di Gianfranco Dosi
I. In che consiste, come si costituisce e come si estingue il diritto di abitazione?
II. Il diritto di abitazione è strettamente personale ma tutela anche i familiari e il convi¬vente di fatto del suo titolare
III. Le differenze tra il diritto di abitazione e il diritto di usufrutto
IV. Le differenze tra diritto d’uso e diritto di abitazione
V. Il diritto di abitare la casa familiare derivante dall’assegnazione in sede di separazione ha natura reale o personale?
VI. Il diritto di abitazione del coniuge superstite
VII. Il diritto di abitazione del convivente di fatto superstite
VIII. Il diritto di abitazione è suscettibile di autonoma espropriazione?
IX. I rapporti tra il diritto di abitazione e l’espropriazione forzata del bene su cui grava
I
In che consiste, come si costituisce e come si estingue il diritto di abitazione?
Il codice civile all’art. 1022 definisce il diritto di abitazione di un immobile come il diritto di una persona di abitarlo “limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”. Un diritto il cui limite, però, non deve essere inteso in senso quantitativo, che imporrebbe la difficile determinazione della parte di casa necessaria a soddisfare tali bisogni, ma solo come divieto di utilizzo della casa in altro modo che non sia l’abitazione diretta del titolare e dei suoi familiari (Cass. civ. Sez. II, 27 giugno 2014, n. 14687).
La definizione non deve trarre in inganno. Non si tratta, infatti, di un diritto personale di godimento, naturalmen¬te, ma di un diritto reale limitato su cosa altrui. E quindi anche in questa situazione esistono due soggetti: da un lato il nudo proprietario e dall’altro il titolare del diritto di abitazione il quale ultimo si vede riconosciuto un diritto che limita i diritti del proprietario e che è esteso alla soddisfazione dei bisogni anche della sua famiglia. Ed è proprio questa estensione che giustifica, come si vedrà, una particolare disciplina di protezione del diritto.
Trattandosi di un diritto reale, il diritto di abitazione può essere costituito mediante testamento, usucapione o contratto, per il quale è richiesta ad substantiam la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata. Il principio è stato affermato molto chiaramente in una lontana decisione (Cass. civ. Sez. II, 21 maggio 1990, n. 4562) in una vicenda nella quale una persona era stata condannata a risarcire i danni in seguito ad una sentenza che ave¬va dichiarato abusiva l’occupazione dell’immobile in cui viveva, nonostante che l’interessato avesse esibito una lettera con cui asseriva che sarebbe stato concesso alla di lui moglie un diritto di abitazione. La Cassazione af¬fermò che la tesi era infondata per la ragione che il diritto di abitazione non può essere costituito con una lettera ma, avendo natura reale, solo mediante testamento, usucapione o contratto. In seguito il principio è stato ripreso e ribadito anche dalla giurisprudenza di merito (Trib. Bari, 23 marzo 2007). Pertanto nessuna manifestazione di benevolenza e di disponibilità, può avere come conseguenza la costituzione di un diritto reale di abitazione.
Se costituito con atto negoziale, ai sensi degli articoli 2643 n. 4 e 2644 c.c. il diritto di abitazione grava sulla pro¬prietà ed è naturalmente opponibile ai successivi acquirenti o aventi causa dal proprietario che abbiano trascritto il proprio titolo successivamente alla sua trascrizione.
Il diritto di abitazione si estingue per morte di chi lo abita e per rinuncia al diritto. Si vedrà più oltre come in base all’art. 2812 c.c. il diritto di abitazione trascritto dopo l’iscrizione di una ipoteca si estingue con l’espropriazione del bene.
II
Il diritto di abitazione è strettamente personale ma tutela anche i familiari
e il convivente di fatto del suo titolare
Non bisogna confondere il problema di cui ora si tratta, con quello, diverso, del diritto del convivente di fatto superstite a continuare ad abitare nella casa di cui era proprietario il convivente deceduto. Questo problema (risolto dal comma 42 dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).
Qui il problema che si discute è, invece, se i familiari e nello specifico il convivente di fatto del titolare del diritto di abitazione abbiano o meno titolo per pretendere la stessa tutela garantita al titolare del diritto, dal momento che non essendo essi titolari potrebbe essere loro per esempio chiesto il pagamento di una indennità di occupa¬zione da parte del nudo proprietario.
Secondo quanto dispone l’art. 1023 c.c. nella famiglia sono compresi non solo i familiari esistenti al momento della costituzione del diritto (coniuge e figli già esistenti) ma anche i figli nati dopo che il diritto ha avuto inizio “quantunque nel tempo in cui il diritto è sorto la persona non avesse contratto matrimonio” e comunque i figli nati anche fuori dal matrimonio o successivamente adottati. Si tratta di una norma risalente alla versione origi¬naria del codice non toccata dalla riforma del diritto di famiglia del 1975). Con l’espressione “familiari” la norma certamente non si riferiva all’epoca della compilazione del codice civile ai “conviventi di fatto” ma l’estensione è oggi obbligata. D’altro lato l’ultima parte della stessa disposizione annovera nell’”ambito della famiglia” (questa è la rubrica della norma) anche “le persone che convivono con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi”. Come potrebbe essere possibile che il diritto di abitazione offra tutela alla badante alla baby-sitter o ai domestici (cioè a chi convive per prestare determinati servizi di tipo familiare) ma non ai con¬viventi di fatto? E quindi come avviene per il coniuge, anche il partner dell’unione civile e il convivente di fatto possono essere considerati “familiari” e quindi tutelati dalla norma.
Quindi il diritto di abitazione tutela anche il coniuge del titolare, il suo partner di una unione civile e il convivente di fatto. Non però verosimilmente fino al punto da consentire a questi soggetti l’usucapione del diritto stesso (come ritenuto, invece, da Trib. Torino, 14 marzo 2002 secondo cui il diritto di abitazione sull’appartamento del convivente potrebbe essere usucapito in relazione al cogodimento con il defunto per oltre vent’anni) e questo perché quel cogodimento potrebbe dargli titolo per la nascita di un autonomo diritto di abitazione dopo la mor¬te del titolare (come oggi prevede il comma 42 della riforma sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto), ma non certo per il periodo in cui il titolare era ancora vivo dal momento che in questa situazione il convivente del titolare è solo considerato familiare del titolare (art. 1023 c.c.) e quindi non occupante abusivo, ma non come titolare di un diritto autonomo. In altre parole il nudo proprietario non potrebbe espellerlo dall’abitazione perché egli appartiene alla famiglia del titolare, e solo dal momento della morte del titolare la sua occupazione potrebbe dare luogo al decorso del termine per l’usucapione.
Come avviene per l’usufrutto (art. 979 cui rinvia l’art. 1026 c.c.) anche la durata del diritto di abitazione non può eccedere la durata della vita del suo titolare e pertanto il diritto di estingue per morte del titolare. In tal caso anche le persone che sono inglobate nell’ambito della famiglia del titolare del diritto di abitazione (cioè il coniuge o il partner dell’unione civile, i domestici, le badanti, i conviventi di fatto) perderanno il titolo giustificativo della tutela loro garantita.
Se muore, invece, il nudo proprietario, il diritto di abitazione continua nella sua esistenza gravando sugli eredi del nudo proprietario, salvo che la sua durata non sia stata limitata per testamento o per accordo tra le parti – come certamente è possibile – alla durata della vita del nudo proprietario.
III
Le differenze tra il diritto di abitazione e il diritto di usufrutto
Dalla definizione stessa del diritto di usufrutto e del diritto di abitazione si comprende bene come i due diritti siano fortemente differenziati.
L’usufruttuario ha diritto di godere della cosa potendone trarre sostanzialmente ogni utilità che sia capace e in grado di trarne (art. 981 c.c.), viceversa il titolare del diritto di abitazione può solo abitare nell’immobile per di più limitatamente ai suoi bisogni e a quelli della sua famiglia (art. 1022 c.c.). Il primo può trarre dalla cosa quindi ogni utilità economica possibile per esempio affittando l’immobile o concedendolo in locazione; il secondo può solo pretendere di abitare nell’immobile. Entrambi sono tenuti alle riparazioni ordinarie e al pagamento dei tributi (art. 1025 c.c.).
