La differenza reddituale tra i coniugi giustifica l’assegno divorzile in funzione compensativa e perequativa.

Cass. civ., Sez. I, Ord., 09.09.2024, n. 24110
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente
Dott. MELONI Marina – Consigliere Rel.
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere
Dott. RUSSO Rita Elvira Anna – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21905/2023 R.G. proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in SALERNO VIA FELLINE 11/B, presso lo studio
dell’avvocato CELENTANO LUIGI (Omissis) che lo rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
B.B.
– intimato –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO SALERNO n. 492/2023 depositata il
11/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/06/2024 dal Consigliere
MARINA MELONI.
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Salerno con sentenza n. 1843/2022 pubblicata il 25/05/2022 dichiarava
la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da A.A. con B.B., con revoca
dell’obbligo a carico del A.A. di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei
figli; negava la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di un assegno di
mantenimento in favore della B.B., atteso che la medesima non aveva specificamente
allegato e documentato la propria situazione economico-patrimoniale, costituente
presupposto imprescindibile per l’accertamento della situazione di squilibrio
economico, essendosi limitata ad allegare di non svolgere alcuna attività lavorativa e
di avere svolto l’attività di casalinga per volere del marito.
La Corte di Appello di Salerno accoglieva parzialmente l’appello, e ritenuto che dal
quadro probatorio complessivo, legato sia a presunzioni che a mancate contestazioni,
B.B. si era sempre dedicata alla conduzione della vita familiare in via pressocché
esclusiva durante la vita matrimoniale, contribuendo attivamente alle decisioni
concernenti l’unione matrimoniale e, stante uno squilibrio reddituale tra i coniugi,
riteneva sussistente il diritto di essa B.B. alla percezione dell’assegno divorzile.
Avverso la sentenza n. 492 del 2023 della Corte di Appello di Salerno, ha proposto
ricorso in cassazione A.A. affidato a tre motivi e memoria. B.B. non ha spiegato difese.
Motivi della decisione
I motivi di ricorso sono i seguenti:
I MOTIVO: nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 115
c.p.c.e dell’art. 132 n. 4) c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c. A.A. ha
dimostrato, anche documentalmente, che B.B. ha sempre lavorato in costanza di
rapporto matrimoniale; inoltre, esso A.A. ha sempre puntualmente contestato il rilievo
– infondato – che la stessa si sia dedicata, in via esclusiva, alla famiglia rinunciando
alla propria vita professionale.
II MOTIVO: omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 n. 5) c.p.c. L’avvenuta
parziale riforma della sentenza di primo grado, in dispregio delle univoche risultanze
probatorie, consente di invocare anche la violazione del motivo di cui al n. 5) dell’art.
360 c.p.c., nella denegata ipotesi di mancato accoglimento del primo motivo.
III MOTIVO: nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 n. 4) e 115 c.p.c. in
relazione all’art. 360 n. 4) c.p.c. La Corte di Appello ha affermato apoditticamente
che B.B. si sia dedicata, in via pressocché esclusiva, alla vita familiare durante il
matrimonio senza indicare la fonte, ed anzi contraddicendo tutti di elementi di segno
contrario emersi nel giudizio.
I tre motivi possono essere trattati congiuntamente, in quanto tutti diretti ad
evidenziare che la Corte di Appello di Salerno ha accolto la richiesta di un assegno
divorzile nella componente perequativo-compensativa, senza considerare che la
richiedente non avrebbe in alcun modo dimostrato a quali occasioni lavorative avrebbe
rinunciato negli anni per dedicarsi alla famiglia, come richiesto da recente
giurisprudenza di legittimità.
Il ricorso è inammissibile.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, nr. 18287 del 11/07/2018) hanno affermato
“Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi
una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi
dell’art. 5 , comma 6, della L. n. 898 del 1970 , richiede l’accertamento
dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli
per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della
norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla
attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in
particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-
patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla
conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di
quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio
ed all’età dell’avente diritto. La funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi,
anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla
ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del
contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del
patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (sul punto anche Cass.
5603/2020 e 17098/2019 ).
Ebbene, nel caso concreto, la Corte d’Appello ha correttamente tenuto conto della
suddivisione dei ruoli all’interno della famiglia, frutto di una decisione condivisa, e
riconosciuto di conseguenza l’assegno divorzile alla ex moglie, in quanto ha ritenuto
che la scelta di dedicarsi alla cura della famiglia e della casa sia stata decisa
congiuntamente dai coniugi.
Secondo la giurisprudenza più recente di questa Corte, infatti, l’assegno divorzile deve
essere – oltre alla eventuale componente assistenziale – anche adeguato, sia a
compensare il coniuge economicamente più debole del sacrificio sopportato per avere
rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali – che il coniuge richiedente
l’assegno ha l’onere di dimostrare – al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, sia
ad assicurare, in funzione perequativa, sempre previo accertamento probatorio dei
fatti posti a base della disparità economico-patrimoniale conseguente allo scioglimento
del vincolo, un livello reddituale adeguato al contributo fornito dal richiedente alla
conduzione della vita familiare e, conseguentemente, alla formazione del patrimonio
familiare e personale dell’altro coniuge, rimanendo, in tal caso, assorbito l’eventuale
profilo prettamente assistenziale. La prova presuntiva – idonea a fondare il criterio
compensativo-perequativo – è fondata, in tale prospettiva, proprio sul divario
economico tra i due coniugi che, se non può legittimare il criterio assistenziale,
quando la moglie è autosufficiente, è un fatto idoneo a fondare la prova presuntiva del
contributo dato dalla medesima alla crescita del patrimonio comune e dell’altro
coniuge, il che – in un’ottica di giustizia distributiva all’interno della famiglia – giustifica
l’assegno divorzile, pure in assenza di un sacrificio professionale da parte della moglie
(Cass. sent. 35434/2023 ). Nel caso concreto, la Corte d’Appello ha accertato che, sia
per via presuntiva che in forza di non contestazioni da parte del marito, la moglie si
era sempre dedicata alla famiglia ed all’accudimento del marito e dei figli. Tanto che
non risultava che essa avesse alcuna fonte di guadagno, e lo stesso ricorrente aveva
rilevato in primo grado, che la medesima aveva dismesso l’attività di parrucchiera fin
dal 2014. Le censure tendono, sostanzialmente, ad una rivalutazione del merito.
Il ricorso proposto deve essere dichiarato inammissibile. Nulla per le spese in
mancanza di attività difensiva da parte dell’intimato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater D.P.R. nr.115 del 30 maggio 2002 ricorrono i
presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.
Dispone altresì che ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196/03 , in caso di diffusione
della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle
parti.

L’onere di provare le circostanze sopravvenute è a carico del richiedente la modifica delle condizioni di divorzio

Cass., Sez. I civ., Ord. del 13 giugno 2024 n. 16579, Cons.
Rel. Dott.ssa Daniela Valentino
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta da
Dott. TRICOMI Laura – Presidente
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere
Dott. DAL MORO Alessandra – Consigliere
Dott. RUSSO Rita Elvira Anna – Consigliere
Dott. VALENTINO Daniela – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
A.A., rappresentato e difeso dall’ Avv. Romina Amicolo, ed elettivamente
domiciliato presso il suo studio in Napoli, Via Taddeo da Sessa CDN Isola C9
scala B, int. 53
– ricorrente –
Contro
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA presso la Corte di Appello di Trento,
con sede in Largo Luigi Pigarelli, 1, 38122 Trento
pec:prot.pg.trento@giustiziacert.it;
– intimata –
Nonchè
B.B., rappresentata e difesa dall’Avv. Annarosa Giovanna Molinari, ed
elettivamente domiciliata nel suo studio in Trento, via Diaz, 8
– controricorrente –
Avverso il decreto reso nella Camera di consiglio del 06.04.2022 dalla Corte di
Appello di Trento, Sezione Prima Civile, nell’ambito del procedimento recante
R.G. n. 119/2022 V.G. e comunicato a mezzo pec in data 7.7.2023, non
notificato.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23.4.2024 dal Consigliere
Daniela Valentino.
Svolgimento del processo
1. – Con reclamo iscritto in data 28.12.2022, A.A. ha impugnato il decreto del
Tribunale Trento pronunciato ai sensi dell’art. 710-bis c.p.c. e dell’art. 9 l.n.
898/1970 , con il quale è stata rigettata la domanda di riduzione dell’assegno
di mantenimento e condannato il ricorrente alle spese di giudizio liquidate in
Euro 2.000 oltre al rimborso forfettario al 15%, TVA e CPA. Ha formulato
istanza di sospensione dell’immediata esecutività del decreto di primo grado ex
art. 283 c.p.c. e la riforma nel merito.
Con ordinanza del 23.1.2023 la Corte ha fissato l’udienza del 6.4.2023 per la
trattazione in presenza della causa e ha assegnato termini per la notifica del
reclamo e per la costituzione in giudizio; con successivo decreto è stata
disposta la trattazione scritta del procedimento ai sensi dell’art. 127 ter c.p.c.
e in data 3.4.2023 il PG ha fatto pervenire le proprie conclusioni.
B.B. si è costituita, chiedendo il rigetto dell’istanza di sospensione del
pagamento delle spese di giudizio di l° grado, in quanto infondata per
mancanza dei presupposti del periculum in mora e del fumus boni iuris, e
comunque conforme al principio di soccombenza; nel merito, ha chiesto il
rigetto del reclamo perché infondato.
Il Procuratore Generale è intervenuto e ha chiesto il rigetto dell’istanza di
sospensione della condanna al pagamento delle spese di lite e del reclamo.
2. – Il ricorrente esponeva che aveva contratto matrimonio civile in data
27.11.2004 e dall’unione era nato il figlio minore C.C.. In data 19.11.2009, si
era separato consensualmente; lo scioglimento del matrimonio era stato
dichiarato con sentenza del Tribunale di Trento, nella quale era stato
determinato un contributo mensile a suo carico di Euro 270 a titolo di
mantenimento ordinario e straordinario del figlio C.C.
All’epoca del divorzio A.A., disoccupato, conviveva con il figlio minore D.D.,
nato da altra relazione, e le risorse economiche erano costituite dal RdC pari a
Euro 600 mensili e dal programma di sostegno alla povertà disposto dal
Comune di Apice. Dopo la sentenza di divorzio, nel 2021, tali condizioni
sarebbero peggiorate a causa dei mancato rinnovo, da maggio-giugno 2022,
del RdC dovuto all’esaurimento dello stesso (A.A. aveva già usufruito del
reddito per due volte e le prospettive di lavoro, a suo dire, erano nulle a causa
del possesso della sola terza media e della scarsa reperibilità di offerte di
lavoro) e ai numerosi procedimenti penali ai quali era continuamente
sottoposto per violazione degli obblighi di assistenza familiare. Al contrario, l’ex
moglie avrebbe avuto una situazione economica migliore, grazie
all’ottenimento di un alloggio ITEA a titolo gratuito che esonerava dagli oneri di
locazione.
3. – Il Tribunale, con il decreto n. 3606/2022, ha rigettato la richiesta di
modifica del provvedimento economico di mantenimento del figlio C.C. (nato
nel 2005), adottato con sentenza del 2021 sulla base degli accordi economici
delle parti. L’attuale ricorrente ha proposto gravame dinanzi alla Corte di
Appello di Trento che con il decreto impugnato ha respinto il reclamo.
4. – Per quanto qui di interesse la Corte adita ha preliminarmente, ricordato
che la Corte di Cassazione (ordinanza n. 283/2020) ha sottolineato che “I
provvedimenti in tema di mantenimento dei figli minori di genitori divorziati
passano in giudicato, ma essendo sempre rivedibili, divengono definitivi solo
“rebus sic stantibus”, sicché il giudice in sede di revisione non può procedere
ad una diversa ponderazione delle pregresse condizioni economiche delle parti,
né può prendere in esame fatti anteriori alla definitività del titolo stesso o che
comunque avrebbero potuto essere fatti valere con gli strumenti concessi per
impedirne la definitività…. ” (nello stesso senso cfr. anche Cass. Sez. I, ord.
6639 del 06.03.2023 ). Ha quindi statuito che:
a) il Tribunale ha correttamente valorizzato la documentazione dimessa dallo
stesso richiedente in sede di revisione e, in particolare, il modello ISEE
presentato all’INPS il. 10.1.2022 e relativo ai redditi dell’anno precedente, che
costituisce la ricostruzione, effettuata da A.A., della propria situazione
reddituale esistente nel 2021, cioè nello stesso periodo in cui è intervenuto
l’accordo sulla misura del mantenimento del figlio primogenito;
b) Anche la relazione del SST, prodotta in primo grado, è datata 30.11.2021:
attesta la presa in carico per l’erogazione di interventi di sostegno al reddito
nonché l’istanza per l’ottenimento del reddito di cittadinanza, con riferimento
alle condizioni economiche sussistenti nel 2021, le stesse che le parti avevano
considerato ai fini delle conclusioni congiunte rassegnate in sede di divorzio;
c) Né fatto nuovo sopravvenuto può essere considerata la circostanza del
mantenimento diretto da parte da A.A. del figlio secondogenito D.D., nato da
relazione more uxorio con E.E., atteso che l’ordinanza, in forza della quale il
minore risulta collocato prevalentemente presso il padre, è stata adottata il
29.11.2016, ben prima dell’intervenuto accordo divorzile;
d) dalle predette circostanze provate non si evince una modificazione in peius
delle condizioni economiche del reclamante, dopo la sentenza di divorzio, in
forza di fatti nuovi sopravvenuti, in quanto il suo assetto economico e
personale non è variato tra gli anni 2021 e 2022 (cioè tra il periodo del divorzio
e quello del procedimento di revisione);
e) La misura dell’assegno di mantenimento del figlio minore, in realtà, è il
frutto di determinazione concordata dalle parti che, nel 2021 l’hanno ritenuta
sostenibile e adeguata alle esigenze del figlio sedicenne e che, parimenti, può
essere tuttora considerata un sostegno economico minimale rispetto al
complesso dei bisogni della fascia d’età del giovane, tenuto conto del fatto che
l’aumento delle esigenze economiche del figlio è notoriamente legato alla sua
crescita e non ha bisogno di specifica dimostrazione;
f) il paventato miglioramento delle condizioni economiche dell’ex moglie è
rimasto non provato, poiché la circostanza che la stessa con il figlio si sia
trasferita presso la casa della madre nell’alloggio ITEA in via (Omissis) per un
breve periodo (poco più di un mese) non può essere considerato migliorativo
anche sull’allegazione dell’ex moglie di aver preso poi autonomamente in
locazione altro appartamento sostenendo i maggiori oneri abitativi per sé e per
il figlio.
5.- A.A. ha presentato ricorso straordinario per cassazione con due motivi.
B.B., ha presentato controricorso.
Motivi della decisione
Il ricorrente deduce:
6. – Con il primo motivo: Violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.,
nonché la motivazione apparente, ovvero l’omesso esame di un fatto decisivo
per la controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. perché
la Corte di Appello di Trento avrebbe omesso di valutare un documento, quale
l’accesso al banco alimentare per il mese di novembre 2022, che proverebbe,
in modo decisivo, il peggioramento delle condizioni reddituali del ricorrente, in
data successiva alla pronuncia della sentenza di divorzio, decisa in data
21.05.2021; ed inoltre, non avrebbe valutato che le condizioni della Sig.ra B.B.
erano migliorate in quanto “ha ottenuto un alloggio ubicato presso la unità di
proprietà dell’ente pubblico ITEA di Trento, sito in Trento alla Via (Omissis), a
titolo gratuito. Tale circostanza sarebbe provata dalla richiesta di cambio di
residenza del figlio minore presso il nuovo alloggio “senza costi a carico della
madre” inoltrata dalla B.B. al A.A., il quale ha prestato il consenso, come da
dichiarazione prodotta”. Deduce il ricorrente che la Corte di Appello di Trento,
omettendo la valutazione di tale decisivo documento, erroneamente aveva
ritenuto che il ricorrente non avesse fornito alcun “indizio” del miglioramento
delle condizioni di reddito dell’ex moglie. Lamenta che non sia stata valutata la
omessa produzione, sia in primo grado, sia in grado di appello, da parte della
resistente ex moglie, della documentazione fiscale e del certificato di residenza
e stato di famiglia, anteriori e successivi alla sentenza di divorzio, che avrebbe
comprovato il miglioramento delle sue condizioni reddituali.
6.1 – La censura è inammissibile ed anche in parte infondata. È infondata
perché la Corte ha dato ampia valutazione sulla circostanza del presunto
cambio di residenza in un alloggio ITEA evidenziandone la temporaneità, e
l’attribuzione dell’alloggio alla madre della B.B. e la definitiva sistemazione in
altro alloggio a sue spese.
È anche inammissibile perché sulle altre circostanze evidenziate omette di
considerare che l’apprezzamento degli esiti probatori è attività riservata al
giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove, ma anche
la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a
fondare la sua decisione (Cass., n. 16467/2017 ; Cass., n. 11511/2014 ; Cass.,
n. 13485/2014 ; Cass., n. 16499/2009 ). E, inoltre la doglianza sulla mancata
valutazione della documentazione fiscale non tiene conto che nella fase di
richiesta di modifica delle condizioni economiche è onere della parte allegare
quali siano le circostanze sopravvenute che dovrebbero determinare una
modifica rispetto alla pregressa situazione accertata in sede di definizione
dell’assegno, mentre quanto dedotto circa la cessazione della percezione del
RdC non appare decisivo, atteso che la temporaneità di questa misura era nota
alla parte sin dall’inizio della sua erogazione e nulla di concreto risulta essere
stato esplicitato in fase di merito sulle ragioni ostative all’inserimento del
ricorrente nel mondo del lavoro, sia pure in occupazioni congrue con le
modeste competenze dichiarate.
7. – Con il secondo motivo: violazione dell’art. 9 legge 898/1970 per la
modifica delle condizioni di divorzio, in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3,
c.p.c., perché la Corte di Appello di Trento, nel rigettare nel merito la richiesta
di adeguamento, avrebbe sostenuto che il carattere consensuale della
determinazione della misura del mantenimento, esclude la possibilità di una
modifica.
7.1 – La censura è inammissibile. La motivazione della decisione sul punto è
sostenuta da due rationes diverse. In particolare, la Corte ha precisato anche
che oltre la presenza dell’accordo la misura dell’assegno “(…) parimenti, può
essere tuttora considerata un sostegno economico minimale rispetto al
complesso dei bisogni della fascia di età del giovane, tenuto conto del fatto che
l’aumento delle esigenze economiche del figlio è notoriamente legato alla sua
crescita e non ha bisogno di specifica dimostrazione”. Alcuna censura viene
mossa a tale motivazione che di per sé fonda autonomamente la decisione, con
cui il doveroso assegno di mantenimento è stato confermato rilevandone la sua
quantificazione in termini di “sostegno economico minimale”.
Quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse
“rationes decidendi”, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la
statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di
esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla
“ratio decidendi” non censurata, piuttosto che per carenza di interesse. (Cass.,
n. 20118/2006 ; Cass., n. 18641/2017 ; Cass., n. 13880/2020 ; Cass., n.
5102/2024 ).
. – Per quanto esposto, il ricorso va dichiarato inammissibile con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate come in
dispositivo in considerazione che il patrocinio a spese dello Stato nel processo
civile, ex art. 74 , comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002 , non vale ad addossare
allo Stato anche le spese che la parte ammessa sia condannata a pagare
all’altra parte, risultata vittoriosa (Cass., n. 8388/2017 ; Cass., n. 25653/2020
).
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le
generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma dell’art. 52
D.Lgs. n.196/2003
Raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.000,00 =
per compensi e Euro 200,00 = per esborsi oltre spese generali, nella misura
del 15% dei compensi, ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 , comma 1-
quater, del d.P.R. 30.5.2002, n.115 , nel testo introdotto dall’art. 1 , comma
17, l. 24 dicembre 2012, n. 228 , dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Prima Sezione civile il 23
aprile 2024.
Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2024.

