Sull’opportunità del trasferimento all’estero con il figlio da parte del genitore collocatario

Tribunale di Firenze, Sent., 29 maggio 2024, n. 1710; Pres. Governatori, Rel. Benincasa
IL TRIBUNALE DI FIRENZE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. SN ha adito il Tribunale di Firenze per sentir dichiarare la cessazione degli effetti civili del
matrimonio contratto con CV, la quale, a propria volta, ha proposto contestualmente ricorso di
divorzio.
A seguito della riunione dei giudizi, è stata espletata un’istruttoria con documenti e c.t.u. psicologica,
e all’udienza cartolare del 26/2/2024 le parti hanno precisato le conclusioni sopra riportate.
2. Ai sensi degli artt. 2 e 3 n. 2 lett. b) L. 1 dicembre 1970, n. 898, come modificata dalla L. 6 maggio
2015, n. 55, la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere pronunciata qualora si accerti
che “la comunione spirituale e materiale dei coniugi non può essere mantenuta o ricostituita” nel caso
in cui “è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi
ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto”
purché la separazione si sia protratta ininterrottamente “da almeno dodici mesi dall’avvenuta
comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale
e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia
trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a
seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell’atto contenente
l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile”.
Nel caso in esame ricorrono i suddetti presupposti per la pronuncia della cessazione degli effetti civili
del matrimonio.
Infatti, come emerge dalla copia degli atti della separazione prodotti dal ricorrente, il Tribunale di
Firenze, con decreto n. 5295/2020, pubblicato in data 4/8/2020, aveva omologato la separazione
personale tra i coniugi alle condizioni tra gli stessi concordate (doc. 6).
Pertanto, alla data del deposito del ricorso introduttivo del presente giudizio (4/2/2022), erano
sicuramente già trascorsi, dalla comparizione dei coniugi davanti al Presidente, ben oltre i sei mesi
richiesti dalla norma sopra riportata.
Inoltre, appare evidente che la comunione spirituale e materiale dei coniugi, ormai separati da circa
quattro anni, durante i quali essi non si sono riconciliati, non può più essere ricostituita.
Pertanto, deve essere pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio.
2. La figlia minore della coppia, AVS nata in data …, attualmente vive con la madre in E., e frequenta
il padre come indicato dal c.t.u. dr.ssa AC nella relazione depositata il 10/11/2023, ovvero fine
settimana alternati, oltre a due giorni infrasettimanali (con un pernotto) nella settimana il cui weekend
è di competenza materno, e un giorno infrasettimanale con pernotto nella settimana il cui weekend è
di competenza paterno.
La consulenza tecnica si è resa necessaria a causa dell’intensa conflittualità che connotava il rapporto
tra le parti (la madre aveva chiesto l’affido super-esclusivo della minore e una riduzione degli incontri
tra A e il padre) e anche in relazione alla richiesta di VC di trasferirsi in Svizzera dal compagno
insieme alla figlia, richiesta cui il padre si è opposto.
Il c.t.u., con relazione congruamente motivata (alla quale si rinvia), ha concluso affermando che
entrambi i genitori hanno instaurato un legame positivo con la figlia, e al momento appaiono
ugualmente idonei ad esercitare la loro responsabilità nei confronti della stessa.
Tenuto conto di quanto emerso dalla relazione tecnica, A deve essere affidata in via condivisa ad
entrambi i genitori, come richiesto peraltro dagli stessi in sede di precisazione delle conclusioni, non
essendovi ragioni per distaccarsi dal regime che costituisce la regola in materia di affidamento dei
figli minori in caso di rottura dell’unione familiare.
3. In merito alla collocazione della bambina, si deve premettere che la madre ha dichiarato di essere
in procinto di trasferirsi a L., in S., dove ella ha un progetto di vita con l’attuale compagno, e dove ha
reperito un lavoro (v. interrogatorio libero della C espletato da ultimo all’udienza del 21/2/2024).
Di fronte alla decisione già assunta dalla madre, il Tribunale deve dunque stabilire se sia più
opportuno mantenere ferma l’attuale collocazione della bambina presso la madre, autorizzando, di
conseguenza, il trasferimento di A in S. (come richiesto dalla C, oppure modificare la collocazione
della minore, spostandola presso il padre a F.
Orbene, occorre rilevare che il padre non ha domandato la collocazione di A presso di sé, avendo
invece, nelle conclusioni precisate nella nota scritta depositata il 26/2/2024, espressamente
domandato la collocazione della figlia presso la madre.
Il S, in effetti, ha richiamato de plano le conclusioni già precisate nella memoria ex art. 183 comma
6 n. 1 c.p.c., senza neppure considerare l’ipotesi del trasferimento in S. della madre – trasferimento di
per sé del tutto lecito, non potendo essere ostacolata la libertà di movimento delle persone, garantita
anche costituzionalmente – nonostante che la C, all’udienza del 21/2/2024, avesse già dichiarato che
si sarebbe comunque trasferita in S.
Il tenore delle conclusioni paterne consente dunque di desumere una indisponibilità del S a gestire la
bambina per la maggior parte del tempo, come invece accadrebbe dopo il trasferimento della madre
a L., in caso di collocazione della figlia in F. presso il padre.
Si deve poi rilevare che secondo il c.t.u. “per età e per i bisogni di identificazione con la figura materna
e sulla base delle osservazioni effettuate, non vi sono motivi per modificare l’attuale collocamento
della minore presso la madre che si dovrà fare garante di mantenere l’accesso al contesto paterno” (v.
relazione pag. 37).
Sulla base di quanto osservato, il Tribunale ritiene di dovere mantenere ferma la collocazione di A
presso la madre, e di conseguenza ne autorizza il trasferimento a L., in S.
A potrà cominciare a L. la scuola primaria, instaurando nuove amicizie, e potrà comunque mantenere
un solido rapporto con il padre ed il nucleo paterno, grazie anche ai numerosi periodi di vacanza
previsti dalle scuole svizzere durante l’anno. Autorizzando il trasferimento della minore in S.,
risultano assorbite le domande paterne relative al rilascio dei documenti validi per l’espatrio e relative
alla possibilità per A di espatriare.
4. In merito alla frequentazione tra NS e la bambina, si ritiene congruo quanto proposto dal c.t.u. alle
pagg. 39 e ss. della relazione, con indicazioni alle quali la madre ha sostanzialmente aderito.
Pertanto, il Tribunale prevede che, a decorrere da quando AV si sarà trasferita con la madre in S.,
durante il periodo scolastico padre e figlia si incontrino due fine settimana al mese, dal venerdì
pomeriggio alla domenica pomeriggio; la madre dovrà, a proprie spese, accompagnare A presso il
padre e poi riportarla presso la propria abitazione; questi periodi permetteranno alla bambina di
frequentare anche la famiglia patema, mantenendo un legame con i nonni.
Il padre potrà raggiungere A per un terzo fine settimana al mese dal giovedì alla domenica sera in
modo da poter conoscere il contesto abitativo della figlia, rimanere in contatto con la scuola e
conoscere la rete amicale della bambina.
Nel periodo estivo il collocamento sarà alternato ed organizzato in periodi di una settimana con
ciascun genitore. I genitori potranno trascorrere periodi di villeggiatura con la bambina per 15 giorni
anche consecutivi, la cui calendarizzazione andrà concordata entro il 31 maggio di ogni anno; in caso
di mancato accordo, A alternerà di anno in anno tra i genitori il periodo dall’ 1 al 15 agosto con il
periodo dal 16 al 31 agosto.
Nel periodo invernale il padre potrà stare con la figlia, ogni anno, per l’intera settimana di vacanza
“autunnale” prevista dal calendario scolastico svizzero; per l’intera settimana di vacanza in occasione
del Carnevale prevista dal calendario scolastico svizzero; la settimana di Pasqua.
Nel periodo natalizio deve essere privilegiata la relazione con il padre e le vacanze andranno suddivise
con la seguente programmazione che si alternerà ogni anno: periodo dal 25 dicembre ore 11,00 al 30
dicembre ore 11,00 con la madre, e periodo dal 30 dicembre ore 11,00 al 6 gennaio con il padre;
oppure periodo dal 23 dicembre al 31 dicembre ore 11,00 con il padre e periodo dal 31 dicembre ore
11,00 al 6 gennaio con la madre.
5. In ordine al mantenimento di A il Tribunale osserva che. in ragione della prevalente collocazione
della figlia presso la madre, deve essere posto a carico del padre l’onere di contribuire anche in via
indiretta al mantenimento della figlia, attraverso il pagamento alla C di un assegno periodico.
In merito all’entità di detto assegno, risulta congruo l’importo sostanzialmente concordato dalle parti
(nella comparsa conclusionale, a pag. 13, il S ha dichiarato di accettare sul punto le richieste materne),
ovvero Euro 570,00 mensili, tenuto conto dei diversi tempi di permanenza della figlia presso i
genitori, dell’atto che entrambe le parti lavorano ed abitano con compagni con i quali possono
condividere le spese.