La giurisprudenza ha chiarito, a tale proposito, che i tributi sull’immobile sono considerati imposte sul patrimonio e che, pertanto, gravano sul proprietario a prescindere da chi abbia il godimento esclusivo dell’appartamento. Da ultimo Cass. civ. Sez. III, 10 febbraio 2016, n. 2675; Cass. civ. Sez. V, 13 ottobre 2011, n. 21135 hanno affermato che il coniuge separato ed assegnatario della casa coniugale non è da considerarsi soggetto passivo dei tributi sulla casa. Pertanto, come tale, non è tenuto a pagare l’imposta comunale in luogo del coniuge proprietario dell’immobile. Ciò perché l’assegnazione della casa coniugale integra un atipico “diritto di godimen¬to” e non un diritto reale. Infatti, in capo al coniuge solo assegnatario, non è ravvisabile la titolarità di un diritto di proprietà o di un diritto di godimento previsti dalla norma che regola l’imposta sulla casa e che dà obbligo al pagamento dell’imposta.
A differenza dell’usufrutto che, se non è vietato espressamente dal titolo costitutivo, può essere oggetto di ces¬sione (art. 980 c.c.), il diritto di abitazione non è cedibile né può essere dato in locazione (art.1024 c.c.).
A proposito del diritto d’uso la giurisprudenza ha però precisato che il divieto di cessione del diritto di uso (ma non di abitazione), sancito dall’art. 1024 c.c., non ha natura pubblicistica e quindi carattere di inderogabilità nei confronti del nudo proprietario, ma attiene piuttosto ai diritti patrimoniali di carattere disponibile; con la con¬seguenza che il nudo proprietario e l’usuario possono convenire di derogare al divieto, ed il relativo negozio è perfettamente valido ed operante in quanto riflette un diritto di cui i titolari possono liberamente disporre (Cass. civ. Sez. II, 27 aprile 2015, n. 8507).
L’art. 1026 c.c. dichiara applicabile al diritto di abitazione le norme sull’usufrutto in quanto compatibili.
IV
Le differenze tra diritto d’uso e diritto di abitazione
In genere il diritto di abitazione è accostato al diritto d’uso. La stessa intitolazione del capo II del titolo V lo con¬ferma (“Dell’uso e dell’abitazione”). Quali sono, quindi, le differenze?
Innanzitutto, a differenza del diritto di abitazione che può avere ad oggetto solo immobili, il diritto di uso può avere ad oggetto mobili o immobili, fruttiferi o meno che siano. “Chi ha il diritto d’uso di una cosa – prescrive l’art. 1021 c.c. – può servirsi di essa e, se è fruttifera può raccogliere i frutti per quanto occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia. I bisogni si devono valutare secondo la condizione sociale del titolare del diritto”.
Quindi l’usuario – così viene chiamato il titolare del diritto di uso – può avvantaggiarsi dei frutti naturali. Vice¬versa né l’usuario né l’habitator possono trarre dalla cosa frutti civili vigendo per entrambi il divieto ex art. 1024 c.c. di “cedere o dare in locazione” la cosa. In altre parole sia il diritto di abitazione che il diritto di uso consen¬tono solo il godimento diretto del bene a differenza dell’usufrutto che consentono anche il godimento indiretto attraverso per esempio la locazione del bene.
L’uso è, quindi, il diritto di natura reale temporaneo – attribuito dal proprietario della cosa ad un’altra persona – di trarre dalla cosa (usandola o raccogliendone i frutti naturali) quanto necessario ai propri bisogni e a quelli della propria famiglia. Una particolare specie di usufrutto, quindi, consistente nel diritto di godimento di una cosa, mobile o immobile, limitatamente ai bisogni del titolare e della sua famiglia.
Non si tratta perciò, per definizione, di un diritto che può avere natura perpetua (Cass. civ. Sez. II, 12 ottobre 2012, n. 17491 dove si afferma che ai sensi dell’art. 1026 c.c. si applica al diritto d’uso, non essendovi ragione di incompatibilità, la disposizione relativa all’usufrutto di cui all’art. 979 secondo il quale la durata di questo non può eccedere la vita dell’usufruttuario. Anche Trib. Padova Sez. I, 8 gennaio 2015).
L’ampiezza di tale potere, se può incontrare limitazioni derivanti dalla natura e dalla destinazione economica del bene, non può soffrire condizionamenti maggiori o ulteriori derivanti dal titolo (Cass. civ. Sez. II, 31 agosto 2015, n. 17320)
Secondo Cass. civ. Sez. II, 26 febbraio 2008, n. 5034 la differenza, dal punto di vista sostanziale e con-tenutistico, tra il diritto reale d’uso e il diritto personale di godimento è proprio costituita dall’ampiezza ed illi¬mitatezza del primo, in conformità al canone della tipicità dei diritti reali, rispetto alla multiforme possibilità di atteggiarsi del secondo che, in ragione del suo carattere obbligatorio, può essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto.
Il carattere poi strettamente personale del diritto di uso si traduce nella necessità che il diritto di uso sulla cosa venga esercitato effettivamente da chi ne è titolare, esigenza che la legge rafforza con il vincolo di incedibilità posto dall’art. 1024 c.c., limite peraltro che, non risultando dettato per motivi di ordine pubblico, è ritenuto libe¬ramente derogabile in sede di atto costitutivo del diritto; il limite quantitativo legato ai bisogni propri dell’usuario e della propria famiglia è invece posto dalla legge soltanto con riguardo al percepimento dei frutti. La possibilità della costituzione del diritto reale di uso in favore della persona giuridica deve essere pertanto pienamente rico¬nosciuta, non trovando essa alcun ostacolo nel carattere personale del relativo diritto, rettamente inteso.
La prestazione che costituisce il contenuto del diritto non è l’abitazione di un immobile ma l’uso di qualcos’altro: per esempio la corte circostante di un immobile (Cass. civ. Sez. II, 31 agosto 2015, n. 17320), un’area di parcheggio (Cass. civ. Sez. II, 17 dicembre 1997, n. 12736), un immobile destinato ad uso non abitativo (Cass. civ. Sez. III, 26 settembre 1995, n. 10155), una cappella all’interno di una chiesa (Cass. civ. Sez. I, 14 settembre 1991, n. 9593).
Sia il titolare del diritto di abitazione che quello del diritto di uso non possono modificare unilateralmente la de¬stinazione economica della cosa (art. 1026 in relazione all’art. 981 c.c.).
Anche il diritto di uso, come quello di abitazione, si estingue per morte del titolare del diritto (Cass. civ. Sez. II, 12 ottobre 2012, n. 17491).
V
Il diritto di abitare la casa familiare derivante dall’assegnazione in sede di separazione ha natura reale o personale?
L’art. 337-sexies c.c. – intitolato “assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza” – prevede che in sede di separazione “il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’inte¬resse dei figli” e, più oltre, che “il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare…”. Inoltre “il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643”. In senso pressoché analogo si esprime l’art. 6 della legge sul divorzio.
Come si vede, quindi, nelle disposizioni in materia di assegnazione della casa familiare in separazione o divorzio sono sovrapposti aspetti collegati in senso ampio al diritto di abitazione, con espressioni, tuttavia, che da un lato richiamano i diritti personali di godimento (“il godimento della casa familiare…”) e dall’altro anche i diritti reali (trascrizione ex art. 2643 c.c.).
Come ha avuto modo di precisare e ribadire anche recentemente la giurisprudenza il diritto di abitazione della casa familiare derivante dall’assegnazione in sede di separazione o divorzio è un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale), previsto nell’esclusivo interesse dei figli e non nell’interesse del coniuge affi¬datario (Cass. civ. Sez. II, 9 settembre 2016, n. 17843; Cass. civ. Sez. III, 10 febbraio 2016, n. 2675).