L’irrecuperabilità delle competenze genitoriali determina lo stato di abbandono morale e materiale del figlio

Corte
d’Appello di Brescia, Sezione III Civile – Minori, Sent. del 22
luglio 2024, Presidente Rel. Dott.ssa Maria Grazia Domanico
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI BRESCIA
SEZIONE III CIVILE – MINORI
composto dai signori Magistrati:
Maria Grazia Domanico Presidente rel. est.
Francesca Caprioli Consigliere
Annamaria Laneri Consigliere
Giulia Perin Consigliere onorario
Gian Paolo Baronchelli Consigliere onorario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale sopra indicato, promossa
con ricorso depositato in data 12.10.2023 da:
M. F., nato a C. (CR) il _____1977, e
S. G. R., nata a M. (ES) il ______-1994
residenti a C. (CR), Via_______, _ entrambi rappresentati e difesi
dall’Avvocato Cristina Pugnoli del Foro di Cremona, presso il cui studio in
Cremona (CR), Piazza Roma 2 sono elettivamente domiciliati
APPELLANTI
avverso la sentenza n. 103/23, emessa dal Tribunale per i Minorenni di Brescia
il 5.9.2023, depositata il 7.9.2023, con cui è stato dichiarato lo stato di
adottabilità del minore:
M. S. C., nato a M. il ______2019
sottoposto a tutela e rappresentato e difeso dall’Avv. Maria Grazia Castauro del
Foro di Brescia
CON L’INTERVENTO
DEL P.G., in persona della dott.ssa Cristina Bertotti
DEL TUTORE-DIFENSORE DEL MINORE Avv. Maria Grazia Castauro
DEGLI AFFIDATARI rappresentati dall’Avv. Carla Loda
*****
OGGETTO: Appello avverso sentenza di dichiarazione di adottabilità
CONCLUSIONI
PER LE PARTI APPELLANTI
Voglia l’Ecc.ma Corte di Appello adita, contrariis reiectis,
In via principale, − in riforma della sentenza n. 103/2023 (R.G. ADS _/2020)
resa dal Tribunale per i Minorenni di Brescia in data 5.09.2023, depositata in
Cancelleria in data 7.09.2023, notificata a mezzo pec – nel loro domicilio eletto
– ai ricorrenti in data 12.09.2023, revocare la dichiarazione di adottabilità del
minore C. M. S. non sussistendone i presupposti;
dichiararsi – per l’effetto – il non luogo a provvedere e, previa assunzione dei
provvedimenti ritenuti necessari nell’interesse del minore, disporre il suo
collocamento in idonea famiglia affidataria, senza mire adottive, con
regolamentazione del diritto di visita tra il minore ed i genitori;
In subordine, − in riforma della sentenza n. 103/2023 (R.G. ADS _/2020) resa
dal Tribunale per i Minorenni di Brescia in data 5.09.2023, depositata in
Cancelleria in data 7.09.2023, notificata a mezzo pec – nel loro domicilio eletto
– ai ricorrenti in data 12.09.2023 laddove ritenutane la necessità, disporre
l’adozione in casi particolari del minore C. ex art. 44 comma 1 lett. d) L.
184/1983, garantendo, per il tramite del servizio sociale competente, la ripresa
degli incontri del minore ed i genitori al fine di salvaguardare il rapporto tra C.
e gli odierni appellanti secondo le modalità ed i tempi ritenuti opportuni per la
tutela degli interessi del minore.
In via istruttoria, − Disporsi, occorrendo, nuova CTU al fine di valutare
l’adeguatezza dei Signori M. e S. G. a sviluppare e mantenere una positiva
relazione genitori – bambino.
In ogni caso, con vittoria di spese e compensi come da D.M. n. 55/2014.
PER L’INTERVENUTO P.G.:
Chiede il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
PER IL TUTORE DEL MINORE:
Rigettarsi l’appello proposto dai Sig.ri F. M. e R. S. G., genitori biologici di C.,
con conseguente conferma della sentenza n. 103/23 del Tribunale per i
Minorenni di Brescia depositata in cancelleria il 7.09.23, mantenendo il minore
nella famiglia affidataria a rischio giuridico ove egli si trova.
Spese di lite rifuse.
FATTO, SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con sentenza n. 103/2023, emessa il 5 settembre 2023 e pubblicata il
7.9.2023, il Tribunale per i Minorenni di Brescia ha dichiarato lo stato di
adottabilità del minore M. S. C., nato a M. il ____2019, figlio di F. M. e R. S.
G.; con immediata efficacia ai sensi dell’art. 10 L. adoz. ha dichiarato la madre
e il padre decaduti dall’esercizio delle responsabilità genitoriali; ha confermato
la sospensione dei rapporti tra il minore e la madre e il padre e ogni parente;
ha confermato la nomina quale tutore del minore dell’Avv. Castauro del Foro di
Brescia che continuerà a svolgere le funzioni di difensore; ha confermato il già
disposto collocamento del minore, a rischio giuridico, presso la coppia scelta
dal Tribunale.
Il Tribunale per i Minorenni ha evidenziato quanto segue:
‣ la procedura di adottabilità veniva aperta a seguito di ricorso del P.M.M. del
14.1.2020 con cui rappresentava: che il minore era stato segnalato dalla
Polizia in quanto la madre, il 4 settembre 2019, aveva chiesto di essere
collocata in comunità protetta perché abbandonata, priva di mezzi, dal
compagno in seguito a litigi. La madre del minore risultava invalida al 65% e
segnata da esperienze abbandoniche. Era inoltre madre di un altro minore
collocato in Spagna in affido etero familiare. La signora S. G. presentava
difficoltà psichiche complesse e risultava affetta da ritardo mentale. Il padre
del minore era anche egli affetto da ritardo mentale ed era già padre di due
figli, maggiorenni, che non vedeva da anni. Il signor M. era stato inserito in
una struttura di accoglienza. Il rapporto tra i genitori del minore era
ambivalente. Infine, il P.M.M. evidenziava che il minore era giunto in comunità
non vaccinato e la madre necessitava di continue sollecitazioni degli operatori
per l’accudimento del figlio.
‣ Con decreto emesso in via d’urgenza il 21 gennaio 2020 il Tribunale per i
Minorenni sospendeva i genitori dall’esercizio delle responsabilità genitoriali,
evidenziate le importanti fragilità personali di ciascuno; confermava in via
provvisoria la collocazione del minore con la madre in Comunità; impartiva
prescrizioni ai genitori vietando l’espatrio del minore; dava impulso all’attività
istruttoria richiedendo indagini ai servizi territoriali.
‣ All’udienza del 2 luglio 2020 venivano sentiti i genitori, la madre anche con
l’ausilio di un mediatore culturale. Si procedeva quindi all’ascolto della
responsabile della Comunità che accoglieva la madre con il figlio.
‣ Dalla relazione del servizio sociale del Comune di C. del 30 marzo 2020
emergeva che la madre del minore doveva essere seguita in un rapporto
costante da un educatore a lei esclusivamente dedicato e necessitava di essere
controllata a vista per preservare l’incolumità del minore; con relazione del 10
aprile 2020 gli operatori riferivano che la madre era aggressiva verso gli
operatori e gli ospiti della struttura e aveva nei confronti del figlio una cura
ossessiva, senza rispettarne tempi e bisogni. Dalla relazione del CPS del 20
luglio 2020 emergeva che la signora assumeva una terapia farmacologica a
scopo ansiolitico destabilizzatore dell’umore e che il ritardo mentale di cui era
affetta non era suscettibile di terapia. La donna non comprendeva il significato
delle regole e dei divieti e si mostrava reattiva nei confronti degli operatori.
Con relazione del 28 luglio 2020 il SERD di Cremona riferiva che il signor M.
persevera nell’uso di cocaina e nell’abuso di alcolici ed era scarsamente
collaborante con il servizio. Gli operatori segnalavano infine la impossibilità di
proseguire nel collocamento di madre e bambino in Comunità; la donna aveva
infatti aggredito un’altra ospite provocando l’intervento delle forze dell’ordine.
In data 31 agosto 2020 la Comunità sollecitava nuovamente le dimissioni della
signora R. S. G. che esprimeva quale suo unico progetto il rientro in Spagna
con il figlio presso una famiglia di gitani, con conseguente suo rifiuto di
integrarsi nel contesto ospitante, mostrandosi incapace di beneficiare degli
aiuti e dei sostegni offerti. La signora non appariva consapevole degli elementi
di criticità evidenziati e dei comportamenti pregiudizievoli per il figlio. La
Comunità ribadiva che la madre aveva bisogno della costante presenza di un
educatore a lei esclusivamente dedicato. Destava preoccupazione la tendenza
della signora a frequentare con leggerezza uomini poco raccomandabili, noti
alla Comunità.
‣ Il signor M., dopo l’evidenza delle analisi, aveva ammesso di essere dedito da
molti anni all’uso di sostanze stupefacenti e di non avere dedicato tempo al
figlio in quanto impegnato nella ricerca di un lavoro.
‣ Gli operatori avevano convocato il nonno del minore, C. M., di anni 70, che
però non si era presentato alla convocazione e, per il tramite del figlio, aveva
comunicato di non voler essere coinvolto.
‣ Il 31 agosto 2020 il piccolo C. subiva un nuovo ricovero ospedaliero a seguito
di ingestione di detersivo, circostanza riferita dalla madre che all’inizio si
rifiutava di seguire il figlio sull’ambulanza; gli operatori manifestavano
preoccupazione per la incolumità del minore anche nel contesto comunitario
perché la madre non era in grado di tutelarlo e di rispondere ai suoi bisogni;
appariva centrata su di sé e non collaborava con gli operatori, non traendo
giovamento dai sostegni offerti.
‣ In data 19 agosto 2020 il PMM proponeva domanda di declaratoria di
adottabilità del minore, con richiesta di decadenza di entrambi i genitori dalla
responsabilità genitoriale e collocamento del minore presso una coppia
adottiva.
‣ Con decreto del in data 19 agosto 2020 il Tribunale accoglieva la domanda
del PMM; evidenziava che il padre del minore persevera nell’abuso di sostanze
stupefacenti e alcoliche anche in pendenza del procedimento e contravvenendo
alle prescrizioni impartite. Ammetteva di non essere nelle condizioni di
provvedere al figlio. La madre si trovava con il figlio in Comunità ormai da un
anno e aveva dimostrato, anche per i suoi limiti cognitivi, aggravati da una
condizione psichica compromessa e da una storia personale di gravissima
deprivazione in ambito familiare, di non essere in grado di trarre beneficio dagli
aiuti offerti. Il minore non era tutelato dagli agiti impulsivi e improvvidi della
madre. A titolo esemplificativo: aveva quasi perforato il timpano del figlio nel
tentativo di pulirlo; C. aveva subito un avvelenamento per ingestione di
detersivo mentre era con la madre che non aveva neppure compreso la gravità
dell’episodio.
‣ Non vi erano parenti disponibili e idonei a prendersi cura del minore.
Con il decreto del 19 agosto 2020 il tribunale disponeva altresì la sospensione
dei rapporti con il padre che persevera nell’abuso di cocaina e alcolici senza
aderire ad un progetto terapeutico; si prevedevano incontri protetti con la
madre da modulare in ragione delle scelte di vita della madre; si disponeva il
collocamento del minore presso la coppia idonea ad una sua eventuale futura
adozione. Infine, si dava ingresso ad ulteriore attività istruttoria in relazione
alle condizioni dei genitori.
‣ Venivano acquisite ulteriori relazioni sociali specialistiche; veniva sentita la
coppia collocataria in contraddittorio con il tutore; venivano depositate
comparse conclusionali dalle parti e acquisito il parere del PMM.
‣ Con decreto in data 7 giugno 2022 il tribunale prendeva atto che il padre del
minore, nella memoria conclusiva, aveva rappresentato una modificazione delle
sue condizioni di vita. Gli approfondimenti venivano pertanto demandati a
c.t.u. collegiale. Acquisita la relazione peritale e precisate dalle parti le
conclusioni, il tribunale tratteneva la causa in decisione.
‣ Deve ritenersi accertato che il minore C. si trovi in uno stato di abbandono
materiale e morale e che ne va dichiarata la adottabilità come richiesto anche
dal pm e dal tutore. In applicazione dei principi indicati dalla Suprema Corte, a
distanza di oltre tre anni dall’apertura del procedimento, nonostante gli intensi
interventi di sostegno attuati dai servizi territoriali, deve ritenersi che per la
madre le capacità genitoriali sono risultate inequivocabilmente irrecuperabili e
anche dannose per il figlio, tanto da rendere necessaria la separazione del
minore dalla madre. Quanto al padre, egli non ha mai dimostrato interesse
reale per il figlio né si è mai attivato per un recupero della loro relazione,
disattendendo le prescrizioni impartite. Dunque, per entrambi i genitori le
capacità genitoriali non sono recuperabili e interventi di sostegno e educativi
sono insufficienti a sopperire alle loro gravi carenze.
‣ La consulenza collegiale ha consentito di accertare ulteriormente che la
madre non possiede sufficienti capacità genitoriali e che le stesse non sono
recuperabili in tempi compatibili con i bisogni del figlio. Le c.t.u., dott.ssa P. e
M., hanno accertato che il funzionamento della madre è profondamente
segnato da significative fragilità personologiche e da una sostanziale
disorganizzazione del sé, plausibilmente anche a matrice traumatica, che la
lasciano ancora oggi in balia di angosce, rabbie, conflitti e insaziabili bisogni
primari in un assetto generale caratterizzato da impulsività, immaturità, ritiro
sociale, imprevedibilità relazionale e traduzione attraverso il corpo del proprio
malessere. Le profonde fragilità personologiche impattano notevolmente sulle
carenze genitoriali rendendo la donna incapace di immaginare l’altro come
dotato di pensieri, emozioni e bisogni differenziati. La pervasività delle carenze
genitoriali rende inverosimile un possibile recupero, soprattutto in tempi
compatibili con i bisogni evolutivi di C.
‣ Le conclusioni delle consulenti trovano conferma oggettiva dei fatti e nella
storia della madre del minore nonché nel suo comportamento tenuto e
osservato nel tempo, lungo periodo nel quale sono stati dispiegati intensi
sostegni volti al recupero del suo ruolo genitoriale che si sono però rivelati non
sufficienti proprio a causa dei limiti della madre.
‣ La signora S. G. sembrerebbe non essere stata riconosciuta dal padre e
abbandonata di fatto dalla madre. Sarebbe stata allevata prima dei nonni
materni, zingari gitani, e poi da tale C. S., amica di famiglia, anche lei gitana.
Durante l’adolescenza risulta essere stata collocata in una comunità
terapeutica per un anno. Significativo è il suo comportamento verso il suo
primo figlio, R. S. G., di circa sette anni, che si troverebbe in Spagna presso
una famiglia, di cui la madre si disinteressa completamente. Giunta in Italia
con il signor M. e collocata in Comunità con il bambino, fin dal marzo 2020
emergeva la necessità che la madre fosse seguita in un rapporto costante con
un educatore solo a lei dedicato in quanto necessitava di essere controllata a
vista per preservare l’incolumità del minore. Era stata poi segnalata la
aggressività della donna nei confronti degli operatori e degli altri ospiti della
struttura nonché una cura ossessiva del figlio, senza rispettarne le reali
necessità. Da una relazione del CPS del 20 luglio 2020 emergeva che la madre
assumeva una terapia farmacologica. A causa del suo ritardo mentale non
comprendeva le regole e le indicazioni e si mostrava reattiva. La signora non
era consapevole di tutti questi elementi di criticità. Sentita in udienza, aveva
dichiarato di non voler avere niente a che fare con il signor M., con il quale la
relazione si sarebbe a suo dire interrotta a gennaio 2020; affermava quindi di
voler tornare in Spagna con il minore presso la signora S. Dichiarava infine non
voler più stare in Comunità.
‣ Una volta collocato il minore presso la famiglia scelta dal tribunale, dal 26
novembre 2020, la madre interrompeva la presa incarico al CPS e restava
collocata presso il B&B “l’H.” a M. a carico del Comune di C.
‣ La madre del minore ha subito diversi accessi al pronto soccorso nell’estate
2021 per malesseri vari, scomparsi quando, a settembre del 2021, aveva
comunicato che avrebbe ripreso la convivenza con M. e che aveva trovato un
alloggio a C. Dopo pochi giorni, aveva comunicato che tale progetto era fallito
a causa dei continui litigi con il compagno. Si trovava in una condizione
personale di dipendenza economica e nella gestione e cura di sé. Non vi era
alcuna progettualità per il futuro. Il vissuto abbandonico, unito ai limiti
cognitivi, alimentavano la sfiducia nell’altro, tanto da portarla a rifiutare gli
aiuti. Aveva infatti interrotto le visite psichiatriche e rifiutato il sostegno
psicologico.
A gennaio 2022 la madre del minore aveva comunicato di aver fissato la
residenza a casa del M. ma il rapporto era sempre caratterizzato da alti e bassi
e la signora, oltre che non collaborare con gli operatori, viveva in un
isolamento sociale.
Gli incontri con il figlio permanevano carenti di contenuti educativi e
l’organizzazione del momento era stereotipata e il bambino sembrava esistere
solo nel presente mentre non emergeva alcun interesse per le sue esperienze
di vita reale; non apparivano nella madre preoccupazioni circa il futuro del
figlio ed emergeva la estrema fragilità del legame. Tali incontri, nocivi per il
minore, andavano pertanto sospesi, essendo prevalente l’interesse di C. ad
avere stabili condizioni di vita presso la famiglia dove era stato collocato,
valutata idonea all’adozione. Anche le c.t.u. hanno valutato che il collocamento
del minore presso la famiglia risponde pienamente a tutti i suoi bisogni e che il
legame instaurato con le figure di accudimento è inscindibile.
‣ Non vi sono i presupposti per la conservazione del legame con la madre le cui
capacità genitoriali non sono recuperabili, che non ha del resto esercitato nei
confronti del primo figlio e che ha con C. un legame poco significativo, fondato
esclusivamente sul gioco stereotipato, non suscettibile di alcuna evoluzione. Gli
incontri con la madre sono pertanto destinati a non avere alcun significato per
il minore i cui diritti sarebbero pregiudicati dalla mancanza di possibilità di
definire la sua condizione giuridica.
‣ Il padre non ha mai dimostrato un concreto interesse per il figlio. Egli ha
proprio carico diversi procedimenti penali per reati contro il patrimonio; è
padre di due figli residenti a Roma con la madre, che non frequenta da anni.
Ha sempre avuto condizioni di vita poco chiare minimizzando e anche negando
l’uso di cocaina e abuso di alcolici anche dopo la nascita del minore. Nel corso
del procedimento ha vissuto a lungo in dormitorio o in casa di accoglienza per
senza tetto. È un soggetto immaturo e superficiale e non ha risorse per
compensare le gravi fragilità materne. I suoi incontri con il figlio sono stati
sospesi in quanto nel corso del procedimento, in seguito alle analisi e agli
accertamenti compiuti, ha ammesso di continuare a far uso di sostanze
stupefacenti da molti anni, fin da quando era sposato con l’ex moglie,
continuando a farne uso durante il periodo di permanenza in Spagna. Ha
interrotto ogni relazione con il servizio sociale a novembre 2020 e non ha più
chiesto notizie del figlio apparendo centrato sulla sua situazione personale.
Le consulenti hanno accertato che il funzionamento del signor M. è
caratterizzato da una immaturità di base che si sostiene su fragilità risalenti
all’età infantile. Ha una scarsa capacità riflessiva e manifesta un atteggiamento
minimizzante, con tendenza a non farsi coinvolgere nei vissuti emotivi perché
privo di strumenti adeguati a farvi fronte. È assente un reale investimento nel
suo ruolo genitoriale; non vi è l’intenzione né il desiderio di modificare il
proprio stile di vita al fine di riadattarlo alle esigenze del figlio. I consulenti
hanno accertato che egli asseconda il desiderio di genitorialità della compagna,
seppure non lo condivida nel profondo, manifestando sostanzialmente un
disinvestimento rispetto a C. Le consulenti hanno quindi concluso che egli non
possa rappresentare un riferimento affettivo, stabile e coerente per il figlio.
‣ Le risultanze dell’istruttoria sono chiare e univoche ed eventuali tempi di
recupero delle capacità genitoriali non sono compatibili con i bisogni evolutivi
del minore.
Non vi sono parenti che abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore
e, in ogni caso, nessun parente ha dato la disponibilità ad essere valutato per
l’affido del minore.
2. Avverso la sentenza hanno proposto appello i genitori del minore, che hanno
chiesto di revocare la dichiarazione dello stato di adottabilità del figlio,
concludendo come riportato in epigrafe.
Con il primo motivo gli appellanti, fatte alcune premesse teoriche sui
presupposti che integrano lo stato di abbandono, si sono limitati ad evidenziare
quanto segue:
‣ il Tribunale “ha omesso di accertare e provare, in concreto, quali sarebbero le
gravi ragioni che impedirebbero ai genitori di garantire al proprio figlio C. una
normale crescita ed adeguati riferimenti educativi, basandosi, esclusivamente,
su un pregiudizio, radicatosi poi in base alle risultanze di una CTU: ci si
riferisce al disturbo mentale di entrambi i genitori ed al fatto che gli stessi
abbiano altri figli di cui non si stanno, nei fatti, occupando”;
‣ la sentenza è quindi in contrasto con gli orientamenti interpretativi della
Suprema Corte (ex multis sentenze nn. 1501 del 2006, 26667 del 2007, 4388
e 5739 del 1995, 12491 del 2000) secondo la quale deve essere preferita la
crescita del minore nella famiglia naturale.)
‣ La sentenza ha dedotto lo stato di abbandono da elementi del tutto astratti,
essendo stato il minore istituzionalizzato in tenerissima età ed essendo stata,
di fatto, inibita ogni sperimentazione di affido ai ricorrenti.
Con il secondo motivo gli appellanti si dolgono della “omessa valutazione circa
la sussistenza dei presupposti per un’adozione ex art. 44, lett. d) L. 184/1983”
deducendo che:
‣ il Tribunale ritiene che non sussistano elementi per poter preservare un
legame tra il minore e la famiglia di origine, sostenendo che le capacità
genitoriali non sono recuperabili e che gli interventi di sostegno sia materiali
sia educativi sono insufficienti a sopperire alle gravi e non emendabili
deficienze genitoriali, senza tuttavia prendere in considerazione se vi fossero o
meno i presupposti di fatto e giuridici per un’adozione “mite” ex art. 44 lett. d)
L. n. 184/83;
‣ sussistono i presupposti per una eventuale declaratoria dello stato di
adottabilità che al contempo non rescinda completamente i rapporti con la
famiglia di origine, come invece dispone l’art. 27 della legge sull’adozione, in
quanto la previsione di una adozione legittimante “aperta” ammessa in taluni
casi da recenti arresti giurisprudenziali nella prospettiva della protezione della
continuità affettiva e del rispetto della vita privata e familiare – si fonda pur
sempre sull’opportunità di tutelare l’interesse del minore adottato a conservare
nel tempo un rapporto con i familiari che sia per lui significativo e funzionale
alla crescita.
‣ i genitori naturali, pur con le loro difficoltà e limiti dovuti anche ad un ritardo
psichico, sono una risorsa ulteriore per il minore, in quanto rappresentanti
affettivi della sua famiglia di provenienza che vanno inseriti, progressivamente,
nella vita di C. Si ritiene, infatti, imprescindibile, per la sua salute psichica,
l’acquisizione, discreta e progressiva, della sua situazione familiare, appunto
costituita – per così dire – da due famiglie.
‣ compito dell’autorità giudiziaria e, su suo incarico, del servizio sociale non è
solo quello di rilevare le insufficienze del nucleo o dei parenti prossimi, ma
altresì quello di concorrere, con interventi di sostegno, a rimuoverle, ove
possibile. E tale affermazione è tanto più vera nel procedimento che coinvolge
C. posto che confermare, oggi, la sua dichiarazione di adottabilità si
sostanzierebbe in un provvedimento del tutto sproporzionato ed ingiusto;
‣ laddove si ritenesse di dover confermare la declaratoria circa lo stato di
abbandono del minore e la conseguente sua adottabilità, si insiste perché
venga disposta la cd. “adozione legittimante aperta”, posto che nel nostro
