Violazione degli obblighi di assistenza familiare. Pagamenti parziali e incostanti non valgono ad escludere il dolo

Cass. Pen., Sez. VI, Sent., 17 marzo 2022, n. 9203 – Pres. Ricciarelli – Cons Rel. Giordano
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RICCIARELLI Massimo – Presidente –
Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere –
Dott. GIORDANO Emilia A. – rel. Consigliere –
Dott. VIGNA Maria S. – Consigliere –
Dott. TRIPICCIONE Debora – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.D., nato in (OMISSIS);
avverso la sentenza del 25 maggio 2021 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Emilia Anna Giordano;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Orsi
Luigi, che ha concluso chiedendo dichiarare inammissibile il ricorso;
udite le conclusioni formulate dall’avvocato …nell’interesse della parte civile che ha insistito per
l’inammissibilità del ricorso e prodotto nota spese;
udite le conclusioni del difensore dell’imputato, avvocato…, che ha insistito per l’accoglimento del
ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello di Milano ha rideterminato, per effetto dell’applicazione delle circostanze
attenuanti generiche, la pena inflitta a P.D. in quella di mesi due e giorni venti di reclusione ne ha
confermato il giudizio di colpevolezza in ordine al reato di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12- sexies
e L. n. 54 del 2006, art. 3 e art. 570 c.p., commesso dal mese di (OMISSIS) in permanenza, per avere
violato gli obblighi di assistenza economica nei confronti del figlio minore omettendo corrispondere
alla madre affidataria, ex convivente dell’imputato, l’assegno mensile di mantenimento fissato dal
Tribunale civile di Milano.
2. Con i motivi di ricorso, di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p. nei limiti
strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrente denuncia:
2.1. l’erronea applicazione della legge penale, in relazione alla L. n. 898 del 1970, art. 12-sexies e L. n.
54 del 2006, art. 3, disposizioni abrogate per effetto del D. Lgs. n. 21 del 2018 – entrato in vigore dopo
il decreto di citazione diretta a giudizio dell’imputato intervenuto il 24 maggio 2018. Per effetto di
tale abrogazione deve ritenersi che l’imputato è stato, contraddittoriamente, condannato in primo
grado per la violazione dell’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 – condanna verso la quale depone
l’applicazione della pena della multa in una a quella detentiva, inflitta dal Tribunale – e, in appello,
per la violazione dell’art. 570-bis c.p.. Evidenzia che, in tal caso, la condanna in primo grado è
intervenuta in mancanza dell’accertamento dei requisiti previsti per ritenere integrato il reato di
violazione degli obblighi di assistenza familiare e, in particolare, lo stato di bisogno del minore e la
capacità economica della persona obbligata alla persona obbligata a prestare i mezzi di sussistenza.
Rileva, altresì, che l’applicazione dell’art. 570-bis c.p. alla fattispecie concreta di violazione degli
obblighi economici in favore dei figli minori di persone conviventi è stata controversa in
giurisprudenza e che sono stati violati i diritti dell’imputato sia se il fatto deve ricondursi alla
fattispecie di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 sia se debba ricondursi alla fattispecie di cui all’art.
570-bis c.p.;
2.2.contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata che, al pari di quella di primo
grado, ha ritenuto integrato il dolo pur dando atto dell’intervenuto pagamento, anche per somme
eccedenti quella fissata, di quote di contributo: il dolo è stato ritenuto sussistente a “intermittenza”
sia perchè l’imputato è stato assolto da alcune omissioni, ritenendo integrata la sua condizione di
indigenza e, quindi, la indisponibilità di mezzi per assolvere alle obbligazioni sia perchè la
circostanze che in alcune occasioni aveva versato all’ex convivente più di quanto contenuto è
statittoriamente, per escludere la sua indigenza e indisponibilità di mezzi.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è inammissibile perchè proposto per motivi manifestamente infondati e generici. Val
bene una premessa.
Non è revocabile in dubbio il diverso perimetro applicativo della disposizione di cui all’art. 570 c.p.,
comma 2, n. 2 e le fattispecie di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12-sexies e L. n. 54 del 2006, art. 3 che
rinviavano, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, all’art. 570 c.p., comma 1
secondo una interpretazione pacifica dopo una risalente pronuncia delle Sezioni Unite di questa
Corte (S.U. n. 23866 del 31/01/2013, Rv. 255269) ribadita, con riferimento alla disposizione di cui
all’art. 570-bis c.p. anche in tempi recenti (Sez. 6, n. 33165 del 03/11/2020, Rv. 279923).
Invero, a differenza della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies, che punisce il mero
inadempimento dell’obbligo di corresponsione ai figli (senza limitazione di età) affidati al coniuge
divorziato dell’assegno di mantenimento stabilito dal giudice in sede di divorzio e del suo omologo,
L. n. 54 del 2006, art. 3 che ha esteso il trattamento punitivo al coniuge separato, prescindendo dalla
prova dello stato di bisogno dell’avente diritto, l’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 appresta tutela penale
alla violazione dell’obbligo dei genitori di assicurare i mezzi di sussistenza ai figli minori in stato di
bisogno (Sez. 6, n. 6575 del 18/11/2008, dep. 2009, Rv. 243529).
Deve escludersi, sulla scorta della motivazione della sentenza impugnata e della contestazione
formale ascritta all’imputato che nel caso in esame i giudici del merito abbiano ritenuto integrata la
fattispecie di cui all’art. 570 c.p., comma 2, n. 2 applicando, viceversa, il trattamento punitivo di cui
all’art. 570 c.p., comma 1 – richiamato quoad poenam nella imputazione – al reato ascritto
all’imputato sussunto e rimodellando in appello il trattamento punitivo inflitto in primo grado anche
con la irrogazione della multa (erroneamente applicata).
Non è fondata la tesi della difesa secondo la quale è intervenuta l’abrogazione delle fattispecie
incriminatrici di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 12-sexies e della L. n. 54 del 2006, art. 3.
In presenza di un costante orientamento della Corte di legittimità secondo cui in tema di reati contro
la famiglia, è configurabile il reato di cui alla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3, anche in caso di omesso
versamento, da parte di un genitore, dell’assegno periodico disposto dall’autorità giudiziaria in
favore dei figli nati fuori dal matrimonio (Sez. 6, n. 14731 del 22/02/2018, S, Rv. 272805; Sez. 6, n.
12393 del 31/01/2018, P, Rv. 272518; Sez.6, n. 25267 del 06/04/2017, S. Rv. 270030) si è ritenuto che
l’entrata in vigore dell’art. 570-bis c.p., introdotto con D.Lgs. 1 marzo 2018, n. 21, non si è verificato
un effetto di abolizione delle fattispecie incriminatrici poichè tale disposizione si è limitata a
trasporre in un diverso contesto ordinamentale le precedenti disposizioni. Fondamentale il rilievo
che il D.Lgs. n. 21 del 2018 ha dato attuazione ad una delle deleghe contenute nella L. 23 giugno
2017, n. 103 (c.d. “legge Orlando”), e in particolare a quella – prevista dall’art. 1, comma 85, lettera q)
della suddetta legge – relativa all’introduzione del principio della “riserva di codice”, e tenuto conto,
altresì, della natura e della portata della delega conferita con la L. n. 103 del 2017, cioè, una delega
di natura meramente compilativa che autorizzava la traslazione delle figure criminose già esistenti
nel corpus del codice, senza contemplare alcuna modifica sostanziale delle stesse. Alla formale
abrogazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies e della L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3 non
può ritenersi verificata anche un’abolizione delle corrispondenti figure di reato, transitate nel nuovo
corpus normativo.
Da qui l’affermazione che il delitto di omesso versamento dell’assegno periodico per il
mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli, previsto dall’art. 570-bis c.p. configurabile anche
in caso di violazione degli obblighi di natura patrimoniale stabiliti nei confronti di figli minori nati
da genitori non legati da vincolo formale di matrimonio (Sez. 6, n. 55744 del 24/10/2018, G, Rv.
274943) verificandosi piena continuità normativa tra la fattispecie prevista dalla L. 8 febbraio 2006,
n. 54, art. 3 e quella prevista dall’art. 570-bis c.p., principio ribadito nella successiva giurisprudenza
di legittimità senza soluzione di continuità (Sez. 6, n. 56080 del 17/10/2018, G., Rv. 274732; Sez. 6, n.
8297 del 5/12/2018, dep. 2019, n. mass.), assurto al rango di diritto vivente, attestato anche nella
dichiarazione di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 570-bis c.p. con
la sentenza n. 189 del 5 giugno 2019.
E si tratta, passando alla individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all’art. 570-
bis c.p., di una condotta illecita integrata non dalla mancata prestazione di mezzi di sussistenza, ma
dalla mancata corresponsione delle somme stabilite in sede civile in favore dei figli minori, cosicchè
l’inadempimento costituisce di per sè oggetto del precetto penalmente rilevante, non essendo
consentito al soggetto obbligato operarne una riduzione e non essendo necessario verificare se per
tale via si sia prodotta o meno la mancanza di mezzi di sussistenza. (Sez. 6, n. 4677 del 19/01/2021,
M., Rv. 280396).
Da tale ricostruzione consegue la manifesta infondatezza in diritto delle questioni poste dalla difesa
con i motivi di ricorso, ormai superate con pronunce di gran lunga antecedenti alla proposizione dei
motivi di ricorso, che non contengono argomentazioni in diritto apprezzabili per ritenere superabili,
o almeno confutabili, le conclusioni raggiunte in sede di nomofilachia.
Ma deve, altresì, escludersi che la condanna dell’imputato abbia comportato una violazione del
diritto di difesa poichè l’imputato, destinatario di una contestazione per il reato di cui all’art. 570
c.p., L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 12-sexies e L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 3 si sia visto condannare
– la sentenza di primo grado è stata adottata il 15 luglio 2019 – a sorpresa per il reato di cui all’art.
570-bis c.p., essendo tale riqualificazione prevedibile per l’imputato e non determinando la stessa
una lesione dei diritti della difesa (Sez. 6, Sentenza n. 26329 del 14/02/2019. M., Rv. 275989).
2.11 secondo motivo di ricorso involge l’apprezzamento di aspetti in fatto correttamente valutati
dalla Corte di appello che ha dato atto delle modalità altalenanti e a singhiozzo dell’adempimento,
da parte dell’imputato, dell’obbligo di corrispondere alla ex convivente l’assegno di mantenimento
previsto a favore del figlio minore.
La Corte di merito ha, in primo luogo, operato una precisa ricostruzione di quanto corrisposto
dall’imputato evidenziando che il saldo complessivo tra pagato e dovuto era, comunque, negativo e
che l’imputato non aveva mai corrisposto alcunchè per le spese straordinarie (le spese sanitarie del
minore, anche di particolare importanza). Ha ritenuto che pagamenti parziali e scostanti (o anche
superiori al dovuto) non valgono ad escludere il dolo della fattispecie incriminatrice che presuppone
un’incapacità economica, assoluta e incolpevole, non dimostrata dall’imputato e contraddetta anche
dalla occasionale corresponsione di somme di maggiore importo, la cui disponibilità l’imputato non
ha comprovato come dovuta a fattori eccezionali, rispetto alla dedotta ma non seriamente dimostrata
impossibilità di adempimento.
Le argomentazioni della Corte di merito non sono contraddittorie ma precisamente calibrate sulla
condotta dell’imputato da cui hanno tratto la conclusione, non illogica rispetto alla premessa, che
l’imputato volontariamente si sottraeva al pagamento del dovuto salvo di tanto in tanto soddisfar le
legittime pretese e i solleciti della ex convivente.
Va ribadito che, nella materia dell’adempimento dell’assegno di mantenimento, assume centrale
rilievo l’elemento temporale dell’adempimento, il suo tempestivo e regolare rispetto, secondo le
cadenze stabilite, nonchè la corretta corresponsione di quanto convenuto perchè le somme sono
funzionali a garantire i mezzi indispensabili all’assolvimento delle esigenze economiche del
destinatario che deve poter contare sulla regolarità e tempestività dell’adempimento e sul quale fa,
evidentemente, affidamento.
Il mancato rispetto di tempi e modalità di somministrazione non può essere compensato da
pagamenti occasionali, corrisposti una tantum, anche nel caso in cui la somma corrisposta sia
superiore alla quota in quel momento spettante e non solo perchè, come ben evidenziato nella
sentenza impugnata, nel caso in esame il saldo tra dovuto e pagato si è rivelato negativo ma per la
ragione risolutiva che non è stato rispettato il termine per l’adempimento.
4. All’inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si considera conforme a
giustizia fissare in Euro 3.000,00 (tremila) ed al pagamento delle spese sostenute nel presente grado
dalla parte civile V.V., liquidate, secondo i parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014 e ss. modifiche,
nell’importo di Euro 3.510,00, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna inoltre il ricorrente a
rifondere alla parte civile V.V. le spese di rappresentanza e difesa nel presente grado di giudizio,
che liquida in complessivi 3.510,00 Euro, oltre accessori di legge.

