Volontario abbandono della casa coniugale e violazione del dovere di convivenza

Cassazione civile, sez. VI, 15 Gennaio 2020, n. 648. Pres. Bisogni. Est. Mercolino.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16724/2018 R.G. proposto da:
V.G., rappresentato e difeso dall’Avv. S. V., con domicilio eletto in Roma, *;
– ricorrente –
contro
S.L., rappresentata e difesa dall’Avv. M. P., con domicilio eletto in Roma, *;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 1469/18 depositata il 6 marzo 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2019 dal Consigliere Guido Mercolino.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Che: V.G. ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso la sentenza del 6 marzo 2018, con cui la Corte d’appello di Roma ha accolto parzialmente il gravame interposto dalla moglie S.L. avverso la sentenza emessa l’11 aprile 2016, confermando la separazione personale dei coniugi, ma rigettando la domanda di addebito proposta dal ricorrente, e ponendo a carico dell’uomo l’obbligo di corrispondere un assegno mensile di Euro 200,00, a titolo di contributo per il mantenimento della donna;
che la S. ha resistito con controricorso.
Considerato che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, censurando la sentenza impugnata per aver irragionevolmente ravvisato nella sua condotta una sostanziale acquiescenza all’allontanamento della moglie dalla casa familiare, dalla quale ha desunto il venir meno dell’affectio coniugalis già nel corso della convivenza, senza tener conto dell’anteriorità del predetto allontanamento rispetto ai fatti presi in esame e dell’idoneità degli stessi ad evidenziare il suo tentativo di recuperare l’unità familiare;
che con il secondo motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e degli artt. 112 e 115 c.p.c., sostenendo che, nel rigettare la domanda di addebito della separazione alla S., la Corte di merito non ha considerato che l’allontanamento unilaterale ed ingiustificato dalla casa familiare costituiva una grave violazione dei doveri coniugali, che poneva a carico della stessa l’onere, rimasto insoddisfatto, di fornire la prova dell’esistenza di una giusta causa;
che con il terzo motivo il ricorrente insiste sulla nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, censurando la sentenza impugnata per aver illogicamente ritenuto giustificato l’allontanamento della S. dalla casa familiare, avvenuto in un periodo in cui egli si trovava in precarie condizioni di salute, in virtù del lungo tempo trascorso prima della proposizione della domanda di separazione;
che i tre motivi, da esaminarsi congiuntamente, in quanto aventi ad oggetto profili diversi della medesima questione, sono inammissibili;
che, nell’escludere l’addebitabilità della separazione alla S., la sentenza impugnata ha correttamente applicato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il volontario abbandono del domicilio familiare da parte di uno dei coniugi, costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sè sufficiente a giustificare l’addebito della separazione, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto (cfr. Cass., Sez. VI, 15/12/2016, n. 25966; Cass., Sez. I, 29/09/2015, n. 19328; 8/05/2013, n. 10719);
che la Corte di merito, pur dando atto dell’abbandono della casa familiare da parte della donna, ha posto infatti in risalto una serie di circostanze rimaste incontestate, soltanto in parte posteriori alla predetta condotta, da essa ritenute idonee a dimostrare che l’interruzione della convivenza aveva in realtà rappresentato l’esito di un crisi familiare già in atto da tempo, in quanto attestanti l’intervenuto deterioramento dei rapporti tra i coniugi, in epoca anteriore al predetto allontanamento, ed il disinteresse in seguito manifestato dal V. per il ripristino dell’unità familiare;
che, in quest’ottica, la sentenza impugnata ha evidenziato per un verso la prolungata assenza di rapporti intimi tra i coniugi, gli accesi contrasti con la famiglia di origine della S., l’esclusione di quest’ultima dalla gestione delle entrate familiari e l’occultamento alla stessa dell’avvenuto pensionamento del marito, e per altro verso il ritardo con cui l’uomo si era messo alla ricerca della moglie, la saltuarietà delle richieste di notizie da lui rivolte ai parenti della donna ed il consenso da lui infine prestato al ritiro degli effetti personali di quest’ultima;
che, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 1, le predette circostanze ben potevano essere utilizzate dalla Corte di merito per la formazione del proprio convincimento, in quanto, pur non avendo costituito oggetto di specifica dimostrazione da parte della S., tenuta a provare la giusta causa del proprio allontanamento dalla casa familiare, erano rimaste incontestate, con la conseguenza che la relativa prova doveva ritenersi ormai acquisita agli atti;
che, nel censurare le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata, il ricorrente non è in grado d’individuare lacune argomentative o incongruenze tali da impedire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione, ma si limita a contestare il valore indiziario delle circostanze evidenziate dalla Corte di merito, trascurando peraltro quelle relative al periodo anteriore all’interruzione della convivenza, e ad insistere sulla portata sintomatica di altri elementi, asseritamente non presi in esame, senza considerare che, al di fuori dei casi tassativamente previsti dalla legge, spetta al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove e di controllarne l’attendibilità e la concludenza, nonchè di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547; Cass., Sez. I, 31/07/2017, n. 19011; 2/08/2016, n. 16056);
che, in tal modo, il ricorrente dimostra di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del difetto di motivazione, una nuova valutazione del materiale probatorio, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonchè la coerenza logica delle stesse, nei limiti in cui le relative anomalie possono ancora essere fatte valere con il ricorso per cassazione, a seguito della modificazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. VI, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547);
che il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dall’art. 13 cit., comma 1-bis, se dovuto.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.

Violazione degli obblighi di assistenza e di rispetto da parte del marito, infedeltà coniugale reiterata della moglie e pronuncia di addebito reciproco.