ordinamento giuridico coesistono sia il modello di adozione fondato sulla
radicale recisione dei rapporti con la famiglia di origine, sia modelli che
escludono tale requisito e consentono la conservazione del rapporto, quali le
forme di adozione disciplinate dagli artt. 44 e ss. della L. 148/1983.
3. In data 16.11.2023 il difensore degli appellanti ha depositato atto di rinunzia
al mandato, comunicato ai propri assistiti con raccomandata a.r., di cui ha
prodotto copia.
4. In data 10.1.2024 si è costituita in giudizio la tutrice e difensore del minore
Avv Maria Grazia Castauro depositando comparsa di costituzione con cui ha
chiesto il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza impugnata.
Il difensore del minore ha dedotto quanto segue:
‣ Il primo motivo di appello è infondato: la conclusione a cui è giunto il
Tribunale per i Minorenni si è basata sull’osservazione del rapporto madre
figlio, visto che inizialmente il minore è stato collocato in struttura con la
madre, nonché sugli esiti di una lunga e complessa CTU. È stato
dall’osservazione diretta che è emersa l’assoluta incapacità della madre di
rispondere alle più elementari esigenze materiali del neonato, il quale in un
caso ha dovuto ricorrere alle cure del Pronto Soccorso a seguito ingestione di
detersivo.
‣La necessità di costante monitoraggio a seguito delle pesanti carenze
genitoriali, l’incapacità di creare un rapporto con le ospiti e con il personale ha
portato alle dimissioni della madre da ben due strutture ed al collocamento di
C. dapprima in famiglia affidataria e poi in “famiglia a rischio giuridico”
‣ Il padre ha dimostrato la propria incompetenza genitoriale nel momento in
cui ha continuato, nonostante la nascita del figlio, a far uso di sostanze
stupefacenti, che hanno portato all’interruzione degli incontri protetti, mai più
ripresi e che mai il padre ha richiesto di riattivare.
‣ La CTU ha concluso per la irrecuperabilità delle funzioni genitoriali per
entrambi i genitori.
‣ L’accertamento dello stato di abbandono morale e materiale si basa su una
completa istruttoria e non su valutazioni superficiali o pregiudizi e va pertanto
confermato.
5. In data 25.1.2024 è stata depositata una memoria autorizzata ex art. 5 l.
184/1983 nell’interesse della coppia collocataria, con cui si riferisce quanto
segue:
‣ con provvedimento del 02.11.2020 è stata comunicata la decisione del
tribunale minorile di collocare il minore presso di loro e, poco dopo, i signori
hanno conosciuto C; da quel momento è iniziato il percorso di avvicinamento
che si è concluso con lo stabile inserimento del bambino presso i collocatari in
data 26.11.2020 (dopo circa un mese trascorso presso altra famiglia di pronto
intervento); all’epoca il bambino aveva circa un anno e mezzo;
‣durante il periodo del collocamento a rischio giuridico C. ha incontrato la
mamma R. con incontri protetti con cadenza mensile per la durata di un’ora
presso un luogo neutro indicato dal Comune di C.; gli incontri si sono svolti
sino al mese di settembre 2023;
‣ Dopo una prima fase di “assestamento” C. è oggi un bambino sereno che
sente di avere un futuro garantito dalla presenza affettuosa e strutturante di
quelli che ormai considera i suoi genitori. C. ha oggi quasi cinque anni e ha
vissuto la gran parte della sua vita nel nucleo familiare dei collocatari.
Attualmente il bambino frequenta il secondo anno della scuola dell’infanzia
bilingue ed ha instaurato ottime relazioni sia con le maestre sia con i compagni
(ved. relazione – doc. 02). Il rapporto che si è strutturato con la coppia in
questi oltre tre anni di accoglienza ha ormai i caratteri della naturalezza e della
sicurezza, tanto che C. riconosce nei collocatari le figure esclusive di
riferimento; nel tempo C. ha anche costruito legami di profondo affetto con
tutta la famiglia allargata e con gli amici dei collocatari.
6. In data 2.2.2024 è pervenuta la relazione di aggiornamento da parte dei
servizi sociali.
Gli operatori hanno riferito che, dopo l’interruzione dei rapporti tra madre e
figlio gli operatori hanno avuto solo due contatti telefonici con la signora S. R.
Invitata a recarsi personalmente dagli operatori, la signora si era rifiutata
affermando di ritenersi una buona madre e mostrando di non comprendere le
proprie difficoltà nell’accudimento del figlio. Aveva riferito agli operatori di aver
svolto diversi lavori, ma di aver avuto problemi personali con i titolari delle
varie attività, motivo per cui non vi era stata continuità nei contratti di lavoro.
Aveva riferito, all’inizio del 2022, di aver ripreso la relazione con il signore F. M.
che a suo dire si era impegnato per la ripresa della convivenza. Dalla
primavera 2021 il padre non aveva mai presentato richiesta di colloqui con gli
operatori né di vedere il figlio. Nel 2022, su pressione della compagna, come
da lui dichiarato, aveva telefonato agli operatori non esprimendo peraltro
alcuna richiesta né alcuna preoccupazione in merito al piccolo C. ma
limitandosi a comunicare che la compagna stava esercitando su di lui una certa
pressione in relazione alla situazione. Da allora gli operatori non avevano più
avuto contatti con il signor M.
7. In data 2.2.2024 il P.G. ha emesso parere del seguente tenore: “letti gli atti
del proc. civ. n. 356/23 V.G., osserva: va confermata la declaratoria di
adottabilità del minore C., pronunciata dal Tribunale dopo aver svolto una
istruttoria approfondita, anche attraverso una C.T.U.; è emerso chiaramente
che entrambi i genitori non sono in condizione di prendersi cura in maniera
adeguata del figlio e che non vi è stato un recupero delle capacità genitoriali
durante il lungo svolgimento del giudizio (ricorso depositato dal P.M. il
14.1.20), né detto recupero appare seriamente ipotizzabile in tempi brevi;
entrambi i genitori hanno dei figli nati da altre unioni di cui non si occupano; la
madre presenta una grave condizione di fragilità, dipendenza psicologica ed
economica, assenza di progettualità, aggressività con gli operatori, scarsa
consapevolezza delle esigenze del figlio (v. ad esempio quanto accaduto
quando il minore ha ingerito del detersivo), immaturità, ed è affetta da un
ritardo mentale insuscettibile di futuro miglioramento; il padre abusa di alcool
e cocaina, non ha una stabile organizzazione di vita, è gravato da precedenti
penali, a novembre 2020 ha interrotto ogni rapporto con i Servizi Sociali, e si è
disinteressato del figlio, rispetto al quale ha manifestato un sostanziale
disinteresse; il minore, collocato presso una coppia dal 26.11.20, si è inserito
nella nuova famiglia, alla quale è profondamente legato; vive una situazione di
stabilità emotiva e psicologica, rassicurato dall’affetto dei collocatari; in questa
situazione, non ricorrono i presupposti per stabilire che i genitori continuino ad
avere contatti con il figlio, anzi: detti contatti sarebbero certamente dannosi
per C., minandone l’equilibrio raggiunto sinora; chiede, pertanto, il rigetto
dell’appello.”.
8. All’udienza del 9.2.2024 gli appellanti non sono comparsi personalmente. Il
difensore ha riferito di aver rinunciato al mandato e che le parti si erano rese
irreperibili. La Corte ha rinviato la causa per consentire agli appellanti di
munirsi di nuovo difensore delegando, nelle more, i consiglieri ausiliari a
procedere all’ascolto degli affidatari, mantenendone riservate le generalità.
9. In data 6.3.2024 sono stati sentiti gli affidatari del minore che hanno riferito
che C., che è in famiglia dal 26.11.2020, è sereno e ha molti amici. Hanno
riferito che nel primo periodo era triste e impaurito, anche se fin da subito
aveva chiamato mamma l’affidataria, attaccandosi a lei. Attualmente appare
molto tranquillo, non ha problemi di distacco quando va alla scuola materna, è
allegro, sicuro, divertente e fantasioso. Ha momenti di rabbia quando si sente
frustrato. Inizialmente non riusciva a gestire questa rabbia, poi gradualmente è
riuscito a controllarla. Ha iniziato un percorso di psicomotricità. “Il bimbo non
chiede della famiglia di origine e noi, comunque, gliene parliamo per fargli
capire che non era sbagliata. Fino ai primi di settembre abbiamo portato il
bimbo agli incontri con la madre biologica e dopo questi incontri lui era
arrabbiato. Prima degli incontri con la madre biologica il bimbo non evidenziava
alcuna reazione. Anche all’asilo ci segnalavano il malessere del bimbo dopo gli
incontri.”.
10. All’udienza del 12.4.2024 gli appellanti non sono comparsi personalmente e
i procuratori delle parti hanno insistito nelle rispettive richieste come sopra
trascritte.
La Corte ha quindi trattenuto la causa in decisione.
11. La Corte ritiene che l’appello proposto dai signori F. M. e R. S. G., al limite
della ammissibilità, debba essere respinto e la sentenza confermata,
sussistendo lo stato di abbandono del minore C. M.
Nonostante l’appello palesi diversi profili di inammissibilità, è opportuno
comunque valutarne nel merito il contenuto, data la importanza e gravità della
decisione assunta.
La Corte condivide integralmente la motivazione della sentenza impugnata,
sopra in parte riportata, avendo il Tribunale per i Minorenni esaminato in modo
esaustivo tutte le emergenze istruttorie e avendo correttamente formulato una
valutazione prognostica negativa circa un recupero delle funzioni genitoriali da
parte degli appellanti in tempi compatibili con le esigenze di crescita del
minore.
Nel loro atto di appello i signori M. e S. G. non si confrontano con il contenuto
delle numerose relazioni degli operatori psicosociali in atti, né con la relazione
delle CTU, né le contestano quanto allo svolgimento degli accadimenti e alle
valutazioni ivi contenute, in relazione ai comportamenti concreti tenuti dai
genitori del minore.
Le doglianze sono assolutamente generiche e censurano la sentenza, di fatto,
solo richiamando noti principi generali in materia.
Con il secondo motivo di appello si prospettano e sovrappongono soluzioni
diverse, impropriamente richiamando l’art. 44 lettera D legge adozione, che è
istituto del tutto diverso dalla adozione legittimante con mantenimento dei
legami e che è domanda inammissibile in questa sede.
Quanto alla domanda subordinata di conferma della pronuncia di adottabilità,
ma con modifica della sentenza nella parte in cui interrompe i legami con i
genitori, non viene illustrato il motivo per cui, in concreto, il mantenimento dei
legami con la famiglia di origine sarebbe nell’interesse del minore, mentre le
relazioni in atti e la motivazione del Tribunale illustrano perché il rapporto con i
genitori era, fino alla sospensione dei rapporti anche con la madre, di
pregiudizio per il minore che, dopo la sospensione, mai li ha nominati,
mostrando un attaccamento sempre più sicuro alla famiglia adottiva.
È significativo che nell’atto di appello non venga posta alcuna attenzione alle
condizioni psico-fisiche del minore, né venga spesa alcuna parola che lo
riguardi in concreto, in relazione alle condizioni in cui si trovava quando era con
la madre, ai pericoli che ha corso anche per la sua incolumità, alla natura del
legame con la madre, apparso – all’osservazione successiva degli incontri in
spazio neutro – poco profondo, nonostante avesse vissuto con lei in Comunità.
Il minore è apparso particolarmente accondiscendente con la mamma,
cercando di assecondare le sue aspettative e, comunque, sempre lui
propositivo nel gioco. Nella relazione del 2.3.2022 si legge: “…gli incontri si
ripetono piuttosto simili, seguendo la ritualità delle fasi gioco-merenda-gioco.
Ad inizio incontro la signora S. chiede sempre al figlio di dimostrarle di
riconoscerla attraverso la domanda: “io chi sono?” e accompagnando la
risposta: “sono mamma R.” Rimane predominante il bisogno della signora di
documentare l’incontro attraverso video e foto con il figlio, rispetto al quale si
limita a commentarne l’aspetto esteriore, come il taglio dei capelli, l’aumento
dell’altezza e del numero di scarpe, dimostrando di avere una visione del figlio
relativa al “qui e ora” dell’incontro protetto e non estesa alla totalità dei vari
aspetti di vita del bambino…. C. accede tranquillamente agli incontri e con
altrettanta serenità si congeda dalla mamma non appena gli viene comunicato
che è terminato il tempo a disposizione. Nei confronti della madre C. mantiene
un atteggiamento tra l’accondiscendente e il giocoso, limitando i
comportamenti di autoaffermazione tipici dell’età perché poco graditi alla
madre, che tende a interpretarli come reazioni alla sua persona.”
Le argomentazioni degli appellanti, spese per evidenziare la insussistenza, a
loro giudizio, dello stato di abbandono, non appaiono idonee a contrastare la
motivazione del Tribunale per i Minorenni, né il contenuto delle relazioni degli
operatori psico-sociali e delle consulenti, mantenendosi su un profilo
esclusivamente astratto.
Le gravi carenze di accudimento e di vicinanza emotiva al figlio hanno
determinato un danno psicofisico a C., evidenziato nei primi tempi del
collocamento nelle famiglie, superato nel tempo grazie alla stabilità e sicurezza
acquisite presso la famiglia adottiva.
Ritiene la Corte, così come le consulenti e il Tribunale per i Minorenni, che non
possa formularsi una prognosi favorevole in relazione ad un recupero, neppure
parziale, delle responsabilità genitoriali in tempi compatibili con le esigenze di
crescita e accudimento di C. La Corte condivide pertanto il giudizio espresso
dal Tribunale per i Minorenni di Brescia sulla sussistenza dei presupposti per la
dichiarazione di adottabilità del minore, non essendo gli appellanti in grado di
assumersi un compito genitoriale in tempi compatibili con le esigenze di
crescita del figlio, che ha diritto di crescere in ambiente accogliente e
protettivo.
Va evidenziato che i signori M. e S. G. si sono del tutto disinteressati del
presente giudizio, non comparendo alle due udienze e rendendosi anche
irreperibili al difensore che ha rinunciato al mandato, proseguendo comunque
nella sua attività difensiva sino alla rimessione della causa in decisione non
avendo provveduto gli appellanti a munirsi di novo difensore.
In relazione al padre del minore, da tempo questi aveva manifestato
comportamenti indicatori di un abbandono materiale del figlio,
disinteressandosi totalmente di lui e non chiedendo di poterlo vedere. Egli ha
interrotto da anni i rapporti anche con i precedenti due suoi figli. È sempre
apparso totalmente acritico rispetto alla gravità della situazione e anche il
rapporto ambivalente con la signora S. G. dimostra la superficialità e
immaturità del suo stile di vita, mostrando una notevole fragilità della sua
personalità. Le consulenti nelle loro conclusioni evidenziano che “… sebbene il
sig. M. si sia reso disponibile alle indagini peritali partecipando ai colloqui e
sottoponendosi alla valutazione testale, la sua collaborazione è apparsa
sostanzialmente formale oltre che costantemente connotata da un importante
affaticamento generale. L’assetto rinunciatario rispetto alla possibilità di
costruire un rapporto con il figlio C., reso evidente dalle sue dichiarazioni
emerse nell’incedere degli incontri peritali, rende difficile immaginare un
effettivo desiderio, oltre alla capacità, di investire risorse ed energie in tal
senso. Inoltre, la sua esplicita volontà di non collaborare con i servizi
giustificata da vissuti abbandonici e conseguenti sentimenti rabbiosi di stampo
vittimistico, non consente una reale monitoraggio rispetto alle attuali condotte
di vita dell’uomo che potrebbero inficiare ulteriormente le capacità genitoriali.
Nonostante il suo odierno stile di vita, da quanto da lui rappresentato, appaia
caratterizzato da un sufficiente equilibrio, è parere di chi scrive che la
destabilizzazione provocata dall’introduzione di una variabile come quella del
reinserimento del figlio all’interno della sua vita (oltretutto non personalmente
ricercata, ma frutto dell’assecondare i desiderata della compagna R.) potrebbe
destrutturare l’attuale precaria stabilità personale e di coppia. Poiché dal
gennaio 2020 gli incontri padre-figlio sono stati interrotti, le scriventi non
hanno ritenuto opportuno riattivarli entro il contesto peritale ai soli fini
valutativi in assenza di una traiettoria chiara della relazione padre-figlio, al fine
di preservare il benessere psico-emotivo del minore. Pertanto, non è stato
ritenuto opportuno svolgere un’osservazione diretta da C. il signor M. Se
appare evidente che un rientro di C. in famiglia biologica non sia oggi
auspicabile oltre che possibile, risulta inoltre pregiudizievole l’eventuale ripresa
dei rapporti tra il bambino e il signor M. in quanto la motivazione estrinseca
alla base della sua formale richiesta non garantisce adeguate premesse per
poter procedere in tal senso. La riapertura alla relazione sarebbe sicuramente
elemento destabilizzante per il minore e, qualora non sostenuto da una
costanza, una stabilità e da un effettivo investimento, rischierebbe di divenire
per lui destrutturante e traumatizzante”.
Nessun dubbio, pertanto, che, con riferimento alla figura paterna, sussista
l’abbandono materiale e morale del figlio.
In relazione alla figura materna, richiamato tutto quanto evidenziato dal
Tribunale per i Minorenni, si richiamano altresì le conclusioni delle consulenti
che evidenziano che “…il funzionamento della signora R. S. G. è profondamente
segnato da significative fragilità personologiche e da una sostanziale
disorganizzazione del Sé (plausibilmente anche a matrice traumatica e
sicuramente ulteriormente debilitata da una scarsità di risorse cognitive) che
lasciano ancora oggi in balia di angosce, rabbie, conflitti e insaziabili bisogni
primari in un assetto generale caratterizzato da impulsività, immaturità, ritiro
sociale, imprevedibilità relazionale e traduzione attraverso il corpo del proprio
malessere. La fragilità psichiche della signora appaiono lievemente più
compensate quando contenuta entro le dinamiche di coppia con il signor M., le
cui attenzioni devono essere totalmente investite su di lei. Entro gli incontri
protetti con C., la donna appare riuscire spesso a mantenere un assetto che
permette la genesi di un clima abbastanza sereno, plausibilmente anche grazie
a una routine ormai consolidata e alla funzione di contenimento attivo degli
operatori presenti. La profonda fragilità personologiche impattano
notevolmente sulle carenze genitoriali della donna, rendendola incapace di
immaginare l’altro come dotato di pensieri, emozioni dei bisogni differenziati
e/o non funzionale al soddisfacimento dei propri. La pervasività delle carenze
personologiche e genitoriali rendono inverosimile un possibile recupero in tal
senso, soprattutto in tempi compatibili con i bisogni evolutivi di C.”
Quanto ai rapporti tra madre e figlio, le consulenti, preso atto che per il tempo
trascorso il legame con la madre biologica era ormai consolidato nel mondo
psichico del bambino, concludevano ritenendo che una interruzione di tale
legame “…rischierebbe di cristallizzare nel mondo affettivo e psichico del
bambino aspetti relativi alla relazione con il materno biologico che potrebbero
consolidarsi in termini disfunzionali per il suo processo di sviluppo. Pertanto, è
auspicabile che vengano mantenuti gli incontri protetti tra C. e la signora R.
S.”. Tali conclusioni, per la verità molto poco motivate, se non in astratto, non
sono condivise dalla Corte, richiamandosi sul punto tutte le osservazioni svolte
dal tribunale per i minorenni.
A fronte dell’accertato stato di abbandono del minore e della irrecuperabilità
delle competenze genitoriali materne, bene evidenziate dalle consulenti, il
mantenimento dei legami nell’ambito di una adozione legittimante richiede ben
altri presupposti che non la semplice opportunità, data al minore, di fare i conti
con le proprie origini attraverso rapporti reali e coltivati nel tempo.
L’adozione legittimante con mantenimento dei legami, recentemente
prospettata dalla Corte costituzionale e, in realtà, da oltre un ventennio
riconosciuta, sia pure in rarissimi casi, anche da alcuni tribunali per i
minorenni, ha come presupposto una valutazione approfondita e
contestualizzata all’oggi dell’interesse del minore a mantenere la relazione.
Nel caso di specie il minore ha vissuto con la madre plurimi avvenimenti
traumatici, non ha costruito una relazione profonda e significativa con lei tanto
che gli incontri protetti gli provocavano, successivamente all’incontro, uno
stato di agitazione, come riferito dagli operatori, dalla famiglia collocataria e
dalla scuola.
Una volta interrotti i rapporti C. non ha mai fatto riferimento alla famiglia di
origine. Le stesse consulenti hanno accertato che “…l’attuale collocamento di C.
risulta oggi la base fondamentale per un positivo sviluppo psico-emotivo del
bambino. I signori collocatari vengono riconosciuti dal minore come riferimenti
affettivi solidi e stabili. Il minore li ha interiorizzati come figure genitoriali
accudenti, accoglienti e contenitive. I signori collocatari, sicuramente
profondamente legati al bambino, hanno investito e continuano ad investire
energie per comprendere e centralizzare i bisogni del bambino e sintonizzarsi
con i suoi stati emotivi. Pare fondamentale che tale assetto familiare venga
riconosciuto entro una cornice priva di incertezze e precarietà, in modo da
preservare i processi affiliativi già ben avviati, permettere al minore di
avvalersi di una base stabile per la propria costruzione identitaria e facilitare i
collocatari nell’elaborazione profonda del proprio ruolo genitoriale necessaria
per il benessere del bambino”. Tali conclusioni contraddicono dunque
chiaramente la precedente prospettata possibilità di mantenimento dei legami
e dei rapporti con la madre, che viene motivata solo in astratto, ovvero con la
necessità (che allora hanno tutti i figli adottivi) di fare i conti con le proprie
origini ogni qual volta si abbia comunque un ricordo della vita vissuta con la
famiglia biologica. Ma conoscere la propria storia e le proprie origini, cosa
certamente importante e che è anche compito della famiglia adottiva favorire,
non richiede il mantenimento dei legami e dei rapporti con i genitori biologici,
nonostante ciò venga spesso affermato da professionisti e operatori del diritto,
in particolare dopo la recente pronuncia della Corte costituzionale, che in realtà
dice altro. Piuttosto, meglio sarebbe consentire all’adottato una ricerca delle
proprie origini con modalità più semplici e ampie rispetto a quelle previste
dall’art. 28 l. adozione.
Il mantenimento dei rapporti con la famiglia di origine può essere previsto
quando vi sia un rapporto significativo, quando il comportamento del genitore
non rechi pregiudizio al figlio e quando vi sia una accettazione, da parte del
genitore, che il figlio sia accudito, cresciuto e educato da un’altra famiglia.
Nel caso di specie, la signora R. S. non ha consapevolezza dei propri limiti, non
riesce neppure ad accedere ad una relazione di aiuto, ha sempre anche avuto
condotte oppositive e financo aggressive. Dunque, mancano tutti i presupposti
perché possa configurarsi, anche solo in via astratta, il mantenimento di un
rapporto tra C. e la madre nell’ambito di una adozione legittimante.
In conclusione, la Corte ritiene accertato lo stato di abbandono materiale e
morale in cui si trovava, e si trova a tutt’oggi C. M., con la conseguenza che
deve essere confermata la sentenza impugnata, come richiesto anche dalla
tutrice e dal P.G.
P.Q.M.
La Corte respinge l’appello proposto da M. F. e da S. G. R. e conferma la
sentenza n. 103/23, emessa dal Tribunale per i Minorenni di Brescia il
5.9.2023, depositata il 7.9.2023, con cui è stato dichiarato lo stato di
adottabilità del minore M. S. C., nato a M. il _____2019.

