Mediazione e negoziazione assistita da avvocati hanno ruoli e funzioni diversi. La Consulta li ritiene strumenti efficaci e che possono coesistere senza che vi sia violazione dell’art 3 Cost.
Corte Cost., sent. del 7 marzo 2019 n. 97
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Giorgio LATTANZI; Giudici : Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Mario
Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS,
Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Francesco VIGANÒ, Luca
ANTONINI,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno
2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9
agosto 2013, n. 98, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28
(Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla
conciliazione delle controversie civili e commerciali), dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69
del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del
2010, nonché del comma 2 del medesimo art. 84 e dell’art. 5, comma 4, lettera a), del citato d.lgs. n. 28 del
2010, promossi dal Tribunale ordinario di Verona con ordinanze del 30 gennaio e del 23 febbraio 2018,
iscritte, rispettivamente, ai numeri 62 e 98 del registro ordinanze 2018 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica numeri 16 e 27, prima serie speciale, dell’anno 2018.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 marzo 2019 il Giudice relatore Luca Antonini.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza iscritta al n. 62 r.o. 2018, il Tribunale ordinario di Verona ha sollevato – in
riferimento agli art. 3 e 77, secondo comma, della Costituzione – questioni di legittimità costituzionale
dell’art. 84, comma 1, lettera i), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio
dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, nella parte in cui aggiunge il
comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione
dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione
delle controversie civili e commerciali), nonché del comma 2 del medesimo art. 84.
2.– Il rimettente premette di essere chiamato a decidere la controversia instaurata da una società a
responsabilità limitata nei confronti di una banca per ottenere l’accertamento della nullità, per difetto della
forma scritta, di un contratto di conto corrente e di «due contratti di apertura di conto corrente», nonché la
condanna della convenuta alla restituzione delle somme indebitamente percepite, nel corso dei rapporti
originati da tali contratti, a titolo di interessi usurari e di commissione di massimo scoperto.
Quindi, il giudice a quo riferisce che la parte attrice ha attivato vanamente, prima della instaurazione
della controversia, il procedimento di mediazione previsto quale condizione di procedibilità della domanda
dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, non avendovi la convenuta partecipato.
Dopo avere precisato che la causa oggetto del processo principale è «giunta a decisione», il Tribunale
ordinario di Verona osserva che la mancata partecipazione al procedimento di mediazione non sarebbe
sorretta da giustificato motivo, non essendo questo ravvisabile nelle ragioni, specificamente indicate
nell’ordinanza di rimessione, addotte dalla società convenuta al fine di legittimare il proprio comportamento
omissivo: essa, pertanto, ai sensi dell’art. 8, comma 4-bis, secondo periodo, del d.lgs. n. 28 del 2010,
dovrebbe essere condannata, anche d’ufficio e a prescindere dalla sua eventuale soccombenza, al
versamento, in favore dello Stato, di un importo corrispondente a quello del contributo unificato dovuto per
il giudizio.
2.1.– In ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, il giudice rimettente ricorda,
anzitutto, che il comma 4-bis è stato aggiunto all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 dall’art. 84, comma 1, lettera
i), del d.l. n. 69 del 2013.
Quindi, sostiene che il secondo periodo del citato comma 4-bis – a mente del quale «[i]l giudice
condanna la parte costituita che […] non ha partecipato al procedimento [preliminare di mediazione] senza
giustificato motivo, al versamento all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo
corrispondente al contributo unificato dovuto per il giudizio» – violerebbe l’art. 77, secondo comma, Cost.
per difetto dei requisiti di necessità e d’urgenza.
Al riguardo, il rimettente – richiamato l’orientamento della giurisprudenza costituzionale sui presupposti
della decretazione d’urgenza – premette che questa Corte avrebbe anche precisato che l’urgente necessità di
provvedere in via legislativa presupporrebbe la «intrinseca coerenza delle norme contenute in un
decreto-legge, o dal punto di vista oggettivo e materiale, o dal punto di vista funzionale e finalistico»: i
requisiti cui è subordinata la legittimità dell’adozione del decreto-legge potrebbero, pertanto, anche
riguardare una pluralità di norme, purché queste siano, tuttavia, accomunate, sul piano obiettivo, «dalla
natura unitaria delle fattispecie disciplinate», ovvero, sul piano teleologico, in caso di interventi eterogenei
afferenti a materie diverse, «dall’unico scopo di approntare rimedi urgenti a situazioni straordinarie venutesi
a determinare» (viene richiamata la sentenza n. 22 del 2012).
Ad avviso del giudice a quo, peraltro, la «uniformità teleologica» che deve accomunare le norme
contenute in un decreto-legge sarebbe vanificata ove, come nel caso in esame, esse non abbiano «il
medesimo termine di efficacia».
