MATRIMONI MISTI
Di Gianfranco Dosi
I. I cosiddetti matrimoni misti
II. L’acquisto della cittadinanza italiana da parte dello straniero che contrae matrimonio con un italiano
III. I matrimoni misti simulati
IV. Il regime personale e patrimoniale nei matrimoni misti
V. La disciplina della separazione e del divorzio
VI. Matrimoni misti e disposizioni sull’immigrazione
VII. Il ricongiungimento familiare
I
I cosiddetti matrimoni misti
Il codice civile italiano disciplina il matrimonio del cittadino italiano con uno straniero all’estero (articolo 115 che si riferisce naturalmente anche al caso in cui un cittadino italiano sposi all’estero un altro cittadino italiano) sia il matrimonio dello straniero in Italia con un italiano (articolo 116 che si riferisce anche al caso del matrimonio in Italia dello straniero con un altro straniero). Soni questi i cosiddetti “matrimoni misti”.
Il cittadino italiano che intende contrarre matrimonio all’estero(con uno straniero o con un altro cittadino italiano) è sempre soggetto alle disposizioni del codice che concernono le condizioni necessarie per contrarre matrimonio in Italia. Quindi non vi sono differenze quanto alle condizioni di età (art. 84 cod. civ. che impone il limite minimo di età di 18 anni salva l’autorizzazione del tribunale per i minorenni per chi ha compiuto i sedici anni e intenda contrarre matrimonio) e agli altri divieti matrimoniali (art. 85 sul divieto di contrarre matrimonio per l’interdetto per infermità di mente; art. 86 sul divieto per chi è già vincolato da un matrimonio precedente; art. 97 per gli impedimenti derivanti da parentela, affinità, adozione; art. 88 per l’impedimento derivante da “delitto”). L’articolo 16 dell’ordinamento di stato civile (DPR 3 novembre 2000, n. 396) precisa che il matrimonio all’estero può essere celebrato dall’autorità consolare italiana o dall’autorità dello Stato ospitante che trasmetterà copia dell’atto di matrimonio all’autorità consolare. Quest’ultima, in virtù dell’art. 17 dello stesso ordinamento di stato civile, trasmetterà poi l’atto per la trascrizione in Italia al Comune di residenza in Italia del cittadino italiano o negli altri luoghi indicati dalla disposizione.
La forma del matrimonio sarà quella del luogo in cui viene celebrato. Pertanto se è rispettata la forma prevista nello Stato di celebrazione, quel matrimonio sarà valido anche in Italia (articolo 28 della legge 31 maggio 1995, n. 218) ancorché celebrato con forme inusuali come via Skipe (Cass. civ. Sez. I, 25 luglio 2016, n. 15343).
Gli atti formati all’estero non possono, però, essere trascritti in Italia se sono contrari all’ordine pubblico (art. 18 ordinamento di stato civile).
Il matrimonio contratto all’estero tra due persone dello stesso sesso, non è stato in passato considerato trascrivibile in Italia non perché contrario all’ordine pubblico ma perché “il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è riconoscibile come atto di matrimonio e non può produrre effetti nel nostro sistema giuridico” (Cass. Civ. Sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184). Ora in virtù di quanto previsto nel comma 34 dell’art.12 della legge 20 maggio 2016, n. 76 (sulle unioni civili e sulle convivenze di fatto) sono state emanate e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale del 23 luglio 2016 norme regolamentari di natura transitoria con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Il decreto prescrive all’art. 9 che presso ciascun Comune deve essere istituito un “registro provvisorio delle unioni civili” dove vanno registrate, appunto, le unioni civili costituite in base alla nuova legge. L’art. 8 del regolamento prevede al terzo comma che “gli atti di matrimonio o di unione civile tra persone dello stesso sesso formati all’estero, sono trasmessi dall’autorità consolare, ai sensi dell’articolo 17 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, ai fini della trascrizione nel registro provvisorio di cui all’articolo 9”. Questo comporta che il matrimonio tra persone dello stesso sesso contratto all’estero, anche da cittadini italiani, potrà essere d’ora in poi trascritto nei registri provvisori delle unioni civili, superando così le ragioni del diniego che fino ad oggi hanno impedito la trascrizione nei nostri registri di stato civile e quindi il riconoscimento in Italia di tali matrimoni. Il fatto è tanto più sorprendente perché avviene non per legge, ma attraverso un decreto di natura regolamentare.
È consolidato il principio che la trascrizione in Italia del matrimonio contratto all’estero (tra cittadini italiani ma anche di un italiano con uno straniero) non ha efficacia costituiva ma dichiarativa e che quindi il matrimonio è pienamente valido in Italia anche senza trascrizione (Cass. civ. Sez. VI, 18 luglio 2013, n. 17620;Cass. civ. Sez. I, 19 ottobre 1998, n. 10351).
Più articolata è la disciplina del matrimonio contratto in Italia da uno straniero con un cittadino italiano o con un altro straniero. L’articolo 116 del codice civile impone infatti allo straniero che intenda contrarre matrimonio in Italia di presentare all’ufficiale dello stato civile del luogo in cui deve essere contratto il matrimonio, insieme alla richiesta di pubblicazioni, “una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio”. Ai fini della sua validità è necessario e sufficiente che la dichiarazione rilasciata dall’autorità estera accerti l’assenza di ostacoli al matrimonio, a prescindere dalle formule testuali impiegate Cons. Stato, Sez. I, 9 ottobre 2013, n. 3164).
Spesso la dichiarazione non viene rilasciata per motivi legati all’osservanza della religione islamica, che per esempio vieta alla donna musulmana di unirsi in matrimonio con un uomo non musulmano; oppure per motivi legati ad eventi bellici che impediscono l’acquisizione dei documenti necessari o per altri motivi come per esempio l’assenza di una autorità deputata al rilascio della dichiarazione in questione (come avviene per i cittadini degli Stati Uniti o australiani). La giurisprudenza si è occupata di questi problemi spesso supplendo alla mancanza del nulla osta (Trib. Piacenza, 5 maggio 2011) o negando valore a divieti delle autorità straniere basati su presupposti ritenuti contrari all’ordine pubblico (Trib. Venezia , 4 luglio 2012). La Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale questa disposizione nella parte in cui non prevede che lo straniero, in mancanza di quella dichiarazione, possa provare con ogni mezzo la ricorrenza delle condizioni previste nella legislazione di provenienza, fatto sempre salvo il divieto di condizioni contrarie all’ordine pubblico (Corte cost. 30 gennaio 2003, n. 14). Nella motivazione la Corte richiama la prassi di molti tribunali all’esito del procedimento previsto nell’art. 98 del codice civile (ricorso al tribunale in camera di consiglio contro il rifiuto dell’ufficiale di stato civile di eseguire le pubblicazioni matrimoniali e quindi contro il rifiuto di ammettere lo straniero al matrimonio in Italia) affermando che, del tutto legittimamente, il giudice può autorizzare le pubblicazioni (e quindi il matrimonio) nei casi in cui la mancata autorizzazione avrebbe effetti discrimina¬tori frustrando il diritto primario di tutte le persone di unirsi in matrimonio.
L’art. 116 del codice civile prevedeva anche che insieme al nulla osta dell’autorità del proprio Paese lo straniero dovesse presentare anche “un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano” ma la Corte costituzionale ha eliminato questo obbligo considerandolo lesivo del diritto fondamentale di chiunque di contrarre matrimonio (Corte cost. 25 luglio 2011, n. 245).
Il citato articolo 116 del codice civile, in ogni caso, prescrive che anche lo straniero è soggetto alle disposizioni contenute negli articoli 85, 86, 87 n. 1 , 2 e 4, 88 e 89 del codice. Non è indicato l’art. 84 sul limite minimo di età ai diciotto anni; pertanto uno straniero potrebbe sposarsi in Italia anche se di età inferiore senza chiedere alcuna autorizzazione e sempre che ciò sia ammesso nel suo Stato di provenienza.
II
L’acquisto della cittadinanza italiana da parte dello straniero che contrae matrimonio
con un italiano
La disciplina della cittadinanza italiana è regolata dalla legge 5 febbraio 1992, n. 91 (e relativi regolamenti di esecuzione: in particolare il DPR 12 ottobre 1993, n. 572 e il DPR 18 aprile 1994, n. 362) nel testo modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica”. A differenza della legge precedente 13 giugno 1912, n. 555, viene rivalutato il peso della volontà individuale nell’acquisto e nella perdita della cittadinanza, riconoscendo anche il diritto alla titolarità contemporanea di più cittadinanze.
Il testo dell’art. 65 prima della riforma del 2009 prevedeva che il coniuge, straniero di cittadino italiano potesse acquistare la cittadinanza italiana dopo aver risieduto legalmente da almeno sei mesi nel territorio della Repubblica, ovvero dopo tre anni dalla data del matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annulla-mento o cessazione degli effetti civili e se non sussiste separazione legale.
Il testo delle norma riformato nel 2009 prevede ora quanto segue:
Art. 5. – 1. Il coniuge, straniero o apolide, di cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana quando, dopo il matrimonio, risieda legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica,
2. I termini di cui al comma 1 sono ridotti della metà in presenza di figli nati o adottati dai coniugi».
Il richiamato art. 7 della legge 91 del 1992 prescrive le modalità con cui va presentata l’istanza per ottenere, dopo il matrimonio con un italiano, la cittadinanza, stabilendo che essa si acquista a istanza dell’interessato, presentata al sindaco del comune di residenza o alla competente autorità consolare. L’acquisto non è automatico. L’interessato come sopra detto deve presentare una istanza documentata.