La carriera di corista sacrificata per la famiglia non può essere irrilevante ai fini dell’assegno divorzile

Tribunale di Bologna, sent. 24 gennaio 2022 n. 174
I l T r i b u n a l e O r d i n a r i o di B o l o g n a
P R I M A S E Z I O N E C I V I L E
in persona dei magistrati
dott. Bruno Perla Presidente
dott.ssa Carmen Giraldi Giudice Relatore
dott. Sonia Porreca Giudice
ha pronunciato la seguente
S E N T E N Z A
nella causa di primo grado iscritta al n. 8979 del Ruolo Generale degli affari contenziosi per l’anno
2018
promossa da
YY (c.f. omissis), rappresentato e difeso dall’Avvocato ..del Foro di Bologna
– parte attrice –
contro
XX (c.f. omissis), rappresentata e difesa dall’Avvocato …del Foro di Bologna
– parte convenuta –
e con l’intervento del Pubblico Ministero presso il Tribunale di Bologna
oggetto
“Divorzio contenzioso – Scioglimento del matrimonio”
CONCLUSIONI delle parti come in verbale di udienza in data 20.04.2021
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato in data 04.06.2018, YY chiedeva a questo Tribunale di pronunciare lo
scioglimento del matrimonio civile celebrato in (omissis), (Modena), il (omissis).(omissis).2000 tra il
ricorrente e XX, unione dalla quale non nascevano figli. La difesa di parte ricorrente invocava
l’applicazione dell’art. 3 n. 2 L. 1.12.1970 n. 898, come successivamente modificato dalla Legge n.
55/2015, dando atto che i coniugi vivevano separati dal 26.05.2015, data in cui veniva omologato il
verbale dinanzi al Tribunale di Bologna. Parte ricorrente chiedeva, inoltre, di dichiarare
l’insussistenza reciproca tra le parti di obblighi a titolo di mantenimento o a titolo alimentare.
Si costituiva XX, che non si opponeva alla declaratoria di scioglimento del matrimonio, chiedendo,
tuttavia, di confermare le condizioni della separazione consensuale; in particolare, chiedeva la
corresponsione a suo favore di un assegno divorzile di € 1.500,00 mensili a carico del ricorrente.
All’udienza fissata, a norma dell’art. 4 L.898/1970, in data 06.11.2018, comparivano personalmente
entrambi i coniugi e il Presidente, vanamente esperito il tentativo di conciliazione, nominava il
giudice istruttore e pronunciava i provvedimenti provvisori ed urgenti di propria competenza, in
particolare confermando le condizioni della separazione consensuale sul presupposto che le
condizioni reddituali delle parti non fossero sostanzialmente mutate.
Introdotta la fase di merito del procedimento, su richiesta congiunta delle parti all’udienza del
21.02.2019, veniva pronunciata sentenza parziale sul vincolo in data 25.07.2019.
In fase istruttoria, venivano depositati documenti, per lo più attestanti la situazione economico-
patrimoniale delle parti, e venivano sentiti i testi all’udienza del 28.10.2020, soprattutto in relazione
allo svolgimento del ménage familiare in costanza di matrimonio, finalizzato al riconoscimento o
meno di un assegno divorzile a favore della resistente.
Terminata la fase istruttoria del procedimento, all’udienza del 20.04.2021 le parti precisavano le
conclusioni. La causa veniva, quindi, assegnata in decisione al Collegio, decorsi i termini ex art. 190
c.p.c. e discussa nella camera di consiglio del 14.12.2021
Preliminarmente, va dato atto del fatto che, per effetto della sentenza parziale n. 1753 pronunciata
da questo Tribunale in data 25.07.2019, il vincolo matrimoniale che legava i sigg.ri YY e XX è ormai
sciolto, con conseguente definitiva modifica del relativo status a far data dal passaggio in giudicato
della predetta sentenza.
In merito alla domanda accessoria, inerente la sussistenza o meno del diritto alla percezione di un
assegno divorzile da parte della resistente, ritiene il Tribunale che essa sia fondata e debba essere
accolta.
L’art. 5, 6° comma, della L. n. 898/1970, così come modificato dalla L. n. 74/1987, dispone che “con la
sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale, tenuto
conto delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da
ciascuno alla condizione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito
di entrambi, e valutati tutti i suddetti elementi anche in rapporto alla durata del matrimonio, dispone l’obbligo
per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha
mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive.”.
In base alla norma, oltre che a consolidata giurisprudenza (Cass. S.U. n. 18287/2018), dunque, per
ammettere l’assegno divorzile è necessario considerare le condizioni economiche delle parti, i redditi
delle stesse e la durata del matrimonio (cd. criterio assistenziale), il contributo economico e personale
dato da ciascun coniuge alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio
comune, nonché le aspettative reddituali e professionali che un coniuge ha sacrificato per lo
svolgimento armonioso del ménage familiare (cd. criterio compensativo-perequativo).
Alla luce di ciò, la prima operazione da effettuare è l’analisi delle condizioni economico-patrimoniali
delle parti.
Come è stato dimostrato nella fase istruttoria del procedimento, YY è titolare dell’impresa agricola
“(omissis)”, nonché proprietario di terreni destinati alla coltivazione ed alla produzione.
Dalle dichiarazioni dei redditi e dai modelli IVA allegati agli atti di causa (Doc. nn.15-32) emerge
che il reddito agrario imponibile è pari a € 20.000,00 circa, mentre il volume d’affari derivante
dall’esercizio dell’attività di impresa agricola è pari a € 600.000,00 circa, con un importo di costi e
acquisti pari ad € 450.000,00 circa. Ne consegue che il reddito complessivo annuo di YY può dirsi
compreso tra € 150.000,00 ed € 200.000,00.
Al contrario, XX, a seguito della separazione personale dal coniuge intervenuta nel 2015, ha iniziato
a svolgere la libera professione di insegnante di canto, tenendo lezioni private e percependo un
reddito annuo di € 2.900,00 lordi (2.200,00 netti, cfr. doc 23 resistente) da scomputare dalle somme
risultanti in dichiarazione dei redditi che comprendono anche l’importo del contributo di
mantenimento.
Inoltre, XX è obbligata al pagamento di un canone di locazione di € 500,00 al mese.
Dalla ricostruzione dei redditi delle parti basata sui documenti prodotti in giudizio, è evidente la
disparità delle condizioni economiche delle stesse, disparità che è idonea a giustificare il diritto della
convenuta all’assegno divorzile.
Accertata la sperequazione dei redditi tra le parti, è fondamentale verificare anche la sussistenza del
criterio compensativo-perequativo dell’assegno divorzile, che, nel caso di specie, risulta essere
integrato.
Sul punto il Collegio aderisce all’orientamento della Cassazione (SSUU 18287/2018) «Il fondamento
costituzionale dei criteri indicati nell’incipit della norma conduce ad una valutazione concreta ed effettiva
dell’adeguatezza dei mezzi e dell’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata in primo luogo sulle
condizioni economico-patrimoniali delle parti, da accertarsi anche utilizzando i poteri istruttori officiosi
attribuiti espressamente al giudice della famiglia a questo specifico scopo. Tale verifica è da collegare
causalmente alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, c.6, al fine di
accertare se l’eventuale rilevante disparità economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento
del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di
matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione
dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza
nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio
dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali valutabili alla conclusione della
relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge richiedente ed alla conformazione del mercato
del lavoro.».
L’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni
oggettive deve, dunque, essere saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli
endofamiliari, i quali, alla luce del principio solidaristico che permea la formazione sociale della
famiglia, di rilievo costituzionale, costituiscono attuazione della rete di diritti e doveri fissati dall’art.
143 c.c.
«Occorre accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle
determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del
richiedente», di modo che ove la disparità reddituale abbia questa specifica radice causale e sia
accertato — con assolvimento di un onere probatorio che le Sezioni Unite richiedono espressamente
sia “rigoroso” (cfr. pag. 36 della sentenza in commento) — «..che lo squilibrio economico patrimoniale
conseguente al divorzio derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di
un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contribuito
fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge.».
Nel caso in esame risulta che la apprezzabile disparità economico-reddituale «..sia dipendente dalle
scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle
aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante
endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale importanza nella valutazione del contributo di
ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle
effettive potenzialità professionali e reddituali.».
La prova del sacrificio professionale sopportato dalla XX si è formata in giudizio grazie alle
dichiarazioni testimoniali rese all’udienza del 28.10.2020, che si sono rivelate precise e concordanti.
È emerso che le parti si sono conosciute nel 1997 a Spoleto, quando la resistente lavorava a Roma nel
Coro d’opera (“..in quel periodo era cantante nel Coro dell’opera a Roma..”, ha riferito il teste C. T. D’A.).
Nel 1999, ella si trasferì a Bologna ed iniziò una convivenza con YY, alla quale seguì il matrimonio
nel 2000. Nel corso del matrimonio, XX decise di lasciare il lavoro da corista, che le imponeva
numerose trasferte lontano da casa (“..come corista avrebbe dovuto fare numerose trasferte..”, ha riferito
la teste…), per dedicarsi alla cura della casa e della famiglia, anche in considerazione del fatto che
YY, data la sua attività di coltivatore diretto, era assente gran parte della giornata. Il teste B. D’A. ha
riferito che “..fu il marito a chiedere di interrompere la carriera di artista di coro e a non recarsi al coro di
Rovigo..”, circostanza confermata anche dalla teste C. T. D’A. Inoltre, B. D’A. ha precisato che “..mia
figlia ci teneva all’indipendenza economica e, pertanto, ha sempre lavorato; la scelta di lasciare il coro ad
attività di solista fu dettata dalla volontà di seguire maggiormente il marito.”.
È pacifico, dunque, che XX abbia rinunciato al suo lavoro, sacrificando una carriera di corista d’opera
già avviata, per occuparsi dell’attività domestica e familiare e, talvolta, aiutare il marito nella vendita
dei prodotti o nell’organizzazione delle fiere.
Non depongono in senso contrario le deposizioni dei testi portati dal ricorrente (teste G.); la
circostanza che il marito accompagnasse la moglie in auto ad alcuni concerti — che la moglie è
riuscita a tenere durante il matrimonio e — per i quali YY spronava la moglie, non scalfisce il dato
obiettivo che XX, per seguire il marito e la famiglia, abbia abbandonato l’ attività di corista del
prestigioso coro dell’Opera di Roma, attività che le avrebbe consentito, al di là del raggiungimento
dell’aspirazione di divenire nel tempo solista, una condizione economica regolare e stabile, non
paragonabile ad occasionali e frammentarie occasioni lavorative, difficilmente coltivabili con
costanza anche a causa della distanza dall’ubicazione della residenza familiare.
Il fatto che la carriera di corista sia stata sacrificata non può essere irrilevante ai fini del diritto
all’assegno divorzile.
Pertanto, integrata anche la funzione compensativa-perequativa, ritiene il Tribunale che XX abbia
diritto all’assegno divorzile.
Tuttavia, relativamente al quantum dell’assegno stesso, si ritiene che, rispetto all’assegno di
mantenimento concordato in sede di separazione in € 1.500,00 mensili, debba operarsi una
riduzione, attesa la diversa funzione del contributo di mantenimento della separazione finalizzato
ad assicurare il tenore di vita goduto durante la vita matrimoniale.
XX gode di una specifica preparazione in materia di canto lirico tale da poter incrementare il proprio
lavoro di insegnante-libera professionista, lavoro che è possibile svolgere nonostante l’attuale età
della stessa (54 anni), dato che risulta già inserita in una scuola di canto.
Si ritiene, pertanto, equa la somma di € 1.000,00 a titolo di assegno divorzile. Essa tiene conto della
durata quindicennale del matrimonio, della sperequazione dei redditi tra le parti, della rinuncia
all’attività lavorativa da parte della convenuta per la cura della casa e della famiglia, nonché delle
attuali prospettive lavorative della stessa in considerazione della sua età e delle sue competenze e
capacità.
Infine, quanto alle spese di lite, esse sono regolate dal principio generale della soccombenza e sono
quindi poste a carico di YY.
La relativa liquidazione è fatta in dispositivo sulla base del valore effettivo della causa con
applicazione dei nuovi parametri di cui al D.M. n. 55/2014 attualmente in vigore (cfr., sul punto,
Cass. S.U. n. 17405/12; conf. Cass. 23318/2012, nonché, da ultimo, Cass. ord. sez. 6-3 n. 13628/2015),
tenuto conto della natura e del pregio dell’attività difensiva svolta, nonché della notula depositata
in atti.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando:
1. dispone che YY versi a XX la somma mensile di € 1.000,00 a titolo di assegno divorzile, con
decorrenza dal passaggio in giudicato della sentenza sul vincolo, somma annualmente rivalutabile
secondo gli indici Istat annuali da corrispondere entro il giorno 5 di ogni mese;
2. Condanna YY al pagamento delle spese di lite, liquidate in € 7300,00 oltre rimborso forfettario, Iva
e Cpa come per legge.
Così deciso in Bologna nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile in data 14.12.2021

Sussidiaria l’obbligazione alimentare degli ascendenti.

Cass. I Sez., ord. 31 marzo 2022, n. 10450
Presidente Genovese – Relatore Caiazzo
Rilevato in fatto che:
Con sentenza del 25.10.13 il Tribunale di Salerno rigettò la domanda di G.A. di
revoca dell’assegno ex art. 148 c.c., per Euro 206,58 riconosciuto a favore di
due nipoti, cui era stato onerato come genitore del figlio defunto G. , con
ordinanza presidenziale del 1999, rilevando che il prospettato mutamento delle
pag. 2/4
condizioni dell’obbligato non fosse tale da far venir meno l’obbligo a suo carico
perché i due nipoti beneficiari, sebbene maggiorenni, non avevano ancora
raggiunto l’autonomia economica e non potevano essere sostenuti dalla sola
madre, F.C. , la quale era titolare di un reddito modesto che, al 2011,
ammontava a Euro 6097,00 derivante da rapporto di lavoro dipendente,
gravando sulla stessa anche il pagamento della somma mensile di Euro 250,00
per il canone locatizio dell’abitazione occupata dai figli per motivi di studio; il
ricorrente coobbligato disponeva invece di reddito di Euro 13.981,00 annui, per
il 2011, e rendite di proprietà (avendo anche dismesso alcune proprietà dopo
l’insorgenza dell’obbligo di mantenimento), mentre le sue condizioni di salute
non avrebbero potuto esimerlo dall’obbligo stesso. Il giudice rigettò anche la
domanda riconvenzionale della F.
G.A. ricorre in cassazione con unico motivo, illustrato con memoria. Non si è
costituita l’intimata.
Ritenuto in diritto che:
L’unico motivo denunzia violazione degli artt. 147, 148 e 1362 c.c., in quanto:
la Corte d’appello non aveva correttamente distinto tra alimenti e
mantenimento, dato che i nonni sono tenuti a versare i soli alimenti; l’obbligo di
mantenimento grava sui nonni in via sussidiaria rispetto ai genitori per la parte
in cui quest’ultimi non vi possano provvedere (al riguardo, s’assume che i due
nipoti avevano raggiunto una maturità psicofisica tale da poter provvedere
autonomamente al proprio fabbisogno); il reddito da pensione del ricorrente
ammontava a Euro 700,00 mensile, appena sufficiente a soddisfare le proprie
esigenze di vita, mentre gli altri redditi riguardavano i fabbricati; l’obbligo in
questione non sussisteva in quanto la madre dei beneficiari disponeva di redditi
idonei a far fronte al relativo mantenimento, sulla base degli accertamenti
tributari da cui s’evinceva, inoltre, l’accredito alla F. , su conto economico
cointestato con altra persona, della somma di Euro 770,00 per
stipendio/pensione.
Il motivo è fondato. Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte,
l’obbligo di mantenimento dei figli minori ex art. 148 c.c., spetta primariamente
e integralmente ai loro genitori sicché, se uno dei due non possa o non voglia
adempiere al proprio dovere, l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far
fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e
sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in
giudizio l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni
economiche globali di costui; pertanto l’obbligo degli ascendenti di fornire ai
genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti
dei figli – che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di
entrambi i genitori – va inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli
ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei
genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un
aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio

contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli;
così come il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., legato alla prova dello stato di
bisogno e dell’impossibilità di reperire attività lavorativa, sorge solo qualora i
genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo
(Cass., n. 20509/10; n. 10419/18).
Nel caso concreto, il ricorrente censura la sentenza impugnata sulla ritenuta
doverosità del suo contributo al mantenimento dei due nipoti in ordine a due
punti: la mancanza di autonomia reddituale patrimoniale dei nipoti maggiorenni
e l’insufficienza del contributo della loro madre.
Circa il primo punto, dagli atti si evince che l’ordinanza che riconosceva il diritto
dei nipoti a percepire l’assegno di mantenimento dal nonno risale al 1999; i due
discendenti sono maggiorenni, nati rispettivamente nel 1991 e 1993. Al
riguardo, va osservato che secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte, ai fini del riconoscimento dell’obbligo di mantenimento dei figli
maggiorenni non indipendenti economicamente, ovvero del diritto
all’assegnazione della casa coniugale, il giudice di merito è tenuto a valutare,
con prudente apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore
proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che
giustificano il permanere del suddetto obbligo o l’assegnazione dell’immobile,
fermo restando che tale obbligo non può essere protratto oltre ragionevoli limiti
di tempo e di misura, poiché il diritto del figlio si giustifica nei limiti del
perseguimento di un progetto educativo e di un percorso di formazione, nel
rispetto delle sue capacità, inclinazioni e (purché compatibili con le condizioni
economiche dei genitori) aspirazioni (Cass., n. 17183/20; n. 38336/21).
Nella fattispecie, premesso che la richiamata giurisprudenza può analogicamente
applicarsi anche all’obbligo di mantenimento nei confronti degli ulteriori
discendenti diretti (quali, appunti, i nipoti come nella specie), il ricorrente ha
censurato la sentenza della Corte d’appello nella parte in cui non avrebbe tenuto
conto del fatto che i due nipoti in questione erano ormai più che adulti, avendo
altresì raggiunto una loro maturità psico-fisica. Ora, se è vero che il ricorrente
non ha allegato di aver dimostrato l’autonomia economica o reddituale dei
discendenti, è altresì vero che quest’ultimi sono adulti di oltre trenta anni d’età
di cui, in realtà, nulla si sa sulla base degli atti di causa.
Premesso ciò, il collegio ritiene che debba essere valorizzato il profilo del lungo
periodo temporale decorso dall’ordinanza che accertò il diritto al mantenimento
all’attualità (circa 13 anni), anche alla luce della rilevante novità legislativa nelle
more sopravvenuta in ordine al c.d. “reddito di cittadinanza”, introdotta dal D.L.
n. 4 del 2019, che consiste, come noto, nell’erogazione di somme di denaro
mensili quale misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla
diseguaglianza e all’esclusione sociale, ad integrazione dei redditi familiari. Al
riguardo, l’esiguità del reddito della madre dei due beneficiari lascia presumere
la sussistenza dei presupposti dell’erogazione del “reddito di cittadinanza”.
Pertanto, l’età dei beneficiari del mantenimento, il lungo tempo decorso dal
riconoscimento del diritto, e la concreta possibilità normativa di accedere alla
suddetta misura di sostegno sociale, inducono a ritenere che la Corte territoriale
non abbia correttamente valutato, nel loro insieme e nella complessità del
quadro normativo, i presupposti dell’obbligo di mantenere i due nipoti del
ricorrente.
Per quanto esposto, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio alla Corte di
appello di Salerno, anche in ordine alle spese del grado di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte
d’Appello di Salerno, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di
legittimità.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le
generalità e gli altri dati identificativi delle parti e dei soggetti in esso menzionati,
a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Separazione. Quando tra moglie e marito il dito lo mette la suocera