La differenza, dal punto di vista sostanziale e contenutistico, tra il diritto reale d’uso e il diritto personale di godimento è costituita dall’ampiezza ed illimitatezza del diritto reale, in conformità al canone della tipicità dei diritti reali, rispetto alla multiforme possibilità di atteggiarsi dei diritti personali che, in ragione del loro carattere obbligatorio, possono essere diversamente regolato dalle parti nella sostanza e nel contenuto (Cass. civ. Sez. II, 26 febbraio 2008, n. 5034).
Sulla base del principio generale che colloca l’istituto dell’assegnazione della casa familiare in sede di separazio¬ne e divorzio nell’area dei diritti personali di godimento e non dei diritti reali, si afferma, in giurisprudenza che il coniuge affidatario dei figli al quale sia assegnata la casa di abitazione di proprietà dell’altro coniuge, non è soggetto passivo dell’imposta comunale sugli immobili per la quota dell’immobile stesso sulla quale non vanti il diritto di proprietà, ovvero un qualche diritto reale di godimento, in quanto “con il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale, in sede di separazione personale o di divorzio viene riconosciuto al coniuge un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale, sicché in capo ad esso non è ravvisabile la titolarità di un diritto di proprietà o di uno di quei diritti reali di godimento, specificamente previsti dalla norma, costituenti l’unico elemento di identificazione del soggetto tenuto al pagamento dell’imposta sugli immobili” (Cass. civ. Sez. III, 10 febbraio 2016, n. 2675).
In senso analogo in passato si erano espressa anche Cass. civ. Sez. V, 13 ottobre 2011, n. 21135; Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 1986, n. 6570).
Gli stessi concetti sono ripresi e confermati dalla giurisprudenza tributaria (Commiss. Trib. Prov. Emilia-Romagna Reggio Emilia Sez. I, 1 giugno 2009, n. 102 e Commiss. Trib. Prov. L’Aquila Sez. V, 26 apile 2004, n. 21 secondo cui nel caso della assegnazione di un bene immobile disposta in sede di provvedimento di separazione consensuale dei coniugi l’Ici rimane a carico del proprietario dell’immobile stesso e non già dell’asse¬gnatario, il quale è titolare di un diritto di abitazione atipico, finalizzato al godimento della casa familiare nell’in¬teresse prioritario dei figli, revocabile, diverso dal diritto di abitazione previsto dall’art. 1022 c.c.).
VI
Il diritto di abitazione del coniuge superstite
Rinviando alle osservazioni più approfondite contenute nella voce dedicata alla riserva del diritto di abitazione a favore del coniuge superstite1, si può qui ricordare che il secondo libro del codice civile – dedicato alle succes¬sioni – colloca al primo posto tra i successibili il coniuge superstite (art. 565 c.c.), inserendolo anche, sempre al primo posto, nella categoria degli eredi necessari (art. 536 c.c.).
Nel contesto proprio dei diritti successori l’art. 540, secondo comma, del codice civile riconosce al coniuge super¬stite il “diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredono”.
Si tratta di un diritto riconosciuto soltanto sulla casa familiare (Cass. civ. Sez. II, 14 marzo 2012, n. 4088; Cass. civ. Sez. II, 27 febbraio 1998, n. 2159), se di proprietà del coniuge defunto o in comproprietà con il coniuge defunto.
A tale diritto non si applicherebbero, secondo la giurisprudenza, gli art. 1021 e 1022 c.c. nella parte in cui limi¬tano il diritto in relazione al fabbisogno del titolare (Cass. civ. Sez. II, 13 marzo 1999, n. 2263). Il principio era stato affermato in passato anche dalla giurisprudenza di merito (Trib. Palermo, 13 giugno 2003 e App. Venezia, 3 febbraio 1982)
La giurisprudenza aveva affermato la natura di diritto reale del diritto di abitazione ex art. 540 c.c. (Cass. civ. Sez. III, 24 giugno 2003, n. 10014) esattamente come quello di cui tratta l’art. 1022, e non deve trarre in inganno quanto affermato da Cass. civ. Sez. II, 9 settembre 2016, n. 17843 circa la natura di atipico diritto personale di godimento del diritto di abitazione che si riferisce al diritto derivante dall’assegnazione della casa familiare.
Inoltre è stato precisato che il diritto di abitazione è devoluto automaticamente al coniuge del de cuius in base ad un meccanismo assimilabile al prelegato ex lege, sicché la concreta attribuzione di tale diritto non è subordi¬nata alla domanda del coniuge, cui il diritto medesimo deve essere riconosciuto – nell’ambito della controversia avente ad oggetto lo scioglimento della comunione ereditaria – senza necessità di espressa richiesta (Cass. civ. Sez. II, 31 luglio 2013, n. 18354).
La collocazione dell’art. 540 c.c. nel titolo dedicato ai “diritti riservati ai legittimari” e la sua stessa denomina¬zione, potrebbe far ritenere che la riserva a favore del coniuge del “diritto di abitazione” sia prevista esclusi¬vamente per il caso di successione testamentaria. Invece le Sezioni unite della Cassazione con una decisione storica (Cass. civ. Sez. Unite, 27 febbraio 2013 n. 4847) e in adesione all’interpretazione prevalente data in dottrina all’istituto in questione, hanno ritenuto di estenderne l’applicazione anche al di fuori della successione testamentaria e quindi in tutte le ipotesi in cui si apre la successione. Analogamente di recente il principio è stato ribadito da Cass. civ. Sez. VI, 16 novembre 2015, n. 23406.
Il valore del diritto di abitazione e di uso dei mobili che la corredano va determinato con una specifica stima che faccia riferimento al loro valore venale al tempo dell’apertura della successione e per l’intera prevedibile durata della vita del beneficiario.
Essendo il diritto di abitazione un diritto reale di contenuto sostanzialmente analogo a quello di usufrutto per la stima si possono utilizzare i coefficienti previsti nella tabella allegata al DPR 26 aprile 1986, n. 131 (Testo Unico delle imposte di registro) predisposta per il pagamento delle imposte proporzionali di registro, catastale e ipote¬caria nel caso di atti che concernono l’attribuzione, appunto, dell’usufrutto.
È pacifico in giurisprudenza che la riserva del diritto di abitazione non è riconosciuta in caso di convivenza more uxo¬rio (Cass. civ. Sez. II, 13 giugno 1994, n. 5731; Corte cost., 26 maggio 1989, n. 310) anche se la riforma del 2016 sulle unioni civili e le convivenze di fatto la inserisce come diritto non solo del partner dell’unione civile (com¬ma 21 dell’art. 1 della legge di riforma) ma anche come diritto temporeneo pe ril convivente di fatto (comma 42).
La riserva opera di diritto, al momento dell’apertura della successione, senza necessità di accettazione (Cass. civ. Sez. V, 29 gennaio 2008, n. 1920) sia quando il coniuge superstite è l’unico chiamato all’eredità, sia quando concorre con altri chiamati.
Pertanto il coniuge superstite non deve fare nulla. Può tranquillamente continuare nel godimento dell’immobile del quale acquista ex lege il diritto di abitazione, ancorché ne sia comproprietario e ancorché alla successione vi siano altri chiamati. L’acquisizione di un diritto reale limitato sull’intera proprietà dell’immobile si spiega per il fatto che su di esso potrebbero vantare diritti successori di natura reale altri soggetti (chiamati all’eredità o semplici legatari).
Come si è detto, la problematica connessa alla riserva a favore del coniuge del diritto di abitazione è contras¬segnata dal fatto che l’art. 540 c.c. è collocato nel titolo della successione necessaria e che nella disposizione si utilizza conseguentemente la terminologia della successione necessaria (“riserva”, “disponibile”). Ciò potrebbe indurre a ritenere che il meccanismo che si sta esaminando operi solo in presenza di un lascito testamentario, come tutte le problematiche concernenti la successione necessaria. E’ invece oggi pacifico il giurisprudenza che il meccanismo di cui si parla opera anche nell’ambito della successione senza testamento.
In dottrina prevale l’orientamento secondo cui i diritti abitazione e di uso dei mobili, pur non essendo espressa¬mente menzionati negli artt. 581 e 582 c.c. (che indicano le quote ereditarie nella successione senza testamen¬to) spettano al coniuge anche nella successione legittima, anche se gli orientamenti sono contrastanti sia circa la fonte normativa di tale diritto, sia sui criteri di calcolo del valore della quota del coniuge, se cioè il valore del diritto di abitazione si aggiunga o sia compreso nella quota dell’eredità attribuita per legge.
In presenza di orientamenti contrastanti in giurisprudenza la questione è stata decisa dalle Sezioni Unite (Cass. civ. Sez. Unite, 27 febbraio 2013, n. 4847) che hanno innanzitutto riconosciuto anche nella successione legittima i diritti di abitazione ed uso riservati espressamente al coniuge superstite dal secondo comma dell’art. 540 del codice civile, “conformemente all’opinione espressa ormai unanimemente dalla dottrina” e richiaman¬dosi alla ratio che aveva ispirato il legislatore della riforma del diritto di famiglia del 1975 che era quella “di re¬alizzare anche nella materia successoria una nuova concezione della famiglia tendente ad una completa parifica¬zione dei coniugi non solo sul piano patrimoniale ma anche sotto quello etico e sentimentale” e “sul presupposto che la ricerca di un nuovo alloggio per il coniuge superstite potrebbe essere fonte di un grave danno psicologico e morale per la stabilità delle abitudini di vita della persona”. Ciò premesso, affermano i giudici, “ è evidente che tale finalità dell’istituto è valida per il coniuge supersite sia nella successione necessaria che in quella legittima, cosicché i diritti in questione trovano necessariamente applicazione anche in quest’ultima”, anche se poi il legi¬slatore ne ha disciplinato l’effettiva realizzazione per il caso di successione necessaria, con la finalità di incidere soltanto entro ristretti limiti sulle quote di riserva di altri legittimari.
Per i criteri di calcolo del valore della quota si rinvia alla voce ridedicata alla riserva del diritto di abitazione a favore del coniuge superstite.
VII
Il diritto di abitazione del convivente di fatto superstite
Come giustamente ha sottolineato una recente decisione di merito, la convivenza fuori dal matrimonio, nel caso in cui uno dei conviventi sia possessore iure proprio dell’abitazione, dà luogo, come i rapporti nella famiglia fondata sul matrimonio, ad un vero e proprio possesso giuridicamente tutelabile della casa di abitazione, sia in considerazione dei principi costituzionali di tutela della funzione sociale del bene- abitazione , sia in considera¬zione che nel rapporto di fatto con il bene (Trib. Padova Sez. I, 21 marzo 2017).
A tale proposito il comma 42 dell’art. 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), prescrive che in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.
Il comma 43 prevede che il diritto di cui al comma 42 viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova con¬vivenza di fatto.
Le scadenze indicate sono automatiche e pertanto non è necessario il ricorso da alcun procedimento. Eventuali contestazioni da parte degli eredi potranno essere risolte in un normale giudizio contenzioso avente ad ogget¬to l’accertamento dell’estensione del diritto di godimento dell’immobile ovvero, ove necessario, l’occupazione senza titolo2.
La riforma del 2016 risolve, quindi, per legge le problematiche sui diritti di abitazione che la giurisprudenza non ha potuto finora risolvere.
In caso di morte del proprietario della “casa adibita a residenza comune dei conviventi” (perifrasi con cui il le¬gislatore indica quella che anche tra conviventi può essere certamente chiamata la “casa familiare”) il comma 42 introduce pertanto una sorta di riserva del diritto di abitazione per il convivente superstite, prevedendo che quest’ultimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa in questione per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni.
Nonostante le simmetrie con la riserva a favore del coniuge superstite il diritto di continuare ad abitare nella resi¬denza già comune di cui si è detto non appare riconducibile ai diritti di natura reale ma ad un diritto personale di godimento di natura atipica analogo a quello del coniuge assegnatario dell’abitazione (qualificato come diritto di natura personale: da ultimo Cass. civ. Sez. II, 9 settembre 2016, n. 17843) che limita temporalmente, senza oneri a carico del convivente superstite, il diritto di proprietà sull’immobile degli eredi del convivente deceduto.
La disposizione fa espressamente salvo “quanto previsto dall’articolo 337-sexies del codice civile” (Assegnazio¬ne della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza) a mente del quale il giudice attribuisce il godimento della casa familiare, in caso di separazione dei genitori, tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. La norma fa quindi riferimento all’ipotesi in cui in caso di rottura della convivenza, essendovi uno o più figli comuni, il giudice abbia già attribuito al convivente superstite un diritto di assegnazione che cesserà solo quando il figlio sarà autosufficiente e che quindi potrebbe anche superare le scadenze sopra indicate.
VIII
Il diritto di abitazione è suscettibile di autonoma espropriazione?
Il diritto di abitazione, anche acquistato mortis causa, è strettamente legato alla persona a favore della quale è costituito ed è insuscettibile di autonoma espropriazione, come si ricava dalle norme che lo dichiarano incedibile (art. 1024 codice civile: “i diritti di uso e di abitazione non si possono cedere o dare in locazione”) e non ipoteca¬bile (art. 2810 codice civile che dichiara oggetto di ipoteca, tra i diritti reali limitati, solo l’usufrutto, la superficie e l’enfiteusi). Se non è possibile iscrivere ipoteca non sono possibili neanche il sequestro e il pignoramento che per loro natura sono destinati a vincolare determinati beni per la soddisfazione di un determinato credito.
In un recente studio del (n. 21-2013/E) del Consiglio nazionale del notariato si precisa che l’opinione che nega l’espropriabilità autonoma del diritto di abitazione è uniforme e consolidata, essendo considerati inammissibili tutti i negozi giuridici o gli atti che importino un trasferimento, volontario o coattivo, del diritto. Tale inespropria¬bilità troverebbe anche fondamento nel principio di tipicità e numerus clausus dei diritti reali; principio che non tutela solo l’interesse privato dei soggetti del rapporto ma che sarebbe rivolto anche a circoscrivere le modalità attraverso le quali il diritto di proprietà può essere compresso, così da assumere una valenza di tipo pubblicistico.
La conclusione è quindi che la sottrazione alla disponibilità (vendita o locazione) da parte del suo titolare stabilita nell’art. 1024 c.c. si colloca, insieme alla non ipotecabilità del diritto (art. 2810 c.c.) in una cornice di assoluta impossibilità di circolazione autonoma del diritto reale per atto del suo titolare o dei suoi aventi causa.
Pertanto il creditore del titolare del diritto di abitazione non può sottoporre ad espropriazione forzata il diritto di abitazione spettante al proprio debitore.
Anche in sede tributaria siè ritenuto che non è ammessa l’adozione della misura cautelare dell’iscrizione ipote¬caria su diritti non suscettibili di esecuzione forzata quale il diritto di abitazione, ai sensi degli artt. 1024 e 2810 c.c..(Commiss. Trib. Prov. Puglia Bari Sez. XV, 25 giugno 2010).
IX
I rapporti tra il diritto di abitazione e l’espropriazione forzata del bene su cui grava
Come si è più volte detto l’immobile su cui grava il diritto di abitazione può essere certamente espropriato dai creditori del nudo proprietario.
In che liniti il diritto di abitazione in questi casi è opponibile ai creditori che procedono e quindi ai terzi acquirenti del bene immobile?
Nel caso di diritto di abitazione attribuito con atto negoziale, in base alle norme sulla trascrizione che espressa¬mente lo prevedono (articoli 2643 n. 4, 2644 e 2645 c.c.), è pacifica l’opponibilità ai terzi acquirenti del bene su cui il diritto è costituito che abbiano trascritto il loro titolo successivamente alla trascrizione dell’atto negoziale attributivo del diritto di abitazione.
Ugualmente il diritto di abitazione è opponibile al creditore ipotecario che abbia iscritto ipoteca successivamente alla trascrizione del negozio attributivo del diritto di abitazione (art. 2812 c.c.) ed altrettanto avviene, in base alle norme relative agli effetti del pignoramento (art. 2913, 2914, 2915 c.c.), relativamente all’opponibilità ai creditori pignoranti degli atti negoziali trascritti anteriormente al pignoramento oltre che all’opponibilità all’ac¬quirente da vendita forzata (art. 2919 c.c.); in tal caso il titolare del diritto di abitazione è terzo rispetto al pro¬cedimento esecutivo e il suo diritto non sarà pregiudicato dalla vendita forzata della proprietà.