Costituiscono cause preclusive all’acquisto della cittadinanza: a) sentenze di condanna per reati per i quali sia prevista una pena non inferiore nel massimo a tre anni di reclusione o di sentenze di condanna da parte di un’autorità giudiziaria straniera ad una pena superiore ad un anno per reati non politici; b) condanne per uno dei delitti previsti nel libro secondo, titolo I, capi I, II e III del codice penale (delitti contro la oppure dopo tre anni dalla data del matrimonio se residente all’estero, qualora, al momento dell’adozione del decreto di cui all’articolo 7, comma 1, non sia intervenuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la separazione personale dei coniugi. personalità dello Stato; c) ragioni di sicurezza.
Ai sensi della direttiva del Ministro dell’Interno del 7 marzo 2012, a partire dal 1° giugno 2012 la competenza ad emanare i decreti di concessione della cittadinanza spetta: al Prefetto per le domande presentate dallo straniero legalmente residente in Italia; al Capo del dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, qualora il coniuge straniero abbia la residenza all’este¬ro; al Ministro dell’Interno nel caso sussistano ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica.
A partire dal 16 agosto 1992 (data di entrata in vigore della legge n. 91/92) l’acquisto di una cittadinanza straniera non determina la perdita della cittadinanza italiana a meno che il cittadino italiano non vi rinunci formalmente ai sensi dell’art. 11 della legge n. 91/92 (Cass. civ. Sez. VI, 5 novembre 2015, n. 22608).
III
I matrimoni misti simulati
Per l’ipotesi in cui un matrimonio venga celebrato al solo fine di consentire l’acquisto della cittadinanza italiana occorre ricordare che l’art. 123 del codice ci¬vile prevede la possibilità di impugnazione del matri-monio in caso di simulazione (cioè allorché i coniugi abbiano convenuto in sostanza di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti connessi al matri¬monio), ma che l’azione non può essere più proposta decorso un anno dalla celebrazione, ovvero nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi dopo il matrimonio.
Tuttavia, gli unici che potrebbero rilevare la simulazio¬ne sono i coniugi (o i partner dell’unione civile sem-pre ai sensi dell’art. 123 c.c,.richiamato nel comma 5 dell’art.1 della legge 20 maggio 2016, n. 76)
Si tratta in sostanza di u matrimonio celebrato per finalità fraudolente rispetto alla disciplina civilistica, oppure fiscale, previdenziale, giuridica, successoria.
Non possono trovare naturalmente applicazione le norme sulla illiceità del contratto per illiceità della causa (art. 1343 c.c.) o per frode alla legge (art. 1344 c.c.) trattandosi di specifiche norme dettate per il con¬tratto (ad essenziale contenuto patrimoniale).
Per i matrimoni simulati e quindi anche per quelli con¬tratti al solo fine di assicurarsi benefici, appunto in materia di immigrazione o cittadinanza, la dottrina ha fatto notare che la concezione di tipo privatistico del matrimonio simulato non consentirebbe di dichiarare nullo il matrimonio fraudolento celebrato al fine di elu¬dere norme di rilevanza pubblicistica. Viene però citata (nella raccolta di giurisprudenza sul diritto di famiglia a cura di FERRANDO, volume I, pag. 114) una senten¬za inedita della Corte d’appello di Roma del 28 marzo 2000 in cui la Corte ritenne ammissibile la legittima¬zione attiva del Pubblico ministero per l’impugnazione di un matrimonio simulato tra una straniera e un cit¬tadino italiano sul presupposto che si tratterebbe di un matrimonio radicalmente nullo per illiceità della causa. Tuttavia non si può fare allo stato della legislazione, sicuro affidamento su un intervento di riequilibrio azio¬nato dal pubblico ministero, in quanto le norme sul matrimonio (e sull’unione civile tra persone dello stes¬so sesso) prevedono l’impugnativa per nullità da parte del pubblico ministero nelle sole ipotesi previste nel codice e nei termini ivi indicati, tra cui non è compresa la costituzione del vincolo in frode alla legge.
In ogni caso la giurisprudenza,per evitare facili stru¬mentalizzazioni (e richiamando l’art. 19 del Testo unico sull’immigrazione dove si parla espressamen¬te di coniuge convivente) non ammette il rilascio del permesso o della carta di soggiorno allo straniero extracomunitario che contragga matrimonio con un italiano senza che ne segua la convivenza (Cass. civ. Sez. VI, 7 luglio 2016, n. 13831; Cass. civ. Sez. I, 3 novembre 2006, n. 23598; Cass. civ. Sez. I, 22 agosto 2006, n. 18220; Cass. civ. Sez. I, 18 luglio 2006, n. 16452; Cass. civ. Sez. I, 8 feb¬braio 2006, n. 2821; Cass. civ. Sez. I, 25 novem¬bre 2005, n. 25027; Cass. civ. Sez. I, 8 febbraio 2005, n. 2539). La prova della convivenza secondo queste sentenze è a carico dello stesso straniero, non essendo la convivenza presumibile in base al mero vincolo coniugale né alle mere risultanze anagrafiche.
Finché il matrimonio non è dichiarato nullo – per qual¬siasi motivo – esso produce in Italia tutti i suoi effetti (Cass. civ. Sez. I, 13 aprile 2001, n. 5537 che fa riferimento ad un matrimonio celebrato in violazione dell’art. 86 del codice civile da chi non aveva libertà di stato e Cass. civ. Sez. I, 2 marzo 1999, n. 1739 concernente un matrimonio contratto all’estero da un italiano secondo un ordinamento poligamico ma nel rispetto della forma prevista in quello Stato).
IV
Il regime personale e patrimoniale
nei matrimoni misti
La legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale) prevede per quanto concerne i rapporti personali all’art. 29, comma 2, che “I rapporti personali tra coniugi aventi diverse cittadi¬nanza … sono regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata”.
Per quanto invece attiene ai rapporti patrimoniali, l‘art. 30 dispone ai primi due commi che“I rapporti patrimoniali tra coniugi sono regolati dalla legge ap¬plicabile ai loro rapporti personali. I coniugi possono tuttavia convenire per iscritto che i loro rapporti pa¬trimoniali sono regolati dalla legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nel quale almeno uno di essi risiede. L’accordo dei coniugi sul diritto appli-cabile è valido se è considerato tale dalla legge scelta o da quella del luogo in cui l’accordo è stato stipulato”.
Tale regime, come chiarisce il terzo comma, sarà op¬ponibile ai terzi solo se questi ne abbiano avuto cono-scenza o lo abbiano ignorato per loro colpa.
Il Regolamento europeo n. 1103 del 24 giugno 2016 (pubblicato sulla GU dell’Unione europea dell’8 luglio 2016 ed in vigore dal 28 luglio 2016) relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia di rapporti patrimoniali tra coniugi, prevede all’art. 22 la possibi¬lità di scelta della legge applicabile, prescrivendo che i coniugi o nubendi possono designare o cambiare di comune accordo la legge applicabile al loro regime pa¬trimoniale, a condizione che tale legge sia una delle leggi seguenti: a) la legge dello Stato della residenza abituale dei coniugi o nubendi, o di uno di essi, al momento della conclusione dell’accordo; o b) la legge di uno Stato di cui uno dei coniugi o nubendi ha la cit¬tadinanza al momento della conclusione dell’accordo.
Il principio di asserita tipicità delle convenzioni matri¬moniali risulta è fortemente ridimensionato se non altro con riferimento alla possibilità per i coniugi di adottare un regime patrimoniale previsto in altri ordinamenti.
Resta fermo il principio che “gli sposi non possono de¬rogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio” e questo è certamente l’unico limite di ordine pubblico che incontrano anche le con¬venzioni matrimoniali atipiche (comprese quelle stra¬niere da considerare atipiche rispetto a quelle indica¬te nel nostro codice civile). L’art. 31 del regolamento prevede, infatti, che “l’applicazione di una disposizione della legge di uno Stato specificata dal presente rego¬lamento può essere esclusa solo qualora tale applica¬zione risulti manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico del foro”.
V
La disciplina della separazione e del divorzio
Per individuare la regolamentazione della separazio¬ne e del divorzio in caso di matrimoni misti bisogna distinguere il matrimonio tra un italiano ed uno stra¬niero non appartenente ad un paese europeo e il ma-trimonio tra cittadini di Stati europei.
Per quanto concerne la legge applicabile trova in en¬trambi i casi applicazione la legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazio¬nale privato) la quale all’art. 31 prevede che per i ma-trimoni misti la legge applicabile è quella dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente lo-calizzata (Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2011, n. 7599; Cass. civ. Sez. Unite, 17 febbraio 2010, n. 3680). La legge sarà quindi quella italiana nel caso in cui i co¬niugi di diversa cittadinanza vivono prevalentemente in Italia. Naturalmente se lo straniero ha acquistato la cittadinanza italiana sposando un italiano la legge applicabile sarà quella italiana perché comune (Cass. civ. Sez. I, 7 luglio 2008, n. 18613).
Per quanto invece concerne la competenza giurisdizio¬nale, nel caso di matrimonio misto extraeuropeo soc¬corrono solo le norme italiane di diritto internazionale privato che individuano come criterio generale quello della residenza del convenuto (art. 3) mentre nel caso di matrimonio contratto tra un italiano e uno stranie¬ro prevede che la giurisdizione del giudice italiano in materia di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio (e cioè la possibilità di separarsi in Italia o di divorziare o di chiedere l’annullamento in Italia) sussiste se il matrimonio è stato celebrato in Italia o se almeno uno dei due coniugi è residente in Italia.
Per i matrimoni, invece, contratti tra persone appar¬tenenti all’Unione Europea, troverà applicazione il Re-golamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003 relativo alla competenza, al riconosci-mento e all’esecuzione delle decisioni in materia ma¬trimoniale e in materia di responsabilità genitoriale. Tale Regolamento contiene enorme che derogano alla legge 218/1995 valida invece nei soli rapporti con cit¬tadini di Paesi extraeuropei.
Il Regolamento europeo si applica al divorzio, alla se¬parazione, all’annullamento del matrimonio e a tutte le questioni concernenti la responsabilità genitoriale. Si tratta di un Regolamento che disciplina in sostanza l’individuazione del giudice competente ad occupar¬si sia delle decisioni di divorzio, di separazione e di annullamento del matrimonio (escluse le obbligazioni alimentari e quindi escluse tutte le questioni relative alle obbligazioni di mantenimento che restano fuori dal campo di applicazione del regolamento 2201) sia dei procedimenti concernenti l’affidamento di minori e in genere la responsabilità dei genitori sui figli minori nati nel matrimonio o fuori del matrimonio.
L’individuazione del giudice competente ad occuparsi di una domanda di separazione, divorzio o annulla-mento del matrimonio tra cittadini di differenti paesi europei è determinata in base esclusivamente ad uno dei sei criteri indicati nell’articolo 3 del Regolamento, con la precisazione che i criteri elencati – da seleziona¬re nell’ordine con cui sono elencati – sono i seguenti: 1) residenza abituale dei coniugi; 2) ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora; 3) residenza abituale del coniuge convenuto; 4) in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi; 5) la residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto per almeno un anno prima della domanda; 6) residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto per almeno sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino di quello Stato.
Il giudice di fronte al quale è presentata quindi una domanda di separazione, di divorzio o di annullamen¬to deve esaminare nell’ordine i criteri e può dichia¬rarsi competente soltanto se uno di questi criteri è soddisfatto.
Per esempio, nel caso di crisi matrimoniale tra il mari¬to italiano e la moglie francese, che vivono in Italia, se uno dei due coniugi presenta domanda di separazione in Italia, il giudice italiano verifica nell’ordine l’esisten¬za di uno dei sei criteri indicati nell’articolo 3 e – veri¬ficato che in Italia vi è la residenza abituale dei coniu¬gi (criterio n. 1) si dichiarerà senz’altro competente, senza passare ai criteri successivi. Se è la moglie che, tornata in Francia, presenta nel suo Paese, per esem¬pio dopo otto mesi dal rientro in patria, domanda di separazione o di divorzio, il giudice francese esamine¬rà anche lui nell’ordine i sei criteri e potrà dichiararsi competente soltanto in base al criterio n. 6 in quanto la Francia è il paese di residenza abituale dell’attore (cioè della moglie) e la moglie francese vi risiede da almeno sei mesi.
Si ricava quindi la regola generale secondo la qua¬le in caso di matrimonio misto il coniuge straniero può presentare domanda di separazione, divorzio o annullamento nel suo Paese solo dopo sei mesi da quando vi ha fatto rientro. Pertanto se il coniuge ita¬liano vuole evitare la causa matrimoniale all’estero deve presentare la sua domanda in Italia entro quel periodo di tempo.
Può verificarsi naturalmente il caso in cui entrambi i coniugi presentino una domanda nel proprio Paese d’origine che risponde correttamente ad uno dei cri¬teri indicati nell’art. 3 del regolamento potendo quindi attivarsi per entrambi la competenza del proprio giu¬dice nazionale. Nell’esempio sopra fatto, ove il marito italiano abbia presentato domanda davanti al giudice italiano e la moglie francese lo presenti davanti al giu¬dice francese dopo sei mesi da quando ha fatto rientro nel suo Stato d’origine, entrambi i giudici (quello ita¬liano e quello francese) potranno dichiararsi compe¬tenti. In tal caso – nel caso cioè in cui entrambi i giu¬dici abbiano competenza – è considerato competente il giudice preventivamente adìto mentre quello adìto successivamente deve sospendere il procedimento e successivamente dichiarare la propria incompetenza (art. 19 del Regolamento).
Vi è da aggiungere che da un punto di vista dei rap¬porti tra diversi Paesi europei si dovrebbe parlare correttamente di competenza mentre nelle sentenze italiane i giudici preferiscono parlare di giurisdizione o al più di competenza giurisdizionale (Cass. civ. Sez. Unite, 12 febbraio 2013, n. 3268; Cass. civ. Sez. Unite, 13 febbraio 2012, n. 1984; Cass. civ. Sez. Unite Ordinanza, 30 novembre 2011, n. 30646).
VI
Matrimoni misti e disposizioni
sull’immigrazione
Per i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione eu¬ropea (e per gli apolidi) trova applicazione in Italia il testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e delle norme sulla condizione dello straniero ( D. L.vo 25 luglio 1998, n. 286) che ricono¬sce in linea generale allo straniero “regolarmente sog¬giornante” nel territorio dello Stato i “diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano” (art. 3, comma 2) nella prospettiva soprattutto di favorire processi di in¬tegrazione (art. 4-bis inserito dall’art. 1, comma 25, della legge 15 luglio 2009, n. 94 come poi modificato dal D. L.vo 4 marzo 2014, n. 4 che fa obbligo di fornire allo straniero con il permesso di soggiorno ogni infor¬mazione sui diritti a lui riconosciuti).
Si è visto che al matrimonio con un cittadino italia¬no consegue il diritto per lo straniero (quale ne sia l’origine) di acquisto della cittadinanza italiana dopo aver risieduto “legalmente da almeno due anni nel territorio della Repubblica” e sempre non sia interve¬nuto lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio e non sussista la se¬parazione personale dei coniugi (art. 5 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 come modificata dalla legge 15 luglio 2009, n. 94).
Si è ugualmente visto che lo straniero extracomuni¬tario può contrarre matrimonio in Italia anche ove sprovvisto di permesso di soggiorno, ma sempre che possa produrre le certificazioni indicate nell’art. 116 del codice civile. Si è ricordata anche la prassi di molti tribunali all’esito del procedimento previsto nell’art. 98 del codice civile (ricorso al tribunale in camera di consiglio contro il rifiuto dell’ufficiale di stato civile di eseguire le pubblicazioni matrimoniali e quindi contro il rifiuto di ammettere lo straniero al matrimonio in Italia) convalidata da Corte cost. 30 gennaio 2003, n. 14 dove si afferma che del tutto legittimamente il giudice può autorizzare le pubblicazioni (e quindi il matrimonio) nei casi in cui la mancata autorizzazione avrebbe effetti discriminatori frustrando il diritto pri¬mario di tutte le persone di unirsi in matrimonio.
Il cittadino extracomunitario, una volta coniugato con un cittadino italiano, non può essere espulso dal terri¬torio italiano e ha diritto al rilascio di un titolo di soggiorno (art. 19, comma 2, lettera c, del Testo unico sull’immigrazione) e cioè, in sostanza il diritto al rilascio di una «Carta di soggiorno di un familiare di un cittadino” chiama¬ta carta di soggiorno per coesione familiare (Cass. civ. Sez. VI, 2 settembre 2014, n. 18553). L’art. 19, comma 2, lett. c qui richiamato prevede appunto il divieto di espulsione “degli stranieri conviventi con parenti entro il secondo grado o con il coniuge di na¬zionalità italiana”. Non rientra tra le ipotesi del divieto di espulsione la convivenza more uxorio dello stra¬niero con un italiano (Cass. civ. Sez. I, 25 gennaio 2011, n. 1683).
Si tratta in sostanza di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato (art. 9 Testo Unico).
Pertanto il matrimonio con un italiano ha per lo stra¬niero extracomunitario lo speciale effetto di consen-tire il soggiorno sul territorio dello Stato (salvi i casi di espulsione sempre ammessa per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato richiamati al primo comma dell’art. 13 del testo unico).
Dopo la celebrazione del matrimonio, pertanto, i due coniugi devono recarsi direttamente in Questura, competente per l’esame delle domande di rilascio e rinnovo delle carte di soggiorno (Cass. civ. Sez. VI, 7 luglio 2016, n. 13831).
VII
Il ricongiungimento familiare
Sono considerati regolarmente soggiornanti gli stra¬nieri extracomunitari che fanno ingresso nel territorio dello Stato in possesso del passaporto e con visto d’in¬gresso rilasciato dalla rappresentanze diplomatiche o consolari italiane nello Stato di origine. Lo straniero entrato regolarmente deve richiedere entro otto giorni al Questore della provincia in cui si trova il permesso di soggiorno la cui durata, nei casi di ricongiungimen¬to familiare ha durata non superiore ai due anni (art. 5, comma 3-sexies, come inserito dalla legge 30 lu¬glio 2002, n. 189). Almeno sessanta giorni prima della scadenza il permesso va rinnovato per una durata non superiore a quella stabilita per il rilascio iniziale, pre¬via verifica delle condizioni previste per il rilascio. Se mancano le condizioni il permesso di soggiorno non viene rilasciato o non viene rinnovato. Agli stranieri in possesso di almeno cinque anni di un permesso di soggiorno in corso di validità e agli stranieri titola¬ri di protezione internazionale può essere rilasciato a determinate condizioni un permesso di soggiorno di lungo periodo (art. 9 TU).
Gli stranieri che fanno ingresso nel territorio italiano al di fuori delle condizioni sopra indicate possono fare domanda di protezione internazionale o possono ot¬tenere il permesso di soggiorno per motivi umanitari (art. 5, comma 6 del TU) a richiesta dell’organo di esame della istanza di riconoscimento dello status di rifugiato (D. L.vo 19 novembre 2007, n. 251).
In seguito al matrimonio con un italiano lo straniero può richiedere come detto la carta di soggiorno a tem-po indeterminato.
In assenza delle condizioni sopra previste lo straniero che fa ingresso o che si intrattiene nel territorio italia¬no è oggetto di respingimento (art. 10) o di espulsio¬ne (art. 131). Contro le immigrazioni clandestine – in sostanza contro l’ingresso effettuato clandestinamen¬te sottraendosi ai controlli di frontiera o contro la per¬manenza senza permesso di soggiorno – sono previste nel Testo unico norme apposite (art. 12) integrate e modificate da numerose successive misure legislative di contrasto.
In questi casi, avverso il provvedimento di espulsione disposto dal prefetto, l’interessato può presentare ri¬corso all’autorità giudiziaria ordinaria (art. 13, comma 8). Il procedimento è regolato dall’art. 18 del decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150 (cosiddette di¬sposizioni sulla semplificazione dei procedimenti civili) che, per le controversie in materia di espulsione dei cittadini di Stati che non sono membri dell’Unione eu¬ropea aventi ad oggetto l’impugnazione del decreto di espulsione, prescrive il rito sommario di cognizione.
1 L’art. 13 comma 5-bis del TU prevede che l’espulsione è di¬sposta dal prefetto ed eseguita da questore il quale comunica immediatamente e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente il provvedimento con il quale è disposto l’accompagnamento alla frontiera. L’esecuzione del provvedimento del questore di allontanamento dal territorio nazionale è sospesa fino alla decisione sulla convalida. L’udienza per la convalida si svol¬ge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore tempestivamente avvertito. L’interessato è anch’esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene l’udienza. Lo straniero è ammesso all’as¬sistenza legale da parte di un difensore di fiducia munito di procura speciale. Lo straniero è altresì ammesso al patrocinio a spese dello Stato, e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell’ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all’articolo 29 delle nor¬me di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete. L’autorità che ha adottato il provvedimento può stare in giudizio per¬sonalmente anche avvalendosi di funzionari appositamente delegati. Il giudice provvede alla convalida, con decreto mo¬tivato, entro le quarantotto ore successive, verificata l’osser-vanza dei termini, la sussistenza dei requisiti previsti dal pre¬sente articolo e sentito l’interessato, se comparso. In attesa della definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso è trattenuto in uno dei centri di identificazione ed espulsione, di cui all’articolo 14, salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui è stato adottato il prov¬vedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in uno dei centri disponibili. Quando la convalida è concessa, il provvedimento di accompagnamento alla frontiera diven¬ta esecutivo. Se la convalida non è concessa ovvero non è osservato il termine per la decisione, il provvedimento del questore perde ogni effetto. Avverso il decreto di convalida è proponibile ricorso per cassazione. Il relativo ricorso non sospende l’esecuzione dell’allontanamento dal territorio na¬zionale. Il termine di quarantotto ore entro il quale il giudice di pace deve provvedere alla convalida decorre dal momento della comunicazione del provvedimento alla cancelleria.
2 Art. 18 (Delle controversie in materia di espulsione dei cit¬tadini di Stati che non sono membri dell’Unione europea)
1. Le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione del de¬creto di espulsione pronunciato dal prefetto ai sensi del de¬creto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo.
2. È competente il giudice di pace del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione.
3. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro tren¬ta giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italia¬na. In tal caso l’autenticazione della sottoscrizione e l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e le comunicazioni relative al procedi¬mento sono effettuate presso la medesima rappresentanza. La procura speciale al difensore è rilasciata altresì dinanzi all’autorità consolare.
4. Il ricorrente è ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato, e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell’ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all’articolo 29 delle norme di attua¬zione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete.
5. Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato a cura della cancelleria all’autorità che ha emesso il provvedimento almeno cinque giorni prima della medesima udienza.
6. L’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato può costituirsi fino alla prima udienza e può stare in giudizio personalmente o avvalersi di funzionari appositamente delegati.
7. Il giudizio è definito, in ogni caso, entro venti giorni dalla data di deposito del ricorso.
8. Gli atti del procedimento e la decisione sono esenti da ogni tassa e imposta.
9. L’ordinanza che definisce il giudizio non è appellabile.
3 Art. 19 (Delle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale)
1. Le controversie aventi ad oggetto l’impugnazione dei prov¬vedimenti previsti dall’articolo 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, sono regolate dal rito sommario di co¬gnizione, ove non diversamente disposto dal presente articolo.
2. È competente il tribunale, in composizione monocratica, del capoluogo del distretto di corte di appello in cui ha sede la Commissione territoriale per il riconoscimento della pro¬tezione internazionale che ha pronunciato il provvedimento impugnato.
Sull’impugnazione dei provvedimenti emessi dalla Commis¬sione nazionale per il diritto di asilo è competente il tribunale, in composizione monocratica, del capoluogo del distretto di corte di appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento di cui è stata dichiarata la revoca o la cessazione. Nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, è competente il tribunale, in compo¬sizione monocratica, che ha sede nel capoluogo di distretto di corte di appello in cui ha sede il centro ove il ricorrente è accolto o trattenuto.
3. Il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, entro tren¬ta giorni dalla notificazione del provvedimento, ovvero entro sessanta giorni se il ricorrente risiede all’estero, e può essere depositato anche a mezzo del servizio postale ovvero per il tramite di una rappresentanza diplomatica o consolare italia¬na. In tal caso l’autenticazione della sottoscrizione e l’inoltro all’autorità giudiziaria italiana sono effettuati dai funzionari della rappresentanza e le comunicazioni relative al procedi¬mento sono effettuate presso la medesima rappresentanza. La procura speciale al difensore è rilasciata altresì dinanzi all’autorità consolare. Nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli articoli 20 e 21 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, i termini previsti dal presente comma sono ridotti della metà.
4. La proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che nelle ipotesi in cui il ricorso viene proposto:
a) da parte di soggetto ospitato nei centri di accoglienza ai sensi dell’articolo 20, comma 2, lettere b) e c), del decreto le¬gislativo 28 gennaio 2008, n. 25, o trattenuto ai sensi dell’ar¬ticolo 21 del medesimo decreto legislativo, ovvero
b) avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la do¬manda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria, ovvero
c) avverso il provvedimento adottato dalla Commissione ter¬ritoriale nell’ipotesi prevista dall’articolo 22, comma 2, del de¬creto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, ovvero
d) avverso il provvedimento adottato dalla Commissione ter¬ritoriale che ha dichiarato l’istanza manifestamente infondata ai sensi dell’articolo 32, comma 1, lettera b-bis), del citato decreto legislativo.
5. Nei casi previsti dal comma 4, lettere a), b), c) e d), l’ef¬ficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa secondo quanto previsto dall’articolo 5. Quando l’i¬stanza di sospensione viene accolta, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo e ne viene disposta l’accoglienza ai sensi dell’articolo 36 del decreto legi¬slativo 28 gennaio 2008, n. 25.
6. Il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza sono noti¬ficati, a cura della cancelleria, all’interessato e al Ministero dell’interno, presso la Commissione nazionale ovvero presso la competente Commissione territoriale, e sono comunicati al pubblico ministero.
7. Il Ministero dell’interno, limitatamente al giudizio di primo grado, può stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti o di un rappresentante designato dalla Commis¬sione che ha adottato l’atto impugnato. Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 417-bis, secondo comma, del codice di procedura civile.
8. La Commissione che ha adottato l’atto impugnato può de¬positare tutti gli atti e la documentazione che ritiene necessari ai fini dell’istruttoria e il giudice può procedere anche d’ufficio agli atti di istruzione necessari per la definizione della con¬troversia.
9. L’ordinanza che definisce il giudizio rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ed è comunicata alle parti a cura della cancelleria.
10. La controversia è trattata in ogni grado in via di urgenza.
Ai fini che qui interessano non è necessario dare con¬to dei diversi adempimenti previsti e delle specifiche norme che regolamentano l’espulsione.
Il testo unico prevede anche, però, che lo straniero possa essere destinatario di misure di carattere uma-nitario e che quindi gli possa essere assicurata la pos¬sibilità di soggiornare sul territorio italiano per moti¬vi di protezione sociale (art. 18 e seguenti del Testo unico). Ciò può avvenire perché sono accertate gravi forme di violenza o di sfruttamento nei suoi confronti oppure perché lo straniero si torva in una particolare condizione di vulnerabilità (come la persecuzione per vari motivi nel suo Paese). In tali casi non è consen¬tita l’espulsione. Ugualmente non è consentita l’espul¬sione, se non per motivi di ordine pubblico o di sicu¬rezza dello Stato, dei minori di 18 anni, fatto salvo il loro diritto di seguire il genitore espulso, nonché degli stranieri conviventi con pare ti entro il secondo grado o con il coniuge italiano. Ugualmente non è consen¬tita l’espulsione delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del figlio. Tutte le controversie in materia di diniego di questa protezione internazionale sono regolate dall’art. 19 del Decreto legislativo 1 settembre 2011, n. 150.
Tutto ciò premesso si deve ricordare che l’espressione “ricongiungimento familiare” si riferisce ad un istitu¬to riconosciuto a favore dei cittadini extracomunitari regolarmente soggiornanti sul territorio dello Stato attraverso il quale lo straniero extracomunitario, ti¬tolare del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo o di un permesso di soggiorno con durata non inferiore a un anno rilasciato per lavoro subordinato, autonomo, per asilo, per studio, motivi religiosi, ovvero, come visto, per motivi familiari o per motivi di protezione, può richiedere l’ingresso dei fa¬miliari residenti all’estero, al fine di ristabilire in modo continuativo l’unità della propria famiglia.
Quindi il ricongiungimento opera per lo straniero che deve ancora entrare in Italia.
L’ingresso è consentito a tempo determinato o inde¬terminato – a seconda delle motivazioni – previo visto d’ingresso rilasciato dalla nostra ambasciata situata nel paese d’origine del richiedente. L’ambasciata rila-scia il visto – e quindi consente allo straniero di ricon¬giungersi in Italia con il suo familiare – previo nulla osta rilasciato dalla prefettura del luogo di dimora del familiare in Italia, su richiesta del medesimo fami-liare attraverso la compilazione degli appositi moduli telematici. Quindi il ricongiungimento è richiesto dal familiare straniero che si trova in Italia. A sua volta lo straniero del quale si chiede il ricongiungimento dovrà presentare i documenti necessari a provare il rapporto di parentela direttamente al consolato italia-no nel suo paese d’origine.
Il più volte richiamato decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) riconosce, quindi, agli stranieri – purché presenti legalmente sul territorio nazionale – il diritto all’unità del nucleo familiare (titolo IV: diritto all’unità familiare e tutela dei minori).
La possibilità di esercitare tale diritto è però sottopo¬sta alla condizione naturalmente che lo straniero pre-sente in Italia documentati i legami di parentela con il familiare di cui chiede il ricongiungimento; nel caso in ciò sia reso impossibile dalle condizioni del paese di provenienza, o vi siano dubbi sulla veridicità dei cer-tificati presentati, le autorità consolari italiane sono ammesse a rilasciare la documentazione necessaria sulla base del risultato del test del DNA, effettuato a spese del richiedente.
In linea generale, solo i parenti stretti sono ammes¬si al ricongiungimento. Secondo l’articolo 29, si può chiedere l’ingresso: a) del coniuge non legalmente separato e di età non inferiore ai diciotto anni [situa-zione naturalmente che non riguarda lo straniero che ha contratto matrimonio con un italiano in Italia]; b) dei figli minori (di diciotto anni), anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l’altro genitore, qualora esistente, abbia dato il suo consenso. Si considerano equiparati ai figli anche i minori adottati, in affidamento, o sotto tutela; c) dei figli maggiorenni a carico, qualora per ragioni ogget-tive non possano provvedere alle proprie indispen¬sabili esigenze di vita in ragione del loro stato di salute che comporti invalidità totale; d) dei genitori a carico, qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza, ovvero genitori ultrasessantacinquenni, qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro so-stentamento per documentati, gravi motivi di salute.
Secondo Cons. Stato Sez. III, 3 gennaio 2014, n. 1 i “legami familiari” rilevanti sono quelli indica¬ti dall’art. 29 del D.Lgs. n. 286/1998 (coniugi, figli minori, figli maggiorenni a carico, genitori a carico), con le precisazioni che: (i) non è necessaria la convi¬venza, dal momento che il dispositivo della sentenza della Corte parla di “legami familiari nel territorio dello Stato”, e non di familiari conviventi; (ii) nel rapporto tra genitori e figli non necessita che i figli siano at¬tualmente minorenni; perché se è vero che sono ri¬congiungibili solo i figli minorenni, è anche vero che la sentenza della Corte non fa riferimento alle persone che presentino “attualmente” i requisiti del ricongiun¬gimento, ma (anche) a quelle che a tempo opportuno avrebbero avuto titolo al ricongiungimento, ma non abbiano avuto necessità di avvalersene.
Vi è una ulteriore limitazione: l’art. 1-ter del decre¬to legislativo 286/98prevede che “Non è consentito il ricongiungimento dei familiari di cui alle lettere a) e d) del comma 1 [coniuge e genitori a carico], quando il familiare di cui si chiede il ricongiungimento è co¬niugato con un cittadino straniero regolarmente sog-giornante con altro coniuge nel territorio nazionale”. Si esclude, cioè (per evitare evidentemente gli effetti della bigamia o della poligamia) il ricongiungimento per lo straniero già coniugato con altro straniero le¬galmente residente.
In terzo luogo, il richiedente deve dimostrare di avere le capacità reddituali per il mantenimento del ricon-giunto. Il reddito minimo è pari all’assegno sociale aumentato della metà per ciascun ricongiungendo. Per il 2013 tale cifra è pari ad euro 5.749, 90 (euro 442,30 mensili): di conseguenza si potrà chiedere il ricongiungimento di un familiare se si dimostra un reddito derivante da fonte lecita di 8.624, 85 euro; di due familiari se si dimostra il reddito di 11.499,8 euro e così via. Ai fini della determinazione del reddito si tiene conto, però, del reddito annuo complessivo di tutto il nucleo familiare convivente.
Alle capacità reddituali si aggiungono la necessità di un alloggio considerato idoneo secondo i parametri comunali e, per il ricongiungendo ultra sessantacin¬quenne, la presenza di una assicurazione sanitaria o l’iscrizione al Servizio sanitario nazionale. I requisiti di reddito, idoneità abitativa e assicurazione sanitaria per l’ascendente ultrasessantacinquenne non si appli¬cano nel caso di straniero a cui sia stato riconosciuto lo status di rifugiato.
Il nulla osta per il ricongiungimento viene rilasciato dalla prefettura competente, previa verifica di tutti i requisiti, entro 180 giorni dalla richiesta inviata – esclusivamente – per via telematica. La richiesta è re-spinta se il matrimonio o l’adozione del minore rego¬larmente soggiornante sono state fatte al solo scopo di entrare nel territorio nazionale.
Al nulla osta per ricongiungimento familiare segue il permesso di soggiorno per motivi familiari, che ha la stessa durata del permesso di soggiorno principale, e consente l’iscrizione ai servizi assistenziali, l’iscri-zione a corsi di studio o di formazione professionale, l’iscrizione nelle liste di collocamento, lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo. Lo straniero che abbia compiuto 65 anni e tre mesi di età, in possesso del permesso di soggiorno, che abbia soggiornato in via continuativa in Italia per più di dieci anni, e non provvisto di altri redditi, o con redditi inferiori ai limiti stabiliti dalla legge, è ammesso a richiedere l’assegno sociale o la differenza fra i suoi redditi ed il limite dei 5.749, 90 euro annui.
In caso di morte del titolare del permesso di soggiorno a titolo principale, o di scioglimento del vincolo matri¬moniale, il permesso di soggiorno per motivi familiari si può convertire in permesso di soggiorno per lavoro autonomo, o subordinato, o per studio.
Il Testo unico delle disposizioni concernenti la disci¬plina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero – come modificato dal decreto legislativo 8 gennaio 2007 n.5 (attuazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto di ricongiungimento familiare) – all’articolo 5 n. 5 e 5-bis prevede, in caso di ricongiun¬gimento familiare, una valutazione più elastica dei requisiti di ingresso e soggiorno rispetto a quella nor¬malmente effettuata. Infatti, la decisione sul rinnovo, rilascio e revoca del permesso di soggiorno deve tene¬re “anche conto della natura e della effettività dei vin¬coli familiari dell’interessato, e dell’esistenza di legami familiari e sociali con il suo paese d’origine nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del suo soggiorno nel medesimo territorio nazionale” (art. 5 n.5). La pericolosità per l’ordine pubblico e la sicurezza dello Stato deve essere poi valutata “anche in considerazione di eventuali con¬danne per i reati previsti dagli articoli 380, commi 1 e 2, e 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale, ovvero per i reati di cui all’articolo 12, commi 1 e 3” (art. 5, n. 5 bis).
Il fatto che si tratti di una valutazione meno rigida lo si ricava dalla circostanza che lo straniero condanna¬to per alcune tipologie di reati viene considerato pre¬suntivamente pericoloso, senza alcun riferimento ad altre considerazioni. All’amministrazione non è data la possibilità di valutare il comportamento nel caso concreto: alla condanna consegue, automaticamente, la revoca (o il mancato rinnovo, o il mancato rilascio) del permesso di soggiorno.
Più precisamente, l’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998 stabilisce che “Non è ammesso in Italia lo straniero che (…) risulti condannato, anche con sen¬tenza non definitiva, compresa quella adottata a se-guito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’articolo 444 del codice di procedura penale, per reati previsti dall’articolo 380, commi 1 e 2, del co¬dice di procedura penale ovvero per reati inerenti gli stupefacenti, la libertà sessuale, il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina verso l’Italia e dell’emi-grazione clandestina dall’Italia verso altri Stati o per reati diretti al reclutamento di persone da destinare alla prostituzione o allo sfruttamento della prosti¬tuzione o di minori da impiegare in attività illecite. Impedisce l’ingresso dello straniero in Italia anche la condanna, con sentenza irrevocabile, per uno dei reati previsti dalle disposizioni del titolo III, capo III, sezio¬ne II, della legge 22 aprile 1941, n. 633, relativi alla tutela del diritto di autore, e degli articoli 473 e 474 del codice penale”. Poiché l’art. 5 n. 5stabilisce che “il permesso di soggiorno o il suo rinnovo sono rifiutati e, se il permesso di soggiorno è stato rilasciato, esso è revocato, quando mancano o vengono a mancare i requisiti richiesti per l’ingresso e il soggiorno nel ter-ritorio dello Stato”, ne risulta che lo straniero condan¬nato per i reati predetti non potrà entrare nel paese o dovrà lasciarlo.
Diverso è il caso dello straniero che abbia richiesto il ricongiungimento dei familiari, o che stia per ricon-giungersi lui stesso con parenti residenti in Italia: in tal caso i provvedimenti che incidono sul permesso di soggiorno devono sempre essere oggetto di valuta¬zione in concreto, con esclusione di ogni automatismo a pena di illegittimità (Cass. civ. Sez. VI, 28 mag¬gio 2014, n. 12006). Infatti – al di là della tecnica normativa utilizzata dall’articolo 5 di cui si è sopra detto – per il ricongiungendo, l’art. 4 n. 3 del D.lgs. 286/98 stabilisce “che lo straniero per il quale è ri¬chiesto il ricongiungimento familiare non è ammesso in Italia quando rappresenti una minaccia concreta e attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Sta¬to”. La previsione della concretezza ed attualità del pericolo implica una valutazione discrezionale sulla situazione specifica, che non è richiesta, invece, per colui che chieda di entrare nel territorio nazionale senza ricongiungimento.
Questa differenza di procedura – provvedimento au¬tomatico nel primo caso, valutazione discrezionale nel secondo – costituisce il cuore di una vera e propria tutela rafforzata a garanzia del nucleo familiare. La ga-ranzia si estende fino a differenziare i reati rilevanti nei due casi: infatti, laddove ci sia richiesta di ricongiungi¬mento, non rilevano le condanne per delitti di contraf¬fazione ed in violazione della proprietà intellettuale.
La ragione di tale favor è il contemperamento del¬le esigenze di controllo delle frontiere e di garanzia dell’ordine pubblico con il diritto alla vita familiare ri¬conosciuto allo straniero regolare dalla Costituzione, dalla legge e dagli impegni internazionali.
La giurisprudenza amministrativa e civile più recente, in considerazione della riforma introdotta dal D.lgs. 5/2007, emessa in attuazione della direttiva europea 2003/86/CE, ha sottolineato questa posizione (Cons. Stato Sez. III, 12 novembre 2014, n. 5566; Cons. Stato Sez. III, 23 ottobre 2014, n. 5221; Cons. Stato Sez. III, 23 ottobre 2014, n. 5220; Cass. civ. Sez. VI, 3 settembre 2014, n. 18608; Cons. Stato Sez. III, 26 agosto 2014, n. 4325 e molte altre precedenti).
Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. I, 25 luglio 2016, n. 15343 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il celebrato via Skype secondo le forme e le modalità previste da un ordinamento straniero non contrasta con l’ordine pub¬blico italiano posto che, laddove l’atto matrimoniale è valido per l’ordinamento straniero in quanto da questo considerato idoneo a rappresentare il consenso matrimoniale dei nubendi in modo consapevole, esso non può ritenersi contrastante con l’ordine pubblico solo perché celebrato in una forma non pre¬vista dall’ordinamento italiano. Nell’anzidetta ipotesi, invero, non può intendersi ravvisabile violazione dell’ordine pubblico italiano, giacché il giudizio di compatibilità dell’ordine pubblico deve essere riferito al nucleo essenziale dei valori del nostro ordinamento; inoltre, il rispetto dell’ordine pubblico in sede di delibazione deve essere garantito avendo esclusivo riguardo agli effetti dell’atto straniero , senza possibilità di sottopor¬lo ad un sindacato di tipo contenutistico o di merito, né di correttezza della soluzione adottata alla luce dell’ordinamento straniero o di quello italiano. Di talché se l’atto matrimoniale è valido per l’ordinamento straniero, esso non può ritenersi con¬trastante con l’ordine pubblico solo perché celebrato in una forma non prevista dall’ordinamento italiano.
Cass. civ. Sez. VI, 7 luglio 2016, n. 13831 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il cittadino straniero che abbia contratto matrimonio con un cittadino italiano, dopo aver trascorso nel territorio nazionale il trimestre di soggiorno informale, è tenuto a richiedere la carta di soggiorno prescritta dall’art. 10 del d.lgs n. 30 del 2007, restando soggetto, finché non ottenga tale titolo, alla disciplina dettata dall’art. 19, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 286 del 1998 e dall’art. 28 del d.P.R. n. 394 del 1999, in virtù della quale, ai fini della concessione e del mantenimento del permesso di soggiorno per coesione familiare, è necessario il requisito della convivenza effettiva. (Nella specie, la S.C. ha confermato il provvedimento di merito che ha negato il permesso di soggiorno alla cittadina straniera in ragione del matrimonio contratto con un italiano, in quanto la stessa non aveva mai fatto precedentemente richiesta di analogo titolo e si era allontanata dal territorio nazionale poco tempo dopo la celebrazione delle nozze, rientrandovi dopo oltre nove anni senza mai avere convissuto con il coniuge).
Cass. civ. Sez. VI, 5 novembre 2015, n. 22608 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La perdita della cittadinanza italiana presuppone una rinuncia spontanea e volontaria da parte del cittadino, non potendo dirsi propriamente tale quella dettata dalla necessità, legi¬slativamente imposta, di acquisire la cittadinanza del coniu¬ge straniero e dovendo la volontà abdicativa essere oggetto di approfondito accertamento istruttorio, anche officioso, da parte del giudice.
Cons. Stato Sez. III, 12 novembre 2014, n. 5566 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di immigrazione la valutazione della pericolosità in concreto, da parte del Questore deve essere compiuta solo per quanti abbiano in Italia i legami familiari previsti dall’art. 29 del d.lgs. 286/1998 (T.U. immigrazione), con esclusione di ogni altro vincolo di consanguineità, poiché il superamen¬to dell’automatismo espulsivo e la conseguente necessità di valutare tale pericolosità, che l’art. 5, comma 5, del medesi¬mo T.U. riconosce in favore di chi abbia ottenuto un formale provvedimento di ricongiungimento familiare, può estendersi, pena l’irragionevole disparità di trattamento, solo “a chi, pur versando nelle condizioni sostanziali per ottenerlo, non abbia formulato istanza in tal senso”.
Cons. Stato Sez. III, 23 ottobre 2014, n. 5221 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nei confronti dello straniero che si trovi nelle condizioni di aver esercitato il ricongiungimento familiare (o sia familiare ricongiunto) l’eventuale diniego del permesso di soggiorno (o del suo rinnovo) non discende automaticamente dalla presen¬za di una causa ostativa (quale ad es. le condanne penali) ma deve essere sempre preceduto da una valutazione discrezio¬nale che tenga conto dell’interesse dello straniero e della sua famiglia alla conservazione dell’unità familiare, mettendo tale interesse in comparazione con quello della comunità nazio¬nale ad allontanare un soggetto socialmente pericoloso; tale disciplina, benché riferita allo straniero che abbia usufruito di una procedura di ricongiungimento familiare, deve essere applicata (per necessità logico-giuridica) in tutti i casi in cui vi sia un nucleo familiare la cui composizione corrisponda a quella che, ove necessario, darebbe titolo ad una procedura di ricongiungimento, non rilevando in contrario che tale pro¬cedura in effetti non vi sia stata, essendosi il nucleo familiare costituito o ricostituito senza aver dovuto ricorrervi.
Cons. Stato Sez. III, 23 ottobre 2014, n. 5220 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nei confronti dello straniero che si trovi nelle condizioni di aver esercitato il ricongiungimento familiare (o sia familiare ricongiunto) l’eventuale diniego del permesso di soggiorno (o del suo rinnovo) non discende automaticamente dalla presen¬za di una causa ostativa (quale ad es. le condanne penali) ma deve essere sempre preceduto da una valutazione discrezio¬nale che tenga conto dell’interesse dello straniero e della sua famiglia alla conservazione dell’unità familiare, mettendo tale interesse in comparazione con quello della comunità nazio¬nale ad allontanare un soggetto socialmente pericoloso; tale disciplina, benché riferita allo straniero che abbia usufruito di una procedura di ricongiungimento familiare, deve essere applicata (per necessità logico-giuridica) in tutti i casi in cui vi sia un nucleo familiare la cui composizione corrisponda a quella che, ove necessario, darebbe titolo ad una procedura di ricongiungimento, non rilevando in contrario che tale pro¬cedura in effetti non vi sia stata, essendosi il nucleo familiare costituito o ricostituito senza aver dovuto ricorrervi.
Cass. civ. Sez. VI, 3 settembre 2014, n. 18608 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di disciplina dell’immigrazione, l’art. 13, comma 2 bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (introdotto dal d.lgs. 8 gennaio 2007, n. 5), nel disporre che qualora debba adottarsi un provvedimento di espulsione, ai sensi del secondo comma, lett. a) e lett. b), della medesima disposizione, nei confronti dello straniero che ha esercitato il diritto al ricongiungimento familiare ovvero del familiare ricongiunto, si deve tenere an¬che conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale, nonché dell’esistenza dei legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese di origine, tende a salvaguardare il diritto alla vita familiare dello straniero in ogni caso in cui esso non contrasti con gli interessi pubblici.
Cass. civ. Sez. VI, 2 settembre 2014, n. 18553 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di immigrazione, il divieto di espulsione di cui all’art. 19, comma 2, lett. c), del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, co¬stituisce condizione necessaria per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi di coesione familiare, sicché non opera qualora, per ragioni di pericolosità sociale, sia stato revocato il titolo di soggiorno dello straniero, anche se fondato sulla medesima condizione soggettiva produttiva dell’inespellibilità.
Cons. Stato Sez. III, 26 agosto 2014, n. 4325 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nei confronti dello straniero che si trovi nelle condizioni di aver esercitato il ricongiungimento familiare (o sia familiare ricongiunto) l’eventuale diniego del permesso di soggiorno (o del suo rinnovo) non discende automaticamente dalla presen¬za di una causa ostativa ma deve essere sempre preceduto da una valutazione discrezionale che tenga conto dell’interesse dello straniero e della sua famiglia alla conservazione dell’u¬nità familiare, mettendo tale interesse in comparazione con quello della comunità nazionale ad allontanare un soggetto socialmente pericoloso.
Cass. civ. Sez. VI, 28 maggio 2014, n. 12006 (Pluris, Wol¬ters Kluwer Italia)
In tema di immigrazione, il decreto di espulsione emesso nei confronti dello straniero che abbia omesso di chiedere, nei termini di legge, il rinnovo del permesso di soggiorno per ri¬congiungimento familiare, è illegittimo per violazione della clausola di salvaguardia della coesione familiare di cui all’art. 5, comma 5, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ove non con¬tenga alcun riferimento alle ragioni per cui non è stata presa in considerazione la sua situazione familiare.
Cass. civ. Sez. VI, 18 marzo 2014, n. 6205 (Pluris, Wol¬ters Kluwer Italia)
Al la luce della natura permanente ed imprescrittibile del di¬ritto al riconoscimento della cittadinanza italiana, i figli minori di una cittadina italiana, che abbia sposato uno straniero e stabilito la propria residenza all’estero, perdono la cittadinan¬za italiana, ai sensi dell’art. 12, terzo comma, della legge 13 giugno 1912, n. 555, esclusivamente nel caso in cui la madre, a seguito del matrimonio, abbia, ai sensi dell’art. 11 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, rinunciato spontaneamente e volontariamente alla cittadinanza italiana, senza che tale ri¬nunzia – alla luce delle sentenze della Corte costituzionale n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983 – possa costituire la mera conse¬guenza dell’acquisto della cittadinanza del coniuge straniero (art. 10 della legge n. 555 del 1912) ovvero di una “volontà” abdicativa non liberamente determinata (art. 8 della legge n. 555 cit.). (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito assumendo che il rigetto della domanda di riconosci¬mento della cittadinanza italiana non era stato giustificato dall’accertamento rigoroso in ordine alla effettiva volontarietà della perdita della cittadinanza da parte della madre dei ri¬correnti al momento in cui quest’ultima, già cittadina italiana, nella vigenza del pregresso quadro normativo, aveva perso la cittadinanza in favore di quella libanese a causa del proprio matrimonio).
Cons. Stato Sez. III, 3 gennaio 2014, n. 1 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini dell’applicazione del regime di favore dettato dall’art. 5, comma 5, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come modi¬ficato per effetto del D.Lgs. n. 5/2007, per i casi ricongiun¬gimento familiare, non è determinante la presenza o meno di una formale procedura di ricongiungimento. I “legami fa¬miliari” rilevanti sono quelli indicati dall’art. 29 del D.Lgs. n. 286/1998 (coniugi, figli minori, figli maggiorenni a carico, ge¬nitori a carico), con le precisazioni che: (i) non è necessaria la convivenza, dal momento che il dispositivo della sentenza della Corte parla di “legami familiari nel territorio dello Stato”, e non di familiari conviventi; (ii) nel rapporto tra genitori e figli non necessita che i figli siano attualmente minorenni; perché se è vero che sono ricongiungibili solo i figli minorenni, è anche vero che la sentenza della Corte non fa riferimento alle persone che presentino “attualmente” i requisiti del ri¬congiungimento, ma (anche) a quelle che a tempo opportuno avrebbero avuto titolo al ricongiungimento, ma non abbiano avuto necessità di avvalersene.
Cons. Stato, Sez. I, 9 ottobre 2013, n. 3164 (Pluris, Wol¬ters Kluwer Italia)
La dichiarazione di cui all’art. 116 c.c., la cui presentazione è prevista come onere in capo allo straniero che vuole con¬trarre matrimonio nello Stato, va valutata con riguardo alla sua connotazione sostanziale. Ai fini della sua validità, dun¬que, è necessario e sufficiente che la dichiarazione rilasciata dall’autorità estera accerti l’assenza di ostacoli al matrimonio, a prescindere dalle formule testuali impiegate.
ass. civ. Sez. VI, 18 luglio 2013, n. 17620 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 28 della legge 31 maggio 1995, n. 218, il matrimonio celebrato all’estero è valido nel nostro ordina¬mento, quanto alla forma, se è considerato tale dalla legge del luogo di celebrazione, o dalla legge nazionale di almeno uno dei nubendi al momento della celebrazione, o dalla legge dello Stato di comune residenza in tale momento; tale principio non è condizionato dall’osservanza delle norme italiane relative alla trascrizione, atteso che questa non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa e scopo di pubblicità di un atto già di per sé valido. Ne deriva che in tal caso il figlio va conside¬rato, a tutti gli effetti, nato in costanza di matrimonio, onde competente a decidere della regolamentazione dei rapporti personali ed economici fra questi e i genitori é il tribunale ordinario. (Regola competenza d’ufficio).
Cass. civ. Sez. Unite, 12 febbraio 2013, n. 3268 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 360, comma terzo, cod. proc. civ. come modificato dall’art. 2 del d.lgs. n. 40 del 2006, ostativo al ricorso im¬mediato per cassazione avverso le sentenze che decidono di questioni insorte senza definire neppure parzialmente il giu¬dizio, è applicabile all’ipotesi di litispendenza comunitaria, nel quadro delle regole dettate dagli artt. 19, 22, lett. b) e 24 del regolamento del Consiglio CE 27 novembre 2003, n. 2201, relativo alla competenza, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabi¬lità genitoriale; infatti, da tale sistema normativo emerge che tanto l’accertamento della giurisdizione, quanto la declinato¬ria del giudice successivamente adito e la verifica dell’accet¬tazione della decisione da parte del contumace sono passag¬gi processuali rimessi al regime nazionale e non consentono di ipotizzare una deroga al differimento della ricorribilità per cassazione, nemmeno sotto il profilo della ragionevole durata del processo di accertamento, in difetto di norme che espres¬samente vi facciano riferimento.
Trib. Venezia, 4 luglio 2012 (Famiglia e Diritto, 2012, 12, 1143 nota di GELLI)
La prassi delle competenti autorità marocchine di subordinare il rilascio del nulla osta necessario ex art. 116 c.c. all’ade¬sione alla fede mussulmana dei nubendi risulta contraria ai principi fondamentali dell’ordinamento italiano, contrastando con diritti di rango costituzionale che non consentono di con-dizionare il matrimonio in dipendenza della fede religiosa. In tal caso, l’ufficiale di stato civile deve, pertanto, procedere alla pubblicazione del matrimonio in assenza di nulla osta del Paese d’origine ai sensi dell’art. 98 c.c.
Cass. Civ. Sez. I, 15 marzo 2012, n. 4184 (Giur. It., 2013, 2 nota di MAROTTI)
La non trascrivibilità in Italia del matrimonio tra persone dello stesso sesso non discende dalla sua inesistenza giuridica o in¬validità (per asserita contrarietà all’ordine pubblico), ma dalla inidoneità a produrre effetti giuridici per il nostro ordinamento giuridico.
Cass. civ. Sez. Unite, 13 febbraio 2012, n. 1984 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di giurisdizione sui provvedimenti “de potestate”, l’art. 8 del Regolamento (CE) del 27 novembre 2003, n. 2201 dà rilievo, al fine di stabilire la competenza giurisdizionale di uno stato membro, unicamente al criterio della residenza abi¬tuale del minore al momento della proposizione della doman¬da, intendendo come tale il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale e non quello risultante da un calcolo puramente aritmetico del vissuto.
Cass. civ. Sez. Unite, 30 novembre 2011, n. 30646 (Plu¬ris, Wolters Kluwer Italia)
La giurisdizione sulle domande relative all’affidamento dei figli ed al loro mantenimento, ove pure proposte congiuntamente a quella di separazione giudiziale, appartiene al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente, a norma dell’art. 8 del Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003. Tale criterio, informato all’interesse supe¬riore del minore e, segnatamente, al criterio della vicinanza, riveste una tale pregnanza, da condurre ad escludere che il consenso del genitore alla proroga della giurisdizione quanto alle domande concernenti i minori – pur ammessa dall’art. 12 del citato regolamento, in presenza del consenso di entrambi i coniugi – sia ravvisabile dalla mancata contestazione giuri¬sdizione da parte di un coniuge con riguardo alla domanda di separazione. (Dichiara giurisdizione)
Corte cost., 25 luglio 2011, n. 245 (Famiglia e Diritto, 2012, 3, 233 nota di PASCUCCI )
È costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2, 3, 29 e 117, primo comma, Cost. l’art. 116, primo comma, del codice civile come modificato dall’art. 1, comma 15, della leg¬ge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), limitatamente alle parole “nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano”. Tale disposizione, infatti – nello stabilire che lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all’ufficiale dello stato civile, oltre al nulla osta rilasciato dalla competente autorità del proprio Paese, anche un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano – incide su di un diritto fondamentale quale quello di contrarre matrimonio, derivante dagli artt. 2 e 29 Cost., e rappresenta uno strumento non idoneo ad assicurare un ragionevole e pro¬porzionato bilanciamento dei diversi interessi coinvolti, tanto più che il D.Lgs. n. 286 del 1998 (T.U. immigrazione) già disci¬plina alcuni istituti volti a contrastare i cosiddetti “matrimoni di comodo”; oltre a ciò, tale disposizione è lesiva dell’art. 117, primo comma, Cost., perché la libertà matrimoniale è garan¬tita anche dall’art. 12 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Trib. Piacenza, 5 maggio 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Ita¬lia)
In tema di matrimonio dello straniero nello stato italiano, si deve ritenere che il giudice possa supplire alla mancan¬za o alla inadeguatezza del certificato di nulla osta previsto dall’art. 116, comma 2, c.c., il quale rappresenta non una condizione per contrarre matrimonio ma soltanto una formali¬tà probatoria con valore puramente certificativo.
Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2011, n. 7599 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di separazione personale dei coniugi non aventi la medesima nazionalità (e di scioglimento del matrimonio), l’art. 31, primo comma, della legge 31 maggio 1995, n. 218, prevede il criterio di collegamento, ai fini dell’accertamento della legge applicabile, del luogo della “vita matrimoniale”, che va inteso in senso dinamico, come centro principale degli interessi e degli affetti dei coniugi, il quale spesso, ma non necessariamente, coincide con la residenza familiare, potendo i componenti della famiglia anche avere residenze diverse; pertanto, ancorché per lungo tempo la vita matrimoniale sia stata localizzata in uno Stato, qualora successivamente, ed anche se da un breve lasso di tempo, si verifichi un mutamen¬to, è alla nuova localizzazione che il giudice deve fare riferi¬mento, rilevando il concreto atteggiarsi dei rapporti familiari al momento della presentazione della domanda.
Cass. civ. Sez. I, 25 gennaio 2011, n. 1683 (Pluris, Wolt¬ers Kluwer Italia)
La convivenza “more uxorio” dello straniero con un cittadi¬no, ancorché giustificata dal tempo necessario affinché uno o entrambi i conviventi ottengano la sentenza di scioglimento del matrimonio dal proprio coniuge, non rientra tra le ipotesi tassative di divieto di espulsione ex art. 19, D.Lgs. 286/1998.
Cass. civ. Sez. Unite, 17 febbraio 2010, n. 3680 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini della corretta individuazione della giurisdizione in un giudizio di separazione personale tra coniugi, cittadini di di¬versi Stati membri dell’Unione Europea, secondo i criteri sta¬biliti dall’art. 3 del Regolamento CEe n. 2201 del 2003, per “residenza abituale” della parte ricorrente deve intendersi il luogo in cui l’interessato abbia fissato con carattere di stabilità il centro permanente ed abituale dei propri interessi e relazio¬ni, sulla base di una valutazione sostanziale e non meramente formale ed anagrafica, essendo rilevante, sulla base del diritto comunitario, ai fini dell’identificazione della residenza effetti¬va, il luogo del concreto e continuativo svolgimento della vita personale ed eventualmente lavorativa alla data di proposi-zione della domanda.
Cass. civ. Sez. I, 7 luglio 2008, n. 18613 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai sensi dell’art. 31, comma 1, della legge 31 maggio 1995, n. 218, la legge regolatrice della separazione personale di due coniugi, l’uno cittadino italiano e l’altro cittadino straniero che ha acquistato anche la cittadinanza italiana, è la legge italiana in quanto legge nazionale comune.
Cass. civ. Sez. I, 3 novembre 2006, n. 23598 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di disciplina dell’immigrazione, ai sensi degli artt. 19 e 30, comma 1-bis, del d.lgs. 25 luglio 1989, n. 286, il matrimonio con un cittadino italiano in tanto conferisce allo straniero il diritto al soggiorno in Italia, sia ai fini del rilascio del relativo permesso che ai fini del divieto di espulsione, in quanto ad esso faccia riscontro l’effettiva convivenza, e fino a quando sussista tale requisito, la cui prova è a carico dello stesso straniero , non essendo la convivenza presumibile in base al mero vincolo coniugale né alle mere risultanze ana¬grafiche. Tale disciplina non contrasta con il principio di dirit¬to comunitario che vieta ad uno Stato membro di negare il permesso di soggiorno e di adottare misure di espulsione nei confronti del cittadino di un Paese terzo che possa fornire la prova della sua identità e del suo matrimonio con un cittadi¬no di uno Stato membro, per il solo motivo che egli è entrato illegalmente nel suo territorio, essendo tale principio volto ad assicurare la tutela della vita familiare dei cittadini degli Sta¬ti membri, la quale postula proprio quella convivenza che il legislatore interno ha legittimamente eretto a parametro di meritevolezza della tutela accordata.
Cass. civ. Sez. I, 22 agosto 2006, n. 18220 (Famiglia e Diritto, 2007, 2, 145 nota di GELLI)
Ai fini del riconoscimento della sussistenza del divieto di espulsione amministrativa, previsto dall’art. 19, comma 2, lettera c), del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, a beneficio dello straniero convivente con il coniuge di nazionalità italiana, il riconoscimento di tale convivenza, la quale non è presu¬mibile in base all’esistenza del matrimonio e deve essere provata dall’espulso, resta escluso dall’accertamento circa la sussistenza di uno stato di separazione sia legale (giudiziale o consensuale, ex art. 150, secondo comma, cod. civ.), sia di fatto, tale da determinare la cessazione dei rapporti materiali e spirituali alla base della comune organizzazione domestica, ovvero del “consortium vitae”. La cessazione dello stato di separazione e dei relativi effetti è integrata solo dalla reale e concreta ripresa degli anzidetti rapporti materiali e spirituali, tale, cioè da possedere i caratteri della riconciliazione, di cui all’art. 157 cod. civ..
Cass. civ. Sez. I, 18 luglio 2006, n. 16452 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di disciplina dell’immigrazione, alla ipotesi di permes¬so di soggiorno contemplata dall’art. 30, comma primo, lett. a), del d.lgs. n. 286 del 1998, in favore dello straniero che abbia fatto ingresso in Italia al seguito del coniuge cittadi¬no italiano, all’epoca convivente, non è applicabile il comma 1-bis dello stesso art. 30 – introdotto dall’art. 29 della legge n. 189 del 2002 -, che stabilisce la revoca del permesso di soggiorno nel diverso caso in cui lo straniero , soggiornante in Italia da almeno un anno, abbia contratto matrimonio con cittadino italiano senza che ad esso sia seguita una effettiva convivenza tra i due, e sempre che dalla unione non siano nati figli. Infatti, nella ipotesi in esame, se la convivenza con il coniuge costituisce condizione per il rilascio del pemesso di soggiorno, la cessazione della stessa, che non dipenda da de¬cesso del coniuge, o da separazione personale o da divorzio, è irrilevante ai fini della legittimità del titolo di permanenza dello straniero nel territorio italiano.
Cass. civ. Sez. I, 8 febbraio 2006, n. 2821 (Famiglia e Diritto, 2006, 5, 487 nota di RAVOT)
L’esistenza del matrimonio, ai fini della concessione del per¬messo di soggiorno, non può essere fittizia. La relativa prova della mancata strumentalità del matrimonio è data anche dall’effettiva convivenza tra i coniugi, per cui la non coabita¬zione tra il coniuge italiano e lo straniero è da sola ostativa alla concessione del permesso di soggiorno.
Cass. civ. Sez. I, 25 novembre 2005, n. 25027 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È legittimo il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno concesso a cittadino straniero coniugato con cittadino italiano nel caso in cui venga accertato che lo straniero, dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno, si sia trasferito all›estero. Ai sensi dell›art. 30, c. 1, lett. b), D.Lgs. n. 286/1998, infatti, presupposto per il rilascio del permesso di soggiorno allo straniero coniugato con un cittadino italiano è, non solo la stabile convivenza dei coniugi, ma anche che questi ultimi abbiano fissato la residenza in Italia. Presupposto per il rilascio del permesso di soggiorno allo straniero coniugato con cittadino italiano è non soltanto la stabile convivenza dei coniugi (prevista espressamente dall›art. 30, comma primo bis, del d.lgs. n. 286 del 1998), ma anche che i coniugi abbiano fissato la loro residenza in Italia; ne consegue che è legittima la revoca del permesso di soggiorno disposta dal Questore, qualora accerti che lo straniero, dopo aver ottenuto il permesso di soggiorno per motivi familiari, si sia trasferito all›estero.
Cass. civ. Sez. I, 8 febbraio 2005, n. 2539 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il matrimonio contratto con un italiano non attribuisce senz’altro allo straniero il diritto di ottenere il permesso di soggiorno, ma è necessario l’ulteriore presupposto della convivenza con il coniuge, e ciò anche ai sensi dell’originaria formulazione dell’art. 30 D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (antecedente, cioè, all’introduzione, con l’art. 29legge 30 luglio 2002, n. 189, del comma primo bis, che impone la revoca del permesso ove si accerti che al matrimonio non è seguita l’effettiva convivenza), come si ricava dal sistema e dall’esigenza di evitare matrimoni solo formali, strumentali ad ottenere il permesso di soggiorno, nonché dal fatto che l’art. 28, lett. b), D.P.R. 31 agosto 1999, n. 394 (Regolamento di attuazione del T.U. approvato con il D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 citato) prevede che il permesso di soggiorno in favore degli stranieri dei quali è vietata l’espulsione a causa del matrimonio con cittadino italiano possa essere rilasciato purché sussistano i requisiti di cui all’art. 19, lett. c), D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 citato, e quindi solo in quanto lo straniero conviva con il coniuge. L’onere della prova del presupposto della convivenza – la quale, nel sistema del T.U., non è presumibile in base all’esistenza del mero matrimonio, né è rilevabile dalle mere risultanze anagrafiche – grava sullo straniero.
Corte cost. 30 gennaio 2003, n. 14 (Riv. Dir. Internaz. Priv. e Proc., 2003, 937)
Poiché è possibile al giudice autorizzare le pubblicazioni disapplicando norme estere contrarie all’ordine pubblico che impediscano il matrimonio dello straniero, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 116, primo comma c.c. sollevata in riferimento all’art. 2 della Costituzione.
Cass. civ. Sez. I, 13 aprile 2001, n. 5537 (Giur. It., 2002, 1624 nota di PETRELLA)
Il matrimonio celebrato all’estero tra cittadini italiani e tra italiani e stranieri, nelle forme previste dalla legge straniera, ha immediata validità nel nostro ordinamento e, benché sia stato contratto in violazione dell’art. 86 c.c. da chi non aveva libertà di stato, è destinato a produrre effetti fino a quando non sia impugnato da uno dei soggetti legittimati e non sia emessa la pronuncia del giudice di nullità. (Nella specie, la Cassazione, dopo aver affermato la validità del matrimonio contratto tra un cittadino italiano, già legato da precedente vincolo matrimoniale, ed una cittadina straniera, non essendo intervenuta, medio tempore, una pronuncia di nullità, ha ritenuto applicabile il divieto di espulsione previsto dall’art. 19, lett. c) della legge n. 40 del 1998 per gli stranieri conviventi con il coniuge di nazionalità italiana).
Cass. civ. Sez. I, 2 marzo 1999, n. 1739 (Famiglia e Diritto, 1999, 4, 327 nota di ZAMBRANO)
Il matrimonio contratto all’estero secondo il rito musulmano, nel rispetto delle forme previste dalla “lex loci” e purché sussistano i requisiti di stato e capacità delle persone stabiliti dal nostro ordinamento è valido ed efficace. Lo status di coniuge acquista rilievo, dal punto di vista interpretativo, quale valutazione della situazione da accertare senza che, per questo, debbano intendersi superati i limiti derivanti dall’ordine pubblico e dal buon costume di cui all’art. 31 disp. prel. abrogate.
Cass. civ. Sez. I, 19 ottobre 1998, n. 10351 (Famiglia e Diritto, 1999, 1, 79)
Le norme di diritto internazionale privato attribuiscono ai matrimoni celebrati all’estero tra cittadini italiani o tra italiani e stranieri immediata validità e rilevanza nel nostro ordinamento, sempre che essi risultino celebrati secondo le forme previste dalla legge straniera (e, quindi, spieghino effetti civili nell’ordinamento dello Stato straniero) e sempre che sussistano i requisiti sostanziali relativi allo stato ed alla capacità delle persone previsti dalla legge italiana. Tale principio non è condizionato dall’osservanza delle norme italiane relative alla trascrizione, atteso che questa non ha natura costitutiva, ma meramente certificativa, e scopo di pubblicità di un atto già di per sé valido sulla base del principio “locus regit actum”.