Tribunale di Teramo – Sezione civile – Sentenza 26 novembre 2021 n. 1052
TRIBUNALE DI TERAMO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE
riunito in camera di consiglio e composto dai Magistrati
1) Dr. Angela Di Girolamo Presidente rel.
2) Dr. (…) Chiauzzi Giudice
3) Dr Eloisa Angela Imbesi Giudice ha pronunciato la seguente
SENTENZA
definitiva nella causa civile di prima istanza iscritta al n. 4016/2016 R. G., promossa
DA
(…), rappresentata e difesa dall’avv. An.Sa., giusta procura allegata al ricorso.
Ricorrente
CONTRO
(…), rappresentato e difeso dagli avv.ti Fr.Fo. e Ma.D’A., per distinte procure allegate alle comparse
di costituzione di nuovo procuratore.
Resistente
CON L’INTERVENTO DEL P.M.
OGGETTO: separazione personale coniugi
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato in data 21/1072016, (…), premesso di avere contratto matrimonio a Roma il
27/02/1999 con (…), da cui erano nati cinque figli ((…) il (…), (…) il (…), (…), il (…), (…), il (…) e (…), il
(…), all’epoca tutti minorenni), ha chiesto pronunciarsi la separazione personale con addebito al
marito per violazione dei doveri coniugali di assistenza morale e per lesione della propria integrità
fisica. Ha chiesto, inoltre, l’affidamento condiviso della prole ad entrambi i genitori, con
collocazione prevalente presso di sé; l’assegnazione della casa coniugale, costituita dalla villa di
Tortoreto Lido, di proprietà della suocera; l’assegno mensile a carico del coniuge per il
mantenimento dei figli nella misura di Euro 8.000, oltre all’esclusivo carico delle spese straordinarie;
l’assegno mensile per il proprio mantenimento nella misura di Euro 20.000 (ovvero di Euro 12.000.
in caso di rigetto della domanda di addebito).
A sostegno delle domande, la ricorrente ha dedotto che:
– la vita matrimoniale, negli ultimi tre anni, era stata caratterizzata dall’assenza morale e dal
disinteresse affettivo e sessuale del coniuge (particolarmente grave nel corso dell’ultima
gravidanza) e da continue vessazioni psicologiche poste in essere da quest’ultimo di concerto con la
sua famiglia d’origine, culminate nel grave episodio di violenza che aveva irreversibilmente
compromesso il matrimonio, accaduto nel mese di aprile 2016, allorquando il marito l’aveva
picchiata in presenza del primogenito (…), intervenuto a sua difesa;
– la famiglia, in costanza di matrimonio, aveva goduto di un elevatissimo tenore di vita, desumibile:
dai frequenti viaggi in strutture di lusso in Polinesia, in capitali europee – Parigi Londra ecc. – e in
rinomate località turistiche italiane, oltre “settimane bianche” a S. Moriz ed in altre famose stazioni
sciistiche invernali; dalla disponibilità di numerose automobili di lusso – Mercedes Roadstar, Suv
Porche ecc.-; dalla frequentazione di scuole private da parte dei figli, fin dalla scuola materna; dalla
disponibilità di pregevoli complessi immobiliari in Svizzera, Romania, Canada, Montecarlo e località
turistiche italiane, intestati a società riferibili al marito;
– tale eccezionale benessere era stato assicurato in via esclusiva dalla fiorente attività
imprenditoriale svolta dal marito (anche tramite intermediari), sia in Italia che all’estero, rivestendo
la qualità di amministratore e/o socio di 15 società con le quali gestiva importanti complessi
immobiliari (alberghi, centri commerciali ecc.) svolgendo, inoltre, attività di manager per conto di
una società canadese (la Evo Canada) che gestiva un aeroporto;
– in tale contesto, esclusa da ogni partecipazione all’attività professionale del coniuge, ostacolata da
quest’ultimo e dai suoceri a svolgere attività lavorativa al di fuori dell’ambiente domestico, si era
occupata a tempo pieno dei 5 figli, contribuendo alla crescita professionale ed economica del
marito (che aveva seguito per dieci anni a Montecarlo), subendo la presenza invadente ed
autoritaria della suocera che l’aveva sempre trattata come” ospite “della lussuosa villa famigliare,
ingerendosi indebitamente nell’educazione dei figli.
Si è costituito (…), il quale, pur aderendo alla domande di separazione personale, affidamento e
collocamento della prole, ha contestato i fatti posti a fondamento della richiesta di addebito e delle
elevate pretese economiche della moglie ed ha concluso chiedendo: l’assegnazione della casa
coniugale alla ricorrente fino alla data di scadenza (30/11/2017) del contratto di comodato
intercorso con i proprietari dell’immobile, con successivo trasferimento in altra abitazione di
Tortoreto, con spese locative a suo carico; determinare l’assegno mensile dovuto per il
mantenimento dei figli in complessivi Euro 1250 e quello in favore della moglie in complessivi Euro
750, oltre rivalutazione monetaria ISTAT. In particolare, il resistente ha dedotto che:
– se era vero che la coppia nei primi anni di matrimonio aveva goduto di un elevato tenore di vita,
con frequenti viaggi all’estero e frequentazione, da parte dei figli, di scuole private a Montecarlo,
era altresì vero che le sue attività commerciali avevano subito un brusco peggioramento, avendo
usufruito del cd “scudo fiscale”, introdotto dall’art. 13 bis del decreto legge n 78/2009, in forza del
quale aveva fatto rientrare ingenti somme di denaro dall’estero, le quali tuttavia erano state
trattenute, in compensazione con pregressi debiti, dall’istituto di credito (Cassa di Risparmio della
Provincia di L’Aquila) incaricato di gestire l’operazione finanziaria e contro il quale aveva promosso
un contenzioso presso il Tribunale di Pescara;
– la casa coniugale gli era stata concessa in comodato d’uso gratuito dai suoi genitori con scadenza
al 30/11/2017 ed era gravata dal vicolo (…) destinazione negoziale in favore dei suoi” figli nati e
nascituri” per atto pubblico n 4359/2008;
All’esito dell’udienza di comparizione, il Presidente, sentiti i coniugi (i quali hanno ribadito la volontà
di non riconciliarsi ), con ordinanza in data 08/03/2017, ha autorizzato gli stessi a vivere separati,
fermo l’obbligo del reciproco rispetto; ha assegnato la casa coniugale alla ricorrente, ordinando al
resistente di allontanarsene; ha disposto l’affidamento condiviso della prole ad entrambi i genitori,
con collocazione prevalente presso la madre; ha posto a carico del resistente l’assegno mensile di
Euro 1.500 a titolo di mantenimento della ricorrente e l’ulteriore assegno di Euro 1.500 per il
mantenimento dei figli; ha posto le spese straordinarie necessarie per i figli a carico esclusivo del
padre.
Tali statuizioni, a seguito del reclamo proposto dalla ricorrente, sono state modificate dalla Corte di
Appello di L’Aquila con decreto in data 19/09/2017, in forza del quale l’assegno mensile dovuto dal
(…) per il mantenimento dei 5 figli è stato aumentato ad Euro 5.000 e quello per il mantenimento
della moglie ad Euro 3.000, sul rilievo dell’inadeguatezza degli importi stabiliti dal Presidente del
Tribunale a consentire alla (…) ed ai figli della coppia di mantenere un tenore di vita anche
lontanamente paragonabile a quello pregresso.
Passato il procedimento alla fase contenziosa, sono state espletate le prove per interpello e per
testi ed è stata acquista la copiosa documentazione in atti. Inoltre, su richiesta del resistente, con
ordinanza istruttoria in data 8/8/2018, l’assegno dovuto dal resistente in favore della prole è stato
ridotto ad Euro 500 per ciascun figlio e quello dovuto per il mantenimento della moglie ad Euro
1.500. Infine, con ordinanza del Pres.istr in data 27/01/2021, su richiesta di parte ricorrente sono
stati disciplinati i tempi e le modalità di frequentazione e permanenza delle figlie minori presso il
padre; è stata dichiarata inammissibile la richiesta della ricorrente di modifica delle condizioni
economiche della separazione; è stata rigettata la richiesta, avanzata dal resistente, di versamento
diretto ai figli maggiorenni dell’assegno di mantenimento dovuto dal resistente; è stata disposta
l’audizione del figlio maggiorenne (…), in ordine alla sua indipendenza economica, dedotta dal
padre.
All’udienza del 12 maggio 2021, tenuta in presenza su espressa richiesta del resistente al fine di
sentire il figlio (…) (…), la causa è stata riservata alla decisione del Collegio, con i termini ex art. 190
c.p.c., dandosi atto dell’assenza del ragazzo.
La domanda di separazione è fondata e pertanto deve essere accolta.
Invero, dalle stesse posizioni difensive assunte dalle parti e dalla mancata riuscita del tentativo di
conciliazione, può evincersi il verificarsi di fatti tali da determinare irreversibilmente l’intollerabilità
della prosecuzione della convivenza matrimoniale (art. 151 c.c.).
Va dunque resa pronuncia di separazione personale dei coniugi.
Conseguentemente, va ordinata la trasmissione della presente sentenza all’Autorità amministrativa
competente per l’annotazione di legge.
Passando all’esame della domanda di addebito della separazione avanzata dalla ricorrente, il grave
episodio di violenza fisica sopra riportato – da solo sufficiente a fondare la responsabilità della crisi
coniugale in capo al coniuge che ne è stato l’autore – ha trovato positivo riscontro nelle emergenze
probatorie acquisite nel corso dell’istruttoria.
In particolare, il figlio (…) (all’epoca di anni 16 ), nel corso dell’esame testimoniale, ha confermato
che il 2 aprile 2016 ha assistito ad un’accesa discussione tra i genitori, scaturita dal risentimento
della madre per l’indebita intromissione della suocera nell’educazione dell’ultimogenita (…),
sfociata nell’aggressione violenta del padre, il quale, all’improvviso, ha afferrato la moglie tirandole i
capelli e stringendole il collo, fino a quando non è stato fermato dal suo immediato intervenuto per
separare fisicamente i genitori.
Tale testimonianza deve ritenersi sicuramente attendibile, non tanto (e non solo) perché non
contestata dalle parti, quanto (e soprattutto) perché (…), avendo 16 anni ed essendo molto legato
ad entrambi i genitori, ha riferito un fatto traumatico (“non voglio parlare molto di questo
episodio”), di cui ha conservato nel tempo un ricordo nitido e non alterato dal coinvolgimento
emotivo, come si può desumere dalla lucidità, precisione e completezza della narrazione che è
apparsa sofferta ma scevra da risentimento verso l’uno o l’altro genitore.
Inoltre, per completezza, va evidenziato che la continua ingerenza della suocera, proprietaria della
lussuosa villa coniugale, nel ménage famigliare e soprattutto nell’educazione dei figli è circostanza
pacificamente acclarata attraverso le dichiarazioni testimoniali rese da alcune delle numerose
“tate” che a tempo pieno hanno collaborato nella gestione della prole (cfr testimonianze di (…): “…
nel periodo in cui ho lavorato presso la coppia la Sig.ra (…) influiva sull’atteggiamento che la Sig.ra
(…) doveva avere coi figli, nel senso che dava indicazioni su ciò che i bambini dovevano mangiare,
portava lei la spesa, comperava lei la carne, portava a casa il pranzo per il figlio e si accertava,
telefonando, se quanto da lei portato era stato mangiato e dato ai bambini”; (…): “Ricordo che la
Sig.ra (…) chiamava spesso a casa e parlava con la Sig.ra (…); chiamava anche me sul cellulare
personale. Non sentivo, chiaramente, cosa dicesse alla nuora. Preciso che mi chiamava più volte
“ossessionandomi”, sia sul fisso di casa che sul cellulare. Mi chiedeva se la piccola (…) avesse
mangiato e se fosse stata lavata”; (…): “Posso dire che la suocera faceva pesare alla nuora il fatto
che fosse lei ad essere proprietaria della casa coniugale, nel senso che la suocera dava indicazioni su
come comportarsi dentro casa, anche sul togliersi le scarpe prima di entrare in casa” .; (…) (…): “È
vero. La suocera chiamava spesso anche me per sapere se i bambini avessero mangiato, se fossero
stati lavati etc. … Posso riferire come innanzi che la suocera era molto presente, anche troppo
secondo me, e si interessava tanto dei nipoti”), dichiarazioni sostanzialmente avvalorate anche dalla
testimonianza resa dal teste di parte resistente (…), amico di famiglia, il quale ha confermato che la
suocera era una” nonna molto presente”.
L’accertata condotta di violenza fisica in danno della moglie si risolve – a parte ogni considerazione
sulla prevaricazione morale del marito, in ciò sostenuto dalla forte presenza dei componenti della
sua famiglia di origine – in una violazione talmente grave degli obblighi nascenti dal matrimonio, da
giustificare, di per sé, la pronuncia di addebito della separazione.
Per consolidata giurisprudenza “Le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all’altro,
costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé
sole, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità
della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di esse. Il loro
accertamento esonera il giudice del merito dal dovere di procedere alla comparazione, ai fini
dell’adozione delle relative pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze,
trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con
comportamenti omogenei” (cfr, da ultimo Cass. 3925/2018).
Si è precisato, inoltre, che “Le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili
dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole – quand’anche concretantisi in un
unico episodio di percosse -, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause
determinanti l’intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità
all’autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini
dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze,
restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi
coniugale” (cfr Cass. 7388/2017).
In conclusione, alla luce del citato orientamento giurisprudenziale e delle emergenze probatorie
evidenziate, va pronunciato l’addebito della separazione a (…) per avere assunto condotte
gravemente lesive dell’integrità morale e fisica del coniuge, in palese violazione dei doveri che
derivano dal matrimonio. Passando alle statuizioni inerenti la prole, va premesso che, nelle more
del processo, i figli (…), (…) e (…) sono diventati maggiorenni seppur economicamente non
indipendenti, sicché gli stessi sono liberi di autodeterminarsi nella frequentazione dei genitori
mentre per (…) e (…), ancora minorenni, vanno senz’altro confermati, in linea con le richieste delle
parti, il regime di affidamento condiviso, con collocazione prevalente presso la madre, e la
regolamentazione dei tempi di permanenza presso il padre come stabiliti nella recente ordinanza di
modifica delle condizioni della separazione, pronunciata dal Pres. Istr. in data 27/01/2021.
Conseguentemente, va confermata l’assegnazione della casa coniugale alla ricorrente, già disposta
con ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c. in data 8 marzo 2017, senza che possa rilevare in
questa sede il contratto di comodato intercorso tra il (…) (comodatario) e sua madre (proprietaria
dell’immobile ), in applicazione del consolidato principio di diritto espresso dalle SU nella nota
sentenza n. 20448/2014 (“Il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non
autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio
dell’immobile, l’esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di
separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi (salva la concentrazione
del rapporto in capo all’assegnatario, ancorché diverso) il contratto in precedenza insorto abbia
contemplato la destinazione del bene a casa familiare. Ne consegue che, in tale evenienza, il
rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 cod. civ., sorge per un uso
determinato ed ha – in assenza di una espressa indicazione della scadenza – una durata
determinabile “per relationem”, con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della
casa familiare, indipendentemente, dunque, dall’insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a
persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (nella specie,
relative a figli minori) che avevano legittimato l’assegnazione dell’immobile”), seguita dalla
giurisprudenza successiva (cfr. Cass.17071/2015; Cass.2771/2017).
Passando all’esame delle questioni economiche relative al mantenimento della prole e della moglie,
giova preliminarmente soffermarsi, trattandosi di elemento valutativo pregiudiziale, sul tenore di
vita goduto dalla famiglia in costanza di matrimonio, per poi procedere all’accertamento della
attuale situazione economica del (…), risultando pacifico lo stato di disoccupazione della moglie,
conseguente ad una scelta effettuata dai coniugi durante la vita matrimoniale. Sul primo punto, va
senz’altro affermato che la coppia, in costanza di matrimonio, ha goduto di un tenore di vita
elevatissimo, risultando incontroverso che;
– nel primo decennio del matrimonio, i coniugi hanno abitato a Monaco di Montecarlo, per
trasferirsi successivamente nella villa di Tortoreto, servita da domestici e giardiniere;
– i figli, fin dalla prima infanzia a Montecarlo, hanno frequentato scuole private;
– la famiglia era solita fare costosi viaggi e vacanze in rinomate località turistiche non solo italiane
ma anche estere (Sardegna, Polinesia, Sharm Esheik, S Moriz, Londra ecc ), utilizzava varie
automobili lussuose (Mercedes Porche, Bentlem, Audi) e beneficiava di regali pregiati.
Tale agiata condizione famigliare è stata assicurata dai proventi della florida attività imprenditoriale
del marito, titolare (unitamente alla sua famiglia di origine) di quote di numerose società operanti
sia in Italia (circa 15) che all’estero nel settore turistico-alberghiero ed immobiliare.
La rilevanza economica di tale attività imprenditoriale è evincibile, per quanto concerne il ramo
societario estero, dal contenuto dell’atto di citazione promossa, dinanzi al Tribunale di Pescara,
dallo stesso (…) nei confronti della Cassa di Risparmio della Provincia di L’Aquila per il risarcimento
dei danni (quantificati in 5 milioni di euro) cagionati dalla dedotta mala gestio dell’incarico di
regolarizzazione delle attività commerciali svolte all’estero, in adesione al cd” scudo fiscale
“(introdotto dall’art. 13 bis del DL 15/12/2009 n. 78.
Dal suddetto atto, per quanto di interesse nel giudizio, si apprende che: il (…) si era rivolto
all’istituto di credito” affinché procedesse – in maniera del tutto anonima e riservata – al rimpatrio
ex lege di capitali detenuti all’estero ..”; tali capitali vennero depositati sul conto corrente intestato
al (…) cd “scudato” (coperto da segretazione al fine di sottrarlo alla segnalazione e controllo
dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza), sul quale era stata accreditata la somma di
Euro 2.031.400,00; inoltre, la banca aveva concesso a società estere partecipate dal (…) consistenti
finanziamenti (Euro 350 milioni alla (…) Srl,; Euro 350 milioni alla (…) S.r.l. e Euro 350 in favore (…)
Srl), tutti garantiti da fideiussioni personali del (…).
Rilevano, inoltre, le consistenti fideiussioni bancarie prestate dai coniugi in favore della società
svizzera (…) per 7.180 franchi con atto pubblico del 27/10/ 2010 e per 11.700 franchi con scrittura
privata del 13/10/2015, anch’esse sintomatiche della grande capacità economica – finanziaria del
(…), stante lo stato di disoccupazione della moglie.
Il resistente, pur ammettendo di avere avuto un florido periodo imprenditoriale in costanza di
matrimonio, ha dedotto che, successivamente, i suoi proventi si erano drasticamente ridotti per la
crisi del settore, chiedendo ed ottenendo, come sopra ricordato, la riduzione del mantenimento
stabilito dalla Corte di Appello in favore della moglie e dei cinque figli.
Orbene, pur volendo concedere che vi sia stata nel tempo una contrazione dei guadagni
imprenditoriali, va evidenziato che il (…) ha continuato a svolgere in Italia e all’estero una intensa e
redditizia attività commerciale.
Tale conclusione si fonda, al di là delle inattendibili ed elusive dichiarazioni fiscali (come può
evincersi anche dal modus operandi del (…) in occasione dell’adesione al cd” scudo fiscale” ), dalle
indagini tributarie disposte in corso di causa. Ed invero, dalla relazione della Guardia di Finanza di
Giulianova in data 11 luglio 2019 risulta che il resistente è rappresentante di diverse società ed ha
partecipazioni societarie in 11 società di capitali operanti in Italia (…) e due società di capitali estere
(la (…) e la (…)).
Ciò posto, in ordine al mantenimento della prole, va innanzitutto rilevato che i tre figli maggiorenni,
conviventi con la madre, in quanto studenti, non sono economicamente indipendenti.
Tale conclusione è estensibile anche al primogenito (…), di anni 21, non potendosi condividere la
tesi del resistente secondo cui il ragazzo avrebbe raggiunto l’indipendenza economica, percependo
un reddito pari ad Euro 7.011,51 in forza di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, oltre al
compenso di Euro 12.000 per la carica di amministratore, attività svolte in favore di società facenti
capo allo stesso (…).
Tale ricostruzione, invero, è del tutto incompatibile con il pacifico status di studente universitario e
con la giovane età di (…), il quale ha sempre avuto la madre quale genitore di riferimento e
mantenuto nella casa coniugale la principale abitazione, sicché anche la documentazione allegata
dal resistente a sostegno del proprio assunto deve ritenersi scarsamente attendibile, valutando la
mancata presentazione del ragazzo all’udienza fissata per la sua audizione come dettata dalla
comprensibile decisione di non essere coinvolto nelle vicende economiche dei genitori.
Conclusivamente sul punto, tenuto conto dell’elevato tenore di vita dei figli in costanza di
matrimonio, delle loro oggettive necessità di vita, di studio e di svago, correlate all’età, dei maggiori
tempi di permanenza delle figlie minori presso la madre, dei cospicui redditi del padre e delle scarse
risorse economiche della madre (come sopra detto disoccupata), appare equo e proporzionale
confermare l’assegno mensile di Euro 5.000 (in ragione di Euro 1000 per ciascun figlio) già stabilito
dalla Corte di Appello nel richiamato decreto in data 19.9.2017, oltre rivalutazione monetaria Istat,
fermo restando a carico esclusivo del padre l’onere delle spese straordinarie, come stabilito in via
provvisoria ed urgente nell’ordinanza presidenziale in data 8/3/2017, spese da individuare, in
difetto di diverso accordo tra i coniugi, sulla scorta del Protocollo d’Intesa con il Presidente del
Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Teramo in data 5 dicembre 2018. Va disattesa, inoltre, la
reiterata richiesta del (…) di versamento dell’assegno di mantenimento direttamente ai figli
maggiorenni, per le ragioni già illustrate nell’ordinanza istruttoria in data 27/1/2021 (di rigetto di
analoga istanza), secondo cui il genitore separato o divorziato tenuto al mantenimento del figlio
maggiorenne non economicamente autosufficiente e convivente con l’altro genitore, non può
pretendere, in mancanza di una specifica domanda del figlio (come nel caso di specie), di assolvere
la propria prestazione nei confronti di quest’ultimo anziché del genitore convivente (cfr Cass.
25300/2013 e da ultimo Cass. 29977/2020). Passando alla richiesta di mantenimento avanzata dalla
ricorrente, va premesso che la separazione personale, a differenza dello scioglimento o cessazione
degli effetti civili del matrimonio, presuppone la permanenza del vincolo coniugale, sicché “i redditi
adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156, cc, l’assegno di mantenimento in favore del
coniuge, in assenza della condizione ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere,
considerate le capacità dell’obbligato, il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo
ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale
situazione temporanea, dalla quale deriva solo la sospensione degli obblighi di natura personale di
fedeltà, convivenza collaborazione, e che ha una consistenza ben diversa dalla solidarietà post-
coniugale, tra i presupposti dell’assegno di divorzio (giurisprudenza costante, cfr da ultimo Cass.
1162del 2017; Cass. 12196 del 2017 ). Secondo il consolidato insegnamento di legittimità, con
l’espressione “redditi adeguati”, la norma ha inteso riferirsi al tenore di vita consentito dalle
possibilità economiche dei coniugi (cfr. Cass. 2007 n 9915); tale dato, tuttavia, richiede un ulteriore
verifica per appurare se i mezzi economici di cui dispone il coniuge richiedente gli consentano o
meno di conservare tale tenore di vita; l’esito negativo di detto accertamento, impone, poi, di
procedere ad una valutazione comparativa dei mezzi di cui dispone ciascun coniuge, nonché di
particolari circostanze (art. 156, comma 2, c.c.), quali ad esempio la durata della convivenza. In tale
valutazione deve tenersi conto dell’attitudine al lavoro proficuo dei coniugi, quale potenziale
capacità di guadagno, la quale viene in rilievo ove venga riscontrata in termini di effettiva possibilità
di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore,
individuale ed ambientale e non già di mere valutazioni astratte ed ipotetiche (cfr. da ultimo Cass.
5817 del 2018). Nella fattispecie può ritenersi pacificamente acclarato che i coniugi, in costanza di
matrimonio hanno avuto un elevatissimo tenore di vita (il quale costituisce, come sopra detto, uno
dei parametri per la determinazione dell’assegno di mantenimento in favore del coniuge cui non sia
addebitabile la separazione ex art. 156 c.c. ), assicurato in via esclusiva dall’attività imprenditoriale
del marito, di cui si è sopra dato conto. All’attualità, il (…) continua a svolgere, sia in Italia che
all’estero, la medesima attività d’impresa, risultando titolare di numerose partecipazioni societarie
(in 13 società di capitali) e rivestendo la carica di rappresentante di diverse società (cfr relazione
della Guardia di Finanza) mentre la ricorrente, la quale si è sempre occupata nel corso del
matrimonio del ménage famigliare e della cura dei cinque figli, è disoccupata ed ha scarse
probabilità di inserirsi proficuamente nel mondo del lavoro, in ragione sia dell’età di anni 47, sia del
notorio stato di crisi occupazionale.
In conclusione, valutando comparativamente le situazioni economiche dei coniugi, tenuto conto
della durata del matrimonio (i coniugi si sono sposati nel 1999) e delle ragioni del suo naufragio
(imputabili al resistente), va confermato il diritto della ricorrente all’assegno di mantenimento nella
congrua misura di Euro 3.000, come stabilito nel richiamato decreto della Corte di Appello, oltre
rivalutazione monetaria Istat.
Le spese processuali seguono la soccombenza del resistente e vanno liquidate, come da dispositivo,
in favore dello Stato italiano, stante l’ammissione della ricorrente al gratuito patrocinio.
P.Q.M.
Il Tribunale di Teramo, definitivamente pronunciando, nella causa civile in epigrafe indicata, così
provvede:
1) dichiara la separazione personale dei coniugi (…) e (…), con addebito a quest’ultimo;
2) conferma l’ordinanza presidenziale in data 8 marzo 2017 in ordine all’affidamento condiviso delle
figlie minori ad entrambi i genitori, alla collocazione prevalente delle stesse presso la madre ed
all’assegnazione a quest’ultima della casa coniugale di Tortoreto;
3) dispone che il padre possa vedere e tenere con sé le figlie minori secondo le modalità impartite
nell’ordinanza istruttoria in data 27/1/2021;
4) conferma, in ordine al mantenimento dovuto dal resistente per i tre figli maggiorenni ed
economicamente non indipendenti e per le due figlie minorenni, l’assegno mensile di Euro 5.000,
stabilito nel decreto della Corte di Appello di L’Aquila in data 19 settembre 2017, oltre rivalutazione
monetaria ISTAT;
5) pone a carico esclusivo del resistente le spese straordinarie necessarie per la prole, da
individuare, in difetto di diverso accordo tra i coniugi, sulla scorta del Protocollo d’Intesa con il
Presidente del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Teramo in data 5 dicembre 2018;
6) conferma, in ordine al mantenimento della ricorrente, l’assegno mensile di Euro 3.000, stabilito
nel predetto decreto della Corte di Appello, oltre rivalutazione monetaria ISTAT;
7) condanna il resistente al pagamento delle spese processuali nella misura di Euro 5.000, oltre
rimb. forf. ed accessori di legge, disponendone il pagamento in favore dello Stato Italiano;
8) dispone che il competente Ufficiale di Stato civile provveda all’annotazione della presente
sentenza.
Così deciso in Teramo il 2 novembre 2021

Reclamo avverso l’Ordinanza presidenziale per vizi evidenti.

Corte d’Appello di Torino 22 febbraio 2022

CORTE D’APPELLO DI TORINO
Sezione Famiglia
La Corte, riunita in camera di consiglio nelle persone dei Signori Magistrati
Dott. Enrico Della Fina Presidente
Dott. Carmen Rita Mecca Consigliere
Dott. Carmela Mascarello Consigliere Rel.
Letto il reclamo rgv 550-2021 ex artt. 708 co. 4° c.p.c. e 4 co. 2° L. 8.2.2006 n. 54 avverso
l’ordinanza presidenziale emessa il 9-14 settembre 2021 dal Presidente del Tribunale di CUNEO nel
giudizio per separazione giudiziale tra coniugi
reclamo proposto da
TIZIO residente in …… rappresentato e difeso dagli avv. …………… con studio in ……..
PARTE RECLAMANTE
nei confronti di
CAIA rappresentata e difesa dall’avv. Luisa Scotta del foro di Cuneo con studio
in Scarnafigi
PARTE RECLAMATA
Viste le argomentazioni contenute nei rispettivi atti difensivi.
Preso atto che il P.G. Carlo Maria Pellicano non ha rassegnato conclusioni
Pronunzia il seguente
DECRETO
Nell’ ordinanza impugnata il Presidente del Tribunale di Cuneo, ha autorizzato i coniugi a
vivere separati e ha posto a carico del signor TIZIO un assegno di mantenimento per la moglie
signora CAIA che ha quantificato in euro 500 mensili oltre rivalutazione annuale secondo gli
indici Istat.
L’ordinanza presidenziale nella motivazione evidenziava che il reddito del marito, di oltre 2.000
euro mensili, era superiore a quello percepito dalla moglie pari a euro 1500
mensili. Inoltre la situazione appariva sperequata a favore del marito il quale disponeva di
un’abitazione concessagli a titolo gratuito dalla sua famiglia mentre la signora CAIA aveva dovuto
prendere in locazione un alloggio al canone di 480 euro mensili.
La determinazione dell’entità dell’assegno di mantenimento teneva altresì conto della breve
durata del matrimonio pari a due anni.
Con il reclamo iscritto il 5 novembre 2021 a fronte di un’ordinanza non notificata, il signor
TIZIO impugnava l’ordinanza asserendo che il Presidente nell’ordinanza impugnata non aveva
tenuto conto dell’effettivo stipendio percepito dalla moglie che con la tredicesima e la
quattordicesima mensilità arrivava a percepire in media1915,53 euro al mese (il Cud 2020
evidenziava infatti un reddito annuo netto pari a 22.986,38).
Il signor TIZIO precisava di essere socio in un’azienda famigliare ricomprendente una cascina e
numerosi terreni che appartenevano per due terzi ai suoi genitori e per un terzo al reclamante.
Quest’ultimo affermava che il proprio reddito mensile netto era pari a 2.000,00/2.200 euro al
mese.
Ammetteva di vivere in un alloggio di proprietà dei genitori e produceva con il reclamo un
documento dal quale risultava che questi ultimi glielo avevano chiesto in restituzione.
Allegava che la moglie aveva preso in affitto un alloggio ad un canone superiore a quello medio
della zona.
Esponeva inoltre che la moglie aveva risparmi per 50.000 euro e che aveva dato in prestito
10.000 euro a suo fratello.
Sottolineava che il tenore di vita durante la vita matrimoniale era stato modesto. Concludeva
quindi chiedendo la revoca dell’assegno di mantenimento per la moglie o, in subordine, la
riduzione di tale assegno.
Si è costituita in giudizio la signora CAIA la quale ha esposto di svolgere la mansione di
impiegata presso un notaio a Saluzzo ed ha affermato di avere percepito nel 2020 un reddito di circa
20.000 euro al netto delle imposte, al quale doveva aggiungersi la somma netta di 730 euro per il
periodo di cassa integrazione durante il lockdown.
Evidenziava che dal doc. 12 (visura camerale) prodotto in sede di udienza presidenziale,
risultava che il TIZIO era titolare di un’impresa individuale con 5 dipendenti. Il TIZIO, peraltro,
non aveva fornito alcuna prova dell’esistenza di un’impresa famigliare e aveva dichiarato di
sostenere da solo il pagamento degli affitti e di tutti i costi dei finanziamenti tanto che versava circa 6200 euro mensili per rate di finanziamenti.
Egli era titolare di un’impresa agricola ben avviata, era proprietario di una BMW X3 ed aveva
contratto una locazione finanziaria per l’acquisto di un’autovettura Alfa Romeo Stelvio.
Era inoltre proprietario di numerosi terreni in Barge e Saluzzo.
La signora CAIA asseriva per contro di non essere proprietaria di immobili e di essere stata
costretta a prendere in locazione un appartamento.
Precisava che la somma di 50.000 euro sul conto bancario le derivava per 10.000 euro da
risparmi e per 40.000 euro da un mutuo.
Concludeva quindi per la reiezione del reclamo con vittoria di spese. Il
reclamo è infondato e deve essere rigettato.
Va premesso che lo strumento del reclamo avverso il provvedimento provvisorio del
Presidente del Tribunale in sede di giudizio di separazione ha lo scopo di ottenere il riesame
della valutazione effettuata in un contesto di sommarietà dell’indagine e di incompleta conoscenza
dei fatti sulla base degli elementi forniti dalle parti al primo giudice.
Poiché la causa prosegue in primo grado ove deve iniziare l’istruttoria e poiché in sede di
udienza presidenziale vengono pronunciati provvedimenti temporanei e urgenti, dunque da valere
rebus sic stantibus, detta impugnazione è finalizzata alla censura di evidenti vizi di motivazione
ovvero di illogicità o contraddizioni nel ragionamento del primo giudice o mancata valutazione di
circostanze di fatto già rilevanti e già acquisite agli atti.
Nel caso di specie, le disposizioni impartite dal Presidente in ordine alla previsione di un
assegno di mantenimento a favore della moglie appaiono in linea con la situazione economica e
reddituale delle parti quale risultante allo stato degli atti e fermo restando che, nel caso in esame,
saranno necessari ulteriori approfondimenti istruttori nel giudizio di merito.
In primo luogo dall’esame delle certificazioni uniche dei redditi anni 2018 e 2019 della signora
CAIA risulta che il suo reddito medio netto mensile su dodici mensilità è di circa 1920 euro.
Più difficile risulta allo stato degli atti determinare il reddito del coniuge signor TIZIO. Egli
infatti risulta titolare di un’impresa individuale con sede in Saluzzo ……………, avente ad oggetto
attività agricola di colture frutticole e cerealicole con 5 dipendenti (cfr visura camerale in atti).
Inoltre dall’esame della dichiarazione dei redditi in atti del periodo di imposta 2017 risulta proprietario esclusivo di ben 22 terreni circostanza che
depone per un’impresa agricola di medie dimensioni.
E’ evidente che il reddito derivante dall’attività di imprenditore può essere variabile e che le
dichiarazioni dei redditi spesso non riflettono pienamente la reale situazione finanziaria e
patrimoniale dell’impresa.
Solo un’istruttoria più approfondita potrà accertare il reddito e il patrimonio di cui è titolare il
signor TIZIO dovendosi pur tuttavia darsi atto fin da ora che egli ha dichiarato avanti al Presidente
di percepire 2.000/2.200 euro mensili netti e di far fronte al pagamento di rate di mutuo, imposte,
stipendi per 260.000 euro annui.
Sotto il profilo della situazione abitativa il signor TIZIO, peraltro, è favorito perché è rimasto a
vivere nella casa ex familiare di proprietà dei genitori. La richiesta di restituzione dell’immobile da
parte dei genitori è un documento prodotto solo in grado di appello e quindi deve ritenersi
inammissibile perché nuovo.
La signora CAIA, invece, ha dovuto prendere in locazione un appartamento e paga un canone
mensile che, allo stato e salvo ulteriori accertamenti, non può ritenersi eccessivamente elevato ( 480
euro mensili cfr. doc. 21).
Ne consegue che sussiste allo stato una sperequazione reddituale tra le parti che non consente
alla signora CAIA di mantenere il medesimo tenore di vita goduto durante il matrimonio da ritenersi
elevato tenuto conto dei redditi percepiti dal coniuge e del patrimonio di cui quest’ultimo è titolare.
Ella infatti, una volta pagato il canone di locazione, verrebbe ad avere a disposizione circa
1.400 euro mensili. Inoltre la medesima non risulta avere altre fonti di reddito né risulta
proprietaria di beni immobili.
Il signor TIZIO per contro, secondo quanto da lui dichiarato, percepirebbe circa 2.200 euro
mensili anche se tale somma non risulta in linea né con il numero dei dipendenti dichiarati (5) né
con l’ammontare dei finanziamenti contratti e delle spese pagate.
La durata del matrimonio è stata breve ma non trascurabile (due anni) e quindi tale da far
scattare gli obblighi di solidarietà familiare che sono alla base della previsione di un assegno di
mantenimento a favore della moglie pari a 500 euro mensili.
Ne consegue che la previsione allo stato di un assegno di mantenimento a carico del marito
appare equa e, di conseguenza, il reclamo deve essere rigettato.
Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza e sono a carico
del reclamante nella misura liquidata in dispositivo secondo i parametri
medi della volontaria giurisdizione(valore della causa ex art. 13 cpc pari a
12.000 euro).
P.Q.M.
LA CORTE D’APPELLO DI TORINO
Sezione Minorenni
– Famiglia
Visti gli att. 708, 739 c.p.c. e 4 L. 54/2006,
rigetta il reclamo proposto da TIZIO contro CAIA nei confronti
dell’ordinanza del Presidente del Tribunale di Cuneo che conferma.
Condanna TIZIO a rifondere le spese della presente fase alla signora
CAIA che liquida in euro 1.350 oltre rimborso forfettario spese generali
15%, iva e cpa.

L’assegno unico per i figli è svincolato dal mantenimento.

Tribunale di Oristano, 7 marzo 2022
TRIBUNALE DI ORISTANO
SEZIONE CIVILE
VERBALE DI UDIENZA CON TRATTAZIONE SCRITTA
ai sensi dell’art. 83, comma 7, lettera h), D.L. n. 18/2020 e successive modifiche
Nella causa in epigrafe indicata, oggi 07/03/2022, il giudice dott. Gabriele Bordiga;
PREMESSO
che appare opportuno redigere il presente atto nella forma del verbale al fine di assicurare la
continuità degli eventi del registro generale rispetto all’udienza con trattazione scritta,
occorrendo a tal fine che il verbale si chiuda con provvedimento ordinatorio o decisorio del
giudice;
ATTESTA
quanto segue:
− è presente il solo giudice;
− l’udienza si svolge, tramite scambio di memorie, ai sensi dell’art. 83, comma 7, lettera h), DL
n. 18/2020, come modificato dall’art. 221, DL n. 34/2020, convertito dalla legge 17 luglio 2020,
n. 77 e successivamente modificato, nonché ai sensi della proroga disposta dall’art. 16, DL n.
228/2021
− la cancelleria ha comunicato alle parti il decreto, in modalità telematica ed ha accettato
tempestivamente le note scritte da esse depositate;
COSÌ PROVVEDE
Viste le note d’udienza depositate dalle parti; rilevato che il difensore della ricorrente ha
documentato di aver effettuato presso il datore di lavoro del Mevio la richiesta di consegna
delle buste paga, del contratto di lavoro e dell’ultima dichiarazione dei redditi, ricevendo in
risposta solo le ultime buste paga del resistente, in quanto Sempronia, sua datrice di lavoro, ha
attestato di non avere altre informazioni;
considerato che l’Avv. Atzori ha dedotto che il Mevio avrebbe cambiato lavoro, permanendo
presso la PiE-Gebäudereinigung fino al giugno 2021 e incominciando in seguito un nuovo
rapporto professionale;
rilevato che tale circostanza appare confermata dalle produzioni del Mevio, il quale ha allegato
le buste paga relative al 2021 solo fino a quella di luglio (la quale, peraltro, pur interamente in
tedesco, sembra riportare l’importo netto di € 0 quale guadagno per quella mensilità);
rilevato che la busta paga del gennaio 2022, da ritenersi – in accordo alla ricostruzione offerta
dalla Tizia – riconducibile al nuovo rapporto di lavoro del resistente, risulta ancora una volta
quasi completamente illeggibile nonché in lingua tedesca;
rilevato che il resistente non ha proceduto al deposito della documentazione reddituale
tradotta in italiano, nonostante avesse espressamente assunto tale impegno alla scorsa
udienza, a tal fine richiedendo appositamente un rinvio; ritenuto che, anche alla luce
dell’evoluzione della situazione lavorativa del Mevio, sia necessario acquisire informazioni
certe circa le condizioni economiche relative alla sua attuale occupazione nonché i redditi
maturati negli ultimi anni; considerato che la ricorrente ha allegato il mancato pagamento da
parte del resistente dell’assegno di mantenimento per i figli a partire da ottobre 2021,
momento dal quale la stessa Tizia ha iniziato a ottenere gli assegni familiari per i minori dalla
Germania;
rilevato che, da un lato, la ricorrente ha dato atto e documentato di ricevere gli assegni
familiari percepiti dal resistente in Germania sulla base della normativa tedesca ed
eurounitaria, mentre dall’altro il resistente ha affermato di essersi attivato “al fine di ottenere
ulteriori sussidi in favore dei propri figli da corrispondersi direttamente alla sig.ra Tizia __”,
senza che sia chiara la tipologia o l’entità di tali sussidi;
rilevato che la documentazione prodotta dal resistente e attestante il pagamento del
mantenimento consente – nonostante, anche in questo caso, la pessima qualità dell’immagine
e la non agevole intellegibilità del contenuto – di evincere che i bonifici siano stati effettuati dal
Mevio fino al 10 settembre 2021 ma non oltre;
ritenuta la necessità di convocare i difensori delle parti per chiarire tutti i profili succitati,
anche in considerazione della possibilità di procedere mediante rogatoria per i cittadini italiani
residenti all’estero (artt. 203 e 204 cpc) all’acquisizione della documentazione necessaria alla
ricostruzione della situazione patrimoniale del Mevio;
ritenuto che la percezione degli assegni familiari non incida, salva diversa pattuizione o
statuizione, sulla misura del mantenimento dovuto, considerato anche quanto affermato dalla
Suprema Corte: “gli assegni familiari per i figli corrisposti dal datore di lavoro, se non
espressamente considerati nella determinazione dell’ammontare del mantenimento per la
prole, non influiscono sulla base delle entrate su cui calcolare il concorso dei coniugi al
mantenimento dei figli” (Cassazione civile sez. I, 07/05/2019, n.12012)
PQM
Invita il resistente a dar seguito all’impegno assunto alla scorsa udienza, depositando l’attuale
contratto di lavoro e le relative buste paga, nonché le dichiarazioni dei redditi relative agli
ultimi tre anni, documenti tutti tradotti in lingua italiana, tenuto conto che “nei procedimenti
di separazione o divorzio, l’omessa produzione della documentazione reddituale e bancaria,
senza giustificato motivo, può ritenersi fonte di presunzione di disponibilità economiche
maggiori rispetto a quelle dichiarate” (cfr. Tribunale di Roma, sentenza 765, sezione I, del 11-
01-2019);
assegna a tal fine al resistente il termine per il deposito telematico di quanto richiesto del
30.6.2022;
fissa, per interloquire con i procuratori delle parti su quanto esposto in parte motiva, la
successiva udienza dell’11.7.2022

I tempi di permanenza non sono guidati dalla ricerca della migliore figura genitoriale.

Cass. I Sez., 14 febbraio 2022 n.4790
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –
Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11303/2021 proposto da:
S.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via di Valle
Alessandra, n. 30/M presso lo studio dell’Avvocato Roberto Perghem e
rappresentato e difeso dagli Avvocati Monica Bellon e Michela Bellon
giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
M.D., elettivamente domiciliata in Roma, Via Tommaso
Salvini, 55 presso lo studio dell’Avvocato Paolo De Sanctis Mangelli
che la rappresenta e difende con l’Avvocato David Biasetti per
procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TRENTO SEZIONE DISTACCATA
DI BOLZANO, n. 24/2021 depositato il 16/02/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
26/01/2022 dal Cons. Scalia Laura.
1. S.M. propone ricorso, affidato a tre motivi, illustrati da memoria, per la cassazione del decreto in
epigrafe indicato con cui la Corte d’Appello di Trento, Sezione Distaccata di Bolzano, ha
confermato il provvedimento impugnato, adottato dal Tribunale di Bolzano il 15 luglio 2020 in un
giudizio introdotto con ricorso ex art. 337-bis c.c., da M.D., che con S. aveva intrattenuto dal 2006
all’agosto 2019 una relazione more uxorio dalla quale erano nate, rispettivamente, il (OMISSIS) ed
il (OMISSIS), le due figlie, A. e L..
In precedenza, il medesimo tribunale, adito in via d’urgenza dalla signora M.D., con ordinanza in
data 18 marzo 2020, aveva provveduto in ordine al regime di visita e mantenimento delle minori,
stabilendone l’affido congiunto a padre e madre, e la collocazione a settimane alterne presso i
genitori, con assegnazione della casa familiare al padre e fissazione a suo carico di un contributo
perequativo per il mantenimento ordinario, pari ad Euro 200,00 mensili, in favore di ciascuna figlia,
oltre il 50% delle spese straordinarie poste in capo ad entrambi i genitori.
La corte di merito, nel confermare in sede di reclamo il provvedimento del 15 luglio 2020: ha
affidato le minori, in regime condiviso, ad entrambi i genitori, con collocazione prevalente presso la
madre; ha stabilito il diritto del padre di tenere con sé le figlie durante la settimana ed i tempi delle
vacanze scolastiche delle minori da trascorrere presso ciascun genitore; ha disposto l’assegnazione
della casa familiare al padre, con obbligo del padre di versare alla madre, per il mantenimento
ordinario di ciascuna figlia, la somma mensile di Euro 500,00; ha stabilito il concorso di ciascun
genitore alle spese straordinarie per le figlie, nella misura del 60% quanto al padre e del 40% quanto
alla madre.
Resiste con controricorso M.D..
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 337-ter c.c. e
dell’art. 8 Cedu in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La Corte d’Appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano, nel valutare l’interesse delle figlie a
mantenere la regolamentazione del loro collocamento presso i genitori nei termini di cui al
pag. 3/6
provvedimento impugnato o, invece, a ripristinare la diversa disciplina di cui all’ordinanza adottata
in via provvisoria del Tribunale di Bolzano in data 18 marzo 2020 – che prevedeva un collocamento
paritario, a settimane alterne, presso l’uno e l’altro genitore – aveva erroneamente mantenuto la
distribuzione dei periodi tra gli affidatari nei termini più stretti di cui all’impugnato provvedimento
del luglio 2020.
Era così stato limitato il diritto del padre ad una significativa e piena relazione con le minori,
rispettosa dei principi dell’affido condiviso e della bigenitorialità, invece preservata dalla
regolamentazione assunta in via provvisoria.
Quest’ultima disciplina aveva peraltro già trovato una propria positiva attuazione al venir meno
della convivenza di coppia, in ragione della vicinanza delle abitazioni dei due genitori.
I giudici del reclamo avevano deciso sulla collocazione prevalente delle figlie presso la madre,
confermando la decisione del primo giudice del luglio 2020, in ragione della indimostrata evidenza
che costei durante la convivenza more uxorio si fosse occupata in misura maggiore delle minori e
che il padre, invece, “durante il periodo COVID”, le avrebbe spesso lasciate da sole.
Tanto era avvenuto in ragione dei contenuti di un file audio allegato all’ultima memoria
conclusionale da controparte e su cui il ricorrente non aveva potuto prendere posizione.
La voce registrata era comunque solo quella della signora M. senza che si capisse con chi la stessa
si trovasse a parlare; il ricorrente avrebbe poi potuto spiegare che il proprio luogo di lavoro si
trovava presso l’abitazione familiare e che egli, pertanto, anche quando lavorava, si sarebbe sempre
trovato vicino alle figlie.
L’assunta determinazione avrebbe comportato il rischio di troncare le relazioni familiari tra le figlie
in tenera età ed il padre, nella inosservanza dei principi affermati dalla Corte Edu, da questa Corte
di cassazione, dalla Convenzione sui diritti dell’Infanzia sottoscritta a New York il 20/11/1989,
esecutiva in Italia con la L. n. 176 del 1991, e della Carta di Nizza – ora parte del Trattato di
Lisbona -, dalle sanzioni della Corte di Strasburgo all’Italia per violazione dell’art. 8 della Carta
Europea dei Diritti dell’Uomo (rispetto alla vita familiare) e dalle condanne irrogate dalla Corte
Europea dei Diritti dell’Uomo all’Italia per non aver consentito lo sviluppo di una vita affettiva ai
padri separati.
2. Nell’esame del motivo non si ignora l’esistenza, all’interno di questa stessa Sezione, dell’indirizzo
(da ultimo, cfr., Cass. 11/01/2022, n. 614, in una ipotesi di separazione personale; così ancora, Cass.
11/11/2021, n. 33609; Cass. 11/11/2021, n. 33612) che vuole la non ricorribilità in cassazione ai
sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, dei provvedimenti che abbiano statuito sui tempi di permanenza
presso genitori e sul diritto di visita del figlio minore, ritenendo che debba invece lasciarsi margine
alla indicata ricorribilità là dove, come nella fattispecie in esame, si deduca l’esistenza di una
violazione del diritto alla bigenitorialità, leso dalle modalità di collocamento che nel loro concreto
estrinsecarsi si rivelino portatrici di restrizioni all’esercizio del genitore.
Esclusa quindi l’inammissibilità del ricorso per erronea individuazione dello strumento di tutela, il
motivo è ancora inammissibile per sua non perspicuità e conducenza, esponendosi, pure, nei termini
di seguito precisati, ad un giudizio di sua infondatezza.
2.1. Il motivo è inammissibile, infatti, urtando con scelte discrezionali e di fatto rimesse al giudice
del merito nel dare composizione ad un sistema di frequentazione tra genitori e figli, in un quadro di
affidamento condiviso e di tempi di collocamento sostanzialmente paritetici, che resta segnato dalla
individuazione del genitore di riferimento a gestire la quotidianità degli impegni e le esigenze dei
figli minori, per un percorso teso a privilegiare la determinazione di un loro stabile ambiente di vita.
La disciplina dei tempi di permanenza dei minori presso un genitore piuttosto che l’altro, e la
correlata frequentazione, non è guidata dalla ricerca della migliore figura genitoriale, che per la cura
posta nell’educazione meriti conferma, ma dall’attenzione da darsi alle esigenze del figlio, attraverso
l’individuazione di un ambiente di vita e riferimento.
In siffatta cornice ad essere in gioco non è pertanto il diritto alla bigenitorialità del genitore, con
divieto di restrizioni al relativo esercizio, destinate ad assumere, anche, rilievo convenzionale (art. 8
Cedu), ma più strette esigenze di natura materiale, volte a dare soddisfazione alla migliore
gestibilità e comodità delle esigenze di vita dei figli minori senza ipotecare di quel diritto,
riconoscimento e tutela.
I giudici del reclamo valorizzano così la preferibilità del regime di collocazione e permanenza delle
figlie presso i due genitori nella disciplina individuata nel provvedimento davanti a loro impugnato
-quello, quindi, adottato dal Tribunale di Bolzano il 15 luglio 2020 e non più quello in via d’urgenza
pronunciato dal medesimo giudice il 18 marzo 2020 – che, diretto a fissare i fine settimana di
permanenza presso ciascun genitore, non è più propositivo di una collocazione a settimane alterne
tra padre e madre, con reiterazione di quello che era stato il modello osservato nei primi tempi della
cessazione della convivenza tra i genitori.
Tanto avviene, per i giudici della corte d’appello, avuto riguardo alla migliore organizzazione delle
attività del padre, lavoratore autonomo, e delle esigenze delle figlie, non comportando il sistema
prescelto un sensibile cambio delle abitudini di vita di queste ultime, rispetto alle quali la soluzione
valorizzata serve ad individuare l’ambiente principale di vita.
Il motivo ha indubbie ricadute nel merito introducendo, la di là delle dedotte violazioni di legge,
una rilettura delle evidenze fattuali, composte dai giudici del reclamo nel debito rapporto tra motivi
e deduzioni di parte e contenuto del provvedimento impugnato.
2.2. Il motivo è comunque infondato là dove deduce la violazione dell’art. 337- ter c.c. e del
principio della bigenitorialità.
La regolamentazione della permanenza e frequentazione tra genitori e figlie minori, così come
concretamente fissata nel provvedimento impugnato, si traduce, infatti, in un collocamento
sostanzialmente paritetico presso i due genitori, come correttamente rileva la stessa corte
territoriale.
Vale sul punto, comunque, il principio secondo il quale, la frequentazione, del tutto paritaria, tra
genitore e figlio che si accompagna al regime di affido condiviso, nella tutela dell’interesse morale e
materiale del secondo, ha natura tendenziale ben potendo il giudice del merito individuare,
nell’interesse del minore, un assetto che se ne discosti, al fine di assicurare al minore stesso la
situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena (Cass. 17/09/2020,
n. 19323; Cass. 13/02/2020, n. 3652).
3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’erroneità e contraddittorietà della motivazione, la
mancata ammissione dei capitoli di prova orale e l’illegittima compromissione del diritto di difesa e
di prova del reclamante oltre che la carenza istruttoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto non necessario assumere le prove del reclamante
al fine di formulare il giudizio sulla capacità del singolo genitore di crescere ed educare i figli ed
avrebbe dovuto escludersi l’automatismo, cui invece la corte territoriale era ricorsa, nell’adozione
dell’impugnato provvedimento, pur nelle contestate lacune istruttorie.
La nuova regolamentazione avrebbe comportato un drastico mutamento dei rapporti padre/figlie ed
un improvviso distacco delle minori dal padre e le avrebbe private della stabile consuetudine di vita
e delle salde relazioni affettive con il genitore ed il suo ambiente sociale e familiare, con
pregiudizio del preminente interesse alla loro crescita serena ed armoniosa.
3.1. Il motivo è inammissibile perché versato in fatto.
3.2. In ogni caso la proposta critica resta assorbita, nei suoi contenuti, dalle ragioni indicate sub n. 2
sulla non capacità della regolamentazione in concreto adottata, in punto di collocamento e visita
delle minori, ad incidere sul diritto alla bigenitorialità, comunque declinato.
4. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 148,
316-bis e 337-ter c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 e apparenza di motivazione.
La Corte d’Appello di Trento-Sezione distaccata di Bolzano nel rideterminare l’assegno di
mantenimento a carico del padre ed a favore delle minori nell’ammontare di 350,00 Euro mensili, e
nel confermare la ripartizione delle spese straordinarie al 60% in capo al padre ed al 40% in capo
alla madre, non aveva fatto alcun riferimento alle attuali e concrete esigenze di vita delle minori e
non aveva operato una valutazione comparativa dei redditi concreti e reali dei due coniugi.
I giudici del reclamo avevano svolto, piuttosto, considerazioni astratte che, prescindendo dagli
effettivi e documentati oneri esistenti in capo alle parti (il rateo di mutuo mensile gravante sul padre
per l’importo di Euro 1.721,00 con durata fino al 2041 non contestato ex adverso), avrebbero
ipotizzato situazioni di gran lunga differenti dalla realtà, là dove avevano ritenuto la possibilità per
il padre di ottenere un rateo mensile di mutuo del più limitato importo di Euro 750,00, quale esito di
una operazione di surroga che, nel sortito effetto di “diluire” nel tempo il debito restitutorio, non
avrebbe tenuto conto del fatto che il mutuatario, il quale aveva contratto un mutuo fino al 2041,
epoca in cui avrebbe raggiunto l’età di sessantacinque anni, avrebbe dovuto, altrimenti, toccare
l’impossibile età di cento anni.
La conferma del riparto delle spese straordinarie era poi avvenuto con motivazione apodittica.
4.1. Il motivo è infondato perché la corte di merito dà applicazione ai criteri di cui all’art. 337-
quater c.c., raccordando gli esiti delle valutazione svolte sui redditi dei due genitori, con i tempi di
permanenza presso di loro delle figlie e perché la portata critica comprende profili di contestazione
in cui non rientrano, se non per apodittico e non puntuale loro richiamo, le esigenze delle minori.
4.2. Il sindacato che si sollecita a questa Corte è comunque, in modo inammissibile, di merito sia
per i contenuti relativi all’ammontare delle rate di mutuo, nella possibilità di una loro rinegoziazione
alle condizioni date, sia per la misura del contributo alle spese straordinarie.
Rispetto ai contenuti da ultimo indicati, più puntualmente, fermo il principio secondo il quale, in
tema di riparto delle spese straordinarie per i figli, il concorso dei genitori, separati o divorziati,
della cui responsabilità si discuta in procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio, non
deve essere necessariamente fissato in misura pari alla metà per ciascuno, secondo il principio
generale vigente in materia di debito solidale, ma in misura proporzionale al reddito di ognuno di
essi, tenendo conto delle risorse di entrambi e della valenza economica dei compiti domestici e di
cura assunti (Cass. 19/11/2021, n. 35710), ogni ulteriore proposta censura si rivela, ancora una
volta, di squisito merito.
5. In via conclusiva il ricorso è infondato e va rigettato.
Spese compensate nell’apprezzata peculiarità della fattispecie in esame.
Contributo esente e dati oscurati.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.
Trattandosi di procedimento esente dal contributo unificato, non trova applicazione ilD.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dallaL. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,
comma 17.
Si dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati
identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 26 gennaio 2022.

Dissidi fra i genitori per vaccino anticovid.

Tribunale di Torino, 14 marzo 2022

TRIBUNALE ORDINARIO DI TORINO
Settima Sezione Civile
Il Tribunale, composto dagli Ill.mi Signori Magistrati:
dott. Renata Silva Presidente
dott. Daniela Lodovica Giannone Giudice
dott. Isabella Messina Giudice Relatore
nel procedimento ex art. 709 ter c.p.c. iscritto al numero di ruolo V.G. 2498 / 2022 tra
TIZIA , con il patrocinio dell’avv. LUISA SCOTTA presso cui ha eletto domicilio
parte ricorrente
e
CAIO , con il patrocinio dell’avv. ……………….. presso cui ha eletto
domicilio
e con l’intervento del Pubblico Ministero
ha emesso il seguente
DECRETO
parte convenuta
Con ricorso depositato in data 29.01.2022, Tizia ha domandato di essere autorizzata a prestare il
consenso informato, anche in assenza del consenso paterno, per la somministrazione del vaccino anti
covid alle figlie minori A, nata il ….2009, e B, nata il ……2011.
In fatto, ha allegato che questo Tribunale, con decreto del 3.03.2021, ha omologato la separazione
consensuale dei coniugi Caio-Tizia che prevedeva l’affidamento condiviso delle minori ad entrambi
i genitori. Il sig. Caio, nonostante le richieste della madre, avrebbe rifiutato il consenso a sottoporre le
minori a vaccinazione anti covid. La ricorrente, invece, alla luce del peggioramento della pandemia e
dell’aumentare di casi di positività nelle scuole, al fine di tutelare la salute delle minori ed evitare
anche la loro esclusione dalle attività con i coetanei, ritiene necessaria la somministrazione del vaccino.
In particolare ha allegato come la figlia maggiore A, non potrà più praticare l’attività sportiva di
pattinaggio agonistico di figura su ghiaccio se sfornita di Super Green Pass.
La ricorrente ha depositato certificati medici a firma del pediatra dott. ………………… che attestano
l’assenza di controindicazioni alla somministrazione del vaccino anticovid rispettivamente ad A e B.
Si è costituito il sig. Caio opponendosi alla domanda sulla scorta delle seguenti considerazioni, così
sintetizzate: bassissimo rischio per i bambini di sviluppare forme gravi di covid 19; mortalità
pediatrica estremamente improbabile; la natura allo stato solo sperimentale del vaccino anti covid;
rapporto rischio beneficio decisamente a sfavore delle vaccinazione in discorso in età pediatrica e
soprattutto in periodo di calo di contagi.
All’udienza del 28.02.2022 sono state sentite personalmente le parti.
È stata altresì ascoltata la minore A (di anni 13) la quale ha confermato la propria volontà di sottoporsi
al trattamento vaccinale anti-Covid 19, esprimendo con convinzione le ragioni a sostegno di tale
posizione. La stessa ha argomentato la scelta di vaccinarsi, ritenendo tale soluzione “giusta” e
necessaria, non solo perché il trattamento vaccinale è richiesto per poter svolgere tutte le attività di
vita ordinaria, dalla pratica di attività sportive all’accesso ai vari locali pubblici, che altrimenti le
sarebbero impedite, con ciò causandole disagio, ma anche a tutela della salute. Inoltre, la minore ha
fortemente evidenziato come la mancata vaccinazione le abbia impedito di proseguire gli allenamenti
di pattinaggio artistico su ghiaccio, sport che pratica da ormai 5 anni e che aveva appena ripreso dopo
la sospensione dovuta al Covid (v. verbale d’udienza 28.02.2022).
Ritiene il Collegio che la domanda sia fondata e che, come tale, vada accolta.
Come noto, la somministrazione del vaccino anti-Covid 19 ai bambini, anche nella fascia d’età 5-11
anni, è stata approvata dalla Commissione Tecnico Scientifica di AIFA, accogliendo il parere
espresso dall’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), ed è raccomandata – CDC
recommends everyone ages 5 years and older get a COVID-19 vaccine to help protect against
COVID-19 – (circolari del Ministero della Salute del 4.6.21, del 24.12.21, del 5.1.22 e del 7.12.21).
In particolare, con il parere CTS – 1/12/2021 sono state espresse puntuali considerazioni sulla
opportunità di vaccinare anche i bambini nella fascia d’età 5-11, evidenziandosi il rischio
apprezzabile – da scongiurare – che, associata all’infezione da covid 19, la popolazione di quell’età
sviluppi la cd. sindrome infiammatoria multisistemica, la quale rappresenta una condizione clinica
grave che richiede il ricovero in terapia intensiva.
Nel caso di specie, non sussistano fondate ragioni per negare l’autorizzazione alla somministrazione
del trattamento vaccinale anti-Covid 19 in favore di entrambe le minori, pur in difetto del consenso
paterno, atteso che, a fronte di una scelta – quella della somministrazione del vaccino anticovid –
effettuata da organismi nazionali e sovranazionali deputati alla tutela della salute individuale e
pubblica, è sufficiente, nel caso di specie, che i medici che hanno in cura A e B non rilevino la presenza
di controindicazioni, non potendo essi esprimersi in termini “astratti” di opportunità di somministrare
il vaccino alle minori, essendo questa una valutazione già compiuta a monte da organismi sanitari a
ciò deputati.
Venendo, da ultimo, alle spese di lite, considerata la novità e la delicatezza della questione, esse si
pongono a carico del sig. Caio in misura della metà, secondo la liquidazione fatta in dispositivo –
applicato il DM 55/2014 scaglione unico VG -. La restante parte si compensa.
P.Q.M.
Visto l’art. 709 ter e 737 segg. c.p.c.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita:
AUTORIZZA Tizia a prestare il consenso informato alla somministrazione del trattamento vaccinale
anti Covid-19 ed i relativi richiami per le figlie A ed B, anche in assenza del consenso dell’altro
genitore;
PONE a carico del sig. Caio ed in favore della sig. Tizia le spese di lite in misura di 1/2, quota che
liquida in euro 1.500 oltre iva, cpa e spese generali nella misura di legge.
COMPENSA tra le parti le spese di giudizio per la restante parte.
Così deciso nella Camera di Consiglio della sezione VII civile del Tribunale di Torino in data
10.3.2022

Decisioni sanitarie in esclusiva al genitore pro vax.

Tribunale di Marsala, 24 marzo 2022

TRIBUNALE DI MARSALA
SEZIONE CIVILE
VERBALE DI UDIENZA
Il giorno 24.3.2022, innanzi al Giudice dott. Michele Ruvolo, viene chiamata la
causa R.G. n. 2470 dell’anno 2020 promossa da
CAIA (avv. ANGILERI MARIA CARLA)
CONTRO
TIZIO
Si dà atto che è presente l’avv. ANGILERI MARIA CARLA per CAIA.
L’avv. Angileri insiste nel ricorso e nell’istanza avanzata il 22.3.2022.
IL GIUDICE
dopo breve camera di consiglio e fatto rientrare in aula l’avv. Angileri,
provvedendo nel procedimento civile iscritto al n. 2470-1/2020 R.G.; pronuncia
il seguente
DECRETO
Con istanza depositata in data 8/3/2022, nell’ambito del procedimento iscritto
al n. 2470/2020 R.G., CAIA ha chiesto a questo Tribunale l’autorizzazione a far
somministrare il vaccino anti covid-19 alla propria figlia minore, Caietta, nata
a Marsala il __/7/2010. A fondamento della propria richiesta la ricorrente ha
allegato le seguenti circostanze: a) che la somministrazione del vaccino anti
covid-19 è ormai autorizzata anche per i soggetti minori di diciotto anni; b) il
rischio per la figlia di contrarre la malattia; c) il pregiudizio per la sua vita di
relazione; d) la necessità della vaccinazione per la regolare frequenza scolastica.
Ha inoltre esposto che il resistente – il cui consenso risulta necessario alla
somministrazione del vaccino – sebbene non abbia manifestato la propria
contrarietà alla somministrazione del predetto vaccino alla figlia, ha rifiutato di
firmare i documenti necessari, dichiarando di essere “no vax” e di non volersi
assumere responsabilità per la vaccinazione della figlia. La ricorrente, stante
l’attuale situazione epidemiologia e considerato il rischio in capo alla minore di
contrarre la malattia, nonché il pregiudizio per la sua vita di relazione, ha chiesto
quindi di poter essere autorizzata a far somministrare alla figlia minore Caietta
il vaccino contro il Covid-19 ed a sottoscrivere il modulo per il consenso in
assenza della sottoscrizione del resistente, Tizio. All’udienza del 10/3/2022 il
Tizio ha dichiarato di non opporsi alla vaccinazione ma di non voler prestare il
consenso e firmare i documenti per la vaccinazione per non assumersi
responsabilità, dichiarandosi “no vax”. Giova innanzitutto osservare che il
presente provvedimento viene assunto ai sensi dell’art. 337 ter del codice civile
a norma del quale “la responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i
genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione,
all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono
assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione
naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa
al giudice”. Deve rilevarsi che dall’istruttoria non emergono elementi di segno
contrario alla somministrazione del vaccino in favore della minore. Non sono
state rappresentate dal genitore ricorrente circostanze idonee a ritenere
configurabili controindicazioni rispetto alla proposta vaccinazione. Tantomeno
sono state rappresentate dal Tizio, comparso in udienza, ragioni contrarie alla
somministrazione del vaccino alla figlia, se non la propria personale posizione
di soggetto “no vax”; Del resto, sarà preciso onere del genitore acquisire il
competente parere del medico di famiglia prima di procedere con la
somministrazione del vaccino. Alla luce di quanto sopra esposto, è innanzitutto
opportuno precisare che, in base ad uno stabile orientamento della
giurisprudenza in merito alle vaccinazioni, il giudice può temporaneamente
sospendere la responsabilità del genitore contrario al vaccino, se quest’ultimo
risulti essere scientificamente efficace alla luce delle condizioni
epidemiologiche (Trib. Milano 17 ottobre 2018; Corte Appello Napoli 30 agosto
2017; Trib. Roma 16 febbraio 2017; Trib. Monza 22 luglio 2021). Il vaccino
contro il virus da covid-19 risulta essere, allo stato della letteratura scientifica,
uno strumento capace di contrastare in modo efficace non solo il diffondersi del
contagio ma anche e soprattutto le conseguenze più gravi della malattia. Anche
la recente giurisprudenza di merito, pronunciatasi su questioni analoghe al caso
di specie, si è espressa in senso favorevole all’accoglimento dell’istanza di
autorizzazione alla somministrazione del vaccino in favore di minorenni in caso
di dissenso di uno dei genitori precisando che «Quanto all’efficacia del vaccino
nella prevenzione della malattia e nel contrasto alla diffusione del contagio la
comunità scientifica sia nazionale che internazionale, sulla base di studi
continuamente aggiornati, è concorde nel ritenere che i vaccini approvati dalle
autorità regolatorie nazionali e internazionali hanno una elevata efficacia nel
proteggere dalla malattia grave sia i singoli sia la collettività ed in particolare i
soggetti vulnerabili con un rapporto rischi-benefici in cui i benefici sono
superiori ai rischi in tutte le fasce di età, comprese quelle più giovani che sono
anche quelle in cui la circolazione del virus è più elevata per la maggiore
socializzazione. L’ampia copertura vaccinale consente poi di rallentare e
controllare la trasmissione della malattia con effetti benefici per tutta la
collettività» (cfr. Tribunale Monza, 22 luglio 2021). A ciò occorre aggiungere
che la mancata autorizzazione, in assenza di patologie che potrebbero costituire
una controindicazione alla sottoposizione al trattamento, determinerebbe un
grave pregiudizio per la salute della minore rimanendo la stessa esposta, già solo
se si considera la frequenza dell’ambito scolastico, ad un elevato pericolo di
contagio. Sebbene l’attuale assetto delle disposizioni legislative non preveda un
obbligo alla somministrazione del vaccino anti covid-19 per i minori dell’età di
Caietta (11 anni), tuttavia, dal 1° dicembre 2021, è stata autorizzata dall’AIFA
la somministrazione del vaccino ai bambini tra 5 e 11 anni. Deve anche notarsi
che per le attuali disposizioni legislative, volte a contenere il contagio, la
mancata somministrazione del vaccino comporterebbe per la minore una forte
limitazione alla sua vita di relazione, non potendo svolgere attività ricreative,
sportive, non potendo accedere a strutture formative. Deve anche rilevarsi che
in caso di mancata vaccinazione la minore sarebbe continuamente esposta al
pericolo di subire conseguenze gravi non solo per la sua salute fisica (in caso di
contagio) ma anche sotto il profilo psichico, sussistendo il concreto rischio che
possa sentirsi discriminata rispetto agli altri suoi coetanei, già sottopostisi al
trattamento sanitario, non potendo riprendere, a differenza di questi ultimi, una
quotidianità quanto più normale possibile, date le circostanze. Del resto, il
mancato consenso del padre non è giustificato dai pareri medici contrari e,
dunque, da ragioni oggettive effettivamente ostative alla somministrazione del
vaccino di cui trattasi. Inoltre, con nota depositata da parte ricorrente il
22/3/2022 si è avuta notizia della recente positività della minore Caietta al Covid
– 19 e dei gravi sintomi dalla stessa manifestati. La ricorrente ha poi chiesto di
essere autorizzata ad assumere da sola, e pertanto in autonomia, le decisioni in
materia sanitaria in genere. Il mancato tempestivo consenso del Tizio alla
vaccinazione della figlia (chiesto dalla Caia già a partire dal 31 gennaio scorso;
v. pec. tra i procuratori delle parti del 31/1/2022) non può non essere valutato ai
fini della decisione odierna. Il Tizio ha infatti dimostrato di non essere in grado
di valutare il superiore interesse della minore da un punto di vista sanitario e di
non essere in grado di assumere tempestive decisioni per la salute della figlia.
Sulla scorta dei superiori rilievi, l’istanza va accolta autorizzando la ricorrente
a far somministrare il vaccino anti covid-19 e i successivi richiami vaccinali e
potendo sottoscrivere in rappresentanza della figlia il consenso informato, anche
in assenza del consenso dell’altro genitore.
La ricorrente viene altresì autorizzata ad assumere, anche in assenza del
consenso dell’altro genitore, tutte le decisioni urgenti (ed ulteriori rispetto alla
somministrazione del vaccino contro il covid-19) per la salute della figlia che si
dovessero rendere necessarie in futuro e ciò tenuto conto della manifestata
incapacità paterna a valutare le urgenze sanitarie della figlia. Le spese al merito.
P.Q.M.
• autorizza la somministrazione del vaccino anti Covid 19 e dei successivi
richiami vaccinali a Caietta, nata a Marsala il 20/7/2010, attribuendo a tal fine
alla madre Caia previa acquisizione del parere del medico di famiglia o pediatra
(ed in ossequio alle previsioni legislative e ministeriali sulla somministrazione
dei vaccini, comprese quelle sulla vaccinazione dei soggetti che hanno avuto
contatto con il virus), la facoltà di accompagnare la figlia presso un centro
vaccinale e di sottoscrivere in rappresentanza della figlia il relativo consenso
informato, anche in assenza del consenso dell’altro genitore;
• autorizza la ricorrente ad assumere, anche in assenza del consenso dell’altro
genitore, tutte le decisioni urgenti (ed ulteriori rispetto alla somministrazione
del vaccino contro il covid-19) per la salute della figlia che dovessero rendersi
necessarie in futuro;
• spese al merito.
Il Giudice Michele Ruvolo

Condannato l’insegnante che adesca un suo alunno minorenne mediante la chat di un social

Cass. Pen., Sez. III, Sent., 22 marzo 2022, n. 9735
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente –
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere –
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere –
Dott. ANDRONIO A. M. – rel. Consigliere –
Dott. AMOROSO Maria Cristina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.A., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/01/2021 della Corte d’appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANDRONIO Alessandro Maria;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale MANUALI Valentina, che
ha concluso chiedendo il ricorso sia rigettato;
udito il difensore, avv. G. B. C.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 12 gennaio 2021, la Corte d’appello di Catania ha confermato – revocando la
disposta misura di sicurezza – la sentenza del Tribunale di Catania del 9 luglio 2019, con la quale –
per quanto qui rileva – l’imputato era stato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione,
con il beneficio della sospensione condizionale, oltre pene accessorie, per il reato di cui all’art. 609-
undecies c.p., a lui contestato per avere adescato un minore di anni 16, alunno nell’istituto scolastico
nel quale egli era insegnante e vicario del preside, mediante l’utilizzo della chat di un social, con
espressioni lusinghiere volte a capirne la fiducia, domande volte a comprenderne l’orientamento
sessuale, terminologie e frasi a riferimento sessuale.
2. Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione,
chiedendone l’annullamento.
2.1. In primo luogo, la difesa premette che vi sono dubbi di legittimità costituzionale della
disposizione incriminatrice, che possono ritenersi superati solo se si valorizzano il carattere vincolato
della condotta incriminata e il fine specifico, che non si può ridurre ad un’analisi introspettiva
dell’animus del soggetto agente, ma esige una verifica oggettiva della sussistenza del dolo, sulla base
del tenore delle conversazioni o comunicazioni intercorse. Su questa premessa, il ricorrente denuncia
vizi della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo
del reato, laddove la Corte d’appello ha valorizzato la conversazione tenuta sul social, nella quale
l’imputato domandava la “fattibilità” di incontri a scopo sessuale. Per la difesa, invece, i dialoghi
intercorsi fra le parti sarebbero privi di significatività, in quanto la richiesta di fattibilità sarebbe
riferita ad incontri a carattere religioso, non essendovi nel contesto chiari riferimenti a sfondo
sessuale, perchè tale non potrebbe essere ritenuto l’uso del termine “pisellino”, di carattere
vezzeggiativo e da intendere, perciò, come sinonimo di “ragazzo”.
Si contesta, inoltre, il fatto che i giudici di merito abbiano desunto il carattere sessuale della
conversazione instaurata dall’imputato dalla mancata esplicitazione del suo reale argomento, nonchè
dall’utilizzazione di un tono incalzante. Non si sarebbe considerato che il proposito del ricorrente era
quello di educare il ragazzo e avvicinarlo alla Chiesa e non sarebbero probanti in senso contrario il
tono utilizzato e lo stacco temporale tra il momento in cui il minore aveva respinto il presunto
tentativo di approccio e quello nel quale l’imputato aveva cercato di dare un senso a tale approccio
riconducendolo ad un invito a partecipare alla comunità religiosa. L’errore dei giudici di merito
sarebbe stato – ancora una volta – quello di desumere elementi contro l’imputato dall’ambiguità e dalla
scarsa chiarezza del tenore delle conversazioni instaurate.
Mancherebbe, in ogni caso, l’accertamento della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato-scopo
di atti sessuali con minorenni, trattandosi di un minore di età compresa tra i 14 e i 16 anni di età e
mancando il rapporto di affidamento richiesto dall’art. 609-quater c.p.
Secondo la Corte d’appello, tale rapporto di affidamento deriverebbe dal ruolo di vicario del preside
assunto dall’imputato, insegnante nell’istituto scolastico frequentato dal minore, ma mancherebbe una
motivazione circa la relazione tra l’affidamento e la consumazione del reato al di fuori della scuola,
posto che le conversazioni oggetto di contestazione erano avvenute in ambito extrascolastico, senza
che la persona offesa potesse sentirsi limitata nella sua autodeterminazione, a maggior ragione
considerando il mezzo informatico utilizzato. Per la difesa, la Corte d’appello avrebbe confuso l’abuso
di autorità al momento dell’adescamento con l’abuso di autorità costituente lo strumento attraverso il
quale si potrebbe realizzare quello che la stessa difesa qualifica come “reato di violenza sessuale ex
art. 609-quater c.p. L’abuso di autorità avrebbe dovuto essere, invece, oggetto di volizione e
rappresentazione fin dal momento dell’adescamento. Non si sarebbe considerato che: l’imputato non
era mai stato insegnante della persona offesa, neppure temporaneamente, cosicchè non vi era alcun
rapporto di affidamento; la posizione dell’imputato non era stata utilizzata per conseguire l’ipotetico
intento del compimento di atti sessuali; lo stesso imputato aveva escluso tutto ciò, laddove aveva
detto al minore che avrebbe voluto prendere una pizza insieme a lui quando avesse compiuto 18 anni.
2.2. Con una seconda doglianza, si lamentano, ancora, vizi della motivazione in relazione all’elemento
soggettivo del reato, ripercorrendo il quadro probatorio e riportando stralci delle conversazioni
intercorse, dalle quali non emergerebbero espedienti menzogneri nè minacce di alcun genere,
considerata anche l’età del minorenne. Dalle dichiarazioni testimoniali assunte, sarebbe emerso che
l’imputato era solito comportarsi in modo affettuoso anche con altri e l’interpretazione delle
espressioni usate nelle conversazioni avrebbe dovuto tenere conto anche di tale aspetto.
2.3. Con una terza censura, si deducono vizi della motivazione in relazione alla mancata
considerazione della ricostruzione dei fatti fornita dalla difesa. I giudici di merito avrebbero
indebitamente svalutato il carattere ribelle e poco propenso al rispetto delle regole manifestato dal
minore, a fronte del quale trovava giustificazione l’invito dell’imputato a partecipare alla comunità
religiosa. La fondatezza di tale ricostruzione troverebbe conferma nelle testimonianze richiamate alle
pagg. 18 e seguenti del ricorso, circa il carattere ribelle del minorenne e la diffusione da parte sua, tra
i coetanei, della prassi di tagliuzzarsi le vene.
Motivi della decisione
1. Il ricorso – i cui motivi possono essere trattati congiuntamente perchè attengono a pretesi vizi della
motivazione del provvedimento impugnato in relazione alla responsabilità penale – è inammissibile,
perchè diretto ad ottenere una rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione
dai giudici di merito, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla
motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata valenza esplicativa
tali da dimostrare un’effettiva carenza motivazionale su punti decisivi del gravame (ex plurimis, Sez.
5, n. 34149 del 11/06/2019, Rv. 276566; Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970). A fronte della
ricostruzione e della valutazione della Corte d’appello, il ricorrente non offre la compiuta
rappresentazione e dimostrazione, di alcuna evidenza (pretermessa ovvero infedelmente
rappresentata dal giudicante) di per sè dotata di univoca, oggettiva e immediata valenza esplicativa,
tale, cioè, da disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo
della decisione impugnata, per l’intrinseca incompatibilità degli enunciati.
1.1. In punto di diritto, la difesa prende le mosse dall’affermazione giurisprudenziale relativa alla
natura e all’ambito di applicazione del reato di cui all’art. 609-undecies c.p., secondo cui la fattispecie
non pone problemi di legittimità costituzionale, perchè, integrando un reato di pericolo concreto,
volto a neutralizzare il rischio di commissione dei più gravi reati a sfondo sessuale lesivi del corretto
sviluppo psicofisico del minore e della sua autodeterminazione, non contrasta con il principio di
offensività; necessitando, ai fini della verifica del dolo specifico, del ricorso a parametri oggettivi,
dai quali possa dedursi il movente sessuale della condotta, non viola il principio di determinatezza
della fattispecie penale; punendo, con una cornice edittale equa proporzionatamente inferiore rispetto
a quella prevista per i reati fine, comportamenti idonei a mettere, in pericolo un bene giuridico
primario, meritevole di intensa tutela, è compatibile con il principio della rieducazione della pena
(Sez. 3, n. 32170 del 15/03/2018, Rv. 273815). La stessa difesa evidenzia, inoltre, che l’oggetto del
dolo specifico previsto dalla disposizione incriminatrice deve riguardare anche gli atti sessuali che
l’agente intende compiere carpendo la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce e,
cioè, per mezzo dell’attività di adescamento descritta dalla fattispecie (ex multis, Sez. 3, n. 17373 del
31/01/2019, Rv. 275946).
1.2. Nella vicenda in esame, come ampiamente evidenziato dai giudici di primo e secondo grado, con
conforme argomentata valutazione, il quadro probatorio fa emergere con chiarezza la responsabilità
penale, proprio sulla base dei criteri interpretativi sopra delineati, sussistendo dati oggettivi dai quali
appare dimostrato, ogni oltre ogni ragionevole dubbio, il movente sessuale della condotta, che investe
anche gli atti sessuali che l’imputato intendeva compiere attraverso l’adescamento. Del tutto
correttamente la Corte d’appello ha valorizzato in senso negativo la conversazione tenuta sul social,
nella quale l’imputato domandava la “fattibilità” di incontri a scopo sessuale, non essendo plausibile
la ricostruzione difensiva secondo cui tale richiesta era riferita ad incontri a carattere religioso. Del
tutto artificiosa risulta, infatti, la ricostruzione difensiva secondo cui l’imputato aveva un (generico)
intento di educare il ragazzo e avvicinarlo alla Chiesa, deponendo in senso contrario il tono e la
terminologia utilizzati – ivi compreso il termine “pisellino”, a chiaro sfondo sessuale nel complessivo
contesto di riferimento – e lo stacco temporale tra il momento in cui il minore aveva respinto il
presunto tentativo di approccio e quello nel quale l’imputato aveva cercato, maldestramente, di dare
un senso a tale approccio riconducendolo ad un invito a partecipare – in una maniera non meglio
precisata perchè mai oggetto di precedenti approfondimenti nel corso delle conversazioni – alla
comunità religiosa cristiana.
E pienamente corretta sul piano logico giuridico è anche la considerazione relativa alla sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato-scopo di atti sessuali con minorenni, trattandosi di un minore di età
compresa tra i 14 e i 16 anni di età nei confronti del quale vi era un chiaro rapporto di affidamento.
Tale rapporto derivava sia dal ruolo di vicario del preside assunto dall’imputato, insegnante
nell’istituto scolastico frequentato dal minore, sia dalla funzione che in concreto l’insegnante
svolgeva, secondo la stessa prospettazione difensiva, per cui egli si occupava di aiutare la persona
offesa a superare i problemi disciplinari che aveva, ben delineati anche dalle testimonianze richiamate
dalla stessa difesa. Ed è evidente che nel caso concreto l’imputato abbia agito nella piena
consapevolezza della propria posizione di autorità nei confronti del minore a lui affidato per ragioni
di educazione, rilevante ai fini dell’art. 609-quater c.p., comma 1, n. 2). Nè può ritenersi che tale
rapporto venga meno in presenza di un reato consumato al di fuori della scuola, posto che le
conversazioni oggetto di contestazione sono avvenute in ambito extrascolastico, perchè la persona
offesa era in ogni caso limitata nella sua autodeterminazione, pur utilizzando il mezzo informatico
per i colloqui, mentre l’imputato si era rappresentato ed aveva voluto fin dall’inizio il compimento di
atti sessuali nell’ambito di detto rapporto di affidamento. Anzi, dal tenore delle conversazioni riportate
dalla stessa difesa emerge come l’imputato facesse ambiguamente leva sul suo ruolo di educatore, che
aveva richiamato ad esempio al fine di tentare di fornire l’implausibile spiegazione della
finalizzazione a non meglio precisati scopi religiosi dell’incontro che aveva richiesto al minore. E, in
punto di diritto, si è precisato che la condizione di affidamento per ragioni di istruzione, di vigilanza
o di custodia prevista per il reato di atti sessuali con minorenne (art. 609-quater c.p., comma 1, n. 2),
può avere carattere temporaneo o occasionale, potendo configurarsi anche quando il soggetto attivo
non sia l’insegnante diretto del minore, ma appartenga comunque alla stessa struttura scolastica,
all’interno della quale venga a diretto contatto con la vittima in ragione dell’incarico di svolgere lezioni
o sostituzioni nelle varie classi (ex multis, Sez. 3, n. 27282 del 14/03/2012, Rv. 253053). Si è altresì
più volte affermato che il rapporto di affidamento per ragioni di educazione, di istruzione, di vigilanza
o di custodia, che assume rilievo in tema di reati sessuali relativi a minorenni, attiene a qualunque
rapporto fiduciario, anche temporaneo od occasionale, che si instaura tra affidante e affidatario
mediante una relazione biunivoca e che comprende sia l’ipotesi in cui sia il minore a fidarsi dell’adulto,
sia quella in cui il minore sia affidato all’adulto da un altro adulto per specifiche ragioni (ex plurimis,
Sez. 3, n. 43705 del 24/09/2019, Rv. 278088). Ne consegue che il rapporto di affidamento esistente
tra insegnante ed alunno non può essere ritenuto escluso per il fatto che gli atti illeciti oggetto
dell’imputazione si svolgano fuori dall’ambiente e dall’orario scolastico, perchè ciò che conta è la
relazione che sussiste fra i due soggetti, evidentemente non circoscrivibile al solo contesto in cui
nasce e si manifesta principalmente. E ciò vale anche nel caso in cui il reato di atti sessuali con
minorenne rilevi come reato-scopo ai fini della configurabilità di quello di adescamento.
Tale essendo il quadro istruttorio, adeguatamente delineato e preso in considerazione dai giudici di
merito, la ricostruzione difensiva si risolve in un mero tentativo di proporre in sede di legittimità
un’interpretazione alternativa dei fatti, per di più ancorata su elementi palesemente irrilevanti, quale
il fatto che l’imputato avrebbe voluto prendere una pizza con la persona offesa al compimento della
sua maggiore età, o palesemente smentiti dagli atti, quale la circostanza che l’imputato non avesse
utilizzato il suo ruolo di insegnante a fini di adescamento. Parimenti irrilevanti risultano le
considerazioni difensive riferite all’attitudine affettuosa che l’imputato aveva in generale verso i
ragazzi, nonchè al carattere ribelle della persona offesa, confermato dalle testimonianze richiamate
in ricorsi, perchè proprio su tale carattere l’imputato aveva fatto leva per la commissione del reato,
instaurando una relazione che, nelle sue intenzioni, sarebbe dovuta andare ben oltre una normale e
professionalmente lecita manifestazione di affetto da parte di un insegnante verso gli alunni.
2. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13
giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono
elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell’inammissibilità medesima
consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro
3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per la
comunicazione del presente dispositivo al Ministero dell’istruzione.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi,
a norma del D.lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.