Trib. di Ravenna, 23 aprile 2020, sent. n. 298
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di VERONA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r. 2764/2016 R. promossa da:
GAIA (C.F.), con il patrocinio dell’avv. L.B.M. ed elettivamente domiciliata in VERONA, presso il
difensore avv. L. B. M.
RICORRENTE contro
CORNELIO (C.F.), con il patrocinio dell’avv. F.M. ed elettivamente domiciliato in VERONA,
presso il difensore avv F. M.
CONVENUTO con l’intervento ex lege del
PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Verona.
in punto a: Divorzio contenzioso – Cessazione effetti civili
CONCLUSIONI
All’udienza del giorno 10.10.2019 le parti hanno rassegnato le seguenti conclusioni.
Parte ricorrente: GAIA
“Disporsi che CAIETTA e CAIETTO siano affidati ad entrambi i genitori che eserciteranno la responsabilità
parentale in modo condiviso e con domiciliazione di entrambi presso /’abitazione materna.
2. In via subordinata nella denegata ipotesi di non accoglimento delle conclusioni del capo 1 del presente verbale
disporsi che, fermo il regime di affidamento condiviso, CAIETTA sia domiciliata presso la madre e CAIETTO
presso il padre. Disporsi che in entrambe le ipotesi, attesa l’età, il grado di maturità espresso dai minori e la loro
capacità di discernimento, ciascun figlio possa frequentare liberamente l’altro genitore, previa comunicazione tra
questi ultimi ed indicativamente:
– un fine settimana ogni 15 giorni da! sabato alla domenica sera;
– due pomeriggi la settimana con pernottamento;
– una settimana durante le vacanze natalizie alternando Natale e Capodanno;
– la metà delle vacanze pasquali;
– quindici giorni durante il periodo estivo.
3. Disporsi che CORNELIO versi a GAIA, a titolo di contributo a! mantenimento dei minori la somma di
€ 500,00 mensili, da versarsi in via anticipata entro il giorno 5 di ogni mese a mezzo di bonifico bancario e con
rivalutazione annua secondo gli indici Istat.
4. In via subordinata nell’ipotesi di mancato accoglimento del capo 1 delle presenti conclusioni, disporsi che
CORNELIO corrisponda a GAIA per il mantenimento di CAIETTA l’importo di €200,00 mensili,
rivalutabili annualmente secondo gli indici Istat.
5. Disporsi che il padre rimborsi forfettariamente le spese scolastiche ed extrascolastiche, di cui al Protocollo 3
dicembre 2018, nella misura di € 200,00 mensili ed escluse le spese mediche da documentare così individuate:
I ) spese mediche da documentare, che non richiedono un preventivo accordo: visite mediche specialistiche de!
Servizio sanitario nazionale prescritte da! medico curante; cure dentistiche presso strutture sanitarie pubbliche; ticket
per trattamenti sanitari erogati da! S.S.N. e per medicinali prescritti da/ medico curante;
II ) spese mediche da documentare, che richiedono uno specifico e preventivo accordo: cure dentistiche, ortodontiche
e oculistiche; cure termali e fisioterapiche; trattamenti sanitari specialistici in libera professione e interventi chirurgici;
6. Nella denegata ipotesi di non accoglimento del capo 1 delle presenti conclusioni, porsi a carico di entrambi i
genitori l’obbligo di rimborsarsi reciprocamente il 50% delle voci di spese accessorie sostenute per la prole:
I) spese mediche da documentare, che non richiedono un preventivo accordo: visite mediche specialistiche de! Servizio
sanitario nazionale prescritte da! medico curante; cure dentistiche presso strutture sanitarie pubbliche; ticket per
trattamenti sanitari erogati da! S.S.N. e per medicinali prescritti da! medico curante;
II) spese mediche da documentare, che richiedono uno specifico e preventivo accordo: cure dentistiche, ortodontiche e
oculistiche; cure termali e fisioterapiche; trattamenti sanitari specialistici in libera professione e interventi chirurgici;
III) spese scolastiche da documentare, che non richiedono un preventivo accordo: tasse scolastiche sino alle scuote di
secondo rado richieste da istituti pubblici; libri di testo,
Sentenza n. 899/2020 pubbl. il 23/06/2020 RG n. 2764/2016 eventualmente anche usati, e materiale di
corredo scolastico di inizio anno; gite scolastiche senza pernottamento; costi per il trasporto pubblico;
IV ) spese scolastiche da documentare, che richiedono uno specifico e preventivo accordo: tasse scolastiche richieste
da istituti privati e per corsi universitari; costi relativi a corsi di specializzazione; gite scolastiche con pernottamento;
corsi di recupero e lezioni private;
V ) spese extrascolastiche, che non richiedono un preventivo accordo: costi per l’abilitazione alla guida di
autoveicoli nei limiti massimi di € 1.000,00 da ripartirsi equamente; l’acquisto di strumenti informatici e relativa
connessione ad internet domestica qualora detto strumento sia necessario per lo svolgimento delle attività didattiche,
ovvero connesso al programma di studio differenziato (BES).
VI ) spese extrascolastiche, che richiedono un preventivo accordo: tempo prolungato; centro ricreativo estivo;
attività sportive e pertinenti ad abbigliamento e attrezzatura; viaggi e vacanze senza i genitori
7. Darsi atto che quando i genitori debbano concordare le spese di cui a! capoverso H, IV e VI (spese con
accordo) quello dei due che ritenga necessaria, od utile, la spesa comunichi la propria proposta all’altro; questi, nei
caso in cui non sia d’accordo con la spesa o con l’attività dovrà esprimere in forma scritta entro 10 giorni dalla
richiesta un motivato dissenso al sostenimento della stessa; il silenzio sarà inteso come consenso alla richiesta. In caso
di rifiuto immotivato, e/o contrario all’interesse dei minore, la spesa andrà comunque divisa secondo te quote
concordate tra i genitori o decise da! giudice. Siano indicate le modalità di pagamento fra i coniugi e specificato che,
nei caso di spese medico sanitarie, che non necessitano di essere previamente concordate perché urgenti, permanga il
rispetto della reciproca tempestiva informazione.
8. Darsi atto che la ricorrente ritiene inopportuna ed anzi contraria all’interesse della minore la sua audizione.
9. Spese di lite rifuse”.
Parte resistente CORNELIO:
“1) Dichiarare la cessazione degli effetti civili de! matrimonio celebrato ad Albisano, Torri del Benaco (VR) il
04.12.1999 tra il signor CORNELIO e la signora GAIA e trascritto nei registro degli atti di matrimonio dei
Comune di VERONA , ordinando al competente Ufficiale di Stato Civile di provvedere alle trascrizioni e
annotazioni di legge.
2) Affidare i figli minori CAIETTA e CAIETTO ad entrambi i genitori, con collocamento prevalente di
CAIETTA presso la madre e di CAIETTO presso il padre. La responsabilità genitoriale verrà esercitata da
entrambi i genitori in modo condiviso: le decisioni di maggior interesse relative all’istruzione, all’educazione e alla
salute dei figli verranno assunte di comune accordo tra i genitori, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione
naturale, nonché delle aspirazioni dei figli; le decisioni di ordinaria amministrazione verranno assunte da ciascun
genitore per il tempo in cui terrà i figli con sé.
3) Disporre che in ragione dell’età dei figli (rispettivamente 17 e 15 anni) e dei loro differente collocamento,
ciascun genitore possa frequentare liberamente CAIETTA e CAIETTO, accordandosi di volta in volta con i
medesimi, sentito l’altro genitore. Fatto salvo che ciascun genitore avrà il diritto-dovere di trascorrere con i figli minori
un periodo di due settimane, anche non consecutive, durante le vacanze estive, da concordarsi con l’altro genitore entro
il 31 maggio di ogni anno; metà delle vacanze natalizie, pasquali ed ogni altra festività, concordando di volta in
volta con l’altro genitore tempi e modalità delle visite, ne! rispetto dei principio dell’alternanza.
Sentenza n. 899/2020 pubbl. il 23/06/2020 RG n. 2764/2016
In ogni caso fatti salvi gli impegni scolastici e formativi dei minori le esigenze lavorative e gli impegni di entrambi i
genitori e ogni diverso accordo che essi concorderanno nell’interesse dei figli dandosi congruo preavviso nell’eventualità
di impedimenti.
4) Disporre che, in ragione della ripartizione paritaria dei compiti di cura genitoriale tra le parti e delle loro
equivalenti condizioni economiche, ciascun genitore provveda al mantenimento ordinario dei figli per il tempo in
cui // tenga con sé, con effetto dalla data di deposito della comparsa di costituzione de! signor CORNELIO o, in
subordine, dalla data dell’ordinanza de! Tribunale del 28.11.2018 di modifica dei provvedimenti presidenziali.
5) Porre a carico di entrambi i genitori l’obbligo di contribuire per il 50% ciascuno alle spese per il
mantenimento straordinario dei figli CAIETTA e CAIETTO, come indicate da! Protocollo Famiglia in vigore
presso i! Tribunale di Verona che di seguito si riporta:
I ) Spese mediche da documentare, che non richiedono un preventivo accordo: visite mediche specialistiche del
Servizio sanitario nazionale prescritte da! medico curante; cure dentistiche presso strutture sanitarie pubbliche; ticket
per trattamenti sanitari erogati da! S.S.N. e per medicinali prescritti dal medico curante;
II ) Spese mediche da documentare, che richiedono uno specifico e preventivo accordo: cure dentistiche, ortodontiche
e oculistiche; cure termali e fisioterapiche; trattamenti sanitari specialistici in libera professione e interventi chirurgici;
HI) Spese scolastiche da documentare, che non richiedono un preventivo accordo: tasse scolastiche sino alle scuole di
secondo grado richieste da istituti pubblici; libri di testo, eventualmente anche usati, e materiale di corredo scolastico
di inizio anno; gite scolastiche senza pernottamento; costi per il trasporto pubblico; nonché la retta dell’asilo nido e
delle scuole materne, nei limiti dell’importo previsto per fasce di reddito dalle tabelle degli asili e delle scuole materne
comunali;
IV ) Spese scolastiche da documentare, che richiedono uno specifico e preventivo accordo: tasse scolastiche richieste
da istituti privati e per corsi universitari; costi relativi a corsi di specializzazione; gite scolastiche con pernottamento;
corsi di recupero e lezioni private;
V ) Spese extrascolastiche, che non richiedono un preventivo accordo: costi per l’abilitazione alla guida di
autoveicoli nei limiti massimi di € 1000,00 da ripartirsi equamente; l’acquisto di strumenti informatici e relativa
connessione ad internet domestica qualora detto strumento sia necessario per lo svolgimento delle attività didattiche,
ovvero connesso a! programma di studio differenziato (BES);
VI ) Spese extrascolastiche, che richiedono un preventivo accordo: tempo prolungato; centro ricreativo estivo;
attività sportive e pertinenti ad abbigliamento e attrezzatura; spese per baby- sitting; viaggi e vacanze senza i
genitori;
Quando i genitori debbano concordare le spese di cui a! capoverso U, IV e VI (spese con accordo) quello dei due che
ritenga necessaria, od utile, la spesa comunichi la propria proposta all’altro; questi, ne! caso in cui non sia d’accordo
con la spesa o con l’attività dovrà esprimere in forma scritta, entro 10 giorni dalla richiesta, un motivato dissenso a!
sostenimento della stessa; il silenzio sarà inteso come consenso alla richiesta. In caso di rifiuto immotivato, e/o
contrario all’interesse de! minore, la spesa andrà comunque divisa secondo le quote concordate tra i genitori o decise
da! giudice.
I! rimborso fra i genitori avverrà mensilmente mediante bonifico bancario dietro presentazione dei documenti di spesa,
fatte salve le spese medico-sanitarie che non necessitano di essere previamente autorizzate perché urgenti che devono in
ogni caso essere tempestivamente comunicate.
6) Con rifusione delle spese di lite o, in subordine, con rifusione quantomeno delle spese di C.T.U.”
Il Pubblico Ministero nulla ha osservato sulle conclusioni delle parti.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
1. Preliminarmente deve rilevarsi che ai sensi del novellato art. 132 c.p.c. il giudice è esonerato
dalla redazione dello svolgimento del fatto; inoltre, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., lo stesso
non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le
argomentazioni prospettate dalle parti, ben potendosi limitare, valutate nel loro complesso le prove
acquisite nel processo e le contrapposte tesi difensive, alla indicazione dei soli elementi posti a
fondamento della decisione adottata nel caso concreto. Ancora, deve rilevarsi la legittimità della
motivazione per relationem, anche mediante il riferimento ad atti delle parti, che non può essere
considerato lesivo del principio di imparzialità e terzietà del giudice (cfr. sul punto Cass. civ. Sez.
Un. n. 642 del 16.01.2015). In ordine alla esposizione del fatto deve quindi intendersi richiamato il
contenuto degli atti introduttivi delle parti, nonché, tenuto conto del lungo iter processuale del
presente procedimento, il contenuto narrativo delle rispettive comparse conclusionali.
2. Nel merito osserva il Collegio che la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio
fra i coniugi GAIA e CORNELIO è già stata emessa con sentenza non definitiva n. 1185/2018
emessa in data 15.05.2018 (pubblicata in data 17.05.2018).
3. Dall’unione delle parti sono nati i figli CAIETTO (nato in data 15.00.2003) e C. (nata in data
11.00.2001), quest’ultima divenuta maggiorenne nelle more del deposito delle comparse
conclusionali.
Su concorde richiesta di entrambe le parti, nel corso dell’udienza presidenziale del 27.04.2016 è
stata disposta consulenza tecnica di ufficio, sia per l’accertamento delle capacità genitoriali e
l’individuazione delle migliori condizioni di affidamento, collocamento e regime di frequentazione
dei minori con ciascun genitore, sia al fine di intraprendere una terapia familiare.
Nel prosieguo del giudizio è peraltro stata disposta una integrazione peritale, anche al fine di
valutare l’intervenuto mutamento degli assetti familiari conseguente al trasferimento del figlio
minore CAIETTO presso il padre.
Nell’ambito della prima relazione peritale il consulente di ufficio ha da subito riscontrato una seria
compromissione dell’interazione comunicativa fra le parti, con una importante difficoltà, per entrambi, di
riconoscere e differenziare ii legame di coppia da quello genitoriale (cfr. pp. 15 e 16).
Quindi, il consulente di ufficio ha valutato i genitori dotati di adeguate capacità intellettive ed emotive per
potersi occupare costruttivamente della cura e dell’educazione dei figli, tuttavia riscontrando come l’esercizio
della genitorialità risultasse disturbato ed ostacolato da un assetto relazionale complessivo gravemente disfunzionale
che, al di là delle intenzioni di ciascuno, ha finito per riverberarsi sui figli, contribuendo a
determinare inconsapevolmente il radicarsi di uno doppio schieramento contrapposta la madre e la figlia
CAIETTA da una parte; dall’altre il padre e, parzialmente, il figlio CAIETTO.
Il consulente ha dunque ricollocato in questa dinamica familiare anche l’emersione dei disagi
emotivi dei figli, specialmente del minore CAIETTO.
Lo stesso ha peraltro dato conto del lavoro svolto nel corso delle operazioni peritali, non
mancando di sottolineare come i genitori avessero in quella sede compreso, almeno in parte,
l’assetto problematico scaturito dai conflitti coniugali, manifestando un buon potenziale
trasformativo, che invero avrebbe avuto bisogno di un aiuto specialistico di non breve durata (cfr.
conclusioni p. 31 relazione peritale depositata in data 09.12.2016).
Intervenuti i servizi sociali competenti per territorio in vista di un supporto genitoriale, nel corso
della fase innanzi al giudice istruttore si è preso atto della impossibilità di intraprendere detto
percorso sia per le difficoltà di entrambe le parti a scindere la dimensione coniugale da quella
genitoriale, sia per l’incapacità del padre resistente ad accedere alla propria sfera introspettiva e,
conseguentemente, a riconoscere ed elaborare le implicazioni emotive della vicenda separativa,
come peraltro già rilevato dal consulente d’ufficio durante le operazioni peritali (cfr. relazione
servizi sociali depositata in data 28.09.2017, p. 2 terzo capoverso; relazione peritale, p. 12 secondo
e quinto capoverso).
Con il trasferimento del figlio minore CAIETTO presso il padre in concomitanza con l’inizio delle
scuole superiori a settembre 2018 (cfr. relazione servizi sociali depositata in data 11.10.2018, in cui
si dà pure conto di come il nuovo assetto sperimentato di comune accordo fra i genitori e da
verificare nel tempo, abbia permesso nel breve periodo di riscontrare la cessazione degli agiti
aggressivi del minore CAIETTO nei confronti della madre), si è provveduto ad una integrazione
peritale, il cui elaborato è stato depositato in data 10.06.2019.
Ivi si è dato conto del permanere di una relazione genitoriale disfunzionale, poiché compromessa
dalle problematicità interpersonali (di coppia) già riscontrate nel corso della prima c.t.u., nonché del
perdurante prevalere nella personalità del padre CORNELIO di un atteggiamento di attribuzione
unilaterale delle difficoltà genitoriali alla madre GAIA e di una sostanziale indisponibilità ad
affrontarle in modo collaborativo (cfr. conclusioni p. 11).
Il consulente di ufficio ha invece riscontrato un miglioramento delle condizioni personali dei figli,
soprattutto in ragione della accresciuta autonomia e resilienza maturati nelle more del giudizio, che hanno
finito per costituire un fattore di protezione, riducendo il loro personale coinvolgimento nel conflitto interpersonale
dei genitori e gli aspetti di preoccupazione di rischio evolutivo (cfr. pp. 4 – 8 e conclusioni p. 11).
Il consulente di ufficio ha quindi da ultimo ritenuto sufficientemente funzionale l’assetto di
collocamento e di più libera frequentazione tra genitori e figli concordato fra le parti nel corso del
lavoro con i servizi sociali ed ha rilevato l’insussistenza di concreti margini di lavoro per trattare le
problematiche relazionali delle parti e favorire la ripresa effettiva di un esercizio autenticamente
congiunto della genitorialità, soprattutto in ragione dell’atteggiamento rigidamente oppositivo del
padre CORNELIO, evidenziando piuttosto l’opportunità di una definizione conclusiva del
contenzioso che permetta di valorizzare, all’interno di un regime di affidamento condiviso,
l’esercizio disgiunto delle funzioni genitoriali, nell’ambito delle buone risorse da ciascuno spendibili
nella dimensione diadica con ciascun figlio (cfr. p. 10 e conclusioni p. 11).
Le valutazioni esplicitate dal consulente tecnico di ufficio sono dal Collegio pienamente condivise,
poiché ampiamente argomentate e scevre da vizi logico – argomentativi; del resto le stesse parti
hanno mostrato, con la formulazione delle rispettive conclusioni (anche in via subordinata) di
aderire all’assetto da questi suggerito.
In particolare deve rilevarsi come pure la ricorrente GAIA – pur manifestando comprensibile
preoccupazione in ordine alla separazione dei fratelli conseguente al trasferimento di CAIETTO
presso il padre e, per contro, alla permanenza presso la madre della figlia CAIETTA, anche dopo il
raggiungimento della maggiore età – ha di fatto mostrato di comprendere la irrealizzabilità di un
diverso regime di collocamento in assenza di pieno ed esplicito consenso del figlio stesso, tenuto
conto altresì della età di CAIETTO, oramai ultra-sedicenne (cfr. memoria di replica parte
ricorrente, p. 3).
Reputa dunque il Collegio di stabilire che il figlio minore CAIETTO sia affidato congiuntamente
ad entrambi i genitori, con esercizio disgiunto della genitorialità in ordine alle decisioni di ordinaria
amministrazione per il periodo in cui il figlio si trova presso l’uno o l’altro genitore, ferma la
necessità, nell’ambito della responsabilità genitoriale condivisa, di un accordo fra le parti in ordine
alle scelte di maggiore importanza di interesse del figlio.
Nessun provvedimento deve essere adottato in relazione alla figlia CAIETTA, in ragione della
sopraggiunta maggiore età.
Peraltro, deve darsi atto di come non sia oggetto di contestazione che la stessa sia ancora
dipendente economicamente dai genitori e continui a convivere con la madre.
Quanto al calendario di visite del figlio minore CAIETTO, deve confermarsi il regime di ampia
libertà già sperimentato di comune accordo dai genitori e quindi stabilirsi che ciascun genitore
possa frequentare il figlio minore CAIETTO (ragionevolmente analoga frequentazione vi sarà fra
le parti e la figlia CAIETTA, sebbene con la maggiore età siano cessati i presupposti per l’adozione
di qualsivoglia provvedimento sul punto) previo accordo diretto fra le parti e direttamente con il
figlio stesso. Ciascun genitore potrà inoltre trascorrere con il figlio minore un periodo di due
settimane, anche non consecutive, durante le vacanze estive, da concordarsi entro il 31 maggio di
ogni anno, nonché metà delle vacanze natalizie, pasquali ed ogni altra festività, secondo il criterio
dell’alternanza e sempre previo accordo diretto fra le parti e con il minore.
4. Quanto alle statuizioni di natura patrimoniale, viene in rilevo unicamente la questione del
contributo al mantenimento dei figli, tenuto conto della pacifica autosufficienza economica delle
parti e della condizione di dipendenza della figlia CAIETTA.
Dalla documentazione versata in atti emerge che la ricorrente GAIA lavora come XXX libera
professionista e che negli ultimi tre anni ha percepito un reddito imponibile rispettivamente pari
alla somma di € 14.938,00 nel 2016, di € 25.066,00 nel 2017 e di € 33.597,00 nel 2018 (cfr. doc. 11,
20 e 24), con una reddittività netta media aumentata dalla somma di circa € 1.250,00 al mese a
quella di circa 2.250,00 al mese, calcolata su dodici mensilità.
La stessa risulta titolare del diritto di proprietà piena ed esclusiva sull’immobile in cui vive in
Rivarossa (VR) e per il quale ha acceso un mutuo con rate semestrali di restituzione, il cui
ammontare è stato pari alla somma di € 3.842,00 fino al 30.06.2017 e divenuto di € 3.428,00 dal
30.12.2017 (cfr. estratti conto doc. 21 e 25); dunque con un esborso mensile, alla attualità,
corrispondente alla somma di € 572,00.
GAIA risulta inoltre titolare di un deposito titoli con un controvalore di circa € 5.000,00 calcolato
al mese di giugno 2019, nonché di una polizza vita del valore di circa € 61.000,000 parimenti
calcolato al mese di giugno 2019 (cfr. doc. 26 e 27).
Il resistente CORNELIO risulta svolgere attività di XXX in regime di libera professione e risulta
avere percepito negli ultimi tre anni un reddito imponibile rispettivamente pari alla somma di €
20.202,00 nel 2016, di € 14.295,00 nel 2017 e di € 23.707,00 nel 2018 (cfr. doc. 8, 9 e 13).
Alla attualità, emerge un reddito medio mensile netto di circa € 1.600,00 al mese.
Il resistente risulta convivere con la compagna, signora Cornelia – occupata sul piano lavorativo e
percettrice di un reddito imponibile pari alla somma di € 9.080,00 nel 2017 (cfr. doc. 12) – dalla
quale ha avuto una figlia, Cornelietta, nata nell’anno 2013 (come si evince dalle dichiarazioni fiscali
del resistente).
Ritiene il Collegio che pur volendo considerare le spese di mutuo della ricorrente, quest’ultima,
anche tenuto conto della disponibilità del deposito titoli e della polizza vita, risulta godere di
capacità economiche complessivamente migliori, seppure non di molto, rispetto al resistente, il
quale è altresì gravato dal mantenimento (insieme alla di lui compagna) di un’altra figlia, nata dopo
la separazione delle parti.
Deve peraltro considerarsi pure come CORNELIO possa godere del risparmio conseguente alla
condivisione di spese comuni unitamente alla propria compagna, la quale risulta pure godere di un
reddito da lavoro, secondo l’importo indicato.
Non può inoltre trascurarsi, come rilevato sin dall’udienza presidenziale, che il resistente risulta
godere dell’apporto economico continuativo della propria madre, da cui ancora oggi pare
provengano i bonifici inerenti il contributo al mantenimento dei figli disposti in via provvisoria ed
urgente; ancora, come evidenziato dalla ricorrente, si evince dalla documentazione bancaria del
resistente CORNELIO l’esistenza di un conto corrente cointestato con terzi (il n. 1443) verso il
quale è registrato un bonifico (invero di importo modesto, per € 69,00) in data 14.05.2018, ma di
cui non vi è traccia in atti e di cui il resistente non ha fornito allegazione alcuna (cfr. doc. 10).
Dunque, considerate le capacità economiche di entrambe le parti e le spese su di loro gravanti,
secondo quanto sin qui precisato, il collocamento dei figli – la prima CAIETTA, presso la madre, il
secondo, CAIETTO, presso il padre – nonché le verosimili esigenze di questi ultimi, anche in
rapporto alla loro età (CAIETTA è nata in data 11.00.2001 mentre CAIETTO è nato in data
15.00.2003), reputa il Collegio di disporre che ciascun genitore provveda direttamente al
mantenimento di ciascun figlio per il tempo in cui questi si trovano presso l’uno o l’altro, con
conseguente elisione del contributo al mantenimento posto in via provvisoria a carico del padre
CORNELIO mediante la previsione di un assegno di € 200,00 al mese successivamente al
trasferimento presso lo stesso del figlio CAIETTO.
Ritiene inoltre il Collegio di disporre che entrambi i genitori provvedano a partecipare al 50% delle
spese straordinarie di ciascun figlio secondo quanto indicato nel Protocollo Famiglia del Tribunale
di Verona del 03.12.2018.
Deve dunque rigettarsi la domanda della madre ricorrente relativamente alla conferma in via
definitiva del contributo paterno al mantenimento della figlia CAIETTA, dovendosi sul punto
richiamare le argomentazioni esposte in ordine alla complessiva capacità economica dei genitori.
Deve peraltro essere rigettata anche la domanda del padre resistente di elisione dell’assegno di €
200,00 a decorrere dalla data di costituzione, o, in subordine, dal mese di ottobre 2018, a seguito
del trasferimento presso di sé del figlio minore.
Ritiene sul punto il Collegio che una precisa ponderazione delle rispettive capacità economiche
complessive dell’uno e dell’altro genitore si sia reso concretamente possibile in modo puntuale e
completo solo in questa sede decisionale, all’esito dell’esame di tutta la documentazione, fiscale e
bancaria, la cui produzione è stata disposta su ordine del giudice istruttore con ordinanza del
28.11.2018 (siccome integrata all’esito della udienza del 16.07.2019 in vista della udienza di
precisazione: delle conclusioni).
5. Le spese di lite devono essere integralmente compensate fra le parti in ragione della reciproca
soccombenza.
Le spese inerenti il pagamento dell’onorario del consulente lcea rciocon sduil eennztrea, msiab ela l ep rpianrctiip, ainle ,s osilaid qou ferlala l oinrtoe ger caotinv ad) idriettvoo nd oetel lecasn spiecaroret edp iro iucsftoferi crdeioenf ti(enpietriv eanmtreanmteb ae
GAIA a ripetere dal resistente CORNELIO quanto eventualmente anticipato al consulente anche
per la parte di questi, oltre interessi legali dalla data del pagamento e fino al rimborso effettivo.
Non può essere accolta la domanda del resistente di porre le spese di consulenza integralmente a
carico della madre ricorrente, sia tenuto conto della concorde richiesta di c.t.u. originariamente
formulate da entrambe le parti in sede di udienza presidenziale del 27.04.2016, sia in
considerazione del contenuto delle relazioni, peritali, compresa quella integrativa, in ordine al
comportamento di rigidità e chiusura manifestato dal padre resistente CORNELIO.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla causa di divorzio (cessazione degli effetti civili del
matrimonio concordatario) tra GAIA e CORNELIO, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o
assorbita, così dispone:
DISPONE che il figlio minore CAIETTO (nato in data 15.07.2003) sia affidato ad entrambi i
genitori congiuntamente, i quali eserciteranno la responsabilità genitoriale in modo condiviso
quanto alle decisioni di maggiore importanza di interesse del minore e con facoltà di decisioni
disgiunte in ordine alle questioni di ordinaria amministrazione per il tempo in cui il figlio sarà
presso l’uno o l’altro genitore; la madre avrà diritto – dovere di vedere e frequentare liberamente il
figlio CAIETTO sulla base degli accordi che saranno assunti direttamente con il figlio stesso e con
l’altro genitore; ciascun genitore potrà trascorrere con il figlio minore un periodo di due settimane,
anche non consecutive, durante le vacanze estive, da concordarsi entro il 31 maggio di ogni anno,
nonché metà delle vacanze natalizie, pasquali ed ogni altra festività, secondo il criterio
dell’alternanza e sempre previo accordo diretto fra le parti e con il minore.
DISPONE che ciascun genitore provveda direttamente al mantenimento di ciascun figlio (sia
CAIETTO, sia C., maggiorenne ma non ancora economicamente autosufficiente) per il tempo in
cui questi si trovano presso l’uno o l’altro genitore.
ELIDE a decorrere dalla pubblicazione della presente sentenza, il contributo al mantenimento
ordinario posto in via provvisoria a carico del padre CORNELIO.
DISPONE che entrambi i genitori provvedano a partecipare al 50% delle spese straordinarie di
ciascun figlio secondo quanto indicato nel Protocollo Famiglia del Tribunale di Verona del
03.12.2018.
DISPONE la integrale compensazione delle spese processuali fra le parti.
PONE le spese inerenti il pagamento del compenso del consulente tecnico di ufficio
definitivamente a carico di entrambe le parti, in solido fra loro e con diritto della parte ricorrente
GAIA a ripetere dal resistente CORNELIO quanto eventualmente anticipato al consulente anche
per la parte di questi, oltre interessi legali dalla data del pagamento e fino al rimborso effettivo.
Così deciso nella camera di consiglio del giorno 17.06.2020
Il giudice relatore Francesco Bartolotti
il presidente Ernesto D’Amico

Tribunale dei Minorenni e istanza di sospensione del giudizio sulla dichiarazione di adottabilità

