AdS per la persona affetta da abituale infermità di mente

Tribunale Salerno, Sez. I, sent., 27 luglio 2022, n. 2708 – Pres. Costabile, Giud. Rel. Chiosi
TRIBUNALE DI SALERNO
Prima Sezione Civile
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n. …/2022 del Ruolo Generale,
avente per oggetto: Dichiarazione di Interdizione, vertente
TRA
M.M., nata a E. (S.) il (…), C.F.: (…)
P.D., nato a C. (S.) il (…), C.F.: (…)
elettivamente domiciliati presso lo studio dell’avv. … che li rappresenta e difende in virtù di procura in
calce al ricorso
RICORRENTE
E
P.A., residente in C. (S.) alla Via S. Z. I n. 10
T.M., residente in C. (S.) alla Via S. Z. I n. 10
P.R., residente in C. (S.) alla Via S. Z. I n. 10
P.A., residente in C. (S.) alla Via S. Z. I n. 10
P.R., residente in C. (S.) alla Via S. Z. I n. 10
M.S., residente in C. (S.) alla Via D. n. 317
M.N., residente in P. (M.) alla Via U. n. 19
L.A., residente in E.(S.) alla Via S. A. n. 16
RESISTENTI CONTUMACI
E
P.A., nato a B. (S.) il (…), C.F.: (…)
RESISTENTE CONTUMACE-INTERDICENDO
NONCHE’
IL P.M. IN SEDE
INTERVENTORE EX LEGE
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1.Con ricorso depositato in data 11 aprile 2022, M.M. e P.D., in qualità di genitori, hanno chiesto
dichiararsi l’interdizione di P.A. in quanto affetto fin dalla nascita da un ritardo nello sviluppo cognitivo
e linguistico, con conseguente totale compromissione delle facoltà di discernimento e di scelta.
In particolare, i ricorrenti hanno dedotto che A. non è in alcun modo in grado di svolgere le più normali
e quotidiane attività fisiche ed intellettuali, al punto di non essere più in nulla autosufficiente e, dunque,
di necessitare una continua assistenza e cura; al riguardo, hanno precisato che lo stesso non è in grado
di assumere alcuna decisione in merito al proprio stato di salute né di provvedere ai propri interessi
patrimoniali e hanno chiesto la pronuncia di interdizione al fine di tutelarlo in modo adeguato e di
offrirgli completo supporto e sostegno.
Esaminato l’interdicendo, sentiti i suoi genitori, la causa veniva rimessa al Collegio per la decisione
senza i termini di cui all’art. 190 c.p.c..
2. La domanda non è fondata e deve essere rigettata.
In via preliminare, va dichiarata la contumacia dell’interdicendo e degli altri resistenti, verificata la
regolarità delle notifiche del ricorso.
Deve, inoltre, affermarsi la sussistenza della legittimazione attiva dei ricorrenti ai sensi dell’art. 417 cod.
civ., in quanto genitori conviventi con l’interdicendo.
Tanto premesso, occorre rilevare, in punto di diritto, che l’art. 414 cod. civ., come sostituito dall’art. 4
comma 2 della L. 9 gennaio 2004, n. 6, richiede due condizioni per la dichiarazione di interdizione del
maggiore di età o minore emancipato, che segnano il discrimine di tale forma di protezione dei soggetti
incapaci da altri istituti meno invasivi della loro sfera personale e giuridica, quali l’inabilitazione e
l’amministrazione di sostegno. E’ richiesta, in primo luogo, una “condizione di abituale infermità di
mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi”, ovverosia una particolare gravità della
patologia che, diversamente dallo stato di limitata capacità dell’inabilitato, escluda totalmente la loro
idoneità cognitiva e volitiva anche rispetto agli atti di ordinaria amministrazione. Occorre, poi, che lo
status di interdetto sia “necessario per assicurare la loro adeguata protezione”, il che vale a dire che la
misura, stante la gravità dei suoi effetti, ha carattere residuale ed è riservata a quelle ipotesi in cui la
meno invasiva amministrazione di sostegno non sarebbe in grado di assicurare un’efficacia tutela
dell’incapace.
Al riguardo, la Suprema Corte ha chiarito che, anche in presenza di patologie particolarmente gravi,
deve accordarsi preferenza allo strumento dell’amministrazione di sostegno ove, in ragione della
specificità della singola fattispecie, esso sia sufficiente a soddisfare le esigenze del caso concreto; in
particolare, ad ipotesi in cui non risulti necessaria una limitazione generale della capacità del soggetto,
poiché la protezione dell’incapace richiede un’attività minima, estremamente semplice, tale da non
rischiare di pregiudicare gli interessi del soggetto, vuoi per la scarsa consistenza del patrimonio
disponibile, vuoi per la semplicità delle operazioni da svolgere (attinenti, ad esempio, alla gestione
ordinaria del reddito da pensione) e per l’attitudine del soggetto protetto a non porre in discussione i
risultati dell’attività di sostegno nei suoi confronti e vuoi per un sereno e pacifico contesto familiare,
corrisponderà l’amministrazione di sostegno, da preferire alle più invasive misure dell’inabilitazione e
della interdizione, che attribuiscono uno status di incapacità, non solo sul piano pratico, in
considerazione dei costi meno elevati e delle procedure più snelle, ma altresì su quello etico-sociale, per
il maggior rispetto della dignità dell’individuo. Per converso, ove si tratti di gestire un’attività di una
certa complessità, da svolgere in una molteplicità di direzioni, ovvero nei casi in cui appaia necessario
impedire al soggetto da tutelare di compiere atti pregiudizievoli per sé, eventualmente anche in
considerazione della permanenza di un minimum di vita di relazione che porti detto soggetto ad avere
contatti con l’esterno, ovvero in ogni altra ipotesi in cui il giudice ritenga lo strumento di tutela
apprestato dalla interdizione l’unico idoneo ad assicurare quella adeguata protezione degli interessi
della persona che la legge richiede, è quest’ultimo, e non già l’amministrazione di sostegno, l’istituto che
deve trovare applicazione (Cass. 12.6.2006 n. 13584; Cass. 22.4.2009 n. 9628).
In definitiva, anche rispetto al soggetto totalmente incapace di provvedere ai propri interessi, il
legislatore affida al giudice il compito di individuare l’istituto che, da un lato, garantisca all’incapace la
tutela più adeguata alla fattispecie e, dall’altro, limiti nella minore misura possibile la sua capacita. Solo
se non ravvisi interventi di sostegno idonei ad assicurare all’incapace siffatta protezione, il giudice può
ricorrere alle ben più invasive misure dell’inabilitazione o dell’interdizione, che attribuiscono uno status
di incapacità (Corte Cost. 30.11.2005 n. 440). Rispetto all’interdizione e all’inabilitazione, l’ambito di
applicazione dell’amministrazione di sostegno va individuato con riguardo non già al diverso, e meno
intenso, grado di infermità o di impossibilità di attendere ai propri interessi del soggetto carente di
autonomia, ma piuttosto alla maggiore capacità di tale strumento di adeguarsi alle esigenze di detto
soggetto, in relazione alla sua flessibilità ed alla maggiore agilità della relativa procedura applicativa
(Cass., 26.10.2011 n. 22332); in estrema sintesi, deve dirsi che si dà luogo all’amministrazione di sostegno
nel caso in cui, per assicurare adeguata tutela ad una persona affetta da abituale infermità di mente, è
sufficiente una gestione solo di specifici affari mentre occorre la dichiarazione di interdizione se la
gestione deve essere generale e globale, dato che una gestione globale degli interessi dell’inabile non
può essere garantita dall’amministrazione di sostegno, in quanto i poteri dell’amministratore in nessun
caso possono coincidere con quelli di un tutore e consistere nel potere di compiere, in nome e per conto
dell’infermo, tutti gli atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione.
Al riguardo, all’udienza del 23 giugno 2022, è stato effettuato l’esame dell’interdicendo, principale fonte
di convincimento del Giudice, che ha evidenziato lo stato di grave ed abituale infermità di mente di A.
che, per la sua patologia, non ha potuto sostenere alcuna forma di dialogo e di interazione con il mondo
esterno, mostrandosi altresì` disorientato nello spazio e nel tempo (cfr. verbale di causa del 23 giugno
2022).
Orbene, nel caso di specie, l’interdicendo, sebbene sia affetto da una grave patologia che ex se
legittimerebbe anche la pronuncia di interdizione, come risulta altresì` dalla documentazione medica
prodotta, non risulta essere titolare di un patrimonio di notevole consistenza e, soprattutto, difficile da
gestire, essendo tra l’altro circondato dall’affetto e dalla cura di una compagine familiare priva di
contrasti; in definitiva, le sue attuali esigenze possono essere soddisfatte con la nomina di un
amministratore di sostegno cui affidare specifici poteri di rappresentanza.
Pertanto, il Tribunale rigetta il ricorso per interdizione ma, in virtù delle considerazioni che precedono,
sulla base dell’art. 418, co 3, c.c., dispone la trasmissione del procedimento al Giudice Tutelare
competente, al quale spetta l’apertura dell’amministrazione di sostegno, la scelta della persona idonea
a ricoprire l’incarico in via definitiva e l’indicazione dei relativi poteri.
A tal proposito, deve dirsi che sono emersi nel corso dell’istruttoria specifici e puntuali elementi da cui
desumere la necessità di adottare singoli provvedimenti urgenti a tutela dell’interessato, atteso che non
è stato nominato il tutore provvisorio, avendo i genitori ricorrenti manifestato la necessità di provvedere
agli interessi personali e patrimoniali di A..
Al riguardo, il Tribunale dispone la nomina della ricorrente, M.M., ad amministratore di sostegno
provvisorio del figlio, attribuendo alla stessa i seguenti compiti nelle more del procedimento per
amministrazione di sostegno:
a) rappresenterà il beneficiario nella richiesta della pensione di invalidità e di altre pensioni e/o
indennità allo stesso spettanti per legge;
b) rappresenterà il beneficiario nella riscossione delle entrate di spettanza dello stesso a titolo di
pensione od altra provvidenza economica mensile che verranno depositate su un conto corrente
bancario o postale intestato al beneficiario dove dovranno altresì` essere trasferiti i saldi di ulteriori conti
di pertinenza del beneficiario che verranno estinti; preleverà mensilmente dal conto suddetto le somme
necessarie per la cura e mantenimento di quest’ultimo;
c) rappresenterà il beneficiario nei rapporti con i terzi, con gli enti della sanità pubblica e privata, con
gli enti locali, previdenziali, assistenziali, nonché con il fisco e la pubblica amministrazione in genere,
sia locale che centrale;
d) avrà cura della persona del beneficiario, provvedendo a rappresentarlo nelle richieste di cure e di
terapie necessarie alla sua salute e tenendo conto dei bisogni e necessità dello stesso.
In considerazione della natura della domanda, nulla si dispone sulle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale di Salerno, Prima Sezione Civile, definitivamente pronunciando, così` provvede:
a) dichiara la contumacia dell’interdicendo e degli altri resistenti;
b) rigetta il ricorso per interdizione presentato nei confronti di P.A.;
c) nomina M.M., nata a E. (S.) il (…), C.F.: (…), amministratore di sostegno provvisorio del figlio, P.A.,
con gli specifici comiti di cui in parte motiva;
d) dispone la trasmissione degli atti del procedimento (compresa la sentenza) al Giudice Tutelare;
a) nulla si dispone sulle spese del giudizio.
Conclusione
Così deciso in Salerno, il 21 luglio 2022.
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2022

Cognome. La volontà dei genitori del minore al mutamento non è condizione sufficiente