Il tradimento e la condotta trascurante del coniuge e dei figli giustifica l’addebito della separazione.

. Corte d’Appello di Genova, Sentenza del 3
ottobre 2024, Consigliere Estensore Dott. Franco Davini
R.G. n. 1124/2023
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI APPELLO CIVILE DI GENOVA
SEZIONE III
Riunito in camera di consiglio e composto dai seguenti Magistrati:
Dott. Rossella Atzeni – Presidente
Dott. Franco Davini – Consigliere relatore
Dott. Giovanna Cannata – Consigliere
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Nella causa con oggetto: separazione coniugi
Fra:
C. P. (C.F.: ________) rappresentato e difeso dall’Avv. A. M. D. S. , presso il cui
studio sito in S. Via XX Settembre n. 9/3 è elettivamente domiciliato, come da
mandato in calce al ricorso di appello
– Appellante –
-contro-
M. B. rappresentata e difesa dall’Avv. M. B. , presso il cui studio sito in Genova
Via Fiasella 1/18 è elettivamente domiciliata, come da mandato allegato al
procedimento di primo grado
-Appellata e appellante incidentale –
E nei confronti
Avv. V. L. , con studio in Loano, via Ghilini 51/1 nella qualità di curatore speciale
dei minori M. e D. C.
– Appellato-
Conclusioni delle parti
Per l’appellante:
“Accogliere le seguenti CONCLUSIONI
1-dichiarare nulla e totalmente riformare la sentenza impugnata;
2-dichiarare l’addebito della separazione a carico della sig.ra M. B. , a seguito
delle sue violazioni dei doveri coniugali e più precisamente per abbandono del
tetto coniugale, per adulterio ed abbandono di minori;
3-dichiarando la capacità lavorativa e l’autonomia della sig.ra M. B. , statuire che
il sig. C. P. nulla le deve a titolo di mantenimento;
4-i figli minori, C. M. e D. , dovranno essere esclusivamente affidati al padre sig.
C. P. , alla luce della C.T.U. espletata, il padre ha mostrato la piena capacità di
esercitare la sua potestà genitoriale, a differenza della madre, sig.ra M. B. , ma
non si escludono, in ogni caso, incontri con la madre la cui determinazione si
lascia all’Autorità Giudiziaria;
5-in subordine, statuire l’affido condiviso con collocazione dei figli minori, C. M. e
D. , presso il padre, sig. C. P. ;
6-porre a carico della sig.ra M. B. l’obbligo di versare ogni mese € 500,00, al sig.
C. P. , per il contributo del mantenimento dei figli minori M. e D. C. ;
7-in via ulteriormente subordinata, confermare l’affido dei minori presso i Servizi
Sociali, ove sia il padre che la madre potranno visitarli, con l’esclusione della
possibilità per la madre di trascorrere del tempo al di fuori dell’istituto con il figlio
D. come stabilisce il dispositivo della sentenza impugnata al punto 5, non avendo
quest’ultima dimostrato di aver quanto meno recuperato la piena responsabilità
genitoriale nei confronti dei suoi due figli, facendo venire meno, pertanto l’obbligo
del sig. C. P. al versamento della somma di € 150,00 mensili per il
mantenimento del minore D. , confermando invece le visite del padre;
8-sempre in via subordinata, porre a carico dei genitori nella misura del 50% le
spese relative ai figli minori non coperte dalla struttura presso la quale gli stessi
sono collocati;
9-ancora in via subordinata, condannare la sig.ra M. B. , alla luce delle conclusioni
della C.T.U. e del fatto che il padre gode di maggior tempo da trascorrere con i
due figli mensilmente, al versamento per il contributo del mantenimento dei
minori della somma di € 250,00 a mese al sig. C. P. per il tempo trascorso con
quest’ultimo;
10-Condannare la sig.ra M. B. alla ripetizione in favore del sig. C. P. di tutte le
somme che quest’ultimo le ha versato a titolo di mantenimento personale in base
alla sentenza impugnata;
11-vittoria di spese e compensi professionali di entrambi i gradi di giudizio, con
attribuzione al sottoscritto difensore che se ne dichiara antistatario.
IN VIA ISTRUTTORIA, reiterando nella loro totalità l’articolazione e la richiesta di
ammissione delle prove orali del primo grado, SI CHIEDE:
A-l’audizione dei figli, C. M. e D. , ex art. 315 bis c.c., direttamente dal
Giudicante. Si segnala, nuovamente, le ordinanze n. 7262 del 04.03.2022 e n.
32876 dell’ 08.11.2022 della S.C. di Cassazione che ha sancito che il mancato
ascolto del minore infradodicenne costituisce una violazione del contraddittorio,
nell’ambito del giudizio di affidamento e di collocamento dello stesso, giacché il
bambino ha diritto di essere sentito essendo portatore di diritti e di interessi
diversi da quelli dei genitori; per cui, nel nostro caso, dovranno essere ascoltati C.
M. e C. D. ; infine, tale modalità di ascolto dei minori è stata sacramentata nella
recente riforma Cartabia con gli artt. 473bis e ss c.p.c. Si precisa che le prove di
cui si chiede l’ammissione vertono su circostanze anche diverse dalla questione
dell’affidamento dei minori.
In particolare SI CHIEDE:
B-l’ammissione dell’interrogatorio formale della sig.ra M. B. su tutti i seguenti
capitoli di prova e poi, sempre su tutti i seguenti capitoli, si chiede l’ammissione
della prova testimoniale:
1-Vero è che, tra l’anno solare 2020 ed il 2021, la sig.ra M. B. conobbe presso
l’ospedale Gaslini di Genova il sig. C. P. ;
2-Vero è che, tra l’anno solare 2020 ed il 2021, la sig.ra M. B. ed il sig. C. P.
instaurarono una relazione sentimentale ed intima;
3-Vero è che, nel Giugno 2021 la sig.ra M. B. si recava in S. M. a V. presso
l’abitazione del sig. C. P. portando con sé i figli minori, M. e D. ;
4-Vero è che, in S. M. a V. , presso l’abitazione del sig. C. P. , la sig.ra M. B.
ometteva di cucinare, pulire ed accudire i figli M. e D. ;
5-Vero è che, dopo alcuni giorni di convivenza, la sig.ra M. B. si allontanava
dall’abitazione del sig. C. P.;
6-Vero è che, la sig.ra M. B. si allontanava dalla casa famiglia P. P. di C. ad
inizio Luglio 2021;
7-Vero è che, quando il figlio M. C. era in fin di vita, il sig. B. M. accompagnò il
sig. P. C. dal figlio presso l’ospedale Gaslini di Genova ove il sig. C. P. chiedeva di
poter vedere il figlio e chiedeva informazioni circa lo stesso ai medici;
8-Vero è che, la sig.ra M. B. lasciava e gestiva la casa coniugale ove abitava
insieme con il sig. P. C. ed i figli come dalle fotografie e dai video (esibiti in
giudizio) che vengono mostrati al testimone;
9-Vero è che, tra il Marzo ed il Maggio 2020 il sig. C. P. si recò dalla madre
malata in R. di C.
10-Vero è che, nel Giugno 2021 in occasione del soggiorno presso l’abitazione del
sig. C. P. , la sig.ra M. B. usciva, omettendo di accudire e cucinare per i figli M. e
D. C. ;
11-Vero è che, il sig. C. P. varie volte dichiarava al sig. C. P. ed alla sig.ra M. B.
di voler prendere con se i figli, M. e D. ;
12-Vero è che, il sig. C. P. mai si è rifiutato di trattenere con sé i figli M. e D. ;
13-Vero è che, il sig. C. P. si rendeva pronto a versare al sig. C. P. somme di
denaro per i costi che quest’ultimo aveva sostenuto per i suoi figli minori, C. M. e
D. ;
14-Vero è che, il minore D. C. aveva un rendimento scolastico insufficiente
presso la scuola elementare M.G. R. in S. ;
15-Vero è che, al minore D. C. veniva spesso comunicato il negativo esito della
sua attività scolastica e di ciò venivano fatte note sul suo diario, note da portare a
conoscenza della madre.
16-Vero è che, il Prof. A. B. da decenni esercita la professione di medico in
Genova e precisamente presso la Clinica Montallegro alla Via Monte Zovetto n.27;
17-Vero è che, la sig.ra B. M. , nei periodi in cui il figlio M. C. è stato ricoverato
presso l’Ospedale GASLINI di Genova, ha percepito somme dall’associazione
CILLA LIGURIA ONLUS;
18-Vero è che, la sig.ra B. M. ha richiesto e ottenuto la pensione di invalidità con
i connessi vantaggi economici per il figlio M. C. ;
19-Vero è che, il sig. C. P. ha apposto la propria sottoscrizione sui moduli di
informativa e autorizzazione per genitore/tutore legale del 15.05.2020 e del
29.05.2020;
20-Vero è che, il sig. C. P. ha apposto la propria sottoscrizione sui moduli di
assenso per adolescenti “il mio studio con DARATUMUMAB” del 29.05.2020 e del
15.05.2020.
Su tutti i predetti capitoli, si chiede l’ammissione della prova testimoniale con tutti
i seguenti soggetti:
1-B. V. – Via P. M. – 89135 – G., R. di C.
2-R. V. – Piazza P. G. n.19 – 20131 – M.
3-C. C. – Corso V. V. n.2 – S. 4- B. M. – Via A. n.6 – 31100 – T.
5-P. C. – Via L. B. n.17 – S. M. a V. (CE)
6-S. F. – domiciliata in S. presso la scuola elementare M.G. R. di C. alla via M.
n.5 Si chiede, in ogni caso, di essere ammesso a prova contraria di quella
eventualmente ammessa a controparte.”
Per la parte appellata e appellante incidentale:
“Piaccia alla Ecc.ma Corte d’Appello adìta, disattesa e respinta ogni contraria
istanza e domanda e per le causali in atti
In via preliminare:
– dichiarare in toto l’appello principale inammissibile ex art. 348 bis cpc;
– in subordine, qualora non ritenga che il mancato rispetto delle specifiche
tecniche sulla forma e dei criteri e limiti di redazione dell’atto comportino
l’invalidità dell’atto di appello, valutare la violazione ai fini della decisione sulle
spese ex art. 46, commi 4 e 5, disp. att. c.p.c.;
– in ulteriore subordine dichiarare inammissibile la domanda posta dal ricorrente e
rassegnata nelle sole conclusioni (n.9 pag. 31 ricorso in appello) perché nuova; In
via principale:
– respingere l’appello formulato dal Sig. C. nonché tutte le domande ed eccezioni
formulate nell’atto di impugnazione, in quanto immotivato, infondato in fatto e
diritto e comunque basato su circostanze errate o comunque non provate per i
motivi tutti esposti in narrativa;
– In via incidentale, riformare parzialmente la sentenza ed ammettere le prove
orali non ammesse in primo grado; – In via incidentale rinformare parzialmente la
sentenza impugnata e conseguentemente dichiarare la separazione dei coniugi M.
B. e C. P. , con addebito esclusivo della stessa al Signor C. P. , per i motivi di cui
in narrativa; – in via incidentale, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, ad
espressione del diritto dei minori di vivere in famiglia, disporre l’affidamento
condiviso tra i genitori del figlio minore D. C. con collocazione di quest’ultimo,
anche in via graduale e controllata da parte dei Servizi, presso la madre con
diritto del padre a vederlo nei weekend e comunque anche in giorni differenti
secondo le disponibilità del padre e previo accordo dei genitori;
– conseguentemente, dichiarare il Sig. C. tenuto a corrispondere alla Sig.ra C. la
somma di Euro 400,00 rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT a titolo
di contributo al mantenimento dei figli;
In via subordinata:
– nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento dei motivi
principali dell’appello incidentale proposto, riformare parzialmente la Sentenza del
Tribunale di Savona e conseguentemente, confermare l’affidamento del figlio
Minore D. ai Servizi Sociali, e disporre, anche in modo graduale ma definito, la
collocazione principale presso la Sig.ra M. B. con diritto del padre a vederlo nei
weekend e comunque anche in giorni differenti secondo le disponibilità del padre
e previo accordo dei genitori;
– conseguentemente, dichiarare il Sig. C. tenuto a corrispondere alla Sig.ra C. la
somma di Euro 400,00 rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT a titolo
di contributo al mantenimento dei figli;
In via di ulteriore subordine:
– nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento dei motivi
principali dell’appello incidentale proposto, riformare parzialmente la Sentenza del
Tribunale di Savona e conseguentemente, confermare l’affidamento dei minori ai
Servizi Sociali con collocazione nella struttura nella quale già risiedono, con
progressivo e determinato programma di ampliamento dei momenti e periodi di
permanenza presso i genitori;
– conseguentemente confermare la sentenza ponendo le spese relative ai figli
minori non coperte dalla struttura presso la quale gli stessi sono collocati nella
misura del 65 % a carico dell’appellante, e nella misura del 35 % a carico
dell’appellata;
– conseguentemente confermare la sentenza ponendo a carico del Signor C. P. il
pagamento in favore della Signora M. B. , per consentire alla madre di offrire una
adeguata qualità del tempo trascorso con i figli minori – entro il giorno 10 di ogni
mese – la somma di Euro 150,00, da aumentarsi a seguito dell’aumento dei
periodi di permanenza presso la madre, o quella diversa stabilità dalla Corte,
rivalutabile annualmente secondo gli indici ISTAT; inoltre a titolo di
mantenimento della Signora M. B. porre a carico del Sig. C. P. il pagamento –
entro il giorno 10 di ogni mese la somma di Euro 300,00, annualmente rivalutabili
secondo gli indici ISTAT, fino a che la Signora M. non abbia una stabile e duratura
occupazione lavorativa;
In ogni caso:
– respingere l’appello formulato dal Sig. C. nonché tutte le domande ed eccezioni
formulate nell’atto di impugnazione, in quanto immotivato, infondato in fatto e
diritto e comunque basato su circostanze errate o comunque non provate e
confermare, per il resto la Sentenza del Tribunale di Savona n. 593/2023;
– con vittoria delle spese e compensi professionali del presente giudizio, di quello
di primo grado, oltre accessori di Legge.
In via istruttoria:
– ammettere la prova per interrogatorio formale e per testi sulle circostanze
indicate nei capitoli di prova dedotti ed indicati nella memoria ex art. 183, comma
VI n.2) del 17/2/2022 con i testi ivi indicati.”
Per l’Avv. V. , curatore speciale dei minori
“Voglia l’’Ecc.ma Corte di Appello adita, previe le declaratorie di rito meglio viste e
ritenute, anche con riferimento alla verifica del deposito della prevista relazione di
aggiornamento da parte dei Servizi affidatari, previo altresì, l’ascolto del minore
D. C. e/o l’integrazione e/o il supplemento della relazione della dott.ssa T. in
Giurisprudenza di merito Ondif
pagina 10 di 20
ordine alle condizioni emotive dello stesso in ordine a un suo possibile
reinserimento extra comunitario presso i genitori, in parziale modifica della
sentenza del Tribunale di Savona n. 593/2023, pubblicata il primo agosto 2023,
e previ gli accertamenti richiesti sopra,
a) affidare il figlio minore D. C. in via condivisa a entrambi i genitori con
collocazione di quest’ultimo, anche in via graduale e controllata da parte dei
Servizi, presso la madre dal lunedì, dall’uscita da scuola, al venerdì, all’ingresso a
scuola, e confermare quello presso il padre dal pomeriggio del venerdì, all’uscita
da scuola, al lunedì, all’ingresso a scuola ovvero, fuori dal periodo scolastico, dal
lunedì mattina al venerdì mattina presso la madre, e dal venerdì pomeriggio al
lunedì mattina presso il padre;
b) in continuità col punto che precede, ciascuno dei genitori potrà tenere con sé il
figlio metà vacanze scolastiche natalizie e pasquali (alternativamente
comprendenti il giorno di Natale e Pasqua). Per le ulteriori festività dovrà valere il
criterio dell’alternanza; ciascun genitore potrà inoltre trascorrere con il figlio il
giorno del proprio compleanno e in alternanza il pranzo o la cena del giorno del
compleanno del minore; quanto alle vacanze estive, ciascun genitore potrà tenere
con sé il figlio almeno quattro settimane anche non consecutive; i genitori
dovranno concordare i rispettivi periodi di vacanza entro il 31.5 di ogni anno e, in
caso di mancato accordo, si stabilisce fin d’ora che il padre potrà tenere con sé D.
la prima e seconda settimana di luglio nonché la terza e la quarta settimana
d’agosto; il regime così delineato dovrà essere inteso dalle parti in modo elastico,
avuto riguardo alle esigenze di D. e ai suoi impegni scolastici ed extrascolastici,
aventi valenza prevalente;
c) porre a carico di entrambi i genitori un contributo al mantenimento per la figlia
M. C. nella misura ritenuta equa e di giustizia avuto riguardo al fatto che la stessa
vive stabilmente presso la residenza del padre e che questi si fa carico di tutte le
relative spese;
d) in caso di conferma del regime di affidamento e pernottamento come
individuato alla soprastante lettera “a)”, porre a carico del padre un contributo
per il mantenimento del figlio D. di 300,00 euro mensili rivalutabili annualmente
oltre al pagamento del 50% delle spese straordinarie da individuarsi e richiedersi
secondo i protocolli vigenti nel Tribunale ove la famiglia stabilirà la residenza
prevalente, in subordine, in caso di mancato accoglimento di quanto richiesto sub
“a)” e “b)”, sempre in parziale riforma della Sentenza di primo grado, e)
confermare l’affidamento di D. C. ai Servizi Sociali del Comune di S. e la sua
collocazione nella struttura nella quale già risiede, incaricando gli stessi di
predisporre un progressivo e determinato programma di ampliamento dei
momenti e periodi di permanenza presso i genitori; conseguentemente,
confermare la sentenza appellata laddove f) pone le spese relative ai figli minori
non coperte dalla struttura presso la quale gli stessi sono collocati nella misura
del 65 % a carico dell’appellante, e nella misura del 35 % a carico dell’appellata;
Si insta altresì per la liquidazione delle spese del presente procedimento da porsi
a carico dello Stato, nella misura indicanda in corso di causa.”
Per la Procura Generale:
“Dichiara di intervenire e conclude allo stato per il rigetto di entrambi gli appelli”.
IN FATTO E DIRITTO
1.C. P. e M. B. contraevano matrimonio il ______ 2001 e dalla loro unione
nascevano i figli M. (nato nel 2002 e deceduto nel 2021), M. (nata nel 2006) e D.
(nato nel 2011).
Iniziato il procedimento di separazione giudiziale dei coniugi, il Tribunale di
Savona con sentenza n. 593/2023 del 29 luglio 2023 pubblicata il 01 agosto
2023 stabiliva quanto segue.
Il Tribunale riteneva di rigettare la domanda di addebito della separazione chiesta
da entrambe le parti per le condotte violative dei doveri coniugali costituendo non
la causa del deterioramento del rapporto di coniugio ma la conseguenza di un
rapporto patrimoniale ormai irrimediabilmente in crisi.
Per quanto riguardava il regime di affido dei minori il Tribunale riteneva che dalle
risultanze della CTU espletata, nonché dal provvedimento del Tribunale per i
Minorenni del 06 agosto 2021 e dalle relazioni dei Servizi Sociali ne derivava una
elevata conflittualità e la mancanza di comunicazione oltre che gestione dei figli
minori tale che i genitori non potevano svolgere correttamente il loro ruolo
genitoriale, il tutto connotato dal grave lutto subito con la perdita del figlio M.
Pertanto, il Tribunale confermava l’affido dei minori ai Servizi Sociali con loro
collocazione presso la comunità che li ospitava.
Per quanto riguardava il regime economico il Tribunale, valutando le condizioni
reddituali e patrimoniali di entrambi i coniugi e considerato che i minori si trovino
presso la “comunità ragazzi” stabiliva un contributo economico al mantenimento
di D. da quando comincerà a trascorrere con la madre i periodi di mezza giornata
comprensivi di pranzo e cena a carico di C. della somma di euro 150,00 mensili,
rivalutabili secondo gli indici ISTAT oltre al 65% a carico del padre e al 35% a
carico della madre per le spese non coperte dalla struttura.
Il Tribunale tenuto conto del loro divario reddituale ove il C. operaio
metalmeccanico trasfertista con contratto a tempo indeterminato percepiva un
reddito mensile di circa 2300/2400 mentre M. lavorava con contratti a tempo
determinato, fosse opportuno attribuire un assegno al mantenimento di euro
300,00 mensili annualmente rivalutabili secondo gli indici ISTAT.
2. C. P. proponeva appello chiedendo che fosse dichiarato l’addebito della
separazione alla moglie e che nulla venisse corrisposto a titolo di mantenimento
alla stessa, mentre chiedeva l’affidamento esclusivo dei figli o in subordine l’affido
condiviso sulla base dei seguenti motivi di appello
Primo motivo di appello,
la relazione del consulente tecnico di ufficio aveva travisato le dichiarazioni rese
dall’appellante durante i colloqui.
Infatti, sarebbe emersa una personalità del C. come uomo dedito al lavoro ma
incapace di esprimere le emozioni verso la famiglia, visto dai figli come una
“figura buona” rispetto alla madre fragile da un punto di vista emotivo, molto
provata dal lutto del primo figlio e con scelte che inconsapevolmente si
ripercuotevano sulla vita degli altri, come il suo trasferimento in Campania presso
l’abitazione dell’uomo che aveva conosciuto durante il ricovero di M. portando
con sé gli altri due figli.
C. sosteneva che il Tribunale aveva fondato il proprio convincimento solo sulla
base della CTU espletata nel corso del giudizio senza tenere conto dei documenti
e dichiarazioni degli specialisti della struttura ove risiedono i ragazzi.
Inoltre, il Tribunale aveva previsto un contributo al mantenimento per il figlio
durante la permanenza presso la madre di euro 150,00 mensili, anziché
prevedere l’affidamento esclusivo al padre non avendo alcuna carenza genitoriale
o, in subordine, l’affidamento condiviso con collocazione presso la di lui
abitazione.
Secondo motivo di appello.
C. contestava la decisione impugnata sottolineando che la crisi coniugale era da
attribuire ai continui tradimenti della moglie e, nonostante ciò, il Tribunale aveva
riconosciuto il versamento di un assegno a favore della moglie pari a euro 300,00
mensili.
Terzo motivo di appello
C. lamentava il riconoscimento di un sostegno economico in favore della moglie.
Il Tribunale aveva riconosciuto alla M. la capacità lavorativa con il deposito dei
vari contratti a tempo determinato.
Pertanto, chiede C. la riforma della sentenza nella parte in cui il Tribunale ha
disposto un assegno di mantenimento a favore della moglie non godendo dei
requisiti previsti dalla legge.
Quarto motivo di appello.
C. lamentava che il Giudice di prime cure non aveva ritenuto opportuno sentire i
minori così che aveva deciso sull’affido degli stessi presso la comunità,
comportando una violazione del contraddittorio per il loro mancato ascolto.
Quinto motivo di appello.
Non erano state ammesse le istanze istruttorie volte a valutare la domanda di
addebito dell’appellante con mezzi di prova.
Sesto motivo di appello.
C. contesta le percentuali di spese a carico di entrambi i coniugi ove nella
motivazione fa riferimento al 60% a carico di C. e 40% a carico di M. per poi
indicare in dispositivo le percentuali rispettivamente del 65% e del 35%.
Con il settimo motivo di appello.
C. chiedeva la ripetizione delle somme versate a M. da settembre 2023.
3. M. B. si costituiva chiedendo in via preliminare il rigetto dell’appello per
mancanza di specificità dei motivi di appello, chiedendo altresì nel caso di validità
dell’appello la Corte ne tenga conto in sede di decisione delle spese processuali.
In via incidentale domandava la riforma della sentenza in punto di affidamento
dei figli, in punto economico, istanze istruttorie e l’addebito della separazione al
C.
Sul primo motivo di appello, osserva che l’abbandono dei figli sostenuto dal C. era
avvenuto nel periodo in cui M. era stato ricoverato in ospedale per
l’aggravamento delle condizioni di salute e vi era la necessità di assistenza.
Inoltre, il trasferimento in Campania era avvenuto dopo il decesso del figlio e, in
quella occasione, M. aveva deciso di portare con sé i propri figli piuttosto che
lasciarli a casa da soli, anche se poi trasferiti in struttura non potendo il padre
occuparsi di loro essendo impegnato per lavoro fuori sede.
La M. aveva sempre cercato un maggiore spazio di incontro da passare con i figli
e partecipando ai programmi per migliorare il rapporto con loro ove con D. non vi
sono problemi mentre risulta essere conflittuale con M. .
La M. aveva sempre riconosciuto il ruolo genitoriale di C. quale padre capace di
garantire un sostentamento economico alla famiglia, risultando invece carente di
affetto sia nei suoi confronti che dei figli.
La CTU espletata in primo grado a cura della Dott.ssa T. aveva fatto emergere
“atteggiamenti e comportamenti scarsamente proattivi, e poco tutelanti per la
prole”.
Per quanto riguardava il ruolo della zia paterna, C. C. , pur avendo una influenza
positiva nei confronti dei ragazzi non poteva il padre sostituire la figura
genitoriale della madre con la zia delegandola al ruolo genitoriale.
Sul secondo motivo di appello correttamente il Tribunale aveva ritenuto non
sussistente l’addebito, essendo emerso in primo grado che la crisi coniugale era
già intercorsa da tempo.
Sul terzo e settimo motivo di appello inerente al mantenimento per la M. il
Tribunale aveva sostenuto che pur avendo delle potenzialità lavorative al
momento non disponeva di redditi propri e si trovava in una condizione reddituale
peggiorativa rispetto al C. , come emerso nel corso del giudizio.
Pertanto, risultava uno squilibrio reddituale che avrebbe giustificato l’attribuzione
di un assegno al mantenimento.
Nel caso di revoca dell’assegno di mantenimento il C. avrebbe richiesto la
ripetizione delle somme, ma tale conclusione non potrebbe essere accolta per
aver utilizzato le somme per il proprio sostentamento.
Sul quarto motivo di appello non può trovare accoglimento avendo il Tribunale
motivato l’omessa audizione dei minori in considerazione dello stress che avevano
subito con le vicende giudiziarie e avendo espresso le loro volontà in merito alla
loro collocazione.
Sul quinto motivo di appello inerente alla omissione delle istanze istruttorie il
Tribunale aveva ravvisato il mancato raggiungimento della prova per la
dimostrazione degli assunti utili per l’accoglimento di una domanda di addebito.
Sul sesto motivo di appello in ordine alle percentuali sulle spese a carico di
entrambi i coniugi si trattava di un errore materiale e da ciò non potrebbe
derivare una superficialità dell’intera decisione del giudice.
Sulle nuove richieste formulate M. chiede l’inammissibilità del punto 9. potendo C.
procedere ad una modifica delle condizioni economiche con autonomo giudizio.
Appello incidentale. Il Tribunale aveva erroneamente affermato che vi erano delle
forti conflittualità tra i coniugi in ordine all’esercizio della responsabilità
genitoriale. Sul punto si ribadisce che i rapporti tra marito e moglie erano già
incrinati da tempo e si sono accentuati con il grave lutto che ha dovuto subire la
famiglia. Ad oggi, le relazioni peritali hanno evidenziato una collaborazione
significativa tra M. e C. volta a superare le difficoltà comunicative ed emotive per
il benessere dei figli.
L’appellata inoltre non aveva mai voluto escludere il padre dalla vita dei figli,
tant’è che nel ricorso principale non ha mai avanzato richieste di affido esclusivo.
Pertanto, chiedeva una diversa collocazione dei minori alla luce delle risultanze
della CTU che aveva previsto un percorso di ampliamento dei genitori in vista di
una collocazione in famiglia dei figli.
In particolare, chiedeva l’affidamento condiviso di D. (essendo M. divenuta
maggiorenne) con collocazione primaria presso la madre, in subordine chiedendo
il permanere dell’affidamento ai Servizi Sociali con collocazione presso la madre
o, in ulteriore subordine di ampliare i tempi di permanenza con i genitori.
In punto economico seguono la richiesta modifica del regime di affido ed a un
maggior coinvolgimento dei genitori nel loro accudimento.
Inoltre, chiedeva l’addebito a carico di C. per aver dimostrato durante la vita
matrimoniale una personalità distaccata ai bisogni familiari.
Nel caso di accoglimento delle prove orali riproposte in sede di appello da C. ,
l’appellata chiedeva anch’essa l’ammissione delle istanze istruttorie nella parte in
cui prevedeva l’affidamento dei minori ai Servizi Sociali nonché in punto di
addebito in quanto le prove avrebbero dimostrato che la crisi coniugale era da
ricondurre al C. per le effettive carenze affettive dimostrate nei confronti della
moglie.
4. Si costituiva altresì l’Avv. V. , quale curatore speciale di M. e D. C. chiedendo
per M. un contributo da entrambi i genitori divenuta maggiorenne ma non
economicamente indipendente rimettendo alla stessa la decisione in ordine alla
collocazione abitativa, mentre per D. chiedeva la sua audizione e l’affido
condiviso con collocazione presso la madre dal lunedì al venerdì un genitore con
affido condiviso .
La richiesta di un contributo non era poi riproposta quando la ragazza
maggiorenne si era trasferita dal padre né la stessa interveniva nel procedimento.
La Procura Generale chiedeva il rigetto dell’appello.
La Corte procedeva all’audizione del figlio minore.
Le parti precisavano richieste e conclusioni all’udienza del 15 maggio 2024,
tenuta con le modalità della trattazione scritta ed all’esito la Corte decideva il
procedimento con camera di consiglio telematica.
5. Circa l’appello principale e l’appello incidentale in punto addebito della
separazione si osserva quanto segue.
L’appello incidentale è infondato.
Il fatto che il C. sia stato impegnato dal lavoro per mantenere la famiglia ed
obbligato a fare molto spesso trasferte fuori sede, nell’ambito di una consensuale
ripartizione dei compiti fra i due coniugi, non può essere certo essere causa di
addebito.
Essendo il figlio ricoverato seguito dalla madre è anche giustificato che il C. si sia
concentrato a casa sui due figli minori, ovviamente trascurati dalla madre.
Del resto il profondo affetto dimostrato da entrambi i figli nei confronti del padre
odierno appellante, che hanno portato la figlia M. una volta maggiorenne ad
andare a vivere da lui e il secondo figlio a dichiarare che come desiderio più
grande vorrebbe anche lui andare da lui smentiscono la tesi di un appellante
indifferente alla vita familiare.
Merita invece di essere accolto l’appello principale in punto addebito della
separazione alla Marino.
Non vi è prova di pregressi è ripetuti tradimenti da parte della M. B. in quanto le
asserite videocassette trovate, che comproverebbero i tradimenti, non sono mai
state prodotte e le prove orali dedotte appaiono generiche.
E’ invece non oggetto di contestazione il fatto che durante i giorni di malattia del
figlio M. M. B. tradì il marito con C. P. conosciuto in ospedale e dopo la morte
del figlio primogenito lasciò la casa coniugale per andare dall’amante nei pressi di
Caserta, che però la mandò via dopo poco più di un mese. Al che M. B. decise di
mettere i due figli minori mettendoli in comunità.
E’ facile immaginare l’effetto devastante dal punto di vista psicologico per il C.
della concomitante morte del figlio, scoperta del tradimento della moglie,
abbandono del tetto coniugale e sottrazione dei due figli.
Tutto questo integra una condotta altamente lesiva della dignità e della sensibilità
del C. che giustifica l’addebito.
Il fatto che il C. sia riuscito a controllarsi e non abbia reagito cercando di opporsi
in modo violento all’allontanamento, come purtroppo spesso accade, deve essere
apprezzato come segno di controllo e di adesione a modalità corrette di
comportamento e non come una indifferente acquiescenza.
6. L’accoglimento dell’appello principale in punto addebito fa venire meno il diritto
di M. B. di un assegno di separazione con conseguente assorbimento del relativo
motivo di appello.
Si osserva comunque che il fatto che M. B. concludesse contratti di lavoro a
tempo determinato che davano un reddito mensile di circa 1400,00 Euro al mese
e la documentazione fotografica scaricata da Instagram e depositata
dall’appellante, in cui sembrerebbe che M. B. abbia una stabile relazione con tale
P. G. farebbe dubitare che anche in caso di mancato addebito sussistano in fatto
i presupposti economici per un assegno di separazione.
Circa la domanda di restituzione delle somme erogate come assegno di
separazione tale importo non è specificato né sono stati documentati i
versamenti.
7.Circa i due figli, la figlia M. appena maggiorenne ha lasciato la comunità e si è
trasferita ad abitare presso il padre.
Il figlio D. , sentito dalla Corte, ha dichiarato:” il mio desiderio è stare a casa di
mio padre definitivamente e quando voglio stare con mia madre fare qualche
giorno con lei. M. ha compiuto 18 anni il 30 aprile ed attualmente sta con mio
padre.”
Non pare però consigliabile al momento un immediato ritorno del minore nella
casa paterna.
Infatti premesso che per sua stessa dichiarazione il minore si trova bene in
comunità, il minore è ancora un po’ piccolo per stare da solo quando il padre è via
per trasferte lavorative né si può pretendere che la sorella diciottenne M. si occupi
stabilmente ed in via continuativo del fratello.
Piuttosto nell’ambito di una sempre maggiore permanenza per alcuni giorni del
minore presso il padre, i Servizi Sociali dovranno monitorare le possibilità di un
rientro definitivo nella casa paterna, probabilmente intorno ai 15 anni.
Circa le modalità di incontro fra madre e figlio lo stesso si è dichiarato contento
delle attuali modalità di frequentazione.
Rimane fermo il contributo che i genitori devono versare alla comunità ospitante
D.
Per quanto riguarda M. la domanda di un contributo diretto a carico di entrambi
genitori inizialmente avanzata dalla curatrice speciale quando non è stata
riproposta nella formulazione delle conclusioni né la ragazza, divenuta
maggiorenne, è intervenuta per riproporre autonomamente la domanda,
Risulta opportuno disporre il sostegno psicologico ad entrambi i genitori e per il
figlio D. .
L’accoglimento solo parziale dell’appello comporta la compensazione delle spese
del giudizio di appello fra tutte le parti in causa.
Si deve dichiarare ai fini dell’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.p.r.
30 maggio 2012 n. 115 che l’appello è stato interamente rigettato.
Si deve disporre che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le
generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs n. 30
giugno 2003 n. 196 art. 53.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, respinta ogni contraria o diversa istanza
Sull’appello proposto da C. P. e sull’appello incidentale di M. B. accoglie
parzialmente l’appello principale e respinge l’appello incidentale e in parziale
riforma della sentenza del Tribunale di S. con sentenza n. 593 del 1° agosto
Giurisprudenza di merito Ondif
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2023 addebita la separazione a M. B. e revoca il contributo al mantenimento a
carico di C. P. ed a favore di M. B. .
Dispone che i Servizi Sociali curino un supporto psicologico a favore di entrambi i
genitori e del figlio D.
Dispone che i Servizi Sociali aumentino i giorni di permanenza del minore D. C.
presso il padre al fine di un progressivo trasferimento dello stesso dalla attuale
comunità ospitante alla residenza del padre.
Mantiene l’attuale modalità di frequentazione fra M. B. ed il figlio D. ,
Spese del giudizio di appello compensate fra tutte le parti in causa
Dichiara ai fini dell’applicazione dell’art. 13, comma 1 quater del D.p.r. 30 maggio
2012 n. 115 che l’appello incidentale è stato interamente rigettato.
Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le
generalità delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs n. 30
giugno 2003 n. 196 art. 53.
Genova lì 19 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Dott. Franco Davini
Il Presidente
Dott. Rossella Atzeni

