Illegittima l’adozione se l’allontanamento del minore dipende dall’inerzia dei Servizi Sociali

Cass. Civ., Sez. I, 10 novembre 2022, n. 33147 – Pres. Acierno, Cons. Rel. Casadonte
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso …/2022 proposto da:
A.A., B.B., rappresentati e difesi dall’avv…., ed elettivamente domiciliati presso lo studio della stessa
in…., corso…;
– ricorrenti –
contro
C.C., D.D., E.E., quale tutore della minore F.F.;
– intimati –
PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO CORTE D’APPELLO DI ANCONA;
– intimato –
avverso il decreto della Corte d’appello di Ancona, depositato il 22/07/2021;
udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 13/10/2022 dalla Consigliera Dott.
Annamaria Casadonte.
Svolgimento del processo
Che:
1. Il procedimento che riguarda la minore F.F., nata il (Omissis) inizia con l’affido eterofamiliare
della medesima disposto il (Omissis) dal sindaco di (Omissis) con il consenso dei genitori naturali
ai coniugi C.C. e D.D. per un anno, ai sensi della L. n. 184 del 1983, artt. 2, 4, 5.
2. L’affido era poi stato proseguito con rinnovo annuale e con il consenso alla prosecuzione da parte
dei genitori naturali sino al 2013.
3. Con ricorso dell’ottobre 2013 il PMM chiedeva ex artt. 333 e 336 c.c., la proroga dell’affido
consensuale di F.F. ai coniugi C.C. – D.D. per un congruo periodo.
4. Con decreto del 7/10/2013 il Tribunale per i minorenni disponeva la prosecuzione dell’affido della
minore ai coniugi C.C. e D.D., L. n. 184 del 1983, ex art. 4, comma 4.
5. Il successivo (Omissis) veniva dato incarico al Servizi sociali di predisporre un progetto finalizzato
al progressivo riavvicinamento della minore ai genitori naturali in vista del definitivo reinserimento
nel nucleo d’origine.
6. Il PMM con parere del 23 dicembre 2014 chiedeva al TM un’ulteriore proroga dell’affido della
minore alla coppia affidataria e il diradamento degli incontri con la famiglia biologica sino a che la
minore non avesse acquistato uno stato di maggiore serenità e stabilità emotiva.
7. Con decreto del 23 febbraio 2015 il TM disponeva ctu per individuare la soluzione maggiormente
rispondente alle esigenze della minore previa valutazione delle relazioni di F.F. con le figure adulte
di riferimento.
8. Con decreto del 27 marzo 2015, poichè le relazioni del servizio rilevavano un persistente stato di
malessere della minore in occasione degli incontri con i genitori naturali e un atteggiamento di
estremo rifiuto mostrato da F.F. nei confronti degli stessi, ritenendo pregiudizievole per il benessere
psicologico della minore la prosecuzione dei suddetti incontri con le modalità e i tempi di
frequentazione vigenti, il TM disponeva incontri solo in forma protetta demandando ai servizi di
individuare la tempistica e le modalità, disponendo al contempo il divieto di e Spa trio della minore
e la sua iscrizione nelle liste di frontiera, oltre alla prescrizione dei genitori naturali della minore di
mantenere una condotta collaborativa ed adesiva con le indicazioni del servizio.
9. Veniva poco dopo disposto il divieto di e Spa trio anche per gli altri due fratelli minori di F.F.,
G.G. ed H.H., già affidati con decreto del T.M. del 7 ottobre 2013 al Comune di Fermo.
10. I genitori della minore proponevano reclamo avverso i suddetti decreti, respinto dalla Corte
d’appello con provvedimento del 12 giugno 2015.
11. Con parere del 15 giugno 2016 il PMM ribadiva, alla luce delle note alla ctu formulate dal ctp,
della coppia affidataria e la replica a dette note del ctu nonchè delle osservazioni del ctp dei genitori
naturali, il parere favorevole al rientro della minore nella famiglia di origine da attuarsi con tempi e
modalità indicate ed in collaborazione tra la famiglia affidataria è quella di origine.
12. Con decreto del 18 luglio 2016 il TM disponeva il rientro della minore nell’abitazione familiare
in tempi brevi seppure con gradualità secondo lo schema indicato nel provvedimento incaricando il
servizio sociale di (Omissis) ed il consultorio del Comune di coordinare gli interventi assicurando la
collaborazione delle famiglie.
13. Il decreto era confermato dalla Corte d’appello con provvedimento del 14 ottobre 2016 di rigetto
del reclamo proposto dai genitori affidatari della minore.
14. Con decreto del 24 ottobre 2016 il TM disponeva l’attivazione di sostegno psicologico a cura dei
servizi sociali del Comune e del consultorio del Comune e con decreto del 13 novembre 2016 si
disponeva l’audizione della minore 15. Con decreto del 30 dicembre 2016 si disponeva
l’intensificazione degli incontri minore famiglia d’origine nel periodo natalizio.
16. Con decreto del 17 gennaio 2017 si invitava il consultorio familiare di Ancona ad individuare lo
psicologo per il necessario supporto alla minore.
17. Con decreto del 23 gennaio 2017 il TM nominava curatore speciale della minore l’avvocato E.E.
ed incaricava i servizi di scrivere la minore alla scuola dell’infanzia disponendo attivazione
immediata di educativa domiciliare presso l’abitazione.
18. Con decreto del 6 marzo 2017 il TM disponeva il collocamento della minore in comunità per
favorire idonee modalità di avvicinamento al nucleo di origine; a seguito di reclamo degli affidatari,
dei genitori naturali, del PMM e del curatore speciale la corte d’appello revocava il collocamento; a
seguito di richiesta del difensore dei genitori della minore di intensificazione dei rapporti anche con
i fratelli minori, si invitavano i servizi incaricata di intensificare gli incontri protetti per durata e
frequenza.
19. Con decreto del 15 maggio 2018 del T.M. disponeva nuova ctu richiedendo nuovo accertamento
per l’approfondimento delle valutazioni del caso e dettagliate indicazioni di modalità di
frequentazione e incontro tra la bambina ed il nucleo originario.
20. Nella ctu depositata l’ausiliario concludeva ritenendo più idoneo il collocamento della minore
presso i genitori affidatari alla luce delle difficoltà di reinserimento in quello di origine, evidenziava
la necessità di un percorso psicologico congiunto tra le due coppie in cui potesse inserirsi la
costruzione di uno Spa zio comune in cui la minore potesse vedere riconosciuta la sua provenienza
le sue appartenenze.
21. Con ricorso del 27 marzo 2019 il PMM chiedeva ai sensi egli artt. 333 e 336 c.p.c., la decadenza
dalla responsabilità genitoriale per i coniugi B.B. con previsione di incontri e pernotti mensili della
minore e la ripresa degli incontri con il nucleo biologico entro 6 mesi dall’emissione del decreto,
prevedendo la prosecuzione di un percorso di psicoterapia per i due nuclei e l’apertura di un
autonomo separato procedimento per la dichiarazione di adozione della L. n. 184 del 1983, ex art.
44, lett. d).
22. All’udienza del 6 maggio 2019 i coniugi eccepivano l’inesistenza dei presupposti per la richiesta
di decadenza della potestà genitoriale e l’inammissibilità dell’adozione in casi particolari.
23. All’esito il PM concludeva per la decadenza dei genitori di F.F. dalla responsabilità genitoriale e
l’affidamento sine die a C.C. e D.D. con previsione di incontri orientati verso la liberalizzazione e
possibilità di pernotto a decorrere da 6 mesi dall’emissione del decreto.
24. Il TM condividendo gli esiti della consulenza della Dottoressa I.I., pronunciava con decreto del
7 maggio 2021 la decadenza dalla responsabilità genitoriale dei coniugi B.B. e l’affidamento sine die
di F.F. ai coniugi C.C. e D.D. prevedendo il mantenimento della progressiva liberalizzazione degli
incontri con la famiglia naturale in modo da assicurare continuità relazionale in particolare con i
fratelli.
25. Avverso detto decreto i genitori della minore F.F. proponevano reclamo lamentando
l’illegittimità della dichiarata decadenza non ricorrendo l’accertamento di violazioni e o
trascuratezza dei doveri ad essa inerenti o l’abuso dei relativi poteri con grave pregiudizio della
figlia.
26. Nel procedimento di reclamo si sono costituiti i coniugi affidatari contestando le deduzioni dei
reclamanti nonchè il tutore avv. E.E. che unitamente al P.M. hanno chiesto la conferma del
provvedimento impugnato.
27. La Corte d’appello di Ancona dopo avere premesso che la decadenza dalla responsabilità
genitoriale costituisce provvedimento di natura preminentemente protettiva verso il minore rispetto
a conseguenze pregiudizievoli derivate dal comportamento dei genitori e preventiva rispetto al
potenziale pregiudizio che il minore possa subire dal mantenimento della responsabilità in capo ai
genitori, senza perciò avere dirette connotazioni sanzionatorie, ha confermato il provvedimento
impugnato.
28. La corte territoriale ha infatti dato atto della delicata condizione della minore che fin da piccola
aveva vissuto con la coppia affidataria rispetto alla quale la famiglia d’origine aveva avuto nel corso
dei quattro anni di affido consensuale ripetuti momenti di incontro e di relazione che le avevano
consentito di crescere con la consapevolezza dell’esistenza dei due nuclei.
29. La corte territoriale ha, tuttavia, rilevato come a partire dal 2015 nell’ambito della attivazione del
riavvicinamento della minore in vista del reinserimento nel nucleo d’origine sia stato rilevato un
costante persistente stato di malessere di F.F. in occasione degli incontri con i genitori naturali.
30. Inoltre, ha osservato la corte di merito, la ctu disposta nel 2015 indirizzava verso interventi che
consentissero alla minore di integrare le differenze fra i due nuclei sociali di riferimento e che
portavano ad una rimodulazione dei calendari, con anche una parentesi di collocamento in comunità
(provvedimento poi sospeso e revocato dalla corte d’appello su reclamo di tutte le parti), al fine di
favorire il suo reinserimento nel nucleo di origine.
31. Ciononostante, dalle relazioni di aggiornamento del (Omissis) risultava permanere marcatissima
la difficoltà di F.F. e la tendenza di evitare il contatto con i genitori naturali nonchè l’assenza di
condivisione di esperienze ed emozioni della bambina con la famiglia naturale.
32. La Corte d’appello ha, quindi, evidenziato come sulla scorta della ctu disposta a seguito della
necessità di approfondire quanto risultante dalle relazioni del (Omissis), siano emerse le limitazioni
dei genitori nella relazione con F.F., il loro approccio improntato alla semplificazione ed al
disconoscimento delle istanze affettive della minore nonchè delle sue difficoltà ad inserirsi in un
contesto diverso da quello nel quale ha vissuto sinora.
33. A ciò si è accompagnato, come evidenziato dalla ctu, un processo di negativizzazione della
bambina che secondo i genitori naturali si comporta male perchè vittima di plagio, la negazione
della necessità di risoluzione delle difficoltà di F.F. perchè frutto di cattivi insegnamenti, eliminabili
con la prevalenza assoluta del legame di sangue, unico valido e l’esclusiva necessità che debba
tornare a casa nel più breve tempo possibile.
34. Poichè tale approccio espone la minore, secondo le motivate valutazioni del ctu – fatte proprie
dal TM e condivise dalla Corte d’appello, a gravi rischi “di dissociazione, disintegrazione di parte di
sè, sentimenti di profonda solitudine psichica correlate a quella che sembra dover essere una
definitiva ed inesorabile perdita delle relazioni che l’hanno accompagnata e a non vedersi più
riconosciute parti di sè”, la corte di merito ha ritenuto l’approccio dei genitori ispirato alla prevalenza
indiscussa ed indiscutibile del vincolo di sangue, di canoni di relazione interpersonale rigidamente
tese ad affermarne la valenza esclusiva, incompatibile con la necessità di garantire alla minore un
processo di crescita che tenga conto della sua personale esperienza di vita.
35. La corte d’appello ha da ultimo ritenuto infondate le censure all’affidamento sine die della minore
ai coniugi C.C. -D.D. non essendo emerse all’esito della ctu situazioni di pregiudizio derivanti dalle
modalità con le quali esso viene esercitato.
36. La cassazione della decreto della Corte d’appello pubblicato il 11 luglio 2021 è chiesta da B.B. e
A.A., con ricorso notificato il 7 gennaio 2022 ed affidato a due motivi.
37. Sono rimasti intimati gli affidatari C.C. – D.D. e la tutrice della minore e la Procura generale.
Motivi della decisione
Che:
38. Con il primo motivo (violazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dell’art. 330 c.c.,
dell’art. 8 della CEDU, violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 32 Cost.,
violazione dell’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, dell’art. 24 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea) il decreto impugnato è censurato per avere pronunciato
la decadenza dalla responsabilità genitoriale al di fuori del presupposto normativo che il genitore
abbia violato o trascurato i doveri ad esso inerenti ed abusato dei relativi poteri con grave
pregiudizio del figlio minore.
39. Il provvedimento è inoltre impugnato là dove, contrariamente a quanto disposto nell’art. 3 Cost.,
comma 2, non è conforme al dovere di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che
impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Si assume cioè che la condizione di indigenza
dei genitori naturali abbia portato a giustificare la sottrazione della minore alla sua famiglia naturale.
40. Denunciano poi i ricorrenti la violazione del diritto alla salute nonchè dei diritti del bambino alle
cure e alla protezione nel preminente superiore interesse dello stesso.
41. In altri termini i ricorrenti lamentano come l’allontanamento della minore dalla famiglia naturale,
inizialmente avvenuto con il consenso dei genitori in ragione della precarietà delle condizioni di vita
in cui all’epoca si trovavano, sia stato trasformato da condizione temporanea a situazione
consolidata giustificata con le difficoltà della minore a dare seguito al graduale rientro nella famiglia
di origine. In realtà sostengono che la di9fficoltà in questione sarebbe stata determinata
dall’inefficienza dei servizi sociali la cui inerzia era stata evidenziata anche in nel corso della ctu del
2016 che si pone in rotta di collisione con quanto accertato nella ctu del 2019 affidata alla Dott.ssa
I.I..
42. Contestano altresì l’insussistenza della descritta incapacità genitoriale evidenziando come la
difficoltà naturale nel relazionarsi con la figlia siano riconducibili alla circostanza che essi sono
persone di cultura non elevata, senza elevate capacità psicologiche o intellettive e tendono a
semplificare i problemi senza che ciò significhi disconoscere le esigenze della figlia F.F..
43. La censura è fondata.
44. La decadenza dalla responsabilità genitoriale ai sensi dell’art. 330 c.c., presuppone la violazione
o la trascuratezza dei doveri ad essa inerenti da parte dei genitori ovvero l’abuso dei relativi poteri
con grave pregiudizio per il figlio minore.
45. A fronte di ciò e della dettagliata descrizione contenuta nel decreto impugnato della sequenza
processuale e dei provvedimenti dell’autorità amministrativa e giudiziaria assunti a seguito
dell’affidamento consensuale disposto dopo due mesi dalla nascita della minore F.F., non risultano
specificati i comportamenti concreti nei quali è ravvisabile la violazione o trascuranza dei doveri
inerenti la responsabilità genitoriale che si imputa ai B.B..
46. Il decreto non specifica quale concreta condotta avrebbero assunto, come si sarebbe manifestata
la negativizzazione della minore in modo tale da assumere i connotati del pregiudizio così grave da
giustificare la decadenza della responsabilità genitoriale.
47. Emerge dai fatti puntualmente riportati nel decreto ed illustrati nel ricorso che erano state le
difficoltà di carattere economico e le precarie condizioni di vita dei B.B. – entrati in Italia come
rifugiati politici con due figli ed in attesa del terzo, F.F. per l’appunto – che li avevano spinti a
considerare la possibilità dell’affido consensuale della piccola neonata F.F..
48. Durante l’affido ai coniugi C.C. – D.D., avevano continuato ad incontrare la piccola con previsti
rientri in famiglia durante i fine settimana.
49. Superate dette difficoltà, reperito cioè un lavoro ed un’abitazione in locazione, si avviava, sulla
base di appositi incarichi al Servizio sociale e di ctu che confermavano il rientro della minore nella
famiglia di origine come la soluzione più confacente all’interesse della minore, seppure con la
necessità di sostegno psicologico e di graduale percorso.
50. A tale processo risultavano essersi opposti gli affidatari nel 2016 e la corte d’appello tuttavia
confermava il provvedimento assunto disponendo l’attivazione immediata del sostegno psicologico
a favore della minore a cura dei Servizi sociali.
51. A ciò faceva seguito il rinnovo da parte del TM della suddetta prescrizione ai Servizi sociali e,
dopo un tentativo non riuscito di avviare il reinserimento della minore in famiglia di origine previo
collocamento in una struttura/casa-famiglia, gli affidatari chiedevano la sospensione della
responsabilità genitoriale dei B.B. e la sospensione degli incontri di F.F. con gli stessi nonchè nuova
ctu volta ad accertarne le capacità genitoriali, come anche richiesto dal tutore della minore.
52. Disposta ctu emergevano secondo il tecnico criticità e difficoltà nella relazione con la minore per
“scarsa sintonizzazione emotiva ed empatica” con conclusione favorevole alla collocazione presso
gli affidatari è la più idonea.
53. Ebbene, emerge, in primo luogo, dalla lettura del provvedimento impugnato che il progressivo
allontanamento della minore dai genitori è stato dettato dall’oggettiva mancanza di tempestiva e
continuativa di interventi adeguati da parte dei Servizi territoriali incaricati dal giudice di rendere
operativa la relazione con la minore e di vigilare sulle ragioni e gli ostacoli (con indicazione ed
attribuzione delle responsabilità) frapposti alla attuazione non frammentaria e problematica di
questi incontri. La valutazione finale del ctu consegue ad un provvedimento di affido prolungato o
“sine die” che contrasta con la ratio e la disciplina normativa dell’affido eterofamiliare e alla reiterata
mancanza di effettivi contatti tra i genitori biologici e la minore, dovuti all’incapacità ed ai ritardi
nel consentirne la realizzazione. A fronte di una cospicua sequenza di ordini giudiziali volti
all’attivazione degli incontri, la mancata attuazione, non attribuibile alla assenza di collaborazione
dei genitori della minore, ha prodotto la sospensione della responsabilità e successivamente la
decadenza sulla base di una valutazione svolta quando l’interruzione era già consolidata. La
decisione sulla decadenza è fondata sostanzialmente sulle difficoltà psicologiche della minore (del
tutto comprensibili e destinate a crescere se non si modifica la situazione di fatto che le determina)
e sulla sua attuale incapacità di adattarsi ad una relazione sotto qualsiasi forma con i genitori
biologici. Ciò è confermato anche dalle valutazioni “critiche” del ctu citate nel ricorso e trascritte
nella parte motiva del decreto, le quali non consentono di evidenziare una condotta genitoriale
capace di arrecare un grave pregiudizio alla minore così da dar luogo ad un provvedimento di
ablazione della responsabilità genitoriale prodromico di conseguenze ben più gravi quali la
sostituzione definitiva delle figure genitoriali. Nessun rilievo viene attribuito alla mancanza
d’interventi effettivi, nonostante le prescrizioni contenuti in provvedimenti giudiziali per non far
consolidare le difficoltà della minore e per contrastare questo suo rifiuto sopravvenuto e
conseguente ad un affidamento extragenitoriale sempre più esclusivo pur in presenza di genitori
biologici presenti, collaborativi e tenacemente rivolti a ripristinare la relazione genitoriale.
54. Si deve ribadire che appare arduo configurare nelle espressioni virgolettate svolte a pag. 9 (primo
capoverso) del padre di F.F. (“i figli crescono secondo gli insegnamenti dei genitori”…”una volta
chiusa la porta di casa tutto torna a posto”) al di fuori di un concreto riferimento a comportamenti
specifici, quelle condotte di grave pregiudizio che devono necessariamente sorreggere la
declaratoria di decadenza dalla responsabilità genitoriale.
55. E’ peraltro principio giurisprudenziale consolidato che le difficoltà di carattere economico, od
anche psicologico ed educative dei genitori non possono di per sè giustificare la privazione del
diritto del minore a crescere nella propria famiglia e costituire uno stigma sanzionabile con la perdita
o limitazione della responsabilità genitoriale (cfr. Cass. 120/1998; id. 2010/2001; id. 1674/2002).
56. Nel caso di specie non è dato poi comprendere l’esito del sostegno psicologico disposto per
favorire il superamento delle evidenziate difficoltà della minore che ha manifestato reazioni di
chiusura verso la famiglia di origine, pur avendo positive occasioni di incontro con i fratelli.
57. Le suddette carenze del decreto non consentono di superare le critiche mosse dai ricorrenti, la
cui partecipazione agli incontri organizzati dai Servizi sociali per favorire il recupero della relazione
con la figlia risulta essere stata sempre assicurata e conducono dunque all’accoglimento delle stesse
con conseguente cassazione della pronuncia impugnata sotto il profilo della assenza dei requisiti
per la decadenza dalla responsabilità genitoriale.
58. Parimenti fondata è la seconda censura articolata in ricorso e che attinge il disposto affidamento
“sine die”.
59. L’affidamento etero-familiare disciplinato dalla L. n. 184 del 1983, art. 4, è come espressamente
previsto dal comma 4, che prevede l’indicazione della presumibile durata ed indica le modalità e
tempo dell’eventuale proroga, e come costantemente chiarito dalla Corte, per sua natura
temporaneo, essendo destinato a dare soluzione ad una situazione transitoria di difficoltà o di
disagio familiare, al fine di consentire il rientro nella famiglia di origine (cfr. Cass. 24727/2021; id.
10706/2020; id. 31902/2018).
60. Tale forma di affidamento non può essere strumentalmente utilizzato per nascondere una
diversa tipologia di affidamento (quale quello a rischio giuridico che interviene dopo un
provvedimento di adottabilità o quello che viene disposto in fase di monitoraggio ed accertamento
di una qualificata condizione di abbandono ex L. n. 184 del 1983, per scongiurare l’aggravamento
delle problematiche psico fisiche del minore).
62. Al riguardo deve essere sottoposto ad attento vaglio e monitoraggio, se necessario, il
comportamento degli affidatari L. n. 184 del 1983, ex art. 4, ove si verifichino situazioni che
evidenziano atteggiamenti e condotte non coerenti con la temporaneità dell’affido, salvo una
modifica determinata da mutamenti effettivi e gravi nelle condizioni del nucleo genitoriale di
origine.
63. Non è pertanto conforme a legge la previsione di un affidamento sine die.
64. In conclusione, quindi, il ricorso è accolto con cassazione del decreto impugnato e rinvio alla
Corte d’appello di Ancona in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione,
anche per le spese di legittimità. In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le
generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003 art. 52.
Conclusione
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale della Sezione Prima Civile, il 13 ottobre 2022.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2022