Il diritto di abitazione è invece inopponibile al creditore ipotecario anteriore il quale può far “subastare”, cioè vendere all’asta, la proprietà del bene come libera da vincoli (art. 2812, secondo comma c.c.). In tal caso – come prevede la norma citata – il diritto di abitazione si estingue con l’espropriazione.
In sede di merito Trib. Monza, 27 dicembre 2011 ha precisato che il diritto di abitazione, gravante sull’immo¬bile in favore della coniuge superstite, per averlo adibito a residenza familiare, ai sensi dell’art. 540, 2 comma c.c., non preclude l’azione esecutiva promossa sull’immobile da terzi soggetti, creditori del comproprietario. La titolarità da parte di un terzo di un diritto reale sul bene pignorato, se opponibile, incide sul prezzo di vendita dell’immobile, determinandone la riduzione a causa del vincolo gravante sul bene, ma non impedisce la prose¬cuzione dell’azione esecutiva e la vendita del bene. L’esistenza di un diritto reale sul bene pignorato non può, invero, paralizzare l’azione esecutiva, pregiudicando il soddisfacimento di crediti da parte di soggetti che hanno legittimamente pignorato il bene di proprietà del debitore esecutato.
Se il de cuius in vita aveva disposto della proprietà con atto regolarmente trascritto – per esempio se aveva tra¬sferito il diritto anche parzialmente o aveva sottoposto ad ipoteca il bene – anche il diritto di abitazione acquisito mortis causa ex art. 540 c.c. dal coniuge superstite subirà gli effetti di quell’atto. Il coniuge superstite – fatta sempre salva l’applicazione dell’art. 540 c.c. – vedrà quindi intaccato il godimento del diritto nei limiti dell’atto dispositivo del de cuius, fino alla possibile estinzione del diritto con l’espropriazione (Cass. civ. Sez. III, 13 gennaio 2009, n. 463). Perché sì verifichi questo effetto di inopponibilità del legato ex lege rispetto all’atto an¬teriore è sufficiente che l’atto sia anteriore all’apertura della successione non essendo ritenuta in giurisprudenza necessaria la trascrizione del legato ex lege (Cass. civ. Sez. II, 30 aprile 2012, n. 6625; in senso contrario si sono espressi però Trib. Monza, 27 dicembre 2011; Trib. Bologna Sez. IV, 30 agosto 2004 che hanno ritenuto necessaria la trascrizione del legato ex lege).
Se invece è l’erede a disporre dopo l’apertura della successione del diritto di proprietà? Come è regolamentato il conflitto tra gli aventi causa dell’erede e il coniuge superstite?
Il problema è stato al centro di una vicenda giudiziaria nella quale la giurisprudenza in passato si è espressa indicando i principi e le norme applicabili.
Era avvenuto – dopo il decesso di un uomo che aveva lasciato come eredi la moglie e il figlio – che il figlio avesse concesso sull’immobile ipoteca ad una banca a garanzia di un mutuo. La banca, cioè, aveva acquistato, in segui¬to alla concessione del mutuo, il diritto di iscrivere ipoteca. Aveva acquistato tale diritto dall’erede apparente, cioè da colui che appariva titolare della piena proprietà del bene e che si era comportato come se fosse erede di un diritto di proprietà pieno. Alla fattispecie i giudici (Cass. civ. Sez. III, 24 giugno 2003, n. 10014) hanno applicato non le norme sugli effetti della trascrizione tra più aventi causa da un medesimo soggetto (per i motivi di cui tra breve si dirà) ma l’art. 534 del codice civile il cui secondo comma prevede che “sono salvi i diritti acqui¬stati per effetto di convenzione a titolo oneroso con l’erede apparente dai terzi i quali provino di aver contrattato in buona fede”. La buona fede è esclusa, in caso di beni immobili – come prevede il terzo comma della stessa disposizione – solo se l’erede (o il legatario) abbiano trascritto il proprio acquisto mortis causa (trascrizione im¬posta dal primo comma dell’art. 2648 c.c.) prima della trascrizione dell’acquisto del terzo (nell’esempio prima dell’iscrizione di ipoteca da parte della banca).
Tuttavia, sulla base dell’orientamento di cui si è detto – che considera non necessaria la trascrizione del legato ex lege, a differenza del legato testamentario (Cass. civ. Sez. II, 30 aprile 2012, n. 6625) – la buona fede del terzo deve sempre essere oggetto di prova e non potrà considerarsi esclusa per la mancanza in sé della tra¬scrizione del legato ex lege.
I giudici non hanno applicato alla fattispecie le norme generali sulla trascrizione perché, nonostante che l’erede (cioè il figlio) e il legatario (cioè il coniuge superstite) abbiano acquistato il proprio diritto sullo stesso bene dal comune dante causa, il diritto di proprietà si trasmette all’erede per effetto della legge come gravato dal diritto di abitazione, mentre l’articolo 2644 del codice civile, disciplinando gli effetti della trascrizione, lo fa con riguardo alla situazione rappresentata dal fatto che due soggetti acquistano successivamente (e non contestualmente) dallo stesso autore diritti tra loro incompatibili.
In definitiva mentre il conflitto tra atti dispositivi effettuati in vita dal de cuius e diritti del legatario ex lege (co¬niuge superstite) va risolto in base all’art. 2644 c.c. sull’anteriorità della trascrizione, viceversa il conflitto tra il coniuge superstite e l’erede (apparente: che si comporta, cioè, come se avesse un titolo pieno e non gravato dal diritto di abitazione) è regolato dall’art. 534, 2° e 3° comma, c.c. e cioè in base alla buona fede degli aventi causa dall’erede apparente; quindi accertando se l’acquisto del terzo dall’erede apparente sia stato fatto o meno in buona fede. Se vi è buona fede l’acquisto è salvo e prevale sul legato ex lege.
Giurisprudenza
Trib. Padova Sez. I, 21/03/2017 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La convivenza more uxorio, come i rapporti della famiglia legittima, danno luogo, nel caso in cui uno dei conviventi sia posses¬sore iure proprio, ad un vero e proprio possesso giuridicamente tutelabile della casa di abitazione , e ciò sia in considerazione dei principi costituzionali di tutela della funzione sociale del bene- abitazione , sia in considerazione che nel rapporto di fatto con il bene, costituito dal possesso tutelato ex lege, il convivente non può essere discriminato rispetto ai componenti della famiglia legittima, pur se contitolari del diritto di proprietà.
Cass. civ. Sez. II, 9 settembre 2016, n. 17843 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto di abitazione della casa familiare (derivante dall’assegnazione in sede di separazione o divorzio) è un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale), previsto nell’esclusivo interesse dei figli e non nell’interesse del coniuge affidatario, che viene meno con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non avendo più ragione di esistere. L’assegnazione del godimento della casa familiare, ex art. 337-sexies c.c., non può essere presa in considerazione in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato dell’immobile, allorquando l’immobile venga attribuito al coniuge che sia titolare del diritto al godimento stesso.
Cass. civ. Sez. III, 10 febbraio 2016, n. 2675 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di imposta comunale sugli immobili, il coniuge affidatario dei figli al quale sia assegnata la casa di abitazione posta nell’immobile di proprietà dell’altro coniuge, non è soggetto passivo dell’imposta per la quota dell’immobile stesso sulla quale non vanti il diritto di proprietà, ovvero un qualche diritto reale di godimento, come previsto dall’art. 3, D.Lgs. n. 504 del 1992. Con il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa coniugale, in sede di separazione personale o di divorzio, invero, viene riconosciuto al coniuge un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale, sicché in capo ad esso non è ravvisabile la titolarità di un diritto di proprietà o di uno di quei diritti reali di godimento, specificamente previsti dalla norma, costituenti l’unico elemento di identificazione del soggetto tenuto al pagamento dell’imposta in parola sull’immobile.