T.A.R. Emilia-Romagna Parma, Sez. I, sent., 25 agosto 2022, n. 245
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Emilia Romagna
sezione staccata di Parma (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 287 del 2019, proposto da -OMISSIS-e -OMISSIS-in proprio
e per la minore -OMISSIS-, rappresentate e difese dagli avvocati…, con domicilio eletto presso lo
studio …in -OMISSIS-, …;
contro
U.T.G. – Prefettura di -OMISSIS-, Ministero della Giustizia e Ministero dell’Interno, in persona del
legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale Bologna,
domiciliataria ex lege in Bologna, via A. Testoni, 6;
Procura della Repubblica Presso il Tribunale di -OMISSIS-, non costituito in giudizio;
per l’annullamento
del provvedimento prot. n. -OMISSIS-con cui la Prefettura di -OMISSIS-ha rigettato la richiesta di
modifica del cognome (mediante aggiunta del secondo cognome) della minore -OMISSIS-.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di U.T.G. – Prefettura di -OMISSIS-e di Ministero della
Giustizia e di Ministero dell’Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza smaltimento del giorno 17 giugno 2022 il dott. Agatino Giuseppe Lanzafame
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
1. In data -OMISSIS-la sig. -OMISSIS-, unita civilmente con la sig. -OMISSIS-, ha partorito la piccola
-OMISSIS- e l’ha riconosciuta come figlia innanzi all’Ufficiale dello Stato Civile di -OMISSIS-.
2. In data-OMISSIS-, la sig. -OMISSIS-ha riconosciuto quale propria figlia la piccola -OMISSIS-
innanzi all’Ufficiale dello Stato Civile di -OMISSIS-, il quale ha annotato nel Registro di Stato Civile
tale riconoscimento, in aggiunta a quello già effettuato dalla sig. -OMISSIS-.
3. In data -OMISSIS-, la sig. -OMISSIS-ha depositato presso la Prefettura di -OMISSIS-istanza per
ottenere il cambiamento del cognome della figlia da “-OMISSIS-” a “-OMISSIS- -OMISSIS-“,
dichiarando quale motivo della richiesta di voler “aggiungere il cognome della mia compagna come
progetto di famiglia” e corredando la propria istanza con la manifestazione di consenso della sig. –
OMISSIS-.
4. In data -OMISSIS-, l’amministrazione ha comunicato il preavviso di diniego alla sig. -OMISSIS- ai
sensi dell’art. 10-bis, L. n. 241 del 1990.
5. In data -OMISSIS-, le sig. -OMISSIS- e -OMISSIS- – “in proprio e in qualità di esercenti la
responsabilità genitoriale della minore -OMISSIS-” – hanno inviato alla p.a. le proprie
controdeduzioni.
6. Con provvedimento -OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS-, il Prefetto di -OMISSIS-ha respinto la
domanda della sig. -OMISSIS- con un’articolata motivazione nella quale ha osservato, tra l’altro, che
“nel presente procedimento risultano … compresenti, da una parte, l’interesse privato dalla signora
-OMISSIS- -OMISSIS-a ottenere il mutamento del cognome della figlia minore -OMISSIS- -OMISSIS-
… e dall’altra parte, l’interesse pubblico alla tendenziale stabilità del cognome, quale segno
identificativo della persona, interesse riconducibile alla sfera generale dell’ordine pubblico … nel
suo più ampio significato quale insieme dei principi fondanti l’ordinamento giuridico nel suo
complesso e dei valori etici cui esso si ispira, nonché quale limite estrinseco della sfera
dell’autonomia privata, desumibile, oltre che dalla Carta costituzionale, anche dalle norme
civilistiche attinenti sia i diritti primari che l’autodeterminazione e la libertà negoziale … dalle norme
di diritto internazionale privato … dalla recente normativa sulle unioni civili e dalle norme
comunitarie”; ha evidenziato che “nel caso di specie il minore risulterebbe destinatario di una scelta operata
(imposta) da altri, potendo solo al raggiungimento della maggiore età eventualmente modificare tale scelta, i
cui effetti sul piano dell’identità personale e sociale del medesimo si sarebbero ormai abbondantemente prodotti
e consolidati”; ha sottolineato che “in nessuna norma del vigente ordinamento si rinvengono disposizioni che
contemplano un diritto pieno e assoluto di imporre al figlio (minorenne) di una delle parti di un’unione civile
il cognome dell’altra parte … con l’intento di attribuire al minore una stabile identità familiare”; e ha
conclusivamente affermato che il mutamento di cognome richiesto dalla sig. -OMISSIS- per la
propria figlia non può essere disposto poiché incide “contemporaneamente su un diritto fondamentale e
sull’interesse primario all’identità personale della stessa minore, nonché sull’interesse pubblico alla
tendenziale stabilità del cognome della persona umana”.
7. Con ricorso notificato in data -OMISSIS-e depositato in data -OMISSIS-, le sig.re -OMISSIS-e –
OMISSIS– sempre “in proprio e in qualità di esercenti la responsabilità genitoriale della minore –
OMISSIS-” – hanno chiesto a questo Tribunale di annullare il provvedimento Prefetto di -OMISSIS-,
-OMISSIS-, prot. n. -OMISSIS- sulla base di un unico articolato motivo di gravame.
Segnatamente, le due ricorrenti hanno lamentato l’illegittimità del provvedimento del Prefetto per
“violazione e falsa applicazione dell’art. 84 e seguenti della L. n. 396 del 2000; eccesso di potere per
violazione del giusto procedimento; violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e segg. della L. n.
241 del 1990; sviamento di potere” sostenendo – in primo luogo – che “nei procedimenti ex art. 84 e
ss. L. n. 396 del 2000 l’attività del Prefetto è “vincolata” e in presenza del consenso esplicito di
entrambi i genitori, come è nel caso di specie, lo stesso deve unicamente limitarsi a valutare la
documentazione prodotta a comprova della realtà dichiarata”.
Le ricorrenti hanno inoltre osservato che “oltre a eccedere i propri limiti di competenza il Prefetto
della Provincia di -OMISSIS-giunge infatti a una erronea e arbitraria ponderazione degli interessi in
gioco”, notando che la fattispecie oggetto del giudizio ha “a oggetto un’istanza di “aggiunta” e non
di “sostituzione” del cognome della piccola -OMISSIS- e non lede l’esigenza sociale dell’immutabilità
del cognome in quanto la semplice aggiunta di un cognome, mantenendo quindi il precedente, si
limita a maggiormente specificare – e non a modificare – la situazione di fatto esistente” e sostenendo
che “il caso che occupa riguarda esclusivamente il diritto di formalizzare una realtà di fatto già
legalmente riconosciuta a monte”.
Infine, le ricorrenti hanno evidenziato che “il diritto al nome rientri nella categoria dei diritti
inviolabili, in quanto elemento primario nell’individuazione della persona umana che ha una
principale funzione di identificazione attribuita dalla legge alla persona e tutelata anche nei
confronti dello Stato”, sostenendo che “il diniego impugnato determinerebbe un serio pregiudizio
anche alla sfera di diritti inviolabili del minore e potrebbe ingenerare nei consociati incertezza
nell’individuazione della piccola -OMISSIS-, che pur conosciuta nella comunità come figlia delle
Sig.re -OMISSIS-e -OMISSIS-vedrebbe il proprio cognome ricollegato unicamente alla prima delle
due”.
8. Con memoria del -OMISSIS-, l’amministrazione ha spiegato le proprie difese insistendo per
l’infondatezza della pretesa delle ricorrenti.
In particolare l’amministrazione ha evidenziato “l’incoerenza delle argomentazioni proposte dalle
ricorrenti, le quali … nell’intero testo del gravame delineano una costruzione teorica basata su diritti
soggettivi che importerebbe la giurisdizione del giudice ordinario laddove invece è palese che nel
caso in ispecie si è di fronte alla mera impugnativa per asseriti vizi di legittimità di un
provvedimento amministrativo (prefettizio) concernente il cambiamento del cognome di un minore,
e dunque si verte sulla materia dell’interesse legittimo”.
Nel merito, poi, l’amministrazione ha sottolineato di essersi “attenuta rigorosamente all’applicazione
delle norme vigenti, in linea anche con la giurisprudenza in materia, esercitando e congruamente
motivando il potere discrezionale attribuitogli dalla legge”.
9. In data -OMISSIS-, la stessa p.a. ha depositato la sentenza del Tribunale di -OMISSIS-con cui – in
accoglimento del ricorso proposto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di -OMISSIS–
è stato ordinato all’Ufficiale dello Stato Civile presso il Comune di -OMISSIS-di procedere alla
“cancellazione dell’atto di riconoscimento effettuato da -OMISSIS-con riferimento alla minore –
OMISSIS- … e alla cancellazione della relativa annotazione apposta sull’atto di nascita”.
10. Con memoria del 16 maggio 2022, le due ricorrenti hanno evidenziato di aver promosso innanzi
al Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna procedimento per adozione ex art. 44, L. n. 184
del 1983 e hanno chiesto il rinvio della trattazione della causa in attesa della decisione su tale ultimo
procedimento “che farebbe venir meno … l’interesse … a proseguire il presente giudizio”, insistendo, in
subordine, per l’accoglimento di tutte le domande proposte nel gravame.
11. All’udienza del 17 giugno 2022, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato, sicché il Collegio ritiene di poter prescindere dal prendere in considerazione
la sussistenza di un profilo di difetto di legittimazione in capo alla sig. -OMISSIS-(la quale non ha
proposto istanza al Prefetto; non è destinataria del provvedimento di diniego; e non esercita – almeno
allo stato e fatto salvo l’esito del procedimento di adozione in corso – potestà genitoriale nei confronti
della sig. -OMISSIS-).
2. Il presente giudizio riguarda un’istanza di mutamento del cognome proposta ai sensi dell’art. 89,
D.P.R. n. 396 del 2000, secondo cui “chiunque vuole cambiare il nome o aggiungere al proprio un
altro nome ovvero vuole cambiare il cognome, anche perché ridicolo o vergognoso o perché rivela
l’origine naturale o aggiungere al proprio un altro cognome, deve farne domanda al prefetto”.
Il provvedimento prefettizio di decisione su detta istanza, com’è noto, “ha carattere discrezionale,
dovendo l’amministrazione valutare e contemperare i contrapposti interessi pubblici e privati
sussistenti in materia, tra cui, dal lato pubblico, appare preminente l’esigenza che i cognomi siano
tendenzialmente stabili nel tempo, in modo da assolvere alla funzione tipica di identificazione della
persona” (Consiglio di Stato, IV, 29 febbraio 2008, n. 777).
Da ciò discende che tale provvedimento deve essere corredato da una motivazione congrua e logica
da cui si evincano le ragioni che hanno indotto l’amministrazione a determinarsi nel senso
dell’accoglimento o del rigetto dell’istanza e che, al contempo, “il sindacato esercitabile dal giudice
amministrativo in sede di legittimità è limitato al riscontro di eventuali profili di abnormità
nell’ambito dei criteri valutativi valorizzati dall’amministrazione, non potendo il giudice
direttamente procedere al giudizio di bilanciamento tra gli interessi pubblici e privati coinvolti ma
dovendosi limitare a verificare se il provvedimento di diniego esibisca profili disfunzionali
estrinsecamente percepibili, poggiando su criteri chiaramente inidonei a perseguire e tutelare gli
interessi pubblici e privati in materia (cfr. ancora Consiglio di Stato, IV, n. 777/2008).
Nello stesso senso è stato notato che “dalla natura discrezionale del provvedimento prefettizio
discende “che il sindacato giurisdizionale dello stesso può essere condotto … sotto il limitato profilo
della manifesta irragionevolezza delle argomentazioni amministrative o del difetto di motivazione”
(Consiglio di Stato, IV, 26 aprile 2006, n. 2320).
È stato inoltre specificato che l’ordinamento non prevede un diritto soggettivo al cambiamento del
cognome e che il riconoscimento di una posizione soggettiva di interesse legittimo in capo agli istanti
“intende escludere che dall’esercizio della facoltà del privato, normativamente prevista, di chiedere
la modifica del proprio prenome o cognome, possa conseguire un nocumento del principio
pubblicistico della stabilità dei segni identificativi e della corretta identificazione dei cittadini”
(Consiglio di Stato, I, 8 giugno 2020, n. 1094).
È stato infine evidenziato che “dalla disciplina normativa in materia si evince il principio secondo
cui i cambiamenti, le aggiunte o le rettifiche al nome – inteso in senso ampio – rivestono carattere
eccezionale e sono autorizzate solo in presenza di situazioni oggettivamente rilevanti, in quanto il
nome costituisce un elemento fondante dell’identità personale, connesso ai suoi profili pubblicistici
come mezzo di identificazione dell’individuo” (Consiglio di Stato, I, 22 maggio 2014, n. 1658).
3. Ciò premesso sulla natura del potere prefettizio, è evidente l’infondatezza delle doglianze
proposte dalle ricorrenti.
3.1. Non può in primo luogo condividersi l’assunto secondo cui “nei procedimenti ex art. 84 e ss. L.
n. 396 del 2000 l’attività del Prefetto è “vincolata” e in presenza del consenso esplicito di entrambi i
genitori, come è nel caso di specie, lo stesso deve unicamente limitarsi a valutare la documentazione
prodotta a comprova della realtà dichiarata”.
Rispetto a tale osservazione deve innanzitutto premettersi che, nel caso di specie, non vi è una
richiesta congiunta da parte di due genitori, ma si è in presenza della richiesta della madre biologica
e del consenso della persona unita civilmente con quest’ultima (il cui cognome dovrebbe essere
aggiunto a quello della minore).
Precisato quanto sopra, va in ogni caso evidenziato che se è vero che l’istanza di mutamento del
cognome della persona minore d’età deve essere di regola presentata congiuntamente dai genitori
(cfr. ex multis Tar Lazio, I, 26 novembre 2018, n. 11410), la concorde volontà degli stessi non limita
in alcun modo il potere discrezionale del Prefetto nella valutazione di detta istanza.
Ciò per un verso, in ragione, del fatto che – in via generale – il potere prefettizio è orientato, come si
è già detto, alla tutela di interessi pubblici, quale è innanzitutto quello della tendenziale stabilità del
cognome della persona. Per altro verso, perché, proprio la presenza di un minore impone al Prefetto
di considerare l’interesse dello stesso all’accoglimento della domanda.
In altri termini, la concorde volontà dei genitori del minore è condizione necessaria (salve ipotesi
peculiari, v. circolare Ministero dell’Interno n. 15/2008 e Tar Bologna, I, 8 novembre 2021, n. 902) ma
non sufficiente per il mutamento del cognome del minore e non esime l’amministrazione
dall’effettuare quel delicato bilanciamento tra i diversi interessi pubblici e privati che vengono in
rilievo in tale materia.
3.2. Non può ritenersi, poi, come hanno sostenuto le ricorrenti, che il Prefetto di -OMISSIS-sia giunto
“a una erronea e arbitraria ponderazione degli interessi in gioco in quanto l’aggiunta del cognome,
a differenza della sua sostituzione, non lede l’esigenza sociale dell’immutabilità del cognome e si
limita a maggiormente specificare – e non a modificare – la situazione di fatto esistente”.
A tal proposito, va in primo luogo osservato che l’aggiunta di un cognome è idonea ad incidere
sull’identità della persona (nonché sull’interesse pubblico alla stabilità dei cognomi) al pari della sua
modificazione.
A ciò deve aggiungersi che, nel caso di specie, la ponderazione degli interessi in gioco effettuata dal
Prefetto non appare nient’affatto manifestamente irragionevole e/o arbitraria. E, infatti, come si è già
notato nella ricostruzione in fatto sub (…), il Prefetto di -OMISSIS-nell’adozione del diniego ha
effettuato un’accurata ricostruzione di tutti gli interessi pubblici e privati che vengono in rilievo nella
vicenda odierna (l’interesse privato dalla signora -OMISSIS- -OMISSIS-a ottenere il mutamento del
cognome della figlia, l’interesse di quest’ultima, nonché l’interesse pubblico alla tendenziale stabilità
del cognome) e ha conclusivamente ritenuto che il mutamento di cognome richiesto dall’istante per
la figlia non può essere disposto poiché incide “contemporaneamente su un diritto fondamentale e
sull’interesse primario all’identità personale della stessa minore, nonché sull’interesse pubblico alla
tendenziale stabilità del cognome della persona umana”.
Corrette e ragionevoli sono altresì le considerazioni, svolte in motivazione, secondo cui “nel caso di
specie il minore risulterebbe destinatario di una scelta operata (imposta) da altri, potendo solo al
raggiungimento della maggiore età eventualmente modificare tale scelta, i cui effetti sul piano
dell’identità personale e sociale del medesimo si sarebbero ormai abbondantemente prodotti e
consolidati” e secondo cui “in nessuna norma del vigente ordinamento si rinvengono disposizioni
che contemplano un diritto pieno e assoluto di imporre al figlio (minorenne) di una delle parti di
un’unione civile il cognome dell’altra parte … con l’intento di attribuire al minore una stabile identità
familiare”.
3.3. Non può essere accolta, poi, l’argomentazione di parte ricorrente secondo cui “il caso che occupa
riguarda esclusivamente il diritto di formalizzare una realtà di fatto già legalmente riconosciuta a
monte”: a tal proposito è dirimente la circostanza che con provvedimento Tribunale di -OMISSIS-è
stata ordinata la “cancellazione dell’atto di riconoscimento effettuato da -OMISSIS-con riferimento
alla minore -OMISSIS- nonché la cancellazione della relativa annotazione apposta sull’atto di
nascita”.
3.4. Prive di pregio, infine, sono le argomentazioni svolte dalle ricorrenti (prima, nell’ambito delle
deduzioni prodotte nel procedimento e, poi, nell’atto introduttivo del giudizio) in ordine al fatto che
il diniego sull’istanza della sig. -OMISSIS- si porrebbe in violazione del “diritto al nome” della
minore.
Per un verso, e in via generale, infatti, deve ribadirsi che non sussiste un diritto al cambiamento del
cognome ex art. 89, D.P.R. n. 396 del 2000 e che il presente giudizio è volto a contestare la decisione
resa dal Prefetto nell’ambito dei poteri allo stesso conferiti dagli artt. 89 e ss. D.P.R. n. 396 del 2000,
sicché sarebbe comunque estranea al perimetro del presente giudizio (oltreché alla giurisdizione di
questo giudice) ogni valutazione circa l’eventuale sussistenza di un diritto soggettivo della minore
ad acquisire il cognome della persona unita civilmente con la madre.
Per altro verso, si è già notato che – come correttamente osservato dal Prefetto di -OMISSIS– “in
nessuna norma del vigente ordinamento si rinvengono disposizioni che contemplano un diritto
pieno e assoluto di imporre al figlio (minorenne) di una delle parti di un’unione civile il cognome
dell’altra parte … con l’intento di attribuire al minore una stabile identità familiare”.
Ancora, deve evidenziarsi che proprio il diritto al nome della persona – quale segno distintivo
dell’identità personale – garantito e protetto dall’art. 6 c.c. impone alla p.a. di considerare con
particolare rigore l’istanza di modifica del cognome di un minore, specie ove tale istanza sia
finalizzata a creare un legame identitario con un soggetto (la persona unita civilmente con l’unico
genitore) che – allo stato e fatto salvo l’esito del procedimento di adozione – non è legato al minore
in questione da alcun vincolo legale idoneo a fornire la necessaria stabilità al legame identitario (che
sarebbe stato) creato dal mutamento del cognome.
4. Per tutte le superiori ragioni, il ricorso deve essere respinto.
5. In ragione della peculiarità della vicenda, tuttavia, sussistono giuste ragioni per disporre
l’integrale compensazione tra le parti delle spese processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna sezione staccata di -OMISSIS-(Sezione
Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003,
n. 196, e dell’articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del
Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità delle parti interessate, manda alla
segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad
identificare le parti