Le spese straordinarie necessarie per A graveranno sul padre nella misura del 70% e sulla madre nella
misura del 30%, come già previsto nella separazione omologata, e come concordato tra i genitori
anche nel presente giudizio; per la regolamentazione di dette spese, occorrerà fare rinvio al Protocollo
presso il Tribunale di Firenze dell’anno 2011, secondo quanto richiesto dalle parti.
6. Tenuto conto dell’accordo raggiunto dai genitori in merito alle questioni economiche, e della
circostanza che la situazione fattuale è mutata in corso di causa, le spese di lite del presente grado di
giudizio devono essere integralmente compensate tra le parti.
Le spese di c.t.u., liquidate con precedente decreto, devono essere poste in via definitiva carico di
entrambe le parti in ragione di metà ciascuna, considerato il comune interesse dei genitori a verificare
le condizioni della minore ed i rapporti della stessa con ciascuno di loro.
P.Q.M.
Il Tribunale di Firenze, ogni diversa istanza disattesa o assorbita, definitivamente pronunciando,
– pronuncia la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in F. (FI) in data (…) 2018 da
SN, n. a S. M. (P.) il X (…), e CV n. a E. (F.) il X (…), trascritto dall’Ufficiale di Stato Civile del
Comune di Fiesole al n. X , parte X serie X, anno 2018;
– la donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguto del matrimonio;
– ordina all’Ufficiale di Stato Civile competente di procedere all’annotazione della presente sentenza;
– affida AVS ad entrambi i genitori in via condivisa;
– colloca AV presso la madre, e ne autorizza il trasferimento a L. (S.) con VC
– a decorrere da quando AV si sarà trasferita con la madre in S,, durante il periodo scolastico la figlia
frequenterà il padre due fine settimana al mese, dal venerdì pomeriggio alla domenica pomeriggio; la
madre dovrà accompagnare A a proprie spese presso il padre e poi riportarla presso la propria
abitazione; il padre potrà raggiungere A per un terzo fine settimana al mese dal giovedì alla domenica
sera in modo da poter conoscere il contesto abitativo della figlia, rimanere in contatto con la scuola e
conoscere la rete amicale della bambina;
nel periodo estivo il collocamento sarà alternato ed organizzato in periodi di una settimana con
ciascun genitore; i genitori potranno trascorrere periodi di villeggiatura con la bambina per 15 giorni
anche consecutivi, la cui calendarizzazione andrà concordata entro il 31 maggio di ogni anno; in caso
di mancato accordo. A alternerà di anno in anno tra i genitori il periodo dall’1 al 15 agosto con il
periodo dal 16 al 31 agosto; nel periodo invernale il padre potrà stare con la figlia, ogni anno, per
l’intera settimana di vacanza “autunnale” prevista dal calendario scolastico svizzero; per l’intera
settimana di vacanza in occasione del Carnevale prevista dal calendario scolastico svizzero; la
settimana di Pasqua;
nel periodo natalizio le vacanze andranno suddivise con la seguente programmazione che si alternerà
ogni anno: periodo dal 25 dicembre ore 11,00 al 30 dicembre ore 11,00 con la madre, e periodo dal
30 dicembre ore 11,00 al 6 gennaio con il padre; oppure periodo dal 23 dicembre al 31 dicembre ore
11,00 con il padre e periodo dal 31 dicembre ore 11,00 al 6 gennaio con la madre;
– pone a carico di NS l’obbligo di corrispondere a VC l’importo mensile di Euro 570,00, soggetto a
rivalutazione annuale Istat, a titolo di contributo al mantenimento ordinario della figlia, da versare
entro il giorno 10 di ogni mese;
– pone le spese straordinarie necessarie per AV a carico di entrambi i genitori nella misura del 70% a
carico del padre e del 30% a carico della madre, rinviando per la loro regolamentazione al Protocollo
presso il Tribunale di Firenze dell’anno 2011;
– compensa integralmente tra le parti le spese di lite del presente grado di giudizio;
– pone le spese di c.t.u. in via definitiva carico di entrambe le parti in ragione di metà ciascuna.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza ai sensi dell’alt. 10 L. 1 dicembre 1970,
n. 898.
Così deciso in Firenze, nella camera di consiglio del 22 maggio

La particolare tenuità del fatto non esclude la punibilità del reato se la violazione degli obblighi di assistenza familiare non è occasionale

Corte di Cass., Sez. VI Pen., Sent. del 5 giugno 2024 n. 22806, Cons. Rel. Dott. Benedetto Paterno Raddusa
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
A.A., nato a V il (Omissis) avverso
la sentenza della Corte di appello di Torino del 22 giugno 2023
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Benedetto Paterno Raddusa;
Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto
Procuratore generale
Elisabetta Ceniccola, che ha concluso chiedendo la reiezione dei ricorso;
lette le conclusioni della difesa del ricorrente, che ha ribadito la fondatezza del
ricorso
Svolgimento del processo
1. La difesa di A.A. impugna la sentenza descritta in epigrafe con la quale la
Corte di appello di Torino, ferma la responsabilità del predetto in relazione al
reato di cui all’art 570-bis cod. pen (per non avere versato quanto stabilito dal
Tribunale di Vercelli per il mantenimento della figlia minore, dal maggio 2019 e
in permanenza) riconosciuta dalla decisione appellata in esito a giudizio
abbreviato, ha ridotto il trattamento irrogato dal Tribunale di Vercelli in ragione
del riconoscimento delle attenuanti generiche, escluse in primo grado.
2. Si evidenzia, nel ricorso, con il primo motivo, che i giudici del merito, al fine
di valutare la addotta impossibilità oggettiva del ricorrente di adempiere al
versamento del dovuto, avrebbero valorizzato documenti (quelli allegati alla
istanza di riconoscimento del gratuito patrocinio, attestanti lo svolgimento di
attività lavorativa da parte dell’imputato in alcuni mesi del 2019), non
utilizzabili ai fini della decisione, perché estranei al perimetro degli atti
apprezzabili ex art 442, comma 1 -bis cod. proc. pen.
3.Con il secondo motivo si lamenta difetto integrale di motivazione con
riguardo alla richiesta, formalizzata con l’appello, diretta alla applicabilità, nel
caso di specie, della causa di non punibilità prevista dall’art 131-bis cod. pen.
Motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile per le ragioni precisate di seguito.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato.
La valutazione operata dai giudici del merito nell’escludere natura oggettiva
alla impossibilità di adempiere prospettata dalla difesa, risulta fondata su
documenti attestanti dati reddituali – mai smentiti in punto di fatto dalla difesa
né contrastati sul relativo versante inferenziale apprezzato nel disattendere la
Giurisprudenza di legittimità Ondif
sollecitazione difensiva- comunque acquisiti, quale che ne sia la ragione, al
patrimonio valutativo del decidente in forza di una allegazione operata dallo
stesso imputato, cosi da risultare neutralizzata, a monte, le lesione delle
prerogative difensive rivendicata con il ricorso.
3. E’ manifestamente infondato anche il secondo motivo.
Va, infatti, ribadito che la causa di esclusione della punibilità per la particolare
tenuità del fatto di cui all’art. 131 -bis cod. pen. è applicabile al reato di
violazione degli obblighi di assistenza familiare a condizione che l’omessa
corresponsione del contributo al mantenimento abbia avuto carattere di mera
occasionalità. Laddove, di contro, la condotta illecita si sia protratta nel tempo
sostanziandosi in reiterate omissioni nel versamento del contributo al
mantenimento, essendo l’abitualità del comportamento ostativa al
riconoscimento del beneficio e irrilevante la particolare tenuità di ogni singola
azione od omissione, la causa di non punibilità in questione non potrà trovare
applicazione
(Sez. 6, n. 11780 del 21/01/2020; Rv. 278722; Sez. 6 n. 5774 del 28/01/2020
Rv. 278213).
Nel caso, l’inadempimento contestato all’imputato si è protratto
ininterrottamente per circa tre anni, cosi da rendere la situazione a giudizio
inconciliabile, per quanto sopra rassegnato, con la rivendicata applicabilità
dell’art 131-bis cod. pen.
Da qui l’ indifferenza del silenzio mostrato sul punto dalla sentenza gravata a
fronte del motivo di appello prospettato sul tema, attesa la manifesta
inconferenza della relativa pretesa in punto di diritto.
4. Alla inammissibilità del ricorso seguono le pronunce di cui all’art 616 cod.
proc. pen, definite nei ntermini di cui al dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
Ammende.

Irrevocabile il consenso al divorzio manifestato nel procedimento ex art. 473-bis.49 c.p.c. a domanda congiunta.

Tribunale di Vicenza, 11 giugno 2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI VICENZA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. _______ del ruolo generale per gli affari contenziosi
dell’anno 2023, promossa congiuntamente dai coniugi:
M.N., C.F._____________, nata a ___________, rappresentata e difesa
dall’avvocato B.A. del Foro di Vicenza (rinunciante)
e
B.M., C.F. _______________, nato a _______________ il _______________,
rappresentato e difeso dall’avvocato F.N. del Foro di Vicenza
e con l’intervento del
PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Vicenza;
In punto: cessazione degli effetti civili del matrimonio;
Conclusioni originarie delle parti:
• i figli E. B., c.f. ______________, e G. B., c.f. _________________,
verranno affidati congiuntamente ad entrambi i genitori con collocamento
prevalentemente presso la madre in _________________________(VI);
• il padre sig. M. B. concorrerà al loro mantenimento ordinario indiretto
mediante la corresponsione alla madre sig.ra M. M. entro il giorno quindici di
ogni mese della somma mensile di € 400,00 ciascuno, così per un totale di €
800,00, rivalutabili annualmente in base agli indici Istat come per legge, a
mezzo di bonifico sul conto corrente a questa intestato
• i genitori concorreranno al pagamento delle spese straordinarie dei figli nella
misura del 50% ciascuno, come da Protocollo dell’intestato Tribunale del
26.10.2017, da considerarsi parte integrante delle presenti condizioni;
l’assegno unico ed universale verrà ripartito al 50% fra i genitori così come le
residue detrazioni fiscali;
• i turni di responsabilità dei genitori saranno regolamentati come segue:
E. a G. resteranno presso il padre a fine settimana alternati dall’uscita da
scuola del venerdì fino al lunedì mattina, quando li accompagnerà in classe;
inoltre, nelle settimane in cui trascorreranno il fine settimana con la madre, E.
e G. staranno con il padre due giorni infrasettimanali consecutivi,
indicativamente dall’uscita da scuola del martedì fino al giovedì mattina,
quando li accompagnerà in classe; invece, nelle settimane in cui
trascorreranno il fine settimana con il padre, E. e G. staranno con lui un solo
giorno infrasettimanale, indicativamente dall’uscita da scuola del martedì fino
al mercoledì mattina, quando li accompagnerà in classe; i bambini potranno
stare con il padre anche in altri momenti previo accordo con la madre e
compatibilmente con i loro impegni scolastici;
• i genitori ogni anno ripartiranno equamente fra di loro i ponti festivi, quali a
titolo esemplificativo quelli del 25 aprile, del 1 maggio, del 2 giugno, del 1
novembre;
• ciascun genitore starà con i figli il giorno del proprio compleanno; i bambini
trascorreranno di preferenza il giorno del loro compleanno insieme ad entrambi
i genitori;
• i genitori si impegnano reciprocamente a comunicarsi quanto prima gli
impegni di E. e G. (quali – a titolo esemplificativo – visite pediatriche, eventi
sportivi, saggi di fine anno, feste scolastiche di fine anno, ricorrenze religiose,
colloqui con gli insegnanti) di modo da poter partecipare entrambi –
compatibilmente con i rispettivi impegni lavorativi – a tali eventi;
• i genitori inoltre si impegnano reciprocamente a concordare ed organizzare le
modifiche dei rispettivi turni di responsabilità con i figli che si rendano
opportune in ragione di eventuali impegni imprevisti personali e/o lavorativi e
del preminente interesse di E. e G. a trascorrere dei tempi significativi sia con
la madre che con il padre; in particolare i genitori convengono che qualora a
causa di trasferte di lavoro il padre non potesse restare con i bambini durante i
tempi convenuti egli potrà, nella settimana successiva, stare con i figli un
giorno con pernottamento in più rispetto al consueto calendario;
• durante le vacanze estive E. e G. trascorreranno con ciascun genitore 2
settimane di vacanza anche non consecutive da concordarsi entro il mese di
maggio; durante le vacanze di fine d’anno ad anni alterni i bambini resteranno
con il padre dal 24 al 30 dicembre compresi o dal 31 dicembre al 6 gennaio
compresi, in modo che i minori, anno per anno, trascorrano il Natale con l’uno
e il Capodanno con l’altro genitore. Nel corso delle festività pasquali, per tre
giorni consecutivi con ciascun genitore, comprendendo in alternanza annuale il
giorno di Pasqua e il Lunedì in albis; i genitori convengono che nell’estate del
corrente anno i bambini trascorreranno in vacanza con la madre le prime due
settimane di agosto mentre trascorreranno con il padre le ultime due
settimane di agosto; durante i periodi di vacanza scolastica, salvo diverso
accordo dei genitori, questi continueranno ad osservare il predetto calendario
di alternanza dei rispettivi turni di responsabilità con i bambini ed il padre
anziché ritirare e riportare i bambini a scuola li ritirerà e poi li riporterà presso
la residenza materna.
• la sig.ra M. si impegna a chiedere il trasferimento della propria residenza
anagrafica dalla residenza familiare alla sua nuova abitazione presso il Comune
di A. V. (VI) entro il corrente mese di giugno;
• i coniugi si impegnano entrambi a chiudere i conti correnti di cui sono
cointestatari entro il corrente mese di giugno;
2) decorso il termine di cui all’art. 3 legge 898/1970, previa fissazione
dell’udienza di comparizione personale delle parti davanti al Giudice Relatore,
verificato il passaggio in giudicato dell’emananda sentenza di separazione e
della perdurante volontà dei coniugi di non riconciliarsi, pronunciare la
cessazione degli effetti civili del loro matrimonio alle medesime condizioni
concordate per la loro separazione personale, ordinando all’Ufficiale dello Stato
Civile competente di procedere all’annotazione della sentenza;
Il sig.B., all’udienza del 11.06.24, ha così concluso, si rimette al Collegio,
chiedendo la condanna alle spese della sig.ra M. nel caso venisse dichiarata
l’improcedibilità del giudizio
Conclusioni del Pubblico Ministero: Il P.M. conclude per l’accoglimento delle
conclusioni concordemente formulate.
FATTO E DIRITTO
Con ricorso congiunto depositato in data 14.06.2023 i coniugi indicati in
epigrafe, premesso di aver contratto matrimonio in Sovizzo (VI) in data
_________, che l’unione era entrata in irreversibile crisi, chiedevano
all’intestato Tribunale di dichiarare la loro separazione personale alle condizioni
di cui in ricorso e, decorso il termine di legge e previo passaggio in giudicato
della sentenza di separazione, pronunciare la cessazione degli effetti civili del
loro matrimonio alle medesime condizioni concordate per la separazione
personale.
All’esito dell’udienza del 14.09.23 dinanzi al Giudice Relatore, i coniugi hanno
insistito entrambi per l’accoglimento delle conclusioni riportate in epigrafe,
sulle quali il Pubblico Ministero ha espresso parere favorevole.
Con sentenza parziale n. 1820/2023 era stata pronunciata la separazione
personale dei coniugi alle conclusioni di cui in epigrafe e fissata l’udienza per la
pronuncia della sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio, come
dalle parti richiesto congiuntamente, decorso il termine semestrale di legge e
previo passaggio in giudicato della sentenza di separazione.
Nelle more, passata in giudicato la sentenza di separazione, vi era la rinuncia
al mandato dell’avv. B.A., difensore comune dei coniugi, la costituzione del
nuovo legale del solo sig. B. e la mancata presenza alle udienze fissate della
sig.ra M., che non si costituiva con nuovo avvocato. All’udienza del 11.06.24 il
solo sig. B. precisava le conclusioni come in epigrafe trascritte e il g.i.
riservava di riferire al Collegio per la decisione.
E’ opinione del Collegio che debba essere pronunciata la cessazione degli effetti
civili del matrimonio tra le parti alle condizioni inizialmente richieste.
La nuova disciplina, dettata dall’art. 473bis.49 c.p.c., permette alle parti,
disgiuntamente o congiuntamente ex art. 473bis.51 c.p.c. (v. Cass. n.
11906/2023) di richiedere la separazione e il successivo divorzio, cumulando le
domande in unico procedimento.
Con tale procedimento, scelto liberamente dalle parti (che ben avrebbero
potuto scegliere di instaurare due procedimenti separati, prima quello di
separazione, da concludersi con sentenza definitiva, e previo passaggio in
giudicato di tale pronuncia e decorso il termine di legge, quello di divorzio,
come nel previgente regime ante riforma “Cartabia”), in realtà, le stesse
chiedono, in definitiva, di sciogliersi dal vincolo coniugale e su tale decisione
fondano, nei casi di ricorso congiunto, il loro accordo, previo passaggio dalla
fase di separazione, obbligatoria per legge. Così opinando ritiene il Tribunale
che a tale procedimento vada applicata la previgente giurisprudenza di
legittimità che sosteneva la irrevocabilità del consenso, una volta ritualmente
manifestato, nei procedimenti di divorzio congiunto.
In particolare la Suprema Corte sul punto aveva avuto modo di statuire quanto
segue: Cass. ord. n. 19540/2018: “in tema di divorzio a domanda congiunta,
questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’accordo sotteso alla relativa
domanda riveste natura meramente ricognitiva con riferimento ai presupposti
necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale, la cui sussistenza è
soggetta a verifica da parte del tribunale, avente pieni poteri decisionali al
riguardo, mentre ha valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti
economici, nel cui merito il tribunale non deve entrare, a meno che le
condizioni pattuite non si pongano in contrasto con l’interesse dei figli minori;
che la revoca del consenso da parte di uno dei coniugi, mentre risulta
irrilevante sotto il primo profilo, in quanto il ritiro della dichiarazione ricognitiva
non preclude al tribunale il riscontro dei presupposti necessari per la pronuncia
del divorzio, è inammissibile sotto il secondo, dal momento che la natura
negoziale e processuale dell’accordo intervenuto tra le parti in ordine alle
condizioni del divorzio ed alla scelta dell’iter processuale esclude la possibilità
di ripensamenti unilaterali, configurandosi la fattispecie non già come somma
di distinte domande di divorzio o come adesione di una delle parti alla
domanda dell’altra, ma come iniziativa comune e paritetica, rinunciabile
soltanto da parte di entrambi i coniugi (cfr. Cass., Sez. 6^, 13/02/2018, n.
10463; Cass., Sez. 1^, 8/07/1998, n. 6664)”, conforme anche Cass.
19348/2021.
La sopra esposta conclusione è avvalorata anche dalla citata sentenza Cass. n.
11906/2023 ove in motivazione può leggersi: “Ciò che viene segnalato da una
parte della dottrina e giurisprudenza come ostativo alla
possibilità/configurabilità di un cumulo di domande consensuali di separazione
e di divorzio (l’intervento di sopravvenienze rilevanti, la revoca del consenso da
parte di un coniuge, la modifica unilaterale delle condizioni patrimoniali o
riguardanti i figli) non vale ad impedire la loro stessa ammissibilità ma potrà,
semmai, determinare l’applicazione, con il dovuto adattamento, di orientamenti
giurisprudenziali da questo giudice di legittimità già affermati (si pensi a
quanto ribadito in Cass. 10463/2018 e in Cass. 19540/2018, in ordine
all’inefficacia della revoca unilaterale del consenso alla domanda di divorzio «in
senso stretto», con la conseguenza che non possa essere dichiarata
l’improcedibilità della domanda congiunta presentata, dovendo essere
comunque verificata la sussistenza dei presupposti necessari per la pronuncia,
costitutiva, sul divorzio)..” oltre che dalla dottrina finora edita sull’argomento
che fa riferimento, per il caso di revoca unilaterale del consenso al divorzio,
alla giurisprudenza sopra richiamata.
Ciò premesso, non vi è da dubitare della sussistenza dei requisiti per la
pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, essendo decorso il
termine di legge semestrale ed essendosi concluso il giudizio di separazione
con la sentenza parziale n. 1820/2023, passata in giudicato, nonché risultando
evidentemente impossibile la ricostruzione della comunione materiale e
spirituale dei coniugi.
Quanto alle condizioni di divorzio, le stesse sono identiche a quelle della
separazione, già omologate dal Collegio e non sono emerse nuove circostanze
di fatto, idonee a mutare il giudizio circa la loro omologabilità che deve essere,
pertanto, anche in questa sede confermata.
Le spese vanno integralmente compensate tra le parti in quanto la domanda è
stata proposta dalle parti in forma congiunta, quantomeno inizialmente e la
cessazione degli effetti civili del matrimonio è stata pronunciata alle condizioni
inizialmente concordate.
P. Q. M.
Il Tribunale di Vicenza, Seconda Sezione Civile, definitivamente pronunciando
nella causa di cui in epigrafe, così provvede:
a) dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto da M. M. e
da B. M. in Sovizzo (VI) il __________ alle condizioni originarie in epigrafe
riportate;
b) ordina al competente Ufficiale dello Stato Civile di annotare la presente
sentenza a margine dell’atto di matrimonio dei coniugi sopra indicati trascritto
nel registro degli atti di matrimonio del Comune di Sovizzo (VI) al n. ____,
parte II, serie A, anno _____;
c) compensa le spese di lite tra le parti.

Maltrattamenti. L’infedeltà del coniuge e il riconoscimento dei propri diritti patrimoniali non incidono sul dolo

Cass. Pen., Sez. VI, sentenza 8 luglio 2024 n. 26934 – Pres. De Amicis, Cons. Rel. Travaglini
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
A.A. nato il (Omissis) a V
avverso la sentenza del 24/04/2023 della Corte di appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dalla Consigliera Paola Di Nicola Travaglini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Antonio Balsamo, che ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato …in sostituzione dell’Avvocato…, nell’interesse della parte civile B.B., che ha
richiesto dichiararsi tardiva la memoria difensiva depositata dall’Avvocato …., allegando
conclusioni scritte e nota spese;
udito l’Avvocato …nell’interesse del ricorrente, che ha richiamato la memoria difensiva depositata
il 5 marzo 2024 e ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Roma ha confermato la condanna del
Tribunale nei confronti di A.A. per il delitto di maltrattamenti ai danni della moglie. B.B., e dei tre
figli, “dal 2008 al 20 giugno 2012” (capo A), e ha dichiarato la prescrizione per tutti gli altri (lesioni
aggravate, violazione di domicilio, violenza privata e minacce).
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso A.A., con atto sottoscritto dal suo difensore, articolando
i motivi di seguito enunciati.
2.1. Con il primo deduce vizio di motivazione in relazione all’art. 70 cod. proc. pen., in quanto,
nonostante in altro processo, dinnanzi alla Corte di appello di Roma, a carico del ricorrente, per reati
fiscali, fosse stata riconosciuta la sospensione per incapacità processuale, la medesima istanza era
stata respinta nel presente procedimento a fronte di una perizia, disposta dal Collegio, che aveva
riscontrato un deterioramento cognitivo ritenuto erroneamente compatibile con il delitto di
maltrattamenti e con l’elaborazione di una strategia difensiva.
2.2. Con il secondo motivo deduce omessa motivazione circa il rigetto dell’acquisizione della
sentenza del Tribunale civile di Roma in ordine al contenzioso insorto tra il ricorrente e la moglie
relativamente alla titolarità del castello (Omissis), e dell’annessa tenuta, utile a dimostrare la
strumentalizzazione della denuncia da parte di B.B.
2.3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in ordine alla responsabilità del ricorrente per
il delitto di maltrattamenti che per l’epoca successiva al 2012 trovava la propria giustificazione nella
scoperta della relazione extraconiugale intrattenuta dalla B.B. che, con il nuovo compagno, tentava
di spogliare il marito del suo patrimonio, come dimostrato dai documenti prodotti dalla difesa e
dalle dichiarazioni del figlio della coppia (pag. 57 dell’atto d’appello). Si assume, in sostanza, che la
sentenza, considerando erroneamente le sole condotte oggettive, ha ignorato che la natura reattiva
dei comportamenti di A.A., mossi dall’infedeltà della moglie, niente affatto succube del marito, fosse
tale da escludere il dolo.
2.4. Con il quarto motivo deduce vizio di motivazione per il diniego delle circostanze attenuanti
generiche, in quanto fondato soltanto su alcuni precedenti penali dell’imputato, senza tenere conto
che le condotte maltrattanti costituivano soltanto la reazione all’ingiusta minaccia all’unità familiare
e alla condotta della persona offesa, contraria ai principi fondanti il matrimonio e volta ad
appropriarsi del patrimonio del marito tanto da rendere applicabile l’attenuante della provocazione
su cui la Corte di merito non si è pronunciata.
3. In data 5 marzo 2024 è pervenuta memoria difensiva nell’interesse del ricorrente, con allegati, in
cui si rappresenta che in altro procedimento penale per il delitto di atti persecutori il giudice ha
disposto accertamento sulla capacità processuale di A.A.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Deve preliminarmente accogliersi l’eccezione della difesa di parte civile di tardività della memoria
presentata, nell’interesse del ricorrente, dall’Avvocato …in data 5 marzo 2024.
Il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall’art. 611 cod. proc.
pen. relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in
udienza pubblica, una volta richiesta la trattazione orale ai sensi dell’art. 23, comma 8, D.L. n. 137
del 2020, conv. in legge n. 176 del 2020, ed emesso il provvedimento presidenziale di trattazione in
pubblica udienza, onde la sua inosservanza esime la Corte di cassazione dall’obbligo di prendere in
esame le stesse (Sez. 3, n. 5602 del 21/01/2021, P., Rv.281647; Sez. 6, n. 11630 del 27/02/2020, A., Rv.
278719).
3. Il primo motivo, relativo alla sospensione del processo per incapacità dell’imputato, è
manifestamente infondato.
3.1 La Corte di appello di Roma, in adesione ad una perizia correttamente riportata, ha rigettato il
motivo di appello con un percorso argomentativo privo di fratture logiche ed esplicativo della
decisione assunta, fondata sulla documentazione sanitaria e sulla visita a cui è stato sottoposto A.A.,
avente ad oggetto anche le vicende oggetto del procedimento.
In forza di detti elementi di fatto, non contestati dal ricorso, l’imputato è stato ritenuto, innanzitutto,
capace di intendere e di volere al momento dei fatti e, per quello che interessa il motivo in esame,
capace di partecipare coscientemente al processo. A detto ultimo riguardo, la sentenza ha richiamato
come dagli atti fosse risultato che A.A. avesse un moderato deterioramento cognitivo, incidente
sull’attenzione e sulla memoria (pag. 6), ma non sulla comprensione delle accuse a suo carico. Infatti,
aveva descritto le condotte oggetto dell’imputazione fornendo una propria autonoma ricostruzione
nel corso del dibattimento di primo grado, inoltre, aveva predisposto una precisa linea difensiva
volta a contestare le emergenze a suo carico nei termini indicati nei paragrafi che seguono.