Cass. civ. Sez. VI – 1, Ord., 11 giugno 2020, n. 11208
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20818-2019 R.G. proposto da:
D.K.K., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DANIELE GUBBINI;
– ricorrente –
contro
B.F.;
– intimata –
per regolamento di competenza avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di PERUGIA, depositata il
04/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/02/2020 dal
Consigliere Relatore Dott. LAURA SCALIA;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. IGNAZIO PATRONE, che chiede alla Corte di voler accogliere il ricorso.
Svolgimento del processo
Che:
1. con atto in data 03.07.2019, D.K.K. ricorre in cassazione per regolamento necessario di
competenza ex art. 42 c.p.c. avverso l’ordinanza di sospensione adottata ai sensi della L. n. 184 del
1983, art. 11, ultimo capoverso, nel giudizio rubricato al numero r.g. 7671/2017 dal Tribunale di
Perugia dopo aver premesso di aver presentato ricorso ai sensi del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35,
avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione
internazionale di Firenze – Sezione di Perugia davanti al Tribunale di Perugia;
2. nella domanda di riconoscimento dello status di rifugiato il ricorrente ha rappresentato di essere
padre delle due minori, O.C., nata in (OMISSIS) il (OMISSIS) e O.M., nata a (OMISSIS) il
(OMISSIS), avute dalla compagna O.P. o D.;
3. dopo aver presentato domanda in via amministrativa per il ricongiungimento familiare il
ricorrente ha appreso della sospensione della madre dalla responsabilità genitoriale e del
collocamento delle minori presso una comunità con affidamento ai Servizi Sociali in attesa
dell’individuazione di una famiglia affidataria;
4. con ricorso ex art. 250 c.c. è stata adita dal ricorrente l’autorità ordinaria per ottenere sentenza che
tenesse luogo del consenso mancato al riconoscimento delle minori;
5. il Tribunale per i minorenni dell’Umbria, a cui veniva rappresentata l’esistenza della domanda ex
art. 250 c.c., richiesto di prendere ogni decisione previa acquisizione del fascicolo relativo e tanto
nella pregiudizialità, rispetto al procedimento sulla dichiarazione dello stato di adottabilità delle
minori, di quello di riconoscimento della paternità, dichiarava l’inammissibilità dell’istanza;
6. con ordinanza adottata il 4.06.2019 sull’istanza ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 11, ultimo
capoverso, il Tribunale di Perugia, quale giudice del riconoscimento ex art. 250 c.c., rilevato che il
tribunale per i minorenni dell’Umbria con sentenza del 24.07.2018 aveva dichiarato lo stato di
adottabilità delle minori, disponendone così l’affido preadottivo, sospendeva il giudizio;
7. il Tribunale di Perugia decidendo sulla sospensione ex art. 11 cit., non avrebbe tenuto conto della
circostanza che la sentenza di adottabilità era stata emessa dal tribunale per i minorenni dell’Umbria
solo in data 24.07.2018 nonostante il ricorso ex art. 250 c.c. fosse stato depositato in data
15.12.2017 e quindi tempestivamente ed anteriormente alla dichiarazione di adottabilità, in epoca
nella quale non risultava in essere neppure l’affidamento preadottivo delle minori e che il Tribunale
per i minorenni avesse, a sua volta, pronunciato la sentenza sull’adottabilità nonostante fosse stata
depositata in epoca anteriore, il 21.06.2018, l’istanza prevista dalla L. n. 184 del 1983, art. 11,
comma 2;
8. per l’effetto il Tribunale del riconoscimento della paternità naturale e quello per i minorenni
avevano negato al padre biologico di poter addivenire al riconoscimento disconoscendogli la
concessione del temine di sospensione ed ogni delibazione sulla pregiudizialità del riconoscimento
introdotto, non considerando il principio della prevenzione in ragione del quale la domanda di
riconoscimento era stata avanzata ben prima della pronuncia della sentenza di adottabilità;
9. Che il rappresentante della Procura generale della Corte di cassazione ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
che:
10. Il ricorso per regolamento necessario di competenza è fondato per le ragioni di seguito
precisate.
11. La L. n. 183 del 1984, art. 11, u.c., stabilisce che “Intervenuta la dichiarazione di adottabilità e
l’affidamento preadottivo, il riconoscimento è privo di efficacia. Il giudizio per la dichiarazione
giudiziale di paternità o maternità è sospeso di diritto e si estingue ove segua la pronuncia di
adozione divenuta definitiva”.
12. La norma indicata, centrale nella sua applicazione al fine di dare soluzione alla fattispecie in
esame, scrutinata nelle sue previsioni sancisce da una parte:
a) l’inefficacia del riconoscimento ex art. 250 c.c., una volta che sia intervenuta la dichiarazione di
adottabilità e l’affidamento preadottivo;
b) la sospensione ope legis del giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità (L. n.
183 del 1984, art. 8) e la sua estinzione ove lo stesso segua alla pronuncia di adozione divenuta
definitiva.
13. Il caso di specie è assoggettato all’ipotesi di cui alla lett. b), nei termini di seguito illustrati.
14. Il ricorrente ha avanzato correttamente istanza di sospensione ai sensi della legge cit., ex art. 11,
comma 2, al Tribunale per i Minorenni dinanzi al quale pendeva il giudizio sull’adottabilità delle
minori e tanto egli ha fatto dopo aver proposto domanda di riconoscimento ex art. 250 c.c..
15. Tale condotta processuale avrebbe dovuto determinare il giudice dell’adozione a sospendere il
relativo giudizio.
16. La L. n. 183 del 1984, art. 11, comma 2, per quanto in questa sede rileva, governa
espressamente i rapporti tra il giudizio sulla dichiarazione di adottabilità e quello per il
riconoscimento della paternità o maternità giudiziale stabilendo di quest’ultimo la sospensione, di
diritto, là dove intervenga la dichiarazione di adottabilità.
17. Per la descritta fattispecie, due sono le precisazioni d’obbligo.
18. Prima dell’indicata fase deve essere chiaro che il Tribunale per i Minorenni è competente a
decidere sull’istanza di sospensione del giudizio sulla dichiarazione di adottabilità, a fronte della
richiesta da parte del genitore biologico di un termine per la proposizione del giudizio di
riconoscimento della paternità o maternità naturale (in termini, vd.: Cass. n. 2802 del 07/02/2014) e
ciò, vieppiù, quando poi si deduca dal genitore naturale che un giudizio all’indicato fine sia già stato
proposto.
19. Il Tribunale ordinario là dove venga investito della cognizione della domanda volta ad ottenere
una sentenza che tenga luogo del consenso mancato dell’altro genitore al riconoscimento in via
amministrativa (art. 250 c.c., commi 1 e 3, e art. 254 c.c.), secondo i contenuti propri dell’art. 250
c.c., comma 4, non può adottare alcun provvedimento di sospensione.
20. La L. n. 183 del 1984, art. 11, comma 2, è infatti espressamente dettato per disciplinare i
rapporti tra il giudizio sulla dichiarazione di adottabilità del minore e quello avente ad oggetto la
dichiarazione giudiziale di paternità o maternità e non contempla, come tale, la differente ipotesi del
procedimento di cui all’art. 250 c.c., comma 4, diretto a conseguire una pronuncia che tenga luogo
del mancato consenso del genitore che ha già riconosciuto il figlio minore al riconoscimento da
parte dell’altro.
21. Ecco che, in forza dell’indicato percorso processuale, la sospensione è istituto che è stato nella
specie applicato al di fuori del paradigma normativo suo proprio.
22. Il Tribunale di Perugia, quale giudice del procedimento di riconoscimento ex art. 250 c.c.,
comma 4, non avrebbe potuto adottare, ai sensi della L. n. 184 del 1983, art. 11, ultimo capoverso,
l’ordinanza di sospensione pronunciata il 4.06.2019 e tanto in difetto della pendenza di un
“giudizio” da individuarsi, per l’espressa previsione della L. n. 184 del 1983, art. 11, u.c., in quello
di accertamento della paternità o maternità (art. 269 c.c.), e quindi di una ipotesi distinta da quella
verificatasi.
23. In accoglimento del ricorso, il provvedimento impugnato va cassato e deve disporsi la
prosecuzione del procedimento perché il Tribunale di Perugia, quale giudice del riconoscimento ex
art. 250 c.c., adotti le determinazioni di competenza.
P.Q.M.
Visto l’art. 42 c.p.c.:
Accoglie il ricorso cassa il provvedimento impugnato e dispone la prosecuzione del procedimento
davanti al Tribunale di Perugia.
Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2020

Sospensione della patente da parte del Prefetto per guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l

Tribunale Reggio Emilia, 26 Maggio 2020. Est. Morlini.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI REGGIO EMILIA
SEZIONE SECONDA CIVILE
Il Tribunale, nella persona del Giudice monocratico dott. Gianluigi Morlini, ha pronunciato ex art. 281 sexies c.p.c. la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. R.G. 5040/2019
promossa da:
BB AA (avv. *)
PARTE ATTRICE
contro
PREFETTURA DI REGGIO EMILIA
PARTE CONVENUTA CONTUMACE
CONCLUSIONI
Le parti hanno concluso come da atti introduttivi.
FATTO
La presente controversia trae origine dal provvedimento con cui il Prefetto di Reggio Emilia ha disposto, ex art. 223 comma 1 Codice della Strada (di seguito, per brevità, C.d.S.), la sospensione cautelare per 18 mesi della patente di guida di AA BB, a seguito di un sinistro stradale cagionato dallo stesso AA all’esito del quale era stata elevata contravvenzione ex art. 186 comma 2 C.d.S. per guida in stato di ebbrezza, dopo avere riscontrato tasso alcolemico pari a 1,88 g/l., con trasmissione degli atti per l’instaurazione del procedimento penale.
Il provvedimento di sospensione della patente è stato impugnato dal AA davanti al Giudice di Pace di Reggio Emilia, il quale, nella contumacia della Prefettura, ha però rigettato la domanda.
Avverso la pronuncia ha interposto appello AA, eccependo che la sospensione della patente era stata disposta ex articolo 223 comma 1 C.d.S. per 18 mesi, mentre nella fattispecie di causa detta sospensione avrebbe potuto al più essere disposta ex articolo 186 comma 9 C.d.S. fino all’esito della visita medica, nelle more effettuata con successo in data 2/9/2019.
In ogni caso e comunque, ancora più radicalmente l’appellante ha contestato che le risultanze dell’alcoltest potessero ritenersi persuasive, in quanto l’accertamento era stato effettuato in una giornata in cui l’umidità dell’aria era superiore al 90%, ciò che rendeva non attendibile il risultato, così come indicato nelle specifiche tecniche dell’azienda produttrice del macchinario utilizzato; che il linguaggio sconnesso utilizzato dal AA e del quale avevano dato atto gli agenti della Polizia Municipale, doveva ricondursi all’assunzione di farmaci, e non già ad uno stato di ubriachezza; che il sinistro, consistito in uno scontro con il new jersey apposto a margine della carreggiata, non poteva neppure essere considerato un vero proprio incidente stradale, e in ogni caso andava ascritto non già colpa del conducente, ma al fatto che l’ostacolo era non visibile per scarsa illuminazione e mancanza di dispositivi atti a segnalarlo; che i verbali redatti dagli agenti della Polizia Municipale dovevano ritenersi inattendibili.
Sulla base di tale narrativa ed invocando “i diritti fondamentali ed in particolare la libera circolazione dell’esponente, garantita dall’articolo 16 Cost.” (pag. 15 appello), l’appellante ha domandato, in riforma della sentenza di primo grado, l’annullamento del provvedimento di sospensione della patente.
Nella contumacia della Prefettura, la controversia è stata decisa ex art. 429 c.p.c. nelle forme del rito del lavoro previsto dall’articolo 7 D.Lgs. n. 150/2011 (cfr. Cass. n. 16390/2018 e Cass. n. 1020/2017 per l’applicabilità di tale rito al giudizio di appello in tema di opposizioni a verbali di accertamento di violazioni del codice della strada).
In particolare, all’udienza del 20/2/2020 è stato disposto rinvio per lettura dispositivo al 3/3/2020 con precedente termine per note scritte; ma poi, in ragione dell’articolo 83 comma 1 D.L. n. 18/2020, si sono resi necessari ulteriori rinvii al 22/4/2020 ed infine al 26/5/2020, allorquando la causa è stata decisa a seguito di trattazione scritta ex art. 83 comma 7 lettera h) D.L. n. 83/2020.

DIRITTO
a) Esigenze di logica giuridica impongono il preliminare esame dei motivi di appello volti ad inficiare in radice il provvedimento di sospensione della patente, quali quelli relativi al fatto che non vi sarebbe stata guida in stato di ebbrezza e non vi sarebbe stato un vero e proprio sinistro.
Tali motivi sono infondati, e vanno quindi rigettati.
In particolare, con riferimento al fatto che le risultanze dell’alcoltest sarebbero inattendibili in ragione del fatto che esso sarebbe stato effettuato in una giornata in cui l’umidità dell’aria era superiore al 90%, deve replicarsi che, in realtà, l’appellante non ha provato quanto dedotto, citando genericamente risultanze asseritamente ricavate da internet in ordine al fatto che nel luogo e nel tempo in cui il test è stato svolto, vi era una umidità superiore al 90%: tanto basta al rigetto dell’eccezione, senza nemmeno dovere valutare se, laddove l’umidità fosse stata di tale entità, le risultanze del test avrebbero potuto effettivamente risultare pregiudicate.
Parimenti, nessuna prova vi è in ordine al fatto che il AA avrebbe assunto medicinali tali da provocare il linguaggio sconnesso ed i sintomi dell’ubriachezza indicati dagli agenti della Polizia Municipale.
Quanto poi al fatto che i verbali redatti dalla Polizia Municipale sarebbero inattendibili, è facile replicare che trattasi di circostanze di fatto dedotte da pubblici ufficiali che fanno prova fino a querela di falso, mai presentata.
Inoltre, non è revocabile in dubbio che uno scontro con il new jersey apposto a margine della carreggiata, integri un vero e proprio sinistro stradale in senso tecnico-giuridico; e che detto sinistro vada addebitato alla responsabilità del conducente, non essendovi evidenza alcuna in ordine alle dedotte circostanze che l’ostacolo era non visibile e non segnalato.
Infine, fuori luogo è il richiamo ai “diritti fondamentali ed in particolare alla libera circolazione dell’esponente, garantita dall’articolo 16 Cost.”: infatti, per un verso la sospensione della patente è atto ex lege atto dovuto in presenza di determinate situazioni di fatto; e per altro verso, è del tutto evidente che il diritto del AA a potere circolare alla guida di un’automobile, deve essere contemperato con il diritto della collettività ad essere protetta da chi circola in automobile nello stato di forte ubriachezza, comprovata dalla presenza di 1,88 g/l.
Pertanto ed in conclusione sul punto, vanno rigettate tutte le argomentazioni dell’appellante tese a negare l’esistenza di un sinistro imputabile al AA e la guida in stato di ebbrezza.
b) Infondata è anche la contestazione dell’appellante in ordine alla durata del provvedimento di sospensione della patente.
Sul punto, si osserva che AA si duole del fatto che il Prefetto abbia sospeso la patente per il periodo di 18 mesi sulla base dell’articolo 223 comma 1 C.d.S., e non già per il periodo intercorrente fino alla disposta visita medica sulla base dell’articolo 186 comma 9 C.d.S.: in particolare, argomenta l’appellante che, essendo stato accertato un tasso alcolemico superiore ad 1,5 g/l, al Prefetto sarebbe stato precluso il provvedimento di sospensione ex art. 223, residuando solo la possibilità di emanare il provvedimento di sospensione ex articolo 186 comma 9.
Quest’ultima norma, infatti, quale norma speciale rispetto a quella generale di cui all’articolo 223, sarebbe l’unica applicabile al caso di guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l, e quindi alla fattispecie per cui è processo.
La tesi, pur se prospettata dalla difesa con accuratezza ed indubbio pregio argomentativo, non può essere condivisa.
Invero, si osserva che, ai sensi dell’articolo 186 comma 9 C.d.S. il Prefetto, qualora dall’accertamento “risulti un valore corrispondente ad un tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro… in via cautelare dispone la sospensione della patente fino all’esito della visita medica”: mentre ai sensi dell’articolo 223 comma 1, “nelle ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria della sospensione o della revoca della patente di guida…il Prefetto, ricevuti gli atti, dispone la sospensione provvisoria della validità della patente di guida, fino ad un massimo di due anni”.
Ciò posto, la giurisprudenza ha evidenziato la diversa natura dei due provvedimenti sospensivi, atteso che “la ratio sottesa alla misura cautelare prevista dall’art. 186, commi 8 e 9, risiede nell’esigenza di acquisire con rapidità, più o meno accentuata a seconda della gravità dell’alterazione da assunzione di alcol, il riscontro medico sulla condizione del conducente, per valutare l’idoneità del predetto alla guida, e quindi anche in funzione dell’eventuale revoca della patente. Diversamente, la sospensione provvisoria della patente di guida prevista dall’art. 223, comma 1, che è l’anticipazione della sanzione accessoria irrogabile all’esito dell’accertamento giudiziale, ha lo scopo di tutelare con immediatezza l’incolumità dei cittadini e l’ordine pubblico, impedendo che il conducente del veicolo continui nell’esercizio di un’attività potenzialmente creativa di ulteriori pericoli (Corte cost., ordinanza n. 266 del 2011; ordinanza n. 344 del 2004; da ultimo, Cass., 15/12/2016, n. 25870). Non v’è dunque rapporto di specialità tra le norme, né risulta violato il principio sancito dall’art. 14 I. n. 689 del 1981, sussistendo nel caso in esame la necessaria correlazione tra il fatto contestato e quello posto a fondamento della sanzione” (in questi esatti termini, cfr. Cass. n. 18342/2017, con sottolineatura aggiunta).
Pertanto ed in conclusione sul punto, non potendosi ravvisare un rapporto di specialità tra le norme, la situazione della guida in stato di ebbrezza con tasso alcolemico superiore a 1,5 g/l “rientra a pieno titolo nell’ambito di applicazione dell’articolo 223 comma 1”, così come statuito dalla citata Cass. n. 18342/2017 in una fattispecie del tutto analoga alla presente.
A questo insegnamento giurisprudenziale della Suprema Corte, già fatto proprio dalla pronuncia di Trib. Reggio Emilia sent. n. 747/2019 est. Calò, l’Ufficio intende dare continuità.
Né tali conclusioni possono ritenersi in reale contrasto con le due pronunce di legittimità citate dalla difesa dell’appellante, id est Cass. n. 21447/2010 e Cass. n. 9539/2018, perché ad una loro attenta lettura emerge che, in tali giudizi, l’illegittimità del provvedimento prefettizio è stata sancita per essere la sospensione della patente effettuata in situazioni in cui il tasso alcolemico era inferiore a 1,5 g/l; mentre nel caso che qui occupa si è visto che il tasso era superiore alla soglia indicata.
Nessun contrasto, quindi, vi è con l’affermato principio dell’assenza di specialità tra le norme di cui agli articoli 186 comma 9 e 223 C.d.S.
Per tali motivi, l’appello va respinto.
c) Spese irripetibili, stante la contumacia della vittoriosa appellata Prefettura.

P.Q.M.
il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica
definitivamente pronunciando nella contumacia di parte convenuta, ogni diversa istanza disattesa
rigetta l’appello;
spese irripetibili.
Reggio Emilia, 26/5/2020
Il Giudice
Dott. Gianluigi Morlini

Sopravvenuta adozione da parte del nuovo marito dell’ex coniuge ed obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne

Cassazione civile, sez. I, 27 Marzo 2020, n. 7555. Pres. Maria Cristina Giancola. Est. Campese.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n. 3964/2018 r.g. proposto da:
M.M., (cod. fisc. (*)), rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato F. R., presso il cui studio elettivamente domicilia in Orvieto (TR), alla via *;
– ricorrente –
contro
F.M.E., (cod. fisc. (*)) e V.A.M. (cod. fisc. (*)), quest’ultima in proprio e nell’interesse di F.M.D. (cod. fisc. (*)), rappresentate e difese, giusta procura speciale apposta in calce al controricorso, dagli Avvocati M. L. M. e P. G. A., presso i quali elettivamente domicilia in Roma, alla via * (studio Avv. M. C. B.);
– controricorrenti –
nonchè sul ricorso incidentale proposto da:
F.M.E. e V.A.M., quest’ultima in proprio e nell’interesse di F.M.D., come sopra rappresentate e difese;
– ricorrenti incidentali –
contro
M.M., come sopra rappresentato e difeso;
– intimato –
avverso il decreto della CORTE DI APPELLO DI PERUGIA, depositato il 30/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/02/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile, o, in subordine, rigettarsi il ricorso principale, ed accogliersi quello incidentale;
udito, per il ricorrenti, l’Avv. F. R., che ha chiesto accogliersi il proprio ricorso;
udito, per le controricorrenti, gli Avv.ti. P. G. A. e M. L. M., che hanno chiesto dichiararsi inammissibile o comunque rigettarsi l’avverso ricorso, accogliendosi, invece, il proprio ricorso incidentale.
Svolgimento del processo
1. M.M. ed V.A.M., dopo la declaratoria di cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, regolamentarono nuovamente, tra l’altro, la contribuzione del padre al mantenimento delle figlie M.E. e D., ottenendo dal Tribunale di Terni, il 19/27 febbraio 2014, l’omologa dell’accordo del 9 gennaio 2013, così raggiunto: Euro 700,00 mensili per la prima, nata il (*), ed Euro 500,00 mensili per la seconda, nata il (*), questi ultimi da corrispondere alla madre, oltre adeguamento ISTAT. 2. Con successivo ricorso del 2 luglio 2016, il M. chiese al Tribunale di Spoleto la modifica delle condizioni suddette, segnatamente l’esclusione o la sensibile diminuzione dell’assegno a favore della figlia E. e la riduzione dell’assegno per l’altra figlia, D., adducendo la sopravvenienza di fatti rilevanti idonei a ridefinire quei rapporti economici, tra cui il nuovo matrimonio contratto dalla V., l'(*), con F.P. e l’avvenuta adozione, da parte di quest’ultimo, delle ormai maggiorenni M.E. e D., giusta le sentenze nn. 203 e 220 del 2016 rese dal medesimo tribunale.
2.1. Costituitasi la sola V., la quale si oppose alle avverse domande, chiedendo, altresì, in via riconvenzionale, l’aumento ad Euro 700,00 mensili dell’assegno di mantenimento per la figlia F.M.D., stanti le sue mutate esigenze, l’adito tribunale dispose la revoca del contributo in favore di F.M.E. e la riduzione dell’assegno mensile per F.M.D. ad Euro 200,00. Tanto sull’assunto che, al di là dell’astratta normativa relativa all’istituto dell’adozione di maggiorenni, nel caso specifico risultava chiaro che il F. si era puntualmente e continuativamente occupato delle esigenze delle figlie adottive, mantenendole, come esposto nel suo ricorso per adozione integralmente recepito nelle due sentenze suddette che lo avevano accolto.
3. La Corte di appello di Perugia, adita con distinti reclami da F.M.E. e da V.A.M., nell’interesse di F.M.D. e previa riunione degli stessi, li accolse con decreto del 29/30 novembre 2017, e pose a carico del M. l’assegno di mantenimento di Euro 700,00 mensili, oltre rivalutazione, da pagare alla figlia F.M.E., ed altro assegno mensile del medesimo importo per la figlia F.M.D., da corrispondere alla madre V.A.M., ponendo le spese straordinarie da concordarsi a carico di ciascun genitore nella misura del 50%, e quelle giudiziali di entrambi i gradi, come liquidate in dispositivo, a carico del M..
3.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte opinò che: i) l’intervenuta adozione, nelle forme di cui agli artt. 291 c.c. e segg., non eliminava l’obbligo di mantenimento delle figlie a carico del padre M.M.; ii) ai sensi dell’art. 315-bis c.c., il figlio ha diritto di essere mantenuto e che l’art. 337-septies c.c., impone l’obbligo di mantenimento a carico del genitore anche a favore del figlio maggiorenne non economicamente indipendente; iii) su tale obbligo non potevano incidere i rapporti esistenti tra il figlio ed il proprio genitore, nè l’andamento scolastico, che comunque, nel caso di specie, si constatava essere proficuo; iv) l’intervenuta adozione, da parte del F., delle figlie, ormai maggiorenni, del M., non aveva in alcun modo inciso sulle loro condizioni economiche con riguardo ai relativi rapporti con quest’ultimo. La medesima corte riconobbe, altresì, la legittimazione della V. ad agire per ottenere dall’altro genitore il contributo al mantenimento per la figlia con sè convivente, seppure maggiorenne ma non economicamente indipendente.
4. Avverso il descritto decreto, M.M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, resistiti, con unico controricorso, da F.M.E. ed V.A.M., quest’ultima anche nell’interesse di F.M.D., le quali hanno proposto anche ricorso incidentale, recante due motivi, altresì depositando memoria ex art. 380-bis c.p.c..