Fatte tali premesse, il Tribunale di Verona evidenzia come l’entrata in vigore delle disposizioni dettate
dall’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013 sia stata differita, dal successivo comma 2, al decorso «di trenta
giorni rispetto al momento della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale» (recte: rispetto al momento della
entrata in vigore della legge di conversione del d.l.): questo differimento rappresenterebbe un elemento
sintomatico della «manifesta insussistenza», nel caso di specie, dei requisiti di necessità e d’urgenza, tanto
più in considerazione della distonia con la diversa scelta di attribuire, invece, efficacia immediata alle altre
norme contenute nel medesimo decreto-legge.
Del resto, prosegue il giudice rimettente, la posticipazione in parola contrasterebbe anche con l’art. 15,
comma 3, della legge 22 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della
Presidenza del Consiglio dei Ministri), che, nella parte in cui stabilisce che i decreti-legge devono contenere
misure di immediata applicazione, espliciterebbe «ciò che deve ritenersi intrinseco alla natura stessa» di tali
provvedimenti normativi.
2.1.1.– Il giudice a quo ritiene, inoltre, che l’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013 – che, come detto,
ha procrastinato l’applicabilità delle disposizioni di cui al precedente comma 1 al decorso di trenta giorni
«[…] dall’entrata in vigore della legge di conversione[…]» – recherebbe un vulnus all’art. 3 Cost., in
relazione al principio di ragionevolezza.
A suo parere, la scelta, operata con la norma censurata, di differire l’efficacia delle disposizioni dettate
dal precedente comma 1, peraltro difforme da quella adottata per le altre norme del medesimo d.l. aventi «la
stessa finalità di contribuire a rendere maggiormente efficiente il sistema giudiziario», sarebbe, difatti,
«immotivata e priva di una ragione logica».
3.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili e, comunque,
infondate.
3.1.– L’eccezione preliminare d’inammissibilità è basata, innanzitutto, sulla asserita erroneità di una
delle argomentazioni addotte dal Tribunale rimettente.
Contrariamente a quanto da esso sostenuto, infatti, a mente dell’art. 86 del d.l. n. 69 del 2013, le
disposizioni poste dall’art. 84, comma 1, sarebbero entrate in vigore, come del resto tutte le altre norme
contenute nel medesimo decreto-legge, il giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana, mentre ne sarebbe stata posticipata soltanto l’efficacia: il legislatore
avrebbe, pertanto, disposto «semplicemente […] un differimento nella efficacia di talune disposizioni […]»
contenute nel d.l.
3.1.1.– Sotto altro profilo, la difesa statale ritiene che sia inammissibile la questione, avente ad oggetto
l’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.
L’irragionevolezza della norma censurata sarebbe stata, infatti, dedotta in maniera apodittica, essendosi
il giudice a quo in sostanza limitato a sostenere che, in sede di decretazione d’urgenza, non possa essere
procrastinata l’applicabilità di alcune disposizioni, senza illustrare i motivi per cui siffatta scelta sarebbe
illogica.
In proposito, l’Avvocatura generale osserva altresì che le ragioni dell’evidenziato differimento, la cui
valutazione è d’altro canto rimessa al discrezionale apprezzamento del legislatore, sarebbero ravvisabili, per
un verso, in «comprensibili problemi organizzativi»; per altro verso, nella necessità, correlata alla natura
sanzionatoria della condanna conseguente alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione, che
le parti siano tempestivamente rese edotte degli obblighi su di esse incombenti.
Del resto, prosegue la difesa statale, il Tribunale rimettente avrebbe trascurato di rilevare che il
legislatore non avrebbe posticipato l’efficacia soltanto dell’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, ma
anche di altre norme contenute nel medesimo decreto-legge.
3.2.– Ad avviso dell’interveniente, le questioni di legittimità costituzionale sarebbero, in ogni caso,
prive di fondamento.
La non immediata applicabilità delle disposizioni recate dal comma 1 dell’art. 84 del d.l. n. 69 del 2013
non sarebbe, infatti, sufficiente, da sola, a rendere evidentemente insussistenti i presupposti, richiesti
dall’art. 77, secondo comma, Cost., della straordinaria necessità e urgenza, tanto più in considerazione della
breve durata di tale dilazione e della sua riconducibilità a ragionevoli motivi.
3.2.1.– Quanto, invece, al vulnus asseritamente arrecato all’art. 3 Cost. dall’art. 84, comma 2, del d.l. n.
69 del 2013, la difesa statale richiama le considerazioni, dianzi illustrate, svolte in punto di ammissibilità
con riguardo a tale parametro, le quali sarebbero idonee a disvelare anche l’insussistenza della denunciata
irragionevolezza.
In proposito, essa evidenzia, inoltre, come la particolarità dei precetti normativi contenuti del
decreto-legge in parola e le esigenze a essi sottese giustifichino e rendano razionale la scelta di prevedere
differenti termini di applicabilità.
4.– Con successiva ordinanza n. 98 del 23 febbraio 2018, il Tribunale di Verona ha sollevato – in
riferimento agli art. 3 e 77, secondo comma, Cost. – questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84,
comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, che ha inserito il comma 1-bis all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010,
nonché dell’art. 84, comma 2, del medesimo decreto-legge.