La sentenza impugnata, infine, ha dato atto che i rilievi difensivi, intesi ad accreditare l’incapacità di
stare in giudizio dell’imputato, valorizzassero erroneamente le diverse conclusioni dei periti di altro
processo, concernente reati, quali quelli fiscali, la cui tecnicità poteva incidere sulla capacità di stare
in giudizio di A.A. ai fini di comprendere le accuse mosse.
3.2. A ciò si aggiunge che il motivo di ricorso richiede a questa Corte una inammissibile rivalutazione
in fatto, rispetto a valutazioni che attengono alla capacità di stare in giudizio dell’imputato. Si tratta,
infatti, di un ambito che, fatte salve patologie radicali ed irreversibili, quali non risultano essere
quelle diagnosticate al A.A., impone di delineare in modo puntuale la condizione psichica del
soggetto nel caso concreto, come correttamente rappresentato dal perito e dalla sentenza che ne ha
fatte proprie le conclusioni.
Peraltro, in tema di incapacità processuale, la sussistenza di una patologia psichiatrica non è
sufficiente ad escludere il requisito della cosciente partecipazione, ai sensi dell’art. 70 cod. proc. pen.,
ma è necessario che sia di gravità tale da non consentirgli la difesa in giudizio, il cui accertamento,
rimesso al giudice di merito, non è sindacabile in sede di legittimità, se motivato nel rispetto della
logica processuale e delle emergenze nosografiche (Sez. 1, n. 10926 dell’11/03/2022, Campisi, Rv.
282963).
3.3. Come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, infine, l’esito di una perizia psichiatrica,
eseguita in altro e diverso procedimento penale, non può avere alcuna influenza in un successivo
giudizio nel quale la valutazione viene compiuta alla stregua di altro accertamento peritale e del
tutto indipendente da quello eseguito in precedenza (Sez. 2, n. 13778 dell’8/03/2019, Mosca, Rv.
276415), tanto da rendere irrilevante la memoria depositata in questa sede con la relativa produzione
documentale.
3.4. Deve ritenersi irrilevante, in questa Sede, il fatto che in altri procedimenti (vedi par. 3) siano stati
disposti accertamenti sulla capacità processuale dell’odierno ricorrente, trattandosi di elementi di
fatto che mirano a sollecitare una diversa valutazione di merito, come tale non consentita nel
giudizio di legittimità.
4. Il secondo e il terzo motivo, entrambi generici, possono essere esaminati contestualmente perché
attengono agli elementi costitutivi del delitto di maltrattamenti.
4.1. Detti motivi di censura non sono tesi a porre in discussione, nei termini previsti dai limiti del
giudizio di cassazione, la motivazione della sentenza, ma tentano di spostare la valutazione su un
piano diverso, implicante apprezzamenti di fatto riguardanti i comportamenti della persona offesa.
Infatti, il ricorso, esclusa espressamente la natura calunniatoria della denuncia, ha ritenuto che le
pronunce di merito avessero omesso di considerare la circostanza che l’aggressività dell’imputato
fosse dovuta alla scoperta di una relazione extra-coniugale della moglie, la quale ne aveva persino
approfittato per ragioni economiche, così da porre in pericolo l’unità familiare.
4.2. Premesso che non sono contestate le gravi e quotidiane violenze, fisiche e psicologiche,
perpetrate da A.A. nei confronti di B.B. e dei tre figli, soprattutto della “figlia C.C., in quanto donna”
(pag. 3 della sentenza di primo grado), appellata, come la madre, con epiteti sessisti, la pronuncia
impugnata, in piena conformità a quella di primo grado, con argomenti completi e logici, basati su
un coerente apparato probatorio, ha escluso che le condotte, consistite in violenze di A.A.
costituissero meri conflitti familiari, accentuatisi a seguito della scoperta della relazione
extraconiugale della consorte.
Infatti, la Corte di appello di Roma, in piena adesione alla consolidata giurisprudenza di questa
Corte, ha correttamente ritenuto che integrassero il delitto di cui all’art. 572 cod. pen. le quotidiane
condotte maltrattanti di A.A. sulla moglie e sui figli, dal giorno della loro nascita, costretti a vivere
in un clima di terrore, violenze fisiche e psicologiche, umiliazioni che li costringeva a scappare di
casa e rifugiarsi per ore, anche di notte, nel bosco, per sottrarvisi (pagg. 3 e 5 della sentenza del
Tribunale), o le continue ingiurie ed umiliazioni alle donne di famiglia a cui si rivolgeva con
appellativi sessisti.
4.3. Altrettanto generico è il motivo di ricorso nella parte in cui riconduce l’assenza di dolo della
condotta di A.A. alla presunta violazione dell’obbligo di fedeltà da parte della moglie e al tentativo
di “spoliazione del patrimonio del marito”.
4.3.1. Il dolo, quale coscienza e volontà del fatto tipico, da intendersi, nella specie, come l’idoneità a
ledere beni di rilievo costituzionale quali la dignità, l’autodeterminazione e l’integrità fisica e
psichica (Sez. 6, n. 19847, del 22/04/2022, M., non mass.; Sez. 1, n. 13013 del 28/01/2020, Osintsev, Rv.
279326) non è accertabile sulla base delle condotte tenute dalla persona offesa, perché oltre a
contrastare con la logica, finirebbe per sovvertire l’oggetto della valutazione giudiziaria,
concernente, sul piano soggettivo, l’accertamento della colpevolezza di chi agisce. Infatti, i
comportamenti della persona offesa sono estranei alla struttura oggettiva e soggettiva del reato di
maltrattamenti.
Il dolo, inoltre, si distingue dal movente, che costituisce una finalità ulteriore di per sé ininfluente ai
fini dell’integrazione del reato.
4.3.2. La Corte di appello con puntuali argomenti, in conformità a quelli impiegati dal Tribunale, ha
escluso che avessero inciso sulle violenze praticate dall’imputato sia la presunta relazione affettiva
intrattenuta dalla moglie, sia la volontà di costei di spogliare il marito del suo patrimonio, alla luce
della protrazione dei maltrattamenti di A.A. ai danni della donna e dei figli dalla nascita di costoro,
cioè da decenni.
In ogni caso, ritenere l’infedeltà coniugale della persona offesa come determinatrice delle violenze
dell’autore e tale da escludere il dolo del reato, come prospettato dal ricorso, richiama schemi
interpretativi ampiamente superati dalla coscienza sociale e dall’ordinamento giuridico, perché
riconosce come plausibile la chiave di lettura discriminatoria offerta dall’agente sul presupposto che,
l’onore maschile, leso dal mero dubbio di relazioni extra-coniugali della moglie, imporrebbe di
rimediarvi attraverso forme punitive, mosse da pulsioni incontrollabili, capaci di riaffermare, anche
pubblicamente, la propria supremazia e, dunque, la propria rivendicata identità (Sez. 6, n. 28217 del
20/12/2022, dep. 2023, G., non mass.).
Giustificare la condotta maltrattante, sotto il profilo soggettivo, in questi termini è giuridicamente
errato sotto due profili.
Innanzitutto, contrasta con il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.; con il divieto di
utilizzo di pregiudizi di genere enunciato sia dall’art. 12.1 della Convenzione di Istanbul (“Le parti
adottano le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socio culturali
delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra
pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o sui modelli stereotipati dei ruoli delle donne e
degli uomini”) che dall’art. 5 della Cedaw (“Gli Stati prendono ogni misura adeguata: a) al fine di
modificare gli schemi ed i modelli di comportamento socioculturale degli uomini e delle donne e di
giungere ad una eliminazione dei pregiudizi e delle pratiche consuetudinarie o di altro genere, che
siano basate sulla convinzione dell’inferiorità o della superiorità dell’uno o dell’altro sesso o sull’idea
di ruoli stereotipati degli uomini e delle donne”), e con lo stesso art. 572 cod. pen. che, secondo
l’esegesi costituzionalmente e convenzionalmente orientata adottata da questa Corte (tra le tante, da
ultimo, Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., Rv. 285273), è una norma posta a tutela di diritti umani
inalienabili e, per questo, rende illecite le pratiche punitive fondate su una pretesa insubordinazione
femminile ad obblighi familiari o coniugali, di qualsiasi natura, ingiunti dall’autore per presunte
lesioni dell’unità familiare.
Inoltre, l’argomento difensivo non tiene conto che l’elemento soggettivo del reato di violenza
domestica ai danni delle donne è costituito dalla coscienza e volontà dell’autore, la cui matrice è
espressa dal Preambolo della Convenzione di Istanbul, allorché ne richiama “la natura strutturale” e
qualifica questa specifica ‘ forma di violenza come espressiva di “una manifestazione dei rapporti di
forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla
discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini ed impedito la loro piena emancipazione”
(Sez. 6, n. 28217 del 20/12/2022, dep. 2023, G., cit., par. 5.2.).
Attraverso la chiave di lettura offerta dalle fonti sovranazionali in materia (Convenzione per
l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione delle donne, detta Cedaw, ratificata dall’Italia con
la L. del 14 marzo 1985, n. 132 e Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta
contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, detta Convenzione di Istanbul,
ratificata senza riserve con L. 27 giugno 2013, n. 77), per come recepita dall’interpretazione
giurisprudenziale, a partire innanzitutto dalla sentenza delle Sez. U., n. 10959 del 29 gennaio 2016,
P.O. in proc. C., Rv. 265893, viene ormai riconosciuto il disegno discriminatorio che guida gli autori
dei reati di violenza nei confronti delle donne, il cui nucleo è costituito, non da passioni incoercibili
o emozioni incontrollabili, ma da deliberati intenti di possesso, dominazione e controllo della libertà
femminile per impedirla (Sez. 6, n. 27166 del 30/05/2022, C., non mass.).
4.3.3. Allo stesso modo è incensurabile la motivazione della sentenza impugnata là dove, a fronte di
prove convergenti sulle sistematiche violenze di A.A. su moglie e figli, ha ritenuto irrilevanti la
circostanza della permanenza di B.B. nella residenza familiare e le questioni connesse alla sua attività
imprenditoriale (pag. 10), oltre che priva di supporto probatorio l’asserita spoliazione economica
praticata dalla persona offesa ai danni del marito, utilizzando “strumentalmente” la denuncia per
maltrattamenti.
Non considera il ricorrente che, a fronte di un delitto di mera condotta, come è quello di
maltrattamenti, in cui è solo il comportamento dell’autore ad essere oggetto di accertamento per
valutare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi che lo integrano, non incide sul dolo
del reato la circostanza che la persona offesa abbia legittimamente richiesto, al Tribunale civile, il
riconoscimento dei propri diritti patrimoniali nei confronti del marito (Sez. 6, n. 38306 del 14/06/2023,
P., Rv. 285185).
4.4. Sotto ulteriore profilo, infine, il ricorso, paventando una sorta di provocazione, chiede di
escludere l’illiceità del fatto in base alla reazione della persona offesa, peraltro neanche indicata.
Va ribadito che le sentenze di merito fondano, con argomenti logici e coerenti, l’accertamento della
responsabilità sui soli comportamenti dell’imputato e non su un dato estrinseco, rappresentato dalla
reazione di chi subisce i comportamenti illeciti, perché se così fosse si finirebbe per invertire l’oggetto
dell’accertamento giudiziario (Sez. 6, n. 37978 del 03/07/2023, B., cit.; Sez. 6, n. 809 del 17/10/2022,
dep. 2023, P. Rv. 284107; Sez.6, n. 30340 del 08/07/2022, S., non mass.; Sez. 6, n. 19847 del 22/04/2022,
M., non mass).
5. Alle medesime conclusioni di inammissibilità, per genericità e aspecificità, si perviene in ordine
al motivo di ricorso relativo al trattamento sanzionatorio.
La Corte territoriale ha spiegato con valutazioni sintetiche, ma esaustive, perché fosse corretta la
decisione assunta in primo grado.
Premesso che il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto, ma
richiede l’apprezzamento di elementi concretamente favorevoli in nessun modo prospettati da A.A.
il ricorso reitera, anche sotto il profilo della pena, argomenti volti a giustificare la violenza esercitata
perché la persona offesa aveva tenuto una condotta “sicuramente contraria ai principi fondanti del
matrimonio”.
La Corte di appello, di converso, ha fornito adeguata motivazione sulla dosimetria della pena –
peraltro fissata sui minimi e senza gli aumenti per la continuazione interna derivanti dall’essere più
persone le vittime delle condotte maltrattanti – e sul diniego delle attenuanti, ritenendo infondata la
tesi difensiva, basata su una asserita provocazione (pag. 11 della sentenza di primo grado e pag. 10
della sentenza di secondo grado), e valutando al contrario la gravità delle condotte di A.A. e la loro
protrazione nel tempo.
6. Sulla base degli argomenti che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il
ricorrente va condannato, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del
procedimento e al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo
fissare nella misura indicata in dispositivo, nonché alla rifusione delle spese sostenute nel presente
grado di giudizio dalla parte civile, B.B., che vanno liquidate in complessivi Euro 3.686,00, oltre
accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel
presente giudizio della parte civile, B.B., che liquida in complessivi Euro 3.686,00, oltre accessori di
legge.

Obbligo di informazione dell’avvocato

Cass. Civ., Sez. II, ordinanza 10 luglio 2024 n. 18908 – Pres. Manna, Cons. Rel. Pirari
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. MANNA Felice – Presidente
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere
Dott. PIRARI Valeria – Consigliere – rel.
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. …/2019 R.G. proposto da
A.A. , rappresentato e difeso dall’avv…., con studio in Salerno, via A.M. …e domicilio telematico
presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata.
– ricorrente –
contro
B.B. , rappresentato e difeso dall’avv…., con studio in Verona, via …presso il cui studio è
elettivamente domiciliato.
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Salerno, n. 488-2019, pubblicata il 5 aprile 2019 e non
notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 giugno 2024 dalla dott.ssa
Valeria Pirari;
Svolgimento del processo
1. Con sentenza n. 1986/2013, pubblicata il 25 luglio 2013, il Tribunale di Salerno condannò C.C. ,
B.B. e D.D. al pagamento, in favore dell’attore A.A. , della somma di Euro 20.021,13 a titolo di
corrispettivo dovuto per lo svolgimento di attività defensionale nell’ambito di due giudizi riuniti
celebrati davanti al Tribunale di Verona, riducendo le pretese attoree e dichiarando che quest’ultimo
aveva il diritto di escludere dal vincolo di solidarietà E.E. e F.F. , anche nell’interesse dei quali erano
stati instaurati i giudizi.
Il giudizio d’appello, incardinato su iniziativa di A.A. , si concluse, nella resistenza di C.C. , B.B. e
D.D. , che proposero a loro volta appello incidentale, con la sentenza n. 488/2019, pubblicata il 5
aprile 2019, con la quale la Corte d’Appello di Salerno rigettò tanto l’appello principale quanto quelli
incidentali.
In particolare, premesso che, nel primo giudizio, G.G. (dante causa degli appellati C.C. , B.B. e D.D.),
E.E. , H.H. (deceduto nelle more) e F.F. avevano chiesto, per il tramite del difensore A.A. , che venisse
dichiarata la nullità della rinuncia della madre, I.I. , all’eredità del secondo marito, J.J. , essendo
maturati i presupposti per ritenere tacitamente accettata l’eredità, o, in subordine, che alla rinuncia
venisse attribuita la natura di donazione indiretta nei confronti della figlia nata dal predetto, K.K. ,
soggetta a collazione, e che si procedesse allo scioglimento della comunione, mentre nel secondo
giudizio, incardinato in seguito alle difese della convenuta K.K. nel primo giudizio, allorché aveva
dedotto, tra l’altro, l’esistenza di un testamento olografo del padre che la istituiva erede universale,
dispensandola dalla collazione, chiesero, come risulta dal ricorso (non essendovi specificazione nella
sentenza), che, in subordine, si desse prevalenza alla delazione testamentaria rispetto a quella
legittima e che i due procedimenti venissero riuniti, i giudici d’appello, confermando la sentenza di
primo grado, ritennero che nulla fosse dovuto al difensore per il patrocinio riguardante questa
seconda causa, quantomeno fino alla sua riunione alla prima, sia perché il difensore avrebbe potuto
ritualmente e tempestivamente approntare le medesime difese già nel primo giudizio, sia perché
questi non aveva dimostrato, benché ne fosse onerato, di avere informato i propri clienti della
proposizione del secondo giudizio e della necessità di instaurarlo a causa delle deduzioni della
convenuta K.K. , non rilevando, a dimostrazione del contrario, il fatto che C.C. , B.B. e D.D. avessero
rilasciato le loro procure, risalendo le stesse al 2003, ossia ad epoca di gran lunga antecedente a
quella in cui il secondo giudizio era stato incardinato.
2. Contro la predetta sentenza, A.A. propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. B.B.
resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 183 e 184
cod. proc. civ. , nella versione antecedente alle novelle processuali del 2005, e degli artt. 620, 1460 e
2943 cod. civ. e di tutte le norme desumibili dai motivi che seguono, in relazione all’art. 360, n. 3,
cod. proc. civ. , per avere i giudici di merito escluso il diritto al compenso del ricorrente per tutte le
attività professionali da lui svolte con riguardo al secondo giudizio, fino al momento della sua
riunione al primo, in quanto le domande in esso spiegate avrebbero potuto ritualmente e
tempestivamente essere proposte nel primo, giacché, a fronte delle difese della controparte K.K. , gli
attori avrebbero potuto, ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ. , proporre domande ed eccezioni
conseguenti alle avverse argomentazioni e richieste, nonché precisare e modificare domande,
eccezioni e conclusioni già proposte. Il ricorrente ha, in proposito, obiettato che, al momento della
notifica dell’atto di citazione, non risultava pubblicato, né trascritto alcun testamento olografo
riconducibile a J.J. e contenente la nomina di K.K. quale erede universale, che di esso ne aveva fatto
menzione quest’ultima solo nella comparsa di costituzione del 31/10/2002, allorché aveva affermato
che lo stesso, essendo intervenuta la rinuncia all’eredità della madre, I.I. , non era stato pubblicato,
né essa intendeva avvalersene, che detto documento era stato prodotto soltanto con le memorie
istruttorie ex art. 184 cod. proc. civ. , allorché si era saputo della sua pubblicazione avvenuta il
22/10/2002, che, pertanto, aveva chiesto la rimessione in termini per la formulazione delle
conseguenti domande, che il giudice aveva rigettato l’istanza e che, pertanto, aveva notificato l’atto
di citazione del 3/5/2005, in nome e per conto di tutti gli eredi legittimari, introducendo il secondo
giudizio che era stato riunito al primo. Alla stregua di tali precisazioni, il ricorrente ha, quindi,
affermato che, prima del deposito del testamento olografo, non avrebbe potuto proporre alcuna
correlata domanda per la lesione della legittima dei propri assistititi, essendo il relativo diritto
divenuto attuale soltanto con l’accettazione dell’eredità da parte della chiamata, in assenza della
quale sarebbe mancato l’interesse alla domanda.
2. Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio
che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. , per avere
i giudici di merito affermato che le procure notarili rilasciate da B.B. , C.C. e D.D. risalivano al 2003
e, dunque, ad epoca di gran lunga antecedente all’istaurazione del giudizio e che le stesse,
nonostante gli ampi poteri rilasciati al difensore, non facevano riferimento al secondo giudizio, ma
a quello antecedentemente intrapreso. Peraltro, per non incorrere nell’inammissibilità del motivo
per la c.d. doppia conforme, il ricorrente ha precisato che le pronunce di primo e secondo grado
erano sul punto diverse, posto che il Tribunale non aveva riconosciuto alcun compenso per il
secondo giudizio, in quanto era mancato da parte dell’avvocato l’adempimento dell’obbligo di
informazione nei confronti del cliente, senza citare in alcun modo le procure, mentre la Corte
d’Appello aveva preso posizione sul punto.
3. Con il terzo motivo di ricorso, subordinato al secondo, si lamenta la violazione e falsa applicazione
degli artt. 82, 83, 84 cod. proc. civ. e 1708 cod. civ. e di tutte le altre norme desumibili dai motivi, in
relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. , per avere i giudici di merito escluso il diritto al compenso
del difensore, in quanto questi aveva violato l’obbligo di informazione in relazione all’introduzione
del giudizio di secondo grado, senza considerare che la procura alle liti, che costituisce una mera
designazione, derivando l’attribuzione dei poteri del difensore direttamente dalla legge, dava facoltà
a quest’ultimo di impostare la lite, di scegliere la condotta processuale più rispondente agli interessi
del cliente e di modificarla in relazione agli sviluppi della causa, sicché le procure rilasciate al
ricorrente gli conferivano il potere di proporre le domande più opportune, proprio perché non
eccedenti l’ambito della lite originaria.
4. Per motivi di priorità logica, si ritiene di dover analizzare il secondo e il terzo motivo, la cui
inammissibilità, prima ancora che infondatezza, determina a cascata l’inammissibilità del primo.
E invero, come precisato in premessa, i giudici d’appello hanno fondato la decisione su due
autonome rationes decidendi, avendo escluso il diritto al compenso del difensore, sia in quanto il
secondo giudizio avrebbe potuto essere evitato se il legale avesse proposto la medesima domanda
con le memorie ex art. 183 cod. proc. civ. , nella formulazione antecedente alla novella del 2005, sia
in quanto il legale non aveva dimostrato di avere informato i propri assistiti della proposizione del
secondo giudizio, non potendo considerarsi a tal fine dirimente né la procura ad esso rilasciata da
C.C. , B.B. e D.D. , in quanto di gran lunga antecedente alla instaurazione dello stesso e, pur
attribuendo al procuratore ampie facoltà, non riferita al secondo giudizio, ma a quello già intrapreso
dal loro dante causa, né i documenti prodotti e le circostanze in essi attestate. Tale documentazione
è attinente a soggetti diversi dagli appellati e non idonea a dimostrare, in maniera piena e
incontrovertibile, la conoscenza, acquisita grazie all’informazione che il professionista avrebbe
dovuto dare loro, dell’introduzione del secondo giudizio e della sua necessità derivante dalle difese
della controparte K.K. . Ne deriva che il giudicato formatosi sulla prima ratio decidendi non può che
ridondare nell’inammissibilità della seconda, essendo la prima in sé idonea a reggere la decisione.
Con riguardo, in particolare, alla questione afferente all’omessa dimostrazione, da parte del
ricorrente, dell’adempimento dell’obbligo di informazione, occorre, innanzitutto, evidenziare come
le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale, come quelle dell’avvocato, sono, di
regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, si
impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo,
senza che il proprio inadempimento possa essere desunto senz’altro dal mancato raggiungimento
del risultato utile avuto di mira dal cliente, dovendo, invece, essere valutato alla stregua dei doveri
inerenti allo svolgimento dell’attività professionale, ed in particolare, al dovere di diligenza, per il
quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, il
parametro della diligenza professionale media fissato dall’art. 1176, secondo comma cod. civ. , da
commisurarsi alla natura dell’attività esercitata, sicché la relativa responsabilità può trovare
fondamento in una gamma di atteggiamenti subiettivi, che vanno dalla semplice colpa lieve al dolo,
a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi
tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso la responsabilità è attenuata, configurandosi, secondo
l’espresso disposto dell’art. 2236 cod. civ. , solo nel caso di dolo o colpa grave (Cass. , Sez. 2, 14/8/1997,
n. 7618).
In sostanza, la responsabilità del legale, quale prestatore d’opera professionale, è normalmente
regolata dall’art. 1176 cod. civ. , che fa obbligo al professionista di usare, nell’adempimento delle
obbligazioni inerenti la sua attività professionale, la diligenza del buon padre di famiglia, con la
conseguenza che egli risponde anche per colpa lieve, mentre nella sola ipotesi che la prestazione
dedotta in contratto implichi la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, la norma
dell’art. 2236 cod. civ. prevede un’attenuazione della normale responsabilità, nel senso che il
professionista è tenuto al risarcimento del danno unicamente per dolo o colpa grave (Cass. , Sez. 2,
11/8/1990, n. 8218); sicché, essendo la relazione tra gli artt. 1176 e 2236 cod. civ. di integrazione per
complementarietà e non già per specialità, vale come regola generale quella della diligenza del buon
professionista (art. 1176, comma secondo) con riguardo alla natura dell’attività prestata, mentre
quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà opera la
successiva norma dell’art. 2236 cod. civ. , che delimita la responsabilità professionale al dolo o alla
colpa grave (Cass. , Sez. 3, 15/1/2001, n. 499).
E allora, analizzando più nel dettaglio la questione oggi controversa, non può che affermarsi come
la condotta ascritta al difensore attenga ad un obbligo, quello di informazione, che l’art. 13, comma
5, della L. n. 247 del 2012 gli impone di adempiere per ogni questione sottoposta alla sua attenzione,
indipendentemente dalla maggiore o minore difficoltà di essa, non solo all’atto del conferimento del
mandato, ma anche nel corso dello svolgimento del rapporto. Obbligo, questo, che deve essere
assolto attraverso la rappresentazione al cliente di tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque
insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti
dannosi, la richiesta di elementi necessari o utili in suo possesso e l’opera di dissuasione
dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole nel corso dello
svolgimento del rapporto (Cass. , Sez. 3, 11/12/2023, n. 34412; Cass. , Sez. 3, 19/7/2019, n. 19520),
derivando dall’omessa informazione il totale inadempimento della prestazione, che, in quanto
improduttiva di effetti in favore del proprio assistito, fa venir meno il diritto al compenso (in termini
analoghi, Cass. , Sez. 3, 26/2/2013, n. 4781).
Questi essendo, dunque, i principi da applicare nella specie, appare evidente come, a fronte
dell’accertato inadempimento all’obbligo di informazione da parte del ricorrente, nessun rilievo
possano assumere gli esiti favorevoli del giudizio di merito che sarebbero stati conseguiti in caso di
impugnazione della sentenza di rigetto, né tantomeno i poteri conferiti al difensore attraverso il
rilascio della procura necessaria all’esercizio dello jus postulandi, siccome inidonei a deporre per la
compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del
cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno d’iniziare un processo o
intervenire in giudizio (Cass. , Sez. 2, 19/7/2019, n. 19520; Cass. , Sez. 2, 30/7/2004, n. 14597), specie
ove si consideri che non rientra tra i doveri di correttezza dell’avvocato ex art. 1227 cod. civ. , quello
di intraprendere un’azione giudiziaria aggiuntiva con accollo dei costi e dei rischi relativi (Cass. ,
Sez. 2, 14/8/1997, n. 7618), giacché sarebbe stata rilevante la sola prova della condotta mantenuta, il
cui onere, gravante sullo stesso ricorrente (Cass. , Sez. 3, 11/12/2023, n. 34412), è stato considerato
dalla Corte d’Appello non assolto.
Orbene, le due censure, per come articolate, non colgono la ratio decidendi della sentenza
impugnata, nella quale la questione afferente alla procura è stata esaminata, unitamente, peraltro,
ad altra documentazione fornita e giudicata a sua volta inidonea, solo in quanto prospettata come
dimostrativa dell’assolvimento dell’obbligo di informazione gravante sul legale, non certo per
negare la sussistenza di poteri rappresentativi in capo ad esso nell’instaurazione del secondo
giudizio o per mettere in discussione la strategia difensiva dallo stesso adottata e i poteri difensivi
ad essa connessi, come dedotto con la terza censura, che, peraltro, sono stati stigmatizzati sotto altro
profilo, ossia quello delle facoltà esercitabili nel primo giudizio ai sensi dell’art. 183 cod. proc. civ.
Inoltre, il secondo motivo tende altresì a rimettere in discussione, contrapponendovi le proprie, la
valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie concreta operate dai
giudici del merito, benché tale possibilità, trattandosi di accertamento di fatto, sia preclusa in sede
di legittimità (ex plurimis Cass. , Sez. 1, 6/11/2023, n. 30844; Cass. , Sez. 5, 15/5/2018, n. 11863, Cass. ,
Sez. 6 – 5, 7/12/2017, n. 29404; Cass. , Sez. 1, 2/8/2016, n. 16056). La valutazione delle prove raccolte è
attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui
conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono, per l’appunto, sindacabili
con il ricorso per cassazione (Cass. , Sez. 1, 3/7/2023, n. 18857; Cass. 19/07/2021, n. 20553; Cass.
29/10/2018, n. 27415).
Per quanto detto, le due censure sono inammissibili.
5. Dall’inammissibilità del secondo e terzo motivo, deriva l’inammissibilità del primo, atteso che,
qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome, ciascuna delle quali
logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso
per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità (o, come nella specie,
la pronunciata inammissibilità della censura riguardante una di esse), per difetto di interesse, anche
del gravame proposto avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non
inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata o, pur censurata, inammissibile, con la conseguenza
che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre, fondata su di essa (Cass. , Sez. I, 18 aprile 1998,
n. 3951; Cass. , Sez. 2, 30/3/2022, n. 10257).
6. In conclusione, stante l’inammissibilità delle censure, deve essere rigettato. Le spese del giudizio,
liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15
per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, legge
n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del
ricorrente del contributo unificato previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 – bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

Assegno divorzile riconosciuto in funzione assistenziale anche se lo stato di bisogno non è attuale

Cass. Civ., Sez. I, ordinanza 10 luglio 2024 n. 18850 – Pres. Acierno, Cons. Rel. Meloni
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2004/2023 R.G. proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in Brescia Via…, presso lo studio dell’avvocato …((Omissis)) che lo
rappresenta e difende
– ricorrente –
contro
B.B., elettivamente domiciliato in SPOLETO VIA G. ELLADIO N. 3, presso lo studio dell’avvocato
…((Omissis)) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato …((Omissis))
– controricorrente –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 1300/2022 depositata il 07/11/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/02/2024 dal Consigliere MARINA
MELONI.
Svolgimento del processo
A.A. impugna la sentenza resa inter partes dalla Corte d’Appello di Brescia n. 1300/2022 pubblicata
in data 07/11/2022,notificata in data 07/11/2022, con la quale, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale di Brescia n. 423/2022 depositata il 22/02/2022, ha riconosciuto a favore della signora B.B.
e a carico di A.A. un assegno divorzile pari a Euro 800,00 mensili, somma rivalutabile annualmente
secondo gli indici Istat a far data dalla sentenza in primo grado, da corrispondersi entro il giorno 5
di ogni mese a mezzo bonifico bancario, con unico motivo e memoria.
B.B. resiste con controricorso e memoria.
Motivi della decisione
Con unico motivo di ricorso il ricorrente denuncia: 1. Violazione o falsa applicazione degli artt. 5,
comma 6, L. 898/1970, 2697, 2727 e 2729 cod. civ. perché La Corte d’Appello di Brescia, ha,
preliminarmente, criticato, con la propria sentenza, l’iter logico-giuridico che il Tribunale di Brescia
ha utilizzato per negare l’assegno divorzile, iter definito: “illogico e contraddittorio, oltre che errato
in diritto laddove opera una scissione tra la valutazione dei criteri di riferimento in relazione all’an
e al quantum, scissione che, come è noto, è stata superata dalla più recente giurisprudenza di
legittimità” (Cfr. doc. 1 sentenza impugnata, pag. 10), ma poi ha disatteso essa stessa i principi
giurisprudenziali richiamati.
Il ricorso è infondato.
Risulta infatti dalla sentenza impugnata che la signora B.B. non aveva sempre lavorato in costanza
di matrimonio: dal 1990 al 1997 era stata disoccupata; nel 1998, in seguito alla nascita del figlio
Andrea, aveva lavorato part time; nel 2005 era stata immessa in ruolo ma era tornata a lavorare full
time solo dopo la separazione. Inoltre, contrariamente a quanto indicato in sentenza, ella non era
andata in pensione e non potrà andarci fino al compimento dei 67 anni secondo la normativa vigente,
cioè in data 1/9/2028. Tra l’altro, secondo una proiezione della pensione, non le spetterebbero più di
1000 Euro netti al mese e ciò a causa del contributo apportato alla famiglia che l’aveva costretta a
non lavorare con continuità. Va infine osservato che la signora B.B., per ragioni oggettive di età, non
ha la possibilità di reperire una attività lavorativa idonea a ridurre o a elidere lo squilibrio
economico.
Ciò premesso: “La Corte ritiene pertanto che l’assegno divorzile in funzione compensativo-
perequativa debba essere riconosciuto avendo anche, in parte, funzione assistenziale, in quanto la
signora B.B., se non si trova oggi in uno stato di bisogno, a breve avrà una pensione ridotta che
presumibilmente non le consentirà di mantenere gli immobili e quindi anche una vita dignitosa.
Tenuto conto di una certa autosufficienza economica dell’appellante e della intestazione a lei dei due
immobili, acquistati, quantomeno in parte, con il contributo del marito, la Corte ritiene di
determinare l’assegno divorzile in Euro 800 mensili, somma dovuta dalla pronuncia in primo grado
(in precedenza mantenendo vigore i provvedimenti presidenziali), con rivalutazione annuale
secondo gli indici Istat”. È giudizio arbitrario ritenere, come fa il Tribunale, che tale sperequazione
non sia anche frutto di un accordo tra i coniugi nella gestione della vita familiare, giacché l’accordo
nella suddivisione dei compiti, come sopra delineati, si presume quando la durata del matrimonio
è trentennale e dal matrimonio sono nati due figli, né basta certo la contestazione generica, ex post,
da parte dell’appellato. Alla luce di queste considerazioni, ella aveva ritenuto che le rinunce
professionali fatte in costanza di matrimonio per prendersi cura della famiglia e dei figli (circostanze
mai contestate dall’ex marito) avevano di fatto agevolato il Graziani nella sua attività lavorativa,
permettendogli di specializzarsi, di studiare e di girare il mondo per diventare un luminare in campo
medico-scientifico.” Con conseguente accrescimento cospicuo del suo patrimonio mobiliare ed
immobiliare grazie ai sacrifici della B.B.
Appare altresì opportuno rammentare che le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, nr. 18287 del
11/07/2018) hanno affermato “Il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge,
cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi
dell’art. 5, comma 6, della L. n. 898 del 1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi
dell’ex coniuge istante, e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri
equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre
attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà
essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-
patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione
della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di
ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La
funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno
divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento
del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del
patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi” (sul punto anche Cass. 5603/2020 e
17098/2019).
Quanto alla condizione economica dei coniugi degli ultimi tre anni, emerge dalla sentenza quanto
segue: B.B.: 2019 reddito complessivo Euro 74.331,00; 2020 reddito complessivo Euro 69.579,00; 2021
reddito complessivo Euro 66.610,00 (comprensivi dell’assegno). Graziani: 2019 reddito complessivo
Euro 261.418,00; 2020 reddito complessivo Euro 219.304,00; 2021 reddito complessivo Euro
243.231,00. Appare pertanto evidente la notevole sperequazione tra i redditi e anche tra i patrimoni
immobiliari delle parti.
Ciò premesso nel caso concreto, la censura risulta infondata posto che la moglie ha diritto al
riconoscimento di un assegno di divorzio a carico dell’ex coniuge, in funzione compensativa
risultando provato il contributo offerto alla comunione familiare con rinuncia concordata ad
occasioni lavorative e di crescite professionale in costanza di matrimonio (Cassazione SSUU nr.
32198 del 5/11/2021).
La corte di merito ha motivato adeguatamente sulla sussistenza delle condizioni per riconoscere la
componente perequativo-compensativa dell’assegno la cui prova può anche essere data anche con
presunzioni.
Il ricorso deve quindi essere respinto ed il ricorrente condannato alle spese di giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio a favore del
controricorrente che si liquidano in Euro 4000,00 complessive più Euro 200,00 per esborsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002 ricorrono i presupposti
processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Dispone altresì che ai sensi dell’art. 52 del D.Lgs. n. 196/03, in caso di diffusione della presente
ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti
Conclusione
Così deciso in Roma, l’8 febbraio 2024.
Depositato in Cancelleria il 10 luglio 2024