Azione di accertamento della cessazione del vincolo di destinazione di un immobile situato in un edificio condominiale ad alloggio per il portiere

Cassazione civile, sez. VI, 14 Ottobre 2022, n. 30302. Pres. Lombardo. Est. Scarpa.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE CIVILE – 2
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32219/2021 R.G. proposto da:
S.N.C. DI ANNA MARIA & C., elettivamente
domiciliata in ROMA , presso lo studio dell’avvocato
, rappresentata e difesa dagli avvocati
-ricorrente-
contro
CONDOMINIO – TORINO, elettivamente
domiciliato in ROMA, , presso lo studio
dell’avvocato , che lo rappresenta e difende
unitamente agli avvocati
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 1060/2021
depositata il 27/09/2021;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/09/2022 dal
Consigliere ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La s.n.c. di Anna Maria & c. ha proposto ricorso,
articolato in due motivi (1: violazione o falsa applicazione degli artt. 102
c.p.c. e 1131 c.c.; 2: violazione e/o falsa applicazione degli artt. 102 e
354 c.p.c.) avverso la sentenza n. 1060/2021 della Corte d’appello di
Torino, pubblicata il 27 settembre 2021.
Il Condominio Torino, ha notificato controricorso.
La Corte d’appello di Torino ha dichiarato la nullità della sentenza n.
5979/2018 del Tribunale di Torino e, ai sensi dell’art. 354 c.p.c., ha
rimesso le parti davanti al giudice di primo grado per la riassunzione nei
confronti dei singoli condomini del Condominio quali
litisconsorti, avendo la causa ad oggetto la domanda principale proposta
dalla s.n.c., volta alla declaratoria della cessazione di validità ed
efficacia del vincolo di destinazione a portineria di un locale di proprietà
della società attrice, nonché la domanda riconvenzionale del Condominio
diretta ad accertare il vincolo di destinazione di
natura reale. Ad avviso della Corte d’appello, la causa concerne
l’estensione dei diritti spettanti ai condomini, con conseguente
litisconsorzio necessario degli stessi.
Con le due censure, la s.n.c. deduce la natura personale della
propria azione e la legittimazione passiva del Condominio evocato in
persona dell’amministratore, e contesta la mancata indicazione nominativa
dei condomini ritenuti litisconsorti.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere
dichiarato manifestamente fondato, con la conseguente definibilità nelle
forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n.
5), c.p.c., il Presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Il controricorrente ha presentato memoria.
Il primo motivo di ricorso è fondato, e il suo accoglimento comporta
l’assorbimento del secondo motivo, il quale rimane privo di immediata
rilevanza decisoria.
L’orientamento consolidato di questa Corte sostiene che la legittimazione
passiva dell’amministratore di condominio per “qualunque azione
concernente le parti comuni dell’edificio”, ex art. 1131, comma 2, c.c.
(come peraltro delineata in Cass. Sez. Unite, 06/08/2010, n. 18331), non
concerne le domande incidenti sull’estensione del diritto di proprietà o
comproprietà dei singoli, le quali devono, piuttosto, essere rivolte nei
confronti di tutti i condomini, in quanto in tali fattispecie viene dedotto in
giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile su cui deve
statuire la richiesta pronuncia giudiziale (arg. anche da Cass. Sez. Unite,
13 novembre 2013 n. 25454). Il disposto dell’art. 1131 c.c., secondo cui,
come detto, l’amministratore può essere convenuto in giudizio per
qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio, viene inteso,
invero, nel senso che il potere rappresentativo che spetta
all’amministratore di condominio si riflette nella facoltà di agire e di
resistere in giudizio unicamente per la tutela dei diritti sui beni comuni,
rimanendone perciò escluse le azioni che incidono sulla condizione
giuridica dei beni stessi, e, cioè, sulla estensione del relativo diritto di
condominio, affare che rientra nella disponibilità esclusiva dei condomini.
In tal modo, si assicura anche la regolare corrispondenza tra le
attribuzioni dispositive dell’amministratore e dell’assemblea e la
legittimazione a far valere nel processo le rispettive posizioni dominicali
(cfr. Cass. Sez. 2, 18/09/2020, n. 19566; Cass. Sez. 2, 28/01/2019, n.
2279; Cass. Sez. 2, 14/11/1989, n. 4840; Cass. Sez. 2, 02/10/1968, n.
3064; arg. anche da Cass. Sez. 2, 24/09/2013, n. 21826).
La presente lite ha allora ad oggetto il vincolo di destinazione ad alloggio
del portiere di una unità immobiliare di proprietà esclusiva compresa in un
condominio edilizio (in forza di convenzione risalente al 1920), vincolo che non è sussumibile nella categoria delle obbligazioni “propter rem”,
difettando il requisito della tipicità (così Cass. Sez. 2, 24/10/2018, n.
26987; argomenta anche da Cass. Sez. 2, 02/01/1997, n. 8; Cass. Sez. 2,
26/02/2014, n. 4572), e che può, viceversa, in quanto inteso a restringere
permanentemente i poteri normalmente connessi alla proprietà di quel
bene e ad assicurare correlativamente particolari vantaggi ed utilità alle
altre unità immobiliari ed alle parti comuni, assumere perciò carattere di
realità, sì da inquadrarsi nello schema delle servitù.
Tuttavia, rispetto alla domanda diretta ad accertare o a dichiarare estinto
un vincolo di destinazione (nella specie, a portineria) gravante su un bene
di proprietà esclusiva a vantaggio della proprietà condominiale, ovvero
anche rispetto ad una azione confessoria o negatoria di servitù,
trattandosi di lite concernente interessi comuni dei condomini, che non
incide sul diritto di condominio (accrescendolo o riducendolo, con
proporzionale assunzione degli obblighi e degli oneri ad esso correlati),
sussiste la legittimazione dell’amministratore del condominio ai sensi
dell’art. 1131 c.c., la quale deroga alla disciplina valida per le altre ipotesi
di pluralità di soggetti passivi, soccorrendo all’esigenza di rendere più
agevole ai terzi la costituzione in giudizio del condominio, senza la
necessità di promuovere il litisconsorzio passivo nei confronti dei
condomini (cfr. Cass. Sez. 2, 26/02/1996, n. 1485; Cass. Sez. 2,
21/01/2004, n. 919).
Nella memoria presentata ai sensi dell’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., il
controricorrente Condominio obietta che il relatore
nel formulare la proposta di decisione “verosimilmente è stato fuorviato in
quanto: oggetto del giudizio … è un vincolo di destinazione a vantaggio di
ciascun condomino su una porzione immobiliare di proprietà esclusiva di
un singolo condomino, e non un vincolo di destinazione a vantaggio della
proprietà condominiale”; il controricorrente sottolinea pure in memoria
che “la domanda riconvenzionale svolta dal Condominio per
l’accertamento della natura reale del vincolo, con le relative conseguenze
anche di carattere patrimoniale sulla proprietà di ciascun condomino,
comporta che un thema decidendum del presente giudizio richiede la
partecipazione di tutti i condomini”. Tali allegazioni difensive sono errate
in diritto. La causa in esame, come già detto, non ha ad oggetto, per
quanto si evince dagli atti, la verifica della proprietà esclusiva o della
proprietà condominiale di un bene, e dunque non implica un accertamento
tra titoli di proprietà confliggenti fra loro, il quale altrimenti davvero
imporrebbe l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i
condomini. Le pretese dedotte in lite non richiedono, quindi, di stabilire se
un’unità immobiliare sia comune, ai sensi dell’art. 1117, n. 2, c.c., perché
destinata ad alloggio del portiere, al quale fine sarebbe occorso accertare
se, all’atto della costituzione del condominio, vi fosse tale specifica
destinazione al servizio in comune (da ultimo, Cass. Sez. II, 22/06/2022,
n. 20145, non massimata).
La presente lite è diretta, piuttosto, a verificare se l’immobile di (non
controversa) proprietà esclusiva della s.n.c. sia gravato da una
servitù consistente nel vincolo di destinazione ad alloggio del portiere per
l’utilità delle altre unità immobiliari e delle parti comuni. Come in ogni
causa che attiene all’accertamento ed all’osservanza dei divieti o dei limiti
contrattuali di destinazione d’uso delle unità immobiliari di proprietà
esclusiva nell’ambito di un condominio edilizio, sussiste la legittimazione
processuale dell’amministratore, essendo in gioco la salvaguardia dei
diritti concernenti l’edificio condominiale unitariamente considerato e
l’interesse comune dei partecipanti alla comunione, cioè un interesse che
costoro possono vantare solo in quanto tali, in antitesi con l’interesse
individuale di un singolo condomino (nel che, del resto, confidava la stessa
difesa del Condominio allorché propose, per il
tramite della rappresentanza dell’amministratore, la propria domanda
riconvenzionale).
Il ricorso va perciò accolto nel primo motivo, con assorbimento del
secondo motivo, e la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti
della censura accolta, con rinvio alla Corte d’appello di Torino in diversa
composizione, che procederà ad esaminare nuovamente la causa
uniformandosi ai richiamati principi e provvederà anche sulle spese del
giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo
motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese
del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Torino in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile
della Corte suprema di cassazione, il 30 settembre 2022.

Violazione degli obblighi di assistenza familiare e prova dell’incapacità economica dell’obbligato

Cass. Pen., Sez. VI, Sent., 26 ottobre 2022, n. 40553
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VILLONI Orlando – Presidente –
Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere –
Dott. APRILE Ercole – Consigliere –
Dott. DE AMICIS Gaetano – rel. Consigliere –
Dott. D’ARCANGELO Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A., nato il (Omissis);
avverso la sentenza del 15/10/2021 emessa dalla Corte di appello di Firenze;
esaminati gli atti e letti il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del Consigliere, Gaetano De Amicis;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
ANGELILLIS Ciro, che ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni del difensore della parte civile, Avv. C.D., che ha chiesto la declaratoria di
inammissibilità del ricorso, con la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese del giudizio;
lette le conclusioni del difensore dell’imputato, Avv. P.C., che ha chiesto l’accoglimento dei motivi
del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 15 ottobre 2021 la Corte di appello di Firenze ha parzialmente riformato la
decisione di primo grado – che dichiarava A.A. responsabile del reato di cui all’art. 570 n. 2 c.p., e
lo condannava alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 600,00 di multa, oltre al risarcimento dei
danni morali subiti dalla parte civile, che venivano liquidati in complessivi Euro diecimila – riducendo
ad Euro quattromila l’importo dei danni morali e disponendo la sospensione condizionale della pena
subordinatamente al pagamento della somma di denaro nei termini su liquidati, entro il termine di
giorni sessanta dal passaggio in giudicato della sentenza; confermava, nel resto, la decisione
impugnata.
2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato,
censurando con il primo motivo la violazione di legge per l’erronea valutazione delle risultanze
probatorie in ordine alla situazione di oggettiva impossibilità economica in cui l’imputato si trovava
e tuttora si trova: elementi significativi, al riguardo, era stati già allegati in primo grado, facendo
riferimento, ad es., alla iscrizione nelle liste di disoccupazione, alla natura precaria dei lavori svolti
nel periodo in contestazione e all’alloggio gratuito presso le strutture messe a disposizione dal
Comune di Roma per genitori separati.
2.1. Con un secondo motivo, inoltre, si deducono violazioni di legge e vizi della motivazione in ordine
alla configurabilità degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 570-bis c.p. avendo la Corte di
appello erroneamente imputato al ricorrente di non aver provato la situazione di oggettiva
impossibilità di adempiere, sebbene su di lui gravasse unicamente un onere di allegazione, che nel
caso di specie era stato assolto.
2.2. Con un terzo motivo si lamentano analoghi vizi in ordine al riconoscimento solo formale del
beneficio della sospensione condizionale della pena, in quanto concesso subordinatamente al
pagamento delle somme liquidate a titolo di risarcimento del danno, pur non avendo il ricorrente, di
fatto, le possibilità economiche per accedervi, in considerazione del suo stato di indigenza, che non
gli consente di adempiere nel ristretto termine di sessanta giorni indicato dalla sentenza impugnata.
2.3. Con un quarto motivo, infine, si censura la denegata concessione delle attenuanti generiche, in
considerazione dello stato di incensuratezza dell’imputato e della sua condizione di incapacità
economica.
3. Con requisitoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 26 agosto 2022 il
Procuratore generale ha illustrato le sue conclusioni, chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.
4. Con memoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 29 luglio 2022 il difensore
della parte civile, Avv. C.D., ha illustrato le sue conclusioni chiedendo la declaratoria di
inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese del
giudizio come da notula allegata, ove si fa richiesta di porlo anticipatamente a carico dell’erario, in
ragione dell’ammissione della parte civile al patrocinio a spese dello Stato.
5. Con memoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte in data 9 settembre 2022 il
difensore dell’imputato, Avv. P.C., ha ribadito la fondatezza delle censure già prospettate nei motivi
di ricorso, concludendo per il loro accoglimento.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile sia per manifesta infondatezza, sia in quanto proposto sulla base di motivi
non consentiti nel giudizio di legittimità, per essere le correlative ragioni di doglianza assertivamente
orientate a sollecitare, sul duplice presupposto di una rivisitazione in fatto delle risultanze processuali
e di una diversa o alternativa – e come tale non consentita – rivalutazione delle fonti di prova,
l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica
conseguenzialità che caratterizzano gli articolati passaggi motivazionali attraverso i quali si snoda la
decisione impugnata.
2. Nel ripercorrere il quadro delle convergenti risultanze probatorie già in senso conforme apprezzate
dalla prima decisione di merito, la Corte distrettuale ha puntualmente disatteso le, qui reiterate,
obiezioni difensive e coerentemente illustrato le ragioni giustificative dell’affermazione di
responsabilità, ponendo in evidenza segnatamente: a) che l’imputato si è sottratto all’obbligo di
mantenimento delle figlie minorenni, secondo quanto giudizialmente statuito in sede civile, lungo
l’intero arco temporale considerato nell’imputazione; b) che la prospettata incapacità economica di
provvedere da parte dell’imputato è stata puntualmente esaminata e ritenuta priva di congrue
giustificazioni dai Giudici di merito, nelle cui conformi decisioni sono state partitamente vagliate le
produzioni documentali della difesa, considerandole irrilevanti – sì come riferite ad un’epoca diversa
da quella indicata nell’imputazione – ovvero del tutto generiche e non temporalmente collocabili in
un momento rilevante ai fini dell’apprezzamento della condotta oggetto del tema d’accusa (v. pag. 5
della sentenza impugnata); c) che il relativo onere economico è andato a gravare interamente sulla
madre; d) che nei vari provvedimenti adottati dal Giudice civile l’obbligo di contribuire al
mantenimento è stato non solo mantenuto, ma addirittura aumentato nella misura, senza che alcuna
riduzione della sua entità sia stata richiesta dall’interessato.
2.1. Al riguardo, pertanto, la Corte distrettuale ha fatto buon governo dei principii stabiliti da questa
Suprema Corte, secondo cui: a) l’incapacità economica dell’obbligato, intesa come impossibilità di
far fronte agli adempimenti sanzionati dell’art. 570 c.p., deve essere assoluta e deve altresì integrare
una situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti (Sez. 6, n. 49979 del
09/10/2019, G., Rv. 277626); b) incombe sull’interessato l’onere di allegare gli elementi dai quali
possa desumersi l’impossibilità di adempiere alla relativa obbligazione, di talchè la sua responsabilità
non può essere esclusa in base alla mera documentazione formale dello stato di disoccupazione (Sez.
6, n. 7372 del 29/01/2013, S., Rv. 254515); c) del tutto inidonea deve ritenersi a tal fine la
dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà
(Sez. 6, n. 8063 del 08/02/2012, G., Rv. 252427).
2.2. Congruamente motivate devono altresì ritenersi le statuizioni in punto di diniego delle invocate
attenuanti generiche, avuto riguardo, per un verso, al rilevante arco temporale entro il quale si è
protratto l’inadempimento, per altro verso, all’assenza di positivi elementi di valutazione in grado di
giustificarne la concessione, dovendosi, anche sotto tale profilo, ritenere assolto l’onere motivazionale
sulla base di argomenti immuni da vizi logico-giuridici in questa Sede deducibili.
L’indimostrata presenza di una condizione di incapacità economica dell’imputato, peraltro, costituisce
il presupposto anche del terzo motivo di ricorso, che deve, pertanto, ritenersi anch’esso
manifestamente infondato, non essendo emersi dagli atti elementi sintomatici idonei a dubitare della
capacità di soddisfare la condizione imposta ai fini della concessione del beneficio, nè avendo la parte
interessata fornito tali specifici elementi in vista della relativa statuizione di merito.
3. In definitiva, a fronte di un apprezzamento completo delle emergenze procedimentali,
congruamente illustrato attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logico-
giuridici, deve rilevarsi come il ricorrente non abbia individuato passaggi o punti della decisione tali
da inficiare la complessiva tenuta del discorso argomentativo delineato dal Tribunale, ma vi abbia
sostanzialmente contrapposto una lettura alternativa, facendo leva sul diverso apprezzamento di
profili fattuali già puntualmente vagliati in sede di appello, e la cui rivisitazione, evidentemente, esula
dai confini propri del sindacato da questa Suprema Corte esercitabile.
4. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con
la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento alla
Cassa delle ammende di una somma che, in ragione della natura delle questioni dedotte, si stima equo
quantificare nella misura di Euro tremila.
L’imputato, inoltre, deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa
sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, secondo
le correlative statuizioni in dispositivo meglio precisate.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla
rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile
ammessa al patrocinio a spese dello Stato, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di
Firenze con separato decreto di pagamento ai sensi degli D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 83,
disponendo il pagamento in favore dello Stato.
Così deciso in Roma, il 16 settembre 2022.
Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2022

Viene meno il mantenimento se il figlio abusa di quel diritto.

Corte d’Appello di Bari, 16 agosto 2022.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di Appello di Bari, prima sezione civile, composta dai
magistrati:
Dott.ssa Maria Mitola Presidente
Dott.ssa Loredana Colella Consigliere
Avv. Maria Rosa Caliandro Giudice Aus. rel.
ha pronunziato nel procedimento n. 936/2020 R.G. la seguente
SENTENZA
sull’appello avverso la sentenza n. 4620/2019 del Tribunale di Bari,
pubblicata il 13.12.2019 nella causa n.2896/2017 R.G.,
proposto da :
D.C. M., nato a Bari il .. (cf. ..), rappresentato e difeso
dall’avv. Maria Lanzellotto
APPELLANTE
contro
A. A., nata a Bari il .. (c.f. ..)
rappresentata e difesa dall’ avv. Pasqua Lacatena
APPELLATA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso del 17.05.2016 D.C. M., premettendo che con sentenza parziale
n.3681/2011 del Tribunale di Bari (omologata in data 15.11.2011) era stata
dichiarata la separazione personale dei coniugi D.C. M. e A. A. e che
successivamente, con la sentenza definitiva n.3515/215, erano state confermate
le statuizioni già concordate inter-partes in ordine all’obbligo del D.C. M. di
corrispondere un assegno di €. 100,00 mensili a titolo di mantenimento della A.
A. ed altro assegno contributivo di €.250,00 mensili per il mantenimento della
figlia D.C. J.G. (nata a Bari il ..), chiedeva la pronuncia di cessazione degli effetti
civili del matrimonio concordatario (contratto in Bari il 22 giugno 1994) alle
stesse condizioni economiche già concordate anche con riferimento
all’assegnazione della casa familiare alla moglie ed alla eventuale vendita della
stessa con ripartizione della ricavanda somma nella misura del 70% in favore di
A. A. e del residuo 30% in suo favore.
A. A., costituitasi in giudizio, non si opponeva alla domanda sullo status, ma
chiedeva dichiararsi la nullità degli accordi presi in sede separativa , confermare
l’assegnazione della casa coniugale alla resistente in quanto convivente con lei
la figlia maggiorenne non autosufficiente, sino a che la stessa non sarebbe stata
venduta, aumentare da €. 250,00 ad €. 500,00 il contributo per il mantenimento
della figlia e da €. 100,00 ad €. 300,00 l’assegno divorzile.
Con ordinanza presidenziale del 06.07.2017, resa in sede di comparizione
personale delle parti, venivano confermate le condizioni già regolanti lo stato di
separazione.
Nel corso del giudizio le parti depositavano memorie integrative e, in particolare,
il ricorrente, D.C. M., chiedeva che venisse revocato l’assegno contributivo per
il mantenimento della figlia, D.C. J.G., in quanto, a suo dire, la stessa aveva
costituito un proprio nucleo familiare e svolgeva attività lavorativa come
onicotecnica ed estetista.
All’esito del giudizio il Tribunale, preliminarmente, ha osservato che entrambe le
parti avevano depositato le proprie comparse conclusionali solo in forma
cartacea, in violazione dell’art. 16 bis D.L. 179 del 2012 secondo cui tutti gli atti
endoprocedimentali vanno depositati con modalità telematiche, e che
conseguentemente il collegio non poteva tenere conto delle relative
argomentazioni. Nel merito ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del
matrimonio tra i due coniugi nonché la perdita da parte della moglie del cognome
del marito che aveva aggiunto a seguito del matrimonio, ha ordinato le
annotazioni di rito negli atti dello stato civile e confermato interamente le
condizioni della separazione in ordine all’entità degli assegni in favore di A. A. e
della figlia , D.C. J.G., compensando le spese processuali.
Avverso la sentenza del Tribunale, ha ritualmente proposto appello D.C. M.
rilevandone, in via preliminare, l’erroneità nella parte in cui il Tribunale ha
ritenuto inammissibili le argomentazioni dedotte nelle comparse conclusionali
cartacee, in quanto, come dallo stesso documentato, all’epoca della loro
scadenza ed a causa di un malfunzionamento delle pec legalmail, il Presidente
del Tribunale di Bari ne aveva autorizzato il relativo deposito cartaceo. Mentre,
nel merito ha censurato l’illegittimo riconoscimento dell’assegno contributivo al
mantenimento della figlia maggiorenne, D.C. J.G., in violazione degli artt. 337
septies e 2697 cod. civ. -115 e 116 cod. proc. civ., deducendo che il Tribunale
non aveva tenuto conto che la figlia aveva conseguito il diploma di maturità nel
2014 all’età di 19 anni; che all’epoca della pronuncia del Tribunale aveva ormai
raggiunto l’età di 25 anni e che nessuna prova era stata fornita dalla A. A. circa
l’iscrizione e neppure la frequenza di D.C. J.G. ad alcun corso universitario; che
la stessa si era ormai emancipata frequentando un uomo (tal D.F. E.) dal quale
aveva avuto un figlio (D.F. C., ora ormai di .. anni), e che -per altro verso –non
aveva tratto le doverose conseguenze dai rilevanti elementi indiziari che esso
appellante aveva avuto cura di fornire con il deposito di una relazione
investigativa e la produzione di foto tratte dai profili social della figlia e del di lei
compagno. Oltre a non aver tenuto conto degli oneri gravanti sull’appellante, in
seguito alla nascita nel .. della seconda figlia, G., affetta da “agenesia totale
della mano sinistra” e delle spese che lo stesso sostiene in rapporto allo stipendio
che percepisce, gravato da rate di finanziamento per importi non superiori al
quinto. In riforma della sentenza impugnata , ha quindi, chiesto la revoca
dell’assegno posto a suo carico dal Tribunale a titolo di mantenimento della figlia
maggiorenne D.C. J.G., a far data dalla domanda di elisione avanzata da esso
D.C. M. con la memoria integrativa del 12.09.2017 o, in subordine, dalla data
della sentenza di I° grado, con vittoria delle spese e competenze del doppio
grado del giudizio.
All’appello ha resistito A. A., insistendo nella conferma della sentenza
impugnata, in considerazione della precaria situazione economica in cui versa la
figlia la quale, seppur maggiorenne, non è autosufficiente e che la stessa
continua a vivere con la madre insieme al piccolo D.F. C., non percependo nulla
a titolo di mantenimento dal padre del bambino, obbligato, avendolo
riconosciuto, solo al mantenimento del minore. Ha eccepito, inoltre, che alcuna
rilevanza probatoria ha la relazione investigativa prodotta dall’appellante né le
foto ricavate dai profili social della figlia, non provando nulla rispetto alle
contestazioni di controparte, aggiungendo che D.C. J.G., peraltro, ha interrotto
il legame affettivo con il suo compagno e si è iscritta all’Università.
All’udienza collegiale del 12.10.2021, svolta secondo le modalità della
trattazione scritta ex art. 221, comma 4, d.l. 19.5.2020, n. 34, conv. in l.
17.7.2020, n. 77, la causa è stata riservata per la decisione, sulle conclusioni
precisate dai difensori ai quali venivano assegnati i termini di cui all’art. 190
c.p.c.
MOTIVAZIONE
Con le stesse argomentazioni in diritto proposte nel giudizio di primo grado,
ritenute erroneamente inammissibili dal Tribunale in quanto formulate con
comparse conclusionali depositate non telematicamente ma in forma cartacea,
anche se autorizzate dal Presidente del Tribunale nella modalità del deposito
cartaceo, l’appellante con un unico motivo di gravame denuncia vizio di erronea
e carente motivazione con riferimento all’illegittimo riconoscimento dell’assegno
contributivo al mantenimento della figlia, in violazione dell’art. 337 septies e
2697 cod.civ. e 115 e 116 cod. proc. civ., nella parte in cui il Tribunale ha
ritenuto che spettasse a D.C. M. provare il venir meno dell’obbligo del
versamento del contributo a titolo di mantenimento della figlia D.C. J.G., non
traendo doverose conseguenze dai rilevanti elementi forniti con la relazione
investigativa prodotta e con le foto dei profili social, dai quali desumere la
convivenza di D.C. J.G. con il proprio compagno, padre del piccolo D.F. C., e
dell’attività esercitata dalla stessa come estetista ed onicotecnica..
La Corte rileva , quanto alla situazione della figlia, che risulta acquisito il dato
che D.C. J.G., dopo aver conseguito il diploma di maturità nel 2014 all’età di 19
anni, si è scritta alla facoltà di medicina veterinaria, ma che a tutt’oggi non risulta
aver completato gli studi universitari, né è stata allegata alcuna prova circa la
continuità di iscrizione al predetto corso universitario o ad altro corso
universitario o formativo, di aver avuto nel 2015 un figlio di nome D.F. C., nato
da una relazione con tale D.F. E., e di continuare ad abitare insieme al figlio
presso l’abitazione della madre a Loseto alla via G. , come da certificato di
residenza e stato di famiglia, di non avere alcuna stabile occupazione, ma di
svolgere occasionalmente l’attività di onicotecnica.
Alla luce di tali dati di fatto , la Corte, pur tenendo conto del principio statuito
dalla Cassazione secondo il quale l’obbligo di mantenere il figlio non cessa
automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, protraendosi
qualora lo stesso, senza sua colpa, sia ancora dipendente dai genitori (Cass.
14.12.2018 n. 32529), rileva che la stessa Corte Suprema con sentenza del
20.8.2014 n. 18076, ha delineato i criteri ermeneutici che devono orientare il
giudice nella valutazione della persistenza o meno dell’obbligo di mantenimento
del figlio maggiorenne, statuendo che “È noto che l’obbligo dei genitori di
concorrere al mantenimento dei figli, a norma degli 147 e 148 c.c. (v. oggi, gli
artt. 315 bis, introdotto dal D.Lgs. 10 dicembre 2012, n. 219, e art. 316 bis
introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 2013 cit.), non cessa ipso facto con il
raggiungimento della maggiore età da parte di questi ultimi (v. gli artt. 155
quinquies e, oggi,art. 337 septies c.c.), ma il genitore che agisca nei confronti
dell’altro genitore per il riconoscimento del diritto al mantenimento in favore dei
figli maggiorenni deve allegare il fatto costitutivo della mancanza di
indipendenza economica, che è condizione legittimante l’azione (v. Cass. n.
16612/2010) ed oggetto di un accertamento giudiziale che può essere compiuto,
in caso di contestazione, mediante presunzioni desumibili dai fatti che l’attore
ha l’onere di introdurre nel processo. Con analoghe modalità può essere
accertato il venir meno del diritto al mantenimento, qualora il figlio, abusando
di quel diritto, tenga un comportamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato di
occasioni di lavoro e, quindi, di disinteresse nella ricerca dell’indipendenza
economica. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, è il genitore interessato
alla declaratoria di cessazione dell’obbligo di mantenimento che è tenuto a
provare che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, ovvero che il
mancato svolgimento di un’attività produttiva di reddito dipende da un
atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso, il cui
accertamento non può che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto
necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e
postuniversitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro,
con specifico riguardo al settore nel quale il soggetto abbia indirizzato la propria
formazione e la propria specializzazione (v., tra le tante, Cass. n. 19589/2011,
n. 15756/2006). L’onere della prova ben può essere assolto, anche in tal caso,
mediante l’allegazione di circostanze di fatto da cui desumere in via presuntiva
l’estinzione dell’obbligazione dedotta. Naturalmente, la valutazione delle
circostanze che giustificano la ricorrenza o il permanere dell’obbligo dei genitori
al mantenimento dei figli maggiorenni, conviventi o meno ch’essi siano con i
genitori o con uno di essi, va effettuata dal giudice del merito, necessariamente,
“caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto
all’età dei beneficiari”, in guisa da escludere che la tutela della prole, sul piano
giuridico, possa essere protratta oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al
di là dei quali si risolverebbe, com’è stato evidenziato in dottrina, in “forme di
vero e proprio parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più
anziani” (v. Cass. n. 12477/2004, n. 4108/1993). Se è vero che il giudice di
merito non può prefissare in astratto un termine finale di persistenza dell’obbligo
di mantenimento, il genitore obbligato è tenuto ad allegare e, ove sia contestato,
a dimostrare (anche in via presuntiva) di averlo posto nelle condizioni di
raggiungere l’indipendenza economica, sfruttando al meglio le capacità e le
competenze acquisite a conclusione del percorso formativo compiuto in sintonia
con le sue aspirazioni e attitudini, salva ovviamente la possibilità per il figlio di
dimostrare le specifiche ragioni, di tipo personale o economico-sociale (riferite
al settore professionale prescelto), che gli hanno impedito di inserirsi nel mondo
del lavoro e che giustificano la sua richiesta di prolungamento dell’obbligo
genitoriale. Il rigore del suddetto onere probatorio è proporzionale all’avanzare
dell’età, sino al punto di non poter essere più assolto nelle situazioni in cui
quell’obbligo deve ritenersi estinto con il raggiungimento di un’età nella quale il
percorso formativo, nella normalità dei casi, è ampiamente concluso e la persona
è da tempo inserita nella società. Il diritto del figlio si giustifica, infatti, all’interno
e nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso
formativo, “tenendo conto” (e, a norma dei novellati art. 147 c.c. e art. 315 bis
c.c., comma 1, “nel rispetto…”) delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni,
com’è reso palese dal collegamento inscindibile tra gli obblighi di mantenimento,
istruzione ed educazione. Come rilevato in dottrina, la funzione educativa del
mantenimento è nozione idonea a circoscrivere la portata dell’obbligo di
mantenimento, sia in termini di contenuto, sia di durata, avendo riguardo al
tempo occorrente e mediamente necessario per il suo inserimento nella società.
La situazione soggettiva fatta valere dal figlio che, rifiutando ingiustificatamente
in età avanzata di acquisire l’autonomia economica tramite l’impegno lavorativo,
chieda il prolungamento del diritto al mantenimento da parte dei genitori, non è
tutelabile perché contrastante con il principio di autoresponsabilità che è legato
alla libertà delle scelte esistenziali della persona, anche tenuto conto dei doveri
gravanti sui figli adulti nei confronti dei genitori di “contribuire, in relazione alle
proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento
della famiglia finché convivono con essa” (v. l’art. 315, il cui testo è stato
riprodotto nel novellato art. 315 bis c.c., comma 4. Il corretto principio di diritto
da enunciare è il seguente: Ai fini del riconoscimento dell’obbligo di
mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero
del diritto all’assegnazione della casa coniugale, il giudice del merito è tenuto a
valutare, con prudente apprezzamento, le circostanze che giustificano il
permanere del suddetto obbligo o l’assegnazione dell’immobile, caso per caso e
con criteri di rigore proporzionalmente crescente in rapporto all’età dei
beneficiari; tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo
e di misura, tenendo conto che il diritto del figlio si giustifica nei limiti del
perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel
rispetto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni (purché compatibili con le
condizioni economiche dei genitori), com’è reso palese dal collegamento
inscindibile tra gli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione…”. Detto
principio di diritto è stato ribadito recentemente, negli esatti termini, da Cass.
14.8.2020 n. 17183, la quale, anzi, ha fornito una lettura più rigorosa del tema
in questione, precisando che il limite naturale dell’obbligo di mantenimento deve
intendersi coincidente con il raggiungimento della maggiore età, salvi i casi in
cui il figlio dimostri impegno e dedizione nella prosecuzione degli studi, e
ponendo a carico dello stesso l’onere di provare le circostanze che giustificano il
suo mantenimento, attraverso la dimostrazione di essersi proficuamente
adoperato nella ricerca di un lavoro anche non consono alle sue ambizioni
professionali.
Nel caso di specie, la convivenza di D.C. J.G. con il proprio compagno non
possiamo ritenerla pienamente provata, in quanto con certificato di residenza e
dello stato di famiglia, risulta che D.C. J.G. ha sempre vissuto e continua a vivere
insieme al piccolo D.F. C. presso la casa di abitazione della madre sita in Bari a
Loseto alla via G. , anche se la relazione investigativa fatta eseguire dal D.C. M.
e depositata in giudizio, ha accertato che nel breve arco temporale dal
29.08.2017 al 01.09.2017 D.C. J.G., dopo aver trascorso parte della giornata
con la madre, rientrava con il bambino presso l’abitazione del D.F. E. per
trascorrervi la notte , circostanza questa che seppur non prova una stabile
convivenza della figlia dell’appellante ed il proprio compagno, fa
presuntivamente ritenere, insieme alle molteplici foto riportate dai social, che
nel 2017 la coppia si frequentasse assiduamente sino a trascorrere anche le notti
insieme, apparendo all’esterno un sereno nucleo familiare.
Deve, inoltre, valutarsi la circostanza che la A. A., pur deducendo che la figlia è
iscritta all’ università e che ha dovuto interrompere gli studi in seguito alla
nascita del piccolo D.F. C., non ha addotto alcuna prova sulla continuità di
iscrizione di D.C. J.G. alla facoltà di medicina e veterinaria , oltre al dato che
D.C. J.G. svolge occasionalmente l’attività di onicotecnica , come provato da
alcune foto estratte dai profili social e prodotte dall’appellante, facendo
presumere l’abbandono degli studi universitari e la mancanza di un progetto
futuro nel campo formativo universitario. Mentre può dedursi che D.C. J.G. sta
cercando di acquisire altre competenze ed esperienze che possano essere messe
a frutto anche in futuro, oltre , soprattutto, al dato di fatto che la stessa ha ormai
compiuto i ventisette anni , età che lascia presuntivamente ritenere già avvenuto
il completamento del percorso di maturità e di formazione, idoneo a consentirle
il raggiungimento di un’autonomia di vita anche economica, ritenendo la nascita
del figlio ed il rapporto con il suo compagno il tentativo di realizzazione di un
autonomo progetto familiare.
Si condivide, invece, la motivazione del Tribunale nella parte in cui non ha
ritenuto rilevante ai fini del riconoscimento del diritto e determinazione
dell’assegno di mantenimento in favore di D.C. J.G. la nascita della figlia minore
G., -nata dalla relazione con la nuova compagna con la quale ha costituito un
nuovo nucleo –affetta da “agenesia totale della mano sinistra”, in quanto “tale
circostanza già esistente all’epoca degli accordi separativi e , quand’anche
successiva, essa non avrebbe , ex se, potuto elidere gli obblighi nei confronti dei
figli di primo letto , in assenza, peraltro, di sensibile riduzione della capacità
economica”.
Per tali motivi l’assegno di mantenimento in favore di A. A. a titolo di
mantenimento della figlia D.C. J.G., va revocato con decorrenza dalla
pubblicazione della presente sentenza, tenuto conto dell’attuale età di D.C. J.G.,
con compensazione delle spese del presente grado del giudizio.
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando sull’appello, così provvede:
1) accoglie l’appello e, per l’effetto, in parziale riforma della sentenza impugnata,
revoca l’assegno di mantenimento in favore di A. A. a titolo di mantenimento
della figlia D.C. J.G.;
2) compensa le spese.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza.-
Così deciso nella camera di consiglio della I sezione civile della Corte d’Appello
di Bari , tenutasi in videoconferenza in data 08 02.2022.

Studente escluso da un viaggio d’istruzione: a chi spetta decidere in ordine alla domanda di risarcimento?

Cass. Civ., Sez. III, Ord., 24 ottobre 2022, n. 31354
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SESTINI Danilo – Presidente –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
Dott. Spa ZIANI Paolo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso 37765/2019 proposto da:
Liceo (Omissis) e Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Omissis), elettivamente
domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che li
rappresenta e difende;
-ricorrenti –
contro
A.A., elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio dell’avvocato Enrico Cerulli, che lo
rappresenta e difende;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 1847/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 24/7/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/4/2022 dal Cons. LUIGI
ALESSANDRO SCARANO.
Svolgimento del processo
Con sentenza del 24/7/2019 la Corte d’Appello di Firenze, in accoglimento del gravame interposto
dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca nonchè dal Liceo (Omissis) e in parziale
riforma della pronunzia Trib. Firenze n. 2/11/2015, ha dichiarato la giurisdizione del giudice
ordinario, con rimessione al Tribunale di Firenze, in ordine alla domanda nei confronti dei predetti
proposta dal sig. A.A. di risarcimento dei danni lamentati in conseguenza dell’esclusione dalla
“partecipazione ad un viaggio di istruzione organizzato dalla scuola e per aver, in seguito, ostacolato
la sua permanenza nell’istituto”.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il Ministero dell’istruzione, dell’università e
della ricerca ed il Liceo (Omissis) propongono ora ricorso per cassazione, affidato ad unico motivo.
Resiste con controricorso il A.A..
Motivi della decisione
Con unico motivo i ricorrenti denunziano “erroneità della pronuncia impugnata nella parte in cui la
Corte territoriale ha negato la giurisdizione del giudice amministrativo con riferimento alla domanda
di risarcimento proposta dal sig. A.A.”, in riferimento all’art. 360 c.p.c. 1 co. n. 1.
Si dolgono non essersi dalla corte di merito considerato che “controparte abbia inteso fondare la
proposta domanda risarcitoria sulla asserita illegittimità dei provvedimenti del Consiglio di classe e
del Dirigente scolastico d’Istituto di non accettazione della domanda di partecipazione al viaggio
d’istruzione ad Amsterdam del 15 marzo 2007 e di successiva non ammissione alla frequentazione
delle lezioni, censurati “quali ipotesi di cattivo uso o esercizio del potere amministrativo afferente
alla somministrazione e fruizione di un servizio pubblico quale il servizio di istruzione scolastica”.
Va pregiudizialmente osservato che risulta dagli odierni riproposta la questione di difetto di
giurisdizione del giudice ordinario in favore del giudice amministrativo.
Essi deducono che a quest’ultimo la giurisdizione spetta “sia che i provvedimenti di non accettazione
della domanda di partecipazione al viaggio d’istruzione si configurino come scelte didattiche
dell’Istituzione scolastica in funzione di un recupero scolastico dell’allievo in gravissimo deficit
formativo, sia che… si configurino invece come esercizio di un potere disciplinare”, vertendosi
“comunque in materia di provvedimenti discrezionalmente adottati nell’esercizio di una potestà
autoritativa della Istituzione scolastica”, in quanto l'”adozione di misure disciplinari da parte
dell’istituzione scolastica nei confronti dello studente presuppone inevitabilmente da parte
dell’istituzione scolastica l’esercizio di un tasso di discrezionalità valutativa con riguardo alle scelte
educative ritenute più opportune con riguardo al singolo alunno”.
Lamentano ulteriormente che “se per quanto ritenuto dalla stessa Corte d’Appello di Firenze
l’esclusione dell’attore dal viaggio di istruzione ad Amsterdam sarebbe stato il frutto non di una
sanzione disciplinare, ma di una scelta discrezionale didattica del Consiglio di classe, pare evidente
che la situazione giuridica sia quella di interesse legittimo azionabile avanti al Giudice amministrativo
e non avanti al Giudice ordinario”; e che “in subordine, dovrebbe essere ritenuta comunque la
giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo ai sensi del D.Lgs. n.104 del 2 luglio 2010, art.
133, comma 1, lett. c) “, operando comunque “il principio codificato al D.Lgs. n.104 del 2 luglio
2010, art. 7, comma 7″, l'”attribuzione della cognizione della causa al Giudice amministrativo”
risultando “infine confermata dal D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 30, comma 6 “.
Va pertanto ex art. 374, comma 1, c.p.c., disposta la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per
la relativa assegnazione alle Sezioni Unite.
P.Q.M.
La Corte dispone la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per la relativa assegnazione alle
Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, il 7 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria il 24 ottobre 2022

Per la riconciliazione vale la ricostruzione spirituale e materiale del vincolo matrimoniale.

Tribunale di Bergamo, 13 luglio 2022 n. 1746
TRIBUNALE ORDINARIO DI BERGAMO
SEZIONE PRIMA CIVILE
nelle persone dei Magistrati:
Dott. MARRAPODI Veronica – Presidente –
Dott. COSTANZO Rosa Maria Alba – rel. Giudice –
Dott. GRIFFINI Carlotta Rosa Maria – Giudice onorario –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al numero di ruolo
generale sopra indicato, promossa con ricorso depositato in data
30/11/2020 da:
F.S.H., c.f. (OMISSIS), assistita e difesa
dagli avv. PASINETTI Alessia e PASINETTI Antonio, come da procura in
atti;
– ricorrente –
nei confronti di:
S.G.S.T., c.f. (OMISSIS), assistito
e difeso dall’avvocato BEZZI Chiara, come da procura in atti;
– resistente –
con l’intervento del Pubblico Ministero ai sensi degli artt. 70 e 71
c.p.c..
CONCLUSIONI:
per F.S.H.; come da foglio di precisazione delle
conclusioni depositato telematicamente;
per S.G.S.T.: come da foglio di precisazione
delle conclusioni depositato telematicamente.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Premesso in fatto.
RG n. 7915/2020 H.F.S. e S.G.S.T. hanno contratto matrimonio civile in
(OMISSIS).
Dalla loro unione sono nati M., maggiorenne ed economicamente autonoma, Gh.
e Gi., ancora minorenni.
Con ricorso regolarmente depositato, la signora F.S. ha domandato lo
scioglimento del matrimonio contratto col coniuge, l’affido esclusivo dei figli con
collocamento presso di sé, la regolamentazione delle visite col padre in forma
protetta e un contributo per il loro mantenimento pari a 350 Euro per ciascun
figlio, oltre al 50% delle spese straordinarie.
Il resistente, regolarmente costituitosi in giudizio, ha aderito alla domanda sullo
status e ha inoltre richiesto di essere reintegrato nella responsabilità genitoriale,
la regolamentazione delle modalità di affido, collocamento e visite secondo le
forme ritenute più opportune e la quantificazione del contributo dovuto per il
mantenimento della prole in 200 Euro per ciascun figlio, oltre al 50% delle spese
straordinarie.
All’udienza del 12 ottobre 2021, la ricorrente, sentita liberamente sui fatti di
causa, ha dichiarato di voler rimandare di qualche mese il divorzio per valutare
se il marito fosse cambiato, mentre il resistente ha affermato di non voler
divorziare. Ritenuto il fallimento del tentativo di conciliazione, a fronte delle
dichiarazioni rese dalla moglie, le quali lasciavano presagire la mera volontà di
sperimentare una ripresa del rapporto col coniuge, il Presidente designato, con
ordinanza riservata, ha adottato i provvedimenti provvisori ed urgenti, ha
nominato Giudice Istruttore se stesso e ha fissato la prima udienza di
comparizione e trattazione della causa in data 12 ottobre 2021.
L’ordinanza presidenziale, non reclamata, è stata regolarmente comunicata al
Pubblico Ministero. Alla prima udienza ex art. 183 c.p.c., il resistente, comparso
personalmente, ha dichiarato di aver ripreso la convivenza con la moglie da
quattro mesi e ha pertanto eccepito l’improcedibilità del ricorso, alla quale la
difesa della ricorrente si è opposta.
Disposta la comparizione personale dei coniugi, la signora F.S.H. ha dichiarato
di voler divorziare, di non vivere più col marito da un mese e di averci convissuto
per qualche settimana, mentre il signor S.G.S.T. ha confermato di aver vissuto
con la moglie per quattro mesi e di aver trascorso insieme a lei anche il periodo
delle vacanze estive.
Il Giudice Istruttore, all’esito dell’udienza, ritenuta la causa matura per la
decisione, in carenza di istanze istruttorie e di richiesta di assegnazione dei
termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, ha rinviato per la precisazione delle
conclusioni.
La causa è stata dunque rimessa al Collegio per la decisione sulle conclusioni
precisate dai coniugi all’udienza del 22 marzo 2022, celebrata in forma scritta,
con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito degli atti
conclusionali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Sull’eccezione di improcedibilità della domanda.
La ricorrente ha domandato in via principale la pronuncia di scioglimento del
matrimonio contratto col marito, essendo decorso il termine previsto ex lege
dalla comparizione personale dei coniugi nel procedimento di separazione,
definito con sentenza n. 1443/2017, pubblicata da questo Tribunale il 24 maggio
2017 e passata in giudicato.
Il resistente, pur avendo inizialmente aderito alla domanda, con la memoria
integrativa, ne ha eccepito l’improcedibilità, sostenendo di essersi medio
tempore riconciliato con la moglie.
Occorre dunque soffermarsi, preliminarmente, sull’eccezione di improcedibilità
della domanda di divorzio.
Il signor S.G.S.T. ha affermato di aver convissuto con la moglie presso
l’abitazione della stessa per almeno quattro mesi, da agosto a dicembre 2021,
durante i quali i coniugi hanno rinstaurato la loro relazione, trascorrendo insieme
anche le vacanze estive.
A sostegno di quanto dedotto, ha richiamato le dichiarazioni rese dalla moglie
agli assistenti sociali, ritenute prova inequivocabile di una stabile ripresa del
rapporto coniugale e, quindi, della riconciliazione, confermata anche da M., figlia
maggiorenne della coppia (v. relazione SS Val Cavallina del 16 agosto 2022).
In sede di comparsa conclusionale, ha peraltro rappresentato di aver ripreso la
convivenza con la ricorrente dal mese di marzo 2022 e ha chiesto che la causa
venga rimessa in istruttoria per procedere agli accertamenti necessari, anche
mediante l’escussione testimoniale della figlia maggiorenne.
La ricorrente, di contro, ha escluso la ripresa di una relazione affettiva dei
coniugi, sostenendo che la convivenza non sia ripresa in modo stabile e
significativo e che, ad ogni modo, si sia concretizzata in un semplice aiuto
materiale diretto all’accudimento della prole. Si è pertanto opposta all’eccezione,
insistendo per l’accoglimento della domanda di scioglimento del matrimonio.
Tanto premesso, questo Collegio ritiene che l’eccezione sia fondata e pertanto
meriti di essere accolta, senza che si renda necessario procedere ad
un’integrazione del materiale probatorio in atti, come richiesto dal resistente.
Anzitutto, pare opportuno rammentare che La riconciliazione per fatti
concludenti tra coniugi legalmente separati, ostativa alla pronuncia del divorzio,
deve desumersi univocamente dalla concreta ripresa da parte loro di reciproche
relazioni di vita, oggettivamente idonee a dimostrare la ricostruzione spirituale
e materiale del rapporto matrimoniale, con conseguente superamento delle
condizioni che in precedenza avevano reso intollerabile la prosecuzione della
convivenza, non avendo invece particolare rilievo né i meri elementi psicologici,
né, di per sé, la stessa ripresa della convivenza (Cass. 24 dicembre 2013, n.
28655).
La Corte Suprema ha inoltre affermato che In tema di riconciliazione tra coniugi
separati, alla luce degli effetti da essa derivanti, non è sufficiente che i medesimi
abbiano ripristinato la convivenza a scopo sperimentale e provvisorio, essendo
invece necessaria la ripresa dei rapporti materiali e spirituali, che costituiscono
il nucleo del vincolo coniugale (Cass. 21 maggio 2021, n. 14037).
Applicando tali principi al caso di specie, si osserva che, nel corso del giudizio,
la ricorrente ha inizialmente espresso la volontà di tentare un ricongiungimento
familiare, tant’è che, all’udienza presidenziale del 13 maggio 2021, sentita in
sede di interrogatorio libero, ha dichiarato: Voglio rimandare il divorzio di
qualche mese, voglio vedere se è cambiato. Mio marito mi ha proposto di andare
in vacanza tutti insieme ma con camere separate e, ancora, io vedo che lui è
cambiato, se è così io sono contenta perché i miei figli hanno bisogno del papà
(v. verbale del 13.5.2021).
Nell’ambito dell’indagine delegata in fase presidenziale ai servizi sociali, gli
operatori hanno inoltre riferito a questa Autorità Giudiziaria di aver preso contatti
con la madre dei minori, riportando che: La sig.ra H., in sede di colloquio, ha
riferito di aver intrapreso una relazione con il sig. S., in quanto, a suo dire, lo
stesso è cambiato, e appare più gentile, educato, disponibile a collaborare per
la crescita dei figli e attento ai loro bisogni e, ancora, La signora ha raccontato
che a fronte di questa situazione, lei e l’ex marito, hanno iniziato a frequentarsi
regolarmente e riallacciare i rapporti. La stessa di alcune perplessità e dubbi
riportati dalla scrivente ha riferito” decido io con chi stare. Io sono la mamma e
so di cosa hanno bisogno i bambini; quando c’era bisogno l’ho denunciato, ora
loro hanno bisogno del loro papà e lui è cambiato e mi ha mostrato in vari modi
che posso fidarmi di lui. “. La signora ha dichiarato di star effettuando degli
accertamenti sanitari al fine di verificare l’effettivo stato di gravidanza (v.
relazione SS Val Cavallina del 16 agosto 2022).
Sul piano probatorio, tali dichiarazioni, pur essendo state acquisite nell’ambito
di un accertamento disposto per altri scopi, assumono valore confessorio e
valgono a dimostrare, ad avviso di questo Collegio, l’effettiva ripresa di una
comunione materiale e spirituale dei coniugi, non essendo state oggetto di
alcuna contestazione da parte della ricorrente.
Invero, deve ritenersi che la signora H.F.S., la quale ha inizialmente espresso il
mero desiderio di tentare un ricongiungimento col marito – di per sé non
sufficiente a determinare la riconciliazione dei coniugi, come sostenuto dalla
giurisprudenza di legittimità sopra ricordata – in un secondo momento ha
ripristinato una comunione materiale e spirituale col marito, dichiarandosi
appagata e soddisfatta della loro relazione nella convinzione che il signor S. fosse
cambiato. Del resto, la fermezza della decisione della signora F.S. di riprendere
stabilmente il rapporto col resistente risulta anche dalla condotta adottata in
violazione delle prescrizioni del Tribunale per i Minorenni che, con decreto del 4
febbraio 2019, ha vietato la coabitazione dei coniugi e l’avvicinamento del marito
alla casa familiare e ai luoghi frequentati dalla moglie, nonché di questo
Tribunale, avendo la stessa riferito agli assistenti sociali che i bambini incontrano
liberamente il padre e pertanto non comprende il senso di proseguire con gli
incontri protetti e chiesto informazioni e l’iter necessario da compiere per
permettere al sig. S. di riacquisire la responsabilità genitoriale (v. relazione SS
Val Cavallina del 16 agosto 2022).
Anche la figlia primogenita M., sentita dagli assistenti sociali, ha confermato la
ripresa della relazione dei genitori, riferendo di essere contenta dell’evoluzione
della situazione, e vedere i fratelli felici per questo riavvicinamento e anche i
suoi figli adorano il nonno (v. relazione SS Val Cavallina del 16 agosto 2022).
Alla luce di tali elementi, non appaiono credibili le dichiarazioni rese dalla
ricorrente all’udienza del 25 gennaio 2022, allorché ha riferito di aver convissuto
col marito per appena una settimana, considerato quanto precedentemente
narrato agli operatori sociali e quanto affermato dal resistente, comparso
personalmente all’udienza del 12 ottobre 2021, e non contestato dalla difesa
della ricorrente, che si è limitata a dichiarare che la propria assistita non era
ancora sicura di questa scelta (v. verbale 12.10.21).
Non può ritenersi, inoltre, che la convivenza dei coniugi, pacificamente
protrattasi per almeno quattro mesi, abbia assunto i tratti di una mera
coabitazione ovvero che, come sostenuto dalla ricorrente, fosse funzionale alla
gestione dei figli, in quanto, nell’arco di tale periodo, le parti hanno trascorso
insieme le vacanze estive, il marito ha collaborato e contribuito ai bisogni della
famiglia sia sotto il profilo materiale, occupandosi di comprare la spesa e quanto
necessario per i minori (v. verbale 15.7.21), sia sotto il profilo morale, essendosi
occupato insieme alla moglie dei doveri di accudimento della prole e avendo
ripreso anche rapporti sessuali, al punto che la signora ha espresso il dubbio di
essere incinta.
Oltretutto, si osservi che la ricorrente, con la propria memoria di replica, non ha
contestato specificatamente quanto affermato dalla controparte in ordine alla
ripresa della convivenza dei coniugi nel mese di marzo 2022.
Tenuto conto di quanto sopra esposto, questo Collegio ritiene pertanto che i
coniugi, dopo aver sperimentato la convivenza, si siano effettivamente
riconciliati, superando le ragioni che ne avevano reso a suo tempo intollerabile
la prosecuzione per ricongiungersi e ricostituire una comunione di vita materiale
e spirituale, connotata dalla coabitazione, dalla collaborazione nell’interesse
della famiglia, dall’assistenza morale e materiale e dal reciproco affetto.
L’intervenuta riconciliazione dei coniugi rende improcedibile la domanda di
divorzio, non potendo valere in senso contrario il sorgere di una successiva crisi
coniugalis che abbia nuovamente determinato l’interruzione della convivenza.
Sulle spese di lite.
Le spese di lite vanno integralmente compensate, considerate le ragioni che ha
condotto alla presente pronuncia.
P.Q.M.
il Tribunale in composizione collegiale, definitivamente pronunciando, disattesa
o rigettata ogni diversa ed ulteriore domanda, eccezione, deduzione, istanza
anche istruttoria, così statuisce:
1. dichiara l’improcedibilità della domanda di scioglimento del matrimonio per
intervenuta riconciliazione dei coniugi;
2. dichiara le spese di lite integralmente compensate.
Così deciso in Bergamo, nella Camera di consiglio, il 7 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2022

Le condotte violente rilevano anche ai fini dell’affidamento dei figli.

Tribunale di Terni 27 maggio 2022
Tribunale – Terni, 27/05/2022, n. 448
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI TERNI
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti
magistrati:
dott.ssa Monica VELLETTI Presidente rel.
dott.ssa Marzia DI BARI Giudice
dott. Luca PONZILLO Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 2037/2020 promossa
da:
P. G. M. A., nata a GUAYAQUIL – ECUADOR il –omissis–, con il
patrocinio dell’avv. GIULIANA ASTARITA, con elezione di domicilio
presso lo studio dell’avv. RAQUEL JUSTINE GRIFONI come da procura in
atti;
RICORRENTE
E
P.A., nato a –omissis–;
RESISTENTE CONTUMACE
e con l’intervento del Pubblico Ministero presso il Tribunale
CONCLUSIONI:
Per parte ricorrente:
‘Voglia l’Ill.mo Giudice adito:
a) dichiarare la separazione giudiziale dei coniugi, con addebito a
carico del Sig. P. A.;
b) disporre che i figli minori P. S. e P. J. A. siano affidati in via
‘super esclusiva’, ex art. art. 337 quater c.c., alla madre, con
collocamento prevalente presso l’abitazione materna;
c) incaricare i Servizi Sociali territorialmente competenti di
sostenere P. S e P. J. A. con ogni utile intervento, regolando in
modalità protetta i rapporti tra padre e figli;
d) ordinare che il Sig. A. P. contribuisca al mantenimento della
Sig.ra G. M. A., con un versamento mensile di E 200,00, oggetto di
rivalutazione annuale secondo l’indice Istat, da corrispondersi entro
il giorno 5 di ogni mese;
e) ordinare che il Sig. P. A. contribuisca al mantenimento ordinario
dei figli di età minore P. S. e P. J. A., con un versamento mensile di
E 400,00 (E 200,00 per ciascun figlio), oggetto di rivalutazione
annuale secondo gli indici Istat, da corrispondersi entro il giorno
10 di ogni mese;
f) ordinare che il Sig. P. A. contribuisca al mantenimento dei figli
di età minore P. S. e P. J. A., nella misura del 50% delle spese
straordinarie e di istruzione (intendendosi comprese in detto ambito
le eventuali uscite scolastiche, i trasporti scolastici, i libri
scolastici, lo sport ed il tempo libero, escluse le spese per mense)
e delle spese mediche non mutuabili, previa esibizione, da parte della
Sig.ra P. G. M. A. della relativa documentazione fiscale.
Con condanna, a carico del Sig. P. A., del compenso professionale,
accessori di legge e spese del presente procedimento.’
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con ricorso depositato il 30/10/2020, M. A. P. G. ha chiesto la pronuncia della
separazione dal coniuge, A. P., esponendo che il matrimonio è stato celebrato in
data –omissis–, e che dall’unione è nata la figlia S., in –omissis–, e che il figlio
della ricorrente J. A., nato il –omissis–, maggiorenne non economicamente
indipendente, è stato adottato dal resistente. La ricorrente ha dedotto, a
fondamento della domanda, che i rapporti tra i coniugi si erano gravemente
deteriorati a causa di condotte aggressive e violente tenute dal marito in danno
della moglie e tali da recare pregiudizio alla figlia minore delle parti; ha quindi
chiesto la pronuncia della separazione con addebito al resistente, l’affidamento
esclusivo della figlia minore a sé, con collocazione presso l’abitazione materna,
con imposizione a carico del marito di assegno mensile di E 500,00 quale
contributo al mantenimento dei figli otre ISTAT annuale ed oltre al contributo
per il 50% delle spese straordinarie, ha inoltre chiesto la condanna del P. al
pagamento di assegno mensile di E 250,00 quale contributo al mantenimento
della stessa ricorrente (con rivalutazione ISTAT); con vittoria di spese.
All’udienza presidenziale del 18 gennaio 2021 è comparsa la sola ricorrente
dichiarando di esercitare attività lavorativa come badante, con reddito mensile
medio di E 420,00 per 12 mensilità, di risiedere in immobile in locazione con
canone mensile di E 300,00; il resistente pur regolarmente citato non è
comparso; all’esito dell’udienza sono stati emessi i provvedimenti presidenziali
provvisori, con affidamento esclusivo della minore alla madre attribuendo alla
stessa anche le scelte di maggiore rilevanza, prevedendo incontri tra il padre e
la minore una volta a settimana alla presenza del figlio maggiorenne, con
imposizione a carico del resistente di contributo di E 400,00 per il mantenimento
dei figli oltre al 50% della spese straordinarie, ed é stata disposta la prosecuzione
del giudizio in fase istruttoria.
Nell’udienza dinanzi al Giudice istruttore, verificata la corretta notifica dei
provvedimenti presidenziali al resistente, non costituitosi, ne è stata dichiarata
la contumacia; su richiesta della parte ricorrente, il giudice istruttore ha riservato
al Collegio la sola decisione sullo status, previa rinuncia da parte del difensore
all’assegnazione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c..
Con sentenza parziale n. 482/2021 è stata pronunciata la separazione tra le
parti.
Nel prosieguo del procedimento, sono stati acquisiti i documenti depositati, sono
state ammesse le prove richieste procedendo all’escussione del teste M. B. J. C..
All’esito dell’istruttoria la causa è stata rimessa al Collegio sulle conclusioni rese
dalla parte ricorrente e riportate in epigrafe con termini ex art. 190 c.p.c.
Dato atto che con sentenza parziale è stata pronunciata la separazione delle
parti, occorre decidere le ulteriori domande accessorie.
Preliminarmente il Collegio ritiene la causa pienamente istruita condividendo la
decisione sulle istanze istruttorie adottata nel corso del procedimento.
Domanda di addebito della separazione
La ricorrente ha formulato domanda di addebito della separazione, ponendo a
fondamento dell’istanza condotte aggressive e vessatorie tenute dal marito nei
confronti della stessa ricorrente alla presenza della figlia minore, oltre a condotte
del P. di mancato adempimento agli obblighi sullo stesso gravanti di accudimento
e mantenimento della prole, per essersi disinteressato dei bisogni dei figli non
provvedendo alle loro necessità affettive e materiali.
Dall’escussione del teste è emerso che il padre nel corso del matrimonio era
dedito al gioco d’azzardo, e ha posto in essere condotte aggressive e minacciose
in danno della moglie anche alla presenza della figlia. A causa della dipendenza
dal gioco, il P. destinava le risorse familiari a tale vizio, e anche in data
successiva all’emissione dei provvedimenti presidenziali non ha provveduto a far
fronte alle necessità della prole non adempiendo agli obblighi sullo stesso
gravanti di corrispondere in contributo al mantenimento determinato
nell’ordinanza presidenziale.
In particolare il teste M. B. J. C., cognato della ricorrente, ha dichiarato:
‘Si è vero, mio cognato A. P. anche durante il matrimonio era solito giocare alle
slot machine ed alle carte; giocava al bar di –omissis–; giocava anche al gratta
e vinci e spendeva tutti soldi per i giochi di azzardo…. spendeva tutti i soldi nel
gioco e per questo discuteva con la moglie; io vedevo i gratta e vinci sparsi per
terra sia in cantina che in casa…. Ho visto il signor _____ discutere con la moglie
a causa del gioco d’azzardo; più volte mi ha detto che voleva ammazzare la
moglie; l’ho visto fare scene violente nei confronti della moglie anche di fronte
alla figlia ______’. Il teste ha confermato che durante il matrimonio era la sola
ricorrente che andava a lavorare ‘perché lui non aveva voglia di lavorare…. non
collaborava in nulla: non pagava le bollette, né faceva la spesa’. In merito alla
situazione successiva alla separazione il teste ha esposto: ‘E’ vero non si
interessa della figlia’.
Dalle dichiarazioni del teste emerge che il resistente ha tenuto nel corso del
matrimonio condotte violative dei doveri familiari, minacciando la moglie e non
collaborando alle esigenze della famiglia.
Da tali risultanze risulta provato che il resistente ha gravemente violato gli
obblighi coniugali, ponendo in essere condotte aggressive a danno della coniuge
alla presenza dei figli e non collaborando alle esigenze della famiglia.
Le condotte aggressive impongono l’accoglimento della domanda di addebito.
‘In tema di addebitabilità della separazione personale, infatti, ove i fatti accertati
a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative
ed inderogabili, e si traducano nell’aggressione a diritti fondamentali della
persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, oltrepassando quella soglia minima
di solidarietà e di rispetto comunque necessaria e doverosa per la personalità
del partner, si ravvisano elementi di per sé sufficienti per l’accoglimento della
domanda’ (cfr. Tribunale di Roma sent. n.17462/2014; dal ultimo sent.
21.4.2017).
Per quanto esposto la domanda di addebito della separazione al P., formulata
dalla ricorrente, deve essere accolta.
Affidamento della figlia minore
Preliminarmente occorre premettere che possono essere adottate disposizioni in
merito all’affidamento solo con riferimento alla figlia minore delle parti.
L’affidamento esclusivo deve essere disposto ogni qualvolta l’interesse del
minore possa essere pregiudicato da un affidamento condiviso, ad esempio, nel
caso in cui un genitore sia indifferente nei confronti del figlio, non contribuisca
al mantenimento del figlio, manifesti un disagio esistenziale incidente sulla
relazione affettiva, ecc. In merito la Corte di Cassazione ha affermato: ‘La regola
dell’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori ….è derogabile solo ove
la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”, come nel
caso in cui il genitore non affidatario si sia reso totalmente inadempiente
all’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori
ed abbia esercitato in modo discontinuo il suo diritto di visita, in quanto tali
comportamenti sono sintomatici della sua inidoneità ad affrontare quelle
maggiori responsabilità che l’affido condiviso comporta anche a carico del
genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente’ (Corte Cass., 17 dicembre
2009 n.26587).
Nel caso di specie, i profili di incapacità genitoriale paterna sono stati accertati
in presenza delle condotte di aggressività descritte nel punto precedente.
L’art. 31 della ‘Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta
contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica’, cd.
Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia con la legge del 27 giugno 2013, n.
77 (in vigore nell’agosto 2014), dispone che ‘al momento di determinare i diritti
di custodia e di visita dei figli, devono essere presi in considerazione gli episodi
di violenza che rientrano nel campo di applicazione della Convenzione’. Le
condotte del resistente devono essere qualificate come violenza domestica e
come tali devono essere considerate ai fini della determinazione del regime di
affidamento.
All’esito del giudizio è emersa l’idoneità genitoriale della madre che ha
dimostrato di accudire correttamente la figlia nel periodo del giudizio, essendo
emerso lo stato di stabilità della stessa e non essendo state evidenziate criticità.
Per quanto esposto, deve essere confermato l’affidamento esclusivo della figlia
minore alla madre, già correttamente disposto nei provvedimenti provvisori. La
madre eserciterà in via esclusiva la responsabilità genitoriale per tutte le
questioni anche quelle di maggiore rilevanza attinenti la minore, con esclusione
da tali scelte del padre, disponendo il collocamento della minore presso
l’abitazione materna.
In merito alle frequentazioni padre figlia le condotte paterne come emerse
all’esito del giudizio, e il sostanziale disinteresse del padre per le esigenze della
figlia impongono di adottare cautele prevedendo che il padre possa vedere la
figlia, una volta alla settimana alla presenza del fratello maggiore o di persona
di fiducia della madre, giorno da individuare nella domenica pomeriggio, in
mancanza di diverso accordo. In mancanza di disponibilità di queste persone il
padre potrà rivolgersi al Servizio Sociale territorialmente competente con
riferimento al luogo di residenza abituale della minore per l’organizzazione di
incontri alla presenza di personale specializzato, previa verifica della condizione
del padre, della situazione della minore e della positività della relazione padre
figlia per la minore stessa.
Contributo al mantenimento della prole.
Quanto alla domanda della ricorrente relativa alla determinazione di un assegno
per il mantenimento della minore e del figlio maggiorenne non autonomo
economicamente, adottato dal resistente, da porre a carico del padre l’art. 316-
bis c.c., stabilisce che entrambi i genitori devono adempiere i loro obblighi nei
confronti dei figli in proporzione delle rispettive sostanze e secondo la loro
capacità di lavoro professionale o casalingo, è necessario, quindi, determinare
la condizione reddituale e patrimoniale delle parti, nonché le modalità concrete
di accudimento della minore. L’art. 337-ter c.c. stabilisce che nel determinare
l’assegno il giudice deve considerare le attuali esigenze del figlio, il tenore di vita
goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di
permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi, la
valenza dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
La ricorrente percepisce come badante i seguenti redditi:
730/2021 reddito complessivo lordo annuo E 6.333;
730/2022 reddito complessivo lordo annuo E 7.848
È gravata da canone di locazione per E 300,00 mensili; ha dichiarato di far fronte
alle necessitò familiari anche grazie all’aiuto della Caritas.
Non è nota l’occupazione del resistente che secondo quanto dichiarato dal teste
non ha mai adeguatamente contribuito alle necessità della famiglia, né lavorato
stabilmente.
Anche in assenza di stabile occupazione, aderendo a costante giurisprudenza, i
genitori privi di lavoro, quando dotati di capacità lavorativa, sono obbligati a
partecipare pro quota al mantenimento della prole, proprio al fine di evitare che
il peso di tale obbligo ricada in via esclusiva sul genitore convivente. Come
costantemente affermato dalla giurisprudenza di merito, la specifica natura
dell’obbligazione gravante sui genitori per il mantenimento dei figli, per il solo
fatto di averli generati, impone il riconoscimento dell’obbligo di mantenimento
anche a carico del genitore disoccupato, rilevando la sola capacità lavorativa
generica, principio costantemente affermato dalle corti di merito (cfr. Trib.
Roma, I sez. civile, sent. n. 10190/2015; decreto Trib Milano, IX sez. civ., del
15.4.2015).
Parimenti la Suprema Corte in tema di violazione degli obblighi di assistenza
familiare, di cui all’art. 570 c.p., ha affermato che incombe sull’interessato
l’onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi l’impossibilità di
adempiere alla relativa obbligazione, tanto che la responsabilità del genitore non
può essere esclusa in base alla generica indicazione dello stato di disoccupazione
(cfr. Cass. pen. Sent. n. 7273/2013 e 5751/2010). Nel caso di specie il resistente
è dotato di capacità lavorativa che può mettere a frutto.
Preso atto di tali risultanze, considerata la quasi totale interruzione delle
frequentazioni tra il padre ed entrambi i figli, con conseguente onere per il
mantenimento ordinario dei figli integralmente a carico della madre, devono
essere confermati i provvedimenti presidenziali prevedendo che il padre
corrisponda alla madre un contributo al mantenimento ordinario dei figli pari ad
euro E 400,00 mensili per ciascuno, oltre ISTAT annuale. Il contributo è
determinato tenendo conto del reddito delle parti, della loro capacità reddituali,
delle presumibili esigenze economiche della prole, rapportate all’età ed al tenore
di vita della famiglia, ed infine dei tempi di permanenza dei figli presso la madre.
L’importo sarà dovuto con decorrenza dal mese di ottobre 2020 (data della
domanda).
Occorre, infine, precisare che l’assegno di mantenimento è comprensivo delle
voci di spesa caratterizzate dall’ordinarietà o comunque dalla frequenza, in modo
da consentire al genitore beneficiario una corretta ed oculata amministrazione
del budget di cui sa di poter disporre. Al di fuori di queste spese ordinarie vi sono
le spese straordinarie, cosiddette non soltanto perché oggettivamente
imprevedibili nell’an, ma altresì perché, anche quando relative ad attività
prevedibili sono comunque indeterminabili nel quantum ovvero attengono ad
esigenze episodiche e saltuarie. Richiamando il protocollo concluso tra l’intestato
Tribunale e il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Terni, il Collegio dispone che
ciascun genitore contribuisca al 50% delle spese straordinarie per i figli,
precisando che in considerazione dell’affidamento esclusivo alla madre sarà la
stessa a scegliere unilateralmente le spese da effettuare, chiedendone il
rimborso pro quota al resistente.
Assegno di mantenimento per la ricorrente
La domanda della ricorrente di porre a carico del P. contributo per il di lei
mantenimento non può essere accolta.
Dall’esito dell’istruttoria è emerso che la ricorrente percepisce propri redditi che
seppure esigui non è stato provato che siano inferiori a quelli del resistente.
Pertanto essendo la sperequazione reddituale e patrimoniale requisito principale
per porre a carico di un coniuge il contributo al mantenimento dell’altro, la
circostanza che nel caso di specie tale sperequazione non sia stata provata
impone il rigetto della domanda.
Spese di giudizio
In considerazione delle ragioni della decisione con accoglimento della domanda
di separazione, accoglimento della domanda di addebito e di affidamento
esclusivo della figlia, accoglimento parziale della domanda di contributo al
mantenimento dei figli, e rigetto della sola domanda di contributo al
mantenimento della ricorrente, le spese di giudizio devono essere compensate
nella misura del 50%, condannando il resistente a rifondere alla ricorrente la
restante quota nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, dato atto che con sentenza parziale
n. 482/2021 è stata pronunciata la separazione tra le parti, così provvede:
accoglie la domanda di addebito della separazione a A. P.;
affida la figlia minore S., nata il –omissis–, alla madre M. A. P. G., con esercizio
esclusivo della responsabilità genitoriale per le questioni di ordinaria gestione
attinenti all’organizzazione della vita quotidiana, nonché per le questioni di
maggiore interesse per la minore riguardanti la relativa istruzione, educazione e
salute, determinazione della residenza abituale decisioni che potranno essere
assunte in via esclusiva dalla madre, tenendo conto della capacità,
dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni della figlia, anche in assenza del
consenso del padre;
dispone che la minore risieda stabilmente presso l’abitazione materna;
dispone che il padre possa vedere la figlia una volta a settimana, in mancanza
di diverso accordo la domenica pomeriggio, alla presenza del fratello
maggiorenne ovvero di persona di fiducia della madre, onerando in caso di
indisponibilità di queste persone il resistente a rivolgersi al servizio sociale
territorialmente competente per l’organizzazione di incontri in spazio neutro
secondo quanto indicato in parte motiva;
determina in 400,00 euro (E 200 per ciascun figlio) il contributo mensile dovuto
da A. P. per il mantenimento dei figli, da corrispondere alla madre presso il di lei
domicilio, entro il giorno 5 di ogni mese, con decorrenza dal mese di ottobre
2020 e successivo adeguamento automatico annuale secondo gli indici del costo
della vita calcolati dall’ISTAT;
dispone che i genitori contribuiscano nella misura del 50% ciascuno alle spese
straordinarie per i figli, secondo quanto indicato in motivazione;
compensa tra le parti le spese il 50% delle spese di giudizio; condanna A. P. a
corrispondere alla ricorrente il 50% delle spese di giudizio, quota che si liquida
in E 2.000,00 oltre accessori di legge.
Così deciso nella camera di consiglio del 18 maggio 2022

L’assegnazione della casa familiare rileva oppure no ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento?

Cass. Civ., Sez. I, Ord., 21 settembre 2022, n. 27599
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
Dott. REGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
G.A., elettivamente domiciliato ad … presso lo studio dell’avv. I. P., che lo rappresenta e difende in
virtù di procura speciale in calce al ricorso per cassazione;
– ricorrente –
contro
Gr. La., elettivamente domiciliata in Roma, via .., presso lo studio dell’avv. G. P., che a rappresenta
e difende in virtù di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria n. 822/2018, depositata il 20/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio dell’11/03/2022 dalla Dott.ssa
ELEONORA REGGIANI;
letti gli atti del procedimento in epigrafe.
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 822/2018, depositata il 20/11/2018, la Corte d’appello di Reggio Calabria ha rigettato
l’impugnazione proposta da G.A. contro la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale della
stessa città aveva pronunciato la separazione personale dei coniugi, addebitandola al marito, per avere
intrattenuto una relazione extraconiugale, e aveva posto a carico della stesso il contributo a
mantenimento della moglie (Euro 350,00 mensili) e della figlia minorenne (Euro 350,00 mensili),
affidata ad entrambi i genitori, assegnando l’abitazione familiare alla moglie e adottando altre
statuizioni.
Avverso tale decisione, G.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Gr.La. si è difesa con controricorso, depositando anche memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta l’omessa o insufficiente motivazione, nonchè la violazione
dell’art. 116 c.p.c., comma 1, sul punto decisivo della controversia relativo all’accertamento (anche
in via comparativa) della causa dell’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, posta a
fondamento della richiesta di addebito della separazione, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 5).
Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c., comma 2, nonchè
l’omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo per il giudizio, in relazione al capo della
decisione impugnata riguardante la determinazione dell’assegno di mantenimento in favore della
moglie.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e la falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., e in
particolare la violazione del principio dell’unità processuale fra il primo e il secondo grado di giudizio
e del diritto di difesa, in relazione alla mancata valutazione del fatto che la moglie si era decisa ad
attivarsi per inserirsi nel mondo del lavoro solo a seguito delle censure del ricorrente in ordine alla
sua inerzia, come si ricavava dalla documentazione giustificativa sopravvenuta prodotta in appello.
Con il quarto motivo di impugnazione è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92
c.p.c., e art. 132 c.p.c., n. 4), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) nonchè l’omessa,
insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia, in
riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per l’intervenuta condanna del ricorrente al pagamento
delle spese di lite nonostante la controparte fosse anch’essa soccombente e senza considerare il valore
effettivo della controversia, decisamente inferiore a quello presunto in base ai parametri applicati.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
2.1. Si deve premettere che, la nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), come risultante
all’esito delle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), (conv. con
modif. in L. n. 134 del 2012) ha avuto l’effetto di limitare il vizio di motivazione, quale oggetto del
sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge.
La riformulazione deve essere interpretata alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12
preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
E’, dunque, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di
legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il
vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze
processuali.
In altre parole, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con
riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sull’esistenza (sotto il profilo
dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile
contraddittorietà e dell’illogicità manifesta), ossia il controllo riferito a quei parametri che
determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che
emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata (v. Cass., Sez. U, n.
8053/2014 e, da ultimo, Cass., Sez. 1, n. 13248/2020).
Questa Corte ha, così, precisato più volte che, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 5), non è più deducibile quale vizio di legittimità il semplice difetto di sufficienza della
motivazione, ma i provvedimenti giudiziari non si sottraggono all’obbligo di motivazione previsto in
via generale dall’art. 111 Cost., comma 6, e, nel processo civile, dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4),
che è da ritenersi violato, quando la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente,
ovvero risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della
decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perchè
perplessa ed obiettivamente incomprensibile), concretandosi, in tal caso, una nullità processuale
deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) (così Cass., Sez. U, n.
22232/2016; conf. Cass. Sez. 6-3, n. 22598/2018; Cass., Sez. L, n. 27112/2018; Cass., Sez. 6-L, n.
16611 del 25/06/2018; Cass., Sez. 3, n. 23940 del 12/10/2017).
2.2. Nel caso di specie, dalla illustrazione del motivo di ricorso si evince con chiarezza che il
ricorrente ha prospettato la presenza, in plurimi punti della decisione, di una motivazione
insufficiente, illogica o apparente, ma in realtà, quello che compie è una generalizzata critica di
inadeguatezza della stessa, come tale inammissibile per i motivi appena evidenziati.
2.4. Anche il riferimento alla violazione dell’art. 116 c.p.c., non supera il vaglio di ammissibilità.
Com’è noto, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c., è ammissibile solo ove si alleghi che
il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in
assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di
attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente
risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta
ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente
apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice abbia solamente male esercitato il proprio
prudente apprezzamento della prova, anche senza valutare alcuni elementi rilevanti, la censura è
ammissibile, ai sensi del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ma solo nei rigorosi limiti in cui
esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (v. da ultimo Cass., Sez. U, n.
20867/2020 e Cass., Sez. 6-2, n. 27847/2021).
E, in effetti, la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività
riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in
ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (così Cass., Sez. 2,
n. 20553/2021; v. anche Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15276/2021).
2.5. Nel caso di specie parte attrice ha contestato la valutazione delle risultanze istruttorie operate
nella sentenza impugnata, criticando gli approdi a cui è pervenuta, così pervenendo ad una censura
inammissibile anche sotto il profilo della violazione dell’art. 116 c.p.c.
3. Il secondo motivo è in parte inammissibile e in parte fondato.
Tale motivo comprende la critica della decisione sull’assegno di mantenimento della moglie, posto a
carico del ricorrente, per vizio di motivazione e per violazione di legge (l’art. 156 c.c.).
A prescindere dalla generica e inammissibile critica alla valutazione delle risultanze istruttorie
operata dal giudice di merito, parte ricorrente ha, in particolare, censurato: 1) il mancato rilievo
attribuito, ai fini della considerazione delle condizioni economiche della controricorrente, alla
rinuncia di quest’ultima a far valere le pretese successorie nei confronti della sorella, nominata erede
universale del padre, erroneamente ritenuta dedotta tardivamente in appello e comunque
dall’indimostrata influenza ai fini della decisione; 2) la mancata considerazione del fatto che la
controricorrente, genitore con prevalenza collocatario della figlia minore, fosse assegnataria della
casa familiare di proprietà di entrambi i coniugi.
3.1. Le censure riferite ad entrambi i punti della decisione sono inammissibili per la parte in cui
lamentano un vizio motivazionale, tenuto conto che le critiche si risolvono in inammissibili
contestazioni delle valutazioni di merito, illustrate e argomentate nella decisione impugnata e non
condivise dal ricorrente.
3.2. E’ inammissibile anche la censura di violazione di legge, riferita all’art. 156 c.c., nella parte in
cui la Corte d’appello non ha dato rilievo alla vicenda successoria della controricorrente ai fini della
valutazione delle condizioni economiche della stessa.
Si consideri che il ricorrente ha invocato precedenti giurisprudenziali che attengono a beni acquisiti
per successione ereditaria dopo la separazione, rilevanti ai fini della valutazione delle capacità
economiche della parte, allegando che, nella specie, la decisione impugnata si pone in contrasto con
tale orientamento del giudice di legittimità.
Tuttavia, dalle stesse sue allegazioni, oltre che dalla sentenza oggetto di censura, si evince con
chiarezza che la controricorrente non ha acquisito alcun bene per successione, essendo stata nominata
la sorella, e non lei, erede universale del padre.
In sintesi, nessun bene è stato acquisito per successione dalla ricorrente, sicchè gli argomenti fatti
valere dal ricorrente non appaiono conferenti all’oggetto della decisione.
3.3. E’, invece, fondata la censura riferita alla dedotta violazione dell’art. 156 c.c., nella parte in cui
è criticata la ritenuta irrilevanza, ai fini della valutazione di an e quantum dell’assegno di
mantenimento in favore della contro ricorrente, dal fatto che quest’ultima avesse ottenuto
l’assegnazione della casa familiare, di proprietà di entrambi i coniugi, in ragione del collocamento
prevalente della figlia minore presso di lei.
La Corte di merito ha ritenuto di non dover valutare tale utilità, comunque goduta dalla
controricorrente, perchè le statuizioni sull’assegnazione della casa sono poste nell’esclusivo interesse
dei figli.
Tuttavia, a prescindere da tale indiscussa funzione della statuizione in esame, finalizzata a conservare
l’habitat familiare dei minori, non può negarsi che la menzionata statuizione ha dei riflessi economici,
anche se il bene appartiene ad entrambi i coniugi, perchè consente al genitore collocatario di evitare
le spese per reperire una nuova abitazione, che invece deve essere ricercata dall’altro genitore, che
non può godere del bene di cui è comproprietario.
Come di recente affermato da questa Corte, con orientamento in questa sede condiviso, nell’adottare
le statuizioni conseguenti alla separazione, deve attribuirsi rilievo anche all’assegnazione della casa
familiare che, pur essendo finalizzata alla tutela della prole e del suo interesse a permanere
nell’ambiente domestico, indubbiamente costituisce un’utilità suscettibile di apprezzamento
economico, anche quando il coniuge separato assegnatario dell’immobile ne sia comproprietario,
perchè il godimento di tale bene non trova fondamento nella comproprietà dello stesso, ma nel
provvedimento di assegnazione, opponibile anche ai terzi, che limita la facoltà dell’altro coniuge di
disporre della propria quota e si traduce, per esso, in un pregiudizio economico, valutabile ai fini della
quantificazione dell’assegno dovuto (così Cass., Sez. 1, n. 20858/2021; v. anche Cass., Sez. 6-1, n.
25420/2015 e Cass., Sez. 1, n. 4203/2006). La censura deve pertanto essere accolta ne limiti appena
indicati.
4. Il terzo motivo è inammissibile.
Il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 345 c.p.c., in ragione dell’intervenuta acquisizione solo
in appello di documenti che dimostrano il conseguimento da parte della moglie diplomi di formazione
e abilitazione.
Dalla illustrazione del motivo si evince, però, con chiarezza che non è censurata l’acquisizione al
processo della menzionata documentazione, che è espressamente descritta come sopravvenuta, ma
viene stigmatizzata la mancata considerazione da parte del giudice di appello della condotta della
controparte che, secondo la prospettazione del ricorrente, ha vinto la sua inerzia nel ricercare
un’occupazione lavorativa solo in pendenza di giudizio, quando il marito le ha contestato tale
inattività.
E’ dunque evidente che nessuna violazione dell’art. 345 c.p.c., è concretamente prospettata, essendo
dedotte critiche al giudizio di merito.
5. Il quarto motivo è assorbito dall’accoglimento, nei limiti sopra indicati, del secondo motivo di
impugnazione.
6. In conclusione, deve essere accolto il secondo motivo di ricorso nella parte relativa alla mancata
considerazione dell’assegnazione della casa familiare ai fini della determinazione dell’assegno di
mantenimento in favore della controricorrente e, assorbito il quarto motivo, dichiarate inammissibili
tutte le altre censure, la decisione deve essere cassata nei limiti dell’impugnazione accolta e la causa
deve essere rinviata, anche per quanto riguarda le spese del presente grado di giudizio, alla Corte di
appello di Reggio Calabria in diversa composizione.
7. In caso di diffusione, devono essere omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati nella
decisione, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso nei limiti di cui in motivazione (mancata
considerazione dell’assegnazione della casa familiare ai fini della determinazione dell’assegno di
mantenimento in favore della controricorrente) e, assorbito il quarto motivo, dichiarate inammissibili
tutte le altre censure, cassa la sentenza impugnata nei limiti della impugnazione accolta e rinvia la
causa, anche per quanto riguarda le spese del presente grado di giudizio, alla Corte di appello di
Reggio Calabria in diversa composizione;
dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza, siano omesse le generalità delle parti e dei
soggetti menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di
Cassazione, il 11 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2022

Il figlio naturale in assenza di riconoscimento ha diritto all’assegno vitalizio?

Cass. Civ., Sez. I, Sent., 26 ottobre 2022, n. 31672
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19372/2017 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliata in ROMA …., presso lo studio dell’avvocato R. M. G. rappresentata
e difesa dagli avvocati I.G., M.S.;
– ricorrente –
contro
B.B., elettivamente domiciliato in ROMA …, presso lo studio dell’avvocato R.M.G. che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato B. S.;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI FIRENZE n. 660/2017 depositata il
22/03/2017;
udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 27/09/2022 dal Consigliere CLOTILDE PARISE.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 660/2017 pubblicata il 22 marzo 2017 la Corte d’appello di Firenze ha rigettato
l’appello proposto da A.A. nei confronti di B.B. e per l’effetto ha confermato la sentenza non definitiva
impugnata n. 225/2015 del Tribunale di Pisa, con la quale era stata accolta la domanda proposta per
ottenere l’assegno vitalizio ai sensi dell’art. 580 c.c. da B.B., quale assunto figlio naturale di C.C., nei
confronti di A.A., quale erede di D.D., fratello di C.C., e, a seguito del decesso di D.D., quale erede
di C.C., deceduto nel (Omissis) e già de cuius del primo, con rimessione della causa sul ruolo per la
quantificazione del suddetto assegno vitalizio. La Corte di merito, nel condividere le argomentazioni
svolte dal Tribunale, ha affermato che: a) la prova dello status di figlio nato fuori dal matrimonio è
sussumibile anche da seri e concorrenti elementi indiziari del trattamento del figlio come tale
(tractatus) da parte del preteso padre e della notorietà della manifestazione esterna di tale relazione
nei rapporti sociali (fama), senza che sia necessaria anche la prova di rapporti sessuali tra i genitori;
b) la prova della exceptio plurium concubentium, che gravava sulla parte convenuta, di seguito
appellante, non era stata fornita in modo convincente nè con le prove testimoniali dedotte ed assunte,
nè con la prodotta documentazione epistolare, da cui era solo emerso che la madre E.E. era corteggiata
da molti uomini; c) il testimoniale dedotto dall’attore aveva permesso di accertare che C.C. aveva più
volte affermato di essere il padre di B.B., in ambito locale tale filiazione era notoria e anche
nell’ambito familiare era ammessa e riconosciuta; d) le contrarie deposizioni indotte dalla convenuta
non avevano efficacia dirimente, atteso che facevano riferimento ad epoca successiva agli anni 60-
70, quando B.B. era ormai adulto e la madre già si era da tempo sposata con F.F., che aveva pure
riconosciuto B.B. come suo figlio.
2. Avverso questa sentenza A.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi e illustrato
con memoria, resistito con controricorso, pure illustrato con memoria, da B.B.
3. Con ordinanza interlocutoria di questa Corte pubblicata il 30-12-2021 è stato disposto il rinvio
della causa a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza del ricorso, già fissato per l’adunanza
in camera di consiglio dell’11-11-2021 ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, c.p.c.
Per la decisione sui ricorsi proposti per la trattazione in udienza pubblica è stato applicato lo speciale
rito “cartolare” previsto dal D.L. 137 del 28 ottobre 2020 art. 23, comma 8 bis, convertito con
modificazioni dalla L. n. 176 del 18 dicembre 2020 e prorogato a tutto il 2022 dal D.L. 30-12-2021
n. 228, convertito dalla L. n. 15 del 25 febbraio 2022.
4. Le parti hanno ritualmente depositato nuove memorie illustrative. La Procura Generale ha
depositato conclusioni scritte oltre il termine di legge.
Motivi della decisione
5. La ricorrente denuncia: i) con il primo motivo l’omesso esame di fatto decisivo, ex art. 360, comma
1 n. 5 c.p.c., in relazione al rigetto dell’exceptio plurium concubentium, per non avere la Corte
d’appello esaminato il fatto che la madre dell’attore, all’epoca del concepimento, intratteneva un
rapporto di fidanzamento con un uomo diverso dal presunto padre; deduce, richiamando le risultanze
probatorie, che era stato dimostrato con certezza che la madre dell’attore, attuale controricorrente, era
fidanzata con tale G.G. e detto dato, non esaminato dalla Corte di merito, e perchè se ne desume che
la madre aveva rapporti intimi almeno con un altro uomo, ossia con il fidanzato, oltre che con F.F., il
quale aveva riconosciuto B.B., pur se nato prima del matrimonio con la madre, sicchè il mancato
esame di quel fatto indiziario senza darne ragione rende implausibile il percorso motivazionale; con
il secondo motivo la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione agli artt. 269
c.c. e 116 c.p.c., ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., per avere il giudice basato il ragionamento posto a
fondamento del rigetto dell’exceptio plurium concubentium su un argomento logico-deduttivo
illogico e non verosimile, impiegato per risalire dal fatto noto e provato (rapporto di fidanzamento tra
la madre e G.G.) al fatto ignoto (rapporti intimi tra le suddette persone); rileva che, come
incontroverso in causa, il controricorrente era stato concepito tra persone non sposate e dunque la
madre aveva avuto rapporti sessuali fuori dal matrimonio, pur se, come affermato dal Tribunale, negli
anni ’40 ciò costituiva un disvalore, sicchè, ad avviso della ricorrente, il percorso motivazionale della
sentenza impugnata non può considerarsi fondato su parametri di logica e ragionevolezza.
6. Osserva il Collegio, ritenuto pregiudizialmente non preclusivo il pronunciamento del Tribunale di
Pisa del 2009 in quanto espresso solo in termini argomentativi, che, come affermato nella citata
ordinanza interlocutoria, nella specie si pone una serie di questioni inerenti al rapporto tra
accertamento di paternità e titolo di stato di filiazione, ai fini del riconoscimento dell’assegno vitalizio
ai sensi dell’art. 580 c.c., come modificato dalla L. n. 151/1975 e applicabile anche alle successioni
apertesi prima dell’entrata in vigore di detta ultima legge, nella ricorrenza delle condizioni di cui
all’art. 237 della stessa legge. Con il regime dettato dal D.Lgs. n. 154 del 2013, applicabile, ex art.
104 stesso D.Lgs., retroattivamente ai rapporti di filiazione in essere, salvi gli effetti del giudicato
formatosi prima dell’entrata in vigore della legge, delega n. 219 del 2012, il legislatore ha introdotto
il fondamentale principio dell’unicità dello stato di figlio, rimanendo, nel contempo, fermo l’altro
principio secondo il quale la formazione di un titolo è sempre necessaria perchè possa propriamente
parlarsi di tale stato, mentre la disposizione di cui all’art. 580 è rimasta sostanzialmente invariata,
stante il semplice adeguamento lessicale costituito dalla locuzione “figli nati fuori dal matrimonio”
in luogo di quella “figli naturali”.
Dunque, alla stregua del mutato contesto normativo, ove applicabile in base alla richiamata disciplina
transitoria, il figlio non è mai impossibilitato neppure all’esercizio dell’azione di disconoscimento
della paternità, che è divenuta per il figlio imprescrittibile, sicchè vieppiù si pone il tema, evidenziato
dalla dottrina, del raccordo interpretativo tra la disciplina dettata dell’art. 580 c.c., in combinato
disposto con l’art. 279 c.c., e i principi di cui si è detto.
7. Occorre aggiungere che, già nella vigenza della precedente disciplina sulla filiazione, questa Corte,
attribuendo all’assegno vitalizio di cui all’art. 580 c.c., natura giuridica di legato ex lege, aveva
affermato il principio secondo cui l’accertamento incidentale della procreazione naturale si configura
come puro fatto materiale, riscontrabile senza efficacia di giudicato, in quanto meramente strumentale
al riconoscimento di un diritto patrimoniale, per l’appunto quello all’assegno vitalizio, specificamente
azionato in via autonoma, che non presuppone l’attribuzione dello status di figlio “naturale” (Cass.
12733/1992; Cass. 467/1986). Tutto ciò subordinatamente alla sussistenza del pre-requisito –
configurato come condizione di ammissibilità dell’azione ex art. 580 c.c., da Cass. 12733/1992 citata
– dell’assoluta e originaria impossibilità per il figlio di esperire l’azione di accertamento della paternità
oppure di disconoscimento di paternità. Con successiva pronuncia (Cass. 6365/2004), ai fini del
riconoscimento del diritto ex art. 279 c.c., è stata, invece, attribuita rilevanza anche all’impossibilità
sopravvenuta, ossia derivante dall’omessa proposizione di disconoscimento di paternità entro il
termine di decadenza in allora vigente per il figlio.
Con la riforma del 2013 è rimasto sostanzialmente invariato, stante la sola eliminazione delle parole
“legittimo o legittimato”, anche il disposto dell’art. 253 c.c., secondo cui è vietato il riconoscimento
del figlio già riconosciuto da altro soggetto, ferma restando l’imprescrittibilità del diritto di
impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità da parte del figlio, già prevista dalla
previgente disciplina sulla filiazione, anche ante riforma del 1975.
8. Tanto precisato, nella specie l’odierno controricorrente B.B. è figlio “non riconoscibile” in forza
del divieto di cui al citato art. 253, in quanto egli, nato prima del matrimonio tra sua madre e F.F.,
che lo aveva riconosciuto dopo il suddetto matrimonio, è erede di quest’ultimo in forza di un titolo di
filiazione tuttora in essere e valido e, nel contempo, rivendica la paternità naturale di C.C., come mero
fatto procreativo che rileva solo a fini patrimoniali (assegno vitalizio art. 580 c.c.).
Deve, pertanto, stabilirsi quale sia, alla luce non solo dell’ultima novella ma anche e soprattutto della
concezione sempre più marcatamente sostanziale della famiglia (cfr. Cass. S.U. 12193/2019 e Corte
Cost. 127/2020) e della necessità di tutelare l’identità famigliare del figlio, quale declinazione della
sua personalità ex art. 8 CEDU (cfr. parere consultivo del 10 aprile 2019 Grande Chambre della Corte
Europea dei diritti dell’uomo), la corretta interpretazione degli artt. 580 e 279 c.c., norma,
quest’ultima, richiamata dalla prima, e di conseguenza stabilire se possano comprendersi nell’ambito
di applicazione dell’art. 580 c.c., anche i casi in cui il figlio non si attivi per rimuovere lo stato di
“figlio altrui” che gli impedisce di conseguire quello corrispondente alla verità biologica nei confronti
del preteso padre defunto, in relazione al quale rivendica il diritto patrimoniale successorio in forza
situazione soggettiva di “figlio non riconoscibile”.
9. Occorre premettere, ricostruendo in estrema sintesi il sistema specialmente come delineato con
l’ultima riforma (L. n. 219/2012 e d.lgs. n. 154/2013), che, pur essendo il fatto procreativo e la
successiva nascita del figlio i presupposti per il sorgere della responsabilità del genitore ex art. 316 e
ss. c.c., questa viene in essere e produce effetti giuridici, compresi quelli di carattere patrimoniale,
soltanto a seguito di accertamento dello status, che è requisito essenziale per la piena titolarità e
l’esercizio di situazioni giuridiche soggettive derivanti dal rapporto filiale. In altri termini, il fatto
procreativo non determina automaticamente la costituzione del rapporto giuridico di filiazione e la
relativa attribuzione con efficacia erga omnes dello status, occorrendo a tal fine, come ben evidenziato
dalla dottrina richiamata anche dal controricorrente, o un atto di autoresponsabilità del genitore, o un
provvedimento del giudice, o comunque – con riferimento alla filiazione matrimoniale – l’operare del
sistema di presunzioni di cui agli artt. 231 ss. c.c.
In quest’ottica di sistema si innesta l’ulteriore rilievo che, in talune fattispecie legali, il fatto
procreativo in sè può assumere una ben minore valenza, diversa sia per natura sia per conseguenze
giuridiche, poichè può determinare solo il sorgere di una responsabilità patrimoniale limitata del
genitore, senza che avvenga la costituzione dello status, come per l’appunto si verifica nelle ipotesi
previste dalla legge, derogatorie ed eccezionali, di accertamento cd. indiretto della paternità, nel cui
alveo si inquadra la fattispecie disciplinata dall’art. 580 c.c.
Ritiene, infatti, il Collegio di dover dare continuità a quanto affermato da questa Corte con le
pronunce sopra citate, secondo cui la ratio della disposizione di cui trattasi è quella di assicurare, in
via eccezionale e derogatoria, una tutela patrimoniale successoria sui generis, ossia un diritto di
credito nei confronti dell’eredità del genitore biologico, senza attribuzione nè della qualità di erede
dello status di figlio, ai soggetti sprovvisti di un titolo di stato di filiazione nei confronti del de cuius.
Pertanto, il fatto procreativo, come puro fatto materiale, nei casi di accertamento cd. indiretto di
paternità connotati dalla “non riconoscibilità” del figlio, determina solo il sorgere di un rapporto
obbligatorio ex lege a limitati fini patrimoniali.
Le ipotesi a cui la tutela è certamente riferibile sono quelle in cui il figlio si trova dinanzi ad un
ostacolo alla rimozione dello stato di “figlio altrui” non dipendente dalla propria volontà (figli non
riconoscibili perchè nati da genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salva
l’autorizzazione del giudice – art. 250, comma 5, c.c.; figlio infraquattrodicenne non riconoscibile per
mancanza di consenso del genitore che abbia già effettuato il riconoscimento, salva l’autorizzazione
del Tribunale – art. 250, commi 3 e 4, come modificato dall’arti, comma 2, lett. d) L. n. 219/2012;
figlio privo di assistenza morale e materiale, per il quale siano intervenuti la dichiarazione di
adottabilità e l’affidamento preadottivo – art. 11, ultimo comma, L .n. 184/1983- per essere in tale
ipotesi il riconoscimento divenuto inefficace).
10. Ritiene il Collegio che nel novero della categoria dei figli “non riconoscibili” propria della
fattispecie disciplinata dall’art. 580 c.c., il cui testo è rimasto sostanzialmente immutato dopo l’ultima
riforma, che, dunque, nè lo ha abrogato, nè ne ha specificato l’ambito soggettivo di applicazione,
debbano comprendersi anche coloro che, avendo un diverso stato di filiazione, per scelta consapevole
non hanno impugnato il precedente riconoscimento o non hanno proposto azione di disconoscimento
di paternità, e ciò in linea di continuità evolutiva rispetto a quanto statuito dalla citata Cass.
6365/2004, che ha attribuito rilevanza anche all’impossibilità sopravvenuta, ossia derivante
dall’omessa proposizione dell’azione di disconoscimento di paternità entro il termine di decadenza in
allora vigente per il figlio, ai fini del riconoscimento ex art. 279 c.c.
10.1. Non osta a detta opzione interpretativa il principio dell’unicità dello stato di figlio, dal momento
che, come si è visto, la peculiare tutela successoria di cui trattasi attribuisce solo un diritto di credito
verso l’eredità del genitore biologico, e non lo stato di figlio, nè quello di erede, sicchè è destinato a
restare uno solo il titolo di status, ossia quello preesistente e mai rimosso, pur se, in realtà, non
corrispondente alla procreazione biologica.
10.2. Neppure osta alla suddetta soluzione ermeneutica il principio del favor veritatis, che non ha
valenza costituzionale (da ultimo Cass. 30403/2021; Cass. 4791/2020; Cass.26767/2016; Corte Cost.
272/2017 e 127/2020). Questa Corte, facendo applicazione dei principi enunciati dal Giudice delle
leggi, ha affermato, in tema di azioni volte alla rimozione dello status (cfr. Cass. 30403/2021
concernente l’impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento proposta dal curatore del
minore su iniziativa del P.M.M.), che nell’ottica del bilanciamento tra l’interesse pubblico alla verità
biologica e l’interesse del figlio (soprattutto se minore), il primo può essere recessivo, nel caso
concreto, ove si accerti la necessità di tutelare “il diritto all’identità personale del figlio, non
necessariamente correlato alla verità biologica ma ai legami affettivi e personali sviluppatisi
all’interno di una famiglia”, e ciò “con particolare riferimento agli effetti del provvedimento richiesto
in relazione all’esigenza di un suo sviluppo armonico dal punto di vista psicologico, affettivo,
educativo e sociale” (così Cass.26767/2016 citata). Di conseguenza, a date condizioni, può consentirsi
al genitore “sociale” il mantenimento dello status genitoriale e la permanenza del rapporto giuridico
di filiazione con un soggetto rispetto al quale difetta il fatto procreativo.
Nel caso in esame ritiene il Collegio che possano mutuarsi gli stessi principi, con gli opportuni
adattamenti. Nello specifico, una volta affermato che il favor veritatis non ha valenza costituzionale.,
nonchè ribadito che è salvaguardato il principio dell’unicità dello stato di filiazione poichè uno solo
resta il titolo di stato, subordinare il riconoscimento dei diritti patrimoniali successori del figlio
biologico alla rimozione dello status preesistente significherebbe violare il suo diritto all’identità
familiare, declinato ex art. 30 Cost., e anche ex art. 8 Cedu, che tutela il diritto alla stabilità
dell’identità familiare del figlio in tutti casi in cui, sul piano fattuale e sostanziale, si sia instaurato,
per un periodo apprezzabile, un rapporto corrispondente alla genitorialità (cfr. parere consultivo del
10 aprile 2019 Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell’uomo).
10.3. Da quest’impostazione evolutiva, in linea anche con l’art. 2 Cost., oltre che con l’ordinamento
sovranazionale, discende che non può negarsi al figlio, pena la violazione delle citate norme, la
possibilità di scegliere tra la minore tutela successoria di cui all’art. 580 c.c., non subordinata alla
previa rimozione dello status di figlio altrui, e quella “piena” che gli competerebbe ove facesse
giuridicamente accertare la filiazione biologica. Come rimarcato dalla dottrina richiamata anche dal
controricorrente, solo attribuendo la suddetta scelta al figlio gli si consente di operare un
bilanciamento dipendente da sue valutazioni soggettive e personali correlate a più diritti meritevoli
di tutela, ossia solo in tal modo gli si può consentire di decidere di preservare lo status e l’identità
familiare con il genitore sociale, in forza di un legame affettivo verosimilmente consolidatosi in
maniera continuativa per anni, senza dovere, al contempo, rinunciare ad ottenere quanto dovuto dal
genitore biologico per i limitati diritti patrimoniali successori previsti dalla legge.
11. La Corte ritiene di dover enunciare il seguente principio di diritto ex art. 384 c.p.c.: “Il diritto
all’assegno vitalizio di cui all’art. 580 c.c., che sorge “ex lege” per responsabilità patrimoniale del
genitore biologico avente fonte nel fatto procreativo, spetta anche al figlio che abbia già il diverso
“status” di figlio altrui e nel novero dei figli “non riconoscibili” devono comprendersi anche coloro
che, avendo un diverso stato di filiazione, per scelta consapevole non hanno impugnato il precedente
riconoscimento o non hanno proposto azione di disconoscimento di paternità, non potendo negarsi al
figlio, pena la violazione degli artt. 2 e 30 Cost., e 8 CEDU, la possibilità di scegliere tra la minore
tutela successoria di cui all’art. 580 c.c., conservando la stabilità della sua identità familiare
precedente, e quella “piena” che gli competerebbe ove facesse giuridicamente accertare la filiazione
biologica”.
12. Passando ora all’esame dei motivi di ricorso, il primo è in parte inammissibile e in parte infondato.
12.1. In disparte il rilievo che il primo motivo d’appello, avente per l’appunto ad oggetto l’exceptio
plurium concubentium e le conseguenze che comporta in tema di valutazione delle prove (pag. 3 e 4
sentenza impugnata), è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di merito e detta statuizione non è
specificamente censurata, secondo il costante orientamento di questa Corte che il Collegio condivide
ed intende qui ribadire, il motivo di ricorso per l’omesso esame di elementi istruttori non si risolve
nella prospettazione di un vizio di omesso esame di un fatto decisivo ove il fatto storico, rilevante in
causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato
conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053/2014; tra le tante successive conformi Cass.
14324/2015 e Cass. 27415/2018).
Nella specie, la circostanza relativa al fidanzamento della madre del B.B. con tale G.G. non appare
decisiva, tenuto conto che il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti, può essere utilmente dedotto ove abbia carattere decisivo, vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia; pertanto, l’omesso esame di
elementi istruttori (in tesi il suindicato fidanzamento) non integra, di per sè, il vizio di omesso esame
di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (nella specie le relazioni sessuali con
altri uomini, ivi compreso il G.G.), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè
la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Va aggiunto che è solo la suddetta
circostanza del fidanzamento, secondo la prospettazione di cui al ricorso, a configurarsi come fatto
storico, non anche la relazione sessuale tra i fidanzati, che, infatti, la stessa ricorrente assume come
presunzione probabile scaturente dal rapporto di fidanzamento.
Ciò posto, la Corte di merito ha scrutinato le varie censure svolte dall’appellante e odierna ricorrente,
richiamando in dettaglio le risultanze probatorie, e, quanto alle frequentazioni di E.E. con altri uomini
all’epoca (febbraio 1941) della assunta relazione con C.C., ha “condiviso l’assunto del primo giudice
che rileva il contenuto “generico” delle missive prodotte dall’appellante come doc. da 3 a 6, redatte
prevalentemente da militari al fronte e dimostrative solo del fatto che la madre dell’appellato all’epoca
era molto corteggiata, ma nulla di più. Inoltre il primo giudice sottolinea come il testimoniale (N.N.,
H.H., I.I., L.L. e M.M.) dedotto a prova di relazioni sessuali (le sole rilevanti) con tali uomini era
rimasto del tutto carente dei risultati di prova dedotti: il che riceve conferma nelle dichiarazioni dei
testi, riportate anche in sentenza” (pag.13 della sentenza impugnata).
12.2. Alla stregua di quanto precede, la censura è infondata sia perchè concerne il mancato esame di
un elemento istruttorio nei termini precisati, sia perchè la motivazione non è affatto priva di
giustificazione.
La medesima censura è inammissibile nella parte in cui sollecita una rivalutazione del materiale
probatorio, riproponendo il contenuto delle testimonianze dalle quali sarebbe dato evincere la
fondatezza di quanto la ricorrente sostiene in ordine alla pluralità di rapporti sessuali della E.E. con
diversi uomini nel periodo del concepimento. In tema di procedimento civile, sono, infatti, riservate
al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo
dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle
ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla
formazione del proprio convincimento, sicchè è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso
probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre (ex plurimis Cass. 21187/2019).
13. Il secondo motivo è inammissibile.
In primo luogo la doglianza concerne la motivazione della sentenza del Tribunale, non quella della
Corte d’appello (pag.17 ricorso), nella quale ultima non è espressa, nè è specificamente richiamata la
ragione di decisione che viene criticata (nella società degli anni ’40 era tutt’altro che scontato che due
fidanzati avessero rapporti intimi).
Secondariamente vanno ribaditi i principi secondo cui: a) in sede di legittimità è possibile censurare
la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., solo allorchè ricorra il cd. vizio di sussunzione, ovvero
quando il giudice di merito, dopo avere qualificato come gravi, precisi e concordanti gli indizi
raccolti, li ritenga, però, inidonei a fornire la prova presuntiva oppure qualora, pur avendoli
considerati non gravi, non precisi e non concordanti, li reputi, tuttavia, sufficienti a dimostrare il fatto
controverso (Cass. 3541/2020); b) il ragionamento del giudice di merito è censurabile ex art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3. solo qualora sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della
presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei
requisiti (Cass. 29635/2018; Cass.18611/2021).
Nella specie, sotto il profilo sub a), non è affatto dedotto il vizio di sussunzione nei termini suindicati,
nè e in ogni caso ricorre avendo la Corte di merito ritenuto, con motivazione adeguata, non dimostrato
il fatto che avrebbe dovuto considerarsi noto e dimostrato (rapporti intimi tra la madre del
controricorrente e altri uomini nel periodo del concepimento), e perciò non utilizzabile come indizio
escludente nella ricostruzione del fatto ignoto e controverso indagato (rapporto sessuale con il A.A.
e concepimento del figlio B.B. ad opera dello stesso).
Sotto il profilo sub b), la ricorrente non lamenta che il giudice di merito abbia sussunto erroneamente
sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti
che non sono invece rispondenti a quei requisiti, con riferimento al tractatus e alla fama, posti a
fondamento della decisione, ma svolge argomentazioni dirette ad infirmarne la plausibilità, criticando
la ricostruzione del fatto effettuata dalla Corte di merito circa la mancanza di prova di rapporti intimi
con altri uomini, dolendosi, in buona sostanza, della mancata valorizzazione di un fatto diverso (B.B.
fu concepito tra persone non sposate e la madre ebbe rapporti sessuali fuori dal matrimonio), così
prospettando surrettiziamente una rivalutazione del materiale probatorio.
14. In conclusione, il ricorso va rigettato.
15. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall’art. 1, comma 17 della L.
228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e
dei soggetti in essa menzionati a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in Euro 9.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15
per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dall’art. 1, comma 17 della L.
n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a
norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e dei
soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2022.

Costringe la compagna a tatuarsi il viso: confermata la condanna per maltrattamenti in famiglia

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente –
Dott. CATENA Rossella – Consigliere –
Dott. BELMONTE Mariateresa – Consigliere –
Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere –
Dott. CIRILLO Pierangelo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 19/02/2021 della CORTE DI APPELLO DI ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere PIERANGELO CIRILLO;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale Pasquale Serrao D’Aquino, che ha chiesto di
dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni dell’avv. C.N., per la parte civile, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il
ricorso ovvero di rigettarlo.
udite le conclusioni dell’avv. V.A.C., per il ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
Svolgimento del processo
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 19 febbraio 2021 dalla Corte di appello di Roma, che
ha confermato la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Velletri, resa all’esito
di rito abbreviato, che aveva condannato L.A. per i reati di cui agli artt. 572, 582 e 583-quinquìes c.p.,
commessi in danno della compagna convivente D.C.F.. In particolare, il reato di deformazione
dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso sarebbe stato commesso inducendo in
errore l’esecutore materiale di alcuni tatuaggi impressi al volto della vittima, circa la sussistenza del
consenso di quest’ultima.
2. Contro la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo
del proprio difensore di fiducia.
2.1 Con un primo motivo, deduce l’inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 393, 395
e 396 c.p.p., per l’omessa notifica al difensore di fiducia dell’ordinanza di ammissione dell’incidente
probatorio, relativo alla deposizione della persona offesa.
Rappresenta che: il difensore di fiducia dell’imputato è l’avvocato V. A. C., con studio in … alla Via
… con p.e.c. (OMISSIS); la notifica dell’ordinanza in questione era stata, invece, notificata
all’omonimo avvocato V. C., con studio in … alla Via …, con p.e.c. (OMISSIS); l’incidente probatorio
si era svolto senza la partecipazione del difensore di fiducia, ma con l’assistenza di un difensore
d’ufficio; nel corso del giudizio abbreviato la difesa aveva tempestivamente eccepito l’inutilizzabilità
delle dichiarazioni rese dalla persona offesa; il giudice dell’udienza preliminare aveva rigettato
l’eccezione; la difesa aveva riproposto l’eccezione in secondo grado, facendone specifico motivo
d’appello; la Corte di appello aveva ritenuto infondato il motivo, “aderendo” alla motivazione del
giudice di primo grado.
La parte evidenzia che, in alcune istanze (aventi diverso oggetto) presentate dal L. al giudice per le
indagini preliminari il 18 e il 25 gennaio 2020, erano stati correttamente indicati l’indirizzo e il numero
di telefono dell’effettivo difensore di fiducia: dati che avrebbero dovuto evitare qualsiasi equivoco in
ordine all’esatta identificazione del difensore nominato.
La parte deduce che, trattandosi di nullità di carattere assoluto, essa può essere fatta valere anche
nell’ambito del giudizio abbreviato.
2.2 Con un secondo motivo, deduce l’inosservanza della legge penale, in relazione all’art. 572 c.p.
Sostiene che non sarebbe configurabile la fattispecie di maltrattamenti contro familiari e conviventi,
atteso che, nel caso in esame, non vi sarebbe stato alcun stabile rapporto di continuità familiare nè
alcun legame di reciproca assistenza per un apprezzabile periodo di tempo: la relazione tra il L. e la
D.C. sarebbe durata solo quattordici giorni.
2.3 Con un terzo motivo, deduce l’inosservanza della legge penale e delle norme processuali, in
relazione agli artt. 582 e 585 c.p. e 336 e 337 c.p.p..
Rappresenta che il reato di lesioni è stato confessato dall’imputato, in sede di interrogatorio, ma in
relazione a esso la persona offesa non ha presentato querela.
La procedibilità d’ufficio è legata alla contestata aggravante del nesso teleologico con il reato di
maltrattamenti, che, tuttavia, una volta ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso, verrebbe meno,
rendendo il reato perseguibile solo a querela.
2.4 Con un quarto motivo, deduce il vizio di motivazione e l’inosservanza della legge penale, in
relazione al reato di cui all’art. 583-quinquies c.p.
Sostiene che la sentenza di secondo grado, nella parte relativa al reato in questione, sarebbe del tutto
priva di motivazione, avendo la Corte di appello solo aggiunto qualche osservazione “alle riflessioni
svolte dal primo giudice”.
Entrambe le sentenze di merito sarebbero prive di effettiva motivazione, perchè si baserebbero sulle
dichiarazioni della persona offesa, che sarebbero inutilizzabili in quanto rese nel corso di un incidente
probatorio, al quale il difensore di fiducia non aveva partecipato per omessa notifica.
I giudici di merito, inoltre, non avrebbero adeguatamente valutato le dichiarazioni rese dai testi P.G.,
C.L. e G.C., dalle quali si dovrebbe desumere che l’imputato non avrebbe costretto la persona offesa
a lasciarsi tatuare il volto.
3. Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il
ricorso.
4. L’avv. C. N., per la parte civile, ha depositato memoria scritta, con la quale ha chiesto di dichiarare
inammissibile il ricorso ovvero di rigettarlo.
5. L’avv. V.A.C., nell’interesse dell’imputato, ha presentato memoria scritta, insistendo per
l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso, relativo all’omessa notifica al difensore di fiducia dell’ordinanza di
ammissione dell’incidente probatorio, è infondato.
Dagli atti (che possono essere analizzati, essendo stata dedotta l’inosservanza di norme processuali),
emerge che il L., in data 3 gennaio 2020, presso la matricola del carcere, ha nominato l’avvocato V.
C. del foro di Roma, senza fornire alcun altro dato. In assenza di ulteriori indicazioni, la notifica del
provvedimento relativo all’incidente probatorio, effettuata il 13 gennaio 2020 all’avv. V. C. (e non
all’avv. V. A.C.), appare correttamente eseguita.
Solo l’8 aprile 2020, con la procura speciale per l’istanza di giudizio abbreviato, l’indagato ha fatto
specifico riferimento all’avv. V.A.C.. Tale atto, però, era successivo alla notifica in questione e,
addirittura, all’udienza dell’incidente probatorio.
Analogo discorso vale per le istanze indirizzate al Giudice per le indagini preliminari, presentate solo
il 18 e il 25 gennaio 2020, e, dunque, ininfluenti rispetto alla precedente notifica. Va, peraltro,
evidenziato che si tratta di istanze che non contengono alcuna nomina e nelle quali il difensore viene
ancora una volta indicato con le generalità di V. C.. Esse, per il solo fatto di indicare l’indirizzo e il
numero di telefono dell’avv. V. A. C., non erano certo idonee a superare la nomina fatta in carcere.
Va, peraltro, evidenziato che le sentenze di merito, nel ricostruire il fatto, utilizzano, essenzialmente,
le dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di sommarie informazioni testimoniali – i cui verbali
erano pienamente utilizzabili, in ragione del rito scelto dall’imputato – e non quelle rese nel corso
dell’incidente probatorio.
1.2. Anche il secondo motivo, relativo alla breve durata del rapporto tra l’imputato e la persona offesa,
è infondato.
Dalla sentenza impugnata, infatti, emerge che il rapporto tra i due, pur non essendo durato a lungo, è
stato intenso e stabile e che la coppia progettava di prolungare la vita in comune. La Corte di appello,
pertanto, ha fondatamente ritenuto integrato un rapporto di convivenza giuridicamente rilevante ai
fini dell’integrazione della fattispecie di cui all’art. 572 c.p.
Al riguardo, va rilevato che “E’ configurabile il reato di maltrattamenti in famiglia anche in presenza
di un rapporto di convivenza di breve durata, instabile e anomalo, purchè sia sorta una prospettiva di
stabilità e un’attesa di reciproca solidarietà” (Sez. 6, n. 17888 dell’11/02/2021, O., Rv. 281092).
1.3. E’ infondato anche il terzo motivo di ricorso, relativo all’aggravante del nesso teleologico.
Infatti, essendo infondato il secondo motivo di ricorso, rimangono ferme la contestata aggravante del
nesso teleologico e la procedibilità d’ufficio.
1.4. Il quarto motivo di ricorso è infondato relativamente alla questione della presunta inutilizzabilità
delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e inammissibile in ordine alle altre censure.
Quanto alle dichiarazioni rese dalla persona offesa in sede di incidente probatorio si è già evidenziato
che esse sono pienamente utilizzabili, poichè rese nell’ambito di un incidente probatorio, nel quale il
contraddittorio era stato regolarmente costituito.
Va, peraltro, ribadito che le sentenze di merito si basano, essenzialmente, sulle dichiarazioni rese
dalla persona offesa in sede di sommarie informazioni testimoniali e non su quelle rese nel corso
dell’incidente probatorio.
Inammissibili sono le restanti censure mosse con il quarto motivo di ricorso.
Il ricorrente, invero, ha articolato censure che, pur essendo state da lui riferite alle categorie del vizio
di motivazione e dell’inosservanza della legge penale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., sono all’evidenza
dirette a ottenere un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte di
appello e una pronuncia su una diversa ricostruzione dei fatti (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997,
Dessimone, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Egli, in realtà, non deduce alcun effettivo travisamento della prova o una manifesta illogicità della
motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato, ma offre al giudice di legittimità
frammenti probatori o indiziari che tendono a sollecitare un’inammissibile rivalutazione dei fatti nella
loro interezza (Sez. 3, n. 38431 del 31 gennaio 2018, Ndoja, Rv. 273911).
Le sentenze di merito sono motivate in maniera adeguata e coerente e risultano prive di vizi logici
desumibili dal testo del provvedimento.
2. Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Il ricorrente, altresì, è tenuto alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel
presente grado di giudizio dalla costituita parte civile, che vanno liquidate complessivamente in Euro
3.510,00, oltre accessori di legge.
3. La natura dei rapporti oggetto della vicenda impone, in caso di diffusione della presente sentenza,
l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel
presente giudizio dalla parte civile, D.C.F., che liquida in complessivi Euro 3.510,00, oltre accessori
di legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a
norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2022.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2022