Il reclamo ex art. 473-bis.24 non è sovrapponibile al 708 IV co. cpc.

Corte d’Appello di Milano, ordinanza 25 settembre
2024, Est. Dott.ssa Arceri
LA CORTE DI APPELLO DI MILANO
SEZIONE V CIVILE
La Corte, riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati:
Dott.ssa Anna Maria Pizzi Presidente
Dott.ssa Alessandra Arceri Consigliere rel.
Dott.ssa Maria Vicidomini Consigliere
Nel procedimento promosso da
A. A., nato a ___ il ____.1976 (C. F. _____), rappresentato, assistito e difeso dall’Avv. Roberta
Mandelli del Foro di Lecco (C.F. MNDRRT71R68E507L), con studio legale in Calco (LC), Via
Italia n. 44, presso la quale è elettivamente domiciliato
RECLAMANTE
contro
C. D. (C.F. ___) nata a ___ il ___.1981 e residente in ______, rappresentata e difesa- giusta procura
agli atti- dall’Avv. Marilena Guglielmana del Foro di Lecco, presso il cui studio sito in Lecco, alla
via Cavour n. 41, è elettivamente domiciliata;
RECLAMATA
Giurisprudenza di merito Ondif
3
Con l’intervento del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Milano
OGGETTO: reclamo ai sensi dell’art. 473 bis 24 c.p.c. depositato in data 10 luglio 2024 avverso
l’ordinanza, emessa ai sensi ex art 473 bis 22 c.p.c., del Tribunale di Lecco del 26 giugno 2024 e
comunicata alle parti in data 1 luglio 2024, nell’ambito del procedimento recante R.G. n. 396/2024.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Col provvedimento sopra citato il Tribunale di Lecco, in via provvisoria, ha così statuito: “(…)
“autorizza i coniugi a vivere separati, con l’obbligo del mutuo rispetto; dispone l’affidamento
condiviso delle due figlie minorenni, con collocazione presso la madre; assegna l’intera casa
familiare di _____ alla madre con quanto l’arreda, dando termine al coniuge fino al 31.7.2024 per
asportare dalla stessa i propri effetti personali e beni inerenti l’attività edile; dispone che il padre
veda e tenga con sé le figlie in base ad accordi che vorrà di volta in volta adottare con loro; pone a
carico di A. A. l’obbligo di corrispondere a C. D. in via anticipata entro il giorno 10 di ogni mese la
somma di euro 500,00 a titolo di contributo per il mantenimento della moglie e la somma di euro
500,00 per ciascuna delle due figlie a titolo di contributo nel mantenimento delle stesse: il tutto per
12 mensilità e con rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT; – il 70% delle spese straordinarie
secondo il seguente schema (…)
Le spese straordinarie si intenderanno concordate qualora il genitore, a fronte di una richiesta
scritta dell’altro, non manifesti motivato dissenso scritto entro il termine di dieci giorni o nel minor
tempo espressamente indicato dal genitore richiedente (comunque non inferiore a giorni tre), in caso
di necessità od urgenza. In difetto, il silenzio sarà inteso come consenso alla richiesta.
La quota di spettanza di ciascun genitore verrà posta a disposizione del genitore che provvederà
alla spesa entro il termine di quindici giorni dalla richiesta (salvo eventuali compensazioni o
conguagli in relazione alle sole spese straordinarie rispettivamente anticipate da ciascuno). Fissa
per la prosecuzione del giudizio la nuova udienza del 3 ottobre 2024 ore 11.30 per comparizione
parti ed ammissione prove (…)”.
2. Avverso il suddetto provvedimento ha proposto reclamo in data 10 luglio 2024 A. A. chiedendo:
“(…) In via preliminare Sospendere l’efficacia esecutiva del provvedimento in questa sede
reclamato con decreto inaudita altera parte od in subordine con ordinanza. In via principale -dare
atto e disporre che, a revoca della ordinanza reclamata, la Sig.ra C. non abbia diritto ad alcun
contributo a titolo di assegno di mantenimento né alimentare, in quanto la stessa dispone di capacità
economica e lavorativa e percepisce reddito per i titoli e causali che precedono; -mandare assolto il
Sig. A. A. dal pagamento dell’assegno di mantenimento in favore della sig.ra C., valutandone la
capacità lavorativa e la percezione di reddito; -dare atto della raggiunta indipendenza economica
della figlia S. e per l’effetto nulla prevedere per la medesima a titolo di contributo al mantenimento
ordinario;- determinare il contributo paterno al mantenimento della figlia F. in misura non
superiore a euro 250,00, sino al raggiungimento dell’indipendenza economica, ovvero nella misura
che sarà ritenuta consona, oltre al 50% delle spese straordinarie;- in accoglimento del presente
reclamo revocare ogni diversa ulteriore statuizione incompatibile prevista nella ordinanza
reclamata e disporre che il ricorrente abbia diritto alla restituzione di quanto nelle more
eventualmente versato in virtù della esecutività della ordinanza reclamata per mantenimenti e/o
spese alla moglie ed alle figlie, oltre interessi legali dal dovuto al saldo e eventuali spese
occorrende. -stabilire che il box e l’intercapedine sul retro dell’immobile rimangano in possesso del
Sig. A., affinché lo stesso si serva di tali pertinenze per la propria attività lavorativa; In via
subordinata nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento delle domande spiccate
in via principale, ovvero ove la Corte avesse a confermare il diniego di mantenimento nel possesso
dell’intercapedine e dell’autorimessa site presso l’immobile adibito a casa coniugale e a negare la
raggiunta indipendenza economica della figlia S.:
– dare atto che la Sig.ra C. non ha diritto ad alcun contributo a titolo di assegno di mantenimento in
quanto la stessa dispone di capacità economica e lavorativa e percepisce reddito;
– disporre l’onere del sig. A. al contributo al mantenimento delle figlie nella misura di euro 250,00
cadauna, ovvero nella misura che sarà ritenuta congrua in ragione della necessità di quest’ultimo a
dover reperire una soluzione alternativa ove ricoverare il proprio veicolo e gli strumenti per la
propria attività lavorativa, ciò oltre al 50% delle spese straordinarie; -revocare ogni diversa
statuizione prevista in ordinanza incompatibile con le presenti richieste, revocare il contributo al
mantenimento previsto per mogli e figlie in accoglimento del presente reclamo.
In via ulteriormente subordinata nella denegata e non creduta ipotesi di mancato accoglimento delle
domande avanzate in via subordinata, ovvero ove la Corte avesse a confermare il diniego di
mantenimento nel possesso dell’intercapedine e dell’autorimessa site presso l’immobile adibito a
casa coniugale, la debenza in capo alla sig.ra C. e ad entrambe le figlie del contributo a titolo di
mantenimento: -rigettare ogni richiesta anche per assegno di mantenimento o alimentare avanzata
dalla sig.ra C. e riformare / revocare ogni statuizione contenuta nella ordinanza reclamata
incompatibile con la presente richiesta; -determinare il contributo paterno al mantenimento delle
figlie in misura non superiore a euro 250,00 per ciascuna delle figlie, sino al raggiungimento della
loro indipendenza economica, ovvero nella misura che sarà ritenuta consona, oltre al 50% delle
spese straordinarie. In ogni caso Vinte le spese ed i compensi oltre IVA, CPA come per legge anche
per la fase di reclamo (…)”.
A sostegno della propria impugnazione ha censurato l’ordinanza impugnata per i seguenti motivi:
1. Erronea valutazione della percezione di reddito da parte della sig.ra C..
Parte reclamante ha lamentato il provvedimento del primo giudice per averlo obbligato a
corrispondere quale contributo al mantenimento nei confronti della moglie la somma mensile di
€500. Egli ha rappresentato che tale obbligo è stato previsto: sulla base della presunta mancanza di
prove di entrate economiche “in nero” della resistente; sulla presunta certezza dell’accordo coniugale
per la cessazione dell’attività lavorativa della C.; sulla necessità di supporto per l’ex moglie durante
la ricerca di occupazione e sulla valutazione errata dei redditi del ricorrente.
Nello specifico, ha dedotto che la moglie lavora in nero svolgendo attività di pulizia e di assistenza
agli anziani (v. doc. 13 sub. doc. B- indagine investigativa svolta da ente autorizzato) e che la stessa
riceve mensilmente versamenti di denaro che sembrano rappresentare delle retribuzioni economiche.
2. Errore di fatto e diritto nella valutazione della capacità economica della sig.ra C..
Quanto alla capacità lavorativa della moglie e alla ricerca di un’attività lavorativa, il reclamante ha
sottolineato che la stessa non ha prodotto, all’interno del procedimento, documentazione idonea a
dimostrare né l’impegno nella ricerca di un lavoro, né l’iscrizione in alcuna lista di disoccupazione o
del Centro per l’impiego.
3. Errore di fatto e di diritto nella ritenuta esistenza di un accordo in punto di cessazione
dell’attività lavorativa da parte della sig.ra C.
Con il terzo motivo di impugnazione, parte reclamante ha insistito sull’inesistenza di un accordo tra i
coniugi in merito all’interruzione dell’attività lavorativa della madre per potersi occupare dei figli
minori. Ha aggiunto che il consenso da lui prestato sarebbe stato frutto di un inganno perché dato
sulla base di presupposti fattuali differenti, ovvero, che i genitori della C. non avrebbero aiutato la
figlia nella gestione dei minori.
4. Errore di fatto e di diritto nella valutazione dei redditi del sig. A..
Il sig. A. ha altresì censurato il provvedimento del giudice di prime cure nella parte in cui non ha
determinato l’ammontare del proprio reddito al netto della tassazione e valutato la situazione
patrimoniale relativa agli anni 2020, 2021e 2022. Ha ricordato di essere un lavoratore autonomo e di
sostenere una serie di oneri fiscali (retribuitivi e contributivi); di dover far fronte alle spese
straordinarie delle figlie e al pagamento del mutuo per l’acquisto della nuova casa. Ha dichiarato di
percepire un reddito mensile di € 3.891,25 e di sostenere le seguenti spese: rata mutuo immobile in
C___ (€ 921,94); rata finanziamento automobile ___ (€ 253,28); rata finanziamento Agos Ducato (€
167,47); spese condominiali immobile in C_____e (€ 134,52); la somma di € 1.500 quale contribuito
al mantenimento per le figlie e per la sig.ra C. nonché le spese relative alla gestione dell’immobile
nel quale risiede.
Inoltre, egli ha evidenziato che se dovesse essere confermato l’ordine di liberare l’intercapedine e il
garage della casa coniugale utilizzata attualmente per il furgone e gli strumenti della propria attività
edile egli si vedrebbe costretto ad affrontare ulteriori spese per il canone di locazione di un nuovo
spazio adibito a tale uso, riducendo ulteriormente le proprie disponibilità.
5. Errore di fatto nella valutazione degli estratti conto Banca Mediolanum.
Il reclamante ha altresì lamentato la quantificazione del contributo al mantenimento a proprio carico
da parte del Tribunale di Lecco perché fondata su accrediti (pari ad euro 100.000,00) sul conto
corrente presso la Banca Mediolanum relativi all’anno 2022, che corrispondono a somme lorde e non
al netto disponibile. Infatti, l’ammontare effettivamente disponibile per il sig. A., a fronte degli
esborsi che ha dovuto sostenere, risulta significativamente inferiore in quanto i saldi finali del conto
corrente al 30.09.2022 era di euro 14.705,66 e al 31.12.2022 di euro 7.957,92.
6. Errore di fatto nella valutazione dei canoni di locazione dell’immobile di Ca….
Con tale motivo, il sig. A. ha contestato la dichiarata esistenza di una compensazione tra il canone di
locazione dallo stesso percepito dall’immobile di Ca… e quello del rateo mensile del mutuo contratto
per l’acquisto di una nuova abitazione. Ha precisato di sostenere tutti i costi di gestione relativi
all’appartamento e che per una corretta analisi delle entrate nette derivanti da tale locazione devono
essere detratte tutte le spese e gli oneri fiscali associati.
7. Mancata valutazione circa la raggiunta indipendenza economica della figlia S..
Quanto all’obbligo di contributo al mantenimento nei confronti della figlia S., maggiorenne ma non
economicamente autosufficiente, ha riferito che la ragazza ha intrapreso un’attività lavorativa (con
contratto di apprendistato) dal mese di giugno 2024 e che la minore F. sta svolgendo uno stage con
probabile assunzione.
8. Erronea ripartizione delle spese straordinarie contratte nell’interesse delle figlie.
Il sig. A. ha contestato l’ordinanza impugnata anche in merito alla ripartizione delle spese
straordinarie per le figlie (70% a carico del padre e 30% a carico della madre) perché fondata su
un’erronea valutazione delle risorse economiche delle parti.
9. Errore di fatto e di diritto sul diniego alla richiesta di conservazione del possesso del box e
dell’intercapedine.
Quanto disposto dal Tribunale di Lecco di liberare entro il 31 luglio 2024 il possesso del box e
l’intercapedine della casa coniugale (ora assegnata a parte reclamata) costringerà il reclamante, data
l’impossibilità di procedere all’acquisto, di individuare un nuovo immobile adatto a fungere da
garage o magazzino comportando un ulteriore aggravio finanziario.
10. Sulla sospensione cautelare del provvedimento impugnato.
Da ultimo, nel caso di specie, per parte reclamante sussistono i requisiti per la sospensione
dell’efficacia esecutiva dei provvedimenti temporanei ed urgenti disposti con l’ordinanza impugnata
sia in ragione del fumus boni iuris che del periculum in mora. Infatti, l’importo di euro 18.000,00 che
il sig. A. sarebbe tenuto a versare per 12 mensilità a titolo di contributo al mantenimento, sottratto
dal suo reddito netto annuo di euro 46.695,00, lascia un disponibile residuo di euro 28.695,00.
Tuttavia, è doveroso precisare che tale reddito netto mensile di euro 2.391,25 non rappresenta il
proprio disponibile effettivo, poiché deve essere decurtato dai molteplici oneri finanziari.
3. Parte reclamata, costituitasi nei termini assegnati, ha resistito al gravame, ritenuto infondato in
fatto e in diritto, ed ha chiesto, in via preliminare, di dichiararlo inammissibile in assenza dei
presupposti di legge. Nel merito, ha insistito per il rigetto del reclamo e la conferma del
provvedimento del Tribunale di Lecco. In particolare, la stessa ha tenuto a precisare che
l’impugnazione non introduce nulla di nuovo rispetto al ricorso giudiziale avanti il primo giudice e
che vengono evidenziate le stesse censure con le medesime argomentazioni.
4.Il PG, in data, ha depositato parere del seguente tenore letterale:
Il Sostituto Procuratore Generale Simonetta Bellaviti, Visti gli atti del procedimento n. 617/2024
relativo a A. A. e D. C.; Rilevato che l’impugnazione del provvedimento provvisorio attiene
esclusivamente alle statuizioni economiche; rilevato che il giudice di primo grado ha correttamente
motivato il provvedimento impugnato e allo stato non sussistono i presupposti per la modifica dello
stesso. C H I E D E Il rigetto de ricorso e la conferma dell’impugnato provvedimento. Milano,
17/09/2024
5. All’udienza del 19 settembre 2024, svoltasi in assenza delle parti come da decreto presidenziale
del 12 luglio 2024, la Corte ha trattenuto la causa in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve enuclearsi l’ambito di cognizione rimesso a questa Corte d’appello in fase di
reclamo ex art. 473 bis. 24 c.p.c., strumento che la riforma del rito familiare ha apprestato per la
revisione dei provvedimenti provvisori ed urgenti emessi ai sensi dell’art. 473bis.22 c.p.c. all’esito
dell’udienza celebrata ai sensi dell’art. 473 bis.21 c.p.c., udienza di trattazione che ha sostituito,
innovandola, la previgente disciplina dettata per il rito familiare, creando una nuova sede
processuale, unica per famiglia coniugale e non matrimoniale, deputata all’adozione dei
provvedimenti provvisori destinati a regolare i principali aspetti legati alla dissoluzione del nucleo
familiare.
La cognizione del giudice di seconde cure, in fase di reclamo, potrebbe in prima battuta ritenersi
estesa all’intera materia del contendere con disponibilità di poteri istruttori, impressione che potrebbe
ricavarsi dal potere, attribuito alla Corte in quella sede, di assumere, ove necessarie, “sommarie
informazioni”. E pur tuttavia, la precisazione, contenuta nel successivo art. 473 bis .23 c.p.c.,
secondo la quale la cognizione delle sopravvenienze è rigorosamente attribuita al giudice procedente,
porta invece a concludere come la cognizione del giudice del reclamo, fase oltretutto destinata ad
esaurirsi in tempi rapidi, anche per esigenze di non sovrapposizione del provvedimento del giudice
del gravame con l’eventuale procedimento di revisione del provvedimento reclamato promosso,
come è possibile, dinanzi al giudice procedente, sia necessariamente circoscritta all’emenda dei soli
errori di valutazione o di diritto evidenti, con possibilità di esaminare il solo materiale e le sole
argomentazioni già esaminate (o non esaminate perché colpevolmente trascurate) dal giudice che ha
emesso il provvedimento reclamato. In questi termini questa Corte si è già ripetutamente espressa,
sostanzialmente ritenendo che l’odierno strumento di gravame non sia nella sostanza sovrapponibile
a quello già previsto, nel rito previgente, dall’art. 708 quarto comma c.p.c.
Se tanto è vero, reputa questa Corte che i rilievi svolti dal reclamante non possano essere accolti e
che il reclamo non abbia individuato, ad avviso della Corte, errori manifesti in diritto o in fatto, del
provvedimento reclamato in punto di contributo al mantenimento per le figlie e per l’ex moglie.
La documentazione presente agli atti conferma la valutazione, espressa dal giudice di prime cure,
circa la elevata disparità reddituale esistente tra le parti.
Infatti la signora C. ha potuto godere, grazie ai guadagni del marito, un agiato tenore di vita garantito
dal possesso di due case di proprietà, intestate al marito, di cui una condotta in locazione; la stessa,
per dedicarsi all’accudimento della prole, ha abbandonato la propria attività lavorativa, potendo
contare sul sostegno economico del marito durante l’intero arco del matrimonio, in base ad un
accordo che certamente non può essere il frutto di una falsa rappresentazione della realtà, così come
sostenuto dall’A..
Non è infatti pensabile che questi non avesse mai avuto, durante tutta la vita matrimoniale, occasione
di interloquire con i suoceri in ordine alla loro disponibilità ad accudire le figlie, ed è presumibile
che, laddove non vi fosse stato consenso all’abbandono, da parte della C., della propria attività
lavorativa, costei avrebbe potuto, sommando i propri redditi a quelli, certo non esigui, del coniuge,
contare sull’aiuto di baby sitters.
In ogni caso, una volta avviate le figlie alla scuola, avrebbe potuto svolgere attività part time, e se ciò
non è avvenuto, certamente ciò rappresentava frutto di accordo di indirizzo della vita familiare, ex art
144 c.c.
Quanto all’asserita insussistenza dei presupposti, dunque, per il riconoscimento di un assegno di
mantenimento a favore della C., ed a carico del marito, valga osservare che sussiste, tra le parti, un
evidentissimo divario economico, non colmato né in ragione dell’assegnazione alla reclamata del
domicilio familiare nella sua interezza (il provvedimento impugnato non è certo irragionevole o
abnorme nella parte in cui non ha assentito una utilizzazione frazionata da parte del marito delle
pertinenze indicate in atti, per la sua attività, in quanto ciò avrebbe creato una promiscuità non
desiderabile), né tanto meno dall’eventuale esercizio, da parte della medesima, per qualche mese,
dell’attività di badante per anziani per qualche ora il mattino, come risulterebbe dalla relazione
investigativa prodotta dal marito (doc. n. 13) e dagli estratti conto della C..
Si rammenta, a tale proposito, che secondo la Corte di Cassazione l’assegno di mantenimento, che ha
funzioni e ratio diversi rispetto all’assegno di divorzio, tende ad assicurare al coniuge privo di mezzi
adeguati la conservazione, ove la separazione non gli sia addebitabile, del medesimo tenore di vita
goduto in costanza di matrimonio, tenore che ben può essere desunto dalle complessive disponibilità
familiari.
In particolare, da ultimo, Cass. 29/04/2024, n.11494 ha affermato che “il giudice di merito, per
quantificare l’assegno di mantenimento spettante al coniuge al quale non sia addebitabile
la separazione, deve accertare, quale indispensabile elemento di riferimento, il tenore di vita di cui
la coppia abbia goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la
quantità delle esigenze del richiedente, accertando, altresì, le disponibilità patrimoniali dell’onerato.
A tal fine, il giudice di merito non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla
documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto anche degli altri elementi di ordine
economico, o comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito dell’onerato,
suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti (così, tra le tante, Cass. 9915/2007 e da
ultimo Cass.22616/2022). E’ stato altresì chiarito da questa Corte che, in tema di effetti
della separazione personale sui rapporti patrimoniali tra i coniugi, la conservazione del
precedente tenore di vita da parte del coniuge beneficiario dell’assegno e della prole costituisce un
obiettivo solo tendenziale, poiché non sempre la separazione ne consente la piena realizzazione,
notorio essendo che essa riduce anche le possibilità economiche del coniuge onerato e che soltanto
dall’appartenenza al consorzio familiare derivano ai coniugi e alla prole vantaggi – in termini,
soprattutto, di contenimento delle spese fisse – riconducibili a economie di scala e ad altri risparmi
connessi a consuetudini di vita in comune. Detto obiettivo, pertanto, va perseguito nei limiti
consentiti dalle condizioni economiche del coniuge obbligato e dalle altre circostanze richiamate
dall’art. 156, secondo comma, cod. civ., con la precisazione che, in ogni caso, la determinazione di
tali limiti è riservata al giudice di merito, cui spetta la valutazione comparativa delle risorse dei due
coniugi al fine di stabilire in quale misura l’uno debba integrare i redditi insufficienti dell’altro
(Cass. 9878/2006).
Dunque, poiché la separazione personale presuppone la permanenza del vincolo coniugale, i
“redditi adeguati” a cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156, comma 1, cod. civ.,
l’assegno di mantenimento a favore del coniuge sono quelli necessari a mantenere
il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza
materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea (Cass.
12196/2017). Pertanto, condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge –
cui non sia addebitabile la separazione – sono la non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di
redditi che gli permettano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di
matrimonio e la sussistenza di una disparità economica tra le parti, occorrendo avere riguardo, al
fine della valutazione dell’adeguatezza dei redditi del coniuge che chiede l’assegno, al parametro di
riferimento costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio.
E’ stato ulteriormente precisato da questa Corte che il riconoscimento di
un assegno di mantenimento deve avvenire considerando, piuttosto che la cessazione del godimento
diretto di particolari beni, il generale tenore di vita goduto in costanza della convivenza, da
identificarsi avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle
risorse economiche dei coniugi e tenendo conto, quindi, di tutte le potenzialità derivanti dalla
titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato
benessere e di fondate aspettative per il futuro (cfr. Cass. 20638/2004, Cass. 5061/2006 e da
ultimo Cass. 952/2023)”.
Se tanto è vero, basti osservare che, oltre alla disponibilità di un reddito netto dichiarato di oltre
5.000 euro mensili, il reclamante è proprietario di ben tre immobili, di cui uno condotto in locazione,
sito in località turistica, ed altro, dove ha stabilito la propria dimora, recentemente acquistato,
contraendo un mutuo di 50.000 euro, per un prezzo che non è stato documentato dal reclamante,
come sarebbe stato doveroso fare, ma che comunque esprime tanto una sua capacità patrimoniale,
quanto restitutoria, sicuramente molto elevata.
Infatti la circostanza che il reclamante possa contrarre e sostenere gli oneri di rimborso di svariati
finanziamenti, da costui dedotta per significare la disponibilità di un effettivo netto di poche
centinaia di euro mensili, altro non fa che confermare, all’opposto, la sussistenza di una notevole
solidità patrimoniale, difettando la quale egli non riceverebbe credito.
Quanto poi all’assegno di mantenimento a favore delle figlie, la circostanza che la figlia S., da poco
diciottenne, abbia concluso un contratto di apprendistato, ancora non comprovava, al momento
dell’adozione del provvedimento qui reclamato, una piena autosufficienza economica.
Non appare dunque senz’altro sproporzionato l’onere di contribuzione che il giudice del
provvedimento impugnato ha complessivamente – e si sottolinea provvisoriamente – imposto a carico
del padre per il mantenimento delle figlie S. e F. e per la sig.ra C. nonché l’obbligo di sostenere le
spese straordinarie per le figlie nella misura del 70% a carico del padre.
Tale quantificazione è infatti avvenuta considerando la temporanea inattività lavorativa – quanto
meno stabile – della C., nell’auspicabile prospettiva, come dalla stessa affermato all’udienza davanti
al primo giudice, del reperimento di una occupazione tale da garantirle adeguato sostentamento,
affrancandosi dalla contribuzione maritale; dell’età delle figlie e del graduale inserimento nel mondo
del lavoro della figlia appena maggiorenne S..
Risulta, inoltre, che gli aspetti economici del mantenimento verranno nuovamente in discussione
alla prossima udienza del 3 ottobre p.v., alla quale sarà possibile certamente discutere, di fronte dal
giudice del merito, di una complessiva rimodulazione degli oneri imposti a carico dell’odierno
reclamante, considerando altresì, ai sensi dell’art. 473 bis.23 c.p.c., il fatto sopravvenuto, in modo
corretto e trasparente rappresentato dalla reclamata, di aver concluso nelle more un contratto di
lavoro a tempo determinato.
L’istanza di sospensiva è dunque assorbita dai superiori rilievi, non sussistendo, dunque, evidenti
motivi per rivedere le statuizioni contenute nel provvedimento impugnato.
Segue il rigetto del reclamo, e la condanna di parte reclamante al pagamento delle spese processuali
relative al presente procedimento incidentale, liquidate secondo i parametri della fase cautelare,
valore indeterminabile non elevato, considerando il limitato impegno nella trattazione.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Milano, come sopra composta, decidendo sul reclamo in oggetto,
visto l’art. 473 bis.24 c.p.c., così provvede:
respinge il reclamo, e per l’effetto, conferma integralmente l’ordinanza impugnata;
condanna parte reclamante al pagamento, in favore di parte reclamata, delle spese processuali, che
liquida in complessivi € 1.200 per competenze, oltre IVA, CPA e spese generali come per legge
Si comunichi al Procuratore Generale, alle parti e ai difensori.
Milano, così deciso in data 19 settembre 2024
Il Consigliere Estensore
Dott.ssa Alessandra Arceri
Il Presidente
Dott.ssa Anna Maria Pizzi

Il coniuge non assegnatario della casa familiare deve restituirla immediatamente al proprietario.

Tribunale Santa Maria Capua Vetere, Sez. IV, Sent., 27/09/2024, n. 3545
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, quarta sezione civile, in persona del
giudice dott.ssa Valentina Gigante, lette le note di trattazione scritta
tempestivamente depositate, ha pronunciato, ai sensi del combinato disposto
di cui agli artt. 281 sexies e 127 ter c.p.c. la seguente
SENTENZA
Nella causa civile iscritta al n. 1682 /2023 r.g.a.c. e vertente
TRA
P1 , C.F. (…), rappresentato e difeso, giusta procura in atti, dall’Avv.
Buononato Lucia, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio sito in
Roma, Viale delle Milizie n. 114;
ATTORE
E
C1 , C.F. (…) ;
CONVENUTA CONTUMACE
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con ricorso depositato in data 22.02.23, P1 ha convenuto in giudizio C1
esponendo:
1) Di essere proprietario – avendolo acquistato con sua sorella- di un immobile
facente parte del villino bifamiliare sito in S. C., alla Via X snc piano S1, T -1 di
complessivi mq 239, acquistato con atto per notar X1 di X2 del (…), rep. (…),
racc. (…);
Giurisprudenza di merito Ondif
2) di aver sposato in data X 1990 C1 nata a X il X (…);
3) di aver pertanto adibito il suddetto immobile ad abitazione della costituenda
famiglia, permettendo così alla convenuta C1 di abitarvi;
4) di aver successivamente chiesto ed ottenuto, a causa di gravi accadimenti
sopravvenuti, la separazione prima ed il divorzio poi da C1
5) che, nonostante sia venuto meno il legame di coniugio che legittimava la
coabitazione della convenuta all’interno dell’immobile, la stessa vi è rimasta,
sebbene invitata al rilascio con diffida del 21.7.2016;
6) che la convenuta tutt’oggi non ha ancora rilasciato l’immobile e continua ad
occuparlo illegittimamente senza titolo alcuno, non essendo più coniuge del
proprietario;
7) di aver invano esperito il tentativo di mediazione obbligatoria, cui la
convenuta non ha partecipato.
8) che, pertanto, sussiste un’occupazione sine titulo a far data dal Provv.
presidenziale cron. n. 11613 del 2016 del 19-20.6.2016, con la conseguenza
che, dalla predetta data e sino alla data odierna, è dovuta una somma
quantomeno di Euro 19.250,00 (77 mesi di occupazione per Euro 250,00),
ovvero al 50% tenuto conto della coabitazione nell’immobile con l’ex coniuge,
oltre Euro 250 mensili per ogni mese successivo alla data del ricorso e sino al
rilascio, risultando, in caso di occupazione senza titolo di un cespite
immobiliare altrui, il danno per il proprietario usurpato in re ipsa in quanto
collegato al semplice fatto della perdita della disponibilità ed all’impossibilità di
conseguire l’utilità normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla
natura normalmente fruttifera di esso.
Sulla base delle esposte circostanze, l’istante ha concluso chiedendo fosse: ”
accertato e dichiarato che la signora C1 nata a X (L.) il X (…) occupa senza
titolo alcuno l’ unità immobiliare di proprietà di P1 (nato a X il X (…)) sita in X2
Loc S. C. Via X snc, al C. F. X P. X sub X, cat (…) di vani 7.5 e per l’effetto,
condannare la stessa a rilasciare immediatamente libera e sgomberare da sé
persone e cose mobili alla stessa dimostrate come appartenenti , la detta unità
immobiliare di proprietà P1 rimettendolo nel pieno e legittimo possesso dello
stesso, e fissando contestualmente la data di esecuzione per il rilascio; 2)
condannare la Sig.ra C1 al pagamento della indennità di occupazione dal luglio
2016 nell’ammontare complessivo ad oggi di Euro 19.250,00 nonché di Euro
250 mensile successivi e fino al rilascio; 3) in via subordinata con liquidazione
equitativa della indennità di occupazione”.
C1 pur raggiunta da regolare notifica, non si è costituita in giudizio per cui ne è
stata dichiarata la contumacia all’udienza del 22.06.23.
Giurisprudenza di merito Ondif
All’udienza del 25.10.23, all’esito dell’interrogatorio formale, la causa è stata
ritenuta matura per la decisione e rinviata, previo mutamento del rito, per la
precisazione delle conclusioni e la discussione ex art. 281 sexies c.p.c.
all’udienza, in trattazione scritta, del 10.04.24.
Con Provv. del 15 aprile 1924, la scrivente, rilevata la pendenza, innanzi
all’intestato Tribunale, del giudizio di separazione e divorzio tra le odierne
parti, aventi altresì ad oggetto la richiesta di assegnazione della casa familiare
e ritenuto, quindi, melius re perpensa, preliminare all’assunzione di ogni
ulteriore provvedimento invitare l’istante a dedurre e documentare circa lo
stato dei suddetti procedimenti, ha rinviato la causa per il prosieguo all’udienza
del 25.09.24, in trattazione scritta.
Con note di trattazione scritta del 24.09.24, l’attore ha dato atto di aver
provveduto al deposito della sentenza di divorzio medio tempore intervenuta,
anche di rigetto della domanda di assegnazione della casa coniugale formulata
nel relativo giudizio dall’odierna convenuta, chiedendo pertanto la decisione.
Tanto premesso, le domande attorce appaiono solo in parte fondate, per cui
meritano accoglimento nei limiti e per le ragioni che seguono.
Principiando dalla domanda di rilascio, giova innanzitutto procedere alla
relativa qualificazione giuridica.
Orbene, dall’esame della domanda e delle ragioni svolte nell’atto introduttivo
del giudizio, nonché dal tenore letterale delle conclusioni formulate, emerge in
tutta evidenza come parte ricorrente abbia esperito un’azione personale di
rilascio per detenzione sine titillo del bene immobile di sua proprietà (cfr.
documentazione in atti). Sul punto, infatti, la Suprema Corte ha chiarito che “la
domanda di restituzione di un bene, allorquando sia fondata sulla deduzione
dell’arbitraria disponibilità materiale dello stesso da parte del convenuto e non
accompagnata dalla contestuale richiesta di accertamento del diritto reale di
proprietà, non può qualificarsi come rivendica e non integra un’azione reale,
ma deve essere qualificata come azione personale di rilascio o di restituzione e,
qualora il convenuto contrapponga il suo diritto alla detenzione in base ad un
titolo giuridico, la validità e persistenza di quest’ultimo diventa l’oggetto della
controversia” (cfr. Cass. civ. n. 23086/2004 ).
Nel merito, la domanda è fondata e merita accoglimento.
Risulta innanzitutto piena prova della circostanza che la convenuta C1 occupi
l’immobile in questione, avendolo quest’ultima, in sede di interrogatorio
formale, espressamente ammesso.
Né risulta alcun titolo legittimante l’occupazione del bene. Anzi, dall’esame
della sentenza collegiale definitiva n. 4999/23 pubblicata dall’intestato
Giurisprudenza di merito Ondif
Tribunale in data 23.12.23, si evince che la richiesta di assegnazione della casa
coniugale ivi formulata da C1 è stata rigettata in quanto la figlia della coppia,
X3 è risultata essere economicamente autosufficiente. Ne discende che la casa
debba tornare nel godimento esclusivo del coniuge che risulti esserne l’unico
proprietario (cfr. Cass. n. 15373/2016 ), nel caso di specie l’attore.
In conclusione, venute meno le esigenze di mantenimento dei figli maggiori
della coppia, la convenuta è venuta ad assumere la posizione di detentore
“sine titulo” del bene altrui e, di conseguenza, va condannata all’immediata
restituzione, in favore dell’attore suo legittimo proprietario, dell’immobile per
cui è causa (cfr. Cass. civ. nn. 5987/2000 , 4718/1989 )
Va da ultimo respinta la domanda di risarcimento.
Si osserva al riguardo che, secondo una condivisibile giurisprudenza di
legittimità, nella “comune fattispecie di occupazione abusiva d’immobile è
richiesta l’allegazione della concreta possibilità di esercizio del diritto di
godimento che è andata persa”, posto che il non uso “il quale è pure una
caratteristica del contenuto del diritto, non è suscettibile di risarcimento”.
Cionondimeno, sebbene il danno da occupazione sine titulo, quale danno
evidente, possa agevolmente essere dimostrato sulla base di presunzioni
semplici, un tale alleggerimento probatorio non può includere anche l’esonero
dall’allegazione dei fatti che devono essere accertati (cfr. Cass. Sez. Un.
33645/2022 ).
Ebbene, nel caso che occupa l’istante, limitandosi ad assumere in via generica
la natura in re ipsa del danno derivante dall’occupazione illegittima, ha omesso
di allegare e contestualizzare in modo specifico la concreta possibilità di
esercizio del diritto di godimento perduta, non adempiendo pertanto
debitamente al suddetto onere di allegazione, di talché la domanda non può
trovare accoglimento.
In ragione della parziale soccombenza, spese di lite integralmente compensate.
P.Q.M.
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in persona del Giudice dr.ssa
Valentina Gigante, definitivamente pronunciando, così provvede:
1) accoglie la domanda di rilascio e per l’effetto ordina a C1 di rilasciare
immediatamente, libero da persone e cose, in favore di P1 l’immobile sito nel
villino bifamiliare in S. C., alla Via X snc piano S1, T -1 di complessivi mq 239
meglio individuato in atti;
2) rigetta la domanda di risarcimento;
Giurisprudenza di merito Ondif
3) compensa integralmente le spese di lite.
Conclusione
Così deciso in Santa Maria Capua Vetere, il 27 settembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 27 settembre 2024.

Gli accordi economici raggiunti in sede di divorzio non sono successivamente opponibili tra le parti

. Tribunale di Vicenza,
Sentenza n. 1624 del 25 settembre 2024
Tribunale Civile di Vicenza – 25 set 2024 – N. 1624 Data Ud. : 23 set 2024
Svolgimento del processo e motivi della decisione
1. Gli Antefatti e Le vicende processuali.
A. A. e B. B. sono stati sposati (dal [omissis]), ed hanno avuto due figlie,
[omissis] […] (nel [omissis]) ed [omissis] (nel [omissis]); essi acquistarono, in
ragione di una metà ciascuno, la casa adibita a casa coniugale, in [omissis], via
[omissis], con atto per Notaio [omissis] del [omissis], “seguito”, due mesi
dopo, da un mutuo che, nel frattempo, è stato estinto. Nel [omissis] i coniugi
ottenevano sentenza di separazione, che, fra l’altro, su congiunte richieste
delle parti, assegnava la casa coniugale al B. B. quale collocatario delle figlie
minori. Nel [omissis] interveniva la sentenza di divorzio, nuovamente su
congiunte richieste delle parti; in tal caso la formula relativa alla casa
coniugale non menzionava più una assegnazione ma il più generico termine di
“disponibilità”, sempre in favore del B. B.. Proponendo la presente causa, nel
[omissis], contro l’ex marito, che è rimasto contumace, A. A. […] ha avanzato
le seguenti domande:
PRIMA DOMANDA
La A. A. deduce che, all’indomani della sentenza di divorzio, del [omissis],
l’occupazione della casa ex coniugale da parte del B. B. le darebbe titolo per
ottenere, dall’ex marito, una indennità di occupazione per ogni mese decorso
da allora, per il solo fatto di occuparla, evidentemente, con esclusione della
attrice medesima, la quale, appena un mese dopo la pubblicazione della
sentenza di divorzio, avanzò già all’ex coniuge la richiesta di ricevere una
siffatta indennità di occupazione, calcolata nella metà del canone di locazione
ricavabile dall’immobile.
SECONDA DOMANDA
La A. A. deduce di aver sostenuto tutta una serie di spese inerenti,
nuovamente, l’acquisto dell’immobile destinato ad abitazione coniugale, fra
cui: acconti prezzo al venditore, compensi per le imprese per lavori
extracapitolato, spese del Notaio, acquisto di mobilio e di cucina, lavori di
impianto elettrico ed idraulico. Aggiunge poi che il prezzo speso per acquistare
la casa (190 milioni in vecchie lire, nel [omissis]) non è stato versato dai due
coniugi in parti uguali, nemmeno attraverso il mutuo: non solo, infatti, essa
avrebbe pagato la parte di prezzo non coperta da mutuo (il mutuo è stato di
83.000 euro, nel [omissis]) ma, diversamente dalla prassi di pagare, ciascuno,
la metà di ogni singola rata di mutuo, vi sarebbero state 11 rate che essa
avrebbe versato in modo esclusivo.
Giurisprudenza di merito Ondif
Tutte tali voci si traducono, in tesi, in un suo diritto di credito, per la parte
eccedente la metà di sua spettanza, che forma appunto oggetto della seconda
domanda.
TERZA DOMANDA
La A. A. domanda poi la divisione dell’immobile, ma, consapevole della sua
indivisibilità in natura, come attestata dalla CTU svolta in questa causa, non ne
chiede l’assegnazione per l’intero, ed “accetta”, quindi, che l’immobile sia posto
in vendita all’asta, per la spartizione del ricavato. Segnala peraltro come dalla
CTU sia risultata anche l’esistenza di una ipoteca iscritta dal B. B. sulla metà di
proprietà di lui. Nella contumacia del convenuto, la causa è stata istruita
mediante alcune prove orali (che non hanno avuto però particolare rilievo), e
mediante la già menzionata CTU (della geom. [omissis]), la quale ha accertato
la non divisibilità in natura dell’immobile in due parti di uguale valore. La causa
è oggi in decisione.
2. La Decisione
Si è detto che con la prima domanda la A. A. ritiene derivare a suo vantaggio,
dal fatto che il B. B. occupa la casa ex coniugale da dopo la sentenza di
divorzio (quando la formula dell’assegnazione della casa fu sostituita dalla
formula di una “disponibilità” della casa) un suo diritto di ottenere, dall’ex
marito, una indennità di occupazione per ogni mese decorso da allora, per
risarcire pro quota il mancato godimento proprio di lei.
La domanda è infondata.
Proprio nella clausola dei patti di divorzio, posti a base della sentenza, c’è,
come detto, la decisione dei comproprietari che la casa sarebbe “restata nella
disponibilità del B. B..Benché questo concetto sia diverso da quello
dell’assegnazione (assegnazione che infatti non è più menzionata), esso
tuttavia non è, naturalmente, privo di effetto e significato: e sta ad evocare
(tale è certamente l’unico senso attribuibile alla frase) che al B. B. fosse
lasciato l’uso esclusivo dell’immobile, uso che per di più deve intendersi anche
come gratuito, poiché in caso contrario la clausola sarebbe stata scritta
diversamente.
Pare dunque al Tribunale che con un negozio atipico, ma certamente valido, la
comproprietaria A. A. ha costituito con il comproprietario B. B. un’obbligazione,
avente efficacia solo fra le parti, in forza della quale ha lasciato a lui l’intero
godimento della abitazione, e ciò secondo sue proprie valutazioni rientranti
nell’economia del globale accordo intercorso. Né muta la situazione la lettera
scritta appena un mese dopo la sentenza di divorzio. Quella richiesta, infatti,
diversamente da un caso standard, non interveniva ad esprimere una
rimostranza rispetto ad una avvenuta occupazione “arbitraria” oppure inattesa
Giurisprudenza di merito Ondif
dell’altro proprietario, ma sorgeva all’indomani di una espressione di volontà
della stessa A. A. nel senso di attribuire al suo ex marito il diritto di godimento
della casa. Dunque, su un piano logico, stride che la A. A. esprimesse una
volontà contraria rispetto a quella espressa appena un mese prima, e, su un
piano giuridico, essa non poteva certo, con una manifestazione unilaterale,
porre nel nulla gli effetti di un negozio bilaterale validamente concluso.
Anche la seconda domanda è infondata, e ciò sulla base di un orientamento
giurisprudenziale ormai consolidato, che anche in tempi recenti ha trovato
nuove conferme. Si tratta del noto principio secondo cui, in virtù dell’art. 143
c.c., entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze
e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai
bisogni della famiglia; pertanto a seguito di separazione coniugale non può
essere richiesto il rimborso delle spese sostenute per il soddisfacimento dei
bisogni collettivi durante il (o in vista del) matrimonio (così, di recente, ma fra
le tante, Trib. Rovigo 856/23). E la sentenza rodigina, trattando di un caso di
lavori di ristrutturazione di un immobile adibito a casa coniugale, pagati dalla
moglie a fronte della proprietà della casa in capo al marito, ha ricordato come i
bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma
dell’art. 143 c.c., non si esauriscono in quelli, minimi, al di sotto dei quali
verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del
gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più
ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse
disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch’esse
riconducibili alla logica della solidarietà coniugale. Essa ha poi richiamato, a
conferma dell’orientamento, la pronuncia di Cass., 9144/2023, e quella di
Cass., 10927/2018, secondo cui “poiché durante il matrimonio ciascun coniuge
è tenuto a contribuire alle esigenze della famiglia in misura proporzionale alle
proprie sostanze, secondo quanto previsto dagli artt. 143 e 316 bis, primo
comma, c.c., a seguito della separazione non sussiste il diritto al rimborso di
un coniuge nei confronti dell’altro per le spese sostenute in modo
indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio”. Nello stesso
senso: Cass., 10942/2015: non possono essere rimborsate le spese fatte da un
coniuge sull’abitazione di proprietà esclusiva dell’altro, anche quando
incrementano il valore del bene, se avvenute in adempimento dell’obbligo di
contribuzione di cui all’art. 143 c.c.
Insomma, l’importo di cui l’attrice richiede il rimborso è in realtà la somma di
esborsi inquadrabili nell’alveo dei doveri di contribuzione previsti dall’art. 143,
terzo comma, c.c., anche perché non è stato provato il superamento dei limiti
di proporzionalità e adeguatezza. Va aggiunto poi che l’attrice ha citato in più
passaggi la disciplina del rimborso delle spese nell’ambito di una comunione
ordinaria; il riferimento è però improprio, in quanto la comunione di cui si
discute in questa sede è nata e si è sviluppata nel contesto di un rapporto di
coniugio, il quale, appunto, vive di regole proprie e specifiche che sono
estranee alla disciplina della comunione ordinaria.
Giurisprudenza di merito Ondif
Quanto alla domanda di scioglimento della comunione, benché essa sia
l‘espressione di un diritto di ogni comproprietario (art. 1111 cc), anch’essa
potrebbe suscitare qualche perplessità, per lo meno nella misura in cui
anch’essa viene a contraddire quel diritto di godimento del B. B. che la A. A.
stessa gli concesse con gli accordi del [omissis]. E’ chiaro infatti che l’attrice
non vuole l’assegnazione in natura dei beni, per cui l’unica soluzione sarà la
messa in vendita di essi, con successiva ripartizione del denaro ricavato, ma è
altrettanto chiaro che al terzo acquirente non sarà opponibile l’accordo del
[omissis], in quanto rapporto meramente obbligatorio. Di fatto, dunque, la A.
A. ha diritto ad ottenere la divisione dell’immobile, ma così facendo si porrà
nella situazione di soggetto inadempiente rispetto ai patti del [omissis] (in
forza dei quali si era impegnata a concedere all’ex coniuge il diritto di
godimento della casa); la situazione, come da regole generali, si potrà se del
caso risolvere con una separata ed eventuale domanda risarcitoria da parte del
B. B.
P. Q. M.
1. respinge le domande di parte attrice, ad eccezione di quella di scioglimento
della comunione,
2. dichiara che il compendio per cui è causa non è comodamente divisibile in
natura, e pertanto, dispone, con separata ordinanza, la sua messa in vendita,
con successiva ripartizione del denaro ricavato;
3. spese alla sentenza definitiva.

Decaduto dalla responsabilità genitoriale il padre che da sempre si disinteressa totalmente dei figli.

Tribunale per i
Minorenni di Catanzaro, Sentenza del 13 febbraio 2024,
Giudice Relatore Dott.ssa Teresa Tarantino
TRIBUNALE PER I MINORENNI DI CATANZAR0
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, riunito in camera di consiglio e
così composto:
dott.ssa Teresa Chiodo Presidente
dott.ssa Teresa Tarantino Giudice rel
dott.ssa Roberta Mallamaci Giudice onorario
dott. Andrea Barbuto Giudice onorario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Letti gli atti del procedimento n. 106/2023 VG. relativo ai minori
C. R. , nato a G. (PG) il ____2014;
C. J. , nata a G. (PG) il _____2017 entrambi residenti in S. D. C. alla via D. M.
n. 53, i cui esercenti la responsabilità genitoriale sono:
C. M. , nato in Marocco il ____1986, residente in G. T. alla via V. V. n.23;
C. K. , nata a C. R. (Marocco) il ____1990, rappresentata e difesa dall’avvocato
A. F. ;
Instaurato su ricorso proposto, ai sensi dell’art. 330 c.c., da C. K. nei confronti
di C. M. ;
La ricorrente esponeva tramite il difensore:
– che nell’anno 2004 all’età di 14 anni si trasferiva con il padre dal Marocco
all’Italia, più precisamente a G. T. (PG), dove frequentava le scuole medie e
conseguiva il relativo diploma;
-che in occasione delle visite effettuate alla mamma, rimasta a vivere in
Marocco, conosceva il sig. C. M. , che sposava nel 2013 ed i coniugi andavano a
vivere a Casablanca;
– che successivamente, al fine di cercare lavoro, si trasferiva nuovamente in
Italia a G. T. presso l’abitazione del padre ed in data_______2014 nasceva il
primo figlio C. R. ;
-che dopo la nascita del figlio la ricorrente avviava la procedura per il
ricongiungimento familiare, al fine di permettere al sig. C. M. di venire in Italia
per riunire la famiglia;
-che a G. T. la ricorrente effettuava lavori saltuari e con l’aiuto del padre e del
fratello manteneva il figlio appena nato, mentre il marito rimasto a vivere a
Casablanca si disinteressava completamente del suo mantenimento in favore
suo e del figlio;
-che nel 2016 il sig. C. M. arrivava a G. T. ed andava a vivere con la moglie
ed il figlio presso l’abitazione del suocero, ma non si attivava al fine di cercare
un lavoro;
-che nel 2017 nasceva la secondogenita C. J. e nonostante il sig. C. avesse nel
frattempo trovato lavoro come badante, continuava a disinteressarsi ai bisogni
della moglie e dei figli contribuendo occasionalmente al loro mantenimento;
-che le divergenze tra i coniugi dovute alle immotivate gelosie che il sig. C.
aveva nei confronti della moglie ed alla non accettazione delle abitudini
occidentali della stessa, iniziate nel 2015 si accentuavano, tantoché nel
dicembre 2018 a seguito di un violento episodio, tale da rendere necessario
l’intervento delle Forze dell’Ordine, il sig. C. abbandonava per diversi mesi la
casa familiare e per tutto il periodo non si occupava di contribuire al
mantenimento della moglie e dei figli;
-che successivamente, faceva rientro nella casa familiare, ma la situazione
peggiorava a causa delle continue violenze fisiche e verbali, compiute dal marito
a danno della ricorrente alla presenza dei minori;
-che la ricorrente a causa dei continui maltrattamenti presentava il 04.04.2019
querela presso la Questura di Perugia contro il sig. C. , successivamente ritirata
per paura della reazione del marito;
-che nel settembre del 2019, la sig.ra C. K. si recava in Marocco dove avviava
le pratiche di divorzio dal coniuge e lasciava entrambi i suoi figli presso
l’abitazione della madre sig.ra N. C. , nell’attesa di trovare in Italia una stabilità
lavorativa ed abitativa;
-che in data 10.11.2020, il Tribunale del Marocco dichiarava il divorzio tra i
sig.ri C. e C. , affidava la custodia dei figli alla madre, poneva a carico del sig.
C. il mantenimento della sig.ra C. e dei figli minori e regolamentava il diritto di
visita del padre nei confronti dei figli minori in giorni prestabiliti;
-che nonostante quanto stabilito dal Tribunale il sig. C. continuava a non
provvedere al mantenimento della moglie e dei figli minori e mostrava un
completo disinteresse nei confronti degli stessi;
-che avendo trovato un lavoro a tempo indeterminato come badante ed
un’abitazione in comodato d’uso gratuito la ricorrente faceva rientrare in Italia i
minori che attualmente vivono insieme alla loro mamma, a S. D. C. (CS);
-che, pertanto, alla luce dei descritti comportamenti del padre dei minori la
ricorrente concludeva chiedendo “voglia previa valutazione dei comportamenti
commissivi ed omissivi di C. M. nei confronti dei figli minori C. J. e C. R. ,
dichiarare la decadenza della responsabilità genitoriale del padre sui figli minori
o, in subordine, la sospensione dalla responsabilità genitoriale ex art. 333 c.c.
nell’ipotesi in cui, viceversa, il pregiudizio cagionato ai minori non sia
circoscritto in termini di gravità alla ipotesi contemplata all’art. 330 c.c., con
richiesta di affido esclusivo dei minori alla madre.”
Con successivo provvedimento del 31.07.2023 il Tribunale per i Minorenni di
Catanzaro designava quale curatore speciale l’avvocato A. F. al fine di
assicurare la rappresentanza legale dei minori C. R. e J. Con fissazione
dell’udienza al 27.11.2023 ore 10,30 disponendo la comparizione personale dei
genitori.
Occorre precisare che non si reputa necessario procedere all’espletamento della
prova testimoniale richiesta da parte ricorrente alla stregua delle esaustive
risultanze procedimentali, costituite dalle dichiarazioni della ricorrente,
dall’ascolto dei minori e dalle informazioni assunte dai Carabinieri e dal Servizio
Sociale.
Osserva il Tribunale che la relazione del Servizio sociale, prudentemente
vagliata dopo essere stata oggetto di contraddittorio, è pienamente utilizzabile
dal Giudice in sede di libera formazione del proprio convincimento sia quanto ai
fatti liberamente constatati dagli operatori sociali sia quanto ai pareri espressi
sulla base di quei fatti ove l’autorità giudiziaria li faccia propri con adeguata
motivazione.
Ed, infatti, le risultanze delle indagini ed informazioni dei Servizi costituiscono
utili elementi di giudizio-rimessi alla valutazione del giudice procedente nel
quadro delle complessive emergenze istruttorie, fra cui quelle acquisite anche
su istanza delle parti (Cass.Sez.I, sentenza n.14675 del 29 dicembre 2009).
Tanto premesso, va rilevato che C. M. non compariva benchè il ricorso sia stato
ritualmente notifica presso l’ultima residenza per come risulta dalla
certificazione prodotta dal difensore.
All’udienza istruttoria la ricorrente ribadiva le ragioni del ricorso descrivendo il
signor C. come un uomo violento, disinteressato alla famiglia, tantoché nel
2016 nel 2019 era stata costretta a sporgere denuncia querela, la prima, per
minaccia e, la seconda, per maltrattamenti, querele queste successivamente
ritirate per paura della reazione dell’ex marito.
Specificava che quest’ultimo, pur lavorando come badante presso una famiglia
G. T. , non ha mai contribuito al mantenimento dei figli e non si è mai
dimostrato amorevole con loro né ha provveduto al loro sostentamento,
essendosi sempre occupata da sola dei figli mantenendoli con il suo lavoro e con
l’aiuto economico di suo padre e di suo fratello.
Precisava che nel 2020 dopo l’ennesimo litigio con l’ex marito, il quale gli aveva
lanciato contro uno pneumatico provocandole lesioni, aveva chiesto il divorzio e
i giudici marocchini avevano stabilito con sentenza un assegno di mantenimento
per i bambini circa 500 € ed avevano previsto il diritto di visita del padre una
volta a settimana e per le vacanze, disposizioni queste mai rispettate da parte
del signor C. il quale si è sempre disinteressato sia economicamente che
moralmente dei figli, pur essendo a conoscenza del luogo in cui si trovavano.
Puntualizzava di non essere stata mai contattata dal signor C. per avere notizie
dei figli i quali non hanno più visto il padre né conoscono i parenti in linea
paterna.
Il minore R. ha dichiarato in ordine al rapporto con il padre di conoscere solo il
suo nome, di non sapere dove si trova, di non averlo mai visto di persona, ma
solo in una foto, di non averlo mai sentito al telefono e di non avere alcun
ricordo del padre di quando viveva insieme al papà e alla mamma a G. T. , di
non sentire la mancanza del papà.
Ha inoltre aggiunto di vivere a S. D. C. con la mamma la sorella e la signora M.
che è la signora anziana che la mamma assiste.
Anche la minore J. ha dichiarato che non ha alcun ricordo del padre e di averlo
visto soltanto in una foto.
Il servizio sociale trasmetteva relazione evidenziando di avere effettuato due
accessi presso il nucleo familiare nell’abitazione di S. D. C. constatando come
minori appaiono a proprio agio e ben inseriti nell’ambito familiare in cui
attualmente vivono, sono sorridenti e socievoli e l’ambiente che li circonda è
sereno ed accogliente con soddisfazione dei bisogni materiali affettivi da parte
della mamma e degli altri componenti adulti ossia la signora B. e la signora B. i
quali sono considerati come degli zii acquisiti.
Gli operatori sociali non sono riusciti a rintracciare il padre perché si è reso
irreperibile.
Ciò posto, va rilevato che alla stregua dell’istruttoria svolta sono emersi plurimi
elementi di prova inconfutabili sul disinteresse del genitore, manifestato nel
corso degli anni ed ulteriormente confermato dal suo contegno processuale.
E’ evidente che il genitore non ha mai intrattenuto con i figli alcun rapporto
affettivo, né si è occupato del loro sostentamento.
Egli non si è mai concretamente attivato per incontrarli né ha provveduto al loro
mantenimento per come stabilito nella sentenza di divorzio dimostrando
disinteresse anche nel presente procedimento.
Le circostanze riferite venivano confermate dal Servizio Sociale del comune di
S. D. C. che ha riscontrato la serenità dei minori.
Tanto premesso, va rilevato che, a norma dell’art.330c.c., il Tribunale per i
Minorenni può pronunciare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando
il genitore viola, trascura i doveri o abusa dei poteri inerenti la responsabilità
con grave pregiudizio per il figlio.
E’ costante l’orientamento giurisprudenziale secondo cui si rende necessario un
provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale non al fine di
sanzionare il genitore inadempiente bensì al fine di evitare che si protraggano
ulteriormente nel tempo le conseguenze del comportamento inadempiente del
genitore con grave pregiudizio per il figlio minore ravvisabile quando la condotta
genitoriale, come nel caso di specie, si pone in contrasto con i doveri genitoriali
non avendo il genitore mai partecipato alla cura e all’educazione del figlio
minore e non essendo mai stato presente né moralmente né materialmente
nella sua vita con grave pregiudizio per il suo sereno sviluppo psico-fisico (in tal
senso Cass. Sez. VI 18.6.2018 n15949 secondo cui la decadenza costituisce un
provvedimento non a scopo sanzionatorio, ma a tutela del minore e finalizzato a
scongiurare ulteriori condotte pregiudizievoli da parte del genitore).
Osserva il Collegio che, nel caso in esame, si è in presenza di una condotta
abbandonica di C. M. sia sotto il profilo materiale che morale protrattasi per un
arco temporale considerevole, sintomatica, senza alcun dubbio, di un palese
rifiuto dei figli, dei quali il genitore si è totalmente disinteressato per come è
emerso palesemente anche dal contegno processuale.
Tale violazione dei doveri genitoriali, di grave pregiudizio per l’equilibrato
sviluppo della personalità della minore, ha compromesso il percorso evolutivo
dei minori i quali hanno ormai irreversibilmente risentito dell’assoluta carenza
della figura genitoriale paterna.
Si appalesa, dunque, necessario nell’interesse dei minori, i quali vivono in un
contesto ambientale sereno, escludere il conferimento di un potere al padre che
sulla base di quanto esposto potrebbe seriamente compromettere il loro sereno
processo formativo.
Va precisato, infine, che il genitore decaduto dalla responsabilità perde i poteri il
cui esercizio continuerebbe a danneggiare la crescita del minore ma non perde i
doveri che gli incombono nel senso che non può continuare a disinteressarsi del
figlio facendogli mancare i mezzi di sussistenza (in tal senso Cass.21 marzo
2000 n.4887, secondo cui diversamente interpretando la pronuncia sulla
decadenza dalla potestà si trasformerebbe l’istituto in una sorta istituto di
carattere premiale per il genitore dimostratosi indegno, permettendogli di
continuare a disinteressarsi del figlio minore; Cass.24 aprile 2007, secondo cui
in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare, i provvedimenti
adottati ai sensi dell’art.330 c.c. hanno la funzione di impedire che la prole
subisca pregiudizi a causa dei genitori, ma non hanno alcuna valenza liberatoria
rispetto agli obblighi dai quali il soggetto, nei confronti dei quali è pronunciata la
decadenza, è gravato nei confronti dei figli nella sua qualità di genitore, e,
segnatamente rispetto all’obbligo del loro mantenimento”; Cass.pen. Sez.VI,
27.3.2007 n.16559 e 29/10/2009 n.43288).
P.Q.M.
Sentito il P.M.M.;
Letti gli artt. 473 bis c.p.c. e 330 c.c.,
DICHIARA
C. M. decaduto dalla responsabilità genitoriale sui figli minori C. R. e C. J. e,
per l’effetto, li affida esclusivamente alla madre C. K. la quale potrà esercitare
tutti i poteri inerenti la responsabilità genitoriale;
NULLA SULLE SPESE
Provvedimento immediatamente esecutivo.
Si notifichi al P.M.M., alla ricorrente presso il domicilio eletto (studio avv.A. F.
del foro di Cosenza), al padre C. M. presso l’ultima residenza e al curatore
speciale, avv.to A. F. .
Si trasmetta al Giudice tutelare.
Catanzaro, 6.02.2024
Il Giudice est. Il Presidente
Teresa Tarantino Teresa Chiodo

Decade dalla responsabilità genitoriale il padre sempre assente e inadempiente agli obblighi genitoriali

Tribunale di
Matera, Ordinanza n. cronol. 1867/2024 del 10 luglio 2024,
TRIBUNALE DI MATERA
composto dai Sigg.ri Magistrati:
Dott. Giuseppe DISABATO Presidente
Dott.ssa Valeria LA BATTAGLIA Giudice relatore
Dott. Angelo FRANCO Giudice
riuniti in camera di consiglio;
ha pronunciato il seguente
DECRETO
nell’ambito del procedimento iscritto al n. 339/2023 RGVG promosso da
L. P. (c.f. ________), nata a M. il _____1992 ed ivi residente al B. V. , v. F.
10, rappresentata e difesa, giusta procura allegata al ricorso introduttivo,
dall’avv. Margherita VEGLIA;
-ricorrente-
contro
M. A. N. L (c.i. ____), nato a P. d. M. (S. ) il __1987 e residente in C. d. R. 3 –
E. P. d. M.
-resistente contumace–
e nei confronti di
E. N. M. P. (c.f. _____) nato a M. l’_____2019, rappresentato e difeso, giusta
decreto di nomina del 7.12.2023, dalla curatrice speciale, avv. Lucia Elsa
MAFFEI
***
Con ricorso del 27.2.2023, L. P. deduceva di aver intrattenuto una relazione
more uxorio con l’odierno resistente ed allegava che dalla loro unione era nato
in data ____2019 il piccolo E. , finché, cessato il legame sentimentale tra i suoi
due genitori, il Tribunale di Matera, adìto sempre dalla medesima odierna
ricorrente, aveva stabilito, con decreto del 30.9.2020, l’affido esclusivo del
minore alla madre, la regolamentazione degli incontri padre-figlio e la
determinazione del contributo di mantenimento a carico dell’odierno resistente
nell’importo mensile di € 250,00, oltre al 50% delle spese straordinarie.
Deduceva, quindi, la ricorrente l’inadempimento del N. agli obblighi de quibus,
benché lo stesso risulti percepire in S. , ove risiede, “emolumenti mensili di
circa euro 1.400,00”, a fronte, invece, di quelli da lei percepiti, ammontanti a
“circa euro 950,00 mensili” e chiedeva pertanto, in ragione del perdurante e
reiterato disinteresse ed incapacità del resistente a prendersi cura del figlio, la
declaratoria di decadenza di M. A. N. L dalla responsabilità genitoriale, con
aumento dell’importo dell’assegno di mantenimento a suo carico da € 250,00
ad € 350,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie.
L’odierno resistente, benché ritualmente citato, rimaneva contumace ed, in
considerazione della domanda ex art. 330 c.c. avanzata nel ricorso introduttivo
dalla P. , veniva nominato un curatore speciale del minore E. nella persona
dell’avv. Lucia Elsa MAFFEI, costituitosi in giudizio in data 10.1.2024.
Quanto alla richiesta principale della ricorrente, intesa ad ottenere la
declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale del padre del minore,
va osservato come il perdurante contegno omissivo ed inadempiente del
resistente, rispetto agli obblighi derivanti dal rapporto genitoriale ed alla
regolamentazione stabilita nel precedente decreto del Tribunale di Matera, si
appalesi da un lato indubbiamente e gravemente pregiudizievole per il minore,
essendo quest’ultimo totalmente privato della figura e presenza paterne e,
dall’altro lato, sufficientemente sintomatico di una incapacità del genitore a
prestare al figlio la cura e l’accudimento, attraverso anche periodi di
temporanea coabitazione, indispensabili per il corretto esercizio della
responsabilità genitoriale. E’ infatti pacifica nella giurisprudenza di legittimità
l’affermazione del principio secondo cui “il provvedimento di decadenza dalla
responsabilità genitoriale è adottabile qualora la condotta del genitore si
traduca in un grave pregiudizio per il minore, dovendo il giudice di merito
esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilità di recupero,
attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze
genitoriali, con riferimento alla elaborazione, da parte dei genitori, di un
progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale,
caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con
l’aiuto di parenti o di terzi e avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali”
(Cass., I, n. 12237/2023).
Sulla scorta di tali premesse ermeneutiche dell’art. 330 c.c. risulta al Collegio
evidente come la assenza totale del N. , residente all’estero, dalla vita del figlio
sia dettata da ragioni di disinteresse ed incuria rispetto al percorso di
maturazione psicofisica del minore, non constando peraltro, a fronte della
specifica allegazione della ricorrente ed in mancanza di contrarie evidenze che
il resistente avrebbe dovuto fornire costituendosi in giudizio, che egli abbia mai
versato gli assegni mensili di mantenimento, né che abbia esercitato i diritti di
visita col piccolo E. né, comunque, che abbia partecipato, neppure
indirettamente, agli eventi della crescita del bambino o se ne sia occupato,
ancorché sporadicamente, in termini di minimo accudimento. Tanto lascia
conseguentemente formulare una prognosi del tutto negativa sulla sua
effettiva possibilità di recupero di un rapporto genitoriale, avendo il resistente
costantemente disatteso anche le statuizioni giudiziali di cui al decreto del
30.9.2020.
Se, dunque, merita accoglimento la domanda di decadenza dalla responsabilità
genitoriale, non altrettanto fondata si appalesa, invece, la richiesta di aumento
dell’importo dell’assegno mensile di mantenimento, non avendo la ricorrente,
invero, neppure allegato un sopravvenuto mutamento in peius delle proprie
condizioni reddituali e, viceversa, un incremento di quelle del resistente,
avendo ella soltanto documentato il pagamento delle rette dell’asilo nido ed,
ancora una volta, allegato l’inadempimento del resistente ai suoi obblighi di
contribuzione al mantenimento del figlio minore.
Le spese processuali, infine, vengono compensate in ragione della metà, attesa
la contumacia del resistente e la parziale soccombenza della ricorrente rispetto
all’entità dell’assegno di mantenimento, e liquidate nella misura precisata in
dispositivo.
P.Q.M.
accoglie il ricorso per quanto di ragione e, per l’effetto,
dichiara M. A. N. L, come in epigrafe generalizzato, decaduto dalla
responsabilità genitoriale nei confronti del figlio E. N. M. P. (n. l’____2019);
previa compensazione in ragione della metà delle spese processuali, condanna
il resistente alla rifusione in favore di L. P. della somma complessiva di €
1.168,00, oltre al rimborso forfettario per spese generali, nella misura del
15%, iva e cap come per legge.
Così deciso in M. nella camera di consiglio dell’8.7.2024
Il Giudice estensore Il Presidente
Valeria LA BATTAGLIA Giuseppe DISABATO

Commette il reato di maltrattamenti la maestra che sistematicamente utilizza metodi violenti a fini educativi.

Corte di cassazione, sez. VI penale, sent. 15 ottobre 2024, n.
37747,
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta da
Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente
Dott. GIORGI Maria Silvia – Consigliere
Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere
Dott. TRIPICCIONE Debora – Consigliere
Dott. TONDIN Federica – Relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorsi proposti da
A.A., nata a G il (Omissis)
B.B., nato a M il (Omissis)
avverso la sentenza del 09/01/2024 della Corte di appello di Trieste
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Federica Tondin;
Giurisprudenza di legittimità Ondif
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale Mariella De Masellis, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 14/08/2021 il Tribunale di Gorizia ha dichiarato C.C.
responsabile del reato di maltrattamenti aggravato, commesso in qualità
di insegnante di una scuola dell’infanzia nei confronti dei minori
sottoposti alla sua autorità e a lei affidati. Con la medesima sentenza il
Tribunale ha condannato l’imputata, in solido con il responsabile civile,
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca, al risarcimento del
danno nei confronti delle persone offese costituite parti civili, danno da
liquidarsi in sede civile.
2. In parziale riforma di detta sentenza, la Corte di appello di Trieste,
previa riqualificazione del fatto ascritto all’imputata come delitto di abuso
di mezzi di correzione e disciplina (art. 571 cod. pen.), ha emesso
sentenza di proscioglimento per intervenuta prescrizione, ha respinto
l’appello proposto dalle parti civili A.A. e B.B., in proprio e nella qualità di
genitori di D.D. e E.E., compensando le spese del grado di giudizio tra
tali parti e l’imputata.
3. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione
le parti civili sopra indicate, denunciando i motivi di annullamento, di
seguito sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. att.
cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo di ricorso si denunciano i vizi di violazione di
legge e di difetto di motivazione in ordine alla riqualificazione del fatto
come abuso di mezzi di correzione e disciplina. La Corte di appello ha
valorizzato quasi esclusivamente le intercettazioni audio-video, che
hanno avuto una durata di 14 giorni, mentre i fatti addebitati
all’imputata si sono protratti per due anni scolastici, nonché la
descrizione delle riprese effettuata dal consulente tecnico della difesa,
sminuendo le deposizioni di decine di testi, che hanno direttamente
assistito ai fatti.
La motivazione, inoltre, è contraddittoria perché la stessa Corte
riconosce che le condotte tenute dall’imputata sono “connotate da un
intervento correttivo sproporzionato rispetto alle violazioni riscontrate”,
che erano idonee a cagionare un pericolo di malattia nel corpo o nella
mente dei minori e che sono stati posti in essere atti di violenza, quali
strattonamenti.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso si denunciano i vizi di violazione di
legge e di difetto di motivazione in relazione alla mancata liquidazione
della provvisionale richiesta. La Corte ha reputato che la derubricazione
del fatto non consentisse di ritenere acquisiti sufficienti elementi per
provvedere alla liquidazione di una provvisionale, pur avendo
riconosciuto l’idoneità delle condotte a cagionare un pericolo di malattia.
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3.3. Con il terzo motivo di ricorso si deduce che la compensazione delle
spese processuali, per la parziale soccombenza delle parti civili, è stata
effettuata in violazione dell’art. 541 , comma 2, cod. proc. pen., che
prevede che la compensazione possa esser disposta se vi è richiesta
dell’imputato e solo per gravi ragioni.
4. Disposta la trattazione scritta del procedimento, in mancanza di
richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, il Procuratore
generale ha depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicato.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente va osservato che, secondo la giurisprudenza di
questa Corte (Sez. U n. 28911 del 28/03/2019, Massaria, Rv. 275953),
sussiste l’interesse della parte civile a impugnare la sentenza che ha
dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, ove con
l’impugnazione si contesti l’erroneità di detta dichiarazione. Le Sezioni
unite hanno precisato che la legittimazione della parte civile ad
impugnare deriva direttamente dalla previsione dell’art. 576 , comma 1,
cod. proc. pen., che fa riferimento a tutte le sentenze di proscioglimento,
fra le quali deve sicuramente ricomprendersi anche la sentenza di non
doversi procedere per estinzione del reato. In questo caso la Corte ha
ravvisato l’interesse ad impugnare della parte civile considerando il
vantaggio correlato al ribaltamento della prima pronuncia e
all’affermazione di responsabilità dell’imputato, sia pure ai soli fini delle
statuizioni civili, e, con specifico riferimento al ricorso in cassazione,
all’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile in grado di
appello, ex art. 622 cod. proc. pen., senza la necessità di iniziare “ex
novo” il giudizio civile.
2. Il primo motivo di ricorso è fondato.
La Corte di appello ha ritenuto che le condotte tenute dall’imputata
fossero finalizzate all’educazione dei bambini e che si siano
concretizzate, in alcuni casi, in un uso distorto dei mezzi correttivi,
senza, però, alcuna sproporzione rispetto alle violazioni ascrivibili agli
alunni e senza ricorso alla violenza, tanto che la fattispecie concreta è
stata ricondotta a quella prevista dall’art. 571 cod. pen.
Per giungere a questa conclusione la Corte ha visionato le riprese audio-
video, installate nel refettorio e nell’aula in cui insegnava l’imputata dal
10 al 26 febbraio 2014, e, richiamando le relazioni del perito nominato
dal giudice e del consulente tecnico della difesa incaricati di descrivere le
scene riprese, ha ritenuto che in esse non fossero riscontrabili “violenze
gratuite, né condotte vessatorie ripetutamente rivolte ai minori” (p. 12).
Ha, poi, ritenuto che “nella direzione della inconfigurabilità di una
condotta di maltrattamento depongono anche le testimonianze prodotte
dalla difesa” che riportano non condotte maltrattanti ma una attività
educativa rispettosa dell’integrità fisica e psichica degli alunni; lo stesso
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utilizzo della brandina, diversamente d quanto ritenuto dal giudice di
primo grado, non appariva ispirato a finalità punitive.
Sono, poi, valorizzate le deposizioni dei testi che riferiscono di condotte
particolarmente rigide, connotate da un intervento correttivo
sproporzionato (si citano F.F., che ha riferito che l’imputata era solita
dare ordini ai bambini, insistendo con autorità soprattutto affinché
mangiassero; G.G., secondo cui il metodo educativo dell’imputata era
autoritario, nel senso che si atteggiava verso i bambini cercando di
imporre il suo volere, minacciando punizioni e imponendo divieti; H.H.,
che ha riferito di condotte molto rigorose per quanto riguarda
l’alimentazione; H.H., che ha descritto condotte molto severe e
autoritarie).
Nella stessa sentenza, però, si dà atto che la maestra C.C. strattonava i
bambini, li costringeva, per punizione, a stare in tavoli separati (p. 13),
minacciava di punirli per imporre il suo volere (p. 14).
Non sono, poi, valutate altre deposizioni, che in parte vengono
sintetizzate e in parte vengono richiamate, mediante rinvio alla sentenza
di primo grado. Da tali deposizioni emerge che, per far mangiare una
bambina, l’imputata le ha infilato un bavaglino in un angolo della bocca
in modo da tenerla aperta e contemporaneamente le ha fatto ingoiare un
cucchiaio di minestra, continuando nella sua azione nonostante la bimba
si fosse messa a piangere (episodio narrato dalla teste oculare M.M., la
quale ha, altresì, riferito “che l’imputata aveva un modo dittatoriale di
porsi nei confronti dei bambini, che costringeva a mangiare ogni cosa…”
e che “i bambini seguiti dalla C.C. avevano un comportamento diverso
dagli altri, che evidenziava uno stato di paura” p. 8);
che, in un’altra occasione, l’imputata è stata vista imboccare una
bambina tenendole le braccia dietro la schiena, dare uno schiaffo ad un
bambino perché non mangiava, minacciare tutti i minori dicendo che se
non avessero mangiato sarebbero finiti sulla brandina. La teste ha,
altresì, riferito che quando erano minacciati si mettevano a piangere
(teste H.H., la cui deposizione è richiamata a p. 8 della sentenza
impugnata, con rinvio alla deposizione resa all’udienza del 07/03/018,
riportata nella sentenza di primo grado); che la brandina, acquistata allo
scopo di consentire ai bambini di dormire veniva impiegata come mezzo
di punizione, che una bambina quando vedeva la maestra C.C. non
voleva entrare (teste I.I., che ha anche riferito che di aver appreso dalla
propria figlia che un giorno un altro bimbo aveva portato delle forbici a
scuola e l’imputata, per fargli capire quanto fossero pericolose, lo aveva
punzecchiato sulla mano, finché non aveva cominciato a piangere, p. 8);
Condotte definite espressamente come “maltrattanti” (p. 9) vengono
riferite anche da J.J. (che, pur precisando che le condotte non erano mai
tenute con violenza, ha riferito che il piccolo K.K. veniva fatto sdraiare
sulla brandina quando era agitato), da L.L. (che ha riferito che l’imputata
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diceva che i bambini dovevano mangiare tutto altrimenti li puniva,
lasciandoli seduti da soli), da H.H. (che ha assistito ad un episodio in cui
l’imputata ha costretto una bambina a mangiare). Nella sentenza si dà,
infine, atto che venivano posti in essere “strattonarmene eccessivi”.
Dall’insieme di tali deposizioni si ricava un quadro di minacce, di
coercizioni e pesanti punizioni, di violenze inflitte dall’imputata, maestra
di scuola materna, ai bambini affidati alle sue cure di età compresa tra i
tre e i cinque anni. Questi comportamenti non erano isolati, ma venivano
ripetuti nel tempo nei confronti di una pluralità di minori.
Reputa il Collegio che tali condotte, contrariamente a quanto ritenuto
nella sentenza impugnata, travalichino i limiti dell’uso dei mezzi di
correzione, potendosi ritenere tali solo quelli per loro natura a ciò
deputati, che tendano cioè alla educazione della persona affidata alla
propria cura, senza trasmodare nel ricorso a mezzi violenti, che tali fini
formativi contraddicono.
Va condiviso sul punto il consolidato orientamento di questa Corte
secondo cui l’uso sistematico della violenza, quale ordinario trattamento
del minore affidato, anche il dove fosse sostenuto da “animus
corrigendi”, non può rientrare nell’ambito della fattispecie di abuso dei
mezzi di correzione ma concretizza, sotto il profilo oggettivo e
soggettivo, gli estremi del più grave delitto di maltrattamenti (Sez. 6, n.
11956 del 15/02/2017, Rv. 269654). Ed infatti, affinché possa essere
configurato il reato di abuso dei mezzi di correzione in luogo del reato di
maltrattamenti, la risposta educativa dell’istituzione scolastica deve
essere sempre proporzionata alla gravità del comportamento deviante
dell’alunno e, in ogni caso, non può mai consistere in trattamenti lesivi
dell’incolumità fisica o afflittivi della personalità del minore.
Né l’intenzione dell’agente di agire esclusivamente per finalità educative
e correttive costituisce un elemento dirimente per far rientrare il
sistematico ricorso ad atti di violenza commessi nei confronti di minori
nella meno grave previsione di cui all’art. 571 c.p. anziché in quella
dell’art. 572 c.p. (Cass. Sez. 6, n. 45467 del 23/11/2010 , Rv. 249216).
L’intenzione soggettiva non è idonea a far entrare nell’ambito della
fattispecie meno grave dell’art. 571 c.p. ciò che oggettivamente ne è
escluso, in quanto il nesso tra mezzo e fine di correzione va valutato sul
piano oggettivo, con riferimento al contesto culturale e al complesso
normativo fornito dall’ordinamento giuridico e non già dalla intenzione
dell’agente; deve pertanto essere escluso che l’uso sistematico della
violenza quale ordinario “trattamento” del minore, sia pure sostenuto da
“animus corrigendi”, possa rientrare nell’ambito dell’art. 571 c.p., in
considerazione della sicura illiceità di tale uso (Cass. Sez. 6, n. 4904 del
18/03/1996 , Rv. 205034).
Da ciò consegue che la fattispecie concreta non poteva essere ricondotta
a quella, meno grave, di cui all’art. 571 cod. pen. ma doveva essere
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fatta rientrare, come ritenuto dal giudice di primo grado, in quella di cui
all’art. 572 cod. pen.
Pertanto, la sentenza impugnata va annullata limitatamente agli effetti
civili con rinvio, ai sensi dell’art. 622 cod. proc. pen., al giudice civile
competente in grado di appello, cui va rimessa anche la liquidazione
delle spese tra le parti per il grado di legittimità.
3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile perché il provvedimento
di liquidazione della provvisionale non è ricorribile per cassazione, in
quanto non ha valore vincolante di giudicato in sede civile, essendo
destinato ad essere travolto – per il suo carattere di provvisorietà e per la
sua natura meramente delibativa -dalle statuizioni definitive sul
risarcimento del danno (Sez. 4, Sentenza n. 36760 del 04/06/2004,
Cattaneo Rv. 230271 – 01).
4. Il terzo motivo di ricorso è fondato.
Nel giudizio di appello le parti civili hanno ottenuto la conferma della
statuizione di condanna generica al risarcimento del danno contenuta
nella sentenza di primo grado, anche se hanno visto rigettata la propria
istanza di liquidazione di una provvisionale. Le spese del secondo grado
di giudizio sono state compensate “tenuto conto che a fronte delle spese
maturate per la conservazione della condanna generica, si pone la
soccombenza relativa al proposto appello” per la liquidazione di una
provvisionale.
Tale conclusione non è condivisibile in quanto, secondo la giurisprudenza
di questa Corte, la parte civile che, in sede d’appello, resista
vittoriosamente all’istanza dell’imputato volta ad escludere il diritto di
quest’ultima al risarcimento dei danni conseguenti al reato per cui si
procede, ha diritto alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa
già anticipate anche se risulti parzialmente o totalmente soccombente in
relazione alle proprie richieste (Sez. 6, Sentenza n. 23017 del
19/01/2004 Rv. 229825 che, in applicazione di tale principio, ha accolto
il ricorso della parte civile in ordine alla mancata rifusione a favore della
medesima delle spese relative al giudizio di appello, nel quale era stato
dichiarato inammissibile il gravame di quest’ultima al fine di ottenere il
riconoscimento di una provvisionale). Infatti, ai fini della valutazione
della soccombenza della parte civile, è decisiva la circostanza che
l’imputato sia riuscito ad escludere il suo diritto al risarcimento dei danni
conseguenti al reato per cui si procede se l’impugnazione dell’imputato
non ottiene questo risultato, lo stesso è tenuto al rimborso delle spese
sostenute dalla parte civile.
In conclusione, quindi, il terzo motivo di ricorso è fondato.
Provvederà il giudice di rinvio alla liquidazione delle spese sostenute
dalla parte civile nel secondo grado di giudizio.
P.Q.M.
Giurisprudenza di legittimità Ondif
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio
per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di
appello, cui rimette anche la liquidazione delle spese tra le parti per
questo grado di legittimità.
Conclusione
Così deciso in Roma il 26 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 15 ottobre 2024.