In via subordinata, ha, inoltre, censurato – in riferimento all’art. 3 Cost. – anche l’art. 5, comma 4,
lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010.
4.1.– In punto di rilevanza, il giudice a quo premette di essere chiamato a decidere, in sede di
opposizione a decreto ingiuntivo, sulla istanza di concessione della esecuzione provvisoria del decreto
stesso, avente ad oggetto un credito derivante da un contratto di anticipazione bancaria e ottenuto da una
banca nei confronti di una società a responsabilità limitata e della sua garante.
Il rimettente precisa, inoltre, che, una volta assunta la decisione in merito alla suddetta richiesta, egli
dovrebbe assegnare alle parti un termine di quindici giorni per intraprendere il procedimento di mediazione.
Secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, infatti, la mediazione – cui
la controversia sarebbe assoggettata, ratione materiae, ai sensi del precedente art. 5, comma 1-bis –, benché
non obbligatoria nella fase monitoria, tornerebbe ad essere tale nell’eventuale giudizio di opposizione a
decreto ingiuntivo, dopo la pronuncia del giudice sulle istanze di concessione o di sospensione della sua
provvisoria esecuzione.
4.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale rimettente – dopo aver rilevato che l’art. 84,
comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013 ha inserito il comma 1-bis all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010 –
sostiene che tale norma recherebbe un vulnus all’art. 77, secondo comma, Cost. per carenza dei requisiti di
necessità e d’urgenza.
Ciò sulla scorta di argomentazioni pressoché identiche a quelle, dianzi descritte, addotte a sostegno della
questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto l’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013.
4.2.1.– Ad avviso del giudice a quo, inoltre, l’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013 contrasterebbe
l’art. 3 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza.
Anche in relazione a tale censura, vengono spesi argomenti sostanzialmente coincidenti con quelli
illustrati in precedenza.
4.2.2.– In via subordinata, il Tribunale ordinario di Verona dubita, infine, della legittimità costituzionale
dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, in riferimento all’art. 3 Cost., in relazione al
principio di uguaglianza.
La compromissione di tale principio emergerebbe dal raffronto con la disciplina legislativa della
procedura di negoziazione assistita da uno o più avvocati, introdotta dall’art. 2 del decreto-legge 12
settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione
dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella legge 10 novembre 2014, n.
162.
Anche tale istituto – applicabile alle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di
veicoli e natanti nonché, fuori da questa ipotesi e da quelle di cui all’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del
2010, alle domande aventi ad oggetto il pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti
cinquantamila euro e in seguito esteso alle controversie «in materia di contratto di trasporto o di
sub-trasporto» dall’art. 1, comma 249, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2015)» – costituirebbe, infatti,
come la mediazione civile, una condizione di procedibilità.
Tuttavia, ai sensi dell’art. 3, comma 3, lettera a), «della legge n. 162/2014» (recte: del d.l. n. 132 del
2014, convertito nella legge n. 162 del 2014), nei procedimenti per ingiunzione la negoziazione assistita non
sarebbe obbligatoria né nella fase monitoria né nel successivo, eventuale giudizio di opposizione al decreto
ingiuntivo.
Al contrario, in virtù della disposizione censurata, il procedimento preliminare di mediazione, benché
non applicabile alle domande proposte in via monitoria, dovrebbe essere intrapreso nel giudizio di
opposizione al decreto ingiuntivo, sia pure dopo la pronuncia del giudice, ai sensi degli artt. 648 e 649 del
codice di procedura civile, sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del
decreto stesso.
Tenuto conto dell’analoga funzione svolta sia dalla mediazione che dalla negoziazione assistita, la
diversa disciplina appena descritta sarebbe, ad avviso del giudice a quo, del tutto ingiustificata e,
conseguentemente, manifestamente irragionevole.
5.– Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e,
comunque, manifestamente infondate.
5.1.– Quanto alle censure aventi ad oggetto l’art. 84, commi 1, lettera b), e 2, del d.l. n. 69 del 2013, la
difesa dello Stato è basata su argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle sostenute con riguardo
alle medesime questioni, prima considerate, oggetto del giudizio incidentale iscritto al n. 62 del registro
ordinanze 2018.
5.2.– In relazione, invece, alla questione di legittimità costituzionale che investe l’art. 5, comma 4,
lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, l’Avvocatura generale anzitutto ne eccepisce l’inammissibilità per difetto
di rilevanza o, comunque, per difetto di motivazione su di essa: il rimettente non avrebbe, infatti, indicato il
valore della causa sottoposta alla sua cognizione, sicché non sarebbe dato comprendere se nella fattispecie
concreta possa, o meno, trovare applicazione la norma, evocata quale tertium comparationis, che disciplina
la negoziazione assistita.
5.2.1.– Nel merito, la difesa statale ritiene insussistente l’asserito vulnus all’art. 3 Cost., dal momento
che il procedimento di negoziazione assistita sarebbe basato su presupposti diversi da quelli della
mediazione e sorretto da una differente ratio.