Cass. civ. Sez. VI, 16 novembre 2015, n. 23406 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La permanenza, dopo il decesso di un coniuge, da parte dell’altro nella casa familiare è qualificabile “come esercizio del diritto di abitazione e di uso dei mobili che la corredano, spettante al coniuge superstite quale legatario ex lege art. 540 c.c.) in ogni caso, anche nell’ipotesi di successione legittima, e quindi a prescindere dalla sua ulteriore qualità di chiamato all’eredità.
Cass. civ. Sez. II, 31 agosto 2015, n. 17320 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il titolare del diritto reale d’uso ha diritto di servirsi della cosa e di trarne i frutti per il soddisfacimento dei bisogni propri e della propria famiglia, sì da poter ricavare dal bene, nel suo concreto esercizio, ogni utilità ricavabile. Ne consegue che l’ampiezza di tale potere, se può incontrare limitazioni derivanti dalla natura e dalla destinazione economica del bene, non può soffrire con¬dizionamenti maggiori o ulteriori derivanti dal titolo. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso l’esistenza di qualunque diritto d’uso su una corte circostante un immobile oggetto di alienazione, senza però tener conto della natura rurale del fabbricato, della specifica distinta individuazione anche dei dati catastali di tale corte, nonché della facoltà di utilizzo attribuita al bene).
Cass. civ. Sez. II, 27 aprile 2015, n. 8507 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il divieto di cessione del diritto di uso, sancito dall’art. 1024 c.c., non ha natura pubblicistica e quindi carattere di inderogabilità nei confronti del nudo proprietario, ma attiene piuttosto ai diritti patrimoniali di carattere disponibile; con la conseguenza che il nudo proprietario e l’usuario possono convenire di derogare al divieto, ed il relativo negozio è perfettamente valido ed operante in quanto riflette un diritto di cui i titolari possono liberamente disporre.
In tema di diritto d’uso, il divieto di cessione sancito dall’art. 1024 cod. civ. non è inderogabile, non avendo natura pubblicistica e attenendo a diritti patrimoniali disponibili, sicché nell’atto costitutivo del diritto il nudo proprietario e l’usuario possono derogare al vincolo d’incedibilità.
Trib. Padova Sez. I, 8 gennaio 2015 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il termine diritto di uso esclusivo e perpetuo confligge con il diritto reale disciplinato dall’art. 1021 c.c., concretandosi, quest’ul¬timo, nel diritto del titolare di servirsi di un bene per i propri bisogni e quelli della propria famiglia.
Cass. civ. Sez. II, 27 giugno 2014, n. 14687 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di diritto di abitazione, il limite sancito dall’art. 1022 cod. civ. riguardo ai bisogni del titolare e della sua famiglia non deve essere inteso in senso quantitativo, che imporrebbe l’ardua determinazione della parte di casa necessaria a soddisfare tali bisogni, ma solo come divieto di utilizzo della casa in altro modo che per l’abitazione diretta dell’”habitator” e dei suoi familiari.
Cass. civ. Sez. II, 31 luglio 2013, n. 18354 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di successione legittima, il diritto di abitazione ed uso, ai sensi dell’art. 540, secondo comma, cod. civ. è devoluto al coniuge del de cuius in base ad un meccanismo assimilabile al prelegato ex lege, sicché la concreta attribuzione di tale diritto non è subordinata alla domanda del coniuge, cui il diritto medesimo deve essere riconosciuto – nell’ambito della controversia avente ad oggetto lo scioglimento della comunione ereditaria – senza necessità di espressa richiesta.
Cass. civ. Sez. Unite, 27 febbraio 2013, n. 4847 (Famiglia e Diritto, 2013, 11, 983, nota di GRAGNANI)
Nella successione legittima spetta al coniuge del de cuius il diritto di abitazione sulla cosa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano previsti dall’art. 540, comma secondo.
Cass. civ. Sez. II, 12 ottobre 2012, n. 17491 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di morte dell’usuario di un immobile, con conseguente estinzione del diritto d’uso dovuta alla sua intrasferibilità “mortis causa” è inapplicabile, in favore degli eredi che siano subentrati nel godimento del bene, la successione nel possesso, agli effetti dell’art. 1146 cod. civ.
Ai sensi dell’art. 1026 cod. civ., si applica al diritto d’uso, non essendovi ragione di incompatibilità, la disposizione relativa all’u¬sufrutto di cui all’art. 979 cod. civ., secondo il quale la durata di questo non può eccedere la vita dell’usufruttuario.
Cass. civ. Sez. II, 30 aprile 2012, n. 6625 (Famiglia e Diritto, 2012, 10, 869, nota di CALVO)
Il diritto di abitazione, riservato dall’art. 540, secondo comma, cod. civ. al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare, si configura come un legato ex lege, che viene acquisito immediatamente da detto coniuge, secondo la regola di cui all’art. 649, secondo comma, cod. civ., al momento dell’apertura della successione. Ne consegue che non può porsi un conflitto, da risolvere in base alle norme sugli effetti della trascrizione, tra il diritto di abitazione, che il coniuge legatario acquista diretta¬mente dall’ereditando, ed i diritti spettanti agli aventi causa dall’erede.
Il diritto di abitazione di cui all’art. 540 c.c., il quale si configura come legato ex lege, che viene immediatamente acquisito dal coniuge superstite direttamente dall’ereditando, in base alla regola dei legati di specie di cui al secondo comma dell’art. 649 c.c. al momento dell’apertura della successione, non è soggetto a trascrizione.
Cass. civ. Sez. II, 14 marzo 2012, n. 4088 (Famiglia e Diritto, 2012, 6, 619)
Il diritto di abitazione, che la legge riserva al coniuge superstite (art. 540, secondo comma, cod. civ.), può avere ad oggetto sol¬tanto l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del “de cuius” come residenza familiare. Il suddetto diritto, pertanto, non può mai estendersi ad un ulteriore e diverso appartamento, autonomo rispetto alla sede della vita domestica, ancorché ricompreso nello stesso fabbricato, ma non utilizzato per le esigenze abitative della comunità familiare.
Trib. Monza, 27 dicembre 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di successione legittima, il diritto di abitazione del coniuge superstite sussiste in aggiunta alla quota di eredità legittima spettante al coniuge. Poiché il diritto reale di abitazione è acquistato in forza di un legato stabilito dalla legge e si trasmette al coniuge superstite al momento della morte del coniuge, l’erede acquista su tale immobile un diritto di proprietà gravato dal diritto reale limitato di abitazione. I diritti di abitazione e di uso, in quanto diritti reali, devono essere soggetti a trascrizione. Se non viene trascritto, il diritto di abitazione non è opponibile ai terzi, che a qualunque titolo hanno acquistato diritti sugli immobili in base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione dell’atto da cui il diritto di abitazione discende. Quanto al titolo idoneo alla trascrizione, in assenza di testamento, sono idonei sia il certificato di denunciata successione che la presentazione al conservare di una nota, accompagnata dal certificato di morte in cui sia indicato lo stato di coniuge e l’operare ex lege del secondo comma dell’art. 540 del codice
Cass. civ. Sez. V, 13 ottobre 2011, n. 21135 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il coniuge affidatario dei figli al quale sia assegnata la casa di abitazione posta nell’immobile di proprietà (anche in parte) dell’al¬tro coniuge non è soggetto passivo dell’Ici per la quota dell’immobile stesso sulla quale non vanti il diritto di proprietà ovvero un qualche diritto reale di godimento.
Il coniuge affidatario dei figli al quale sia assegnata la casa di abitazione posta nell’immobile di proprietà (anche in parte) dell’al¬tro coniuge non è soggetto passivo dell’Ici per la quota dell’immobile stesso sulla quale non vanti il diritto di proprietà ovvero un qualche diritto reale di godimento.
Trib. Monza, 27 febbraio 2011
ESECUZIONE FORZATA
Esecuzione forzata, in genere
SEPARAZIONE DEI CONIUGI
Alloggio
Il diritto di abitazione, gravante sull’immobile in favore della coniuge superstite, per averlo adibito a residenza familiare, ai sensi dell’art. 540, 2 comma c.c., non preclude l’azione esecutiva promossa sull’immobile da terzi soggetti, creditori del com¬proprietario. La titolarità da parte di un terzo di un diritto reale sul bene pignorato, se opponibile, incide sul prezzo di vendita dell’immobile, determinandone la riduzione a causa del vincolo gravante sul bene, ma non impedisce la prosecuzione dell’azione esecutiva e la vendita del bene. L’esistenza di un diritto reale sul bene pignorato non può, invero, paralizzare l’azione esecuti¬va, pregiudicando il soddisfacimento di crediti da parte di soggetti che hanno legittimamente pignorato il bene di proprietà del debitore esecutato.
FONTI
Sito Il caso.it, 2012
Commiss. Trib. Prov. Puglia Bari Sez. XV, 25 giugno 2010
ESECUZIONE FORZATA
Pignoramento
(pignorabilità ed impignorabilità)
IMPOSTE E TASSE IN GENERE
Esecuzione fiscale, in genere
Non è ammessa l’adozione della misura cautelare dell’iscrizione ipotecaria su diritti non suscettibili di esecuzione forzata quale il diritto di abitazione, ai sensi degli artt. 1024 e 2810 c.c..
FONTI
Fisco on line, 2010
Commiss. Trib. Prov. Emilia-Romagna Reggio Emilia Sez. I, 1 giugno 2009, n. 102 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso della assegnazione di un bene immobile disposta in sede di provvedimento di separazione consensuale dei coniugi, ancorché erroneamente trascritta, l’Ici rimane a carico del proprietario dell’immobile stesso e non già dell’assegnatario, il quale è titolare di un diritto di abitazione atipico, finalizzato al godimento della casa familiare nell’interesse prioritario dei figli, revo¬cabile, diverso dal diritto di abitazione previsto dall’art. 1022 c.c., non trascrivibile e, pertanto, privo delle caratteristiche del diritto reale.
Cass. civ. Sez. III, 13 gennaio 2009, n. 463 (Famiglia e Diritto, 2009, 5, 525)
L’ipoteca dà diritto ai creditori ad espropriare i beni su cui è stata iscritta, anche se questi pervengono per effetto della succes¬sione a soggetto diverso dall’erede, in quanto oggetto di legato. Se i diritti parziari in questione costituiscano oggetto di legato disposto dalla legge a favore del coniuge superstite oppure vadano ricondotti nel novero dei diritti oggetto di riserva a favore dei legittimari, ciò non fa differenza rispetto al dato costituito dal fatto che l’immobile su cui i diritti in questione insistono entra a far parte dell’eredità gravato da ipoteca a favore di un creditore ereditario. Orbene, tra i presupposti perché l’acquisto dei diritti di cui si tratta si realizzi in sede di successione a favore del coniuge superstite è che l’immobile, che sia stato e si trovi ad essere destinato ad abitazione della famiglia, appartenga all’ereditando e non pure ad altri, che non sia lo stesso coniuge superstite. Se alla morte dell’ereditando sulla proprietà dell’immobile persiste un’ipoteca, siccome ciò consente al creditore ipotecario di assoggettare ad espropriazione forzata tale diritto, l’azione esecutiva già intrapresa nei suoi confronti e la successiva vendita non possono risultare impedite dai diritti attribuiti al coniuge superstite dall’art. 540, secondo comma, c.c.. Gli spetterà, invece, all’esito del processo esecutivo, in corrispondenza del valore dei diritti rimasti estinti, l’eventuale residuo.
Il creditore ipotecario può opporre il proprio titolo al coniuge del debitore che, alla morte di questi, abbia acquistato ex art. 540 cod. civ. il diritto di abitazione sulla casa familiare. Ne consegue che la procedura esecutiva già iniziata prima della morte del debitore può validamente proseguire nei confronti del coniuge di quest’ultimo, al quale spetta solo l’attribuzione del controvalore monetario del suo diritto, nel caso di eccedenza del ricavato della vendita forzata.
Cass. civ. Sez. II, 26 febbraio 2008, n. 5034 (Nuova Giur. Civ., 2008, 11, 1, 1266 nota di TESSERA)
La differenza, dal punto di vista sostanziale e contenutistico, tra il diritto reale d’uso e il diritto personale di godimento è costituita dall’ampiezza ed illimitatezza del primo, in conformità al canone della tipicità dei diritti reali, rispetto alla multiforme possibilità di atteggiarsi del secondo che, in ragione del suo carattere obbligatorio, può essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale – in relazione al conferimen¬to di attrezzature sciistiche e di uso di terreni nell’ambito del patrimonio di una società in fase di costituzione – aveva ritenuto che tale conferimento avesse il carattere di un diritto personale di godimento e non di un diritto reale di uso, in considerazione della stretta connessione tra l’uso dei terreni ed il mantenimento degli impianti sciistici in questione).
Il carattere personale del diritto di uso si traduce nella necessità che il diritto di uso sulla cosa venga esercitato effettivamente da chi ne è titolare, esigenza che la legge rafforza con il vincolo di incedibilità posto dall’art. 1024 c.c., limite peraltro che, non risultando dettato per motivi di ordine pubblico, è ritenuto liberamente derogabile in sede di atto costitutivo del diritto; il limite quantitativo legato ai bisogni propri dell’usuario e della propria famiglia è invece posto dalla legge soltanto con riguardo al per-cepimento dei frutti. La possibilità della costituzione del diritto reale di uso in favore della persona giuridica deve essere pertanto pienamente riconosciuta, non trovando essa alcun ostacolo nel carattere personale del relativo diritto, rettamente inteso.
Cass. civ. Sez. V, 29 gennaio 2008, n. 1920 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di imposta di registro, non sussistono le condizioni per l’applicazione dell’aliquota proporzionale nei confronti del coniuge del “de cuius” che abbia dichiarato tardivamente di rinunciare all’eredità, in relazione all’abitazione coniugale in possesso del me¬desimo e di proprietà del “de cuius”. Ed infatti in primo luogo non può ritenersi che il possesso di detto bene comporti “ope legis” l’acquisizione della qualità di erede con conseguente effetto traslativo dell’atto abdicativo sottoponibile ad imposta di registro, posto che il coniuge, con l’apertura della successione, diviene titolare del diritto reale di abitazione della casa adibita a residenza familiare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 540 e 1022 cod. civ., e quindi non a titolo successorio-derivativo bensì a diverso titolo costitutivo, fondato sulla qualità di coniuge, che prescinde dai diritti successori. In secondo luogo quand’anche la rinunzia all’eredità fosse da ritenersi tardiva per mancato rispetto del termine di cui all’art. 485 cod. civ., la qualità di erede così assunta sarebbe improduttiva dell’effetto traslativo della proprietà, in quanto il trasferimento del bene potrebbe conseguire unicamente ad un valido atto di rinunzia con effetti traslativi, nella specie insussistente.
Trib. Bari, 23 marzo 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto reale di abitazione si costituisce per testamento, usucapione o contratto scritto a pena di nullità. Nell’ipotesi di costitu¬zione del diritto di abitazione a titolo gratuito non è necessaria la forma della donazione, ma solo l’atto scritto. (In virtù di tale principio il Tribunale ha affermato che la costituzione di un diritto di abitazione a favore di un terzo, effettuata all’interno di un atto di donazione della nuda proprietà del bene, è valida anche senza la accettazione del terzo).
Commiss. Trib. Prov. L’Aquila Sez. V, 26 aprile 2004, n. 21 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Poiché la posizione del coniuge assegnatario, in caso di separazione personale, della casa coniugale è pacificamente riconducibile alla categoria dei diritti personali di godimento (non confondibile con il diritto reale di abitazione di cuiall’art. 1022 del codice civile), tale soggetto, ove non sia anche proprietario dell’intero immobile, non può qualificarsi come debitore per esso dell’impo¬sta comunale sugli immobili, il cui presupposto è il possesso di immobile a titolo di proprietà o di altro diritto reale di godimento (numerus clausus), con esclusione di ogni altra situazione giuridica soggettiva non connotata di realità.
Cass. civ. Sez. III, 24 giugno 2003, n. 10014 (Corriere Giur., 2004, 11, 1490, nota di NAPOLITANO)
Rispetto ad un immobile, destinato ad abitazione familiare e su cui il coniuge del defunto abbia acquistato il diritto di abitazione sulla base dell’art. 540, 2° comma, c.c., l’ipoteca iscritta dal creditore sulla piena proprietà dello stesso bene, in forza del diritto concessogli dall’erede, è opponibile al legatario alle condizioni stabilite dall’art. 534, 2° e 3° comma, c.c.; non è invece utilizzabi¬le come regola di risoluzione del conflitto quella dell’anteriorità della trascrizione dell’acquisto dell’erede rispetto alla trascrizione dell’acquisto del legatario, perché la norma sugli effetti della trascrizione, dettata dall’art. 2644 c.c. non riguarda il rapporto del legatario con l’erede e con gli aventi causa da questo: infatti, il legatario acquista il diritto di abitazione direttamente dall’e¬reditando, e perciò non si verifica né in rapporto all’acquisto dell’erede dall’ereditando né in rapporto all’acquisto del creditore ipotecario dall’erede la situazione del duplice acquisto, dal medesimo autore, di diritti tra loro confliggenti
Trib. Palermo, 13 giugno 2003 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto di abitazione del coniuge superstite non incontra le limitazioni di cui agli artt. 1021 e 1022 c.c. per i quali tale diritto è rivolto alla soddisfazione del mero fabbisogno del titolare.
Trib. Bologna, 18 marzo 2002 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai diritti reali di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che l’arredano, attribuiti al coniuge super¬stite dall’art. 540, comma 2, c.c., non si applicano gli artt. 1021 e 1022 c.c. nella parte in cui limitano il diritto in relazione al fabbisogno del titolare. Tali diritti si configurano, pertanto, come diritti esclusivi e non comprimibili del coniuge superstite, con la conseguenza che, così come non potrà trovare accoglimento la domanda di riconoscimento di un diritto di coabitazione o di coutilizzazione dei beni da parte di un coerede, al contrario dovrà essere accolta la domanda di esclusione dall’uso dei beni e dal diritto di abitazione della casa già residenza familiare, di un terzo, per quanto contitolare dell’immobile per diritto ereditario.
Trib. Torino, 14 marzo 2002 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto di abitazione sull’appartamento del convivente può essere usucapito (il tribunale, nel caso di specie, ha ammesso che il convivente “more uxorio” del defunto comproprietario dell’immobile avesse usucapito, per averne avuto il cogodimento esclusivo con il defunto per oltre vent’anni, il diritto di abitazione dell’intera casa in cui aveva convissuto con il “de cuius”).
Cass. civ. Sez. II, 13 marzo 1999, n. 2263 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai diritti reali di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che l’arredano, attribuiti al coniuge su¬perstite dall’art. 540 comma 2 c.c. non si applicano gli art. 1021 e 1022 c.c. nella parte in cui limitano il diritto in relazione al fabbisogno del titolare.
Cass. civ. Sez. II, 27 febbraio 1998, n. 2159 (Famiglia e Diritto, 1998, 4, 390)
I diritti reali di abitazione e di uso dei mobili che l’arredano, riservati per legge, a titolo di legato, al coniuge superstite (art. 540 c.c.), hanno ad oggetto la casa coniugale, ossia quella che in concreto era adibita a residenza familiare, e non quella ove i coniugi, prima del decesso di uno di essi, avrebbero voluto fissare la residenza della famiglia (art. 144 c.c.).
Cass. civ. Sez. II, 17 dicembre 1997, n. 12736 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto all’uso dell’area pertinente ad un fabbricato per parcheggio dell’auto è di natura reale (art. 18 l. 6 agosto 1967 n. 765 e 26 l. 28 febbraio 1985 n. 47), e pertanto si prescrive dopo vent’anni dall’acquisto dell’unità immobiliare.
Cass. civ. Sez. III, 26 settembre 1995, n. 10155 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non è viziato da nullità, ai sensi dell’art. 79 l. 27 luglio 1978, n. 392, il contratto con il quale il proprietario locatore di un immo¬bile urbano destinato a uso non abitativo e il conduttore convengono la costituzione temporanea a favore di quest’ultimo di un diritto reale di uso sulla cosa locata, con l’effetto di determinare la cessazione del rapporto locativo per la costituzione del diritto reale e la perdita da parte di chi era conduttore del diritto all’indennità di avviamento, che non gli compete più avendo continuato a utilizzare il bene perché titolare di un diritto reale dopo la cessazione del rapporto locativo. (Nel caso di specie il conduttore era obbligato in forza di verbale di conciliazione al rilascio dell’immobile a una data, anteriore di un giorno alla stipulazione del contratto con il quale era stata convenuta per la durata di un anno la costituzione del diritto di uso).
Cass. civ. Sez. II, 13 giugno 1994, n. 5731 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il coniuge che continua ad abitare la casa di abitazione coniugale in comune proprietà, dopo la morte dell’altro (coniuge), anche per la quota di questo, in forza del diritto di abitazione che è a lui riservato dall’art. 540 c.c., acquista il possesso solo rappre¬sentativo della quota trasferita in proprietà agli eredi del coniuge deceduto i quali, conseguentemente subentrano egualmente, ai sensi dell’art. 1146 c.c., nel possesso del bene senza necessità di materiale apprensione.
Cass. civ. Sez. I, 14 settembre 1991, n. 9593 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto d’uso, così come disciplinato dal codice civile, è un diritto reale di natura temporanea, al quale non può essere attribuito carattere di perpetuità.
Con riguardo al godimento di una cappella gentilizia all’interno di una chiesa, la perpetuità del godimento medesimo, ove debba escludersi una situazione proprietaria, ovvero una situazione di in virtù di concessione canonica, non può essere riconosciuto sulla base di titolo costitutivo di un diritto d’uso, a norma degli art. 1021 e segg. c. c., attesa la temporaneità di tale diritto.
Cass. civ. Sez. II, 21 maggio 1990, n. 4562 (Pluris, Wolters Kluwer Italia Il diritto di abitazione è un diritto reeale che può essere costituito solo mediante testamento, usucapione o contratto, per il quale è richiesta ad substantiam la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata. Pertanto nessuna manifestazione di benevolenza e di disponibilità, per esempio una lettera privata, può avere come conseguenza la costituzione di un diritto reale di abitazione.
Corte cost., 26 maggio 1989, n. 310 (Foro It., 1991, I, 446)
È inammissibile, richiedendosi un’innovazione del sistema normativo riservata al legislatore, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 540, 2° comma, c. c., nella parte in cui non prevede il convivente more uxorio tra i componenti della famiglia del defunto aventi diritto di abitazione sull’alloggio comune, in riferimento agli art. 2 e 3 costituzione
Cass. civ. Sez. I, 11 novembre 1986, n. 6570 (Nuova Giur. Civ., 1987, I, 361 nota di DI NARDO)
L’art. 155 c. c., secondo le modifiche apportate dall’art. 36, l. 19 maggio 1975, n. 151, ha accentuato e accresciuto i poteri di¬screzionali del giudice della separazione e, nel regolare con disposizione innovativa l’assegnazione della casa familiare al coniuge cui sono affidati i figli, ha posto non una regola assoluta e inderogabile, ma una norma direttiva, rimettendo al giudice stesso l’applicazione discrezionale; ne consegue che il giudice, non solo ha il potere di non effettuare quell’assegnazione, ove non ne¬cessaria o comunque, non opportuna, ma anche quello di limitarla alla parte occorrente ai bisogni delle persone conviventi della famiglia, in analogia alla definizione del diritto di abitazione di cui all’art. 1022 c. c., ancorché di diversa natura (reale) e origine (negoziale).
App. Venezia, 3 febbraio 1982 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
I diritti di abitazione e di uso riservati al coniuge superstite non sono soggetti alla disciplina dei corrispondenti diritti reali di godimento nella parte in cui il contenuto di questi ultimi è commisurato ai bisogni del titolare e della sua famiglia, perché il legi¬slatore ha voluto garantire al coniuge superstite la continuità nel godimento dell’ambiente in cui si era svolta la vita familiare e tale esigenza può soddisfarsi solo con la conservazione dello stato di fatto esistente al momento dell’apertura della successione.