L’intersessualismo richiede giudizio di rettifica dell’atto di nascita

Tribunale di Paola, Decreto 28 ottobre 2021, Est. Ruggiero
TRIBUNALE DI PAOLA
Sezione civile
ha emesso il seguente
DECRETO
nel procedimento ex art. 700 c.p.c. per la rettifica dell’atto di nascita della minore Tizio
promosso da CAIA e SEMPRONIO e iscritto al n. 95/2021 del R.G.V.G.
MOTIVAZIONE IN FATTO E IN DIRITTO
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. depositato il 4.2.21, CAIA e SEMPRONIO, premesso che: 1)
In data 5.10.2020 presso l’ospedale San Giovanni di Lagonegro (PZ) la sig.ra CAIA ha
partorito il neonato Tizio, con sindrome adreno-genitalica al quale è stato subito attribuito
sesso maschile; 2) Il bambino presentava organi genitali esterni ambigui che ad un primo
esame hanno indotto i medici dell’ospedale di Lagonegro (PZ) a ritenere che appartenesse al
genere maschile; 3) la patologia presentata dal neonato, “ sindrome adreno – genitalica con
perdita di sali e genitali ambigui” ha richiesto l’immediato trasferimento del neonato presso
il reparto di neonatologia dell’azienda ospedaliera “San Carlo” di Potenza; 4) da successivi
esami ecografici i medici hanno accertato che il neonato possiede organi genitali interni
femminili e le indagini genetiche sul cariotipo hanno confermato che il pattern cromosomico
è 46 XX, pertanto, di sesso femminile; 5) in data 11.11.2020, il sig. Sempronio, alla luce delle
risultanze di cui sopra, ha chiesto all’ufficio per i servizi demografici, Stato Civile, del
Comune di Scalea, la rettifica del sesso e del nome del figlio Tizio scegliendo come nome
femminile Tizia in luogo di Tizio; 6) In data 21.12.2020 i genitori del bambino, a mezzo del
sottoscritto difensore, hanno nuovamente presentato istanza di rettifica sull’atto di nascita del
nome e del sesso della loro bambina, Tizio; 7) in data 7.01.21, preso atto che l’istanza di
rettifica di cui sopra, presentava un errore di battitura, il sottoscritto difensore ne ha chiesto
la correzione materiale; 8) che ad oggi l’Ufficio preposto alla rettifica dell’atto di nascita, non
ha fornito formalmente risposta alcuna; hanno domandato: in via principale: assunte, ove
occorra sommarie informazioni, accertare e dichiarare che Tizio appartiene al genere
femminile e, conseguentemente, ordinare all’Ufficiale di Stato Civile competente,
responsabile dei servizi demografici – Ufficio Atti Stato Civile – del Comune di Scalea (CS),
di rettificare l’atto di nascita della minore Tizio nata a Lagonegro (PZ) in data _____– 2020
e correttamente scrivere sesso femminile, nome Tizia. Disporre ogni altro provvedimento che
appaia più idoneo a tutelare nell’immediatezza l’interesse della minore e ad eliminare il
pregiudizio subito e subendo, con vittoria di spese di lite.
Dichiarata la contumacia del resistente, all’udienza del 28.10.21 il Collegio riservava la causa
in decisione.
Tanto premesso, il ricorso è inammissibile, per le seguenti ragioni.
Si discute, in dottrina e giurisprudenza, se sia ammissibile un provvedimento d’urgenza ex
art. 700 c.p.c. in funzione di assicurazione provvisoria degli effetti di una sentenza di mero
accertamento, cioè se vi sia spazio per la tutela cautelare atipica di mero accertamento. Il
problema è dato dal fatto che la funzione della tutela di mero accertamento è quella di fornire
certezza giuridica sull’esistenza o sul contenuto di un diritto controverso con un
provvedimento basato sulla piena cognizione del giudice, capace di passare in giudicato
formale e sostanziale. Al contrario, i provvedimenti resi ex art. 700 si fondano sulla
probabilità del diritto invocato, sulla cognizione sommaria dei fatti allegati e sono pronunciati
in funzione del provvedimento principale ed in presenza del periculum in mora; inoltre sono
instabili e quindi incapaci di divenire cosa giudicata. Assegnando dunque al provvedimento
ex art. 700 c.p.c. il contenuto dichiarativo proprio della pronuncia di accertamento si
tratterebbe di anticipare un effetto conseguibile solo a seguito dell’intervenuto giudicato di
merito.
Nel caso di specie, parte ricorrente ha domandato, con ricorso ai sensi dell’art. 700 c.p.c., di
accertare e dichiarare l’appartenenza della minore al genere femminile, nonché la
rettificazione dell’atto di nascita della medesima.
Parte ricorrente ha precisato, nelle memorie depositate in data 09.06.2021, di aver “fondato
la domanda sull’articolo 1 della Legge n. 164/1982”.
Ne deriva, per ciò solo, l’inammissibilità del ricorso, in quanto l’art. 1 l. n. 164/1982 richiede
una sentenza passata in giudicato, onde tale effetto specificamente richiesto dalla norma non
può essere anticipato da un provvedimento cautelare, ontologicamente inidoneo al giudicato.
La disposizione testé citata, inoltre, si riferisce testualmente all’attribuzione ad una persona
di “sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni
dei suoi caratteri sessuali”, dunque all’ipotesi di transessualismo, ossia di mutamento di sesso,
generatore di una difformità sopravvenuta tra il contenuto dell’atto di nascita e la realtà
fattuale.
Tale fattispecie è ben diversa da quella di “intersessualismo”, oggetto del presente giudizio,
in cui la detta difformità è originaria, nel senso che il soggetto apparteneva ab origine al genere
sessuale opposto a quello indicato nell’atto pubblico.
Tale divergenza, a differenza del caso di transessualismo, non è dipesa da una sopravvenienza
fattuale, ossia da un’intervenuta modificazione dei caratteri sessuali, bensì da un mero errore
del pubblico ufficiale ovvero da una situazione di “apparenza”, come nella peculiare ipotesi
in oggetto (“sindrome adreno – genitalica con perdita di sali e genitali ambigui”).
In entrambi i casi, la discrepanza tra forma e sostanza, tra contenuto dell’atto e realtà fattuale,
incidente inevitabilmente sulla veridicità del primo, è emendabile mediante lo strumento,
ampio e versatile, previsto dagli artt. 95 ss. del D.P.R. 396/2000, che, non a caso, distinguono
tra correzione e rettificazione.
Si evidenzia in proposito come la Suprema Corte, superata la desueta tesi restrittiva in base
alla quale il giudizio di rettificazione sarebbe esperibile soltanto nei limitati casi di lapsus
calami in cui sia incorso l’ufficiale di stato civile nella redazione dell’atto (e quindi, di fatto,
per la correzione di un mero errore ortografico), affermi ormai da decenni che il procedimento
di rettificazione possa «essere promosso per la eliminazione di ogni ipotesi di difformità fra
la realtà effettiva, alla stregua della normativa vigente, e quella riprodotta negli atti stessi,
indipendentemente dalla ragione di tale difformità e dal soggetto che l’abbia causato» (in
questi termini: Cass. 16 dicembre 1986, n. 7530).
Appare, dunque, indubitabile che sia proprio il procedimento di rettificazione degli atti di
stato civile quello che il soggetto intersessuale deve esperire per la rettificazione
dell’indicazione del prenome e del sesso nel proprio atto di nascita, proprio perché esso tende
«alla riparazione di irregolarità occorse nella redazione degli atti di stato civile», tra le quali
deve essere ricompresa l’«erronea indicazione del sesso» di un soggetto intersessuale, atteso
che, da ultimo, «la rettificazione non tocca l’essenza dell’atto e invariato, quindi, resta, lo
stato della persona alla quale si riferisce» (Così Trib. Firenze 10 giugno 1936).
Il giudizio camerale cui l’art. 95 D.P.R. 396/2000 rinvia presenta natura polimorfa e variabile,
ma, in questo caso, sempre di volontaria giurisdizione «pura»: il procedimento in parola è
finalizzato all’accertamento della veridicità di un fatto materiale così come indicato nell’atto
di nascita, ossia il sesso effettivo di un individuo avente organi genitali ambigui.
In tale ipotesi si ravvisa un unico interesse, comune e convergente, di natura sia pubblica che
privata, alla corrispondenza tra quanto attestato nello stato civile e la realtà dei fatti.
Dall’inquadramento della fattispecie in esame nell’ipotesi di intersessualismo scaturisce la
necessità, per comporre il prefato contrasto tra contenuto dell’atto e realtà fattuale, di esperire
ricorso per rettificazione, che, come innanzi chiarito, è un procedimento di volontaria
giurisdizione, rispetto al quale è incompatibile la domanda cautelare ex art. 700 c.p.c. Ne
deriva, anche sotto tale profilo, l’inammissibilità del ricorso cautelare proposto.
La natura del procedimento, la peculiarità delle questioni trattate e la contumacia del resistente
inducono a disporre la compensazione integrale delle spese di lite tra le parti, non ripetibili
nei confronti del resistente contumace.
P.Q.M.
Il Tribunale ordinario di Paola, disattesa ogni altra domanda, eccezione o deduzione, così
provvede:
– dichiara inammissibile il ricorso;
– compensa integralmente le spese di lite tra le parti, non ripetibili nei confronti del resistente
contumace

Il principio di autoresponsabilità sovraintende al mantenimento dei figli maggiorenni

Tribunale di Firenze, 19 luglio 2022
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE FIRENZE
SEZIONE I CIVILE
Il Tribunale in composizione monocratica nella persona del magistrato dott.ssa Monica Tarchi
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 107/2019
promossa da: TIZIA IULIO, nata a Bari il ____1993 (C.F. _____), residente in Firenze, via ________,
rappresentata e difesa dall’Avv. Niccolò Seghi e CAIA IULIO, a nata a Bari il ___1994 (C.F. __________),
residente in Firenze, via ________, rappresentata e difesa dall’Avv. Luigi Seghi
PARTE ATTRICE
Contro
SEMPRONIO IULIO, nato a Bari il ____.1957 (C.F. _______), residente a Firenze, via ______, rappresentato e
difeso dall’Avv. Claudio Cecchella e dall’Avv. Lucia Elsa Maffei
MEVIA, nata a Casarano (LE) il ____1962 _______, res.te in Bari Via ________, rappresentata e difesa dall’Avv.
Lucia Moramarco
PARTE CONVENUTA
Posta in decisione sulle seguenti
CONCLUSIONI
Parti ricorrenti TIZIA e CAIA come da comparsa conclusionale del 7.06.22 nella quale sono state richiamate
le conclusioni rassegnate nel foglio di p.c. del 7.07.21: “Quanto all’istanza ex art. 446 c.c. le medesime si
riportano al ricorso in corso di causa depositato in data 03.03.2021 che, data l’urgenza, dovrà essere accolto,
ordinando a carico dei convenuti quali obbligati a corrispondere gli alimenti alle figlie determinando l’importo
nella somma già richiesta nel giudizio di merito come alle conclusioni riportate in atti e che di seguito si
precisano. Quanto al giudizio di merito, le sig.re IULIO: in via istruttoria, insistono nell’ammissione dei mezzi
di prova dedotti opponendosi a quelli dedotti da controparte; nel merito, insistono nelle già rassegnate
conclusioni che di seguito si riportano e rassegnate nell’atto di citazione notificato ai conventi in data
18.11.2019 a seguito del mutamento del rito disposto dalla Dott.ssa Mazzeo. Voglia l’Ecc.mo Tribunale di
Firenze, per i motivi di cui in narrativa, contrariis reiectis, condannare il Dr. SEMPRONIO e la Signora MEVIA
al pagamento di un assegno mensile da versarsi direttamente in favore di TIZIA pari ad € 1.000,00, con
rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT, così suddiviso in ragione delle capacità economiche: (i) quanto
ad € 700,00 a carico del Dott. SEMPRONIO; (ii) quanto ad € 300,00 a carico della Sig.ra MEVIA; condannare,
il Dr. SEMPRONIO e la Signora MEVIA al pagamento di un assegno mensile da versarsi direttamente in favore
di CAIA pari ad € 750,00, con rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT, così suddiviso in ragione delle
capacità economiche: (i) quanto ad € 500,00 a carico del Dott. SEMPRONIO; (ii) quanto ad € 250,00 a carico
della Sig.ra MEVIA; in ipotesi, salvo gravame, condanni il Dr. IULIO SEMPRONIO e la Sig.ra MEVIA, ciascuno in
relazione alle proprie sostanze, alla corresponsione di un assegno mensile di mantenimento di € 1.000,00, o
diversa somma ritenuta di giusti-zia, a favore di TIZIA e di € 750,00, o diversa somma ritenuta di giustizia, a
favore di CAIA; in ogni caso, condanni il Dr. SEMPRONIO e la Signora MEVIA al pagamento del 50% ciascuno,
o diversa percentuale in ragione della capacità reddituale, delle spese straordinarie in favore di TIZIA e CAIA.
Con vittoria di spese e compensi. In ogni caso si chiede che il giudice liquidi a favore dei procuratori delle
sig.re IULIO CAIA e TIZIA, ammesse a patrocinio a spese dello Stato, i compensi ai medesimi dovuti per il
giudizio di merito e quello cautelare (anche quello di reclamo e quello ex art. 446 c.c.) come da nota a spese
che si produrrà in sede di discussione o comunque in fase decisoria”.
Parti convenute:
SEMPRONIO come da comparsa conclusionale del 7.06.22 nella quale ha richiamato quelle rassegnate
all’udienza del 18.05.2022 “ in via istruttoria, ammettere i messi di prova capitolati nella memoria n. 2 ex art.
183 comma VI, cp.c.; in rito, dichiarare l’inammissibilità del ricorso introduttivo; perchè promosso con rito
camerale e inammissibilità della disposta conversione; nel merito, quanto a TIZIA, rigetto della domanda con
condanna alle spese, per CAIA: in via principale, rigettare la domanda, in subordine, riconoscimento di un
contributo di e. 230,00, oltre rivalutazione Istat del 50% delle sole spese universitarie per due anni, purchè
nel primo anno abbia superato almeno 5 esami a far data dalla sentenza, con condanna alle spese di
controparte, tenuto conto delle fasi cautelari incidentali avviate”;
MEVIA come da conclusioni rassegnate all’udienza del 18.05.22, nel corso della quale si è riportata alle
conclusioni di cui alla memoria del 26.05.20 e a quelle rassegnate per l’udienza dell’08.07.21 affinchè “ove
accolta nell’an la domanda proposta e determinato l’assegno in favore di TIZIA e CAIA, venga posto a carico
della concludente un importo non superiore ad E 250,00 per ciascuna richiedente, per le ragioni esposte e
documentate; si chiede altresì di determinare in ragione del 70% a carico di SEMPRONIO la quota relativa
alle spese straordinarie e universitarie delle richiedenti”.
Fatto e diritto
1.Con ricorso del 03.01.19, TIZIA e CAIA hanno adìto il Tribunale allo scopo di chiedere il riconoscimento a
loro favore e la relativa quantificazione del contributo a titolo di mantenimento ex art. 337 septies c.c. dovuto
dal padre SEMPRONIO, in quanto, ancorché maggiorenni, non ancora economicamente autosufficienti.
Con provvedimento del 29.10.19, il Giudice ha rilevato che il procedimento fosse da introdurre con atto di
citazione anziché con ricorso, di tal chè, per esigenze di economia processuale, ha fissato udienza al 25.02.20,
disponendo la notifica dell’atto introduttivo nei confronti dei convenuti, sebbene costoro fossero già
costituiti, nel rispetto dei termini di cui all’art. 163 bis c.p.c.; pertanto, in data 18.11.19, è stato notificato a
SEMPRONIO e MEVIA l’atto di citazione del presente giudizio. In data 04.02.20, si è costituito in giudizio
SEMPRONIO, chiedendo il rigetto integrale della domanda formulata dalle figlie TIZIA e CAIA o, in subordine,
di disporre che il valore di detto contributo non superasse la somma di €. 200,00 mensili e che la sua
partecipazione alle spese straordinarie necessarie per le due ragazze si limitasse a quelle mediche non
coperte dal SSN nella misura del 50%. Già costituitasi in data 03.04.19, la madre delle ricorrenti MEVIA,
nonché ex coniuge di SEMPRONIO, ha evidenziato di aver sempre supportato, dal punto di vista economico
le proprie figlie, seppur nei limiti e in proporzione della propria minore capacità economica rispetto all’ex
coniuge; ha chiesto, quindi, che ove fosse accolta nell’an la richiesta di parte attrice, che sia tenuto conto
della diversità reddituale e patrimoniale sussistente tra i due genitori e che in ragione di tale diversità venga
determinato il quantum del contributo al mantenimento della prole, come previsto dall’art. 316 bis c.c..
All’udienza del 01.07.20, il Tribunale ha concesso alle parti i termini per il deposito di memorie ex art. 183 VI
comma c.p.c., e, a seguito delle istanze delle parti di procedere a trattazione scritta stante la vigenza della
pandemia connessa a Covid-19 e l’impossibilità di accesso alle aule giudiziarie, con provvedimento del
04.02.21 ha concesso termine fino al 20.02.21 per il deposito delle rispettive note scritte di trattazione,
riservando ogni decisione. Allo stesso tempo, TIZIA e CAIA, con istanza cautelare in corso di causa ex art. 446
c.c., hanno chiesto in via provvisoria e urgente che il Tribunale ponesse a carico del padre SEMPRONIO e della
madre MEVIA l’obbligo di versare loro un contributo al loro mantenimento; in esito all’udienza tenutasi in
data 08.07.21, il Tribunale, con provvedimento del 16.12.21, ha rigettato l’istanza cautelare dichiarandone
l’inammissibilità, atteso che la misura richiesta ha come petitum, ai sensi degli artt. 433 ss. c.c., l’obbligo di
prestare gli alimenti, laddove nel presente giudizio si discute del diritto ad un contributo ai sensi dell’art. 337
septies, c.c., a favore di figli maggiorenni non indipendenti economicamente; con il medesimo
provvedimento, il Tribunale la rigettato la richiesta di prove orali formulate da ambo le parti e disposto una
CTU contabile finalizzata alla ricostruzione del patrimonio del padre e della madre delle ricorrenti, fissando
udienza per il giorno 22.12.21 per il giuramento del consulente dott. Sandro Cantini; nel corso di tale detta
udienza, il convenuto SEMPRONIO ha chiesto di essere rimesso in termini per poter depositare una serie
documenti formatisi successivamente al termine per il deposito della memoria n. 2 art. 183 co. VI c.p.c.; con
ordinanza emessa in data 22/12/21, il Tribunale ha autorizzato il IULIO al deposito di tale documentazione,
riservandosi di decidere sulla sua ammissione, sospendendo il conferimento dell’incarico peritale e
concedendo alle parti termine di gg. 15 dalla data di tale produzione per il deposito di memorie; in ossequio
a tale provvedimento, SEMPRONIO ha depositato in PCT: 1) esposto-querela dell’Avv. FILANO contro
CALPURNIO (investigatore privato) del 11/01/21; 2) rapporto delle indagini della polizia giudiziaria del
16/03/2021; 3) verbale delle sommarie informazioni rese di TIZIA in data 15/02/21; 4) ordinanza di
archiviazione del Gip del tribunale di Firenze in data 13/08/21; 5) iscrizione all’albo praticanti presso l’Ordine
degli avvocati di Firenze di TIZIA, dal 17/04/20, svolgente pratica nello studio dell’Avv. FILANO; 6) istanza per
accesso agli atti amministrativi presso l’Università del Salento per conoscere lo stato degli esami sostenuti di
CAIA, formulata da SEMPRONIO con pec del 23/11/21, con delega all’Avv. Giuseppe Romeo e emissione di
ricevuta di accettazione e di avvenuta consegna; 7) mail del Prof. Avv. Claudio Cecchella, diretta all’Avv.
Niccolò Seghi, con richiesta di conoscere lo stato dell’iter universitario di CAIA. In data 14.02.22, a
scioglimento della riserva incamerata, il Tribunale ha ammesso l’acquisizione dei documenti depositati dal
convenuto, in quanto non tardivi e rilevanti ai fini del decidere, ha disposto l’esibizione ex art. 210 c.p.c.
all’Università degli Studi UniSalento dello stato curriculare di CAIA ed ha revocato la CTU contabile
precedentemente sospesa; infine, ritenendo la causa matura per la decisione, ha fissato udienza per la
precisazione delle conclusioni e per la discussione orale ai sensi dell’art.281 sexies c.p.c. ; all’udienza di p.c.
del 18.05.022, le parti hanno riportato le proprie conclusioni ed il Tribunale ha trattenuto la causa in
decisione.
Ritiene il Tribunale di dover esaminare nel merito le richieste conclusive delle parti, richiamando per tutte le
altre eccezioni di inammissibilità, deduzioni e/o richieste istruttorie le considerazioni già espresse nei
numerosi provvedimenti adottati in corso di causa.
a) Posizione di TIZIA
Va premesso che ai fine della valutazione della posizione di TIZIA risultano dirimenti i documenti acquisiti in
forza di ordinanza emessa in data 14.02.22, tutti formatisi nell’anno 2021 e pertanto successivamente al
deposito delle memorie istruttorie (la n. 2 scadente il 13/10/2020 e la n. 3 scadente il 2/11/2020) e pertanto
non tardivi; in particolare, dai doc. da n. 1 a n. 5, emerge la sussistenza di una condizione di stabile convivenza
tra TIZIA e l’Avv. FILANO, peraltro già ricavabile dal contratto di locazione stipulato in data 1/06/28, e
registrato all’Agenzia delle entrate di Firenze il 14/06/18, al n. ____, avente ad oggetto l’immobile di cui
entrambi risultano conduttori, sito in Firenze, Via _____ (v. doc. n. 20 allegato alla memoria n. 2 ex art. 183,
6° comma, c.p.c. di parte SEMPRONIO). Osserva, pertanto, il Tribunale che tale condizione di stabile
convivenza, iniziata (e mai cessata) da almeno quattro anni, elide la possibilità che il genitore non
collocatario, in questo caso, il padre SEMPRONIO sia tenuto ancora ad un obbligo di mantenimento verso la
figlia, atteso che la ragazza (di anni 29) ha pacificamente terminato il ciclo di formazione universitaria e risulta
iscritta dal 17.04.20 dall’Albo Praticanti presso l’Ordine degli Avvocati di Firenze; la stessa ha peraltro
stipulato assieme all’avv. FILANO nel giugno 2018 un contratto di locazione ad uso abitativo, ancora in corso,
di tal chè deve ritenersi che quantomeno da tale data è iniziata la convivenza con il compagno, sicuramente
in corso a gennaio 2021, come emerge dall’esposto – querela presentato dallo stesso FILANO contro
CALPURNIO in data 11.01.21, laddove il querelante da atto, nella parte motiva , che il centro dei propri
interessi è la città di Firenze (e non Grosseto, come dedotto in fase conclusiva), ove vive e lavora presso il
proprio studio professionale posto ______. Emerge altresì dagli atti che TIZIA ha interrotto la convivenza con
il proprio padre già a novembre 2017, a causa di un forte litigio con il IULIO e con la sua compagna convivente,
oggi moglie, CLAUDIA, rescindendo così volontariamente lo stato di convivenza con il convenuto presso cui
era stata collocata (essendo all’epoca minorenne) in forza sia della sentenza di separazione emessa in data
11.03.16 dal Tribunale di Bari sia in forza della successiva sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti
civili del matrimonio; risulta altresì che a novembre 2017 TIZIA ha deciso di andarsene motu proprio dalla
casa paterna sita in Firenze, in Via ______, prendendo i propri effetti personali e trovando sin da subito
ospitalità nella casa del proprio ragazzo in Firenze in _______; in ogni caso, la stessa TIZIA IULIO, sentita a
s.i.t. in data 15.02.21 dalla Aliquota Polizia di Stato presso la Procura della Repubblica di Firenze in esito alla
presentazione dell’esposto da parte dell’avv. FILANO nei riguardi di CALPURNIO (investigatore privato
incaricato dal SEMPRONIO di indagare le abitudini di vita della figlia) ha dichiarato alla P.G. di convivere
nell’appartamento di Via ______ assieme al proprio fidanzato FILANO a far data dal maggio 2018. Pertanto,
in ragione della avvenuta cessazione della convivenza con il padre, presso cui TIZIA era formalmente collocata
in forza della sentenza di separazione prima e di divorzio poi, avvenuta per volontà ed iniziativa della stessa
attrice, ed in ragione della condizione di stabile convivenza che essa intrattiene con il fidanzato da oltre
quattro anni, unitamente al fatto che la stessa svolge la propria attività di praticante procuratore presso lo
studio legale del suddetto fidanzato, svolgente a sua volta l’attività di avvocato, deve ritenersi essere stata
da tempo raggiunta una condizione di piena autonomia di vita, sia personale che professionale, dovendosi
ricomprendere anche il profilo della autosufficienza economica, avendo la stessa scelto di formare un proprio
autonomo nucleo familiare, connotato da caratteri di continuità e stabilità, tale da elidere non solo l’onere
di mantenimento che gravava nei confronti del padre, ma anche quello nei confronti della propria madre,
MEVIA, verso la quale TIZIA non ha inteso, né all’epoca né successivamente, ricollocarsi. A ciò va aggiunta
l’avvenuta conclusione da parte di TIZIA del percorso formativo di studio, stante l’avvenuta iscrizione
nell’albo dei praticanti presso l’Ordine degli Avvocati di Firenze a far data dall’anno 2020 (con conseguente
possibile conseguimento della abilitazione alla professione) e l’effettiva possibilità di collaborare dal punto
di vista lavorativo con il compagno, l’avv. FILANO, sia nell’attività forense che in quella dello studio legale,
con conseguente connessa remunerazione.
Quanto, poi, alla richiesta di assegno alimentare (domanda che già dichiarata inammissibile in corso di causa),
non è stata fornita alcuna prova dalla ricorrente circa la sussistenza di un suo stato di bisogno, non essendo
stato neanche dedotta la circostanza di aver richiesto o esservi visto rifiutare una qualche forma di sussidio
statale, quale ad esempio il reddito di cittadinanza. Va, quindi, respinta la domanda formulata da TIZIA nei
riguardi di entrambi i propri genitori, SEMPRONIO e MEVIA, sia con riferimento alla richiesta di versamento
da parte dei convenuti di due differenti assegni di mantenimento, in ragione delle rispettive sostanze e
redditi, sia con riferimento alla richiesta di farsi carico delle spese straordinarie, che sono parimenti da parsi
a carico dei genitori laddove il figlio versi in condizione di non autosufficienza.
b) Posizione di CAIA
Osserva il Tribunale, quanto alla ricorrente CAIA, che dalla documentazione riguardante lo stato curriculare
universitario della ragazza, ottenuto a seguito di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. del 14.02.22,
all’Università del Salento (v. doc. nn. 6 e 7), emerge che la ragazza (oggi di anni 28), è iscritta fuori corso (per la quarta volta) al terzo anno del Dipartimento di Ingegneria dell’innovazione, nel Corso di Laurea triennale
in Ingegneria dell’informazione e deve ancora sostenere i seguenti esami: Fondamenti di informatica –
insegnamento A 000015; Calcolatori elettronici – insegnamento A 000014; Elettronica Analogica ed
Elettronica digitale – insegnamento A 003362, oltre alla tesi di Laurea. Va, pertanto, richiamato nel caso di
specie il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità che, affermato il principio di auto-
responsabilità della prole ultramaggiorenne, ha stabilito la non debenza di alcun assegno di mantenimento a
favore del figlio che a causa di propria inerzia colpevole non abbia portato a termine in un ragionevole lasso
di tempo gli studi universitari e che non si sia nemmeno attivato per la ricerca di un’occupazione (cfr.
Cassazione civile, sez. I, 14/08/2020, n. 17183), la quale ha statuito che “Ai fini del riconoscimento
dell’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente, il giudice di merito è
tenuto a valutare, con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente
crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere del suddetto obbligo,
fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, poiché
il diritto del figlio si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di
formazione, nel rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni economiche
dei genitori) aspirazioni”.
A fronte di ciò, CAIA non ha fornito nel corso dell’istruttoria alcuna prova non solo in ordine alla mancanza di
indipendenza economica alla stessa non imputabile, ma anche in ordine all’aver curato, con ogni possibile
impegno e diligenza, la propria preparazione scolastica o di avere con pari impegno operato nella ricerca di
un lavoro, anche a voler prescindere dalla offerta ‘lavorativa’ del padre di condurre un’azienda familiare,
dalla stessa rifiutata in quanto ritenuta non adeguata o in linea con la propria vocazione ovvero il proprio
indirizzo di studi (cfr. Cassazione civile , sez. I , 14/08/2020 , n. 17183 secondo cui “L’onere della prova delle
condizioni che fondano il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne è a carico del richiedente. Ai fini
dell’accoglimento della domanda, pertanto, è onere del richiedente provare non solo la mancanza di
indipendenza economica – che è la precondizione del diritto preteso – ma di avere curato, con ogni possibile,
impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno, operato nella ricerca
di un lavoro; cfr. Cassazione civile , sez. I , 14/08/2020 , n. 17183 secondo cui ” Il figlio divenuto maggiorenne
ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo
scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per
rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle
opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza
indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni”). Del tutto conferente al
caso di specie appare, peraltro, la recente ordinanza n. 40882/21 della Prima Sezione Civile dalla Suprema
Corte inerente i presupposti della persistenza dell’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne a carico
del genitore, nella quale la Corte ha avuto modo di affermare che “tra le evenienze che comportano il sorgere del diritto al mantenimento in capo al figlio maggiorenne non autosufficiente, si pongono, fra le altre: a) la
condizione di una peculiare minorazione o debolezza delle capacità personali, pur non sfociate nei
presupposti di una misura tipica di protezione degli incapaci; b) la prosecuzione di studi ultraliceali con
diligenza, da cui si desuma l’esistenza di un iter volto alla realizzazione delle proprie aspirazioni ed attitudini,
che sia ancora legittimamente in corso di svolgimento, in quanto vi si dimostrino effettivo impegno ed
adeguati risultati, mediante la tempestività e l’adeguatezza dei voti conseguiti negli esami del corso
intrapreso; c) l’essere trascorso un lasso di tempo ragionevolmente breve dalla conclusione degli studi, svolti
dal figlio nell’ambito del ciclo di studi che il soggetto abbia reputato a sé idoneo, lasso in cui questi si sia
razionalmente ed attivamente adoperato nella ricerca di un lavoro; d) la mancanza di un qualsiasi lavoro, pur
dopo l’effettuazione di tutti i possibili tentativi di ricerca dello stesso, sia o no confacente alla propria specifica
preparazione professionale. Ai fini dell’accoglimento della domanda, è onere del richiedente provare non
solo la mancanza di indipendenza economica – che è la precondizione del diritto preteso – ma di avere curato,
con ogni possibile, impegno, la propria preparazione professionale o tecnica e di avere, con pari impegno,
operato nella ricerca di un lavoro. Non è dunque il convenuto – soggetto passivo del rapporto – onerato della
prova della raggiunta effettiva e stabile indipendenza economica del figlio, o della circostanza che questi
abbia conseguito un lavoro adeguato alle aspirazioni soggettive. …omissis …Se, pertanto, sussista una
condotta caratterizzata da intenzionalità (ad es. uno stile di vita volutamente inconcludente e sregolato) o
da colpa (come l’inconcludente ricerca di un lavoro protratta all’infinito e senza presa di coscienza sulle
proprie reali competenze), certamente il figlio non avrà dimostrato di avere diritto al mantenimento”; ne
deriva che se “la prova sarà tanto più lieve per il figlio, quanto più prossima sia la sua età a quella di un
recente maggiorenne, al contrario la prova del diritto all’assegno di mantenimento sarà più gravosa, man
mano che l’età del figlio aumenti, sino a configurare il “figlio adulto”, in ragione del principio
dell’autoresponsabilità, con riguardo alle scelte di vita fino a quel momento operate ed all’impegno profuso,
nella ricerca, prima, di una sufficiente qualificazione professionale e poi, di una collocazione lavorativa”.
Peraltro, anche l’odierna ricorrente (come la sorella TIZIA) non ha dedotto o fornito prova di aver richiesto il
reddito di cittadinanza o che lo stesso le sia stato rifiutato per mancanza dei requisiti, con ciò manifestandosi
o l’inerzia colpevole della stessa ovvero dovendosi inferire la sussistenza di risorse reddituali /economiche
tali da elidere la possibilità di accesso all’aiuto di Stato ovvero l’insussistenza di un reale stato di bisogno,
circostanze queste che escludono anche il diritto ad una prestazione alimentare come richiesto da ambo le
ricorrenti con sub-procedimento cautelare in corso di causa (cfr. Cassazione civile, sez. I , 20/12/2021, n.
40882 secondo cui “ Il diritto agli alimenti è legato alla prova non solo dello stato di bisogno, ma anche
dell’impossibilità di provvedere, in tutto o in parte, al proprio sostentamento mediante l’esplicazione di
un’attività lavorativa. Ne consegue che ove l’alimentando non provi la propria invalidità al lavoro per
incapacità fisica o l’impossibilità, per circostanze a lui non imputabili, di trovarsi un’occupazione confacente
alle proprie attitudini e alle proprie condizioni sociali, la relativa domanda deve essere rigettata. Va escluso
il diritto agli alimenti per il figlio che, pur non avendo trovato lavoro nonostante il titolo di studio – una laurea
breve – non si è adoperato per usufruire di misure sociali come il reddito di cittadinanza”. Va, quindi, respinta
la domanda formulata da CAIA nei riguardi di entrambi i propri genitori, SEMPRONIO e MEVIA, sia con
riferimento alla richiesta di versamento da parte dei convenuti di due differenti assegni di mantenimento, in
ragione delle rispettive sostanze e redditi, sia con riferimento alla richiesta di farsi carico delle spese
straordinarie per la stessa necessarie, che sono parimenti da parsi a carico dei genitori laddove il figlio versi
in condizione di non autosufficienza. c) Le spese di lite. Quanto alle spese di lite, in considerazione della
natura della causa e del complesso andamento del giudizio, si reputa di dover disporre la loro integrale
compensazione tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Firenze, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle
parti, ogni diversa istanza, deduzione ed eccezione disattesa, respinta o assorbita, così provvede:
– rigetta le domande formulate da TIZIA nei confronti di SEMPRONIO e MEVIA;
– rigetta le domande formulate da CAIA nei confronti di SEMPRONIO e MEVIA;
– dispone l’integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.
Manda alla Cancelleria per gli avvisi e gli adempimenti

Curatore speciale del minore con funzioni gestionali e mediative

Tribunale di Genova, Decreto provv. 28 agosto 2022
TRIBUNALE DI GENOVA
Sezione IV Civile
A scioglimento della riserva assunta all’udienza del 07/06/2022, letti gli atti e sentita
la relazione del Giudice Delegato nel procedimento ex artt. 337 quinques c.c. e 709 ter
c.p.c. promosso da:
TIZIA, nata a Messina (ME), il ____1973, residente in Genova, _____, elettivamente
domiciliata in Genova, Corso Buenos Aires n. 8/24, presso lo studio dell’Avv. Cesare
Fossati, che la rappresenta e la difende come da procura in atti
contro
CAIO, nato in Romania, il _________1975, residente in Genova, ________,
elettivamente domiciliato in Genova, Via XX Settembre n. 32/11, presso lo studio
dell’Avv. Mariagrazia Gammarota, che lo rappresenta e lo difende come da procura in
atti.
Ha pronunciato il seguente
DECRETO PROVVISORIO
Premesso che, con ricorso presentato in data 28/06/2021, la Sig.ra Tizia ha chiesto
disporsi l’affidamento cosiddetto “super esclusivo” dei figli minori Mevio e
Sempronia, nati a Genova rispettivamente il ____2010 e il ____2013, avuti dalla
relazione sentimentale e convivenza more uxorio con il Sig. Caio, instando altresì per
l’adozione di ogni provvedimento ritenuto opportuno ai sensi dell’art. 333 c.c. e 709
ter c.p.c., allegando che:
– la relazione fra le parti, durata tredici anni, si era interrotta nel 2015 a seguito
dell’ennesimo episodio di insulti ed eccessi di gelosia del convenuto nei confronti della
ricorrente e il Sig. Caio si era trasferito altrove;
– dopo i primi mesi di difficoltà nella gestione condivisa dei figli, con ricorso depositato
in data 04/11/2016 la Sig.ra Tizia, a fronte del disinteresse del padre alle esigenze di
cura ed assistenza dei figli, aveva chiesto al Tribunale di Genova di disporre il regime
più consono alle esigenze dei figli, oltre a un mantenimento adeguato;
– all’esito del procedimento iscritto al n.ro R.G.7767/2016 V.G., in cui il convenuto era
comparso senza munirsi di un difensore, con provvedimento del 29/11/2017 questo
Tribunale aveva disposto l’affidamento condiviso dei figli, con un regime di incontri a
fine settimana alternati oltre a un pomeriggio infrasettimanale con pernottamento dei
figli presso il padre, nonché un contributo al mantenimento dei figli a carico del padre
pari a € 200,00 (€ 100,00 per ciascun figlio) oltre al 50% delle spese straordinarie;
– il Sig. Caio si era però sempre reso inadempiente a quanto stabilito dal predetto
provvedimento sia in punto mantenimento dei figli sia con riferimento al regime di
affidamento, venendo meno in particolare ai propri doveri di cura, educazione,
istruzione ed assistenza morale della prole;
– sotto il primo profilo, con atto di precetto del 21/03/2018 la ricorrente aveva promosso
un primo pignoramento presso terzi (R.G.E. 1872/2018) all’esito del quale aveva
ottenuto l’assegnazione delle somme, mentre a seguito di un secondo atto di
pignoramento presso terzi (R.G.E. 2627/2018) le parti erano addivenute ad un accordo
di dilazione del debito per la somma irrisoria di € 50,00 mensili, che però non veniva
osservato dal resistente il quale aveva subìto ripetuti licenziamenti per comportamenti
non adeguati sul luogo di lavoro;
– pertanto, la Sig.ra Tizia aveva promosso la procedura ai sensi dell’art. 3 della Legge
219/2012 nei confronti dell’ultimo datore di lavoro noto, tale ___ Società Cooperativa,
che aveva permesso il recupero di sole due mensilità, in quanto anche questo rapporto
di lavoro nel frattempo era cessato;
– sul piano relazionale, la situazione non era affatto migliorata e si erano verificate
continue fratture del rapporto del padre con i figli, anche a causa delle relazioni medio
tempore intrattenute dal Sig. Caio, delle quali aveva reso partecipi i figli senza curarsi
affatto delle conseguenze sulla loro stabilità ed emotività;
– la ripresa delle frequentazioni padre-figli era sempre stata chiesta, sollecitata e
promossa dalla madre, tramite la ricerca di contatti diretti con il padre, ma
particolarmente difficile si era rivelata la gestione dei periodi festivi come quello
estivo, durante i quali non erano state mai assicurate le due settimane con il padre;
– inoltre, si erano verificati numerosi momenti traumatici in cui i bambini avevano
assistito e subìto direttamente episodi di rabbia incontrollata del padre, con
conseguente necessità per la madre di doverli andare a riprendere nei giorni in cui
avrebbero dovuto stare con il padre e il rifiuto del figlio Mevio di rivedere quest’ultimo;
– per far fronte alle difficoltà create ai bambini dalle ripetute assenze e inadempimenti
del padre, a partire dal 2018 la ricorrente aveva richiesto il supporto di una
psicoterapeuta Dott.ssa Cristina Bisio, che aveva di volta in volta sostenuto le capacità
contenitive e riflessive della ricorrente permettendole così sia di bonificare gli eventi
stressanti vissuti dai figli, sia di promuovere e sostenere, nonostante tutto, l’immagine
paterna e la relazione padre-figli;
– particolarmente complicato si era rivelato poi il periodo emergenziale di cosiddetto
“lockdown”, nel corso del quale il Sig. Caio non aveva osservato le prescrizioni
impartite dalle autorità pubbliche esponendo sia i figli sia la ricorrente ad elevati rischi
di contagio;
– in questo quadro, stante le gravi condotte paterne e l’assoluta inadeguatezza al ruolo
di genitore del padre, che era addirittura arrivato ad insultare pesantemente i figli
provocandone uno stato di ansia ed agitazione, si rendeva necessaria una modifica delle
condizioni di affidamento e l’adozione di provvedimenti in materia di esercizio della
responsabilità genitoriale e relative controversie.
Con successiva istanza del 15/11/2021, depositata nelle more della fissazione
d’udienza, la ricorrente ha chiesto disporsi l’acquisizione ex art. 64 bis disp. att. c.p.p.
degli atti relativi alla procedura pendente presso la Procura della Repubblica presso il
Tribunale per i Minorenni di Genova, la quale con nota del 17/11/2021, su richiesta del
G.D., comunicava che non risultavano iscrizioni relative ai minori.
Con comparsa di costituzione e risposta del 21/12/2021, si è costituito in giudizio il
Sig. Caio, chiedendo il rigetto del ricorso e contestando a sua volta alla ricorrente di
tenere comportamenti alienanti della figura genitoriale paterna, impedendo l’accesso
ai figli e violando il diritto dei minori a godere di una piena bigenitorialità.
In punto economico, il Sig. Caio ha allegato le proprie difficoltà derivanti dalla
precarietà delle occupazioni lavorative di volta in volta reperite che non gli avevano
consentito di far fronte con regolarità ai propri obblighi stante altresì la necessità di
dover far fronte anche ad un canone di locazione pari ad € 450,00 mensili con il
modesto importo di € 720,00 mensili percepito a titolo di indennità di disoccupazione.
All’esito dell’udienza del 21/12/2021, il Giudice Delegato, rilevata un’elevata
conflittualità fra le parti e alla luce delle gravi affermazioni della ricorrente che ha
riferito di comportamenti pregiudizievoli del padre, ha conferito espresso incarico ai
competenti Servizi Sociali affinché attivassero urgentemente un monitoraggio del
nucleo famigliare con presa in carico dei minori da parte del Consultorio Famigliare.
La causa è stata dunque istruita mediante acquisizione di periodiche relazioni di
aggiornamento da parte dei Servizi Sociali incaricati e all’esito dell’udienza del
07/06/2022, dopo ampia discussione, è stata trattenuta in riserva per l’adozione dei
seguenti provvedimenti provvisori.
Ciò premesso, dall’osservazione svolta dai Servizi Sociali sul funzionamento del
nucleo famigliare, è emerso anzitutto che entrambi i genitori sono dotati di buone
capacità genitoriali, sebbene la madre sia più incentrata sugli aspetti organizzativi della
vita dei figli, seppur risultando a tratti eccessivamente controllante, mentre il padre
preferisca occuparsi principalmente degli aspetti ludico-ricreativi (assetto questo che
probabilmente ha sempre caratterizzato il nucleo famigliare unito), presentando
tuttavia delle criticità in punto gestione della rabbia pur senza mai apparire minaccioso
e/o pregiudizievole ai figli.
Tali buone capacità vengono, però, limitate dal conflitto personale tra i genitori che si
presenta tutt’ora e a distanza di molti anni (la relazione si è interrotta nel 2015)
estremamente elevato: i genitori preferiscono infatti rivolgersi continuamente
all’Autorità Giudiziaria subordinando se non addirittura asservendo l’esercizio della
responsabilità genitoriale alla loro volontà recondita, e quindi al loro intento – neppure
troppo mascherato -, di risolvere vittoriosamente il proprio conflitto interpersonale.
In altre parole, le parti sanno fare i genitori ma non si sopportano e fanno di tutto per
farsi del male, introducendo il loro conflitto personale nella gestione genitoriale dei
figli, conflitto che non ha a che fare con i minori se non nella misura in cui i genitori
stessi cercano di trascinarli dentro.
In particolare, secondo la madre il Sig. Caio farebbe pagare ai figli la rabbia che ha
verso di lei ed è convinta che se i bambini vogliono ancora bene al padre è solo grazie
a lei: lo accusa di sentire i figli solo quando fa comodo a lui e per mera circostanza e
di non essere un genitore idoneo a causa dei suoi eccessi di rabbia per cui andrebbe
contenuto mediante incontri protetti con i figli.
Di contro il Sig. Caio si sente vittima del conflitto ed impotente di fronte alle accuse
della Sig.ra Tizia a cui reagisce con rabbia e rispondendo sgradevolmente, accusandola
a sua volta di voler allontanare i figli da lui per mera rivincita personale, ma al tempo
stesso non sfrutta gli spazi di autonomia nella gestione dei figli che gli vengono
concessi preferendo che si occupi la madre delle questioni burocratiche (come ad
esempio i permessi di uscita anticipata dalla scuola), alimentando così, come in un
circolo vizioso, la convinzione di quest’ultima della sua inidoneità genitoriale.
Pertanto, entrambe le parti nutrono elevate aspettative dal presente giudizio: lei vuol
vedere affermata una volta per tutte la propria superiorità genitoriale come premio
finale nell’ambito di questo eterno conflitto personale che intende assolutamente
vincere contro il Sig. Caio, il quale invece si sente vittima del sistema e cerca
disperatamente una rivincita sociale dalle ingiustizie che ha subìto in passato nella sua
vita privata e che continua a subire da parte della Sig.ra Tizia.
In tutto ciò i genitori faticano a riportare al centro della discussione i propri figli, i quali
invece vanno protetti dal conflitto genitoriale ed hanno diritto a preservare una
relazione continuativa e paritetica con entrambi i genitori, che in questo momento non
sono consapevoli della loro esigenza primaria di sottrarsi alle tensioni fra gli adulti e
di non essere coinvolti nel conflitto.
Tale esigenza, se non soddisfatta, rischia di ripercuotersi negativamente sui minori
comportando un grave rischio di tracollo psicologico.
Il superamento del conflitto fra le parti risulta dunque di vitale importanza per
consentire il pieno e corretto esercizio della rispettiva capacità genitoriale nell’ambito
del disposto, ed ancora vigente, affido condiviso oltre che nel preminente interesse dei
figli a godere di una piena bigenitorialità.
In quest’ottica, ritiene il Collegio di dover preliminarmente ammonire e richiamare
entrambi i genitori all’importanza del loro ruolo e dell’obbligo di collaborare nel
preminente interesse dei figli minori a conservare una piena bigenitorialità, invitandoli
a scindere il loro conflitto interpersonale dai profili di gestione dei compiti genitoriali.
Ciò posto, a fronte dell’infondatezza delle accuse materne, si ritiene anzitutto
necessario ristabilire immediatamente il precedente regime di permanenza dei figli
presso ciascun genitore previsto dal decreto del 29/11/2017 di questo Tribunale
(provvedimento che in realtà non è mai stato modificato se non unilateralmente dalla
Sig.ra Tizia) che aveva disposto un regime di incontri a fine settimana alternati dal
venerdì pomeriggio alla domenica sera oltre a un pomeriggio infrasettimanale con
pernottamento dei figli presso il padre.
Quanto invece all’esercizio della responsabilità genitoriale, gli operatori sociali hanno
evidenziato allo stato l’impossibilità di trattare il conflitto in sede di mediazione,
ipotizzando una forma di co-genitorialità parallela non ritenendo al tempo stesso che
un affidamento dei minori ai Servizi Sociali possa incidere sulle decisioni e le azioni
dei genitori dal momento che la loro conflittualità riguarda principalmente il
quotidiano.
Da ciò discende la necessità di adottare una soluzione diversa rappresentata dalla
nomina di un curatore speciale, istituto di recente introduzione, a cui conferire espressi
poteri decisionali in relazione ai minori e che coadiuvi i genitori, anche con compiti di
mediazione, nella gestione dei figli al fine di garantire la corretta gestione
dell’affidamento, rappresentando un punto di incontro delle reciproche richieste e
limitando contestualmente la responsabilità genitoriale delle parti.
Sono noti, infatti, i limiti del Tribunale nel dirimere con uno schema di ordine generale
la micro-conflittualità quotidiana relativa ai tempi di permanenza del minore presso
ciascun genitore, soggetti ad una moltitudine di fattori imprevedibili e contingenti
derivanti dalle giornaliere esigenze di vita, lavorative e sociali dei genitori ma prima di
tutto dei figli, sicché solo parti sono in grado di determinare la propria organizzazione
quotidiana di vita nel superiore interesse del minore alla bigenitorialità.
Il curatore speciale potrà pertanto:
a) assumere tutte le decisioni di maggior interesse per i figli minori concernenti la
scuola, la salute, lo sport, le attività ludico-ricreative e la residenza, sentiti i genitori e
procedendo, se ritenuto, all’ascolto dei minori;
b) rappresentare i diritti dei minori costituendosi nel presente giudizio;
c) coadiuvare i genitori, anche con compiti di mediazione, nella gestione dei rapporti
parentali provvedendo a raccogliere le esigenze di ciascuno dei due rispetto ai figli;
d) garantire la corretta gestione della frequentazione dei minori con entrambi i genitori,
verificando l’idoneità dei rispettivi domicili ed eventuali situazioni patologiche (quali
l’impossibilità per i minori di recarsi nell’abitazione del padre);
e) valutare la fondatezza degli stati di malattia che impediscano le relazioni padre-figli
e stabilire eventuali recuperi delle frequentazioni quando lo stato di malattia abbia
compromesso la continuità delle relazioni;
f) monitorare e verificare l’andamento del piano genitoriale anche attraverso visite
ambientali e sia nella relazione madre-figli che in quella padre-figli trasmettendo al
giudice una relazione sugli episodi verificatisi e sull’andamento della gestione dei
minori.
Al contempo, appare opportuno prescrivere ai genitori di intraprendere un nuovo
percorso di mediazione familiare presso il Laboratorio dei Conflitti ovvero presso un
professionista privato o qualsiasi altro organismo di mediazione, disponendo quindi la
remissione della causa al Giudice Delegato per riferire sui progressi compiuti dai
genitori e sull’eventuale miglioramento della loro capacità genitoriali alla luce di
quanto avvenuto nella gestione dell’affidamento del figlio.
Vanno per il resto confermate le attuali condizioni stabilite dal predetto provvedimento
del 29/11/2017 di questo Tribunale in punto collocazione e mantenimento dei minori,
rimandando all’esito dell’istruttoria ogni ulteriore statuizione sulle ulteriori istanze
delle parti.
P.Q.M.
Il Tribunale, non definitivamente pronunciando,
NOMINA quale curatore speciale dei minori Mevio e Sempronia, nati a Genova
rispettivamente il _____ 2010 e il _________2013, l’Avv. Anna Maria Calcagno, con
studio in Genova, Via Macaggi n. 23, conferendole i poteri di cui in parte motiva e
limitando contestualmente la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori;
ASSEGNA termine al curatore speciale per costituirsi in giudizio nell’interesse dei
minori depositando una memoria difensiva contenente una prima relazione
sull’andamento del progetto entro dieci giorni prima dell’udienza di cui infra;
PRESCRIVE ai genitori di collaborare lealmente nell’attuazione del piano genitoriale
e di intraprendere un percorso di mediazione familiare presso il Laboratorio dei
Conflitti ovvero presso un professionista privato o qualsiasi altro organismo di
mediazione;
CONFERMA per il resto le statuizioni di cui al precedente decreto del 29/11/2017
emesso da questo Tribunale in esito al giudizio R.G. n.ro 7767/2016 V.G.;
FISSA per la verifica e l’aggiornamento l’udienza del 20/12/2022 ore 18.15, dinanzi
al G.D. dott. Danilo Corvacchiola (Piano VI – Aula 6).
Spese al definitivo.
Si comunichi alle Parti ivi compreso il curatore speciale, Avv. Anna Maria Calcagno,
e ai Servizi Sociali del Comune di Genova

La gratuità dell’assegnazione della casa familiare non si estende alle spese correlate all’uso

Corte d’Appello Milano, Sez. III, sent., 27 luglio 2022, n. 2188
CORTE D’APPELLO DI MILANO
Sezione terza civile
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa d’appello promossa avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Varese n.
…/2021, posta in decisione nella camera di consiglio del 22.06.2022
DA
M.V. (C.F. (…) ), con il patrocinio dell’avv…., presso il cui studio in …è elettivamente domiciliata
APPELLANTE
CONTRO
A.G. (C.F. (…) ), con il patrocinio dell’avv…., presso il cui studio in VIA … è elettivamente
domiciliato
G.F. (C.F. (…) ), con il patrocinio dell’avv…., presso il cui studio in VIA …è elettivamente domiciliato
APPELLATI
Oggetto: appello avverso la sentenza del Tribunale di Varese, n…. /2021, pubblicata il 9.12.2021, in
materia di “locazione e comodato di immobile urbano”.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
-Nella descrizione dei fatti: con ricorso ex 447 bis c.p.c., i Sig.ri G.A. e F.G. convenivano in giudizio
la Sig.ra V.M., per sentirla condannare al pagamento a loro favore della complessiva somma di Euro
9.682,33, dovuta da quest’ultima dal 2007 per i consumi di energia elettrica, gas, acqua e per le spese
di manutenzione della fossa biologica dell’appartamento di loro proprietà, dove la V. tuttora abita
con la figlia (nonché loro nipote). Infatti, G.A. e F.G., in quanto comproprietari di un complesso
immobiliare sito a L.G, in via M. n. 5, costituito da tre unità abitative, anni addietro, avevano
concesso in comodato d’uso gratuito, una di queste tre unità immobiliari, a loro figlio, G.G., il quale
aveva adibito l’immobile a casa familiare, andandovi ad abitare con la sig.ra V.M. (all’epoca sua
moglie) e la loro figlia minore. Nell’anno 2007, i coniugi G.G. e V.M. si erano separati giudizialmente,
davanti al Tribunale di Varese, che (con provvedimento Presidenziale del 2007) aveva disposto
l’assegnazione della casa familiare alla moglie. L’assegnazione della casa coniugale alla V. era stata
confermata con la sentenza del Tribunale di Varese, n. 1523/2012, a definizione del procedimento di
separazione giudiziale tra i coniugi. La sig.ra V., dopo la separazione dal marito nel 2007, era dunque
rimasta ad abitare nella casa di proprietà di G. e F., senza tuttavia pagare le spese relative al consumo
delle utenze di acqua, luce, gas ecc., nonostante fosse stata più volte a ciò sollecitata dagli ex suoceri.
-I sig.ri G. e F. lamentavano, quindi, che a seguito dell’assegnazione alla sig.ra V. del loro
appartamento (originariamente dato in comodato d’uso a loro figlio) quest’ultima non aveva mai
pagato le spese relative ai consumi di energia elettrica, acqua e gas ecc. e detto comportamento della
V., che loro reputavano del tutto ingiustificato, li aveva costretti ad anticipare la quota di spettanza
della stessa (per evitare l’interruzione della fornitura trattandosi di un unico impianto) quota della
quale, con ricorso al Giudice, chiedevano il rimborso da parte della V., sostenendo che la stessa fosse
obbligata al pagamento.
-la Sig.ra V., costituendosi in giudizio, rilevava che ai fini della procedibilità del giudizio ex art. 447
bis c.p.c. non poteva dirsi assolta la condizione preliminare dell’avvio della mediazione, poiché in
quella espletata non vi era stata una fattiva partecipazione da parte degli ex suoceri; chiedeva
pertanto la sospensione della causa con concessione alle parti del termine per l’introduzione di un
nuovo ed effettivo tentativo di mediazione. Nel merito, la V. confermava di essere assegnataria di
una porzione di immobile di proprietà degli ex suoceri, che l’immobile da lei occupato non era una
unità abitativa autonoma in quanto separata da una libreria dall’abitazione degli ex suoceri, che le
utenze (energia elettrica, acqua e gas per uso riscaldamento) non erano parimenti autonome in
quanto vi era un unico impianto, con eccezione della corrente elettrica che dal 2011 era stata resa
autonoma, che data la peculiarità dell’immobile in questione non era possibile ripartire tra le parti i
consumi realmente ad ella riferibili e che quindi riteneva di non dover pagare alcun importo
richiesto.
-Il Giudice di primo grado, dopo aver concesso alcuni rinvii per consentire l’esperimento del
procedimento di mediazione obbligatorio, che ha avuto esito negativo, disponeva apposita CTU
volta ad accertare quali fossero le quote da ripartire tra le parti, relative ai consumi di energia
elettrica, gas e acqua e di manutenzione della fossa biologica, relative a ciascuna unità immobiliare.
-Successivamente al deposito della CTU, la Sig.ra Vascon eccepiva la nullità della procura alle liti
inizialmente depositata in giudizio da G. e F., in quanto la stessa si riferiva ad altre cause intentate
sempre nei suoi confronti da G. e F., ragion per cui il Tribunale, ai sensi dell’art. 182 c.p.c., concedeva
a questi ultimi il termine ultimo fino al 10.06.2021 per la regolarizzazione della procura, mediante
deposito telematico, deposito che veniva da loro effettuato in data 4.06.2021, tramite procura alle liti
in rinnovazione.
-All’esito della CTU, il Giudice del Tribunale tratteneva la causa in decisione e con la sentenza n.
1071/2021, pubblicata in data 9.12.2021, così statuiva: “…accoglie le domande svolte della parte
attrice e, per l’effetto, condanna la parte convenuta a corrispondere alla parte attrice la somma di
Euro 8.504,18, oltre agli interessi legali come in parte motiva. Condanna la parte convenuta a
corrispondere alla parte attrice a titolo di spese di lite la complessiva somma di Euro 3.570,00, di cui
Euro 270,00 per anticipazioni, oltre agli accessori di legge. Pone definitivamente a carico della parte
convenuta le spese della CTU, così come liquidate in corso di causa”.
-In particolare, il Giudice di primo grado -per quanto riguarda le eccezioni preliminari sollevate
dalla Sig.ra V.- quanto alla mediazione, riteneva che dovesse considerarsi correttamente assolta la
condizione del preventivo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, in quanto i
ricorrenti (G. e F.) avevano depositato in giudizio il relativo verbale negativo; quanto alla procura
alle liti, il Giudice rilevava che dovesse considerarsi sanata la presunta nullità della procura
inizialmente prodotta in atti, a seguito del deposito da parte di G. e F. di una nuova procura, entro
il termine loro concesso per la regolarizzazione del mandato.
-Nel merito, il Giudice di primo grado applicava al caso in esame le norme sul comodato gratuito di
immobile ex art. 1808 c.c. secondo cui “Il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese sostenute
per servirsi della cosa”, di conseguenza condannava la V., nella veste di comodataria, al pagamento
delle spese ordinarie di manutenzione dell’immobile dalla stessa occupato; secondariamente, il
Giudice rilevava che, trattandosi di assegnazione di casa coniugale, l’assegnatario della casa
coniugale era tenuto, comunque, al pagamento delle spese connesse all’utilizzo di detto immobile,
come peraltro statuito dalla Suprema Corte (Cass. 18476/2005 e Cass. 10927/2018). Per la
quantificazione delle somme dovute per i consumi di acqua, gas, energia elettrica ecc., il Giudice del
Tribunale, condividendo i calcoli di ripartizione delle spese operati dal CTU, come analiticamente
riportati nell’elaborato peritale, riconosceva a favore dei Sig.ri G. e F. la somma complessiva di Euro
8.504,18, oltre interessi legali dalla domanda al saldo effettivo.
-Con ricorso in appello depositato il 31.01.2022, la sig.ra V. ha impugnato la sentenza e ha chiesto,
in sua riforma, l’accoglimento delle conclusioni come in epigrafe riportate.
-E’ stato chiesto il rigetto dell’appello dai sig.ri G.A. e F.G. che costituendosi hanno replicato ai
motivi di impugnazione ed hanno chiesto l’accoglimento delle conclusioni come in epigrafe
riportate.
– All’udienza del 22.06.2022 i procuratori delle parti, all’esito della discussione orale, hanno precisato
le rispettive conclusioni, riportandosi a quelle formulate nei propri atti introduttivi.
-La causa è stata decisa, come da dispositivo letto in udienza.
-Con il primo motivo di appello, l’appellante V.M. lamenta la violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 182 c.p.c. in relazione all’art. 125 c.p.c. per avere il Giudice del Tribunale ammesso la
sanatoria della procura alle liti mediante la concessione del termine per la regolarizzazione della
stessa, con effetti sananti ex tunc, mentre, la difesa di V. sostiene che la sanatoria non potrebbe mai
operare in ipotesi di insussistenza originaria della procura, come nel caso in esame. Secondo
l’appellante, l’art. 182 c.p.c., così come modificato dalla L. n. 69 del 2009, che prevede la possibilità
di sanare eventuali vizi della procura alle liti entro un termine perentorio concesso dal Giudice,
troverebbe il suo limite nell’art. 125 comma 2 c.p.c., secondo cui la procura al difensore può essere
rilasciata dopo la notifica dell’atto, ma sempre prima dell’avvenuta costituzione in giudizio della
parte rappresentata e detto articolo di legge non sarebbe stato in alcun modo
modificato/abrogato/derogato dalla riforma apportata dalla L. n. 69 del 2009. Dal combinato
disposto dei due articoli in questione, dunque, l’appellante ritiene che il deposito della nuova
procura alle liti da parte dei Sig.ri G. e F., nonostante sia avvenuto entro il termine concesso dal
Giudice del Tribunale (ovvero entro il 10.06.2021), deve considerarsi comunque tardivo, in quanto,
lo stesso, è successivo alla costituzione degli appellati nel primo grado di giudizio e, pertanto, non
rispetterebbe il termine inderogabile previsto dall’art. 125 c.p.c. con conseguente inammissibilità e/o
improcedibilità dell’azione da loro promossa.
-Con il secondo motivo di appello, l’appellante lamenta la violazione del principio dell’onere della
prova che grava su colui che chiede l’accertamento di un proprio diritto, sostenendo che il Giudice
di primo grado, nell’accogliere la domanda dei Sig.ri G. e F., avrebbe violato il principio dell’onere
probatorio disposto dall’art. 2697 c.c. Ciò in quanto, sempre secondo l’appellante – rientrando il caso
in esame nell’ipotesi di comodato gratuito di immobile -l’eventuale pattuizione tra comodante e
comodatario di rimborso delle spese collegate all’uso dell’immobile a carico di quest’ultimo- deve
essere provata in giudizio, trattandosi di un comodato oneroso o modale, che necessita di forma
scritta. Pertanto, l’appellante lamenta che il Giudice del Tribunale, in assenza di una precisa
pattuizione tra comodante e comodatario sulla divisione delle spese per i servizi di energia elettrica,
acqua, gas e manutenzione della fossa biologica in uso all’intero complesso immobiliare, non
avrebbe potuto sostituirsi alla volontà delle parti, nominando un proprio consulente tecnico per
stabilire i criteri di ripartizione dei costi da porre a carico del comodatario.
-Il primo motivo di appello è infondato.
Come correttamente evidenziato dal primo Giudice, appurata l’inefficacia della originaria procura
alle liti (trattandosi di quella utilizzata per altri procedimenti giudiziali pendenti tra le stesse parti)
è sempre possibile per la parte effettuare la sanatoria della propria costituzione in giudizio, mediante
la produzione di una nuova procura ad hoc, con efficacia sanante ex tunc. L’art. 182, comma 2, c.p.c.
nella formulazione introdotta dall’art. 46, comma 2, della L. n. 69 del 2009 (da ritenersi applicabile
anche nel giudizio di appello) secondo cui il giudice che accerti un difetto di rappresentanza,
assistenza o autorizzazione, è tenuto a consentirne la sanatoria, assegnando un termine alla parte
che non vi abbia provveduto di sua iniziativa, con effetti “ex tunc”, senza il limite delle preclusioni
derivanti dalle decadenze processuali, trova applicazione anche qualora la procura manchi del tutto
oltre che quando essa sia inficiata da un vizio che ne determini la nullità, restando, perciò, al
riguardo irrilevante la distinzione tra nullità e inesistenza della stessa (Cass. ord. 23353/2021; Cass.
sent. 23958/2020; Cass. ord. 10885/2018).
-Dunque, è evidente che la nuova formulazione dell’art. 182 c.p.c., contrariamente a quanto
sostenuto dall’appellante, non trova alcun limite nel dettato normativo di cui all’art. 125 comma 2
c.p.c., essendo sempre possibile la sanatoria della procura alla liti, con efficacia ex tunc, entro il
termine stabilito dal Giudice, anche nell’ipotesi estrema, della sua totale mancanza.
-Nel caso in esame, peraltro, si osserva che non risulta una assenza assoluta di procura alle liti
rilasciata prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado dai Sig.ri G. e F. al proprio difensore,
posto che la procura inizialmente depositata in giudizio da costoro, secondo quanto riportato dalla
stessa difesa della Sig.ra V., sarebbe stata utilizzata, sempre dal loro stesso difensore, anche in altri
procedimenti, precedentemente instaurati nei confronti della V..
-Alla luce di quanto premesso, dunque, si rileva che correttamente il Giudice di primo grado ha
assegnato il termine di legge a G. e F. per poter regolarizzare la loro rappresentanza giudiziale, e
questi ultimi hanno provveduto a tale regolarizzazione, mediante deposito tempestivo della procura
alle liti in rinnovazione, così sanando la propria costituzione in giudizio, con efficacia ex tunc.
-Il secondo motivo di appello è infondato.
Nel caso in esame si evidenza, infatti, che, inizialmente il titolo che ha permesso alla Sig.ra V. di
abitare nella casa di proprietà dei Sig.ri G.A. e F.G. era costituito da un contratto di comodato
gratuito, in base al quale questi ultimi, per loro stessa ammissione, avevano concesso l’immobile in
questione in uso gratuito al figlio, il Sig. G.G., che lo aveva adibito a casa coniugale ed era andato a
viverci assieme alla Sig.ra V. (all’epoca sua moglie) unitamente alla loro figlia.
-Tuttavia, a partire dal 2007, con l’avvio davanti al Tribunale di Varese del procedimento di
separazione giudiziale tra il Sig. G.G. e la Sig.ra V.M. (RG 4492/2007) e con la conseguente
emanazione (sempre nel 2007, intanto del provvedimento presidenziale di assegnazione della casa
coniugale alla sola Sig.ra V., poi confermato con la sentenza n. 1523/2012) si è verificata una
conseguente nuova qualificazione del titolo legittimante l’occupazione dell’immobile dei Sig.ri G.A.
e F.G. da parte della Sig.ra V., titolo che, da quel momento in poi, diversamente da quanto indicato
dal primo Giudice, non era più quello di comodato gratuito, ma più correttamente quello di
assegnazione della casa coniugale.
-Pertanto, si rileva che dal 2007, pur nella sua nuova veste (non più di comodataria unitamente al
marito) più propriamente di assegnataria della casa coniugale, la sig.ra V.M. era, comunque,
obbligata alle spese per il consumo delle utenze di energia elettrica, acqua, gas e di manutenzione
della fossa biologica, come legittimamente richiesto da G.A. e F.G.. Ciò in applicazione del principio
di diritto secondo cui “L’assegnazione della casa coniugale esonera l’assegnatario esclusivamente dal
pagamento del canone, cui altrimenti sarebbe tenuto nei confronti del proprietario esclusivo o, in
parte qua, del comproprietario dell’immobile assegnato, sicché la gratuità dell’assegnazione
dell’abitazione ad uno dei coniugi si riferisce solo all’uso dell’abitazione medesima, ma non si
estende alle spese correlate a detto uso, ivi comprese la TARSU e quelle che riguardano
l’utilizzazione e la manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell’abitazione familiare,
le quali sono, di regola, a carico del coniuge assegnatario, …” (Cass. 10927/2018); come peraltro di
recente confermato sempre dalla Suprema Corte secondo cui “l’essenziale gratuità dell’assegnazione
della casa familiare esonera, invero, l’assegnatario dal pagamento di un corrispettivo per il
godimento dell’abitazione di proprietà dell’altro, ma non si estende alle spese correlate all’uso (….),
spese che – in mancanza di un provvedimento espresso del giudice della separazione o del divorzio,
che ne accolli l’onere al coniuge proprietario – vanno a carico del coniuge assegnatario.” (Cass.
16613/2022).
-Da ultimo, gli appellati hanno formulato solo nel petitum della comparsa di costituzione e risposta
la domanda di risarcimento ex art. 96 c.p.c., primo comma, senza neppure allegare alcun elemento
giustificativo della stessa; l’istanza, pertanto, va respinta.
-La sentenza appellata deve, dunque, essere confermata, sulla base di quanto qui motivato.
-Al rigetto dell’appello consegue la conferma della sentenza appellata e, per il principio della
soccombenza sancito dall’art. 91 c.p.c., la condanna dell’appellante alla rifusione, in favore delle parti
appellate, delle spese relative al presente grado di giudizio, che vengono liquidate come in
dispositivo, sulla base dei parametri del D.M. n. 55 del 2014 e dello scaglione applicabile nella
fattispecie con riferimento alla media difficoltà delle questioni trattate, al valore medio per le tre fasi,
esclusa quella istruttoria di fatto non svoltasi, con riduzione a metà della fase decisoria risoltasi in
una unica udienza ed in una discussione orale limitata al semplice richiamo delle difese svolte nei
rispettivi atti scritti.
-Si dà atto, ai sensi dell’art.13, comma 1-quater, D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei
presupposti per il versamento, a carico dell’appellante, dell’ulteriore importo pari al contributo
unificato versato.
P.Q.M.
La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando, sull’appello proposto da V.M. contro G.A. e
F.G., avverso la sentenza del Tribunale di Varese, n. 1071/2021, pubblicata il 9.12.2021, così provvede:
-rigetta l’appello;
-rigetta la domanda degli appellati ex art. 96 c.p.c., primo comma;
-condanna l’appellante a rifondere alla parte appellata le spese del grado, che si liquidano in
complessivi Euro 2.867,00 di cui Euro 1.080,00 per la fase di studio, Euro 877,00 per la fase
introduttiva, Euro 910,00 per la fase decisionale, oltre il 15% spese forfettarie ex art. 2 comma 2, D.M.
n. 55 del 2014 ed oltre I.V.A. e C.P.A. come per legge;
-dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dell’appellante dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato ex art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002, comma
inserito dall’art. 1 comma 17 L. n. 228 del 2012.
Conclusione
Così deciso in Milano, il 22 giugno 2022

Il giudice ha sempre il potere di adottare d’ufficio tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli minori

Cass. Civ., Sez. VI – 1, Ord., 04 agosto 2022, n. 24179; Pres. Bisogni, Rel. Cons. Caiazzo
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25626/2020 proposto da:
M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato B.N. S., che lo
rappresenta e difende, con procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell’avvocato E.N., rappresentata e
difesa dagli avvocati G. L.S., e S. F.I, con procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 316/2020 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 03/07/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/03/2022 dal
Consigliere relatore, Dott. ROSARIO CAIAZZO.
Svolgimento del processo
CHE:
Su ricorso di M.M. nei confronti della moglie A.M., il Tribunale di Spoleto, con sentenza del
17.2.2020, disponeva l’affido congiunto dei figli della coppia ad entrambi i genitori, fissandone la
residenza abituale presso la madre, statuendo a carico del M. il contributo al mantenimento dei figli
in Euro 1.300,00 mensili e rigettando la domanda di assegno divorzile. Al riguardo, il Tribunale
considerava che il M. disponeva di un reddito di Euro 3.500,00 mensili, gravato da un mutuo di Euro
1.500,00, a fronte del minor reddito di Euro 500,00 percepito dalla ex-moglie, assegnataria della casa
familiare.
La A. ha proposto appello che la Corte territoriale ha parzialmente accolto con sentenza del 3.7.2020,
determinando l’assegno divorzile a suo favore nella somma di Euro 400,00 mensili e la ripartizione
delle spese straordinarie per i figli concordate nelle percentuali del 60% a carico del M. e del 40%
della ex-moglie, osservando che sussiste una evidente disparità economica e reddituale tra le parti,
dovuta alla mancanza di una stabile condizione lavorativa da parte della A.. Tale divario, accresciuto
dal patrimonio immobiliare e dai benefici che l’ex-marito trae dal supporto della famiglia d’origine e
dalla società da lui amministrata, unitamente al fatto che l’appellante si è sempre dedicata ai figli
pregiudicando così la possibilità di trovare una occupazione stabile, legittima secondo la Corte
d’appello il riconoscimento dell’assegno divorzile.
M.M. ricorre in cassazione con sei motivi. A.M. resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Motivi della decisione
CHE:
Il primo motivo deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 354 e 112 c.p.c., avendo la
Corte d’appello pronunciato incorrendo in ultrapetizione sulla ripartizione tra i genitori delle spese
straordinarie relative ai figli minori (con la percentuale del 60% a carico del ricorrente) poichè la
relativa domanda, non giustificata da mutamenti dello stato di fatto, costituisce mutatici libelli e
pertanto è inammissibile.
Il secondo motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., per aver la Corte d’appello statuito sulle
spese straordinarie per i figli minori omettendo di esaminare l’eccezione sollevata dal ricorrente
d’inammissibilità, ex art. 345 c.p.c., della domanda afferente alla modifica delle statuizioni inerenti
alle suddette spese.
Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 9170, art. 5, comma 6, per
aver la Corte d’appello riconosciuto l’assegno divorzile all’ex-moglie sulla base della generica
affermazione della incapacità di quest’ultima di procurarsi un maggior reddito da lavoro, omettendo
inoltre l’accertamento della effettiva impossibilità.
Il quarto motivo denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 111 Cost., comma 6, per
difetto assoluto di motivazione, ovvero per aver la Corte d’appello adottato una motivazione apparente
sui presupposti legittimanti l’assegno divorzile.
Il quinto motivo deduce omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti ed emerso
nella prova testimoniale, ovvero il difetto assoluto di motivazione in ordine alla circostanza
dell’offerta di lavoro (non accettata dalla A.) nonostante tale offerta fosse coerente alle sue attitudini
ed ai suoi interessi. Inoltre, contesta l’incidenza della lieve malattia del figlio minore sulle capacità di
lavoro della madre.
Il sesto motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 898 del 9170, art. 5, comma 6,
artt. 2730 e 2732 c.c., art. 24 Cost., art. 346 c.p.c., per aver la Corte d’appello provveduto sull’assegno
divorzile applicando erroneamente un criterio fiscale astratto e richiamando arbitrariamente le difese
svolte dal ricorrente in primo grado.
Al riguardo, il ricorrente si duole che la Corte territoriale, nel determinare l’importo dell’assegno
divorzile a favore dell’ex moglie, abbia tenuto conto della possibilità per il M. di detrarne fiscalmente
l’importo e della richiesta, subordinata al rigetto della domanda di assegno divorzile, di non fissarlo
in misura superiore all’importo di Euro 400,00 mensili.
Il ricorso è infondato.
I primi due motivi di ricorso, esaminabili congiuntamente poichè connessi, vanno respinti. Il
ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia pronunciato ultra petita in ordine alla percentuale delle
spese straordinarie a carico del ricorrente, considerando la domanda introduttiva della A., la quale
aveva limitato al 50% tale percentuale, e la mancata emersione di fatti nuovi rispetto alla sentenza di
primo grado. Invero, va osservato che in tema di separazione personale tra coniugi e di divorzio – ed
anche con riferimento ai figli di genitori non coniugati – il criterio fondamentale cui devono ispirarsi
i relativi provvedimenti è rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale dei figli (previsto
in passato dall’art. 155 c.c., e ora dall’art. 337 ter c.c.) con la conseguenza che il giudice non è
vincolato alle richieste avanzate ed agli accordi intercorsi tra le parti e può quindi pronunciarsi anche
ultra petitum (Cass., n. 25055/17; n. 11412/14).
Nell’ambito dei procedimenti ex art. 337 bis. c.c., la tutela degli interessi morali e materiali della prole
è sottratta all’iniziativa ed alla disponibilità delle parti ed è sempre riconosciuto al giudice il potere di
adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la
migliore protezione dei figli minori (Cass., n. 7734/22; n. 21178/18).
Atteso il predetto consolidato orientamento di questa Corte, cui il collegio intende dare continuità, la
sentenza impugnata non è censurabile nella parte in cui ha statuito l’aumento della percentuale delle
spese straordinarie relative ai figli nella misura del 60%, indipendentemente dalla specifica posizione
difensiva della controparte. Il terzo motivo è inammissibile. La doglianza è diretta al riesame del
merito circa la questione della prova incombente sulla A. della concreta ed oggettiva possibilità di
procurarsi un’attività lavorativa (v. al riguardo Cass., SU, n. 18287/18). Invero, la Corte territoriale
ha ritenuto di riconoscere l’assegno divorzile alla controricorrente sulla base della notevole disparità
delle condizioni economiche e patrimoniali degli ex-coniugi, rilevando che la A. si è dedicata e si
dedica ai figli, in particolare al figlio G. che soffre di lievi disturbi autistici. La A. ha sicuramente
incontrato seri ostacoli nel reperire una adeguata occupazione lavorativa compatibile con il suo
impegno nella conduzione della vita familiare.
Deve escludersi pertanto che la Corte territoriale non abbia correttamente applicato i principi
sull’onere probatorio in tema di determinazione dell’assegno divorzile.
Il quarto motivo è inammissibile poichè del tutto generico circa l’insussistenza o apparenza della
motivazione della sentenza impugnata, avendo invece il giudice di secondo grado motivato su ogni
questione dibattuta.
Il quinto motivo è inammissibile per carenza d’autosufficienza in ordine alla doglianza riguardante
l’omesso esame di fatto decisivo. Va osservato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte, qualora il ricorrente in sede di legittimità denunci l’omessa valutazione di un documento ovvero
di una prova testimoniale, il vizio di motivazione può ritenersi sussistente soltanto nel caso di omesso
esame del documento o di elementi deducibili dal documento, oppure dalla deposizione, che si
palesino idonei a condurre – secondo una valutazione che la Corte di Cassazione esprime sul piano
astratto e in base a criteri di verosimiglianza – ad una decisione diversa da quella adottata dal giudice
di merito. Nella denuncia di questo vizio, il ricorrente ha dunque l’onere, per il principio di
autosufficienza del ricorso per cassazione, di riprodurre il tenore esatto del documento, ovvero della
prova testimoniale, il cui omesso esame è denunciato, riportandone il contenuto nella sua integrità, in
modo da permettere siffatta valutazione di decisività, essendo insufficienti i richiami per relationem
agli atti della precedente fase del giudizio, inammissibili in sede di legittimità (Cass., n. 4405/06; n.
19985/17).
Invero, nel caso concreto, il ricorrente non ha trascritto i verbali della prova testimoniale invocata,
circa l’omesso esame di fatti rilevanti in ordine all’occasione di lavoro occorsa all’ex-coniuge
beneficiario dell’assegno divorzile, precludendo in tal modo anche la verifica della decisività dei fatti
da provare (v. anche Cass., n. 17915/2010; n. 21632/13).
Il sesto motivo è parimenti inammissibile, in quanto diretto sostanzialmente al riesame dei fatti,
avendo la Corte d’appello riconosciuto l’assegno divorzile alla controricorrente applicando criteri
conformi alla giurisprudenza di questa Corte, mentre la censura riguarda fatti irrilevanti estranei alla
ratio decidendi posta a fondamento della sentenza impugnata, quali i riferimenti alla detrazione
fiscale, o alla difesa del ricorrente in primo grado.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle
spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 4100,00 di cui 100,00 per esborsi, oltre alla
maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri
dati identificativi delle parti e dei soggetti in esso menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003,
art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 10 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2022

I presupposti per l’assegno di mantenimento sono diversi da quelli previsti per l’assegno divorzile

Cass. Civ., Sez. VI – 1, Ord., 04 agosto 2022, n. 24249; Pres. Scotti, Rel. Cons. Iofrida
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11839/2021 proposto da:
C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell’avvocato M. P., e rappresentato e
difeso dall’avvocato P. F.;
– ricorrente –
contro
F.P.;
– intimata –
avverso sentenza n. 2840/2020 della Corte d’appello di Venezia, deposita il 29/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/07/2022 dal
Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 2840/2020, depositata il 29/10/2020, ha confermato,
respingendo sia il gravame principale di C.S. sia quello incidentale di F.P., la decisione di primo
grado, che aveva pronunciato la separazione personale dei coniugi, respingendo le reciproche
domande di addebito proposte dai coniugi, disponendo l’affidamento delle figlie minori ai Servizi
Sociali del Comune di C., investiti delle facoltà di prendere le decisioni inerenti l’ordinaria gestione
delle bambine, con collocamento di queste ultime presso la madre, cui veniva assegnata la casa
coniugale, fissazione delle modalità di visita da parte del padre e dell’obbligo del medesimo di
contribuire al mantenimento delle figlie minori, versando la somma mensile d Euro 2.000,00, oltre
rivalutazione Istat, nonchè determinazione dell’assegno di mantenimento della moglie a carico del
marito nella misura di Euro 1.500,00 mensili, oltre rivalutazione Istat, con condanna del C. al
risarcimento dei danni cagionati alle figlie per contegno pregiudizievole nei loro confronti, liquidati
nell’importo di Euro 19.500,00, in favore di ciascuna delle figlie.
In particolare, per quanto in questa sede interessa, la Corte territoriale ha respinto i primi tre motivi
di appello principale del C., vertenti sulla chiesta revoca o riduzione dell’assegno di mantenimento
del coniuge e di quello a titolo di contributo delle figlie, rilevando che l’assegno deve avere oltre ad
una funzione “perequativo-compensativa” anche una funzione assistenziale e che, nella specie la
sproporzione patrimoniale ed economica dei coniugi, quale accertata in primo grado, con consulenza
tecnica d’ufficio, giustificava la conferma delle statuizioni di primo grado, nonchè l’ultima doglianza,
in punto di condanna ex art. 709 ter c.p.c., considerate le condotte del C., depauperative del proprio
patrimonio, come accertato dal CTU, e ostruzionistiche, volte ad ostacolare l’accertamento peritale,
nonchè le continue schermaglie con la F. “per tutto quanto riguardava le figlie minori”, e la corretta
determinazione del quantum, secondo equità.
Avverso la suddetta pronuncia, C.S. propone ricorso per cassazione, notificato il 23 e 27/4/21, affidato
a tre motivi, nei confronti di F.P. (che non svolge difese).
E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380 bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i
relativi presupposti.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c.,
n. 4, dell’art. 132 c.c., per motivazione apparente, perplessa, illogica e contraddittoria, nonchè
violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c., in relazione alla determinazione dell’assegno di
mantenimento della moglie; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360
c.p.c., nn. 3 e 4, degli artt. 112 e 132 c.p.c., per motivazione apparente, perplessa, illogica e
contraddittoria, in punto di valutazione delle condizioni economiche dei coniugi, avendo la Corte di
merito ritenuto sufficiente l’accertata “sproporzione patrimoniale ed economica dei coniugi”; c) con
il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, dell’art. 132 c.c., per
motivazione apparente, perplessa, illogica e contraddittoria, in punto di conferma della condanna del
padre al risarcimento dei danni cagionati alle figlie per asserite condotte depauperative e/o occultative
del patrimonio nonchè per alcune condotte asseritamente strumentali ed ostruzionistiche rispetto ad
aspetti salienti della vita delle figlie.
2. Le prime due censure sono fondate.
La sentenza risulta sul punto affetta da vizio di motivazione del tutto carente. Questa Corte, a Sezioni
Unite, ha chiarito (SS.UU. 22232 del 03/11/2016) che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza
è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda,
tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente
inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio
convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie,
ipotetiche congetture” (nella specie la S.C. ha ritenuto tale una motivazione caratterizzata da
considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale
di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione).
Ora, la Corte di merito ha ritenuto che fossero integrati i presupposti dell’assegno di mantenimento
del coniuge separato in quanto, data la asserita natura composita dell’assegno, assistenziale,
compensativa e perequativa, sussisteva una effettiva disparità economica tra i redditi delle parti, tale
da giustificare la contribuzione da parte del C. in favore della ex moglie.
Tuttavia, nella specie, si verteva in materia di assegno di separazione non di assegno divorzile.
Questa Corte ha affermato che “la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione
degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicchè i “redditi
adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge,
in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita
goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non
presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione
degli obblighi di natura personale di fedeltà, convivenza e collaborazione, e che ha una consistenza
ben diversa dalla solidarietà post-coniugale, presupposto dell’assegno di divorzio” (Cass.
12196/2017; Cass. 16809/2019; Cass. 4327/2022).
Ne consegue che il riferimento alla natura composita dell’assegno ed al rilievo, ai fini della
componente assistenziale, della sola componente della sproporzione reddituale dei coniugi,
isolatamente considerata, si risolve in una motivazione apparente, intrisa di considerazioni generiche
ed apodittiche, non calate nella fattispecie in esame. Il ricorrente deduce poi di avere con l’appello
invocato l’erroneità della statuizione di primo grado, considerati la breve durata del matrimonio, la
disponibilità della casa coniugale assegnata alla moglie, la giovane età e la piena capacità lavorativa
della moglie (dipendente pubblica). Di tutto ciò non v’è traccia nella sentenza impugnata.
3. La terza doglianza, in punto di condanna del C. al risarcimento del danno da illecito endofamiliare,
è, invece, infondata.
Invero, la Corte di merito, a fronte della censura sollevata dall’appellante, il quale aveva contestato
sia l’an debeatur (per assenza di condotte pregiudizievoli per le figlie, tali non potendo definirsi la
vendita di quote societarie, o ostruzionistiche) e il quantum debeatur, ha affermato che la misura
sanzionatoria doveva essere confermata, considerate le condotte del C. depauperative del proprio
patrimonio, come accertato dal CTU, e ostruzionistiche, volte ad ostacolare l’accertamento peritale,
nonchè le continue schermaglie con la F. “per tutto quanto riguardava le figlie minori”, e che era
corretta determinazione del quantum, secondo equità.
Trattasi di motivazione che non può essere definita del tutto apparente o carente.
L’argomentazione svolta nella memoria in ordine all’asserita conseguenzialità tra i primi due motivi
ed il terzo è inconferente, essendo la statuizione ex art. 709 ter c.c., del tutto autonoma, rispetto a
quella in punto di assegno di mantenimento del coniuge separato.
4.Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso, respinto il terzo,
va cassata la sentenza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Venezia, in diversa
composizione. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di
legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, respinto il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia
alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese
del presente giudizio di legittimità.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati
identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 4 agosto 2022

La prova della mancanza dei mezzi di sussistenza del figlio non può discendere da un inadempimento formale

Cass. Pen., Sez. VI, sent., 16 agosto 2022, n. 31136 – Pres. Ricciarelli, Cons. Rel. Silvestri
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.V., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di Torino l’08/01/2021; visti gli atti, il provvedimento
impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, Pietro Silvestri;
udito il Sostituto Procuratore generale, Dott. Alessandro Cimmino, che ha concluso chiedendo
l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente al motivo relativo alla non menzione
della condanna e la inammissibilità del ricorso nel resto; udita l’avv.ssa Federica De Boni, difensore
delle parti civili P.I. e C.F., che ha concluso chiedendo che i ricorso sia dichiarato inammissibile o
rigettato con conseguente conferma della statuizioni civili;
udito l’avv. Alfredo Cavallone, difensore dell’imputato, che ha concluso insistendo nell’accoglimento
dei motivi di ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Torino ha sostanzialmente confermato la sentenza con cui C.V., assolto dal
delitto di cui all’art. 572 c.p., è stato condannato per il reato previsto dall’art. 570 c.p., comma 2,
limitatamente al periodo novembre 2010- settembre 2013.
All’imputato è contestato di essersi allontanato dalla casa familiare nel novembre del 2010, sottraendosi
in tal modo agli obblighi di assistenza inerenti la responsabilità genitoriale, e di non avere versato
alcunchè alla moglie ed al figlio minore, così facendo mancare i mezzi di sussistenza, perseverando tale
condotta anche quando il figlio era divenuto maggiorenne, ma non economicamente autonomo.
2. Ha proposto ricorso l’imputato articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si deduce travisamento della prova e vizio di motivazione quanto al giudizio di
responsabilità.
La Corte non avrebbe considerato che l’imputato, piuttosto che eseguire il bonifico mensile, avrebbe
versato nel tempo, seppur con causali diverse da quelle del contributo al mantenimento, in favore della
moglie e del figlio rilevanti somme di denaro – come l’intero ricavato della vendita di un camper, ovvero
come il versamento sul conto della moglie della somma ricevuta dal fondo che aveva acceso in favore
del figlio; nè sarebbe stato valutato che l’imputato aveva lasciato in favore dei famigliari la propria casa
con tutti i mobili e gli arredi.
Si evidenzia che le somme e le provviste corrisposte sarebbero superiori alla somma dei versamenti che
l’imputato avrebbe dovuto versare mensilmente; sul punto la motivazione sarebbe viziata e i fatti
riportati in denuncia sarebbero stati ritenuti attendibili nonostante l’assoluzione per il reato di
maltrattamenti per il quale pure era stata presentata denuncia.
Nè sarebbe stata adeguatamente valutata la circostanza che il Pubblico Ministero avesse chiesto per i
fatti per cui si procede richiesta di archiviazione, di cui viene riportato il contenuto.
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione quanto all’omesso riconoscimento del
beneficio della non menzione della condanna.
La Corte, pur dando atto del motivo di appello, sarebbe silente.
2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato
riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, esclusa sul presupposto
che la condotta non potesse considerarsi occasionale.
3. E’ stata trasmessa una corposa memoria nell’interesse dell’imputato con cui si riprendono e si
sviluppano ulteriormente gli argomenti posti a fondamento dei motivi di ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato quanto al primo motivo, che ha valenza assorbente rispetto agli altri.
2. La Corte di appello ha dato atto come l’imputato avesse dedotto, proprio per il periodo di tempo in
contestazione, di aver “di fatto” garantito al figlio la somma mensile di 250 Euro – nel periodo novembre
2010- agosto 2013 – e di aver “conferito denari tratti dalla vendita di un’automobile e di un fondo assicurativo,
liquidato nel 2011, conferito integralmente alla moglie e, pro quota (Euro 10.000) al figlio”.
Rispetto a detta questione, la Corte di appello ha tuttavia confermato il giudizio di responsabilità sulla
base dell’assunto secondo cui” da una parte, l’imputato non avrebbe corrisposto una “somma fissa,
concordata – per il periodo in cui i coniugi s’erano separati soltanto di fatto – con la moglie, perchè
fossero garantiti i mezzi di sussistenza in favore del figlio minore” (così testualmente la Corte a pag. 4
della sentenza impugnata), e, dall’altra, perchè il figlio non avrebbe potuto trarre “fonte di
sostentamento” dalla somma derivante dal fondo in quanto “non immediatamente fruibile”.
3. Si tratta di una motivazione viziata.
La prova della mancanza dei mezzi di sussistenza del figlio è stata fatta sostanzialmente discendere
dall’inadempimento formale consistente nella mancata corresponsione mensile delle somme, senza
tuttavia spiegare perchè quanto versato dall’imputato in quello stesso periodo non dovesse essere
valutato al fine della verifica dell’elemento oggettivo del reato e, sotto altro profilo, di quello soggettivo
e, ancora, ai fini della prova dell’inadempimento colpevole (sul tema, tra le altre, Sez. 6, n. 4960 del
21/10/2014, dep. 2015, S. Rv. 262157).
Ciò che in particolare non è stato accertato è se, al di là dell’inadempimento formale, l’imputato abbia
fatto mancare in concreto i mezzi di sussistenza al proprio figlio e, posto che lo abbia fatto, se lo abbia
fatto per tutto il periodo in contestazione e se lo abbia fatto con dolo, tenuto conto delle somme
comunque destinate al minore e al coniuge.
Nè è stato spiegato quale sia il senso dell’affermazione secondo cui le somme del fondo non sarebbero
state immediatamente fruibili.
4. Ne consegue che la sentenza deve essere annullata, ai fini penali, senza rinvio essendosi il reato estinto
per prescrizione, e, quanto ai fini civili, con rinvio al giudice competente.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali, perchè il reato è estinto per prescrizione.
Annulla la sentenza agli effetti civili e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore
in grado di appello.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 11 maggio 2022.
Depositato in Cancelleria il 16 agosto 2022

Niente mantenimento per il figlio maggiorenne resosi indipendente dal nucleo familiare

Cass. Civ., Sez. I, ord., 25 luglio 2022, n. 23132 – Pres. Genovese, Cons. Rel. Vella
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso …/2020 proposto da:
P.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,
rappresentato e difeso dall’avvocato…, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
P.D., C.C., domiciliati in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di
Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato…, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di GENOVA, del 18/11/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/06/2022 dal cons. Dott. Paola
Vella.
Svolgimento del processo
CHE:
1. – Con il decreto indicato in epigrafe, la Corte d’Appello di Genova ha respinto il reclamo proposto
da P.M. (n. La Spezia il 6 maggio 1995) avverso il decreto del Tribunale di Massa che ha respinto il
ricorso ex art. 147 c.c. e ex art. 337-septies c.p.c. da egli presentato il 19/10/2018 per ottenere un
assegno di mantenimento mensile a carico dei genitori P.D. e C.C., fino al raggiungimento della sua
indipendenza economica, oltre al pagamento “a prima richiesta” delle spese per le cure mediche e
sanitarie nonchè “per il percorso di studio universitario (compreso l’alloggio anche in sede
universitaria, spese di trasferta, tasse d’iscrizione, libri e materiale didattico e quant’altro
necessario)”.
2. – La Corte territoriale, dichiarate preliminarmente inammissibili le produzioni documentali
effettuate in udienza dal reclamante, “in quanto relative a fatti successivi al deposito del ricorso”, ha
osservato: i) che “nel caso in esame non si tratta di cessazione della contribuzione in favore del figlio,
in quanto lo stesso, già allontanatosi dalla dimora familiare nell’anno 2013, non ha percepito fino
all’istanza di cui al ricorso in primo grado alcunchè, dimostrando anzi notevoli disponibilità
finanziarie utilizzando automobili, cellulari, computer di nuova generazione (come dichiarato dalla
madre davanti ai CC. e non contestato dal figlio)”; ii) “che pertanto è applicabile alla fattispecie in
esame il diverso principio secondo cui non sussiste il diritto ad essere mantenuto del figlio
maggiorenne, ancorchè allo stato non autosufficiente economicamente, il quale abbia in passato
iniziato ad espletare un’attività lavorativa così dimostrando il raggiungimento di una adeguata
capacità, atteso che non può avere rilievo il successivo abbandono dell’attività lavorativa da parte
del figlio, trattandosi di scelta che, se determina l’effetto di renderlo privo di sostentamento
economico, non può far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti sono già venuti
meno ferma restando invece l’obbligazione alimentare, ove ne ricorrano le condizioni”; iii) “che
secondo quanto esposto dal medesimo reclamante, e non contestato da controparte, egli si è reso
autosufficiente fin dal raggiungimento della maggiore età, non avendogli la famiglia fornito aiuti
economici come espressamente dallo stesso dichiarato”; iv) che quindi, “attesa la sua indipendenza
dal nucleo familiare con cui non ha condiviso alcun progetto di vita e neppure l’abitazione,
essendosene allontanato per sua volontà al fine di seguire le sue inclinazioni personali, non
sussistono i presupposti per la richiesta di contributi ex art. 147 c.c.”; v) “che non vi è alcuna prova
degli asseriti maltrattamenti subiti del reclamante mentre è in corso un processo per lo stesso reato
a carico dello stesso per fatti commessi nei confronti della madre”; vi) “che nel ricorso in primo grado
non era formulata alcuna domanda di assegno alimentare”.
3. – P.M. ha impugnato detta decisione con ricorso per cassazione articolato su otto motivi, cui gli
intimati hanno resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
CHE:
3.1. – Il primo motivo prospetta la “NULLITA’ DELLA SENTENZA per violazione dell’art. 115/1 e
art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, avendo i Giudici di
secondo grado corredato la decisione di una motivazione apparente a causa dell’omesso esame di
documenti ritualmente prodotti (Dichiarazioni testimoniali allegate sub 3 al ricorso introduttivo di
primo grado; Dichiarazione testimoniale ulteriore e fatture, allegate sub 10 e 15 alla memoria
autorizzata in primo grado) e relativi ad un fatto decisivo ossia che il ricorrente fosse mantenuto
dalla carità di soggetti terzi estranei”.
3.2. – Il secondo denunzia “NULLITA’ DELLA SENTENZA per violazione dell’art. 115/1 e art. 132
c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, avendo i Giudici di secondo
grado corredato la decisione di una motivazione apparente a causa dell’omesso esame circa un fatto
decisivo ossia che il ricorrente fosse mantenuto dalla carità di soggetti terzi estranei, non tenuti”.
3.3. – Il terzo deduce “NULLITA’ DELLA SENTENZA per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n.
4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 ed all’art. 360 bis c.p.c., n. 1, avendo i Giudici di secondo
grado corredato la decisione di una motivazione in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale
di questa Ecc.ma Corte in merito ai presupposti per ritenere integrato il raggiungimento della
indipendenza dal nucleo famigliare del figlio maggiorenne atta ad escluderne il diritto al
mantenimento ex art. 147 c.c.”.
3.4. – Il quarto lamenta “NULLITA’ DELLA SENTENZA per violazione dell’art. 115/1 c.p.c.; art. 132
c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, avendo i Giudici di secondo
grado corredato la decisione di una motivazione apparente a causa dell’omessa ammissione di
mezzo di prova, e, significatamente, la querela per maltrattamenti sporta dal ricorrente nel luglio
2019 ma riferita ad episodi anteriori alla proposizione del ricorso ex art. 147 c.c., documento atto a
dimostrare un fatto decisivo ossia che il ricorrente subisse maltrattamenti in famiglia e che si
allontanò dalla casa famigliare per sottrarvisi”.
3.5. – Il quinto deduce “NULLITA’ DELLA SENTENZA per violazione dell’art. 115 c.p.c., commi 1 e
2; art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, avendo i Giudici di
secondo grado corredato la decisione di una motivazione apparente a causa dell’omesso esame di
elementi istruttori (prima querela, allegata sub 5 al ricorso di primo grado con relativi allegati;
seconda querela, con relativi allegati, non ammessa in sede di Appello; video che ritraggono scene
di violenza domestica, contenuti nella chiavetta USB allegata sub 2 in sede di ricorso introduttivo;
certificazione sulla compatibilità dei disturbi del ricorrente con i lamentati maltrattamenti rilasciata
da neurologo e psicologa della Asl, allegati sub 16 e 17 alla memoria autorizzata in primo grado) atti
a dimostrare un fatto decisivo ossia che il ricorrente subisse maltrattamenti in famiglia e che si
allontanò dalla casa famigliare per sottrarvisi”.
3.6. – Il sesto censura la “NULLITA’ DELLA SENTENZA per violazione dell’art. 115 c.p.c., commi 1
e 2; art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 27 e 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e
5, avendo i Giudici di secondo grado corredato la decisione di una motivazione apparente a causa
della erronea attribuzione di responsabilità penale del ricorrente in assenza di sentenza di condanna
definitiva, così escludendo il diritto all’assegno ex art. 147 c.c.”.
3.7. – Il settimo denuncia “NULLITA’ DELLA SENTENZA per violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 147 c.c. e art. 30 Cost. anche in conseguenza della violazione degli artt. 115 c.p.c., dell’art.
132 c.p.c., comma 2, n. 4, degli artt. 27 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5,
per avere i Giudici della C.A. di Genova escluso il diritto alla prosecuzione degli studi ed il diritto
al mantenimento a carico dei genitori sulla base di motivazione apparente per aver omesso l’esame
di fatti decisivi e dando per fondata una penale responsabilità del ricorrente in assenza di sentenza
di condanna”.
3.8. – L’ottavo lamenta la “NULLITA’ DELLA SENTENZA per violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 30 Cost. e art. 147 c.c., dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma
1, n. 4 ed in relazione all’art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1, per aver la Corte di Appello di Genova,
con una motivazione in contrasto con la giurisprudenza di questa Ecc.ma Corte di Cassazione,
escluso il diritto alla prosecuzione degli studi e al mantenimento di figlio maggiorenne (24enne,
incolpevolmente non autosufficiente economicamente, che ha dimostrato buon profitto scolastico e
che ambisce a formazione universitaria utile ai fini dell’inserimento lavorativo a carico dei genitori
capienti)”.
4. – I primi cinque motivi sono inammissibili poichè veicolano questioni che, per quanto risulta dagli
atti, non erano state sollevate in sede di reclamo.
4.1. – Invero, a pag. 1 e s. del decreto impugnato si legge che il reclamante aveva dedotto (solo)
“l’erronea valutazione da parte del Tribunale della propensione agli studi dello stesso nonchè della
capacità patrimoniale dei genitori e delle condotte violente ed ingiuriose del ricorrente nei confronti
di quest’ultimi; inoltre il reclamante lamenta che il Tribunale non ha riconosciuto neppure il diritto
agli alimenti”.
4.2. – Tale ricostruzione dei motivi di reclamo trova conferma a pag. 9 e s. del ricorso per cassazione,
in cui si deduce che il reclamante aveva eccepito “il travisamento dei fatti in ordine a: – le scelte di
vita del ricorrente, erroneamente ritenute soggette a repentini e drastici mutamenti atteso che,
invece, il ricorrente veniva inviato da un Istituto all’altro perchè più di tanto non lo potevano
mantenere e ha lasciato il Seminario per accedere ad una Facoltà che gli consentirà una formazione
professionale, una volta compreso di non avere la vocazione sacerdotale; – una erroneamente pretesa
scarsa attitudine agli studi ed una mancata allegazione sul relativo profitto (…); – alle condizioni dei
genitori erroneamente ritenute deficitarie sia a livello economico che di salute (…)”.
4.3. I primi tre motivi difettano anche di autosufficienza, poichè non indicano con precisione se,
quando e come fossero state allegate in sede di reclamo le circostanze emergenti dalle dichiarazioni
testimoniali dei due sacerdoti che avrebbero provveduto al mantenimento del ricorrente ed
all’acquisto dei beni “meramente concessi in prestito al P.”, il quale non avrebbe perciò svolto attività
lavorativa nè si sarebbe reso autosufficiente, come affermato dalla corte territoriale.
4.4. – Inoltre la mancata ammissione, lamentata nel quarto e nel quinto motivo, della produzione
della querela sporta nelle more tra il giudizio di primo e secondo grado, ma relativa ai
maltrattamenti asseritamente subiti dal ricorrente prima dell’instaurazione del giudizio, integra un
aspetto non decisivo, avendo lo stesso ricorrente ammesso, a pag. 21 del ricorso, come quella querela
“non potesse essere sufficiente per fondare l’apertura di un procedimento penale a carico dei di lui
genitori”.
4.5. – Più in generale si osserva che il ricorrente che denunci in sede di legittimità il difetto di
motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio, o sulla valutazione di esso, ha
l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro
trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e quindi delle prove
stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità
deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non
è consentito sopperire con indagini integrative (Cass. 19985/2017, 17915/2010).
5. – Il sesto motivo è infondato, in quanto nessuna attribuzione di responsabilità penale vi è stata da
parte della Corte d’appello in violazione dell’art. 27 Cost., essendosi la stessa limitata a dare atto
della semplice pendenza del processo a carico del ricorrente per il reato di maltrattamenti nei
confronti della madre.
6. – Il settimo e l’ottavo motivo, sostanzialmente riepilogativi delle doglianze formulate con i motivi
precedenti, restano assorbiti dalla inammissibilità o infondatezza degli stessi.
7. – Per mero scrupolo di completezza si ricorda che, secondo l’orientamento di questa Corte,
l’obbligo di mantenere i figli non viene meno con carattere di automaticità quando costoro abbiano
raggiunto la maggiore età, essendo destinato a protrarsi ove i figli, senza colpa, siano ancora
dipendenti dai genitori; di conseguenza, il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento
a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri – con
conseguente onere probatorio a suo carico – di essersi adoperato effettivamente per rendersi
autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un’occupazione in base alle
opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni,
senza indugiare nell’attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni (Cass.
27904/2021, 17183/2020, 32529/2018).
7.1. – E’ stato altresì chiarito che i presupposti da accertare ai fini del diritto al mantenimento del
figlio maggiorenne sono integrati dalla sua età (nel senso che al suo aumentare si accompagna,
tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento
del mantenimento), dall’effettivo raggiungimento di un livello di competenza professionale e tecnica
e dal suo impegno rivolto al reperimento di una occupazione nel mercato del lavoro (Cass.
5088/2018, 12952/2016); con la precisazione che ove il figlio abbia ampiamente superato la maggiore
età, senza reperire, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una
occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo
economicamente autosufficiente, questi non può soddisfare l’esigenza ad una vita dignitosa, alla cui
realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l’attuazione dell’obbligo di
mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione
sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l’obbligazione
alimentare da azionarsi nell’ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita
dell’individuo bisognoso (Cass. 38366/2021; cfr. Cass. 10450/2022, in tema di reddito di cittadinanza).
8. – Il ricorso va dunque rigettato, ma i profili di merito sottesi ai motivi di impugnazione dichiarati
inammissibili e le peculiarità del caso giustificano la compensazione, tra le parti, delle spese del
giudizio di legittimità.
9. – Si dà atto che ricorrono in astratto i presupposti processuali per il cd. raddoppio del contributo
unificato a carico del ricorrente ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, qualora
esso risultasse in concreto dovuto (Cass. Sez. U, 20867/2020 e 4315/2020).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Dichiara compensate le spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di diffusione della presente ordinanza, siano omesse le generalità delle parti e
dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 giugno 2022.
Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2022