Motivi della decisione
1. Le censure di cui al ricorso principale di M.M. prospettano, rispettivamente:
I) “Violazione dell’art. 337-septies c.c.: insussistenza dell’obbligo (generalizzato) di mantenimento del figlio maggiorenne”, ascrivendosi alla corte distrettuale di non aver ponderato le circostanze del caso concreto al fine di accertare se F.M.E. e D. fossero meritevoli dell’attribuzione economica. Secondo il ricorrente, un tale vaglio non poteva prescindere dalla preliminare valutazione dei suoi rapporti con le figlie, che erano totalmente assenti, poichè queste non condividevano con lui alcun legame affettivo, progetto educativo o percorso di formazione, dopo che erano state adottate da F.P., nuovo marito della V.. Si afferma, inoltre, che, al di là dell’astratta normativa relativa all’istituto della adozione di maggiorenni, nel caso specifico risultava chiaro che il F. si era puntualmente e continuativamente occupato delle esigenze delle figlie adottive, mantenendole e provvedendo alle loro necessità quotidiane, come emergeva dal ricorso per adozione integralmente recepito nelle due sentenze del Tribunale di Spoleto con cui era disposta l’adozione medesima;
II) “Falsa applicazione degli artt. 291 c.c. e segg., in relazione all’art. 337-septies c.c.”, perchè la corte perugina, nel fissare l’assegno di mantenimento posto a carico del M., non aveva tenuto conto del fatto che il F., benchè non obbligato al mantenimento delle due ragazze maggiorenni adottate (peraltro per dare seguito ad una loro espressa richiesta), aveva comunque dichiarato – proprio nel corrispondente procedimento – di avervi provveduto;
III) “Violazione dell’art. 345 c.p.c.: mancata estromissione dei documenti prodotti in sede di reclamo”, per avere la corte umbra utilizzato, nel decidere, una lettera del F., prodotta tardivamente e che avrebbe dovuto essere stralciata, con cui questi riferiva di non riuscire a fare fronte alle spese per il mantenimento delle ragazze;
IV) “Statuizione sulle spese ex art. 385 c.p.c.”, chiedendosi, con l’accoglimento del ricorso, la riforma della condanna alle spese dei precedenti gradi di giudizio.
2. Le due doglianze di cui al ricorso incidentale di F.M.E. ed V.A.M., anche nell’interesse di F.M.D., recano, invece, rispettivamente, “violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè del D.M. n. 55 del 2014, art. 4 e delle Tabelle 2 e 12 dei parametri ad esso allegati” e “violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, art. 2233 c.c., comma 2”, imputando alla corte di merito di non aver liquidato il compenso del proprio legale in misura adeguata all’importanza dell’opera prestata ed al decoro della professione.
3. Va immediatamente sgomberato il campo dalle eccezioni di inammissibilità del ricorso principale così come formulate dalle controricorrenti.
3.1. Invero, il tenore letterale di ciascun motivo di quest’ultimo consente agevolmente di coglierne la effettiva portata con riferimento sia alla individuazione del capo di pronuncia impugnato che alla specifica ragione della censura, sicchè può farsi applicazione del principio secondo cui, ai fini della ammissibilità del ricorso per cassazione, non è necessaria l’esatta indicazione delle norme di legge delle quali si lamenta l’inosservanza, nè la corretta menzione dell’ipotesi appropriata tra quelle in cui è consentito adire il giudice di legittimità, essendo necessario, invece, che si faccia valere un vizio astrattamente idoneo ad inficiare la pronuncia (cfr. Cass. n. 12690 del 2018, in motivazione; Cass. n. 19882 del 2013; Cass. n. 6671 del 2003). In tale prospettiva, eventuali erronee o incomplete indicazioni di norme violate nella rubrica del motivo non determinano, ex se, l’inammissibilità di questo se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura stessa (cfr. Cass. n. 12690 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14026 del 2012). Questa impostazione ermeneutica, del resto, è stata autorevolmente avallata dalle stesse Sezioni Unite di questa Corte, che, con la sentenza n. 17931 del 2013, hanno affermato che “l’onere della specificità ex art. 366 c.p.c., n. 4, secondo cui il ricorso deve indicare “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”, non debba essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione della ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, cui si ritenga di ascrivere il vizio, nè di precisa individuazione, nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali, degli articoli, codicistici o di altri testi normativi, comportando, invece, l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 citato”.
3.2. Non pertinente si rivela, poi, il richiamo alla fattispecie di inammissibilità ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, posto che, in ordine alla concreta questione giuridica su cui il Collegio è oggi chiamato a pronunciarsi con riferimento ai primi due motivi del ricorso principale (incidenza, o meno, ai fini della domandata revisione delle condizioni economiche del divorzio quanto alla persistenza dell’obbligo di mantenimento di figli maggiorenni degli ex coniugi, della sopravvenuta adozione dei figli stessi da parte del nuovo marito della loro madre), non si rinvengono specifici precedenti di legittimità.
4. Tanto premesso, gli appena menzionati due motivi del ricorso principale del M., di cui è possibile l’esame congiunto attesane la chiara connessione, si rivelano fondati esclusivamente nei limiti di cui appresso.
4.1. Giova premettere, in fatto, che i contenuti dei rispettivi atti introduttivi di questo giudizio di legittimità consentono di poter ritenere sostanzialmente incontroverso che: i) M.M. ed V.A.M., dopo la declaratoria di cessazione degli effetti civili del loro matrimonio, regolamentarono nuovamente, tra l’altro, la contribuzione del padre al mantenimento delle figlie M.E. e D., ottenendo dal Tribunale di Terni, il 19/27 febbraio 2014, l’omologa del relativo accordo sancito il 9 gennaio 2013, che prevedeva la corresponsione, ad opera del M., di Euro 700,00 mensili alla prima di esse, nata il (*), e di Euro 500,00 mensili alla seconda, nata il (*), questi ultimi da corrispondere alla madre, oltre adeguamento ISTAT; ii) successivamente alla stipulazione tale accordo, la V., l'(*), aveva contratto nuovo matrimonio con F.P., il quale aveva poi proceduto all’adozione delle ormai maggiorenni M.E. e D. (peraltro per dare seguito ad una loro espressa richiesta), dichiarando, altresì, di occuparsi continuativamente delle loro esigenze e di provvedere alle loro necessità quotidiane.
4.2. Si impongono, dunque, alcune considerazioni di carattere generale riguardanti: a) l’ambito della possibile revisione, della L. n. 898 del 1970, ex art. 9, delle statuizioni contenute in una sentenza di divorzio passata in cosa giudicata ed il modus operandi del giudice che di tanto venga richiesto; b) il perimetro operativo dell’art. 337-septies c.c., recante “Disposizioni in favore dei figli maggiorenni”, in particolare del suo comma 1; c) l’istituto dell’adozione di persone maggiori di età, di cui agli artt. 291 c.c. e segg..
4.2.1. Va, allora, ricordato che, ai sensi della L. n. 898 del 1970, predetto art. 9 (così come modificato dalla L. n. 436 del 1978, art. 2 e della L. n. 74 del 1987, art. 13), le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata rebus sic stantibus, rimanendo, cioè, suscettibili di modifica, quanto ai rapporti economici o all’affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti passati e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto ed il deducibile (cfr. Cass. n. 2953 del 2017, richiamata, in motivazione, dalle più recenti Cass. n. 4768 del 2018 e Cass. n. 11177 del 2019). Il provvedimento di revisione dell’assegno divorzile o di quello di mantenimento dei figli, previsto dalla citata norma, postula, quindi, non soltanto l’accertamento di una sopravvenuta modifica delle condizioni economiche degli ex coniugi, ma anche la sua idoneità a mutare il pregresso assetto patrimoniale realizzato con il precedente provvedimento attributivo di uno dei predetti assegni, secondo una valutazione comparativa delle condizioni economiche di entrambe le parti (cfr. Cass. n. 1761 del 2008, in motivazione). Pertanto, come ancora recentemente ribadito da Cass. n. 32529 del 2018, “in ordine alla domanda concernente la revisione del contributo al mantenimento dei figli, sia minorenni che maggiorenni non economicamente autosufficienti, proposta in base alla menzionata norma, il giudice non può procedere ad una nuova ed autonoma valutazione dei presupposti o dell’entità dell’assegno, sulla base di una diversa ponderazione delle condizioni economiche delle parti valutate al momento della pronuncia del divorzio, ma, nel pieno rispetto delle valutazioni espresse al momento dell’attribuzione dell’emolumento, deve limitarsi a verificare se, ed in quale misura, le circostanze sopravvenute abbiano alterato l’equilibrio così raggiunto e ad adeguare l’importo o lo stesso obbligo della contribuzione alla nuova situazione patrimoniale (Cass. n. 214 del 11/01/2016, n. 14143 del 20/06/2014). Ciò in quanto i “giustificati motivi”, la cui sopravvenienza consente di rivedere le determinazioni adottate in sede di divorzio dei coniugi, sono ravvisabili nei fatti nuovi sopravvenuti, modificativi della situazione in relazione alla quale la sentenza era stata emessa o gli accordi erano stati stipulati, con la conseguenza che esulano da tale oggetto i fatti preesistenti, ancorchè non presi in considerazione in quella sede per qualsiasi motivo (cfr. in proposito Cass. n. 28436 del 28/11/2017, pronunciata in relazione revisione degli oneri conseguenti a separazione giudiziale)…”.
4.2.2. Quanto all’art. 337-septies c.c., introdotto dal D.Lgs. n. 154 del 2013, ed in vigore dal 7 febbraio 2014 unitamente all’intero Titolo IX (Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio), capo II (Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio, ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio) del Libro primo del menzionato codice, esso dispone, al comma 1, che il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto. Trattasi, evidentemente, di norma da leggersi tenendo conto anche di quanto sancito dall’art. 147 c.c. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, risultante dalla modifica apportatagli dal D.Lgs. predetto), a tenore del quale il matrimonio impone ad entrambi i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’art. 315-bis c.c. e da quest’ultima disposizione, il cui comma 1 prevede che il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni e delle sue aspirazioni. Fin da ora, peraltro, va ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità ormai consolidatasi: i) “l’obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae qualora questi, senza sua colpa, divenuto maggiorenne, sia tuttavia ancora dipendente dai genitori. Ne consegue che, in tale ipotesi, il coniuge separato o divorziato, già affidatario è legittimato, iure proprio (ed in via concorrente con la diversa legittimazione del figlio, che trova fondamento nella titolarità, in capo a quest’ultimo, del diritto al mantenimento), ad ottenere dall’altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne” (cfr. Cass. n. 32529 del 2018; Cass. n. 9698 del 2001; Cass. n. 1353 del 1999); ii) “il diritto del coniuge separato di ottenere un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo abbia iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore, sicchè l’eventuale perdita dell’occupazione o il negativo andamento della stessa non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento” (cfr. Cass. n. 6509 del 2017; Cass. n. 26259 del 2005); iii) “la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonchè, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell’avente diritto” (cfr. Cass. n. 5088 del 2018; Cass. n. 12952 del 2016).
4.2.3. Circa, invece, l’adozione di persona maggiore di età, detta anche adozione ordinaria o civile, oggi disciplinata agli artt. 291 c.c. e segg., essa ha subito, nel tempo, numerosi interventi riformatori, dovuti in larga parte all’evolversi della coscienza sociale in ambito lato sensu “familiare”.
4.2.3.1. Invero, secondo l’insegnamento tradizionale, l’istituto dell’adozione rispose ad una funzione squisitamente privatistica consistente nel soddisfare l’interesse dell’adottante alla trasmissione del nome e del patrimonio, mediante la creazione di un vincolo di filiazione artificiale. In considerazione di tali finalità patrimoniali e successorie, l’istituto fu introdotto nel Code civil francese del 1804 e, per gli stessi fini, recepito dal codice civile unitario del 1865, dove fu riservato ai maggiori di diciotto anni (che tuttavia allora non erano ancora maggiorenni, poichè la maggiore età si raggiungeva a ventuno anni). Certo già allora non poteva ignorarsi la valenza personalistica dell’adozione, sia con riguardo all’interesse dell’adottante, rispetto al quale essa rappresentava “un’invenzione pietosa della legge destinata a colmare un vuoto che una sorte avara ed avversa lascia non di rado nella vita di un uomo”, sia nei confronti dell’adottato, nascendo l’adozione come atto di generosità in virtù del quale si convertiva “in dovere un’affezione sino ad allora libera ed indipendente”. Il carattere “affettivo” dell’adozione costituiva, tuttavia, mero movente psicologico, pressochè irrilevante sotto il profilo della disciplina. Alla luce del diritto positivo, invero, essa si configurava alla stregua di un atto di diritto privato volto alla sola devoluzione del nome e del patrimonio. In tali sensi, del resto, opinava anche la dottrina contemporanea al codice del 1865, la quale, valorizzando alcuni profili della disciplina allora vigente (in particolare, l’art. 208, per il quale “l’adozione si fa col consenso dell’adottante e dell’adottando”, e l’art. 217, che faceva decorrere gli effetti dell’adozione dal giorno della prestazione del consenso medesimo e non dal successivo atto di omologazione da parte dell’autorità giudiziaria), attribuiva al consenso delle parti l’effetto costitutivo del rapporto adozionale. Proprio in conseguenza della sua natura privatistica, non si determinava l’inserimento dell’adottato nella famiglia dell’adottante, mentre restavano integri i rapporti del primo con la propria famiglia di origine. Stante il carattere patrimoniale dell’istituto, la legge prevedeva, inoltre, una serie di divieti e cautele a tutela degli interessi dei parenti dell’adottante. In tal senso doveva leggersi, principalmente, il divieto di adottare in presenza di propri figli legittimi o legittimati, logica conseguenza della finalità di supplire al difetto di discendenti propria dell’adozione e volto ad evitare che l’istituto si prestasse ad eludere le norme sulla successione necessaria, consentendo di attribuire ad un estraneo una quota maggiore rispetto a quella disponibile. Nella stessa direzione muovevano, poi, il limite minimo di età per adottare, che ancora il legislatore del 1942 fissava al cinquantesimo anno, essendo sensibilmente ridotta a tale data la capacità di procreare; nonchè il divieto di adottare più persone, salvo che ciò avvenisse con il medesimo atto. Stante la natura negoziale attribuita all’istituto, si intendeva con tale ultima previsione precludere ad una delle parti la possibilità di modificare unilateralmente i contenuti del rapporto posto in essere. Confermava, infine, il carattere privatistico dell’istituto la norma che richiedeva l’assenso del coniuge e dei genitori legittimi o naturali dell’adottante e dell’adottando, e che, a parere della dottrina, configurava un atto personalissimo ed irrevocabile, esplicazione di un “potere familiare” volto alla tutela del prevalente interesse della famiglia.
4.2.3.2. Fu il codice del 1942 ad abbandonare la prospettiva esclusivamente privatistica e ad imprimere una prima, fondamentale svolta in chiave personalistica all’istituto, consentendo l’adozione anche dei minori. Tale mutamento ebbe l’effetto di introdurre nell’istituto un valore nuovo: l’interesse del minore. Anche in virtù del dettato costituzionale, si finì, infatti, con il ritenere detto interesse prevalente rispetto a quello dell’adottante a procurarsi un discendente. Si aprì, così, la strada alle riforme apportate dalla L. 5 maggio 1967, n. 431, che, mentre introduceva l’adozione speciale, modificava la disciplina codicistica dell’adozione ordinaria al fine di piegarla all’assolvimento di una funzione esplicitamente assistenziale. Detti mutamenti determinarono, però, al contempo, un arretramento nella tutela delle ragioni, specie patrimoniali, della famiglia legittima. Così, se la riduzione del limite di età per l’adottante a trentacinque o, eccezionalmente, a trent’anni rispondeva essenzialmente allo scopo di dare all’adottato genitori giovani e, nondimeno, dotati del grado di maturità necessaria a compiere una scelta responsabile, di fatto essa fece venir meno l’originaria funzione dell’adozione, di sopperire alla mancanza di una propria discendenza, non potendosi più escludere una futura filiazione da parte dell’adottante. Lo stesso interesse patrimoniale dell’adottato venne subordinato alla preminente funzione assistenziale, allorchè si consentì a che l’adozione fosse disposta nei confronti di più persone anche con atti successivi.
4.2.3.3. Un ulteriore affievolimento della tutela dei membri della famiglia dell’adottante si ebbe, poi, con la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, che rese possibile l’adozione civile anche in assenza dei prescritti assensi, ove il rifiuto fosse apparso ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, ovvero l’assenso non avesse potuto essere prestato per incapacità o irreperibilità della persona. Un vero e proprio potere di veto rispetto alla decisione adottiva permaneva solo in capo ai genitori esercenti la potestà sull’adottando ed ai coniugi conviventi dell’adottato e dell’adottante. Peraltro, la dottrina osservava come un rifiuto ingiustificato da parte dei genitori avrebbe potuto essere superato mediante una pronuncia di decadenza dalla potestà ai sensi dell’art. 330 c.c., ovviamente ove si fosse ritenuto integrato uno dei fatti previsti dalla norma. Rispetto al coniuge convivente dell’adottante, invece, l’insuperabilità del rifiuto veniva interpretato come conseguenza della mutata funzione dell’adozione, che adesso faceva apparire come naturale l’instaurarsi della convivenza tra adottato minorenne ed adottante, e serviva di conseguenza a garantire da possibili turbamenti “l’armonia spirituale della famiglia” di quest’ultimo.
4.2.3.4. Le modifiche appena menzionate sono passate pressochè indenni attraverso la novella del 4 maggio 1983, n. 184. Allo scopo di risolvere le problematiche connesse alla coesistenza di due istituti, l’adozione speciale e quella ordinaria, entrambi applicabili ai minori, il legislatore ha, in questa occasione, confinato l’applicabilità dell’adozione codicistica ai soli maggiorenni. Si è in tal modo voluta restituire all’istituto la funzione patrimoniale per la quale era stato concepito. Ciò ha condotto ad eliminare dal codice quelle disposizioni che avevano piegato l’adozione civile a finalità di carattere assistenziale, in primis la norma attributiva della potestà all’adottante (art. 301). La natura del vincolo instaurato con l’adottato torna, dunque, a connotarsi in chiave essenzialmente patrimoniale giacchè, salva l’assunzione del cognome, esso si limita a far conseguire all’adottato i soli diritti successori ed alimentari. L’adozione cd. ordinaria continua, pertanto, a rispondere, in primo luogo, alla già descritta funzione tradizionalmente accordatale; quantomeno, è proprio in vista di tale funzione che ne sono definiti presupposti, condizioni ed effetti nella disciplina delineata dagli artt. 291 c.c. e segg..
4.2.3.5. Appare tuttavia innegabile che lo strumento dell’adozione de qua si presti ad essere utilizzato anche con ben altra finalità, almeno in tutti i casi in cui l’adottando, sebbene maggiore di età, sia inserito di fatto in un consorzio familiare, in cui si avverta un’insistente esigenza di assicurare una piena legittimazione, sul piano giuridico, ad una realtà già in atto sul piano dei sentimenti e delle relazioni personali. Si pensi, ad esempio, alla idoneità dell’adozione predetta, ritenuta da parte della dottrina, a “dare veste giuridica al rapporto personale ed affettivo che spesso si costituisce tra coniuge e figlio dell’altro coniuge, vedovo o divorziato, o a quello creatosi a seguito di un affidamento (non temporaneo) che si è prolungato ma non può evidentemente proseguire oltre la maggiore età”. E’ proprio alla contrapposizione fra le suesposte esigenze che appare riconducibile l’andamento altalenante degli interventi giurisprudenziali. Laddove all’adozione si attribuisce il ruolo di costituire (ovvero di riconoscere l’esistenza di) una famiglia, giocoforza è il tentativo di assimilare lo strumento delineato nel codice alle forme di adozione dei minori; qualora, invece, l’adozione dei maggiori di età sia confinata entro il ruolo tradizionalmente riconosciutole, non potrà che derivarne un’applicazione rigorosa e restrittiva delle norme codicistiche, giustificata dalla loro autosufficienza e sostanziale estraneità alle problematiche proprie delle situazioni di abbandono dei minori e dei rimedi di volta in volta apprestati dall’ordinamento in funzione di una loro adeguata protezione. Proprio in quest’ottica, del resto, va inquadrato il dibattito che, nel corso degli ultimi decenni, ha visto spesso contrapposte la Corte costituzionale, fedele alla concezione, per così dire, tradizionale dell’istituto dell’adozione di persone maggiori di età, e la Corte di cassazione, la quale, in diverse occasioni, ha sostenuto l’opportunità di un’applicazione meno rigida di tale strumento, evidenziandone piuttosto i punti di contatto che quelli di divergenza rispetto alle forme di adozione dei minori e spingendosi sino al punto di “forzare” la lettera degli artt. 291 c.c. e segg.. Se, dunque, la Consulta ha più volte ribadito la bontà del sistema dell’adozione dei maggiori di età – come risultante dai diversi interventi normativi che si sono sovrapposti alla disciplina dell’adozione originariamente delineata nel codice civile – facendo leva essenzialmente sulla funzione ad essa tipicamente assegnata, la Cassazione ha offerto delle interpretazioni coraggiosamente innovative, spinta dall’esigenza di sostenere l’aspirazione dei privati alla formazione di nuclei familiari stabili e dalla ferma volontà di salvaguardarne l’unità, assumendosi, con ciò, la responsabilità di sconfessare più o meno apertamente le posizioni più prudentemente mantenute dal Giudice delle leggi. Basti pensare alle pronunce attinenti alla derogabilità dei requisiti di età richiesti per procedere all’adozione.
4.3. Tanto premesso, questo Collegio intende proseguire in quell’indirizzo interpretativo meno rigido dell’istituto in questione di cui si è detto, nell’intento, appunto, di privilegiarne l’aspirazione (anche) alla formazione di nuclei familiari stabili, soprattutto allorquando l’adottato maggiorenne – come ragionevolmente verificatosi nella odierna fattispecie, alla luce della situazione fattuale, pressochè incontroversa, descritta nel precedente p. 4.1. – sia già inserito, di fatto, in un contesto familiare, in cui si avverta l’esigenza di assicurare una piena legittimazione, sul piano giuridico, ad una realtà già in atto sul piano dei sentimenti e delle relazioni personali.
4.3.1. Tanto, si badi, non per farne derivare il sorgere di obblighi giuridici, tra adottante ed adottato, al di fuori di quanto desumibile dalla specifica disciplina codicistica (cfr. art. 300 c.c., comma 2, che, nell’escludere espressamente soltanto l’insorgere di alcun rapporto civile tra adottante e famiglia dell’adottato, e tra adottato e parenti dell’adottante, salve le eccezioni di legge, evidentemente non disconosce la nascita di analoghi rapporti direttamente tra adottante ed adottato. Si vedano anche l’art. 433 c.c., n. 3, che indica pure gli adottanti tra le persone obbligate a prestare gli alimenti, nonchè l’art. 436 medesimo codice, secondo cui l’adottante deve gli alimenti al figlio adottivo con precedenza sui genitori), ma, quantomeno, al più limitato scopo di attribuire rilevanza alla situazione fattuale da essa determinata come circostanza valutabile laddove il genitore dell’adottato, già tenuto al suo mantenimento, chieda procedersi alla revisione del relativo contributo.
4.3.1.1. Non si intende, ovviamente, affermare che l’adottante abbia l’obbligo giuridico di contribuire al mantenimento del da lui adottato figlio maggiorenne di colei che, già divorziata, abbia sposato, nè che il padre di colui che poi sia stato adottato non sia più tenuto ad un tale mantenimento: nel primo caso, infatti, mancherebbe la norma impositiva di detto obbligo (non sembrando essa individuabile nel già citato art. 436 c.c., riguardante il più limitato obbligo agli alimenti, che postula, però, giusta l’art. 438 c.c., comma 1, l’esistenza di uno stato di bisogno, difficilmente ipotizzabile se il padre ottemperi al suo obbligo di mantenimento); nel secondo, invece, ci si troverebbe in aperto contrasto con l’art. 300 c.c., comma 1, a tenore del quale, l’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge.
4.3.1.2. Si vuol dire, invece, che laddove l’adottato maggiorenne si trovi stabilmente inserito, di fatto, nel contesto familiare creatosi per effetto del matrimonio contratto da sua madre con l’adottante, il quale, benchè a tanto non obbligato giuridicamente, comunque provveda continuativamente, e non solo occasionalmente, anche alle sue esigenze e necessità quotidiane, si è in presenza di una circostanza fattuale che, ove sopravvenuta rispetto agli accordi già esistenti tra i suoi genitori circa il suo mantenimento, non può essere sottratta all’esame del giudice eventualmente adito da uno di essi con domanda di revisione delle condizioni di quel mantenimento. Ciò perchè è assolutamente intuitivo che, in una ipotesi come quella appena descritta, l’entità di quest’ultimo ben potrebbe essere variata (se significativamente, o meno, spetterà al giudice accertarlo) per effetto dell’apporto economico comunque fornito anche dall’adottante alle necessità ed ai bisogni dell’adottato.
4.4. Calando, allora, tali affermazioni generali nella vicenda oggi all’esame di questa Corte, va sicuramente ribadito (confermandosi, in parte qua, il decreto impugnato) che M.M. è tuttora tenuto a contribuire al mantenimento delle figlie F.M.E. e D., malgrado la loro maggiore età e l’avvenuta loro adozione da parte di F.P.. In proposito è sufficiente, da un lato, richiamare le già riportate pronunce di legittimità (Cass. n. 32529 del 2018; Cass. n. 9698 del 2001; Cass. n. 1353 del 1999) secondo cui l’obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae, qualora questi, senza sua colpa, divenuto maggiorenne, sia tuttavia ancora dipendente dai genitori; dall’altro, rimarcare che, giusta il tenore letterale del provvedimento oggi impugnato, nessuna dimostrazione di eventuali condotte negligenti di F.M.E. e D., quanto alla ricerca di un’occupazione, è stata fornita dall’odierno ricorrente principale, laddove, invece, come si è già riferito, la cessazione dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti deve essere fondata su un accertamento di fatto che abbia riguardo all’età, all’effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all’impegno rivolto verso la ricerca di un’occupazione lavorativa nonchè, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell’avente diritto (cfr. Cass. n. 5088 del 2018; Cass. n. 12952 del 2016).
4.5. Del resto, il persistere di un siffatto obbligo di contribuzione al mantenimento delle figlie, benchè maggiorenni, nemmeno potrebbe essere escluso per il solo fatto della sopravvenuta loro adozione, ex art. 291 e ss. c.c., da parte del F., stante il chiarissimo disposto dell’art. 300 c.c., comma 1 (l’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge).
4.6. Fermo tutto ciò, è ragionevolmente innegabile che l’entità di un tale mantenimento non possa non tener conto della duplice circostanza fattuale che (i) F.M.E. e D., per effetto dell’adozione fattane da F.P. (peraltro per dare seguito ad una loro espressa richiesta), sono ormai stabilmente inserite nel contesto familiare creatosi per effetto del matrimonio contratto con quest’ultimo dalla loro madre, e che (ii) il F. abbia provveduto continuativamente, e non solo occasionalmente, anche alle loro esigenze e necessità quotidiane: l’attuale entità di detto mantenimento dovuto dal M., quindi, ben potrebbe essere variata per effetto dell’apporto economico comunque fornito anche dall’adottante alle necessità ed ai bisogni dell’adottato.
4.7. Di tanto la corte distrettuale non dimostra di aver avuto reale ed effettiva contezza, non avendo minimamente spiegato le ragioni del suo genericissimo assunto per cui “l’intervenuta adozione delle predette ( M.E. e D.. Ndr) da parte di F.P. non ha in alcun modo inciso sulle loro condizioni economiche con riguardo ai loro rapporti con il M.”: affermazione che si rivela apodittica ed affatto equivoca, posto che non è chiaro se, nell’ottica del giudice a quo, la mancata incidenza fosse da ricondursi alla mera interpretazione in chiave strettamente tradizionale dell’istituto dell’adozione del maggiorenne (finalizzato, quindi, solo a soddisfare l’interesse dell’adottante alla trasmissione del nome e del patrimonio, mediante la creazione di un vincolo di filiazione artificiale), oppure agli esiti di un accertamento fattuale comunque effettuato (ed, in tal caso, oggi non ulteriormente sindacabile se non nei ristretti limiti di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui applicabile ratione temporis, risalendo il decreto impugnato al 30 novembre 2017).
4.7.1. Esclusivamente in questi limiti, dunque, può ritenersi sussistente, nella specie, la violazione dell’art. 337-septies c.c., in combinato disposto con la L. n. 898 del 1970, art. 9 (nella parte in cui consente la modifica degli accordi economici degli ex coniugi quanto al mantenimento dei figli, ove sopravvengano significativi fatti nuovi) e della disciplina dell’adozione del maggiore di età (artt. 291 c.c. e segg.) da interpretarsi, appunto, nel meno rigido modo di cui si è ampiamente detto in precedenza, attribuendo ad essa il ruolo di favorire la costituzione (ovvero di riconoscere l’esistenza di) una famiglia. Nei soli sensi predetti, quindi, i primi due motivi del ricorso principale meritano accoglimento.
5. Il terzo motivo del ricorso principale è infondato perchè, come questa Corte ha già avuto occasione di affermare, il reclamo avverso i provvedimenti di modifica delle condizioni del divorzio resi dal tribunale ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 1, costituisce un mezzo d’impugnazione, ancorchè devolutivo, e come tale ha per oggetto la revisione della decisione adottata in primo grado, nei limiti del devolutum e delle censure formulate, in correlazione alle domande formulate in quella sede; con la conseguenza che in sede di reclamo, mentre possono essere allegati, stante la libertà di forme proprie del procedimento, fatti nuovi, non possono essere proposte domande nuove, che snaturerebbero il reclamo stesso quale mezzo d’impugnazione, come tale avente la funzione di rimuovere vizi del precedente provvedimento (cfr. Cass. n. 3924 del 2012, che ha escluso anche la proponibilità, in tale reclamo, di nuove eccezioni in senso stretto; Cass. n. 1761 del 2008; Cass. n. 14022 del). La possibilità di allegare fatti nuovi, stante la libertà delle forme proprie del procedimento, e la conseguente necessità di doverne consentire la corrispondente attività asseverativa, esclude, dunque l’applicabilità, in tale sede, del disposto dell’art. 345 c.p.c., quanto al divieto di produrre nuovi documenti, nemmeno essendo stato adombrata, nell’odierna doglianza, un’eventuale violazione del contraddittorio in ordine a quelli asseritamente prodotti in sede di reclamo.
6. Il quarto motivo del ricorso principale, così come entrambe le doglianze del ricorso incidentale di V.A.M., F.M.E. e D., sono evidentemente assorbiti.
7. In definitiva, vanno accolti i primi due motivi del ricorso principale, ritenendosene infondato il terzo ed assorbito il quarto insieme ai due motivi del ricorso incidentale. Il decreto impugnato va, pertanto, cassato con rinvio alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame alla stregua del seguente principio di diritto:

“In tema di revisione delle condizioni economiche del divorzio riguardanti l’obbligo di mantenimento di figli maggiorenni, non autosufficienti, degli ex coniugi, la sopravvenuta adozione di quei figli effettuata dal nuovo marito della madre, da cui derivi il loro stabile inserimento nel contesto familiare creatosi per effetto del nuovo matrimonio contratto da quest’ultima, costituisce circostanza fattuale da valutarsi, ai fini della modificazione, o meno, della sola entità di tale mantenimento, dal giudice adito ai sensi della L. n. 878 del 1970, art. 9, ove risulti che l’adottante, benchè privo del corrispondente obbligo giuridico, comunque provveda continuativamente, e non solo occasionalmente, anche alle esigenze e necessità quotidiane degli adottati”.
7.1. Al giudice di rinvio è affidata anche la statuizione sulle spese di questo giudizio di legittimità.
8. Va, disposta, infine, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso principale, dichiarandone infondato il terzo ed assorbito il quarto insieme ai due motivi del ricorso incidentale. Cassa il decreto impugnato e rinvia alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame, da effettuarsi alla stregua del principio di diritto di cui p. 7 della motivazione, e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2020

Responsabilità medica: al paziente provare che non avrebbe fatto l’intervento

Corte di Cassazione, sez. III Civile
***
ordinanza 15 gennaio – 26 maggio 2020, n. 9887
Presidente Armano – Relatore Olivieri
Fatti di causa
Con sentenza in data 27. 6.2018 n. 3166 la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello proposto
da (omissis), e confermato la decisione di prime cure che aveva ritenuto infondata la pretesa
risarcitoria avanzata dal predetto nei confronti di (omissis) s.p.a. e del medico (omissis) il quale
aveva raccolto il consenso informato dell’(omissis), affetto da “pseudoartrosi post traumatica dello
scafoide con impotenza funzionale del polso destro su base algica”, prospettandogli la soluzione
dell’intervento chirurgico di “emicarpectomia prossimale del polso” che avrebbe garantito un
possibile miglioramento dell’articolazione e della sintomatologia dolorosa, la preservazione dal
processo degenerativo con il rischio – accettato dal paziente – della perdita del 30% di funzionalità
dell’articolazione del polso. Il Giudice di appello ha rilevato che all’intervento chirurgico, eseguito
correttamente senza errori tecnici, ed al trattamento post-operatorio conforme ai protocolli, era
purtroppo seguita accanto ad una riduzione della algia anche una perdita complessiva della
funzionalità del polso di circa il 68-70%, ma che la doglianza del danneggiato, volta a contestare la
inesattezza della informazione sui rischi e l’invalido consenso prestato quale presupposto della
richiesta risarcitoria, non aveva fondamento in quanto i CC.TT.UU. aveva accertato che il paziente,
prima dell’intervento, soffriva di una riduzione funzionale di circa 33 pari ad 1/3 (valutato come 12-
13% grado di IP) e che dopo l’intervento chirurgico la riduzione di funzionalità era pari a circa il
67/68%, cioè di quasi a 2/3 (valutato come 17-18% grado di IP), sicché l’incremento corrispondeva
a poco più della riduzione di funzionalità prospettata dal medico in sede di acquisizione del
consenso informato (34% invece che 30%), non potendo convenirsi con l’assunto del danneggiato
secondo cui il sanitario avrebbe fatto riferimento alla riduzione massima in assoluto e non alla
riduzione ulteriore – rispetto al preesistente stato invalidante -, in quanto si sarebbe pervenuti al
paradosso che il rischio, ove verificatosi, avrebbe prodotto addirittura un miglioramento dello stato
pregresso.
La sentenza di appello, notificata in data 28.6.2018, è stata ritualmente impugnata per cassazione da
(omissis) con ricorso affidato a quattro motivi ai quali resistono con un unico controricorso
(omissis) s.p.a ed il medico.
Ragioni della decisione
Primo motivo: violazione art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su motivo di gravame;
Secondo motivo: violazione degli artt. 13 e 32 Cost.;
I motivi, formulati in via di subordinazione alternativa (ove non si ravvisi il vizio di omessa
pronuncia, allora la pronuncia deve intendersi viziata per “error juris”) sono scarsamente
comprensibili e difettano del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4.
Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello, nell’esaminare il secondo motivo di gravame, non
avrebbe deciso in ordine alla critica mossa alla decisione di primo grado relativa alla mancanza di
“esaustività” del consenso informato.
In subordine deduce che l’avere il Giudice territoriale negato rilevanza all’errore commesso dal
medico nel dare una informazione eccessivamente ottimistica, determinerebbe una violazione del
diritto ad ottenere il ristoro per il danno conseguente alla violazione del diritto alla
autodeterminazione.
Dalla lettura del secondo motivo di appello, interamente trascritto a pag. 1314 del ricorso, risulta
che l’appellante, dopo avere premesso di essersi recato il 9.8.2010 presso l’Istituto sanitario ed aver
ricevuto assicurazioni, dal medico Dott. S., che la patologia di cui era affetto dal 2004 (inveterata
psedudoartrosi post traumatica dello scafoide, con riduzione dell’articolazione del polso dx pari ad
1/3 della mobilità complessiva: patologia a decorso ingravescente a causa dei processi degenerativi
osteocartilaginei) avrebbe potuto ottenere benefici qualora si fosse sottoposto all’intervento di
“emicarpectomia prossimale polso”, lamentava che il medico gli aveva prospettato una soluzione
migliorativa eccessivamente ottimistica, atteso che l’esito dell’intervento non era stato quello
sperato, essendo stato indotto il paziente a credere in un diverso risultato, più favorevole: la visita
del medico, pertanto, era stata “errata, oltremodo ottimistica, e non adeguatamente spiegata” e la
informazione era stata lacunosa ed errata ed ha fornito una prospettiva in termini di efficacia
eccessivamente ottimistica per il caso specifico”. In relazione a ciò doveva ritenersi accertata la
violazione del diritto alla autodeterminazione del paziente, essendo invalido il consenso prestato, in
quanto bene avrebbe potuto lo stesso:
1- preferire di subire il progressivo inevitabile peggioramento della patologia piuttosto che incorrere
nel rischio poi verificatosi di una ulteriore riduzione della mobilità;
2- scegliere di differire il tempo dell’intervento;
3- rivolgersi ad altro sanitario.
Il primo motivo è infondato
La Corte d’appello ha, infatti, preso in esame il secondo motivo di gravame individuando
correttamente quale parametro di valutazione la “comunicazione” sottoscritta dal medico in data
9.8.2010 (anno erroneamente indicato in sentenza nel 2012) evidenziando come dalla stessa
emergessero plurimi scopi affidati all’intervento, tra i quali anche la diminuzione della
sintomatologia algica ed il contrasto alla progressione degenerativa della patologia, obiettivi questi
raggiunti a seguito della operazione chirurgica. Il Giudice territoriale ha quindi definito il thema
controversum relativo al contenuto informativo, individuandolo nell’errore – prospettato
dall’appellante – commesso dal medico nella determinazione della percentuale di rischio di
insuccesso, errore che – con accertamento in fatto – ha escluso, ritenendo che la rappresentazione di
un possibile peggioramento della mobilità del 30% era da considerarsi adeguata e non
imprudentemente sottostimata, atteso che l’ulteriore aggravamento non poteva che intendersi
riferita alla preesistente condizione invalidante dell’(omissis), diversamente opinando non vi
sarebbe stato alcun rischio peggiorativo, venendo sostanzialmente a coincidere la riduzione di
mobilità del 30% con il difetto di mobilità del polso pari ad 1/3 che già affliggeva il paziente.
Nel secondo motivo di gravame, non è dato individuare altri ambiti di indagine pretermessi dalla
Corte d’appello, laddove ad una generica doglianza dell’“eccessivo ottimismo” manifestato dal
medico (espressione mutuata peraltro dalle valutazioni espresse dai CC.TT.UU. nominati in primo
grado) non viene fatto seguito – ad eccezione della questione interpretativa sulla percentuale di
rischio di un esito peggiorativo in termini di mobilità del polso ad altri specifici e puntuali elementi
di critica alla sentenza di prime cure per la ritenuta esclusione di un inadempimento colpevole
all’obbligo informativo da parte del medico, diffondendosi l’appellante sulla individuazione delle
scelte a cui aveva dovuto ingiustamente rinunciare, a causa dell’asserito inadempimento del medico,
sottoponendosi ad un trattamento non supportato da idoneo consenso.
Se dunque non è dato ravvisare alcuna omissione di pronuncia della Corte territoriale in merito al
secondo motivo di gravame, osserva il Collegio che la censura subordinata di vizio inerente
l’attività di giudizio non è assistita dai requisiti minimi di ammissibilità.
I principi di diritto enucleati in materia di consenso infornato da questa Corte (da ultimo cfr. Corte
cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 9996 del 10/04/2019) possono così riassumersi:
– in tema di attività medico-chirurgica, la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione
sanitaria costituisce esercizio del diritto fondamentale all’autodeterminazione in ordine al
trattamento medico propostogli e, in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute, trova
fondamento diretto nei principi degli artt. 2 e 13 COst., e art. 32 Cost., comma 2.
– la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi
di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui
grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi
all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto
all’autodeterminazione, rinvenibile quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito
un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile
gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute. Pertanto, nell’ipotesi di omissione od
inadeguatezza diagnostica che non abbia cagionato danno alla salute ma che abbia impedito
l’accesso ad altri più accurati accertamenti, la lesione del diritto all’autodeterminazione sarà
risarcibile ove siano derivate conseguenze dannose di natura non patrimoniale, quali sofferenze
soggettive e limitazione della libertà di disporre di se stessi, salva la possibilità della prova contraria
– le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del
diritto all’autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la
preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un
consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava
l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il
presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della cd.
vicinanza della prova), essendo, il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico,
eventualità non rientrante nell’id quod plerumque accidit; al riguardo la prova può essere fornita
con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo
configurabile un danno risarcibile “in re ipsa” derivante esclusivamente dall’omessa informazione.
Orbene tra gli elementi costitutivi della fattispecie del diritto al risarcimento del danno per lesione
del diritto alla autoderminazione cagionata dalla inesatta od incompleta informazione del medico
volta ad acquisire la – valida e consapevole – manifestazione di consenso del paziente, non può
prescindersi dalla prova che la condotta di quest’ultimo, se correttamente informato, sarebbe stata
certamente diversa, ossia che avrebbe certamente rifiutato di sottoporsi all’intervento chirurgico: ed
infatti “la omessa informazione assume di per sé carattere neutro sul piano eziologico, in quanto la
rilevanza causale dell’inadempimento viene a dipendere indissolubilmente dalla alternativa
“consenso/dissenso” che qualifica detta omissione, laddove, in caso di presunto consenso,
l’inadempimento, pur esistente, risulterebbe privo di alcuna incidenza deterministica sul risultato
infausto dell’intervento, in quanto comunque voluto dal paziente; diversamente, in caso di presunto
dissenso, assumendo invece efficienza causale sul risultato pregiudizievole, in quanto l’intervento
terapeutico non sarebbe stato eseguito – e l’esito infausto non si sarebbe verificato – non essendo
stato voluto dal paziente. La allegazione dei fatti dimostrativi della opzione “a monte” che il
paziente avrebbe esercitato viene, quindi, a costituire elemento integrante dell’onere della prova del
nesso eziologico tra l’inadempimento e l’evento dannoso, che in applicazione dell’ordinario criterio
di riparto ex art. 2697 c.c., comma 1, compete ai danneggiati….” (cfr. Corte Cass. Sez. 3 -,
Ordinanza n. 19199 del 19/07/2018, in motivazione).
Ed indipendentemente, pertanto, da eventuali ulteriori profili di incompletezza della informazione
(non sarebbe stato accertato il grado di invalidità preesistente e quindi il paziente non poteva
valutare la “differenza” peggiorativa in caso di verificazione del rischio prospettato; non era stato
specificato che l’intervento “non era risolutivo ma era demolitivo”) indicati nel motivo di ricorso
per cassazione – ma dei quali peraltro non risulta nè viene allegato dal ricorrente che fossero stati
dedotti nei gradi di merito – appare evidente come la censura in esame risulti priva dei connotati
della specificità, non avendo il ricorrente neppure indicate se e quali prove fossero state richieste di
acquisire o raccolte nei precedenti gradi di giudizio dirette ad accertare – mediante giudizio
controfattuale “ora per allora” – che egli, qualora avesse inteso che il rischio di insuccesso avrebbe
potuto produrre una ulteriore limitazione di mobilità, pur riducendo la sintomatologia algica ed
impedendo l’evoluzione del fenomeno degenerativo osteoarticolare, avrebbe sicuramente rifiutato
di sottoporsi all’intervento di emicarpectomia prossimale.
In difetto di tale indicazione la censura risulta carente del requisito di specificità ex art. 366 c.p.c.,
comma 1, n. 4 e non supera il vaglio di ammissibilità.
Terzo motivo: violazione art. 112 c.p.c. nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Assume il ricorrente che il danno lamentato non riguardava l’errata esecuzione dell’intervento
chirurgico nè quello derivato dalla riduzione della funzionalità del polso conseguitone, bensì si
incentrava esclusivamente nel danno derivato dalla violazione del diritto alla autodeterminazione
per la insufficiente informazione.
Il motivo è del tutto inconferente oltre che scarsamente intelligibile.
Il motivo è inconferente perché la Corte d’appello ha individuato correttamente l’oggetto della
controversia nella dedotta violazione dell’obbligo di fornire una informazione corretta, ritenuta
errata secondo il danneggiato con riferimento alla entità del rischio derivante dalla pur corretta
esecuzione dell’intervento. Esclusa la decettività della informazione, e ritenuto non infirmato il
consenso prestato dal paziente, la Corte d’appello alcuna ulteriore indagine era tenuto a svolgere in
ordine ai pregiudizi subiti dal paziente in conseguenza dell’impedimento ad effettuare scelte
alternative rispetto a quella di sottoporsi alla esecuzione dell’intervento.
Il motivo non appare chiaramente identificabile nella critica svolta alla sentenza di appello in
quanto nella esposizione:
a) si viene a confondere “danno e lesione del diritto” nonché violazione del diritto di
autodeterminazione con violazione del diritto alla salute: altro è infatti la condotta violativa del
diritto alla autodeterminazione, altro la violazione del diritto alla salute; altro ancora i diversi danniconseguenza
che derivano dalla violazione dei due diritti. La sovrapposizione dei diversi piani
operata dal ricorrente appare del tutto evidente laddove nel trascrivere il motivo di appello si ascrive
alla categoria unitaria “…danni/lesioni…” le conseguenze derivate dalla inesatta informazione,
identificandole nei danni-conseguenza “morali e biologici” correlati invece alla esecuzione
dell’intervento (sofferenza psichica patita in ragione dell’intervento e della successiva
convalescenza; pregiudizio subito per l’attività chirurgica demolitoria che ha ulteriormente ridotto
la funzionalità del polso), od ancora laddove si qualifica erroneamente come danno-conseguenza la
“contrazione della libertà di disporre” che individua invece l’”evento-lesivo” del diritto alla
autodeterminazione;
b) non è dato in ogni caso individuare in quale omissione di pronuncia sia incorsa la Corte
d’appello, che ha esaminato proprio la questione della corretta informazione, sostenendo che il
rischio comunicato dal medico ed accettato dal paziente corrispondeva a quello poi verificatosi.
Quarto motivo: omesso esame fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Il ricorrente impugna la sentenza di appello, sostenendo che non erano stati affatto considerati “fatti
decisivi” che venivano indicati nella assicurazione data dal medico, nella comunicazione del
9.8.2010, che tra gli scopi dell’intervento vi era quello anche del “miglioramento dell’articolarità
attualmente molto limitata”: secondo il ricorrente tale scopo era incompatibile con la indicazione
del rischio di un peggioramento del deficit iniziale, sicché la possibilità della perdita della
funzionalità del 30% doveva considerarsi “in termini assoluti” e non come eventuale rischio di
“incremento” della invalidità preesistente i CC.TT.UU. avevano riferito che la previsione di
miglioramento formulata dal medico era stata “assolutamente ottimistica” e dunque non era corretta
ed aveva ingenerato convincimenti erronei nel paziente.
Il motivo è inammissibile, in quanto, da un lato, viene fatto riferimento al contenuto di un
documento (comunicazione 9.8.2010) che il Giudice di appello ha esaminato e valutato, sicché la
critica trascende i limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, venendo ad impingere sulla attività
valutativa di merito delle risultanze istruttorie, non sindacabile in sede di legittimità (la Corte
territoriale ha valutato il contenuto informativo della comunicazione ed ha ritenuto in base al
proprio convincimento che la indicazione di un rischio di insuccesso quantificato percentualmente
in termini di ulteriore invalidità, era idonea a consentire al paziente una adeguata ponderazione
nella scelta).
Dall’altro lato non potendo confondersi quello che è un giudizio valutativo degli ausiliari con un
“fatto storico”, tanto meno “decisivo”, che soltanto può veicolare il motivo di ricorso per “errore di
fatto” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dovendo intendersi per “fatto” esclusivamente un
accadimento in senso storico-naturalistico.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte soccombente va condannata ala rifusione
delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
– Condanna il ricorrente al pagamento in favore dei contro-ricorrenti, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del
15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
– Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del
2012, art. 1 comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il
versamento, se e nella misura dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
– Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di
informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione
elettronica, sia omessa la indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di (omissis)
riportati nella sentenza.

No al matrimonio per procura per l’amministrato in stato di incoscienza.

Tribunale La Spezia 4 marzo 2020
Nel procedimento di volontaria giurisdizione iscritto al n. r.g. V.G. 314 / 2020 promosso nell’interesse di
____ AMMINISTRATO
Il Giudice, dott. Maurizio Drigani,
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 3.3.2020;
rilevato che sono gi. stati attribuiti all’amministratore di sostegno, nominato alla predetta udienza, i
poteri di cui al decreto del 3.3.2020;
vista l’istanza dei ricorrenti di attribuire all’amministratore di sostegno l’ulteriore potere:
a) di richiedere all’ufficiale di stato civile del Comune di Bari di procedere, ex art. 101 c.c., alla
celebrazione del matrimonio fuori della casa comunale senza pubblicazione e senza l’assenso al
matrimonio;
b) previa verifica della volontà e consenso al matrimonio con la sig.ra _______, di rilasciare all’atto di
matrimonio dichiarazione della volontà di contrarre in nome e per conto dell’amministrato nonchè alla
sottoscrizione dell’atto;
osservato, con riferimento alla richiesta di un soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno di
contrarre matrimonio, che:
-pu. contrarre matrimonio anche la persona per la quale . stato nominato un amministratore di sostegno.
Ed invero, la giurisprudenza sul punto stabilisce che “il divieto di contrarre matrimonio, previsto
dall’art. 85 c.c. per l’interdetto, non trova generale applicazione nei confronti del beneficiario
dell’amministrazione di sostegno ma può essere disposto dal giudice tutelare solo in circostanze di
eccezionale gravità, quando sia conforme all’interesse dell’amministrato” (cfr. Cass. civ., sent. n.
11536/2017), e che soltanto “in presenza di circostanze di eccezionale gravità, [sussiste] la possibilità
di estendere al beneficiario dell’amministrazione di sostegno il divieto previsto dall’art. 85 c.c.,
attraverso un apposito provvedimento del giudice tutelare” (cfr. Cass. civ., sent. n. 12460/2018);
– di conseguenza, essendo la regola la libertà del beneficiario di contrarre matrimonio, egli potrà
manifestare il proprio consenso autonomamente o, al pi., assistito dall’amministratore di sostegno
eventualmente incaricato dal Giudice Tutelare di affiancare il beneficiario nel percorso di formazione
della volontà, aiutandolo cos. a comprendere le implicazioni (personali e giuridiche) della scelta
coniugale;
– l’eventuale divieto di contrarre matrimonio viene disposto – ad esclusiva tutela dell’interesse del
beneficiario – a fronte di una totale incapacità di intendere e volere del soggetto, oppure laddove egli
non sia in grado di comprendere e soppesare adeguatamente le conseguenze della scelta. In ogni caso, .
richiesto un accurato accertamento sulla capacità del soggetto e deve garantirsi la massima
considerazione della dignità della persona e le sue legittime future aspirazioni;
rilevato che il medesimo principio trova applicazione anche con riferimento alla capacità di testare, di
donare e di riconoscimento del figlio, trattandosi tutti di atti personalissimi che, stante la loro natura,
sono ritenuti insuscettibili di delega a terzi poichè relativi ad aspetti a tal punto intimi della persona che
– per la loro valenza sentimentale, affettiva, esistenziale e patrimoniale – possono essere effettuati
soltanto dal soggetto sottoposto ad amministrazione di sostegno. Appare, invero, difficile ipotizzare che
al beneficiario possa sostituirsi un terzo (nel caso di specie, l’amministratore di sostegno) nell’assumere
una siffatta decisione, dovendo la titolarità del diritto coesistere con l’esercizio dello stesso. Tali
considerazioni sono del resto naturale conseguenza del riconoscimento (sulla base dei principi
costituzionali e delle fonti sovranazionali a tutela della disabilità) dell’esercizio dei diritti fondamentali
anche ai soggetti c.d. deboli;
ribadito, pertanto, che il beneficiario ben potrà porre in essere i succitati atti personalissimi in piena
autonomia, salva l’opportunità di disporre – dietro espressa previsione del Giudice Tutelare e nei casi
eccezionali in cui se ne ravvisa la necessità – l’assistenza da parte dell’amministratore di sostegno. Una
tale previsione potrà avvenire nella duplice forma dell’assistenza nella sola fase di formazione della
volontà, oppure anche in quella di manifestazione della stessa; in quest’ultimo caso, cioè,
l’amministratore di sostegno esternerà un consenso unitamente al beneficiario. In altri termini, la scelta
rimarrà in capo al beneficiario, trattandosi di espressione di una sua autodeterminazione in tal senso, ma
con l’ulteriore garanzia della presenza dell’amministratore cui spetterà, se del caso, il compito di riferire
al Giudice eventuali vizi che dovessero inficiare la capacità di intendere e volere del soggetto; . per
l’appunto (e soltanto) l’esigenza di predisporre una forma di garanzia e tutela del beneficiario a
legittimare una siffatta compressione della sua capacità di agire. Peraltro, . proprio la particolare
situazione di fragilità e, di conseguenza, di incapacità a manifestare un consenso libero, pieno, effettivo
e consapevole (pur potendosi in teoria ben ipotizzare la manifestazione materiale da parte dell’interdetto
di un consenso, seppur – ben inteso – privato di alcun valore giuridico) all’atto personalissimo di
contrarre matrimonio che costituisce la ratio sottesa al divieto (assoluto, di ordine pubblico e che non
consente deroghe) previsto dall’art. 85 c.c. per l’interdetto;
dato quindi atto di come il matrimonio rappresenti forse – tra gli atti personalissimi preclusi
all’interdetto, e il cui divieto solo in via del tutto eccezionale può estendersi all’amministrato – quello in
cui la libertà (intesa anche quale forma di autoresponsabilità) . maggiormente tutelata e presidiata,
attenendo ai diritti intrinseci ed essenziali della persona umana e alle sue fondamentali istanze; rilevato,
tuttavia, che sussistono evidenti differenze tra – da un lato – impedire al soggetto sottoposto ad
amministrazione di sostegno di compiere un atto personalissimo (giacchè pregiudizievole ai suoi
interessi per le evidenziate ragioni) e – dall’altro – consentirgli invece l’effettivo esercizio del medesimo
diritto laddove egli non sia (merc. le sue contingenti condizioni psico-fisiche e/o di grave incapacità,
che impediscono la manifestazione di una volontà cosciente e consapevole) in grado di compiere,
nemmeno con l’assistenza dell’amministratore di sostegno, quel determinato atto. In tale ultima ipotesi,
invero, in mancanza di un esercizio in via rappresentativa, siffatto diritto risulterebbe de facto
totalmente precluso;
dato atto che la pi. moderna giurisprudenza ha effettivamente ammesso che determinati atti
personalissimi siano compiuti non gi. dal soggetto incapace ma, in sua rappresentanza (rectius, in sua
sostituzione), dal tutore e/o dall’amministratore di sostegno. Si tratta, in particolare, del consenso ai
trattamenti sanitari, ambito nel quale . stato attribuito al rappresentante il potere di esprimere la volontà
in luogo del rappresentato, ricostruendola in via presuntiva attraverso un’indagine della personalità,
delle scelte di vita e dei suoi orientamenti (secondo quanto previsto dalla sentenza n. 21748/2007 della
Corte di Cassazione, cui si rimanda integralmente per ci. che concerne parametri e criteri, nonchè per il
principio di diritto ivi espresso);
evidenziato che anche di recente il legislatore, sempre nell’ambito dei trattamenti sanitari, ha
espressamente contemplato ipotesi in cui al Giudice viene conferito il potere di sostituirsi al soggetto
incapace, e financo al suo rappresentante legale, nel decidere a quali trattamenti acconsentire o meno
(cfr. art. 3, comma 5, legge n. 219/2017);
considerato tuttavia che sussistono, ad avviso di questo Giudice, differenze tra queste due ultime
situazioni e quella che invece emerge nel caso di cui alla presente amministrazione di sostegno,
vertendosi infatti in ipotesi in cui si chiede di autorizzare l’amministratore di sostegno a esprimere la
volontà di contrarre matrimonio in nome e per conto di un soggetto attualmente in stato di “coma e i.r.a.
in paziente con emorragia cerebrale”. Un conto ., invero, la situazione in cui deve necessariamente
essere presa una decisione in ordine a quali trattamenti sanitari – ivi compresi quelli c.d. salva vita (e
fatta salva l’operatività dello stato di necessità ex art. 54 c.p., con le ulteriori previsioni di cui alla legge
n. 219/2017) – effettuare o meno, dovendosi discutere di quale sia il soggetto tenuto a manifestare il
consenso; altra, per contro, quella in cui la decisione da assumere (ovvero il consenso a contrarre
matrimonio) risulti non necessaria e non assolutamente indispensabile;
rilevato che la normativa in materia di celebrazione del matrimonio espressamente prevede, quale
requisito, il “mutuo consenso espresso dagli sposi e ricevuto con le prescritte solennità dall’ufficiale di
stato civile” che “non può essere che quello manifestato nella formula e nei modi che la legge richiede
3
ed al quale, indipendentemente dall’interno proposito dei nubendi, seguono gli effetti giuridici propri
del matrimonio civile delle parti stesse voluto” (cfr. Cass. civ, sez. I, sent. 26.3.1964, n. 684), al punto
che “sono cause di inesistenza del matrimonio la mancanza dei requisiti formali della celebrazione e
del consenso degli sposi” (cfr. Cass. civ, sez. I, sent. 14.2.1975, n. 569);
rilevato altresì che:
rilevato, tuttavia, che sussistono evidenti differenze tra – da un lato – impedire al soggetto sottoposto ad
amministrazione di sostegno di compiere un atto personalissimo (giacchè pregiudizievole ai suoi
interessi per le evidenziate ragioni) e – dall’altro – consentirgli invece l’effettivo esercizio del medesimo
diritto laddove egli non sia (merc. le sue contingenti condizioni psico-fisiche e/o di grave incapacità,
che impediscono la manifestazione di una volontà cosciente e consapevole) in grado di compiere,
nemmeno con l’assistenza dell’amministratore di sostegno, quel determinato atto. In tale ultima ipotesi,
invero, in mancanza di un esercizio in via rappresentativa, siffatto diritto risulterebbe de facto
totalmente precluso;
dato atto che la pi. moderna giurisprudenza ha effettivamente ammesso che determinati atti
personalissimi siano compiuti non gi. dal soggetto incapace ma, in sua rappresentanza (rectius, in sua
sostituzione), dal tutore e/o dall’amministratore di sostegno. Si tratta, in particolare, del consenso ai
trattamenti sanitari, ambito nel quale . stato attribuito al rappresentante il potere di esprimere la volontà
in luogo del rappresentato, ricostruendola in via presuntiva attraverso un’indagine della personalità,
delle scelte di vita e dei suoi orientamenti (secondo quanto previsto dalla sentenza n. 21748/2007 della
Corte di Cassazione, cui si rimanda integralmente per ci. che concerne parametri e criteri, nonchè per il
principio di diritto ivi espresso);
evidenziato che anche di recente il legislatore, sempre nell’ambito dei trattamenti sanitari, ha
espressamente contemplato ipotesi in cui al Giudice viene conferito il potere di sostituirsi al soggetto
incapace, e financo al suo rappresentante legale, nel decidere a quali trattamenti acconsentire o meno
(cfr. art. 3, comma 5, legge n. 219/2017);
considerato tuttavia che sussistono, ad avviso di questo Giudice, differenze tra queste due ultime
situazioni e quella che invece emerge nel caso di cui alla presente amministrazione di sostegno,
vertendosi infatti in ipotesi in cui si chiede di autorizzare l’amministratore di sostegno a esprimere la
volontà di contrarre matrimonio in nome e per conto di un soggetto attualmente in stato di “coma e i.r.a.
in paziente con emorragia cerebrale”. Un conto ., invero, la situazione in cui deve necessariamente
essere presa una decisione in ordine a quali trattamenti sanitari – ivi compresi quelli c.d. salva vita (e
fatta salva l’operatività dello stato di necessità ex art. 54 c.p., con le ulteriori previsioni di cui alla legge
n. 219/2017) – effettuare o meno, dovendosi discutere di quale sia il soggetto tenuto a manifestare il
consenso; altra, per contro, quella in cui la decisione da assumere (ovvero il consenso a contrarre
matrimonio) risulti non necessaria e non assolutamente indispensabile;
rilevato che la normativa in materia di celebrazione del matrimonio espressamente prevede, quale
requisito, il “mutuo consenso espresso dagli sposi e ricevuto con le prescritte solennità dall’ufficiale di
stato civile” che “non può essere che quello manifestato nella formula e nei modi che la legge richiede
ed al quale, indipendentemente dall’interno proposito dei nubendi, seguono gli effetti giuridici propri
del matrimonio civile delle parti stesse voluto” (cfr. Cass. civ, sez. I, sent. 26.3.1964, n. 684), al punto
che “sono cause di inesistenza del matrimonio la mancanza dei requisiti formali della celebrazione e
del consenso degli sposi” (cfr. Cass. civ, sez. I, sent. 14.2.1975, n. 569);
evidenziato che, effettivamente, si rinviene nell’ordinamento un’ipotesi in cui il consenso degli sposi
non . espresso personalmente e direttamente dagli stessi. Segnatamente, l’art. 111 c.c. (rubricato
“Celebrazione per procura”) costituisce forma speciale di celebrazione del matrimonio (inizialmente
introdotto da leggi speciali per ragioni di natura bellica e successivamente inserito nel codice civile con
estensione del suo ambito di applicazione) in cui – in via del tutto eccezionale e non estendibile quindi in
via analogica – si deroga al principio in base al quale la dichiarazione deve essere espressa
personalmente e direttamente dagli sposi. Tuttavia, ci. . ammesso al ricorrere delle due tassative ipotesi
ivi indicate (militari o persone che per ragioni di servizio si trovano al seguito delle forze armate in
tempo di guerra; situazione in cui uno degli sposi risiede all’estero e concorrono gravi motivi) e a fronte
del rilascio in forma di atto pubblico di procura speciale;
constatato che il caso di specie non integra n. la fattispecie di cui all’art. 111 c.c. n. quella di cui all’art.
101 c.c.;
rilevato che dall’istruttoria svolta all’udienza del 3.3.2020 . emerso che:
– sia il beneficiario che l’attuale compagna sono divorziati e hanno avuto dal loro primo matrimonio dei
figli, e la loro relazione dura da oltre dieci anni;
– il beneficiario e l’attuale compagna convivono unitamente ai propri figli in un’abitazione di proprietà
del beneficiario, da circa cinque o sei anni;
– tutti i parenti nulla hanno opposto a un eventuale matrimonio tra il beneficiario e l’attuale compagna,
esprimendo la loro felicità in proposito;
– il beneficiario . sommozzatore della Polizia di Stato con qualifica di Assistente Capo;
– il beneficiario avrebbe riferito numerose volte, sia ai genitori che al fratello ____ e al figlio ____, di
volersi sposare con la compagna (“la prima volta che ne hanno parlato è stata circa quattro o cinque
anni fa”), anche a seguito di incidenti occorsi a dei colleghi, da cui sarebbe rimasto a tal punto scosso
da riferire ai familiari “mi sa che è meglio che la sposo, perché faccio un lavoro pericoloso”;
– il beneficiario e la compagna, tuttavia, stando alle dichiarazioni rese dai parenti, non hanno mai
provveduto a sposarsi n. – ad oggi – a richiedere le pubblicazioni matrimoniali, n. tantomeno a
programmare alcune attività tipiche di un matrimonio (scelta della data e del luogo della cerimonia e del
ricevimento, etc.), nonostante i propositi in tal senso e la lunga convivenza, nonchè le riflessioni svolte
sulla pericolosità del lavoro e i rischi connessi;
– il beneficiario avrebbe rappresentato (come da dichiarazione resa al collega in occasione dell’incidente
che ha portato all’attuale situazione in cui versa il beneficiario) la propria preoccupazione per la
compagna e “la volontà di contrarre matrimonio con lei, dispiaciuto di non averlo ancora fatto”;
– dal punto di vista dell’attuale stato di salute, l’unica documentazione medica in atti riferisce una
diagnosi di “coma e i.r.a. in paziente con emorragia cerebrale”. All’udienza, il fratello _____ ha
aggiunto che il beneficiario “è in prognosi riservata, non ci si può pronunciare sulla sua situazione di
salute, le condizioni sono gravi ma i medici non escludono una possibile ripresa” e che “da quando è
entrato in sala operatoria non ha avuto momenti di coscienza”;
preso atto che l’istruttoria avrebbe, in effetti, rappresentato una convivenza consolidata e duratura nel
tempo, nonchè una situazione di armonia e serenità all’interno del nucleo famigliare, anche “allargato”;
ritenuto al contempo di dover rimarcare, a prescindere dalla consapevolezza del beneficiario circa la
pericolosità del proprio lavoro, cui non ha fatto seguito – nonostante i numerosi anni di convivenza con
l’attuale compagna – nessuna manifestazione concreta ed effettiva di convolare a nozze, che l’unica
documentazione medica in atti riporta una grave situazione di salute del beneficiario, che ne attesta
l’assoluto attuale stato di incoscienza e di incapacità di manifestare un consenso;
rilevata altresì la circostanza che dal momento dell’operazione permane inalterato l’attuale stato di
incoscienza del beneficiario;
considerato, in conclusione, che le osservazioni ut supra effettuate – e in particolare la succitata
normativa in tema di matrimonio – non consentono, ad avviso di questo Giudice, deroghe in ordine alla
necessità di un consenso alle nozze espresso direttamente e personalmente dal nubendo (poichè atto
personalissimo), risultando pertanto ostative all’attribuzione all’amministratore di sostegno (quale
rappresentante del beneficiario) dell’ulteriore potere, previa verifica della volontà e consenso al
matrimonio con la sig.ra ______, di rilasciare all’atto di matrimonio dichiarazione della volontà di
contrarre in nome e per conto dell’amministrato nonchè alla sottoscrizione dell’atto (oltre che di
richiedere all’ufficiale di stato civile del Comune di Bari di procedere ex art 101 c.c. alla celebrazione
del matrimonio fuori della casa comunale senza pubblicazione e senza l’assenso al matrimonio);
P.Q.M.
rigetta la richiesta di estensione dei poteri in capo all’amministratore di sostegno come avanzata
all’udienza del 3.3.2020;
conferma, di conseguenza, i poteri attribuiti all’amministratore di sostegno con decreto del 3.3.2020.
Si comunichi con urgenza.

La minaccia e l’idoneità intimidatoria della frase

Il Giudice di Pace di Ferentino Dott ANTONIO VELLUCCI nella pubblica udienza del 1 luglio 2020 ha pronunciato mediante lettura del dispositivo la seguente sentenza
emessa nei confronti di (omissis: l’imputato) del reato p. e p. dall’art. 612 C.P. perché minacciava un danno ingiusto a (omissis: parte offesa costituita parte civile) proferendo nei suoi confronti le seguenti frasi “”ti faccio vedere cosa ti faccio, vedremo dove andremo a finire…vi faccio vedere io cosa vi combino … ve la faccio pagare …” in … Fr il 7.11.2017;
Con l’intervento del P.M. V.P.O., del difensore della parte civile e della difesa dell’imputato;
CONCLUSIONI
Il Pm VPO conclude per l’assoluzione dell’imputato; il difensore della parte civile chiede la condanna dell’imputato con il versamento di cui alla richiesta di parte civile, e la difesa dell’imputato si riporta alla richiesta di assoluzione del P.M. e, concorda con la richiesta del p.m. di assoluzione;
SVOLGIMENTO E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con atto di citazione a giudizio del 24 maggio 2018 l’imputato… era chiamato a rispondere del reato in epigrafe specificato.
Alla udienza odierna il sottoscritto Giudice di Pace preliminarmente controllata la regolarità della costituzione delle parti osserva:
A) Esame certificato penale dell’imputato
Dal certificato penale dell’imputato albanese si nota che lo stesso non riporta alcuna condanna.
B) Nel procedimento de quo l’imputato è stato rinviato a giudizio a seguito di querela della parte offesa…
Ebbene nella fattispecie di causa è emerso che l’imputato, come si evince dal verbale di ricezione della querela a firma della… parte offesa,
“che il 2017 il giorno 7 del mese di novembre la stessa, premette di far parte della soc. … srl con sede in Roma Via … e con sede operativa in … (omissis). Dichiara altresì che presso questa sede vi è un custode della struttura tale … attuale imputato, di nazionalità albanese, con appartamento all’interno della struttura con accesso indipendente; lo stesso imputato come si evince dalla querela è regolarmente assunto con contratto stipulato in data… 2016.
La stessa parte offesa dichiara nella querela che l’attuale imputato ha proferito alcune parole «Ti faccio vedere io.. ringrazia perché sei donna,.. tanto vedrai…», proferiva anche le frasi di cui al capo di imputazione.
C) Esame testi della parte offesa della costituita parte civile
a) Teste … riferisce che : “all’epoca dei fatti di causa nel 2017 lavoravo presso l’… (n.d.r. l’azienda ove lavorava l’imputato) denominato …; adr p.m. … (imputato) lavorava nello stesso stabilimento come custode e factotum mi pare era stato assunto dal 2017; adr pm il… (imputato) viveva nello stabilimento in una abitazione sita all’esterno dello stabilimento che faceva parte dello stesso stabilimento con entrata separata;
ADR PM io ero a conoscenza della contestazioni mosse a suo carico per dei problemi che aveva avuto;
adr pm ero presente quanto abbiamo accompagnato io ed il sig.… il … (imputato) presso l’ufficio dell’amministrazione della sigra… (parte offesa),
adr pm gli venivano contestati all’imputato alcune mancanze lavorative e noi siamo stati chiamati dalla sigra … (parte offesa) perché avevamo assistito alla mancanza del … (imputato), che a volte non apriva il cancello;
adr prm il … (imputato) battendo i pugni sulla scrivania proferiva le parole di cui alla querela alla sigra … (parte offesa); adr giudice portammo il … (imputato) fuori dell’ufficio dopo che si era calmato”;
b) Il teste… “riferisce che lavorava nel 2017 presso la … (azienda ove lavorava l’imputato); la sig.ra … (parte offesa) ci ha convocati tutti e tre … e l’imputato presso l’ufficio, per contestare all’imputato alcune mancanze; la sigra … (parte offesa) consegnava al … (imputato) una lettera e l’imputato con fare minaccioso si rivolgeva alla … (parte offesa) dicendo che gliela faceva vedere lui, non ricordo se firmò i fogli noi abbiamo cercato di calmare il … (imputato); ha minacciato la sigra … (parte offesa) dicendo ti faccio vedere io; la sigra … (parte offesa) non è stata aggredita fisicamente ma verbalmente; non so se sono stati notificati atti da parte del … (imputato)”;
⁃ Dalla prova testi della difesa di parte civile non emerge alcunché di minaccioso in quanto sono solo deduzioni e circostanze riferite dai testi, che non possono dedurre su circostanze valutative e su considerazioni, su fatti e circostanze dove la ” impressione” è individuale, e il tono minaccioso “è di natura individuale, per cui il tono minaccioso riferito dai testi e dalla imputata (n.d.r.=rectius parte offesa) nella querela non è stato provato e non poteva essere diversamente; non si può provare una circostanza che si basa su valutazioni soggettive; infatti un teste riferisce che non si è “passati alle mani” a dimostrazione che per lui (rectius teste) la frase non assurge a minaccia, ma solo il “passare alle mani” è fatto minaccioso.
D’altronde le frasi non riportano alcunché di minaccioso;
Sta di fatto che allorché i testi devono rispondere se vi è stata richiesta di risarcimento civile da parte dell’imputato i testi o sono reticenti o non sanno riferire alcunché;
per cui la prova della minaccia la parte civile non è stata in grado di portarla in questo procedimento, da qui l’assoluzione.
D) Esame documentazione depositata dalla difesa dell’imputato
a) Come si evince dalla documentazione depositata risulta un assegno di euro 5.000,00 versato al … (imputato) da parte della . (parte offesa)…
b) Vi è una dichiarazione di desistenza dell’imputato … sul ricorso per fallimento presso il Tribunale di Roma con la quale l’attuale imputato … con sentenza ottenuta dal Tribunale di Frosinone otteneva la condanna dell’… (azienda ove lavorava) srl di pagare euro 6.665,00 oltre interessi e oltre spese processuali di euro 2.667,00 oltre iva cpa e rimborso forfettario, lo stesso chiedeva istanza di fallimento ai danni della debitrice società in cui lavorava .
c) vi è in atti atto di pignoramento presso terzi dell’attuale imputato verso la … (azienda ove lavorava) per euro 7.003,20 in forza di decreto ingiuntivo del Tribunale di Frosinone sezione lavoro;
d) Vi è anche verbale di pignoramento mobiliare effettuato su biliardi di proprietà della … (azienda ove lavorava l’imputato) srl;
E) Bisogna far rilevare che tutta la documentazione di cui al punto precedente riguarda pagamenti dei mesi di ottobre, novembre, dicembre, tredicesima del 2017.
La querela riguarda fatti proprio del 2017 infatti la querela è del 7 nov. 2017 all’indomani del “licenziamento del …” , per cui le circostanze riguardano proprio tali fatti di cui agli atti pubblici che provano l’assunto dell’odierno imputato, che con tutte le sue ” ragioni” ha ” minacciato “a dire della querelante, su fatti di cui aveva piena ragione, da qui
le frasi riportate nella querela non assurgono a reato di minaccia ex art 612 c.p.
F) Excursus sul reato di minaccia e dell’art 612 c.p. nel tempo e interpretazione giurisprudenziali della Cassazione
Come si sa la minaccia è un delitto contro la libertà individuale della persona.
Si tratta di un reato che ha natura di pericolo in quanto può rappresentare l’antefatto di atti lesivi concreti; tuttavia ogni minaccia deve essere adeguatamente valutata in funzione della circostanza delle condizioni dell’agente e dell’effetto sulla vittima;
il principale effetto costitutivo del reato è proprio la prospettazione di un ingiusto danno tale da limitare la libertà morale della vittima e il cui futuro verificarsi dipende in maniera diretta o commissionata dall’agente.
Non rientrano, quindi, nella categoria le semplici imprecazioni o gli insulti.
Affinché la minaccia sia perseguibile non è condizione necessaria la presenza al compimento del fatto della persona interessata; è infatti sufficiente che quest’ultima ne risulti informata anche indirettamente da altri soggetti, a patto sia rilevabile la volontà dell’agente di produrre il vero e proprio risultato di intimorire la persona offesa.
Su questo punto ci sovviene in aiuto la recente sentenza della Cassazione la n. 25080 del 16 giugno 2016 sezione quinta dove si legge “” che al fine del delitto di minaccia, l’idoneità intimidatoria di una frase, pur in astratto in grado di integrare la condotta tipizzata dell’art. 612 cp, deve essere valutata con riferimento al concreto contesto di riferimento;
E’ emerso di converso che l’imputato ha fatto diverse vertenze con la parte civile suo ex datore di lavoro a seguito di licenziamento e questo rende le dichiarazioni e la querela e dei due testi annullate in quanto non provate .
La documentazione in atti e le cause civili testimoniano che le stesse riguardano fatti e circostanze riferite all’anno 2017 ottobbre-novembre-dicembre e 2017, infatti la querela e del novembre 2017.
Perciò l’imputato va assolto.
La Cassazione poi ha con diverse sentenze prospettato nuove linee sul delitto di minaccia semplice e lieve.
Infatti la Cassazione riferisce che non” si può accettare supinamente ed acriticamente” e, “non si possono punire parole che non raggiungono il limite del principio costituzionale di lesività””
La sentenza che taglia come si suol dire la “testa al toro” è quella della Cassazione penale la n. 44381 del 26 settembre 2017 dove non è stato configurato il reato ex art. 612 c.p. “in quanto sussistendo da tempo un contrasto tra persona offesa ed imputato ,non poteva escludersi che il riferimento fosse a possibili azioni giudiziarie , e quindi le fasi di cui alla querela vanno riferite alla prospettazione dell’esercizio di azioni giudiziarie , e quindi tale generica espressione, in quanto esplicazione di un diritto non implica un danno ingiusto e quindi il reato di minaccia non sussiste”.
Pertanto rebus sic stantibus il Giudice di Pace di Ferentino
P.Q.M.
Visto l’ art. 530 comma 2 c.p.p.
ASSOLVE
… (l’imputato) dal reato ascritto

L’emergenza sanitaria può costituire sopravvenienza ai fini degli obblighi economici

Tribunale di Verona, 1^ luglio 2020
TRIBUNALE ORDINARIO di VERONA
SEZIONE FAMIGLIA E INTERDIZIONI-INABILITAZIONI CIVILE
VERBALE DELLA CAUSA n. r.g. 0000 /2019
tra
GAIA
ATTORE/I e
CORNELIO
CONVENUTO/I Oggi 1/07/2020 la dott. Virginia Manfroni, assistita dalla dott.ssa XY procede alla trattazione scritta della causa ex art. 83 comma 7 lettera h) DL n. 18 del 17.3.20 convertito nella l. 24.4.20 n. 27.
Si dà atto di aver ricevuto e esaminato le note di udienza depositate dalle parti in data 19.6.20 da parte ricorrente e che nessuna contestazione risulta sollevata sulle modalità di trattazione del procedimento.
Il Giudice
Preso atto di quanto sopra, ritenuto che le sopravvenienze in fatto legate all’emergenza sanitaria abbiano inciso sulle condizioni reddituali della ricorrente sensibilmente peggiorate rispetto alla data dei provvedimenti presidenziali (cfr. doc. 17 ricorrente), con verosimili proiezioni anche nel periodo successivo (cfr. doc. 18 ricorrente);
tenuto conto dei redditi documentati del resistente, delle spese abitative dallo stesso sostenute a fronte della disponibilità in capo alla ricorrente della casa familiare in comproprietà;
PQM
visto l’art. 185 bis cpc formula alle parti la seguente proposta conciliativa:
1. Separazione.
2. Euro 400,00 mensili a titolo di mantenimento dei figli (euro 200,00 per figlio).
3. Euro 100,00 mensili a titolo di mantenimento per la ricorrente.
4. Spese compensate.

Per le ragioni indicate nella parte motiva, modifica fin da ora i provvedimenti presidenziali unicamente con riferimento alla previsione dell’assegno di mantenimento per la ricorrente nella misura di Euro 100,00 mensili con decorrenza a partire dal mese di luglio 2020.
Rinvia per consentire alle parti di prendere posizione in ordine alla proposta del Giudice all’udienza del 9.12.20 ore 11.00, con salvezza dei diritti di prima udienza.
Il Giudice
dott. Virginia Manfroni

L’accordo di separazione omologato non è impugnabile per simulazione.

Corte d’Appello di Napoli, 18 dicembre 2019
ha emesso la seguente
S E N T E N Z A
nella causa iscritta al n. 5372/2018 RG, in materia di cessazione degli effetti civili
del matrimonio (appello contro Tribunale di Napoli 15 ottobre 2018 n. 8812),
vertente
tra
A. ____, c.f. ___, elettivamente domiciliato in Napoli, Viale Gramsci 21, nello
studio dell’avv. Gaetano Del Giudice (c.f. DLGGTN 82B07F839W; pec
gaetanodelgiudice@avvocatinapoli.legalmail.it), che lo rappresenta e difende
giusta procura in atti, appellante
e
C. _____, c.f. ___, elettivamente domiciliata in Napoli, Riviera di Chiaia 105,
nello studio dell’avv. Mario Gallo (c.f. GLLMRA 53R04F839B); pec
mariogallo@avvocatinapoli.legalmail.it), che la rappresenta e difende giusta
procura in atti, appellata
con l’intervento del
Procuratore Generale in sede.
Conclusioni
Come da verbale del 22.05.2019.
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
1 ~ Con sentenza del 15.10.2018 n. 8812, il Tribunale di Napoli – accogliendo
la domanda di __ C. nei confronti di __ A., il quale aveva eccepito la simulazione
assoluta della separazione consensuale omologata dallo stesso Tribunale con
decreto del 15.02.2013 e in subordine l’avvenuta riconciliazione per il fatto che i
coniugi in realtà avevano continuato ancora per mesi a condividere la quotidianità
– ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio contratto dalle parti a Capri il
29.10.1994; ha dichiarato di aderire all’orientamento ribadito da Cass. 12
settembre 2014 n. 19319 che esclude l’impugnabilità per simulazione dell’accordo
1
di separazione una volta omologato; ha ritenuto non dimostrata la riconciliazione
per effetto della mera coabitazione; ha rigettato altre domande formulate dalle
parti; ha condannato A. alle spese di lite.
2 ~ ___ A. ha proposto appello, rassegnando le seguenti conclusioni: «In via
istruttoria: si chiede di essere ammessi alla prova orale con i testi e sui capitoli
indicati nella memoria II termine ex art. 183, comma 6, c.p.c. e ritrascritti nel
presente ricorso, nonché, come richiesto nella memoria I termine ex art. 183,
comma 6, c.p.c., qualora non si ritenesse la concessione della residenza
monegasca condizione necessaria e sufficiente a comprovare l’autosufficienza
della sig.ra C. sin dal momento del suo primo rilascio, disporre ai sensi dell’art. 5
l. 898/70 e in aderenza agli accordi Italia-Montecarlo del marzo 2015
un’ispezione contabile tramite rogatoria internazionale ai sensi dell’art. 204 c.p.c.,
in tutti gli istituti bancari su piazza in Montecarlo, sui redditi e i patrimoni della
sig.ra C. e sul suo effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della
Polizia Tributaria. In via principale: in riforma totale della sentenza n. 8812/2018
resa dal Tribunale di Napoli e pubblicata il 15.10.2018: A) accertare e dichiarare
la simulazione della separazione personale congiunta e per l’effetto dichiarare la
revoca delle condizioni di separazione e la restituzione delle somme mutuate alla
sig.ra C.; B) accertare e dichiarare l’avvenuta riconciliazione dei coniugi già a
partire dal giorno seguente al verbale di separazione e per l’effetto il venir meno
della separazione consensuale sottostante la richiesta di divorzio; C) per l’effetto
di cui al punto A) e B), accertare e dichiarare che l’atto per notar Morelli del 6
maggio 2013 di adempimento dell’obbligo assunto in sede di separazione
consensuale è affetto da interposizione fittizia di persona, avendo le parti soltanto
simulato di voler trasferire la proprietà alla sig.ra ___ C. in adempimento
dell’obbligo di mantenimento e che, pertanto, gli immobili detti vadano
riassegnati all’ing. A. in uno a tutte le somme prestate dopo la separazione; D) per
l’effetto di quanto al punto C), accertare e dichiarare l’assegnazione e la proprietà
in capo all’ing. ___ A. dei due immobili siti in Napoli alla Via ____, piano 2,
individuati al N.C.E.U. del Comune di Napoli alla sez. CHI, foglio 25, p.lla ___,
sub ___, cat. A/2, classe 7 (…); E) accertare e dichiarare che le somme mutuate
alla sig.ra C. dal marito ___ A., vadano a quest’ultimo restituite. In via
subordinata; F) accertare e dichiarare che esistono validi motivi per procedere alla
modifica delle condizioni statuite in sede di separazione per essersi del tutto
peggiorata esclusivamente la condizione economica dell’ing. A. e, comunque, in
virtù del principio dell’autoresponsabilità economica della sig.ra C., anche in
considerazione della propria autosufficienza economico/patrimoniale; G) per
l’effetto di cui al punto F), disporre la revoca delle condizioni patrimoniali
stabilite in separazione, con conseguente rientro dell’ing. A. nella disponibilità dei
beni ceduti alla moglie successivamente alla separazione; accertare e dichiarare
che nessuna somma è erogabile a titolo di mantenimento per la moglie, non
ricorrendone alcuna plausibile motivazione; H) per l’effetto di cui ai punti che
precedono, ordinare al Conservatore dei RR.II. di Napoli di provvedere
all’annotazione dell’emananda sentenza; I) disporre e ordinare ogni conseguente
adempimento. L) Con vittoria delle spese, diritti ed onorari di entrambi i gradi di
giudizio».
3 ~ Nel costituirsi in giudizio, ___ C. ha chiesto che l’appello sia rigettato, con
vittoria di spese da distrarsi in favore dell’avv. Mario Gallo, dichiaratosi
antistatario.
2
4 ~ All’udienza del 22.05.19, sulle conclusioni riportate a verbale, la Corte ha
riservato la decisione.
5 ~ La Corte osserva che:
– ___ C. instaurò giudizio di divorzio con ricorso notificato al marito ___ A. il
28.04.2016;
– nel costituirsi in giudizio, A. eccepì che la separazione consensuale tra essi
coniugi (ricorso del 26.09.2012; comparizione dinanzi al Presidente del Tribunale
il 14.01.2013; decreto di omologazione in data 8.02.2013) era simulata come tutti
gli accordi economici accessori, tanto che i coniugi non si erano affatto separati e
avevano continuato a convivere fin quando molti mesi dopo la C. unilateralmente
aveva abbandonato il marito, una volta conseguiti i vantaggi economici previsti
nel (simulato) accordo di separazione (in particolare, l’intestazione di due
immobili con atto per notaio Morelli di Napoli del 6.05.2013 in apparente
adempimento dell’obbligo di mantenimento a carico del marito ma in realtà
finalizzata soltanto a mettere al riparo i predetti beni dalle aggressioni del ceto
creditorio della fallita S.O.N. SpA); in ogni caso (secondo A.) la perdurante
convivenza malgrado la formale separazione implicava che «non vi fosse alcun
bisogno di riconciliazione, non essendovi mai stata separazione se non a fini
strumentali» (appello, pag. 4);
– A. chiese perciò che venisse accertata e dichiarata l’invalidità della attribuzione
immobiliare per notaio Marelli del 6.05.2013 per interposizione fittizia di persona
e che gli fossero riassegnati gli immobili in questione; in subordine, che fossero
revocate le condizioni di separazione per la «subentrata differenza nelle
consistenze patrimoniali e reddituali dei due coniugi – condizione che, peraltro,
era presupposto del trasferimento di beni a base della simulata separazione tutta
a favore della C.»;
– conviene subito dire che la domanda subordinata, di modifica delle condizioni
economico-patrimoniali della separazione, reiterata in appello ai punti F) e G)
delle conclusioni, è certamente inammissibile perché siamo in sede di divorzio e
dunque di nuove (eventuali) statuizioni economico-patrimoniali, che regolino in
via esclusiva i rapporti fra gli ex coniugi a partire dallo scioglimento del
matrimonio; nel caso in esame, la sentenza impugnata non ha posto a carico di A.
obblighi economici di sorta, suscettibili di essere revocati o modificati;
– sotto altro profilo, soltanto l’annullamento della pronuncia di divorzio
determinerebbe la reviviscenza delle condizioni della separazione che la domanda
subordinata chiede siano modificate; ma poiché tale annullamento è chiesto da A.
(in via principale) sul presupposto della simulazione (e dunque della inefficacia)
degli accordi della separazione (si dirà tra poco dell’allegata riconciliazione), una
volta rimosso per tale via l’ostacolo del divorzio, non vi sarebbe più alcuna
condizione da modificare;
– neppure compete al giudice del divorzio domandarsi se siano validi (e quale ne
sia la sorte) gli accordi con i quali i coniugi in sede di separazione dispongano il
trasferimento dall’uno all’altro di un bene patrimoniale a saldo degli obblighi di
mantenimento, tanto più che accordi del genere non influiscono sul successivo
regime economico-patrimoniale del divorzio [Cass. 30 gennaio 2017 n. 2224];
– la dedotta riconciliazione (secondo motivo di appello) è incompatibile con le
premesse in diritto e in fatto poste dallo stesso appellante, perché presuppone una
previa (valida) separazione (che A. nega) e il ripristino di una convivenza che sia
cessata (laddove A. assume una mai cessata affectio coniugalis e una mai
3
interrotta convivenza, quanto meno al momento della omologazione degli accordi
e del successivo rogito notarile);
– in ogni caso non configura “riconciliazione” (ai fini della cessazione degli effetti
giuridici della separazione) la circostanza che la coabitazione dei coniugi sia
cessata in un momento differito rispetto alla formale pronuncia di separazione,
come (a tutto concedere) è avvenuto nel caso in esame;
– neppure rileva nel giudizio di divorzio l’azione intrapresa da terzi creditori per la
simulazione/revocazione dell’atto notarile di trasferimento immobiliare, peraltro
con esito negativo (v. sentenza del Tribunale di Napoli 19 aprile 2019 n. 4239) e
che non avrebbe comunque diretta incidenza sulla validità della separazione;
– l’appellante mostra di non ignorare che, come rilevato dal Tribunale, l’ultimo
arresto della giurisprudenza di legittimità sull’argomento (al quale il giudice del
merito può ben aderire – e questa Corte aderisce – in base al principio di
nomofilachia) è nel senso che «l’accordo di separazione dei coniugi omologato
non è impugnabile per simulazione poiché l’iniziativa processuale diretta ad
acquisire l’omologazione, e quindi la condizione formale di coniugi separati, è
volta ad assicurare efficacia alla separazione, così da superare il precedente
accordo simulatorio, rispetto al quale si pone in antitesi dato che è logicamente
insostenibile che i coniugi possano “disvolere” con detto accordo la condizione di
separati ed al tempo stesso “volere” l’emissione di un provvedimento giudiziale
destinato ad attribuire determinati effetti giuridici a tale condizione» [Cass. 12
settembre 2014 n. 19319];
– l’appellante (primo motivo di appello) sollecita però un revirement in base a un
obiter dictum che sarebbe contenuto in una precedente pronuncia della Suprema
Corte [Cass. 20 marzo 2008 n. 7450];
– detta sentenza, esaminando una domanda di modifica del titolo della separazione
(da consensuale a contenziosa), sembra voler tornare alle posizioni e alle
conclusioni espresse da Cass. 5 marzo 2001 n. 3149 e stabilisce che «in tema di
separazione consensuale, la natura negoziale dell’accordo rende applicabili le
norme generali che disciplinano la materia dei vizi della volontà e della
simulazione, i quali, tuttavia, non sono deducibili attraverso il giudizio camerale
ex artt. 710-711 c.p.c.; infatti, costituisce presupposto del ricorso a detta procedura
l’allegazione dell’esistenza di una valida separazione omologata, equiparabile alla
separazione giudiziale pronunciata con sentenza passata in giudicato, con la
conseguenza che la denuncia degli ipotetici vizi dell’accordo di separazione,
ovvero della sua simulazione, resta rimessa al giudizio ordinario»;
– va notato tuttavia che, in quel caso, si decideva su di una domanda di modifica
del titolo della separazione (da consensuale a contenziosa) e la ricorrente aveva
allegato a sostegno della domanda fatti ascrivibili ad un possibile dolo
determinante posto in essere, a suo dire, dal marito; nessun richiamo, diretto o
indiretto, alla simulazione compariva invece negli atti di causa (stando almeno a
quanto emerge dalla lettura della pronunzia di legittimità e dei relativi motivi di
ricorso, così come in quest’ultima riassunti), onde il riferimento alla simulazione è
limitato a un mero passaggio argomentativo della sentenza di legittimità;
– la Cassazione in quel caso ribadì il giudizio di inammissibilità (già espresso dai
giudici di merito) del petitum posto dalla moglie, in quanto limitato alla richiesta
di mutamento di titolo della separazione e non di annullamento della medesima,
da proporsi, oltre tutto, con il rito ordinario anziché con quello separatizio;
4
– tanto basta, ad avviso di questa Corte, ad escludere l’ammissibilità di una mera
eccezione di simulazione o anche di una domanda riconvenzionale introdotta nel
giudizio di divorzio (e non con apposito giudizio ordinario), inammissibilità
peraltro tempestivamente eccepita dalla difesa di ___ C. all’udienza del
29.11.2016;
– resta assorbito il terzo motivo di appello, con cui A. chiede la riassegnazione
degli immobili (per la quale peraltro non basterebbe l’accertamento giudiziale
della simulazione degli accordi di separazione, occorrendo anche l’accertamento
giudiziale della simulazione assoluta dell’atto pubblico di trasferimento) e la
riassegnazione delle somme versate da A. alla moglie, sul presupposto, disatteso
invece da questa Corte, che sia dichiarata o la simulazione o la riconciliazione;
– dell’altra questione, relativa alla richiesta di modifica della condizioni della
separazione, si è già detto quanto necessario;
– di nessun pregio è il riferimento dell’appellante ai presupposti dell’assegno
divorzile, giacché questo non è stato affatto attribuito dal giudice di primo grado;
– la restituzione di “prestiti” che la C. abbia ricevuto dall’ex marito (appello, pag.
28) non è di competenza del giudice del divorzio; tanto meno lo è la
prospettazione di un indebito arricchimento (pag. 29), ove l’appellante intenda
farne scaturire accertamenti giudiziali;
– per completezza, è d’uopo rilevare che l’appellante, pur deducendo che la
convivenza coniugale sia cessata non per effetto della separazione consensuale ma
in un momento di molto successivo, non contesta che si sia protratta per il tempo
minimo sufficiente a legittimare la domanda di divorzio.
6 ~ L’appello va perciò respinto.
7 ~ Spese del grado secondo soccombenza, liquidate in favore dell’avv. Mario
Gallo, dichiaratosi antistatario, in base allo scaglione di valore 26.001/52.000
(cause di valore indeterminabile). Perciò liquidate in € 5.175,00 di cui € 1.200,00
per fase di studio, € 1.000,00 per fase introduttiva, € 2.300,00 per fase decisionale
ed € 675,00 per rimborso forfetario di spese generali al 15%, oltre IVA e CPA.
Sussistono i presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 quater, del DPR 30
maggio 2002 n°115, per il versamento, da parte di ___ A., di un ulteriore importo
a titolo di contributo unificato.
Per questi motivi
la Corte, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da ___ A. nei
confronti di ___ C. avverso la sentenza del Tribunale di Napoli 15 ottobre 2018 n.
8812, così provvede:
a) rigetta l’appello;
b) condanna ___ A. al pagamento, in favore dell’avv. Mario Gallo, dichiaratosi
antistatario, delle spese del presente grado, liquidate in € 5.175,00 di cui €
1.200,00 per fase di studio, € 1.000,00 per fase introduttiva, € 2.300,00 per fase
decisionale ed € 675,00 per rimborso forfetario di spese generali al 15%, oltre
IVA e CPA;
c) dà atto che sussistono i presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 quater, del
DPR 30 maggio 2002 n°115, perché ___ A. versi un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato.