare in carcere non può essere giustificata quando esistono altre misure meno invasive ma ugualmente idonee, come l’allontanamento dalla casa familiare.
L’allontanamento dalla casa familiare non comporta, di per sé, il venir meno del diretto collega¬mento con il domicilio del destinatario della misura (Cass. pen. Sez. III, 22 settembre 2016, n. 5242 secondo cui sarebbe valida la notifica dell’avviso di deposito della sentenza all’imputato contumace effettuata, presso il domicilio dichiarato, a mani del familiare qualificatosi come convi¬vente della persona allontanata).
14 Art. 282-ter (Divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa)
1. Con il provvedimento che dispone il divieto di avvicinamento il giudice prescrive all’imputato di non avvici¬narsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa.
2. Qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone.
3. Il giudice può, inoltre, vietare all’imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con le persone di cui ai commi 1 e 2.
4. Quando la frequentazione dei luoghi di cui ai commi 1 e 2 sia necessaria per motivi di lavoro ovvero per esi¬genze abitative, il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
15 E’ opportuno ricordare che l’allontanamento dalla casa familiare previsto dall’art. 282-bis c.p.p. non rientra tra le prescrizioni che il giudice può disporre nei confronti del minore, ai sensi degli articoli 19 e 20 del D.P.R. n. 448 del 1988, considerato che esse concernono le attività di studio e di lavoro o comunque altre attività utili all’educazione del minore e che l’art. 282-bis c.p.p., introdotto con la legge n. 154 del 2001 – che prevede at¬tività sostanzialmente diverse e preordinate alla tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti – non ha modificato la norma speciale che esclude che nei confronti dei minori possano essere applicate misure cautelari diverse da quelle previste nel capo II del D.P.R. n. 448 del 1988 (art. 19, comma prima, D.P.R. cit.) (Cass. pen. Sez. V, 23 gennaio 2007, n. 20496).
b) L’ordine di non avvicinamento
Qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi con¬giunti, il giudice può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona.
L’ordine di non avvicinamento può essere contenuto nella stessa misura cautelare con cui si or¬dina l’allontanamento (art. 282-bis, co. 2 c.p.p.) ovvero disposta successivamente sempre come misura aggiuntiva e sempre che l’ordine di allontanamento non sia stato revocato o non abbia perso efficacia come misura cautelare (art. 282-bis, co. 4 c.p.p.), ovvero ancora – e questa è la novità introdotta nel 2009 – può costituire il contenuto di una autonoma misura cautelare (art. 282-ter c.p.p.); in tale ultimo caso con il provvedimento il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mante¬nere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa e, qualora sussistano ulteriori esigenze di tutela, può prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitual¬mente frequentati da prossimi congiunti della persona offesa o da persone con questa conviventi o comunque legate da relazione affettiva ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o da tali persone, potendo anche vietare all’imputato di comunicare, attraverso qualsiasi mezzo, con tali persone.
La giurisprudenza ha messo in evidenza che la misura cautelare del divieto di avvicinamento (come, peraltro, quella di allontanamento dalla casa familiare), si caratterizza, a differenza delle altre misure interamente predeterminate, per l’attribuzione al Giudice della cautela del compito, oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di quelle prescrizioni essenziali per raggiungere l’obiettivo cautelare, ovvero per limitare le conseguenze della misura stessa. In tal senso, pertanto, avuto particolare riguardo al divieto di avvicinamento, il Giudice deve individuare i luoghi ai quali l’indagato non può avvicinarsi ed in presenza di ulteriori esigenze di tutela può prescrivere di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dai parenti della persona offesa e addirittura indicare la distanza che l’indagato medesimo deve tenere da tali luoghi o da tali persone (Cass. pen. Sez. VI, 7 aprile 2011, n. 26819).
c) L’ordine (accessorio) di pagamento periodico di un assegno
In analogia con quanto previsto in ambito civile il giudice, nella misura cautelare con cui prescrive l’allontanamento (art. 282-bis, co. 3 c.p.p.) o anche successivamente – e sempre che l’ordine di allontanamento non sia stato revocato o non abbia perso efficacia come misura cautelare (art. 282-bis, co. 4 c.p.p.) – può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno (ovvero ordina¬re al datore di lavoro dell’obbligato di provvedervi direttamente) a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare, rimangano prive di mezzi adeguati. Cass. pen. Sez. VI, 12 maggio 2009, n. 30736 ha confermato la prescrizione normativa secondo cui la misura del pagamento periodico di un assegno a favore dei conviventi di cui all’art. 282-bis, comma 3, c.p.p., può essere disposta unicamente in caso di applicazione dell’allontanamento dalla casa familiare.
L’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo.
Il provvedimento in questione può essere modificato se mutano le condizioni dell’obbligato o del beneficiario, e viene revocato se la convivenza dovesse riprendere.
Sempre in analogia con quanto avviene sul versante degli ordini di protezione civili il provve¬dimento che dispone il pagamento periodo di un assegno a favore del coniuge o dei figli perde efficacia anche qualora sopravvenga l’ordinanza presidenziale prevista nell’articolo 708 del codice di procedura civile ovvero in altro provvedimento del giudice civile in ordine ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi ovvero al mantenimento dei figli.
Come tuttavia ha ricordato Cass. pen. Sez. VI, 7 febbraio 2003, n. 264, una volta venuta meno la misura dell’allontanamento dalla casa familiare non possono perdere efficacia anche le misure patrimoniali che a seguito di quella misura si era reso necessario adottare. Di contrario avviso si è mostrata invece Cass. pen. Sez. VI, 7 febbraio 2003, n. 11361 secondo cui la misura patri¬moniale dell’ingiunzione del pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi ha carattere provvisorio ed è accessoria rispetto alla misura cautelare personale dell’allontana¬mento dalla casa familiare, venendo meno in caso di sentenza di condanna a pena detentiva condizionalmente sospesa. Ciò in applicazione del principio enunciato nell’art. 300 c.p.p. secondo cui le misure disposte in relazione a un determinato fatto perdono efficacia quando, in qualsiasi grado del processo, è pronunciata sentenza di condanna se la pena irrogata è dichiarata estinta ovvero condizionatamente sospesa.
II I presupposti per l’emanazione delle misure cautelari di protezione della vittima
Il primo presupposto – indicato nell’art. 280 c.p.p. 16 è collegato alla natura “coercitiva” delle misu¬
16 Art. 280 c.p.p. (Condizioni di applicabilità delle misure coercitive)
1. Salvo quanto disposto dai commi 2 e 3 del presente articolo e dall’art. 391, le misure previste in questo capo possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni.
2. La custodia cautelare in carcere può essere disposta solo per delitti consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e per il delitto di finanziamento illecito dei partiti
re cautelari in questione e consiste nel fatto che tali misure possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni, fatto salvo quanto prescritto nel comma 6 dell’art. 282-ter c.p.p. (Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 609- bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies del codice penale, commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280)17.
Il secondo presupposto è ricavabile dall’art. 273 c.p.p. 18 che indica le condizioni generali di applica¬bilità delle misure cautelari e consiste nel fatto che a carico dell’imputato devono sussistere “gravi indizi di colpevolezza” di commissione di uno dei reati per i quali la misura cautelare viene disposta e naturalmente senza che la condotta dell’imputato appaia scriminata da una causa di giustifica¬zione ovvero senza che si profilino cause di non punibilità o di estinzione del reato o della pena.
L’ultimo presupposto attiene alla necessaria esistenza anche solo di una delle specifiche esigenze cautelari indicate nell’art. 274 c.p.p 19 e quindi specifiche ed inderogabili esigenze istruttorie ovve¬ro fuga o pericolo di fuga dell’imputato ovvero ancora il concreto e attuale pericolo di reiterazione della condotta da parte dell’imputato.
III Gli obblighi di comunicazione delle misure cautelari di protezione della vittima
La riforma del 2009 del sistema penale di contrasto alla violenza nelle relazioni familiari (decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 convertito con modificazioni dalla legge 23 aprile 2009, n. 38) ha inserito nel codice di procedura penale l’art. 282-quater (intitolato “Obblighi di comunicazione”) nel quale si prevede, del tutto ragionevolmente, che “I provvedimenti di cui agli articoli 282-bis e 282-ter sono comunicati all’autorità di pubblica sicurezza competente, ai fini dell’eventuale adozio¬ne dei provvedimenti in materia di armi e munizioni. Essi sono altresì comunicati alla parte offesa e ai servizi socio-assistenziali del territorio. Quando l’imputato si sottopone positivamente ad un programma di prevenzione della violenza organizzato dai servizi socio-assistenziali del territorio, il responsabile del servizio ne dà comunicazione al pubblico ministero e al giudice ai fini della valu¬tazione ai sensi dell’articolo 299, comma 2”.
La previsione di questi obblighi di comunicazione è anche ribadita per il caso di revoca o sostituzio¬ne delle misure cautelari nell’art. 299 comma 2 c.p.p. (aggiunto dal decreto legge D.L. 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla L. 15 ottobre 2013, n. 119) dove si prevede (con disposizione valida per tutte le misure cautelari) che “I provvedimenti di cui ai commi 1 e 2 relativi alle misure previste dagli articoli 282-bis , 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimen¬
di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni.
3. La disposizione di cui al comma 2 non si applica nei confronti di chi abbia trasgredito alle prescrizioni inerenti ad una misura cautelare.
17 Secondo Corte d’Appello Campobasso, 19 aprile 2013 le frasi minacciose pronunciate nel corso di litigi familiari e caratterizzate dalla vis polemica propria del particolare contesto, devono ritenersi idonee alla integra¬zione del delitto di minaccia grave ex art. 612, comma secondo, c.p., ogni qualvolta, accompagnate e precedute dal comportamento aggressivo e violento del prevenuto, siano capaci di produrre un turbamento psichico di notevole entità nella parte offesa, tanto da indurre la stessa a chiedere un provvedimento di allontanamento del soggetto dalla casa familiare.
18 Art. 273 c.p.p. (Condizioni generali di applicabilità delle misure)
1. Nessuno può essere sottoposto a misure cautelari se a suo carico non sussistono gravi indizi di colpevolezza.
1-bis. Nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza si applicano le disposizioni degli articoli 192, commi 3 e 4, 195, comma 7, 203 e 271, comma 1.
2. Nessuna misura può essere applicata se risulta che il fatto è stato compiuto in presenza di una causa di giusti¬ficazione o di non punibilità o se sussiste una causa di estinzione del reato ovvero una causa di estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata.
19 Art. 274 (Esigenze cautelari)
1. Le misure cautelari sono disposte:
a) quando sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si pro¬cede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova, fondate su circostanze di fatto espressamente indicate nel provvedimento a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio. Le situazioni di concreto ed attuale pericolo non possono essere individuate nel rifiuto della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato di rendere dichiarazioni né nella mancata ammissione degli addebiti;
b) quando l’imputato si è dato alla fuga o sussiste concreto e attuale pericolo che egli si dia alla fuga, sempre che il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione. Le situazioni di concreto e attuale pericolo non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede;
c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle inda¬gini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali é prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni. Le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell’imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede.
ti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, devono essere immediatamente comunicati, a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa”).
IV La cumulabilità con altre misure cautelari
Gli ordini di protezione sono misure di contrasto alla violenza nelle relazioni familiari e quindi non è affatto escluso che la condotta violenta possa consistere anche in atti di violenza sessuale commessi contro minori. Situazione che non sfugge certamente al giudice penale, a differenza di quanto si è detto trattando degli ordini di protezione di competenza del giudice civile in relazione alle condotte violente contro minori di età.
Per tali situazioni il codice di procedura penale all’art. 288 prevede come possibile misura cautelare di natura interdittiva la “sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale”.20
In tal caso la misura cautelare dell’allontanamento o del divieto di avvicinamento potrà certamen¬te cumularsi con la misura cautelare appunto della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale.
V L’aggravante penale del fatto commesso contro minori di età o in loro presenza
Nel trattare delle misure cautelari penali di protezione, non si può fare a meno di riferirsi anche alle aggravanti inserite dal legislatore nell’art. 61 del codice penale (Circostanze aggravanti comuni) a protezione delle vittime minori di età e a specificazione dell’aggravante comune dell’abuso di autorità e di relazioni domestiche.
Il riferimento è all’art. 61 n. 11-ter dove si prevede che costituisce un aggravante del reato “l’aver commesso un delitto contro la persona ai danni di un soggetto minore all’interno o nelle adiacenze di istituti di istruzione o di formazione” 21 e all’art. 61 n. 11-quinquies in cui si prevede l’aggravante dell’”avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà perso¬nale nonché nel delitto di cui all’art. 572, commesso il fatto in presenza o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza” 22
VI Il procedimento applicativo delle misure cautelari coercitive
Le misure cautelari sono disposte dal giudice delle indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice gli elementi su cui la richiesta si fonda (art. 291 c.p.p.).
In caso di necessità o urgenza il pubblico ministero può chiedere al giudice, nell’interesse della persona offesa, le misure patrimoniali provvisorie di cui all’articolo 282-bis. Il provvedimento perde efficacia qualora la misura cautelare sia successivamente revocata (art. 291, comma 2-bis c.p.p.).
Sulla richiesta del pubblico ministero il giudice provvede con ordinanza nella quale a pena di nullità deve essere contenuta, tra l’altro, la descrizione sommaria del fatto con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate nonché l’esposizione e la valutazione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano in concreto la misura disposta (art. 292 c.p.p.).
L’ordinanza è notificata all’imputato e successivamente depositata nella cancelleria del giudice che l’ha emessa insieme alla richiesta del pubblico ministero e agli atti da lui presentati. L’avviso del deposito è notificato al difensore che ha diritto di esame e di copia dei verbali (art. 293 c.p.p.).
L’interrogatorio della persona sottoposta alla misura cautelare dell’allontanamento deve avvenire non oltre dieci giorni dalla esecuzione del provvedimento o dalla sua notificazione. Mediante l’in¬terrogatorio il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità e le esigenze cautelari ed eventualmente provvede alla revoca o alla sostituzione della misura disposta (art. 294 c.p.p.).
Entro dieci giorni dalla esecuzione o notificazione del provvedimento, l’imputato può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, dell’ordinanza che dispone la misura coercitiva. La richie¬sta di riesame è presentata nella cancelleria del tribunale (del luogo nel quale ha sede la corte di appello o la sezione distaccata della corte di appello nella cui circoscrizione è compreso l’ufficio del giudice che ha emesso l’ordinanza) che decide, in composizione collegiale con procedimento che si svolge in camera di consiglio. Entro dieci giorni dalla ricezione degli atti il tribunale, se non deve dichiarare l’inammissibilità della richiesta, annulla, riforma o conferma l’ordinanza oggetto del riesame decidendo anche sulla base degli elementi addotti dalle parti nel corso dell’udienza (art. 309 c.p.p.).
Se non vi è stata richiesta di riesame il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore possono sempre entro dieci giorni proporre appello contro l’ordinanza contenente la misura cautelare. Dell’appello è dato avviso all’autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, tra¬smette al tribunale l’ordinanza appellata e gli atti su cui la stessa si fonda. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio. Il tribunale decide entro venti giorni dalla ricezione degli atti con ordinanza depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione.
Contro le decisioni emesse a seguito della richiesta di riesame ovvero a seguito dell’appello, il pub¬blico ministero che ha richiesto l’applicazione della misura, l’imputato e il suo difensore possono proporre ricorso per cassazione entro dieci giorni dalla comunicazione o dalla notificazione dell’av¬viso di deposito del provvedimento. Il ricorso può anche essere proposto direttamente contro l’ordinanza che ha emesso la misura cautelare coercitiva. Il ricorso è presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso la decisione (ovvero del giudice che ha emesso la misura cautelare). Il giudice cura che sia dato immediato avviso all’autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette gli atti alla corte di cassazione la quale decide entro trenta giorni dalla rice¬zione degli atti (art. 311 c.p.p.).
VII Il potere della polizia giudiziaria di adozione delle misure cautelari in flagranza di reato
L’art. 384 c.p.p. 23 attribuisce agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria la facoltà di disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza dei delitti di cui all’art. 282-bis, comma 624 ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa.
Come ha ricordato Cass. pen. Sez. V, 6 febbraio 2018, n. 30114 affinché la polizia giudiziaria possa disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, l’allontanamento urgente dalla casa familiare (con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa), è necessario e nel contempo sufficiente che il soggetto sia colto in flagranza di uno dei reati di cui all’art. 282-bis, comma 6, c.p.p., ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa; in particolare, deve considerarsi integrato il requisito della fla¬granza nel caso in cui il soggetto profferisca frasi gravemente minacciose in guisa tale da essere la stesse sentite e riferite da un ufficiale di polizia giudiziaria, atteso che l’art. 282-bis, comma 6, include nel suo elenco il delitto di cui all’art. 612, co. 2, c.p., commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente.
VIII La revoca e la sostituzione delle misure
Secondo quanto previsto in via generale nell’art. 299 del codice di procedura penale, tutte le mi¬sure cautelari coercitive e interdittive sono immediatamente revocate quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità ovvero le esigenze cautelari.
Ugualmente quando le esigenze cautelari risultano attenuate ovvero la misura applicata non ap¬pare più proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata, il giudice sostituisce la misura con un’altra meno grave ovvero ne dispone l’applicazione con moda¬lità meno gravose.
I provvedimenti del giudice relativi alla revoca o alla sostituzione delle misure cautelari di pro¬tezione della vittima previste dagli articoli 282-bis , 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, devono essere imme¬diatamente comunicati, a cura della polizia giudiziaria, ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa.
Il pubblico ministero e l’imputato richiedono la revoca o la sostituzione delle misure al giudice, il quale provvede con ordinanza entro cinque giorni dal deposito della richiesta.
La richiesta di revoca o di sostituzione delle misure cautelari di protezione della vittima previste dagli articoli 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona che non sia stata proposta in sede di interrogatorio di garanzia, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inam¬missibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa. Il difensore e la persona offesa possono, nei due giorni successivi alla notifica, presentare memorie in ordine alla richiesta di revoca o di sostituzione. Decorso il predetto termine il giudice provvede. Prima di provvedere deve sentire il pubblico ministero ma se nei due giorni successivi il pubblico ministero non esprime il proprio parere, il giudice può provvedere ugualmente.
Dopo la chiusura delle indagini preliminari, se l’imputato chiede la revoca o la sostituzione della misura con altra meno grave ovvero la sua applicazione con modalità meno gravose, il giudice, se la richiesta non è presentata in udienza, ne dà comunicazione al pubblico ministero, il quale, nei due giorni successivi, formula le proprie richieste. La richiesta di revoca o di sostituzione delle mi¬sure previste dagli articoli 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286, applicate nei procedimenti di cui al comma 2-bis del presente articolo, deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio.
IX Estinzione delle misure cautelari di protezione della vittima
Le misure disposte in relazione a un determinato fatto perdono immediatamente efficacia quando, per tale fatto e nei confronti della medesima persona, è disposta l’archiviazione ovvero è pronun¬ciata sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento. Ugualmente avviene quando, in qualsiasi grado del processo, è pronunciata sentenza di condanna se la pena irrogata è dichiarata estinta ovvero condizionatamente sospesa (art. 300 c.p.p.).
Naturalmente le misure coercitive perdono anche efficacia quando dall’inizio della loro esecuzione è decorso un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall’articolo 303 che indica, ap¬punto, i termini di durata massima della custodia cautelare (art. 308).
Appendice
Legge n. 154 del 4 Aprile 2001 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari)
Art. 1 (Misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare)
1. Dopo il comma 2 dell’articolo 291 del codice di procedura penale è aggiunto il seguente:
«2-bis. In caso di necessità o urgenza il pubblico ministero può chiedere al giudice, nell’interesse della persona offesa, le misure patrimoniali provvisorie di cui all’articolo 282-bis. Il provvedimento perde efficacia qualora la misura cautelare sia successivamente revocata».
2. Dopo l’articolo 282 del codice di procedura penale è inserito il seguente:
«Art. 282-bis – (Allontanamento dalla casa familiare). – 1. Con il provvedimento che dispone l’allontanamento il giudice prescrive all’imputato di lasciare immediatamente la casa familiare, ovvero di non farvi rientro, e di non accedervi senza l’autorizzazione del giudice che procede. L’e¬ventuale autorizzazione può prescrivere determinate modalità di visita.
2. Il giudice, qualora sussistano esigenze di tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti, può inoltre prescrivere all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti, salvo che la frequentazione sia necessaria per motivi di lavoro. In tale ultimo caso il giudice prescrive le relative modalità e può imporre limitazioni.
3. Il giudice, su richiesta del pubblico ministero, può altresì ingiungere il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto della misura cautelare disposta, rimangano prive di mezzi adeguati. Il giudice determina la misura dell’assegno tenendo conto delle circostanze e dei redditi dell’obbligato e stabilisce le modalità ed i termini del versamento. Può ordinare, se necessario, che l’assegno sia versato direttamente al beneficiario da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendolo dalla retribuzione a lui spettante. L’ordine di pagamento ha efficacia di titolo esecutivo.
4. I provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 possono essere assunti anche successivamente al prov¬vedimento di cui al comma 1, sempre che questo non sia stato revocato o non abbia comunque perduto efficacia. Essi, anche se assunti successivamente, perdono efficacia se è revocato o perde comunque efficacia il provvedimento di cui al comma 1. Il provvedimento di cui al comma 3, se a favore del coniuge o dei figli, perde efficacia, inoltre, qualora sopravvenga l’ordinanza prevista dall’articolo 708 del codice di procedura civile ovvero altro provvedimento del giudice civile in or¬dine ai rapporti economico-patrimoniali tra i coniugi ovvero al mantenimento dei figli.
5. Il provvedimento di cui al comma 3 può essere modificato se mutano le condizioni dell’obbli¬gato o del beneficiario, e viene revocato se la convivenza riprende.
6. Qualora si proceda per uno dei delitti previsti dagli articoli 570, 571, 600-bis, 600-ter, 600-quater, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies e 609-octies del codice penale, commes¬so in danno dei prossimi congiunti o del convivente, la misura può essere disposta anche al di fuori dei limiti di pena previsti dall’articolo 280».
Art. 2 (Ordini di protezione contro gli abusi familiari)
1. Dopo il titolo IX del libro primo del codice civile è inserito il seguente:
«Titolo IX-bis. ORDINI DI PROTEZIONE CONTRO GLI ABUSI FAMILIARI
Art. 342-bis (Ordini di protezione contro gli abusi familiari)
Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 342-ter.
Art. 342-ter (Contenuto degli ordini di protezione)
Con il decreto di cui all’articolo 342-bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì, ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, ed in parti¬colare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro.
Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonché delle associazioni che abbiano come fine statutario il soste¬gno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati; il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.
Con il medesimo decreto il giudice, nei casi di cui ai precedenti commi, stabilisce la durata dell’ordine di protezione, che decorre dal giorno dell’avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore ad un anno e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario.
Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’ausilio della forza pubblica e dell’uf¬ficiale sanitario».
Art. 3 (Disposizioni processuali)
1. Dopo il capo V del Titolo II del Libro quarto del codice di procedura civile è inserito il seguente:
«CAPO V-bis.
DEGLI ORDINI DI PROTEZIONE CONTRO GLI ABUSI FAMILIARI
Art. 736-bis.
(Provvedimenti di adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari).
Nei casi di cui all’articolo 342-bis del codice civile, l’istanza si propone, anche dalla parte perso¬nalmente, con ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio dell’istante, che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica.
Il presidente del tribunale designa il giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso. Il giudi¬ce, sentite le parti, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione necessari, disponendo, ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria, indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio personale e comune delle parti, e provvede con decreto motivato imme¬diatamente esecutivo.
Nel caso di urgenza, il giudice, assunte ove occorra sommarie informazioni, può adottare imme-diatamente l’ordine di protezione fissando l’udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni ed assegnando all’istante un termine non superiore a otto giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. All’udienza il giudice conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione.
Contro il decreto con cui il giudice adotta l’ordine di protezione o rigetta il ricorso, ai sensi del se¬condo comma, ovvero conferma, modifica o revoca l’ordine di protezione precedentemente adottato nel caso di cui al terzo comma, è ammesso reclamo al tribunale entro i termini previsti dal secondo comma dell’articolo 739. Il reclamo non sospende l’esecutività dell’ordine di protezione. Il tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile. Del collegio non fa parte il giudice che ha emesso il provvedimento impugnato. Per quanto non previsto dal presente articolo, si applicano al procedimento, in quanto compa¬tibili, gli articoli 737 e seguenti».
Art. 4 (Trattazione nel periodo feriale dei magistrati)
1. Nell’articolo 92, primo comma, dell’ordinamento giudiziario, approvato con regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, dopo le parole: «procedimenti cautelari,» sono inserite le seguenti: «per l’adozione di ordini di protezione contro gli abusi familiari,».
Art. 5 (Pericolo determinato da altri familiari)
1. Le norme di cui alla presente legge si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso in cui la condotta pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente, ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare diverso dal coniuge o dal convivente. In tal caso l’istanza è proposta dal componente del nucleo familiare in danno del quale è tenuta la condotta pregiudizievole.
Art. 6 (Sanzione penale)
1. Chiunque elude l’ordine di protezione previsto dall’articolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio è punito con la pena stabilita dall’articolo 388, primo comma, del codice penale. Si applica altresì l’ultimo comma del medesimo articolo 388 del codice penale.
Art. 7 (Disposizioni fiscali)
1. Tutti gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi all’azione civile contro la violenza nelle relazioni familiari, nonchè i procedimenti anche esecutivi e cautelari diretti a ottenere la corre¬sponsione dell’assegno di mantenimento previsto dal comma 3 dell’articolo 282-bis del codice di procedura penale e dal secondo comma dell’articolo 342-ter del codice civile, sono esenti dall’im¬posta di bollo e da ogni altra tassa e imposta, dai diritti di notifica, di cancelleria e di copia nonché dall’obbligo della richiesta di registrazione, ai sensi dell’articolo 9, comma 8, della legge 23 dicem¬bre 1999, n. 488, e successive modificazioni.
Art. 8 (Ambito di applicazione)
1. Le disposizioni degli articoli 2 e 3 della presente legge non si applicano quando la condotta pregiudizievole è tenuta dal coniuge che ha proposto o nei confronti del quale è stata proposta domanda di separazione personale ovvero di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio se nel relativo procedimento si è svolta l’udienza di comparizione dei coniugi davanti al presidente prevista dall’articolo 706 del codice di procedura civile ovvero, rispettivamente, dall’ar¬ticolo 4 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni. In tal caso si applicano le disposizioni contenute, rispettivamente, negli articoli 706 e seguenti del codice di procedura civile e nella legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, e nei relativi procedimenti pos¬sono essere assunti provvedimenti aventi i contenuti indicati nell’articolo 342-ter del codice civile.
2. L’ordine di protezione adottato ai sensi degli articoli 2 e 3 perde efficacia qualora sia succes¬sivamente pronunciata, nel procedimento di separazione personale o di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio promosso dal coniuge istante o nei suoi confronti, l’ordinanza con¬tenente provvedimenti temporanei ed urgenti prevista, rispettivamente, dall’articolo 708 del codice di procedura civile e dall’articolo 4 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni.
Giurisprudenza
Cass. pen. Sez. V, 6 febbraio 2018, n. 30114 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Affinché la polizia giudiziaria possa disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, l’allontanamento ur¬gente dalla casa familiare (con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa), è necessario e nel contempo sufficiente che il soggetto sia colto in flagranza di uno dei reati di cui all’art. 282-bis, comma 6, c.p.p., ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa; in particolare, deve considerarsi integrato il requisito della flagranza nel caso in cui il soggetto profferisca frasi gravemente minacciose in guisa tale da essere la stesse sentite e riferite da un ufficiale di polizia giudiziaria, atteso che l’art. 282-bis, comma 6, include nel suo elenco il delitto di cui all’art. 612, co. 2, c.p., commesso in danno dei prossimi congiunti o del convivente.
Cass. civ. Sez. VI – 1, 7 dicembre 2017, n. 29492 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari nei casi di cui all’art. 342-bis c.c., il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo, con cui si accolga o si rigetti l’istanza di concessione della misura caute¬lare dell’allontanamento dalla casa familiare, non è impugnabile per cassazione né con ricorso ordinario – stante l’espressa previsione di non impugnabilità, contenuta nell’art. 736-bis c.p.c., introdotto dall’art. 3 della l. n. 154 del 2001 – né con ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 111 Cost., giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività.
Cass. civ. Sez. I, 22 giugno 2017, n. 15482 (Famiglia e Diritto, 2017, 12, 1069 nota di DANOVI)
In tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari, di cui agli artt. 342-bis e 342-ter c.c., l’attribuzione della competenza al tribunale in composizione monocratica, stabilita dall’art. 736-bis, comma 1, c.p.c., non esclude la “vis actrativa” del tribunale in composizione collegiale (nella specie chiamato a giudicare in ordine al conflitto familiare e all’affidamento di figli tra due ex conviventi more uxorio) che sia stato già incardinato avanti ad esso, atteso che una diversa opzione ermeneutica, che faccia leva sul solo tenore letterale delle citate disposizioni, ne tradirebbe la “ratio”, che è quella di attuare, nei limiti previsti, la concentrazione delle tutele ed evitare, a garanzia del preminente interesse del minore che sia incolpevolmente coinvolto, o del coniuge debole che esiga una tutela urgente, il rischio di decisioni intempestive o contrastanti ed incompatibili con gli accertamenti resi da organi giudiziali diversi.
Il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo, con cui si accolga o si rigetti l’istanza di concessione della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, non è impugnabile per cassazione nè con ricorso ordinario stante l’espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell’art. 736 bis c.p.c., introdotto dalla L. 4 aprile 2001, n. 154, art. 3, (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari), né con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività.
Cass. pen. Sez. III, 22 settembre 2016, n. 5242 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È valida la notifica dell›avviso di deposito della sentenza all›imputato contumace effettuata, presso il domicilio dichiarato, a mani del familiare qualificatosi come convivente, a nulla rilevando che nel frattempo l›imputato sia stato sottoposto alla misura cautelare dell› allontanamento dalla casa familiare, in quanto l›applicazione di tale misura non comporta, di per sé, il venir meno del diretto collegamento con detto domicilio e la rescissione del rapporto di convivenza con i familiari che ivi si trovano, dovendosi quest›ultimo intendere come basato, più che sulla continuità della coabitazione, sulla persistenza dei vincoli che legano i membri di una stessa famiglia.
Cass. pen. Sez. VI, 17 settembre 2015, n. 17950 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il presupposto per l’applicazione della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, di cui all’art. 282 bis cod. proc. pen., non è costituito dalla condizione di “attuale” coabitazione dei coniugi, bensì dall’esistenza di una situazione – che non deve necessariamente verificarsi all’interno della casa coniugale – per cui all’interno di una relazione familiare si manifestano condotte in grado di minacciare l’incolumità della persona. (Fattispecie in tema di maltrattamenti in famiglia).
Tribunale Milano, 18 marzo 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’ordine di protezione ex art. 342-bis c.c. deve essere richiesto direttamente dal titolare del diritto soggettivo leso, giusta la disposizione generale di cui all’art. 81 c.p.c. In particolare, il figlio maggiorenne non convivente, non può presentare istanza di protezione al fine di tutelare la condizione soggettiva della madre, oggetto di tur¬bative e molestie da parte di terzi. In questo caso, il ricorso è inammissibile per difetto di legitimatio ad causam, rilevabile d’ufficio. In caso di persona sottoposta ad amministrazione di sostegno, l’ordine di protezione ex art. 342-bis c.c.può essere richiesto dall’amministratore previamente autorizzato dal giudice tutelare.
Cass. pen. Sez. VI, 3 giugno 2014, n. 36392 (Dir. Pen. e Processo, 2015, 9, 1156 nota di CIPRIANO)
In un procedimento per il reato di maltrattamenti in famiglia, anche in presenza di un grave quadro indiziario, la misura della custodia cautelare in carcere non può essere giustificata quando esistono altre misure meno invasive ma ugualmente idonee, come l’allontanamento dalla casa familiare. In ossequio ai principi generali di proporzionalità e adeguatezza delle misure coercitive, il giudice che disponga la misura e quello investito dell’i¬stanza di riesame sono tenuti a motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato con altre, meno invasive, misure coercitive.
Cass. pen. Sez. V, 19 marzo 2014, n. 27177 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È illegittima l›applicazione della misura cautelare dell›allontanamento a soggetti estranei alla casa familiare, in quanto l›estensione dell›operatività dell›art. 282 bis cod. proc. pen. al di fuori dei delitti commessi in ambi¬to familiare comporterebbe una violazione dei principi di stretta legalità e tassatività che governano la disciplina delle misure cautelari. (In applicazione del principio di cui in massima la S.C. ha censurato la decisione con cui il Tribunale del riesame, in riforma dell›ordinanza del Gip, ha applicato la misura cautelare di cui all›art. 282 bis cod. proc. pen. nei confronti dell›indagato accusato del delitto di atti persecutori nei confronti dei vicini).
Tribunale Firenze Sez. I, 5 marzo 2014 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’inosservanza dell’ordine di allontanamento dalla casa familiare non costituisce condotta idonea ad integrare la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 650 c.p., poiché i provvedimenti caratteristici del giudice riguardano sempre un interesse particolare e non possono trovare sanzione nella menzionata norma, che ha come oggetto specifico della tutela penale l’interesse generale concernente la polizia di sicurezza. Ed invero, costituiscono una eccezione i casi in cui la inosservanza dei provvedimenti del Giudice è considerata come reato e sono quelli espressamente previsti da una norma penale, mentre, normalmente, i provvedimenti del Giudice sono eseguibili coattivamente o sono accompagnati da una sanzione particolare, di modo che non entrano nella sfera di appli¬cazione dell’art. 650 c.p..
Corte d’Appello Campobasso, 19 aprile 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le frasi minacciose pronunciate nel corso di litigi familiari e caratterizzate dalla vis polemica propria del particola¬re contesto, devono ritenersi idonee alla integrazione del delitto di minaccia grave ex art. 612, comma secondo, c.p., ogni qualvolta, accompagnate e precedute dal comportamento aggressivo e violento del prevenuto, siano capaci di produrre un turbamento psichico di notevole entità nella parte offesa, tanto da indurre la stessa a chiedere un provvedimento di allontanamento del soggetto dalla casa familiare.
Tribunale Milano, 17 aprile 2013 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto di famiglia prevede rimedi speciali, tipici e settoriali per porre rimedio a ciascuna delle possibili violazioni che uno dei partners dovesse porre in essere: garanzie per l’assegno di mantenimento (156 c.c.); provvedimenti atipici per le condotte aggressive (342-bis c.c.); sanzioni e risarcimento del danno (709-ter c.p.c.); modifica/re¬voca dei provvedimenti interinali (709, ult. comma, c.p.c.); ingiunzioni di pagamento in ragione delle condizioni di separazione o divorzio, costituenti titolo esecutivo; sequestro dei beni del coniuge allontanatosi (146 c.c.); presentazione della domanda di separazione o divorzio. In particolare, nel caso in cui uno dei coniugi ponga in essere condotte lesive della persona del congiunto, è dato ricorso agli ordini giudiziali ex art. 342-bis c.c., 736- bis c.p.c., nella cui sede sono anche ammesse statuizioni di tipo economico. Ne consegue che, in tutti questi casi, difetta la residualità richiesta dall’art. 700 c.p.c. per l’ammissibilità dello strumento cautelare.
Uff. indagini preliminari Milano, 10 dicembre 2012 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, di cui all’art. 282-bis c.p.p., è applicabile per qual¬siasi reato e non limitatamente ai reati commessi in ambito familiare o all’interno dell’abitazione familiare. Tale soluzione, oltre ad essere confortata dalla collocazione sistematica dell’art. 282-bis c.p.p., risulta anche più favorevole al reo in termini di restrizione della libertà personale rispetto alla più gravosa misura cautelare che altrimenti dovrebbe essere applicata, vale a dire il divieto di dimora nel territorio di un determinato comune, ai sensi dell’art. 283 c.p.p..
Cass. pen. Sez. VI, 7 aprile 2011, n. 26819 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La misura cautelare del divieto di avvicinamento, come quella di allontanamento dalla casa familiare, si carat¬terizza, a differenza delle altre misure interamente predeterminate, per l’attribuzione al Giudice della cautela del compito, oltre che di verificare i presupposti applicativi ordinari, di riempire la misura di quelle prescrizioni essenziali per raggiungere l’obiettivo cautelare, ovvero per limitare le conseguenze della misura stessa. In tal senso, pertanto, avuto particolare riguardo al divieto di avvicinamento, il Giudice deve individuare i luoghi ai quali l’indagato non può avvicinarsi ed in presenza di ulteriori esigenze di tutela può prescrivere di non avvicinar¬si ai luoghi frequentati dai parenti della persona offesa e addirittura indicare la distanza che l’indagato medesimo deve tenere da tali luoghi o da tali persone.
L’efficacia delle misure cautelari del divieto di avvicinamento e dell’allontanamento dalla casa familiare, funzio¬nali ad evitare il pericolo della reiterazione delle condotte illecite, è subordinata agli elementi con cui il Giudice le riempie di contenuti attraverso le prescrizioni che le norme gli consentono. Ne consegue che per tali misure appare necessaria la completa comprensione delle dinamiche alla base dell’illecito in relazione al quale sono adottate, nel senso che il Giudice è tenuto a modellare la misura in relazione alla situazione di fatto. Avuto parti¬colare riguardo alla misura di cui all’art. 282 ter c.p.p. assumono particolare rilievo le informazioni circa i luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa o dai suoi parenti, proprio in quanto funzionali al tipo di tutela che si tende ad assicurare attraverso l’allontanamento dell’autore del reato. Nell’ambito di tali luoghi, tuttavia, la norma prevede che vengano individuati luoghi determinati, poiché solo in tal modo il provvedimento assume una conformazione completa che ne consente non solo la esecuzione, ma anche il controllo in ordine all’intervenuta osservanza delle prescrizioni ivi contenute. La completezza e la specificità del provvedimento costituisce, altresì, una garanzia per un giusto contemperamento tra le esigenze di sicurezza incentrate sulla tutela della vittima ed il minor sacrificio della libertà di movimento della persona sottoposta alle indagini.
Cass. pen. Sez. VI, 15 aprile 2010, n. 17788 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il presupposto della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282-bis cod. proc. pen., non è la condizione di “attuale” coabitazione dei coniugi, ma l’esistenza di una situazione – che non deve necessariamente verificarsi all’interno della casa coniugale – per cui all’interno di una relazione familiare si ma¬nifestano condotte in grado di minacciare l’incolumità della persona.
Cass. civ. Sez. I, 6 novembre 2009, n. 23633 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari nei casi di cui all’art. 342-bis c.c., il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo, con cui si accolga o si rigetti l’istanza di concessione della misura caute¬lare dell’allontanamento dalla casa familiare, non è impugnabile per cassazione né con ricorso ordinario – stante l’espressa previsione di non impugnabilità, contenuta nell’art. 736-bis c.p.c., introdotto dall’art. 3 della l. n. 154 del 2001 – né con ricorso straordinario, ai sensi dell’art. 111 Cost., giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività.
Tribunale Prato, 8 giugno 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi degli artt. 342 bis e 342 ter c.c. gli ordini di protezione contro gli abusi familiari possono essere adottati dal tribunale allorché le parti occupino (anche se in linea di mero fatto) lo stesso immobile, seppur senza formare un unico nucleo familiare; pertanto è irrilevante che sia controverso, tra le parti, se la codentenzione dell’alloggio abbia o meno un fondamento giuridico che la legittimi.
Cass. pen. Sez. VI, 12 maggio 2009, n. 30736 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La misura del pagamento periodico di un assegno a favore dei conviventi di cui all’art. 282-bis, comma 3, c.p.p., può essere disposta unicamente in caso di applicazione dell’allontanamento dalla casa familiare.
In tema di reati di maltrattamenti in famiglia, la misura patrimoniale del pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi prevista dall’art. 282 bis, comma terzo cod. proc. pen. è accessoria alla sola misura cautelare personale dell’allontanamento dalla casa familiare, non potendo pertanto essere applicata in relazione a misura personale di tipo diverso.
L’ingiunzione di pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi è accessoria della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare e non può essere, quindi, disposta in caso di applicazione di misure personali di tipo differente.
Tribunale Bari Sez. I, 3 marzo 2009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È inammissibile il reclamo avverso l’ordine di protezione adottato dal giudice istruttore nel processo di separazione.
Cass. pen. Sez. VI, 21 gennaio 2009, n. 16658 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È legittima la misura dell›allontanamento definitivo dalla casa familiare (ex art. 282 bis c.p.p.) nei confronti di chi, pur avendo abbandonato formalmente la casa, continua a sottoporre a «stalking» la coniuge. La predetta misura cautelare infatti non si rende inconciliabile con uno stato di fatto integrato dal già avvenuto abbandono della casa da parte del coniuge indagato atteso che la «ratio» del provvedimento cautelare si esprime in uno spettro valutativo di più ampia portata, includente i rapporti e le relazioni interpersonali del soggetto passivo che trascende la mera quotidianità di vita e di abitudini nel ristretto ambito delle sole mura domestiche del¬la casa familiare.
Tribunale Catania, 11 novembre 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi dell’articolo 8 della legge 154/2001, nel caso in cui penda giudizio di separazione personale fra i coniugi e sia stata celebrata l’udienza di comparizione dinanzi al presidente del tribunale, non sono applicabili gli articoli 342 bis e ter c.c. bensì le disposizioni contenute negli articoli 706 ss. c.p.c., con la conseguenza che saranno il presidente del tribunale – nell’ambito del potere di emanare i provvedimenti provvisori e urgenti nell’interesse del coniuge e della prole – ovvero il giudice istruttore ad adottare i provvedimenti aventi il contenuto degli ordini di protezione. Tali provvedimenti sono sempre revocabili e modificabili dal giudice istruttore e, in sede decisoria, dal Collegio, mentre avverso di essi non è possibile proporre reclamo ex artt. 736 bis ss. c.p.c.
Tribunale Piacenza, 23 ottobre 2008 (Foro Padano, 2010, 2, 431 nota di DANOVI GALIZIA)
Nelle fattispecie di c.d. violenza assistita, ove la vittima diretta dei maltrattamenti è un genitore e i figli vengono loro malgrado costretti ad assistervi, sussiste una sovrapposizione di competenze tra il giudice civile, adito ai sensi degli artt. 342-bis e 342-ter c.c. e dell’art. 736-bis c.p.c., e il tribunale per i minorenni. Tale sovrapposizio¬ne di competenze non preclude al giudice civile di pronunciare – intervenuto decreto del tribunale per i minorenni che dispone, ai sensi degli artt. 333 e 336 c.c., l’allontanamento del genitore violento dalla casa familiare e l’affidamento del figlio minore – non solo l’ allontanamento dalla casa familiare del medesimo genitore, ma anche la cessazione della condotta pregiudizievole, quale contenuto essenziale dell’ordine di protezione di cui agli artt. 342-bis e 342-ter c.c..
Cass. pen. Sez. VI, 3 luglio 2008, n. 28958 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare può essere applicata pur quando manchi la convi¬venza tra le parti e l’indagato abbia già abbandonato il domicilio domestico.
Tribunale Barletta, 1 aprile 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Va accolto il ricorso per ordine di protezione ex art. 342-bis c.c. quando la condotta di uno dei coniugi, autore di frequenti episodi di violenza fisica e morale, è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica e morale e alla libertà dell’altro coniuge: anche se talora accompagnato da misure a contenuto economico, l’ordine di cessazione della condotta e di allontanamento del coniuge violento dalla casa familiare non è riconducibile né ai provvedimenti cautelari atipici ex art. 700 c.p.c. né a quelli temporanei e urgenti emessi dal presidente del tribunale ex art. 708 c.p.c..
Cass. pen. Sez. VI, 4 febbraio 2008, n. 25607 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il presupposto della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282-bis cod. proc. pen., non è la condizione di coabitazione “attuale” dei coniugi, ma l’esistenza di una situazione – che non deve necessariamente verificarsi all’interno della casa coniugale – per cui all’interno di una relazione familiare si ma¬nifestano condotte in grado di minacciare l’incolumità della persona.
Tribunale Napoli, 19 dicembre 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È ammissibile la domanda volta a conseguire l’ordine di protezione nei confronti del coniuge separato, anche allorché sia cessata la convivenza.
Tribunale Bologna, 25 maggio 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Anche in assenza di atti gravemente pregiudizievoli per l’integrità fisica del coniuge, va adottato l’ordine di protezione ex art. 342-bis c.c. e disposto l’allontanamento dalla casa familiare nei confronti del marito che con l’uso della violenza e più in generale con le modalità adottate nel rapportarsi al coniuge limiti la libertà personale della moglie.
Tribunale Reggio Emilia, 10 maggio 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ove sia in corso il procedimento previsto dall’art. 736-bis c.p.c. (adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari), l’istanza di una delle parti volta a regolare il diritto di visita al figlio minore (naturale), è inammissibile, spettando la competenza relativa all’affidamento dei figli naturali e alla disciplina del diritto di visita del genitore non affidatario al Tribunale dei Minorenni, in forza dell’art. 38 disp. att. c.c.. La provvisorietà dell’assegno periodico previsto a norma dell’art. 342-ter c.c. – la cui funzione ed efficacia è limitata alla durata dell’ordine di protezione o, comunque, al periodo di tempo anteriore all’eventuale provvedimento successivo emesso dal giudice competente, volto a garantire il diritto al mantenimento di soggetti bisognosi – si evince dal tenore testuale della predetta disposizione. La cognizione relativa alla domanda inerente alla contribuzione del genitore (non più convivente) al mantenimento della prole, ove proposta nel giudizio volto all’affidamento del naturale, deve ritenersi spettante al Tribunale dei Minorenni.
Nel procedimento di reclamo contro il decreto emesso ex art. 342-bis c.c. è inammissibile l’istanza con cui la parte reclamata chiede l’applicazione delle misure previste dall’art. 709-ter c.p.c. lamentando il mancato paga¬mento dell’assegno periodico disposto con l’ordine di protezione.
Va accolto il ricorso per ordine di protezione ex art. 342-bis c.c. quando la condotta di uno dei conviventi, autore di un episodio di violenza fisica in danno dell’altro e alla presenza del figlio minore (il fatto, maturato in un conte¬sto di conflittualità dipendente dalla crisi del rapporto affettivo, era stato preceduto da un episodio di minacce), è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica e morale e alla libertà dell’altro convivente e pregiudica altresì lo sviluppo morale ed educativo del figlio (nella specie, un bambino di neppure tre anni, che aveva assistito in casa all’aggressione della madre ad opera del padre).
Cass. pen. Sez. V, 23 gennaio 2007, n. 20496 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’allontanamento dalla casa familiare previsto dall’art. 282-bis c.p.p. non rientra tra le prescrizioni che il giu¬dice può disporre nei confronti del minore, ai sensi degli articoli 19 e 20 del D.P.R. n. 448 del 1988, considerato che esse concernono le attività di studio e di lavoro o comunque altre attività utili all’educazione del minore e che l’art. 282-bis c.p.p., introdotto con la legge n. 154 del 2001 – che prevede attività sostanzialmente diverse e preordinate alla tutela dell’incolumità della persona offesa o dei suoi prossimi congiunti – non ha modificato la norma speciale che esclude che nei confronti dei minori possano essere applicate misure cautelari diverse da quelle previste nel capo II del D.P.R. n. 448 del 1988 (art. 19, comma prima, D.P.R. cit.).
Cass. civ. Sez. I, 15 gennaio 2007, n. 625 (Famiglia e Diritto, 2007, 6, 571 nota di PRESUTTI)
In tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari nei casi di cui all’art. 342 bis cod. civ., il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo con cui si accolga o si rigetti l’istanza di concessione della misura caute¬lare dell’allontanamento dalla casa familiare non è impugnabile per cassazione nè con ricorso ordinario – stante l’espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell’art. 736 bis cod. proc. civ., introdotto dalla L. 4 aprile 2001, n. 154, art. 3 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari) -, nè con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., giacchè detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività”. Infatti per l’ammissibilità del ricorso ai sensi dell’art. 111 Cost. “non è sufficiente che il provvedimento abbia inciso su diritti soggettivi, ma occorre che esso abbia deciso una controversia su diritti soggettivi con attitudine al giudicato o quanto meno con attitudine “pro iudicato”. Il decreto di concessione dell’ordine di protezione contro gli abusi fa¬miliari non ha le indicate caratteristiche, posto che ha una durata temporanea, prorogabile solo per gravi motivi (art. 2, legge citata), perde di efficacia qualora nel procedimento personale di separazione personale dei coniugi, di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio siano pronunziati i provvedimenti provvisori previ¬sti rispettivamente dall’art. 708 c.p.c. e dalla L. n. 898 del 1970, art. 4 ed è volto a tutelare non interessi indi¬viduali ma l’interesse sociale alla tranquillità delle famiglie. In ipotesi di diniego della invocata misura protettiva, nessuna norma preclude la reiterazione della istanza di adozione dei provvedimenti di cui all’art. 342 ter c.c..
In tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari nei casi di cui all’art. 342-bis cod. civ., il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo con cui si accolga o si rigetti l’istanza di concessione della misura caute¬lare dell’allontanamento dalla casa familiare, non è impugnabile per cassazione né con ricorso ordinario – stante l’espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell’art. 736-bis cod. proc. civ., introdotto dall’art. 3 della legge 4 aprile 2001, n. 154 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari) -, né con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività.
Tribunale Padova, 31 maggio 2006 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Può ritenersi sussistente il requisito della convivenza, al fine di emettere l’ordine di allontanamento dall’abitazio¬ne familiare nel caso di conflittualità tra fratelli conviventi, pur quando vi sia stato l’allontanamento, provocato dal profondo timore di subire violenza fisica del congiunto, mantenendo peraltro nell’abitazione familiare il centro degli interessi materiali ed affettivi.
Tribunale Modena, 30 maggio 2006 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La reiterazione di atti di aggressività del figlio nei confronti dei genitori, idonea ad arrecare nel tempo una rilevante lesione a beni giuridici fondamentali quali la dignità delle persone, la serenità della vita familiare, la funzione di guida e di indirizzo che spetta ai genitori nei confronti dei figli, giustifica l’adozione di un ordine di protezione. Ne consegue che se non viene meno il dovere dei genitori di istruire, mantenere ed educare i figli, questi possono nondimeno essere allontanati dalla casa familiare qualora la loro condotta ingiustificatamente aggressiva e violenta, protrattasi nel tempo, sia idonea ad arrecare gravi danni ai genitori.
Cass. pen. Sez. VI, 29 marzo 2006, n. 18990 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis cod. proc. pen.) è applicabile anche quando l’indagato abbia già abbandonato il domicilio domestico per intervenuta separazione coniugale.
Tribunale Messina, 24 settembre 2005 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La figlia maggiorenne che abbia posto in essere condotte reiterate consistenti in aggressioni fisiche e verbali nei confronti del padre convivente può essere destinataria dell’ordine di allontanamento dalla casa familiare ai sensi degli art. 342 bis e ter c.c. ma, ove il soggetto allontanato non abbia una propria autonomia economica, il giudice deve contestualmente disporre a carico del padre l’obbligo di pagamento di un assegno periodico ai sensi degli art. 148 e 342 ter, comma 2, c.c.
Tribunale Bologna Sez. I, 22 marzo 2005 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Le misure di tutela di cui agli artt. 342 bis e 342 ter c.c. possono essere accordate anche se non sussiste tra i due soggetti della coppia una situazione di convivenza, intesa quale perdurante coabitazione, al momento della proposizione della domanda. Integrano il presupposto del grave pregiudizio all’integrità fisica e morale, ai fini dell’art. 342 bis c.c., gli atteggiamenti intimidatori e violenti tenuti nei confronti del nucleo familiare.
Cass. civ. Sez. I, 5 gennaio 2005, n. 208 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di ordini di protezioni contro gli abusi familiari nei casi di cui all’art. 342 bis c.c., il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo con cui si accolga o si rigetti l’istanza di concessione della misura caute¬lare dell’allontanamento dalla casa familiare, non è impugnabile per cassazione né con ricorso ordinario – stante l’espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell’art. 736 bis c.p.c., introdotto dall’art. 3 della legge 4 aprile 2001, n. 154 (Misure contro la violenza nelle relazioni familiari) -, né con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111 Cost., giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività.
Tribunale Catania, 2 ottobre 2004 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Sussistono i presupposti per l’applicazione della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare quan¬do, in presenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui all’art. 572 c.p., ricorrono le esigenze cautelari, ed in particolare la reiteratamente manifestatasi inclinazione collerica dell’indagato trovi alimento nel permanere delle condizioni di conflittualità con la moglie e i parenti di lei, così da riaccendersi a ogni occasione de contatto.
Tribunale Reggio Emilia, 16 settembre 2004 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il contenuto dell’ordine di protezione emesso ai sensi dell’art. 342-ter c.c. non può riguardare la disciplina del diritto di visita dei figli da parte del genitore destinatario, trattandosi di materia riservata alla competenza inde¬rogabile del tribunale dei minorenni.
Tribunale Bari, 28 luglio 2004 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non può essere concesso l’ordine di allontanamento dalla casa familiare in presenza di una situazione di reci¬proca incomunicabilità ed intolleranza tra soggetti conviventi, di cui ciascuna delle parti imputa all’altra la re¬sponsabilità, quante volte i litigi, ancorché aspri nei toni, non siano stati aggravati da violenze fisiche o minacce in danno del ricorrente o non si siano tradotti in un vulnus alla dignità dell’individuo di entità non comune, vuoi per la particolare delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi, vuoi per le modalità «forti» dell’offesa arrecata, vuoi per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall’offeso.
Il presupposto dell’ordine di protezione non è la condotta in sé del convivente nei cui confronti si richiedono le misure di protezione, bensì l’esistenza di un pregiudizio grave all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà, patito da un familiare convivente, imputabile in termini causali alla condotta dell’altro (nel caso di specie, è stata negata la concessione della misura richiesta sul duplice presupposto della mancanza: a) di fatti violenti, dai quali siano derivate non insignificanti lesioni alla persona di uno dei soggetti protetti, ovvero di una situazione di con¬flittualità tale da poter prevedibilmente dare adito al rischio concreto ed attuale per uno dei familiari conviventi di subire violenze gravi dagli altri; b) di un “vulnus” alla dignità dell’individuo di entità non comune, in relazione alla particolare delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi, ovvero per le modalità forti dell’offesa arrecata e per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall’offeso).
Tribunale Catania Sez. I, 22 maggio 2004 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’adozione degli ordini di protezione da parte del giudice civile è divenuta ammissibile pur in presenza di pro¬spettazioni di fatti in astratto integranti gli estremi di reati perseguibili d’ufficio, essendo stato abrogato il limite previsto in origine. Qualora ricorra il presupposto del grave pregiudizio all’integrità fisica, il giudice civile può ordinare la cessazione della condotta pregiudizievole e l’immediato allontanamento dalla casa familiare del con¬vivente violento.
Tribunale Desio, 29 ottobre 2003 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il marito che si sia reso autore di insulti e aggressioni nei confronti della propria moglie, oltre che di aggressioni con arma da taglio nei confronti di una parente stretta di quest’ultima, deve essere allontanato dalla casa coniu¬gale con un provvedimento emesso inaudita altera parte.
Tribunale Bari, 29 maggio 2003 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nell’ipotesi di condotte, da ambo i lati, gravemente pregiudizievoli e inosservanti degli obblighi gravanti sui coniugi ex art. 143 c. c., è inibito al giudice concedere l’ordine di protezione di cui all’art. 2 L. 4 aprile 2001 n. 134 (recante “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”), disposizione che mira a tutelare i soli soggetti deboli all’interno della conflittualità familiare; in assenza d’emissione della misura di protezione ‘non patrimo¬niale’ non può il giudice, che pur rilevi l’inadempimento dell’altro coniuge all’obbligo di mantenimento ex artt. 143-147 c. c., riconoscere il diritto alla percezione dell’assegno periodico, che è correlato ex art. 142-ter, co. 2°, c.c., con rapporto d’innegabile accessorietà, all’emissione della misura principale ‘non patrimoniale’ di cui al co. 1° stesso articolo.
Uff. indagini preliminari Pavia, 20 marzo 2003 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare di cui all’art. 282-bis c.p.p. può essere disposta nei confronti dell’indagato del reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. per scongiurare, in pendenza di un procedimento di separazione personale che abbia acuito la tensione familiare, il pericolo di protrazione di episodi di violenza.
Cass. pen. Sez. VI, 7 febbraio 2003, n. 264 (Studium juris, 2003, 1115 nota di MARANDOLA)
Una volta venuta meno la misura dell’allontanamento dalla casa familiare non possono perdere efficacia anche le misure patrimoniali che a seguito di quella misura si era reso necessario adottare.
Cass. pen. Sez. VI, 7 febbraio 2003, n. 11361 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La misura patrimoniale dell’ingiunzione del pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi, le quali, per effetto della misura cautelare di allontanamento dalla casa familiare, rimangano prive di mezzi ade¬guati, eventualmente disposta dal giudice ex art. 282-bis c.p.p., ha carattere provvisorio ed è accessoria rispetto alla misura cautelare personale dell’allontanamento dalla casa familiare. In caso di sentenza di condanna a pena detentiva condizionalmente sospesa perdono efficacia sia la misura cautelare personale, sia quella patrimoniale.
Tribunale Genova, 7 gennaio 2003 (Famiglia e Diritto, 2004, 387 nota di CARRERA)
Il comportamento violento del padre nei confronti della madre, nonché la conseguente querela e ricorso per separazione presentati da questa, rendono opportuno ordinare, nell’interesse del minore, la cessazione della condotta violenta, disporre l’allontanamento dalla casa familiare e prescrivere il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla moglie e dai figli.
Tribunale Napoli, 18 dicembre 2002 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La normativa introdotta dalla legge 4 aprile 2001, n. 154 per la repressione degli abusi familiari trova applica¬zione limitatamente alle ipotesi di abuso poste in essere da conviventi (nella specie è stata esclusa l’applicabilità della suddetta normativa in un caso di abuso posto in essere dai genitori di uno dei coniugi, non conviventi con questi ultimi).
Trib. Minorenni L’Aquila, 19 luglio 2002 (Famiglia e Diritto, 2003, 5, 482 nota di DOLCINI)
Non solo gli abusi o i maltrattamenti, commessi direttamente sulla persona del minore, ma anche quelli indiretti, perpetrati nei confronti di stretti congiunti a lui cari (quali la visione da parte del minore di ripetute aggressioni fisiche alla madre da parte del padre) integrano un vero e proprio abuso o maltrattamento del minore, tali da legittimare l’immediato allontanamento del marito e padre dalla casa familiare.
Tribunale Bari, 18 luglio 2002 (Famiglia e Diritto, 2002, 6, 623 nota di DE MARZO)
Per potersi configurare il “grave pregiudizio all’integrità morale” di un coniuge, che legittima il ricorso ex art. 342 bis c.c., deve verificarsi un “vulnus” alla dignità dell’individuo di entità non comune, o per la particolare delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi, o per le modalità – forti – dell’offesa arrecata, o per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall’offeso (nella specie, si è escluso che tale pregiudizio sia ravvisabile nel comportamento del marito che, nell’ambito di una crisi coniugale im¬provvisamente insorta da pochi mesi, non fornisce alla moglie il denaro occorrente per le esigenze primarie di quest’ultima e della famiglia, provvedendo però in prima persona al reperimento delle provviste domestiche e a talune spese mediche).
Solo la celebrazione dell’udienza di comparizione davanti al Presidente ex art. 706 c.p.c. o ex art. 4 l. n. 898 del 1970 preclude l’accoglimento del ricorso per La protezione contro gli abusi familiari. Ne deriva che, ove tale udienza non si sia tenuta, la domanda prevista dall’art. 342 bis c.c. è senz’altro ammissibile, nonostante la con¬temporanea o la previa proposizione del ricorso per separazione personale o per divorzio.
Tribunale Firenze, 15 luglio 2002 (Famiglia e Diritto, 2003, 3, 263 nota di DE MARZO
L’ordine di pagamento periodico di un assegno è accessorio al provvedimento di allontanamento dalla casa fa¬miliare.
II reclamo avverso il provvedimento con il quale venga concesso l’ordine di protezione contro gli abusi familiari introduce un giudizio avente natura di revisio prìorìs instantiae, con la conseguenza che è inammissibile la pro¬duzione di documenti nuovi e la richiesta di assunzione di prove costituende.
Laddove il richiedente l’ordine di protezione contro gli abusi familiari imposti la propria istanza come prodromica al giudizio di separazione, le spese del procedimento devono essere liquidate all’esito di quest’ultimo giudizio.
Tribunale Roma, 25 giugno 2002 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare può essere applicata non solo per far cessare una convivenza a rischio, ma anche per impedire che riprenda, contro la volontà della persona offesa, una convivenza già temporaneamente cessata (applicazione in tema di maltrattamenti in famiglia).
Tribunale Napoli, 1 febbraio 2002 (Famiglia e Diritto, 2002, 5, 504 nota di FIGONE)
Non può essere accolto il ricorso ex art. 342 bis c.c., in difetto del presupposto della convivenza tra l’istante ed il soggetto cui viene addebitato il comportamento violento (nella specie, la ricorrente lamentava di essere stata costretta ad abbandonare la casa coniugale a fronte di intimidazioni dei genitori e dei fratelli del marito, non conviventi con la coppia).
Tribunale Bari, 20 dicembre 2001 (Famiglia e Diritto, 2002, 4, 397 nota di PETITTI)
Il ricorso ex art. 700 c.p.c., proposto dopo il deposito del ricorso per separazione giudiziale ma prima della udien¬za presidenziale, volto ad ottenere un ordine di protezione familiare (nella specie allontanamento del coniuge violento) deve essere dichiarato inammissibile perché sussistente lo specifico rimedio offerto dalla l. n. 154 del 2001, ovvero il ricorso ex art. 342 bis c.c.
Pur non atteggiandosi il ricorso ex art. 342 bis c.c. ad azione cautelare in senso stretto, in difetto della impre¬scindibile strumentalità rispetto ad un successivo giudizio di merito, non prescritto nella l. n. 154 del 2001, esso è un mezzo sovrapponibile al ricorso ex art. 700 c.p.c.
Le violente aggressioni verbali e minacce di arrecare mali ingiusti ledono in modo attuale e concreto l’integrità morale e la libertà del convivente e sono tali da giustificare, in mancanza di fatti integranti reati perseguibili d’uf¬ficio, l’adozione da parte del giudice civile dei provvedimenti ex art. 342 ter c.c. (nella specie ordine di cessazione della condotta pregiudizievole ed allontanamento dalla casa familiare del convivente violento).
Tribunale Trani, 12 ottobre 2001 (Famiglia e Diritto, 2002, 4, 395 nota di PETITTI)
Il pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente deve essere causato dalla condotta pregiudizievole del coniuge o di altro convivente, ragionevolmente intendendosi con tale termine reiterate azioni ravvicinate nel tempo e consapevolmente dirette a ledere i beni tutelati dalla l. n. 154 del 2001 in modo che ne sia gravemente e senza soluzioni di continuità temporale alterato il regime di condotta pregiudizie¬vole prevista dalla norma singoli episodi compiuti a distanza di considerevole tempo tra loro nei quali, peraltro, non sia ravvisabile la piena consapevolezza dell’autore (nella fattispecie l’autore della condotta era affetto da turbe psichiche e mentali). Costituisce dato assorbente, in virtù della riserva contenuta nell’art. 342 bis c.c., il verificarsi di episodi identificabili come reati perseguibili d’ufficio.
Tribunale Palermo, 4 giugno 2001 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Va allontanato dalla casa coniugale il marito che, con l’appoggio e la partecipazione attiva dei propri familiari, ha aggredito ed insultato la moglie, alla presenza, per di più, della figlia comune in tenerissima età; al medesimo va, altresì impartito il divieto di avvicinarsi all’abitazione dei familiari della moglie, e l’ordine di versare a quest’ulti¬ma, mensilmente, un assegno a titolo di contributo al mantenimento della minore.