Né sarebbe stato, d’altro canto, superato il limite di quella manifesta irragionevolezza che, secondo il
consolidato orientamento di questa Corte, il legislatore incontra nel disciplinare gli istituti processuali.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Verona, con due distinte ordinanze di cui si è detto in narrativa, solleva – in
riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, della Costituzione – sostanzialmente identiche questioni di
legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69
(Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto
2013, n. 98, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 (Attuazione
dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla conciliazione
delle controversie civili e commerciali), dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n. 69 del 2013,
nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del 2010, nonché
del comma 2 del medesimo art. 84.
Nella sola ordinanza iscritta al n. 98 r.o. 2018, subordinatamente alla questione avente ad oggetto l’art.
84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, il Tribunale rimettente dubita, inoltre, della legittimità
costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, in riferimento all’art. 3 Cost.
2.– In considerazione della parziale identità delle norme denunciate e delle censure formulate, i giudizi
devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia.
3.– Con la disposizione di cui all’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l. n. 69 del 2013, il legislatore –
mosso dalla necessità, cui fa riferimento il preambolo del decreto-legge stesso, di adottare «misure per
l’efficienza del sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile» finalizzate, unitamente alle altre
contestualmente previste, a «dare impulso al sistema produttivo del Paese attraverso il sostegno alle imprese,
il rilancio delle infrastrutture, operando anche una riduzione degli oneri amministrativi per i cittadini e le
imprese» – ha inserito il comma 1-bis all’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.
È stata così reintrodotta nell’ordinamento – dopo la declaratoria d’illegittimità costituzionale dell’art. 5,
comma 1, del citato del d.lgs. n. 28 del 2010 pronunciata da questa Corte, per eccesso di delega, con la
sentenza n. 272 del 2012 – la mediazione civile quale condizione di procedibilità delle domande giudiziali
relative a talune materie, tra le quali quella dei contratti bancari oggetto dei giudizi a quibus, specificamente
individuate dalla norma.
La parte che intende esercitare in giudizio una delle azioni indicate dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n.
28 del 2010 è, dunque, tenuta preliminarmente a tentare la composizione stragiudiziale della controversia
mediante l’esperimento del procedimento disciplinato dal d.lgs. medesimo, il cui svolgimento è affidato ad
appositi organismi di mediazione e, al loro interno, ai mediatori. È, infatti, presso l’organismo
territorialmente competente che devono essere depositate le istanze di mediazione, ricevute le quali il
responsabile designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che si deve tenere, nella sede
dell’organismo stesso (o nel luogo indicato nel regolamento da esso adottato), entro trenta giorni (artt. 4 e 8
del d.lgs. n. 28 del 2010).
L’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo
periodo, all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010, riproduce, invece, la norma – in precedenza espressa dal comma
5 dello stesso art. 8, parimenti dichiarato incostituzionale, in via consequenziale, con la citata sentenza n.
272 del 2012 – che prevede che il giudice «condanna la parte costituita che, nei casi previsti dall’articolo 5
[del d.lgs. n. 28 del 2010], non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo, al versamento
all’entrata del bilancio dello Stato di una somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto
per il giudizio».
3.1.– Tanto la lettera b) dell’art. 84, comma 1, del d.l. n. 69 del 2013, quanto il secondo periodo del
comma 4-bis aggiunto all’art. 8 del d.lgs. n. 28 del 2010 dalla lettera i) dello stesso art. 84, comma 1,
difetterebbero, ad avviso del giudice a quo, «dei requisiti di necessità ed urgenza legittimanti la [loro]
adozione con decreto legge», così ledendo l’art. 77, secondo comma, Cost., segnatamente in quanto il
successivo comma 2, peraltro anch’esso autonomamente censurato, avrebbe posticipato la loro entrata in
vigore di trenta giorni rispetto alla data di entrata in vigore del decreto-legge stesso (recte: rispetto alla data
della entrata in vigore della legge di conversione del d.l.).
Il denunciato vulnus si apprezzerebbe, nella prospettiva del rimettente, sotto un duplice profilo.
Il suddetto differimento, infatti, per un verso, sarebbe incompatibile con l’urgenza del provvedere, che
presupporrebbe, al contrario, l’immediata applicabilità delle norme dettate dal decreto-legge, anche alla luce
di quanto disposto dall’art. 15, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina dell’attività di
Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri). Sotto altro aspetto, determinerebbe la
carenza della omogeneità finalistica tra le norme censurate e le altre introdotte dal d.l. n. 69 del 2013, la cui
efficacia non sarebbe stata procrastinata.
3.2.– Il Presidente del Consiglio dei ministri ha in limine sollevato, in entrambi i giudizi, eccezione di
inammissibilità delle questioni, in quanto basate su un argomento fallace.
Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo, infatti, le disposizioni di cui all’art. 84, comma 1,
del d.l. n. 69 del 2013 sarebbero entrate in vigore, ai sensi del successivo art. 86, come tutte le altre norme
contenute nel medesimo decreto-legge, il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica italiana: il legislatore, con il comma 2 dell’art. 84, avrebbe, pertanto, disposto
«semplicemente […] un differimento nella efficacia di talune disposizioni […]».
3.2.1.– Le eccezioni non sono pertinenti e non possono essere accolte, dal momento che
l’argomentazione su cui riposano non incide sul nucleo fondante la censura formulata, ravvisabile piuttosto
nell’asserita necessità che tutte le norme contenute nel decreto-legge abbiano la stessa, immediata efficacia.
3.3.– Nel merito, le questioni non sono fondate.
3.3.1.– Esse devono essere scrutinate alla stregua del consolidato orientamento di questa Corte secondo
cui «[…] il sindacato sulla legittimità dell’adozione, da parte del Governo, di un decreto-legge va limitato ai
casi di evidente mancanza dei presupposti di straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo
comma, Cost., o di manifesta irragionevolezza o arbitrarietà della loro valutazione» (sentenza n. 99 del
2018).
3.3.2.– Tanto premesso in linea generale, va rilevato che non può condividersi, quanto al primo profilo
in cui è articolata la censura, la tesi del rimettente secondo cui l’insussistenza della straordinaria necessità e
urgenza sarebbe desumibile dal mero differimento dell’efficacia delle disposizioni censurate.
Al contrario, questa Corte – anche laddove ha ricordato che l’art. 15, comma 3, della legge n. 400 del
1988, nel prescrivere, tra l’altro, che i decreti devono contenere misure di immediata applicazione,
costituisce esplicitazione della ratio implicita nel secondo comma dell’art. 77 Cost. – ha tuttavia precisato
che la necessità di provvedere con urgenza «non postula inderogabilmente un’immediata applicazione delle
disposizioni normative contenute nel decreto-legge» (sentenza n. 170 del 2017; nello stesso senso sentenze
n. 5 del 2018, n. 236 e n. 16 del 2017).
Mette conto, d’altra parte, osservare che, nel caso di specie, la norma che ha reintrodotto l’obbligatorietà
della mediazione avrebbe evidentemente comportato un significativo incremento delle istanze di accesso al
relativo procedimento: la decisione di procrastinarne, peraltro per un periodo contenuto, l’applicabilità è,
pertanto, ragionevolmente giustificata dall’impatto che essa avrebbe avuto sul funzionamento degli
organismi deputati alla gestione della mediazione stessa.
Del resto, una volta posticipata l’efficacia della mediazione obbligatoria, diviene con riguardo a essa
coerente il differimento anche della connessa disciplina, posta dal secondo periodo del comma 4-bis dell’art.
8 del d.lgs. n. 28 del 2010, come introdotto dall’art. 84, comma 1, lettera i), del d.l. n. 69 del 2013, delle
conseguenze della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al relativo procedimento.
3.3.3. – Nemmeno condivisibile è l’assunto, su cui è basato il secondo profilo in cui è articolata la
censura in esame, in forza del quale le disposizioni sottoposte all’odierno scrutinio difetterebbero di
coerenza funzionale rispetto alle altre norme contenute nel d.l. n. 69 del 2013 in quanto il legislatore avrebbe
differito l’applicabilità solo delle prime.
Dalla «uniformità teleologica» che deve accomunare le norme contenute in un decreto-legge (sentenza
n. 22 del 2012) non si può inferire, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, un generale corollario
per cui queste dovrebbero tutte necessariamente sottostare al medesimo termine iniziale di efficacia. La
omogeneità finalistica che deve connotare le norme introdotte con la decretazione d’urgenza non
presuppone, infatti, indefettibilmente l’uniformità di tale termine, ben potendo alcune di esse risultare
comunque funzionali all’unico scopo di approntare rimedi urgenti anche là dove ne sia stata procrastinata
l’applicabilità.
Il disposto differimento delle norme qui censurate trova del resto fondamento, come poc’anzi osservato,
nell’esigenza di assicurare il corretto funzionamento degli organismi di mediazione: dunque, non solo non è
sintomatico dell’assenza di coerenza finalistica, ma, al contrario, concorre a garantirla.
Deve quindi ritenersi che esso non abbia compromesso la matrice funzionale unitaria delle disposizioni
denunciate, anch’esse finalizzate, unitamente alle altre adottate in materia di giustizia, alla realizzazione dei
comuni e urgenti obiettivi – a loro volta preordinati al rilancio dell’economia – del miglioramento
dell’efficienza del sistema giudiziario e dell’accelerazione dei tempi di definizione del contenzioso civile.
Le norme oggetto dell’odierno incidente di costituzionalità si collocano, pertanto, coerentemente
all’interno di tale cornice finalistica, risultante dal preambolo e dal Titolo III (Misure per l’efficienza del
sistema giudiziario e la definizione del contenzioso civile) del decreto-legge in cui sono contenute.
D’altro canto, proprio la considerazione delle peculiari conseguenze – differenti rispetto a quelle
prodotte dalle altre misure adottate – derivanti dalle disposizioni in parola e prima ricordate concorre a
rendere ragionevole la scelta di differirne l’applicabilità.
3.3.4.– Alla luce dei rilievi che precedono, deve escludersi sia l’evidente difetto dei presupposti di
straordinaria necessità e urgenza richiesti dall’art. 77, secondo comma, Cost., sia l’esistenza di una
disomogeneità finalistica delle norme censurate rispetto alle altre contenute nel decreto-legge.
4.– Entrambe le ordinanze di rimessione del Tribunale di Verona reputano, altresì, «immotivata e priva
di una ragione logica» la previsione dell’art. 84, comma 2, del d.l. n. 69 del 2013, che posticipa, come si è
visto, di trenta giorni rispetto all’entrata in vigore della legge di conversione l’applicabilità delle disposizioni
di cui al precedente comma 1: e la censurano perciò per contrasto con l’art. 3 Cost.
4.1.– In entrambi i giudizi l’Avvocatura generale ha eccepito l’inammissibilità delle questioni per difetto
di motivazione sulla non manifesta infondatezza, giacché il Tribunale rimettente si sarebbe in sostanza
limitato a sostenere che, in sede di decretazione d’urgenza, non possa essere procrastinata l’applicabilità di
alcune disposizioni, senza tuttavia adeguatamente illustrare i motivi per cui siffatta scelta sarebbe illogica.
4.1.1.– Le eccezioni vanno disattese.
Malgrado la obiettiva sinteticità che connota la censura in esame, formulata in maniera pressoché
identica in entrambe le ordinanze di rimessione, da una lettura complessiva di queste ultime si evince,
infatti, che il giudice a quo, sulla base di un argomento sostanzialmente sovrapponibile a quello sviluppato
in merito all’asserita violazione dell’art. 77, secondo comma, Cost., reputa illogica, e perciò in contrasto con
l’art. 3 Cost., la decisione di differire l’applicabilità di una norma adottata in sede di decretazione d’urgenza,
evidenziando, quale indice sintomatico di tale irragionevolezza, la diversa soluzione prescelta dal legislatore
con riguardo ad altre norme contenute nel medesimo testo normativo.
Sulla scorta della considerazione che precede, deve ritenersi assolto l’onere di motivazione che grava sul
giudice rimettente.
4.2.– Le questioni, tuttavia, sono inammissibili per altre e diverse ragioni.
Va al riguardo rilevato che il rimettente non motiva in alcun modo sull’applicabilità, nei giudizi
pendenti dinanzi a sé, della norma censurata.
Né d’altra parte ciò sarebbe stato possibile: dalle ordinanze di rimessione emerge, infatti, come i
processi a quibus siano stati rispettivamente iscritti al ruolo generale degli anni 2014 e 2017; emerge quindi
per tabulas che questi sono stati instaurati successivamente al periodo in cui ha prodotto effetti il
differimento (trenta giorni dall’entrata in vigore, avvenuta il 21 agosto 2013, della legge di conversione)
disposto dalla norma censurata.
Tale disposizione, pertanto, aveva ormai esaurito i propri effetti e di essa il giudice a quo non deve,
conseguentemente, fare applicazione, sicché le questioni che la investono sono prive di rilevanza.
5.– In via subordinata, con l’ordinanza di rimessione iscritta al n. 98 r.o. 2018, il Tribunale rimettente
dubita, in riferimento all’art. 3 Cost., in relazione al principio di uguaglianza, della legittimità costituzionale
dell’art. 5, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, che esclude l’obbligatorietà della mediazione,
limitatamente alla fase monitoria, nei procedimenti per ingiunzione.
5.1.– Benché tale disposizione non sia indicata nel dispositivo dell’ordinanza di rimessione, dalla lettura
della sua motivazione si desume con chiarezza come le censure formulate investano anche questa,
specificamente nella parte in cui prevede l’obbligatorietà della mediazione nei giudizi di opposizione a
decreto ingiuntivo.
Deve conseguentemente ritenersi che il presente scrutinio di costituzionalità investa anche l’art. 5,
comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 28 del 2010, segnatamente laddove prevede l’obbligatorietà della
mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo. Infatti, per un verso, il «thema decidendum, con
riguardo alle norme censurate, va identificato tenendo conto della motivazione delle ordinanze» (sentenza n.
238 del 2014; nello stesso senso, ex plurimis, sentenza n. 203 del 2016; ordinanze n. 169 del 2016 e n. 162
del 2011); per altro verso, sulla base di tale motivazione è «ben possibile circoscrivere l’oggetto del giudizio
di legittimità costituzionale ad una parte della disposizione censurata» (ex plurimis, sentenza n. 35 del
2017).
5.2.– Secondo il giudice rimettente, la compromissione del principio di uguaglianza emergerebbe dal
raffronto con la disciplina legislativa della negoziazione assistita da uno o più avvocati, applicabile, ai sensi
dell’art. 2 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri
interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile), convertito, con modificazioni, nella
legge 10 novembre 2014, n. 162, alle controversie in materia di risarcimento del danno da circolazione di
veicoli e natanti, nonché, fuori da questo caso e da quelli previsti dall’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28
del 2010, alle domande aventi a oggetto il pagamento, a qualsiasi titolo, di somme non eccedenti
cinquantamila euro.
Anche la negoziazione assistita costituirebbe, infatti, come la mediazione, una condizione di
procedibilità della domanda giudiziale.
Tuttavia, nei procedimenti per ingiunzione, la procedura di negoziazione assistita, secondo quanto
disposto dall’art. 3, comma 3, lettera a), del d.l. n. 132 del 2014, non deve essere esperita né nella fase
monitoria né nel successivo, eventuale giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo.
Al contrario, in virtù della disposizione censurata, il procedimento preliminare di mediazione, benché
parimenti non applicabile alle domande proposte in via monitoria, deve essere intrapreso nel giudizio di
opposizione al decreto ingiuntivo, sia pure dopo la pronuncia del giudice, ai sensi degli artt. 648 e 649 del
codice di procedura civile, sulle istanze di concessione e di sospensione della provvisoria esecuzione del
decreto stesso.
La descritta diversità tra le due discipline, ad avviso del giudice a quo, integrerebbe, come detto, una
violazione dell’art. 3 Cost., determinando una disparità di trattamento manifestamente irragionevole e in
quanto tale incidente anche nell’ambito della disciplina degli istituti processuali.
5.3.– L’Avvocatura generale ha sollevato preliminarmente eccezione d’inammissibilità della questione
per difetto di rilevanza – o, comunque, per difetto di motivazione su di essa – rimarcando l’omessa
indicazione, da parte del Tribunale rimettente, del valore della causa oggetto del giudizio a quo, che non
consentirebbe di comprendere se nella fattispecie concreta possa, o meno, trovare applicazione la norma,
evocata quale tertium comparationis, che disciplina la negoziazione assistita.
5.3.1.– L’eccezione non è pertinente.
A prescindere dal tertium comparationis, evocato solo quale indice di una rottura della coerenza
dell’ordinamento, il giudice a quo è infatti chiamato a decidere, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo,
sulla istanza di concessione della esecuzione provvisoria del decreto stesso, avente ad oggetto un credito
derivante da un contratto di anticipazione bancaria. Assunta la decisione in merito a tale richiesta, egli
dovrebbe quindi assegnare alle parti il termine per intraprendere il procedimento di mediazione, secondo
quanto previsto dal disposto dei commi 1-bis e 4, lettera a), dell’art. 5 del d.lgs. n. 28 del 2010.
Tanto chiarito, si deve osservare che è ben vero che il rimettente non indica specificamente il valore
della causa sottoposta alla sua cognizione, ma è altrettanto vero che ciò è ininfluente, giacché questa ha ad
oggetto un contratto bancario: a prescindere dal suo valore, essa rientra quindi, in ogni caso, nel novero di
quelle soggette alla mediazione.
Pertanto, ove dovesse essere ritenuta sussistente la dedotta irragionevole disparità di trattamento, con la
conseguente espunzione di quella parte della norma censurata da cui deriva l’obbligatorietà della mediazione
nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, si espanderebbe la disciplina generale dell’accesso
incondizionato alla giurisdizione. È dunque palese che, nonostante l’omissione evidenziata dalla difesa
statale, la questione è rilevante, giacché dal suo accoglimento deriverebbe che il giudice rimettente non
dovrebbe assegnare il termine per intraprendere il procedimento di mediazione.
Da questo punto di vista, la censura supera il vaglio di ammissibilità.
5.4.– Al pari di quelle già esaminate, neppure essa è, tuttavia, fondata.
5.4.1.– Entrambi gli istituti processuali posti a raffronto sono diretti a favorire la composizione della lite
in via stragiudiziale e sono riconducibili alle «misure di ADR (Alternative Dispute Resolution)» (sentenza n.
77 del 2018). Entrambi, inoltre, costituiscono condizioni di procedibilità della domanda giudiziale, il cui
difetto ha peraltro conseguenze analoghe, con finalità deflattiva.
A fronte di tali profili di omogeneità, è tuttavia ravvisabile nella mediazione un fondamentale elemento
specializzante, che assume rilievo al fine di escludere che si sia al cospetto di situazioni sostanzialmente
identiche disciplinate in modo ingiustificatamente diverso, ovvero che la scelta legislativa di trattare
diversamente, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, le due fattispecie possa ritenersi
manifestamente irragionevole e arbitraria, «questo essendo il parametro di riferimento in materia, tenuto
conto che si discute di istituti processuali, nella cui conformazione […] il legislatore fruisce di ampia
discrezionalità» (sentenza n. 12 del 2016; nello stesso senso, sentenza n. 164 del 2017).
5.4.2.– Più precisamente, il procedimento di mediazione è connotato dal ruolo centrale svolto da un
soggetto, il mediatore, terzo e imparziale, là dove la stessa neutralità non è ravvisabile nella figura
dell’avvocato che assiste le parti nella procedura di negoziazione assistita.
Il mediatore, infatti, ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 28 del 2010, da un lato, non può «assumere diritti
od obblighi connessi […] con gli affari trattati […]» né percepire compensi direttamente dalle parti (comma
1); dall’altro, è obbligato a sottoscrivere, per ciascuna controversia affidatagli, un’apposita «dichiarazione di
imparzialità» e a informare l’organismo di mediazione e le parti delle eventuali ragioni che possano minare
la sua neutralità (comma 2, lettere a e b).
Tale neutralità, oltre ad essere sancita anche dall’art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 28 del 2010, è peraltro
altresì precisata dalla disciplina posta dall’art. 14-bis del decreto del Ministro della giustizia 18 ottobre 2010,
n. 180 (Regolamento recante la determinazione dei criteri e delle modalità di iscrizione e tenuta del registro
degli organismi di mediazione e dell’elenco dei formatori per la mediazione, nonché l’approvazione delle
indennità spettanti agli organismi, ai sensi dell’articolo 16 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28),
adottato, ai sensi dell’art. 16, comma 2, del medesimo d.lgs., di concerto con il Ministro per lo sviluppo
economico, che regola le cause di incompatibilità e le ipotesi di conflitti di interesse in capo al mediatore.
Mentre, dunque, nella mediazione il compito – fondamentale al fine del suo esito positivo – di assistenza
alle parti nella individuazione degli interessi in conflitto e nella ricerca di un punto d’incontro è svolto da un
terzo indipendente e imparziale, nella negoziazione l’analogo ruolo è svolto dai loro stessi difensori: è
conseguentemente palese come, pur versandosi in entrambi i casi in ipotesi di condizioni di procedibilità con
finalità deflattive, gli istituti processuali in esame siano caratterizzati da una evidente disomogeneità.
La lumeggiata eterogeneità, nei termini appena illustrati, trova d’altro canto un chiaro riscontro nella giurisprudenza costituzionale. Questa Corte, esaminando la mediazione tributaria disciplinata dall’art. 17-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), ha difatti rimarcato che la mancanza, in essa, «di un soggetto terzo che, come avviene per la mediazione delle controversie civili e commerciali disciplinata dal d.lgs. n. 28 del 2010 […], svolga la mediazione», se da un lato «comporta l’impossibilità di ricondurre la mediazione tributaria al modello di quella civilistica», dall’altro «induce a dubitare della stessa riconducibilità dell’istituto all’àmbito mediatorio propriamente inteso» (sentenza n. 98
del 2014).
L’evidenziata disomogeneità delle due fattispecie poste a confronto ne preclude, dunque, una
comparabilità idonea a integrare l’asserita violazione dell’art. 3 Cost. e induce a escludere che sia stato irragionevolmente riservato un trattamento differenziato alla mediazione e, quindi, che la scelta legislativa denunciata dal rimettente abbia valicato il confine dell’arbitrarietà.
5.4.3.– D’altra parte, il tratto differenziale appena rilevato conferma la ratio che sostiene il diverso
regime giuridico di cui, invece, si duole il giudice a quo: la presenza di un terzo del tutto indipendente rispetto alle parti giustifica, infatti, le maggiori possibilità della mediazione, rispetto alla negoziazione assistita, di conseguire la finalità cui è preordinata e, pertanto, la scelta legislativa di rendere obbligatoria solo la prima, e non la seconda, anche nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.
In tale ultimo giudizio, in altri termini, il legislatore ha ritenuto inutile imporre la negoziazione assistita, giacché essa è condotta direttamente dalle parti e dai loro avvocati, senza l’intervento di un terzo neutrale.
Anche alla luce della considerazione che precede, deve dunque escludersi che il differente trattamento normativo portato all’attenzione di questa Corte possa essere ritenuto manifestamente irragionevole e arbitrario.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 2, del
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 (Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia), convertito, con
modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98, sollevate, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal
Tribunale ordinario di Verona con le ordinanze indicate in epigrafe;
2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 84, comma 1, lettera b), del d.l.
n. 69 del 2013, come convertito, che inserisce il comma 1-bis all’art. 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010,
n. 28 (Attuazione dell’articolo 60 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in materia di mediazione finalizzata alla
conciliazione delle controversie civili e commerciali), e dell’art. 84, comma 1, lettera i), dello stesso d.l. n.
69 del 2013, nella parte in cui aggiunge il comma 4-bis, secondo periodo, all’art. 8 del citato d.lgs. n. 28 del
2010, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 77, secondo comma, Cost., dal Tribunale ordinario di Verona
con le ordinanze indicate in epigrafe;
3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma 4, lettera a), del
d.lgs. n. 28 del 2010, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Tribunale ordinario di Verona con
l’ordinanza iscritta al n. 98 del registro ordinanze 2018.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Luca ANTONINI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 aprile 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA