Violazione della corresponsione del mantenimento ai figli

Cass. pen. Sez. VI, Sent., 7 aprile 2020, n. 11627;
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CALVANESE Ersilia – Presidente –
Dott. AMOROSO Riccardo – Consigliere –
Dott. BASSI Alessandra – rel. Consigliere –
Dott. COSTANTINI Antonio – Consigliere –
Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere –
ha pronuncia0to la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.S., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 24/05/2019 della Corte d’appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Bassi Alessandra;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Angelillis Ciro, che ha
concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito il difensore, avv. Flavio Cioccarelli, in sostituzione dell’avv. Antonietta De Carlo, che ha
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Bari ha confermato la sentenza dell’11
gennaio 2017, con la quale il Tribunale di Foggia ha condannato P.S. alla pena di giorni venti di
reclusione ed Euro 200,00 di multa, in relazione al reato di cui all’art. 81 c.p., comma 2 e art. 570
c.p., comma 1 e comma 2, n. 2, (per essersi sottratto, con più azioni esecutive di un medesimo
disegno criminoso ed in tempi diversi, agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà di genitore,
facendo mancare ai due figli minori i necessari mezzi di sussistenza, in particolare, omettendo di
corrispondere l’assegno mensile di mantenimento di Euro 350,00, determinato dalla Corte d’appello
di Bari, Sezione Minori e Famiglia, con provvedimento del 25 giungo 2010; fatto commesso dal
(OMISSIS)).
2. Nel ricorso a firma del difensore di fiducia, P.S. chiede l’annullamento del provvedimento per i
motivi di seguito sunteggiati ai sensi dell’art. 173 disp. att. c.p.p.
2.1. Con il primo motivo, eccepisce la mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della
motivazione. Al riguardo la difesa evidenzia come la Corte d’appello abbia motivato la penale
responsabilità dell’imputato, da una parte, limitandosi a fare richiamo a massime giurisprudenziali;
dall’altra parte, omettendo di procedere ad una adeguata valutazione critica degli atti processuali e
degli elementi costitutivi del reato contestato, con particolare riguardo all’elemento psicologico.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione di legge penale e vizio di
motivazione in relazione all’art. 164 c.p., per avere la Corte distrettuale omesso di dare risposta in
merito alla sollecitata applicazione del beneficio, nonostante la specifica deduzione sul punto e la
sussistenza di elementi favorevoli alla concessione dell’istituto.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è parzialmente fondato, risultando per il resto inammissibile per le ragioni di seguito
esposte.
2. Con il primo motivo il ricorrente propone argomenti già sottoposti al vaglio del Giudice del
gravame e non si confronta con la risposta data in sentenza. Il che costituisce causa
d’inammissibilità del ricorso (Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, Arnone e altri, Rv. 243838).
2.1. Ad ogni buon conto, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, il Collegio distrettuale
non si è limitata a richiamare i principi espressi da questa Corte regolatrice, ma ha attentamente
argomentato la conferma del giudizio di penale responsabilità evidenziando che, dalle convergenti
deposizioni dell’ex convivente del P. e del padre della stessa, risulta provato l’omesso versamento
dell’assegno di mantenimento da parte dell’imputato; che, sulla scorta degli esiti dell’istruttoria
dibattimentale, non è dimostrata l’eccepita impossibilità del prevenuto di adempiere all’obbligo
giustificata dalle difficoltà economiche conseguenti dal licenziamento; che, in particolare, P. non ha
fatto fronte agli obblighi – neanche in modo parziale – durante il periodo in cui ha svolto una
regolare attività lavorativa (cioè dal (OMISSIS)) né durante il periodo in cui è stato
successivamente assunto con un contratto a tempo determinato (dal 5 giugno al 31 agosto 2012);
che, d’altra parte, non si può escludere che il prevenuto abbia accantonato dei risparmi al fine di fare
fronte al pagamento anche solo parziale degli assegni dovuti alla prole (v. pagine 2 e seguente della
sentenza impugnata).
A fronte della precisione, completezza e intima coerenza dell’iter argomentativo sviluppato dal
Giudice del gravame in sentenza, il ricorso si risolve nella sollecitazione ad una diversa valutazione
su aspetti squisitamente di merito, non consentita in questa Sede, dovendo la Corte di legittimità
limitarsi a verificare la completezza e l’insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza
possibilità di valutare la rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (ex plurimis
Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella).
3. Coglie di contro nel segno il secondo motivo di doglianza in punto di denegata applicazione della
sospensione condizionale della pena.
3.1. Ed invero, la Corte d’appello, pur dandone atto in sentenza – nella parte preliminare dedicata al
sunto dei motivi di gravame -, ha poi omesso di dare una qualunque risposta in merito alla
sollecitata richiesta di concessione della sospensione condizionale della pena, con ciò venendo
meno all’obbligo di motivazione su di una questione certamente rilevante.
3.2. Né può ritenersi che la richiesta fosse all’evidenza destituita di fondamento – cioè tale da
renderla ab origine inammissibile – là dove, dal certificato penale del P. in atti, si evince che lo
stesso ha riportato due condanne a pena pecuniaria (segnatamente con il decreto penale del Giudice
delle indagini preliminari del Tribunale di Foggia del 23 febbraio 2010 e del Giudice di pace di
Foggia del 12 novembre 2009) ed una condanna a pena detentiva della Corte militare d’appello di
Roma dell’8 giugno 2000 con applicazione della sospensione condizionale” di tal che sussisteva –
almeno in astratto – la possibilità di concedere una seconda volta il beneficio a mente dell’art. 164
c.p., u.c..
4. La sentenza impugnata deve, pertanto, essere annullata limitatamente al punto concernente
l’applicabilità della sospensione condizionale della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte
d’Appello di Bari per nuova delibazione sul punto.
4.1. Visto l’art. 624 c.p.p., comma 2, deve essere dichiarata l’irrevocabilità dell’affermazione delle
responsabilità penale e della determinazione della pena.
4.2. Il ricorrente ammesso al gratuito patrocino chiederà al giudice del rinvio la liquidazione delle
spese processuali in relazione al giudizio celebrato dinanzi a questa Corte.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla sospensione condizionale della pena e rinvia ad
altra sezione della Corte d’Appello di Bari per nuovo giudizio sul punto.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Dichiara l’irrevocabilità quanto all’affermazione delle responsabilità penale ed alla determinazione
della pena.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi,
a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
Si dà atto che il presente provvedimento, redatto dal Consigliere Dr. Bassi Alessandra, viene
sottoscritto dal solo Presidente del Collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8
marzo 2020, art. 1, comma 1 lett. a)
Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.
Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2020

Trasferimenti immobiliari in sede di transazione nel divorzio.

Tribunale di Lecce 19 febbraio 2020
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Lecce, sezione commerciale, composto dai Signori Magistrati
Dott. A. Silvestrini – Presidente rel.
Dott. G. S****A – Giudice
Dott. A. F****o – Giudice
S E N T E N Z A
nella causa civile iscritta al n. 10732 /201 7 del Ruolo Generale promossa
D A
P****i C****i , rappresentata e difesa da ll’avv. A****a G****a , giusta mandato in atti .
-RICORRENTE –
C O N T R O
F****i A****o , rappresentato e difeso dall’avv. C****a C****e , giusta mandato in atti .
-RESISTENTE –
Alla udienza del 19.2.20 20 la causa passava in decisione sulle conclusioni che, di seguito, si
riportano: per
entrambe le parti : si pronunci il divorzio alle condizioni concordate nel l’atto allegato al
verbale d’udienza. Il
P.M.: parere favorevole .
SVO LGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
P****i C****i (nat a a Casarano il 5.2.19 74), con ricorso depositato il 3.11.2017 , adiva
questo
Tribunale, per sentir dichiarare l a cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto in
R****E del M****a il 5.4.199 7 con F****i A****o A****C (nat o a Supersano il 2.11.19 65
), trascritto
nel registro degli a tti di matrimonio del Comune di R****E del M****a rel ativo all’anno 199
7, parte
II, serie A, n. 4.
A sostegno della domanda il ricorrente deduceva : che durante l’unione coniugale era no nat i i figli Emanuele il 21.4.1999 e Marika il 13.8.2001 ; che il Tribunale di Lecce con decreto del 14.11.2008 aveva omologato la loro separazione consensuale e che da ll’udienza presidenziale di comparizione coniugi la comunione spirituale e materiale fra i coniugi era definitivamente cessata.
Il resistente non si opponeva alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio. All’udienza di comparizione davanti al Presidente del Tribunale i due coniugi dichiaravano di voler divorziare alle condizioni concordate nel l’atto allegato al verbale d’udienza .
Il presidente, preso atto dell’accordo raggiunto dai coniugi e assunte le funzioni di giudice istruttore, invitava i procuratori delle parti a precisare immediatamente le conclusioni ed, espletato tale incombente, riservava di relazionare al collegio .
Osserva il collegio giudicante che ricorrono le condizioni per la pronuncia di scioglimento del matrimonio contratto dalle parti, in quanto questo Tribunale con decret o del 14.11.2008 ebbe ad omologare la loro separazione consensuale e sin dall’udienza presidenziale di comparizione i coniugi hanno vissuto ininterrottamente separati; il non breve periodo di separazione dimostra l’impossibilità di ricostituire la comunion e spirituale e materiale fra i coni ugi , che all’ udienza
di comparizione personale hanno ribadito la loro ferma e ma turata decisione di divorziare. Nella medesima udienza i coniugi hanno chiesto concordemente al Tribunale di pronunciare lo scioglimento del matrimonio alle condizioni concordate nel l’atto allegato al verbale di udienza , che prevede:
VERBALE DI ACCORDO PER LA CESSAZIONE DEGLI EFFETTI CIVILI DEL MATRIMONIO TRA
P****i C****i, nata a Casarano (LE) il 05/02/1974 e resident e in 73040 —
Supersano (LE) alla Via ……….. n. 4, con l’ Avv. A****a G****a
E
F****i A****o (C.F. LEINTN65S02L008F) , nato a Supersano (LE) il 02/11/1965 e residente in 73040 —
Supersano (LE) alla via F. …… 5, con l’ Avv. C****a C****e.
PREMESSO CHE
1. La Sig.ra P****i C****i in data 05/04/1997 ha contratto matrimonio con il rito concordatario con il
Sig. F****i A****o in regime di comunione dei beni, trascritto nei registri dello stato civile de l
Comune di R****E del M****a (LE), Anno 1997, Atto n. 4, Parte 2, Serie A.
2. Dal matrimonio sono nati due figli, Emanuele (nato il 21/04/1999 a Tricase — LE) e Marika (nata il
13/08/2001 a Tricase –LE).
3. In data 14/11/2008, il Tribunale Civile di Lecce (R.G . n. 3237/2008 R.G.) omologava la separazione
consensuale con decreto depositato in cancelleria in data 14/11/2008 nel quale veniva specificato
che «il Sig. F****i provvederà a versare alla sig.ra P****i a titolo di mantenimento per i soli figli minori,
la s omma di euro 250,00 mensili, rivalutata annualmente secondo gli indici ISTAT; ….. restano a
carico di entrambi i coniugi, nella misura del cinquanta per cento, le spese scolastiche, mediche e
sportive; ….. i coniugi sono per il resto economicamente autosuffi cienti e pertanto ciascuno
provvederà al proprio mantenimento».
4. In data 03.11.2017 veniva iscritto a ruolo innanzi al Tribunale di Lecce (R.G. n. 10732/17) ricorso in
favore della Sig.ra P****i per la cessazione degli effetti civili del matrimonio concorda tario; nel
ricorso si evidenziava che il Sig. F****i A****o non ha mai ha versato alcuna somma per il
mantenimento dei figli, risultando debitore dell’importo, comprensivo di rivalutazione ISTAT e
interessi legali, pari ad Euro 28.523,65 (dal 01.12.2008 al 31.08.2017) oltre ad Euro 250,00 per il
mese di settembre 2017 ed Euro 250,00 per il mese di Ottobre 2017, per un totale di Euro
29.023,65, al netto di spese straordinarie poste dal giudice al 50%, anch’esse mai corrisposte.
5. La posizione debitoria del Sig. F****i non veniva regolarizzata neppure a seguito della messa in mora
inviata in data 07.10.2017, con Racc. A/R 14605873937 -8 a firma dell’Avv. A****a G****a, contestata
con raccomandata del 19.10.2017 dal difensore del Sig. F****i A****o, Avv. C****a C****e.
6. La sig.ra P****i contesta altresì che il sig. F****i non ha versato neppure le ulteriori somme dovute
sino alla data odierna.
7. Nel ricorso per la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, la Sig.ra P****i,
pertanto, chiedeva un aumento a carico del Sig. F****i A****o della somma prevista nell’omologa di
separazione per il mantenim ento dei due figli, elevata ad EUR 400,00 mensili (EUR 200,00 per ciascun
figlio), o la maggiore o minore somma che sarebbe stata ritenuta congrua in corso di causa,
rivalutata annualmente secondo gli indici ISTAT, oltre spese straordinarie al 50%.
8. In data 04. 05.2018, si costituiva in giudizio il Sig. F****i A****o, per il tramite dell’Avv. C****a
C****e, impugnando e contestando le richieste e conclusioni avanzate dalla Sig.ra P****i,
affermando nell’esposizione dei fatti che il resistente nulla dovesse alla Sig.ra P****i per arretrati a
titolo di mantenimento per i figli minori, avendo corrisposto quanto dovuto anche con diverse
modalità; nell’atto di costituzione, inoltre, si chiedeva in via riconvenzionale, a causa delle difficili
condizioni economiche del Sig. F****i, che venisse riconosciuto in M****a alla Sig.ra P****i l’obbligo di
corrispondere in favore del resistente un assegno mensile di mantenimento divorzile di EUR 400,00,
ovvero in misura pari a quell’altra somma che sarebbe stata ritenuta di giustizia, comunque
rivalutabile annualmente con decorrenza che sarebbe stata ritenuta congrua.
TANTO PREMESSO
Le parti, onde evitare l’alea e la tempistica del giudizio, senza ammissione alcuna, facendosi reciproche
concessioni, hanno manifestato la volontà di addivenire ad un accordo bonario ai seguenti
PATTI E CONDIZIONI
1. La premessa è parte integrante del presente atto.
2. Verrà dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra i coniugi.
3. La Sig.ra P****i C****i, ai fini transattivi, rinuncia alla richiesta di tutti i pregressi arretrati dovuti
dal Sig. F****i A****o a titolo di mantenimento dei figli minori ed a qualsiasi altro titolo, antecedenti
alla data di sottoscrizione del presente atto di transazione, così come quantificati secondo
l’omologa del giudizio di separazione.
4. Il Sig. F****i A****o, sempre ai fini transattivi, si impegna a provvedere a proprie spese
all’accatastamento su due piani distinti della casa coniugale di sua proprietà sita in 73040 —
Supersano (LE) alla via……………….. n. 4, (individuata catastalmente come terreno in
Supersano, qualità «frutteto», Foglio 27, particella 1455, Classe U, 1 are 50 ca, reddito dominicale
Euro 1,63, reddito agrario Euro 1,20), provvedendo altresì a donare la nuda proprietà dell’unità
immobiliare a piano terra del predetto immobile al figlio Emanuele F****i, e la nuda proprietà
dell’unità immobiliare situata al primo piano, alla figlia Marika F****i. Il Sig. F****i provvederà, altresì, a
costituire sul predetto immobile diritto di usufrutto in favore del la Sig.ra P****i C****i con
riferimento all’unità immobiliare sita al primo piano la cui nuda proprietà verrà donata alla figlia
Marika F****i, riservando per se stesso l’usufrutto dell’unità immobiliare sita al piano terra, la cui
nuda proprietà verrà don ata al figlio Emanuele F****i. Le spese notarili e di registrazione per tutti i
predetti atti si intendono a totale carico del Sig. F****i A****o.
5. Il trasferimento immobiliare di cui al precedente punto 4) costituisce condizione indispensabile ed
imprescindib ile del presente accordo di divorzio tra coniugi;
6. Le attività di cui al precedente punto, saranno compiute dal Sig. F****i A****o entro e non oltre la
data del .
7. Ciascuno degli odierni firmatari provvederà al pagamento delle s pese relative all’allaccio e/o
volturazione delle utenze della unità immobiliare che riceverà in usufrutto, a qualunque titolo
dovute.
8. Vengono concordate le seguenti ulteriori condizioni:
o con riferimento al mantenimento dei figli ormai maggiorenni, ciascun genitore provvederà agli
stessi secondo le proprie possibilità;
o ciascun coniuge rinuncia a chiedere qualsiasi somma a titolo di assegno post -matrimoniale nei
confronti dell’altro, essendo economicamente autosufficiente, rinunciando altresì ad ogni altra
domanda formulata in giudizio.
o le spese legali, a qualunque titolo dovute, sono compensate tra le parti.
9. Le parti, nella logica globalmente transattiva che ispira il presente atto, dichiarano di rinunciare
espressamente ad ogni altra pretesa comunque traent e origine, anche solo occasionalmente dai
fatti di cui in premessa pur se non menzionata espressamente e a oggi non azionata, nulla escluso
ed eccettuato.
10. Le parti dichiarano di essere pienamente soddisfatte dal presente accordo transattivo e di null’altro
avere a pretendere reciprocamente.
11. Gli Avv.ti A****a G****a e C****a C****e sottoscrivono il presente atto per la conferma della
sottoscrizione dei rispettivi assistiti e per rinuncia al vincolo di solidarietà professionale.
LETTO CONFERMATO E SOTTOSCRITTO
Lecce 19.02.20.
F****i A****o
P****i C****i
avv. C****a C****e
avv.A****a G****a
Nulla osta a lla richiesta pronuncia di divorzio alle suddette condizioni, che non risultano
contrastanti con alcuna disposizione inderogabile di legge. Spese compensate .
p. q. m.
Il Tribunale di Lecce, pronunciando sulla domanda proposta, con ricorso depositato il 3.1.01 7, da P****i
C****i nei confronti di F****i A****o , così provvede:
pronuncia l o cessazio ne degli effetti civili del matrimonio contratto in R****E del M****a il
5.4.1997 da P****i C****i (nat a a Casarano il 5.2.1974 ) e F****i A****o A****C (nat o a Supersano il
2.11.1965) , trascritto nel registro degli a tti di matrimonio del Comune di Acquari ca del M****a
rel ativo all’anno 1997 , parte II, serie A, n. 4 ed ordina all’ufficiale dello stato civile del predetto
Comune di procedere alla annotazione della presente sentenza;
regolamenta i rapporti fra ex coniugi e fra gli stessi ed i figli in conformità a quanto stabilito in
motivazione; spese processuali compensate .

Spese del procedimento ex art. 708 IV co. cpc al merito.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 9 gennaio – 30 aprile 2020, n. 8432
Presidente Giancola – Relatore Mercolino
Fatti di causa
1. Con Decreto del 12 febbraio 2018, la Corte d’appello di Brescia ha rigettato il reclamo proposto da B.L.
avverso l’ordinanza emessa il 15 luglio 2017, con cui il Presidente del Tribunale di Bergamo, pronunciando
ai sensi dell’art. 708 c.p.c., comma 3, nel giudizio di separazione proposto dalla reclamante nei confronti
del coniuge F.A. , aveva escluso l’obbligo di quest’ultimo di contribuire al mantenimento della ricorrente,
aveva posto a suo carico l’obbligo di contribuire al mantenimento dei tre figli nati dal matrimonio
mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 400,00 ciascuno, nonché mediante il pagamento
del 50% delle spese straordinarie, ed aveva proceduto alla regolamentazione delle modalità di
frequentazione del padre da parte dei figli.
2. Avverso il predetto decreto la B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo,
illustrato anche con memoria.
Il F. non ha svolto attività difensiva.
Con ordinanza del 5 novembre 2019, la Sesta Sezione civile, investita dell’esame del ricorso ai sensi
dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, ne ha disposto la rimessione alla pubblica udienza ai sensi dell’art.
380-bis c.p.c., comma 3, ritenendo insussistenti i presupposti per la decisione in Camera di consiglio.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, si osserva che nel procedimento di separazione personale dei coniugi il decreto con
cui la corte d’appello abbia deciso sul reclamo avverso l’ordinanza emessa dal presidente del tribunale ai
sensi dell’art. 708 c.p.c., comma 3, non è impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111
Cost., nella parte riguardante i provvedimenti temporanei ed urgenti adottati nell’interesse dei coniugi e
della prole, dal momento che tali provvedimenti, pur incidendo su posizioni di diritto soggettivo, non
statuiscono sulle stesse in modo definitivo, ma hanno carattere meramente interinale, provvisorio e
strumentale al giudizio di merito, potendo essere sempre revocati o modificati dal giudice istruttore, ed
essendo destinati a rimanere assorbiti nella decisione finale (cfr. Cass., Sez. VI, 20/06/2014, n. 14141;
6/06/2011, n. 12177; v. anche, in riferimento al giudizio di divorzio, Cass., Sez. VI, 15/05/2018, n.
11788). Nella specie, tuttavia, l’impugnazione deve considerarsi ammissibile, avendo ad oggetto il capo
del medesimo decreto recante il regolamento delle spese processuali, il quale si configura come una
statuizione riguardante posizioni giuridiche soggettive di debito e di credito che discendono da un
rapporto obbligatorio autonomo, ed idonea ad acquistare autorità di giudicato (cfr. Cass., Sez. VI,
11/04/2017, n. 9348; 27/02/2012, n. 2986).
2. Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia infatti la violazione degli artt. 91 e 739
c.p.c., censurando il decreto impugnato nella parte in cui, a seguito del rigetto del reclamo, l’ha
condannata al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.225,00, oltre al rimborso delle
spese generali nella misura del 15%, invece di rinviarne il regolamento all’esito del giudizio. Sostiene che
la Corte d’appello non ha tenuto conto del carattere non definitivo del provvedimento, suscettibile di
ribaltamento ad opera della sentenza che definirà il giudizio di separazione, osservando che il
regolamento delle spese deve dipendere dall’esito complessivo di quest’ultimo, e non già da quello delle
sue fasi intermedie. Aggiunge, ad colorandum, che il decreto impugnato ha ingiustamente rigettato il
reclamo, avendo dato per assodata la disparità tra i redditi delle parti, ma avendola ritenuta inidonea a
giustificare il riconoscimento del diritto al mantenimento in favore della reclamante, ed avendo fatto
comunque salvi successivi accertamenti.
2.1. Il motivo è fondato.
La questione in esame ha dato origine ad orientamenti diversi in dottrina e nella giurisprudenza di merito,
essendosi evidenziata da parte di alcuni la natura incidentale ed endoprocedimentale del reclamo, il quale
costituisce una mera fase del procedimento di separazione e si conclude con un provvedimento destinato
anch’esso a rimanere assorbito dalla sentenza pronunciata all’esito del giudizio, ed essendosi valorizzata
da parte di altri la natura impugnatoria di tale rimedio, che si svolge dinanzi ad un giudice superiore e
conduce ad un provvedimento che definisce il relativo procedimento.
Giova ricordare, in proposito, che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo riconosciuto la natura
cautelare dei provvedimenti di cui all’art. 708 c.p.c., comma 3, osservando, con particolare riferimento a
quello con cui venga fissato in via provvisoria l’assegno di mantenimento per il coniuge, che lo stesso
sotto il profilo sostanziale tiene luogo del mantenimento cui l’obbligato sarebbe stato comunque tenuto in
costanza della convivenza, e sotto il profilo processuale esprime l’esigenza propria della tutela cautelare,
nella quale è preminente l’interesse pubblico alla conservazione dello status quo, vale a dire, nella specie,
alla conservazione del mantenimento fino all’eventuale esclusione di tale diritto od al suo affievolimento
in un diritto meramente alimentare, che può derivare solo dal giudicato (cfr. Cass., Sez. III, 1/08/2000,
n. 10025; 5/10/1999, n. 11029; 12/04/ 1994, n. 3415; 18/09/1991, n. 9728). In linea più generale, può
affermarsi che tali provvedimenti mirano a regolare, per il tempo necessario allo svolgimento del giudizio
di merito, quegli aspetti della vita della prole e dei coniugi che troveranno un assetto definitivo nella
sentenza emessa a conclusione del giudizio, e ciò al fine di evitare che per effetto della durata del
processo i componenti del nucleo familiare vedano pregiudicati i propri diritti. Tale orientamento ha
trovato conferma nella nuova disciplina dei provvedimenti cautelari, ed in particolare nell’art. 669-octies
c.p.c., comma 8, introdotto dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. e-bis), convertito con
modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80 e modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 50, comma
2, lett. a), il quale, prevedendo che l’estinzione del giudizio non determina l’inefficacia dei provvedimenti
di cui all’art. 700 c.p.c. e degli altri provvedimenti cautelari anticipatori, anche quando la domanda è
stata proposta in corso di causa, ha esteso a tali provvedimenti il carattere di ultrattività in precedenza
riconosciuto dall’art. 189 disp. att. c.p.c., ai soli provvedimenti di cui all’art. 708 c.p.c., in tal modo
facendo cadere una delle principali obiezioni mosse all’opinione in esame.
L’introduzione, ad opera della L. 8 giugno 2006, n. 54, art. 2, comma 1, dell’art. 708, comma 3, che
consente di proporre reclamo avverso i provvedimenti in esame, ha indotto poi ad accostare, pur con le
dovute differenze, la relativa disciplina a quella dei provvedimenti cautelari, evidenziando che l’art. 669-
septies c.p.c., comma 2 e art. 669-octies c.p.c., comma 7, impongono di provvedere sulle spese del
procedimento cautelare soltanto se la domanda venga proposta ante causam, sia in caso di accoglimento
che in caso di rigetto o dichiarazione d’incompetenza, mentre nulla dispongono in ordine ai procedimenti
promossi in corso di causa, per i quali deve quindi intendersi che il regolamento delle spese debba aver
luogo all’esito del giudizio di merito: tali disposizioni, introdotte contestualmente dell’art. 669-octies,
comma 8, trovano giustificazione proprio nell’ultrattività del provvedimento cautelare, che consente di
evitare l’instaurazione del giudizio di merito al solo fine di ottenere la liquidazione delle spese processuali,
ove le parti siano disposte ad accontentarsi della decisione ottenuta ante causam; qualora invece il
provvedimento cautelare sia emesso in corso di causa, non vi è necessità di una pronuncia immediata
sulle spese del relativo procedimento, il quale s’innesta sul giudizio di merito come una fase incidentale e
ne condivide normalmente la sorte, essendo il suo esito destinato a rimanere assorbito dalla pronuncia
della sentenza definitiva, fatta eccezione per il caso in cui il giudizio principale si estingua.
Tale disciplina, ritenuta applicabile anche in sede di reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c., può
rappresentare un utile punto di riferimento anche per il reclamo previsto dall’art. 708 c.p.c., comma 3 e
ciò nonostante le profonde differenze riscontrabili tra i due istituti (prime fra tutte la competenza ed il
termine per l’impugnazione), che hanno indotto parte della dottrina a ritenere il secondo più agevolmente
accostabile al reclamo previsto dall’art. 739 c.p.c., per i provvedimenti in Camera di consiglio, ed altra
parte a ravvisarvi un mezzo d’impugnazione del tutto autonomo, dotato di caratteristiche proprie sia
rispetto a quello cautelare che rispetto a quello camerale. In particolare, la natura provvisoria dei
provvedimenti in questione, destinati anch’essi a rimanere assorbiti dalla decisione di merito, ed il
carattere necessariamente incidentale del procedimento preordinato alla loro adozione, non consentita
ante causam, consentono di estendere agli stessi le considerazioni svolte in riferimento ai procedimenti
cautelari emessi in corso di causa, e ad escludere quindi la necessità di una distinta pronuncia sulle
spese, anche in sede di reclamo, dovendo la regolamentazione delle stesse trovare spazio nella sentenza
emessa a conclusione del giudizio, la quale dovrà tenere conto, a tal fine, dell’esito complessivo della lite
e delle modalità di svolgimento delle singole fasi in cui il processo si è articolato.
7. Il ricorso va pertanto accolto, con la conseguente cassazione del decreto impugnato, e, non risultando
necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384
c.p.c., u.c., con la revoca della condanna al pagamento delle spese processuali.
La novità della questione trattata giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e, decidendo nel merito, revoca la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali. Compensa integralmente le spese processuali.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di
informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione
elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella
sentenza.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento
dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Sofferenze comuni fra i fratelli e sorelle per le gravissime lesioni subite dal congiunto.

Cass. civ. Sez. III, Ord., 8 aprile 2020, n. 7748; Pres. A. Amendola, Cons. Rel. G. Cricenti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24483/2018 proposto da:
R.F., R.P., R.C., R.L., RE.AN.MA., R.A.L., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MUZIO
CLEMENTI 51, presso lo studio dell’avvocato VALERIO SANTAGATA, rappresentati e difesi
dall’avvocato MASSIMILIANO CESARE FORNARI;
– ricorrenti –
contro
GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO DIONISI, 73, presso lo studio dell’avvocato MARA
MANDRE’, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, C.M., CI.MA., C.A., F.M.Q., D.G.A.;
– intimati –
nonché da:
CI.MA., F.M.Q., C.M., C.A., tutti in qualità di coeredi del defunto C.L., elettivamente domiciliati in
ROMA, PIAZZA PIETRO MEROLLI 2, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO ROSATI,
rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO AMBRIFI;
– ricorrenti incidentali –
contro
D.G.A., UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA, R.P., R.L.,
R.F., R.A.L., RE.AN.MA., R.C.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1382/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 21/11/2019 dal Consigliere Dott.
GIUSEPPE CRICENTI.
Svolgimento del processo
Ricorrono R.P. ed i suoi congiunti, genitori, e fratelli, a causa di un incidente stradale, nel quale il
primo era trasportato in sella ad un motociclo da C.L., rimasto vittima del sinistro, causato altresì
dal conducente di altro veicolo, tale D.G.A..
I ricorrenti hanno agito in giudizio sia verso gli eredi del conducente del motociclo (C.) e la loro
assicurazione, che nei confronti del conducente e del proprietario del veicolo antagonista (condotto
da D.G.) e rispettiva compagnia di assicurazione.
Il Giudice di primo grado ha ritenuto di ripartire la causa del danno attribuendo il 70% a D.G. ed il
30% al C. (conducente del motorino) mentre il R., qui ricorrente, è stato ritenuto responsabile del
danno a se stesso nella misura del 10%, e gli è stata liquidata una somma per il danno alla persona
subito, e così anche ai suoi congiunti, di riflesso.
Questa sentenza di primo grado è stata impugnata, con autonomi appelli, dal R. e congiunti, e dalla
Groupama, compagnia di assicurazione garante del veicolo condotto dal D.G..
I due appelli sono stati riuniti.
Il giudice di secondo grado ha rigettato poi l’appello del R. e dei suoi congiunti, ed accolto quello di
Groupama relativamente alla prova del danno dei congiunti del R., terzo trasportato.
Avverso tale sentenza propongono ricorso principale R. ed i congiunti, con tre motivi e ricorso
incidentale i congiunti eredi di C.. V’è costituzione con controricorso di Groupama, che chiede il
rigetto della impugnazione. C. deposita memorie.
Motivi della decisione
1.- Le rationes oggetto di ricorso.
La decisione impugnata nega il risarcimento ai congiunti di R.P., gravemente ferito durante
l’incidente, ritenendo non provato il danno da costoro invocato, e non presumibile neanche in base
al mero rapporto di parentela.
Nega altresì il risarcimento del danno morale alla vittima primaria ritenendolo compreso in quello
biologico, nonché quello alla capacità lavorativa, in quanto non provato.
Conferma il concorso di colpa del 10% del danneggiato R. quanto alle conseguenze dannose.
2.- I motivi di ricorso sono tre. V’è un ricorso incidentale degli eredi C., che va esaminato infine.
2.1- Con il primo motivo i ricorrenti si dolgono di una erronea interpretazione dell’art. 2697 c.c., da
parte della corte di merito, quanto alla prova del danno iure proprio dei congiunti.
Ma, prima di ciò, postulano una omessa decisione quanto alla posizione di uno dei ricorrenti,
danneggiati in secundis, ossia R.L.. La sentenza di primo grado aveva dato atto che si trattava di
quattro congiunti, che invece erano cinque. Fatto appello su questa omissione, che escludeva il R.L.,
la corte non vi avrebbe posto rimedio.
In questa parte il motivo è infondato.
Infatti, la corte dà atto dell’appello di R.L., volto a farsi includere nel novero dei congiunti
danneggiati, ed implicitamente lo decide, rigettando per tutti, appellante compreso, la domanda di
risarcimento del danno.
Quanto invece alla violazione dell’art. 2607 c.c., i congiunti lamentavano un pregiudizio alla
persona (danno non patrimoniale) come conseguenza del danno inferto al congiunto, ossia delle
lesioni patite da quest’ultimo.
Secondo la corte di merito un danno dei congiunti, come conseguenza delle lesioni inferte al
parente, è ipotizzabile solo se consistente in “un totale sconvolgimento delle abitudini di vita del
nucleo familiare su cui si sono riverberate quali conseguenze gli effetti dell’evento traumatico subito
dal familiare”.
Ciò porta la corte a concludere che la prova di un tale sconvolgimento delle abitudini di vita non è
stata fornita, e non può desumersi dal mero rapporto di parentela (p. 11-12).
Il motivo è fondato.
In astratto, come è stato precisato da questa corte, “il danno non patrimoniale, consistente nella
sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui
illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva ed in riferimento a quanto
ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della
condotta” Cass. 11212/2019; Cass. 2788/2019; Cass. 17058/2017).
La decisione della corte di merito, in realtà, è errata nella premessa: essa postula, invero, che il
danno risarcibile ai congiunti per le lesioni patite dal parente, vittima primaria dell’illecito, sia solo
quello consistente nel “totale sconvolgimento delle abitudini di vita”, limitazione che non ha in
realtà alcuna ragion d’essere. Dalle lesioni inferte a taluno possono derivare, in astratto, per i
congiunti sia una sofferenza d’animo (danno morale) che non produce necessariamente uno
sconvolgimento delle abitudini di vita, sia un danno biologico (una malattia), anche essa senza
rilevanza alcuna sulle abitudini di vita.
Il danno dei congiunti è qui invocato iure proprio. Si parla spesso impropriamente di fanno riflesso,
ossia di un danno subito per una lesione inferta non a sé stessi, ma ad altri.
In realtà, il danno subito dai congiunti è diretto, non riflesso, ossia è la diretta conseguenza della
lesione inferta al parente prossimo, la quale rileva dunque come fatto plurioffensivo, che ha vittime
diverse, ma egualmente dirette. Ed anche impropriamente allora, se non per mera esigenza
descrittiva, si parla di vittime secondarie.
Con la conseguenza che la lesione della persona di taluno può provocare nei congiunti sia una
sofferenza d’animo sia una perdita vera e propria di salute, come una incidenza sulle abitudini di
vita.
Non v’è motivo di ritenere questi pregiudizi soggetti ad una prova più rigorosa degli altri, e dunque
insuscettibili di essere dimostrati per presunzioni.
E tra le presunzioni assume ovviamente rilievo il rapporto di stretta parentela (nella fattispecie,
genitori e fratelli) tra la vittima in primis, per così dire, ed i suoi congiunti.
Il rapporto di stretta parentela esistente fa presumere, secondo un criterio di normalità sociale (ossia
ciò che solitamente accade) che genitori e fratelli soffrano per le gravissime permanenti lesioni
riportate dal congiunto prossimo. Né v’è bisogno, come postula la sentenza impugnata, che queste
sofferenze si traducano in uno “sconvolgimento delle abitudini di vita”, in quanto si tratta di
conseguenze estranee al danno morale, che è piuttosto la soggettiva perturbazione dello stato
d’animo, il patema, la sofferenza interiore della vittima, a prescindere dalla circostanza che influisca
o meno sulle abitudini di vita.
3.- Il secondo motivo riguarda la vittima primaria.
Quest’ultima si duole del mancato riconoscimento del danno morale e di quello alla capacità
lavorativa, e lamenta dunque una erronea interpretazione della regola sulla prova di tali pregiudizi
(art. 2697 c.c.).
Il motivo è inammissibile.
Esso contiene la rivendicazione di due tipi di danno, non riconosciuti dal giudice di merito: quello
morale soggettivo, e quello alla capacità lavorativa.
Quanto al primo, il giudice di merito ha ritenuto che la sua liquidazione debba farsi, seguendo le
tabelle milanesi, nei termini di una personalizzazione del danno biologico, o meglio, attraverso
l’aumento di una percentuale di quel danno, a significare il rilievo accordato al danno morale
(pagine 12-14). Tuttavia, il ricorrente non allega alcunché a dimostrazione di aver patito un danno
morale. Ossia: contesta in astratto la regola che la corte di merito ritiene applicarsi a quel tipo di
danno, ma non allega in concreto elementi che possano giustificare un accertamento di tale
pregiudizio. Così che la censura non è rilevante, avendo di mira solo un principio astratto senza
alcuna concreta rilevanza quanto alla rivendicazione del ricorrente.
Infondato è invece il motivo quanto al danno alla capacità lavorativa.
Si può concordare con la tesi secondo cui la capacità lavorativa generica e una componente del
danno biologico (Cass. 17931/2019; contra 12211/2015, che ne fa questione di perdita di chance.
Tuttavia, la chance è un danno incerto attuale e non un danno certo futuro).
Con la conseguenza che la presenza di postumi macropermanenti non consente di desumere
automaticamente, in via presuntiva, la diminuzione della capacità di produrre reddito della vittima,
potendo per altro verso integrare un danno da lesione della capacità lavorativa generica il quale,
risolvendosi in una menomazione dell’integrità psico-fisica dell’individuo, è risarcibile in seno alla
complessiva liquidazione del danno biologico (Cass. 17931/2019).
Ed in tale misura essi sono stati liquidati, ed infatti il CTU ha ricompreso quella perdita nella
invalidità permanente.
4.- Il terzo motivo denuncia sotto forma di insufficiente o contraddittoria motivazione (artt. 132 e
156 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 5) l’accertamento che ha portato ad attribuire un 10% di
concorso di colpa del danneggiato quanto all’ammontare del danno (che, si ritiene, costui poteva
evitare mettendo il casco).
Il motivo è inammissibile, poiché richiede a questa corte una nuova valutazione dei fatti.
Si tratta di un accertamento in fatto basato sulle conclusioni e motivazioni della CTU medico legale,
che a suo tempo ha ritenuto riducibili i danni se fosse stato usato il casco.
5.- V’è poi il ricorso incidentale dei controricorrenti congiunti del C.. Essi lamentano violazione e
falsa applicazione della L. n. 102 del 2006, poi abrogata.
La corte di appello ha ritenuto tardiva, accogliendo apposita doglianza sul punto, la comparsa di
costituzione dei ricorrenti incidentali nel giudizio di primo grado, ritenendo non applicabile la
sospensione dei termini a questa fattispecie. Secondo i ricorrenti non v’era alcun termine da
rispettare perché la comparsa era proposta non in un giudizio nuovo, ma nella prosecuzione di
quello estinto. Il motivo è inammissibile.
E’ invero difficile da capire cosa censurino e perché i ricorrenti incidentali.
La corte di merito ha dichiarato tardiva la comparsa del 2001; mentre i ricorrenti assumono la
tempestività di una comparsa presumibilmente depositata nel 2009, nel giudizio instaurato come
prosecuzione di quello del 2001, estinto. Non v’è dunque, se così fosse, corrispondenza con la ratio
della sentenza che dichiara tardiva una diversa comparsa di costituzione, quella depositata nel
giudizio iniziale del 2001.
Vanno pertanto accolto il primo motivo di ricorso e la sentenza cassata con rinvio.
P.Q.M.
La corte accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione, dichiara inammissibile il
secondo, rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla corte di appello di Roma in
diversa composizione, anche per le spese.

Separazione dei coniugi: la corte d’appello adita in sede di reclamo avverso l’ordinanza del presidente del tribunale non deve statuire sulle spese

Cassazione civile, sez. I, 30 Aprile 2020, n. 8432.
FATTO
1. Con Decreto del 12 febbraio 2018, la Corte d’appello di Brescia ha rigettato il reclamo proposto da A.B. avverso l’ordinanza emessa il 15 luglio 2017, con cui il Presidente del Tribunale di Bergamo, pronunciando ai sensi dell’art. 708 c.p.c., comma 3, nel giudizio di separazione proposto dalla reclamante nei confronti del coniuge C.D., aveva escluso l’obbligo di quest’ultimo di contribuire al mantenimento della ricorrente, aveva posto a suo carico l’obbligo di contribuire al mantenimento dei tre figli nati dal matrimonio mediante il versamento di un assegno mensile di Euro 400,00 ciascuno, nonchè mediante il pagamento del 50% delle spese straordinarie, ed aveva proceduto alla regolamentazione delle modalità di frequentazione del padre da parte dei figli.
2. Avverso il predetto decreto la B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un solo motivo, illustrato anche con memoria.
Il F. non ha svolto attività difensiva.
Con ordinanza del 5 novembre 2019, la Sesta Sezione civile, investita dell’esame del ricorso ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5, ne ha disposto la rimessione alla pubblica udienza ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 3, ritenendo insussistenti i presupposti per la decisione in Camera di consiglio.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente, si osserva che nel procedimento di separazione personale dei coniugi il decreto con cui la corte d’appello abbia deciso sul reclamo avverso l’ordinanza emessa dal presidente del tribunale ai sensi dell’art. 708 c.p.c., comma 3, non è impugnabile con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., nella parte riguardante i provvedimenti temporanei ed urgenti adottati nell’interesse dei coniugi e della prole, dal momento che tali provvedimenti, pur incidendo su posizioni di diritto soggettivo, non statuiscono sulle stesse in modo definitivo, ma hanno carattere meramente interinale, provvisorio e strumentale al giudizio di merito, potendo essere sempre revocati o modificati dal giudice istruttore, ed essendo destinati a rimanere assorbiti nella decisione finale (cfr. Cass., Sez. VI, 20/06/2014, n. 14141; 6/06/2011, n. 12177; v. anche, in riferimento al giudizio di divorzio, Cass., Sez. VI, 15/05/2018, n. 11788). Nella specie, tuttavia, l’impugnazione deve considerarsi ammissibile, avendo ad oggetto il capo del medesimo decreto recante il regolamento delle spese processuali, il quale si configura come una statuizione riguardante posizioni giuridiche soggettive di debito e di credito che discendono da un rapporto obbligatorio autonomo, ed idonea ad acquistare autorità di giudicato (cfr. Cass., Sez. VI, 11/04/2017, n. 9348; 27/02/2012, n. 2986).
2. Con l’unico motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia infatti la violazione degli artt. 91 e 739 c.p.c., censurando il decreto impugnato nella parte in cui, a seguito del rigetto del reclamo, l’ha condannata al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 2.225,00, oltre al rimborso delle spese generali nella misura del 15%, invece di rinviarne il regolamento all’esito del giudizio. Sostiene che la Corte d’appello non ha tenuto conto del carattere non definitivo del provvedimento, suscettibile di ribaltamento ad opera della sentenza che definirà il giudizio di separazione, osservando che il regolamento delle spese deve dipendere dall’esito complessivo di quest’ultimo, e non già da quello delle sue fasi intermedie. Aggiunge, ad colorandum, che il decreto impugnato ha ingiustamente rigettato il reclamo, avendo dato per assodata la disparità tra i redditi delle parti, ma avendola ritenuta inidonea a giustificare il riconoscimento del diritto al mantenimento in favore della reclamante, ed avendo fatto comunque salvi successivi accertamenti.
2.1. Il motivo è fondato.
La questione in esame ha dato origine ad orientamenti diversi in dottrina e nella giurisprudenza di merito, essendosi evidenziata da parte di alcuni la natura incidentale ed endoprocedimentale del reclamo, il quale costituisce una mera fase del procedimento di separazione e si conclude con un provvedimento destinato anch’esso a rimanere assorbito dalla sentenza pronunciata all’esito del giudizio, ed essendosi valorizzata da parte di altri la natura impugnatoria di tale rimedio, che si svolge dinanzi ad un giudice superiore e conduce ad un provvedimento che definisce il relativo procedimento.
Giova ricordare, in proposito, che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo riconosciuto la natura cautelare dei provvedimenti di cui all’art. 708 c.p.c., comma 3, osservando, con particolare riferimento a quello con cui venga fissato in via provvisoria l’assegno di mantenimento per il coniuge, che lo stesso sotto il profilo sostanziale tiene luogo del mantenimento cui l’obbligato sarebbe stato comunque tenuto in costanza della convivenza, e sotto il profilo processuale esprime l’esigenza propria della tutela cautelare, nella quale è preminente l’interesse pubblico alla conservazione dello status quo, vale a dire, nella specie, alla conservazione del mantenimento fino all’eventuale esclusione di tale diritto od al suo affievolimento in un diritto meramente alimentare, che può derivare solo dal giudicato (cfr. Cass., Sez. III, 1/08/2000, n. 10025; 5/10/1999, n. 11029; 12/04/ 1994, n. 3415; 18/09/1991, n. 9728). In linea più generale, può affermarsi che tali provvedimenti mirano a regolare, per il tempo necessario allo svolgimento del giudizio di merito, quegli aspetti della vita della prole e dei coniugi che troveranno un assetto definitivo nella sentenza emessa a conclusione del giudizio, e ciò al fine di evitare che per effetto della durata del processo i componenti del nucleo familiare vedano pregiudicati i propri diritti. Tale orientamento ha trovato conferma nella nuova disciplina dei provvedimenti cautelari, ed in particolare nell’art. 669-octies c.p.c., comma 8, introdotto dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. e-bis), convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80 e modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 50, comma 2, lett. a), il quale, prevedendo che l’estinzione del giudizio non determina l’inefficacia dei provvedimenti di cui all’art. 700 c.p.c. e degli altri provvedimenti cautelari anticipatori, anche quando la domanda è stata proposta in corso di causa, ha esteso a tali provvedimenti il carattere di ultrattività in precedenza riconosciuto dall’art. 189 disp. att. c.p.c., ai soli provvedimenti di cui all’art. 708 c.p.c., in tal modo facendo cadere una delle principali obiezioni mosse all’opinione in esame.
L’introduzione, ad opera della L. 8 giugno 2006, n. 54, art. 2, comma 1, dell’art. 708, comma 3, che consente di proporre reclamo avverso i provvedimenti in esame, ha indotto poi ad accostare, pur con le dovute differenze, la relativa disciplina a quella dei provvedimenti cautelari, evidenziando che l’art. 669-septies c.p.c., comma 2 e art. 669-octies c.p.c., comma 7, impongono di provvedere sulle spese del procedimento cautelare soltanto se la domanda venga proposta ante causam, sia in caso di accoglimento che in caso di rigetto o dichiarazione d’incompetenza, mentre nulla dispongono in ordine ai procedimenti promossi in corso di causa, per i quali deve quindi intendersi che il regolamento delle spese debba aver luogo all’esito del giudizio di merito: tali disposizioni, introdotte contestualmente dell’art. 669-octies, comma 8, trovano giustificazione proprio nell’ultrattività del provvedimento cautelare, che consente di evitare l’instaurazione del giudizio di merito al solo fine di ottenere la liquidazione delle spese processuali, ove le parti siano disposte ad accontentarsi della decisione ottenuta ante causam; qualora invece il provvedimento cautelare sia emesso in corso di causa, non vi è necessità di una pronuncia immediata sulle spese del relativo procedimento, il quale s’innesta sul giudizio di merito come una fase incidentale e ne condivide normalmente la sorte, essendo il suo esito destinato a rimanere assorbito dalla pronuncia della sentenza definitiva, fatta eccezione per il caso in cui il giudizio principale si estingua.
Tale disciplina, ritenuta applicabile anche in sede di reclamo ai sensi dell’art. 669-terdecies c.p.c., può rappresentare un utile punto di riferimento anche per il reclamo previsto dall’art. 708 c.p.c., comma 3 e ciò nonostante le profonde differenze riscontrabili tra i due istituti (prime fra tutte la competenza ed il termine per l’impugnazione), che hanno indotto parte della dottrina a ritenere il secondo più agevolmente accostabile al reclamo previsto dall’art. 739 c.p.c., per i provvedimenti in Camera di consiglio, ed altra parte a ravvisarvi un mezzo d’impugnazione del tutto autonomo, dotato di caratteristiche proprie sia rispetto a quello cautelare che rispetto a quello camerale. In particolare, la natura provvisoria dei provvedimenti in questione, destinati anch’essi a rimanere assorbiti dalla decisione di merito, ed il carattere necessariamente incidentale del procedimento preordinato alla loro adozione, non consentita ante causam, consentono di estendere agli stessi le considerazioni svolte in riferimento ai procedimenti cautelari emessi in corso di causa, e ad escludere quindi la necessità di una distinta pronuncia sulle spese, anche in sede di reclamo, dovendo la regolamentazione delle stesse trovare spazio nella sentenza emessa a conclusione del giudizio, la quale dovrà tenere conto, a tal fine, dell’esito complessivo della lite e delle modalità di svolgimento delle singole fasi in cui il processo si è articolato.
7. Il ricorso va pertanto accolto, con la conseguente cassazione del decreto impugnato, e, non risultando necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., con la revoca della condanna al pagamento delle spese processuali.
La novità della questione trattata giustifica l’integrale compensazione delle spese processuali.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato, e, decidendo nel merito, revoca la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. Compensa integralmente le spese processuali.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente del collegio per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

Responsabilità medica: al paziente provare che non avrebbe fatto l’intervento

Corte di Cassazione, sez. III Civile
ordinanza 15 gennaio – 26 maggio 2020, n. 9887
Presidente Armano – Relatore Olivieri
Fatti di causa
Con sentenza in data 27. 6.2018 n. 3166 la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello proposto
da (omissis), e confermato la decisione di prime cure che aveva ritenuto infondata la pretesa
risarcitoria avanzata dal predetto nei confronti di (omissis) s.p.a. e del medico (omissis) il quale
aveva raccolto il consenso informato dell’(omissis), affetto da “pseudoartrosi post traumatica dello
scafoide con impotenza funzionale del polso destro su base algica”, prospettandogli la soluzione
dell’intervento chirurgico di “emicarpectomia prossimale del polso” che avrebbe garantito un
possibile miglioramento dell’articolazione e della sintomatologia dolorosa, la preservazione dal
processo degenerativo con il rischio – accettato dal paziente – della perdita del 30% di funzionalità
dell’articolazione del polso. Il Giudice di appello ha rilevato che all’intervento chirurgico, eseguito
correttamente senza errori tecnici, ed al trattamento post-operatorio conforme ai protocolli, era
purtroppo seguita accanto ad una riduzione della algia anche una perdita complessiva della
funzionalità del polso di circa il 68-70%, ma che la doglianza del danneggiato, volta a contestare la
inesattezza della informazione sui rischi e l’invalido consenso prestato quale presupposto della
richiesta risarcitoria, non aveva fondamento in quanto i CC.TT.UU. aveva accertato che il paziente,
prima dell’intervento, soffriva di una riduzione funzionale di circa 33 pari ad 1/3 (valutato come 12-
13% grado di IP) e che dopo l’intervento chirurgico la riduzione di funzionalità era pari a circa il
67/68%, cioè di quasi a 2/3 (valutato come 17-18% grado di IP), sicché l’incremento corrispondeva
a poco più della riduzione di funzionalità prospettata dal medico in sede di acquisizione del
consenso informato (34% invece che 30%), non potendo convenirsi con l’assunto del danneggiato
secondo cui il sanitario avrebbe fatto riferimento alla riduzione massima in assoluto e non alla
riduzione ulteriore – rispetto al preesistente stato invalidante -, in quanto si sarebbe pervenuti al
paradosso che il rischio, ove verificatosi, avrebbe prodotto addirittura un miglioramento dello stato
pregresso.
La sentenza di appello, notificata in data 28.6.2018, è stata ritualmente impugnata per cassazione da
(omissis) con ricorso affidato a quattro motivi ai quali resistono con un unico controricorso
(omissis) s.p.a ed il medico.
Ragioni della decisione
Primo motivo: violazione art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia su motivo di gravame;
Secondo motivo: violazione degli artt. 13 e 32 Cost.;
I motivi, formulati in via di subordinazione alternativa (ove non si ravvisi il vizio di omessa
pronuncia, allora la pronuncia deve intendersi viziata per “error juris”) sono scarsamente
comprensibili e difettano del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 e 4.
Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello, nell’esaminare il secondo motivo di gravame, non
avrebbe deciso in ordine alla critica mossa alla decisione di primo grado relativa alla mancanza di
“esaustività” del consenso informato.
In subordine deduce che l’avere il Giudice territoriale negato rilevanza all’errore commesso dal
medico nel dare una informazione eccessivamente ottimistica, determinerebbe una violazione del
diritto ad ottenere il ristoro per il danno conseguente alla violazione del diritto alla
autodeterminazione.
Dalla lettura del secondo motivo di appello, interamente trascritto a pag. 1314 del ricorso, risulta
che l’appellante, dopo avere premesso di essersi recato il 9.8.2010 presso l’Istituto sanitario ed aver
ricevuto assicurazioni, dal medico Dott. S., che la patologia di cui era affetto dal 2004 (inveterata
psedudoartrosi post traumatica dello scafoide, con riduzione dell’articolazione del polso dx pari ad
1/3 della mobilità complessiva: patologia a decorso ingravescente a causa dei processi degenerativi
osteocartilaginei) avrebbe potuto ottenere benefici qualora si fosse sottoposto all’intervento di
“emicarpectomia prossimale polso”, lamentava che il medico gli aveva prospettato una soluzione
migliorativa eccessivamente ottimistica, atteso che l’esito dell’intervento non era stato quello
sperato, essendo stato indotto il paziente a credere in un diverso risultato, più favorevole: la visita
del medico, pertanto, era stata “errata, oltremodo ottimistica, e non adeguatamente spiegata” e la
informazione era stata lacunosa ed errata ed ha fornito una prospettiva in termini di efficacia
eccessivamente ottimistica per il caso specifico”. In relazione a ciò doveva ritenersi accertata la
violazione del diritto alla autodeterminazione del paziente, essendo invalido il consenso prestato, in
quanto bene avrebbe potuto lo stesso:
1- preferire di subire il progressivo inevitabile peggioramento della patologia piuttosto che incorrere
nel rischio poi verificatosi di una ulteriore riduzione della mobilità;
2- scegliere di differire il tempo dell’intervento;
3- rivolgersi ad altro sanitario.
Il primo motivo è infondato
La Corte d’appello ha, infatti, preso in esame il secondo motivo di gravame individuando
correttamente quale parametro di valutazione la “comunicazione” sottoscritta dal medico in data
9.8.2010 (anno erroneamente indicato in sentenza nel 2012) evidenziando come dalla stessa
emergessero plurimi scopi affidati all’intervento, tra i quali anche la diminuzione della
sintomatologia algica ed il contrasto alla progressione degenerativa della patologia, obiettivi questi
raggiunti a seguito della operazione chirurgica. Il Giudice territoriale ha quindi definito il thema
controversum relativo al contenuto informativo, individuandolo nell’errore – prospettato
dall’appellante – commesso dal medico nella determinazione della percentuale di rischio di
insuccesso, errore che – con accertamento in fatto – ha escluso, ritenendo che la rappresentazione di
un possibile peggioramento della mobilità del 30% era da considerarsi adeguata e non
imprudentemente sottostimata, atteso che l’ulteriore aggravamento non poteva che intendersi
riferita alla preesistente condizione invalidante dell’(omissis), diversamente opinando non vi
sarebbe stato alcun rischio peggiorativo, venendo sostanzialmente a coincidere la riduzione di
mobilità del 30% con il difetto di mobilità del polso pari ad 1/3 che già affliggeva il paziente.
Nel secondo motivo di gravame, non è dato individuare altri ambiti di indagine pretermessi dalla
Corte d’appello, laddove ad una generica doglianza dell’“eccessivo ottimismo” manifestato dal
medico (espressione mutuata peraltro dalle valutazioni espresse dai CC.TT.UU. nominati in primo
grado) non viene fatto seguito – ad eccezione della questione interpretativa sulla percentuale di
rischio di un esito peggiorativo in termini di mobilità del polso ad altri specifici e puntuali elementi
di critica alla sentenza di prime cure per la ritenuta esclusione di un inadempimento colpevole
all’obbligo informativo da parte del medico, diffondendosi l’appellante sulla individuazione delle
scelte a cui aveva dovuto ingiustamente rinunciare, a causa dell’asserito inadempimento del medico,
sottoponendosi ad un trattamento non supportato da idoneo consenso.
Se dunque non è dato ravvisare alcuna omissione di pronuncia della Corte territoriale in merito al
secondo motivo di gravame, osserva il Collegio che la censura subordinata di vizio inerente
l’attività di giudizio non è assistita dai requisiti minimi di ammissibilità.
I principi di diritto enucleati in materia di consenso infornato da questa Corte (da ultimo cfr. Corte
cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 9996 del 10/04/2019) possono così riassumersi:
– in tema di attività medico-chirurgica, la manifestazione del consenso del paziente alla prestazione
sanitaria costituisce esercizio del diritto fondamentale all’autodeterminazione in ordine al
trattamento medico propostogli e, in quanto diritto autonomo e distinto dal diritto alla salute, trova
fondamento diretto nei principi degli artt. 2 e 13 COst., e art. 32 Cost., comma 2.
– la violazione, da parte del medico, del dovere di informare il paziente, può causare due diversi tipi
di danni: un danno alla salute, sussistente quando sia ragionevole ritenere che il paziente, su cui
grava il relativo onere probatorio, se correttamente informato, avrebbe evitato di sottoporsi
all’intervento e di subirne le conseguenze invalidanti; nonché un danno da lesione del diritto
all’autodeterminazione, rinvenibile quando, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito
un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale (ed, in tale ultimo caso, di apprezzabile
gravità), diverso dalla lesione del diritto alla salute. Pertanto, nell’ipotesi di omissione od
inadeguatezza diagnostica che non abbia cagionato danno alla salute ma che abbia impedito
l’accesso ad altri più accurati accertamenti, la lesione del diritto all’autodeterminazione sarà
risarcibile ove siano derivate conseguenze dannose di natura non patrimoniale, quali sofferenze
soggettive e limitazione della libertà di disporre di se stessi, salva la possibilità della prova contraria
– le conseguenze dannose che derivino, secondo un nesso di regolarità causale, dalla lesione del
diritto all’autodeterminazione, verificatasi in seguito ad un atto terapeutico eseguito senza la
preventiva informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli, e dunque senza un
consenso legittimamente prestato, devono essere debitamente allegate dal paziente, sul quale grava
l’onere di provare il fatto positivo del rifiuto che egli avrebbe opposto al medico, tenuto conto che il
presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla sua scelta soggettiva (criterio della cd.
vicinanza della prova), essendo, il discostamento dalle indicazioni terapeutiche del medico,
eventualità non rientrante nell’id quod plerumque accidit; al riguardo la prova può essere fornita
con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza e le presunzioni, non essendo
configurabile un danno risarcibile “in re ipsa” derivante esclusivamente dall’omessa informazione.
Orbene tra gli elementi costitutivi della fattispecie del diritto al risarcimento del danno per lesione
del diritto alla autoderminazione cagionata dalla inesatta od incompleta informazione del medico
volta ad acquisire la – valida e consapevole – manifestazione di consenso del paziente, non può
prescindersi dalla prova che la condotta di quest’ultimo, se correttamente informato, sarebbe stata
certamente diversa, ossia che avrebbe certamente rifiutato di sottoporsi all’intervento chirurgico: ed
infatti “la omessa informazione assume di per sé carattere neutro sul piano eziologico, in quanto la
rilevanza causale dell’inadempimento viene a dipendere indissolubilmente dalla alternativa
“consenso/dissenso” che qualifica detta omissione, laddove, in caso di presunto consenso,
l’inadempimento, pur esistente, risulterebbe privo di alcuna incidenza deterministica sul risultato
infausto dell’intervento, in quanto comunque voluto dal paziente; diversamente, in caso di presunto
dissenso, assumendo invece efficienza causale sul risultato pregiudizievole, in quanto l’intervento
terapeutico non sarebbe stato eseguito – e l’esito infausto non si sarebbe verificato – non essendo
stato voluto dal paziente. La allegazione dei fatti dimostrativi della opzione “a monte” che il
paziente avrebbe esercitato viene, quindi, a costituire elemento integrante dell’onere della prova del
nesso eziologico tra l’inadempimento e l’evento dannoso, che in applicazione dell’ordinario criterio
di riparto ex art. 2697 c.c., comma 1, compete ai danneggiati….” (cfr. Corte Cass. Sez. 3 -,
Ordinanza n. 19199 del 19/07/2018, in motivazione).
Ed indipendentemente, pertanto, da eventuali ulteriori profili di incompletezza della informazione
(non sarebbe stato accertato il grado di invalidità preesistente e quindi il paziente non poteva
valutare la “differenza” peggiorativa in caso di verificazione del rischio prospettato; non era stato
specificato che l’intervento “non era risolutivo ma era demolitivo”) indicati nel motivo di ricorso
per cassazione – ma dei quali peraltro non risulta nè viene allegato dal ricorrente che fossero stati
dedotti nei gradi di merito – appare evidente come la censura in esame risulti priva dei connotati
della specificità, non avendo il ricorrente neppure indicate se e quali prove fossero state richieste di
acquisire o raccolte nei precedenti gradi di giudizio dirette ad accertare – mediante giudizio
controfattuale “ora per allora” – che egli, qualora avesse inteso che il rischio di insuccesso avrebbe
potuto produrre una ulteriore limitazione di mobilità, pur riducendo la sintomatologia algica ed
impedendo l’evoluzione del fenomeno degenerativo osteoarticolare, avrebbe sicuramente rifiutato
di sottoporsi all’intervento di emicarpectomia prossimale.
In difetto di tale indicazione la censura risulta carente del requisito di specificità ex art. 366 c.p.c.,
comma 1, n. 4 e non supera il vaglio di ammissibilità.
Terzo motivo: violazione art. 112 c.p.c. nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Assume il ricorrente che il danno lamentato non riguardava l’errata esecuzione dell’intervento
chirurgico nè quello derivato dalla riduzione della funzionalità del polso conseguitone, bensì si
incentrava esclusivamente nel danno derivato dalla violazione del diritto alla autodeterminazione
per la insufficiente informazione.
Il motivo è del tutto inconferente oltre che scarsamente intelligibile.
Il motivo è inconferente perché la Corte d’appello ha individuato correttamente l’oggetto della
controversia nella dedotta violazione dell’obbligo di fornire una informazione corretta, ritenuta
errata secondo il danneggiato con riferimento alla entità del rischio derivante dalla pur corretta
esecuzione dell’intervento. Esclusa la decettività della informazione, e ritenuto non infirmato il
consenso prestato dal paziente, la Corte d’appello alcuna ulteriore indagine era tenuto a svolgere in
ordine ai pregiudizi subiti dal paziente in conseguenza dell’impedimento ad effettuare scelte
alternative rispetto a quella di sottoporsi alla esecuzione dell’intervento.
Il motivo non appare chiaramente identificabile nella critica svolta alla sentenza di appello in
quanto nella esposizione:
a) si viene a confondere “danno e lesione del diritto” nonché violazione del diritto di
autodeterminazione con violazione del diritto alla salute: altro è infatti la condotta violativa del
diritto alla autodeterminazione, altro la violazione del diritto alla salute; altro ancora i diversi danniconseguenza
che derivano dalla violazione dei due diritti. La sovrapposizione dei diversi piani
operata dal ricorrente appare del tutto evidente laddove nel trascrivere il motivo di appello si ascrive
alla categoria unitaria “…danni/lesioni…” le conseguenze derivate dalla inesatta informazione,
identificandole nei danni-conseguenza “morali e biologici” correlati invece alla esecuzione
dell’intervento (sofferenza psichica patita in ragione dell’intervento e della successiva
convalescenza; pregiudizio subito per l’attività chirurgica demolitoria che ha ulteriormente ridotto
la funzionalità del polso), od ancora laddove si qualifica erroneamente come danno-conseguenza la
“contrazione della libertà di disporre” che individua invece l’”evento-lesivo” del diritto alla
autodeterminazione;
b) non è dato in ogni caso individuare in quale omissione di pronuncia sia incorsa la Corte
d’appello, che ha esaminato proprio la questione della corretta informazione, sostenendo che il
rischio comunicato dal medico ed accettato dal paziente corrispondeva a quello poi verificatosi.
Quarto motivo: omesso esame fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Il ricorrente impugna la sentenza di appello, sostenendo che non erano stati affatto considerati “fatti
decisivi” che venivano indicati nella assicurazione data dal medico, nella comunicazione del
9.8.2010, che tra gli scopi dell’intervento vi era quello anche del “miglioramento dell’articolarità
attualmente molto limitata”: secondo il ricorrente tale scopo era incompatibile con la indicazione
del rischio di un peggioramento del deficit iniziale, sicché la possibilità della perdita della
funzionalità del 30% doveva considerarsi “in termini assoluti” e non come eventuale rischio di
“incremento” della invalidità preesistente i CC.TT.UU. avevano riferito che la previsione di
miglioramento formulata dal medico era stata “assolutamente ottimistica” e dunque non era corretta
ed aveva ingenerato convincimenti erronei nel paziente.
Il motivo è inammissibile, in quanto, da un lato, viene fatto riferimento al contenuto di un
documento (comunicazione 9.8.2010) che il Giudice di appello ha esaminato e valutato, sicché la
critica trascende i limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, venendo ad impingere sulla attività
valutativa di merito delle risultanze istruttorie, non sindacabile in sede di legittimità (la Corte
territoriale ha valutato il contenuto informativo della comunicazione ed ha ritenuto in base al
proprio convincimento che la indicazione di un rischio di insuccesso quantificato percentualmente
in termini di ulteriore invalidità, era idonea a consentire al paziente una adeguata ponderazione
nella scelta).
Dall’altro lato non potendo confondersi quello che è un giudizio valutativo degli ausiliari con un
“fatto storico”, tanto meno “decisivo”, che soltanto può veicolare il motivo di ricorso per “errore di
fatto” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dovendo intendersi per “fatto” esclusivamente un
accadimento in senso storico-naturalistico.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte soccombente va condannata ala rifusione
delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
– Condanna il ricorrente al pagamento in favore dei contro-ricorrenti, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del
15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
– Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del
2012, art. 1 comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il
versamento, se e nella misura dovuto, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
– Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di
informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione
elettronica, sia omessa la indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi di (omissis)
riportati nella sentenza.

Necessario il controllo di legalità nei trasferimenti immobiliari.

Cassazione civile sez. II – 21/01/2020, n. 1202
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –
Dott. VARRONE Luca – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9937-2018 proposto da:
M.G., elettivamente domiciliata in Bologna, VIA URBANA N.
5, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO ALZONA, che la
rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO NOTARILE DISTRETTUALE DI ROVIGO, elettivamente domiciliato
in Roma, via Crescenzio n. 19 presso lo studio dell’avv.to Massimo
PANZARANI, rappresentata e difesa dall’avv.to PAOLA MALASOMA;
– controricorrente –
avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il
09/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
11/07/2019 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale DOTT.
PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto dei motivi dal primo
al quarto oltre che del sesto, e per l’accoglimento del quinto e del
settimo motivo;
udito l’Avvocato Paola Malasoma.
FATTI DI CAUSA
1. Il notaio M.G. proponeva reclamo avverso la decisione numero 164 del 2017
emessa dalla Co.Re.Di. del Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Veneto il
12 maggio 2017, con la quale, previa concessione delle circostanze attenuanti
di cui alla L. n. 89 del 1913, art. 144 (di seguito legge notarile o l.n.), erano
state irrogate plurime sanzioni pecuniarie: Euro 45 per la violazione dell’art. 62
l.n., che impone l’iscrizione degli atti al repertorio; Euro 5000 per la violazione
dell’art. 72 l.n., che disciplina le forme dell’autentica, e dell’art. 138, lett. c),
L.n. che sanziona la negligenza del notaio nella conservazione degli atti; Euro
5000 per la violazione dell’art. 147, lett. a), l.n. per avere il notaio M.
compromesso il decoro e il prestigio della funzione notarile.
La vicenda trae origine dall’autentica delle sottoscrizioni di due coniugi in calce
al verbale dell’accordo di separazione personale concluso ai sensi del D.L. n.
132 del 2014, art. 6, convertito in L. n. 162 del 2014, che conteneva la
1
regolamentazione degli aspetti personali della separazione riguardanti i
coniugi, l’affidamento condiviso del figlio minore di età, la determinazione
dell’assegno mensile dovuto dal marito per il mantenimento del minore, il
trasferimento in favore della moglie della proprietà della quota di metà
dell’immobile adibito a casa coniugale, dietro corrispettivo della somma di Euro
12.000 con accollo dell’obbligo di pagamento del mutuo ipotecario, la
previsione dell’obbligo della moglie di curare la trascrizione del verbale presso
l’agenzia del territorio servizio di pubblicità immobiliare.
In calce alla scrittura privata con la firma dei coniugi autenticata dagli avvocati,
il notaio M. aveva posto la propria autentica con una forma identica a quella in
uso per l’autentica formale prevista dall’art. 72 L. n. con lettura alle parti della
scrittura dell’orario di sottoscrizione, ma senza il numero di repertorio e il
numero di raccolta.
Ciò in quanto, secondo la tesi del notaio, si trattava di un’autentica cosiddetta
minore per la quale non era necessario il controllo di legalità dell’atto.
Successivamente il 24 giugno 2016 il pubblico ministero rilasciava la propria
autorizzazione ma il conservatore rifiutava la trascrizione del verbale di accordo
dandone notizia al consiglio notarile.
Dopo la convocazione, nel corso della quale il consiglio notarile aveva
contestato al notaio M. l’illegittimità del suo comportamento, il notaio
reclamante aveva ricevuto, in data 28 settembre 2016, un atto notarile di
trasferimento, in forza del quale il marito cedeva alla moglie i propri diritti
sull’abitazione familiare in conformità all’obbligo assunto nell’accordo del 17
giugno 2016. L’atto in questione veniva trascritto il 29 settembre 2016.
La commissione regionale di disciplina aveva ritenuto la condotta del notaio
come colpevole inadempimento delle modalità con cui doveva essere
effettuata, ai fini dell’art. 2657 c.c., l’autentica richiesta dalla L. n. 162 del
2014, art. 5, comma 3.
Il notaio aveva effettuato un’autentica del verbale dell’accordo di separazione
senza rispettare le modalità previste dall’art. 72 l.n. e senza procedere
all’iscrizione a repertorio, alla conservazione dell’atto a raccolta e senza
neanche curarne la trascrizione atteso che tale incombente era stato
espressamente posto a carico di uno dei coniugi.
Tale condotta integrava oltre alla violazione degli artt. 62 e 72 e art. 138, lett.
c), l.n. anche una grave violazione dell’art. 147, lett. a), della medesima legge,
avendo compromesso il decoro e il prestigio della classe notarile. Il ruolo del
notaio nella negoziazione assistita, infatti, è finalizzato alla trascrizione dei
negozi di trasferimento immobiliare e l’agire del notaio M. era stato sbrigativo,
sintomatico dell’intento di accaparramento di clientela malgrado il discredito
che tale condotta determini alla funzione notarile.
2. La Corte d’Appello di Venezia rigettava integralmente il reclamo proposto. In
particolare, quanto alle contestazioni circa la regolarità della procedura la Corte
d’Appello rilevava che l’iniziativa del procedimento disciplinare spettava
formalmente al presidente del consiglio notarile del distretto in cui è iscritto il
notaio ma in sostanza spettava al consiglio notarile che poteva delegare anche
uno dei consiglieri. Il consiglio notarile di Rovigo aveva delegato il notaio W.A..
La delega, dunque, era stata conferita dall’organo collegiale titolare della
2
legittimazione a chiedere l’avvio del procedimento disciplinare e non dal suo
presidente anche in ragione dell’eventualità che quest’ultimo potesse essere
chiamato a rendere informazioni sui fatti da lui personalmente appresi. La
volontà dell’organo collegiale era stata espressa unanimamente e l’espressione
contestata dalla reclamante era frutto di una verbalizzazione necessariamente
sintetica.
L’interpretazione del D.L. n. 132 del 2014, artt. 5 e 6 e degli artt. 2657 e 2703
c.c. era coerente con la funzione del notaio che, anche nel procedimento di
negoziazione assistita, deve autenticare la sottoscrizione degli accordi aventi
ad oggetto trasferimenti immobiliari, esercitando i tradizionali controlli di
legalità per assicurare certezza nella circolazione dei beni immobili.
Nella specie era pacifico che il notaio M. avesse autenticato il verbale recante
l’accordo di separazione consensuale in maniera difforme da quella prevista
dall’art. 2703 c.c. e art. 72 legge notarile e, ai fini della trascrizione, dall’art.
2657 c.c..
Del resto, non poteva trovare accoglimento la tesi difensiva secondo la quale si
trattava comunque di un’autentica cosiddetta minore che non necessitava del
cosiddetto controllo di legalità.
A parere della Corte d’Appello, trattandosi di un atto di trasferimento
immobiliare era necessaria l’autentica ex art. 72 legge notarile che impone al
notaio il controllo di legalità, essendogli vietato di ricevere e autenticare atti
espressamente proibiti dalla legge, manifestamente contrari al buon costume e
all’ordine pubblico ex art. 28 l.n..
Tale obbligo, dunque, comportava il conseguente obbligo di iscrizione dell’atto
nel repertorio ex art. 62 l.n. di conservazione e raccolta ex art. 138 della
medesima legge, nonchè quello di effettuare la trascrizione nel più breve
tempo possibile ex art. 2671 c.c..
Il notaio non aveva adempiuto a tali obblighi incorrendo negli illeciti disciplinari
contestati, in quanto solo a seguito della ripetizione dell’atto di trasferimento a
oltre tre mesi dal rilascio dell’autorizzazione da parte del pubblico ministero,
aveva proceduto alla trascrizione del verbale dell’accordo di separazione
personale.
Peraltro, il fatto che mancasse l’autorizzazione del pubblico ministero non
rilevava perchè poteva essere indicata come condizione.
Infine, la condotta del notaio aveva anche compromesso il decoro e il prestigio
della classe notarile, violando l’art. 147, lett. a), l.n..
Il notaio, infatti, aveva disatteso le regole fondamentali poste a tutela del
principio di autenticità del titolo e della trascrizione e aveva posto in essere
plurime violazioni nella formazione del titolo, costituendo un elemento di sicura
valenza dimostrativa della compromissione del decoro e del prestigio della
classe notarile, atteso l’innegabile svilimento della funzione del notaio agli
occhi delle parti e anche del conservatore.
3. Il notaio M.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta
ordinanza sulla base di sette motivi.
4. Il consiglio notarile distrettuale di Rovigo ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3
1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3 degli artt. 153 e 155 legge notarile per avere la Corte d’Appello
di Venezia ritenuto idonea la delega al consigliere notaio W.A. a partecipare in
luogo del presidente del consiglio notarile di Rovigo, notaio C.P., al
procedimento disciplinare a carico della ricorrente avanti la CO.RE.Di. Trentino-
Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia e Veneto con conseguente nullità del
provvedimento disciplinare e del decreto emesso dalla Corte d’Appello di
Venezia.
A parere del ricorrente la possibilità per il presidente del consiglio notarile di
conferire delega di rappresentanza ad altro consigliere, peraltro sulla base di
un ragionamento di pura opportunità, senza alcun riferimento normativo è
erronea ed è anche smentita dalla presenza del presidente C. a due udienze
del procedimento disciplinare contro il notaio M..
La delega conferita al suddetto consigliere violerebbe apertamente l’art. 90 L.
n., secondo cui in mancanza del presidente e del segretario, ne faranno
rispettivamente le veci il più anziano ed il meno anziano in ufficio fra i membri
del Consiglio.
Sicchè sarebbe del tutto inconferente il richiamo agli artt. 153 e 155 legge
notarile.
1.2 Il motivo è infondato.
Il procedimento disciplinare a carico dei notai è stato radicalmente innovato a
seguito del D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249 (Norme in materia di procedimento
disciplinare a carico dei notai, in attuazione della L. 28 novembre 2005, n. 246,
art. 7, comma 1, lett. e)) che ha previsto numerose modifiche della L. n. 89 del
1913 (legge notarile) in particolare riguardo alle sanzioni disciplinari e al
relativo procedimento.
La L. n. 89 del 1913, art. 153 prevede che: “L’iniziativa del procedimento
disciplinare spetti: a) al procuratore della Repubblica presso il Tribunale nel cui
circondario ha sede il notaio ovvero nel cui circondario il fatto per il quale si
procede è stato commesso; b) al presidente del Consiglio notarile del distretto
nel cui ruolo è iscritto il notaio ovvero del distretto nel quale il fatto per il quale
si procede è stato commesso; c) al capo dell’archivio notarile territorialmente
competente per l’ispezione di cui all’art. 128, limitatamente alle infrazioni
rilevate durante le ispezioni di cui agli artt. 128 e 132 o nel corso di altri
controlli demandati allo stesso capo dell’archivio dalla legge, nonchè al
conservatore incaricato ai sensi dell’art. 129, comma 1, lett. a), secondo
periodo.
Ai sensi degli art. 93, 93 bis e 93 ter L. n. è consentita la più ampia facoltà
istruttoria in capo al Consiglio o al suo Presidente per delega dello stesso,
come il potere di “assumere informazioni presso le amministrazioni e gli uffici
pubblici” o anche la possibilità di “richiedere informazioni a soggetti privati”,
così come l’audizione dell’incolpato.
Il comma 2 del citato art. 153 L. n. prevede che: “Il procedimento è promosso
senza indugio, se risultano sussistenti gli elementi costitutivi di un fatto
disciplinarmente rilevante. Nella richiesta di procedimento l’organo che lo
promuove indica il fatto addebitato e le norme che si assumono violate e
formula le proprie conclusioni”.
4
La censura relativa alla violazione dell’art. 153 l.n., pertanto, si rivela del tutto
infondata, in quanto correttamente la Corte d’Appello ha richiamato tale norma
riferendola alla diversa fase dell’iniziativa disciplinare, distinguendola dalla fase
successiva del procedimento cui si riferiva, invece, la delibera con la quale il
consiglio notarile di Rovigo aveva delegato un suo componente a
rappresentarlo dinanzi alla Commissione Regionale di disciplina.
A tal proposito giova precisare che la CO.RE.DI ex art. 148 L. n., è un organo
amministrativo e non giurisdizionale, sicchè in tale fase deve farsi applicazione
delle regole del procedimento amministrativo e non di quelle processuali.
In tale fase del procedimento disciplinare, successiva all’incolpazione, l’art. 155
L. n. prevede che il Presidente della Commissione assegni il procedimento al
collegio nei cinque giorni successivi al ricevimento della richiesta, designi il
relatore e dia immediato avviso dell’inizio del procedimento all’organo
richiedente e, se diverso, al consiglio notarile del distretto in cui il notaio ha
sede, nonchè al notaio incolpato. Il presidente del collegio, entro i quindici
giorni successivi alla scadenza del termine per presentare la memoria fissa la
data per la discussione, che deve aver luogo nei successivi trenta giorni, e ne
dà avviso alle parti almeno venti giorni prima.
A sua volta il successivo art. 156 bis l.n. stabilisce che: “il notaio può
comparire personalmente o a mezzo di procuratore speciale munito di procura
rilasciata con atto pubblico o scrittura privata autenticata anche dal difensore.
Il notaio può farsi assistere da un altro notaio, anche in pensione, o da un
avvocato nominato anche con dichiarazione consegnata alla Commissione dal
difensore. Il presidente del consiglio notarile ed il conservatore dell’archivio
notarile possono farsi assistere da un avvocato. La discussione si svolge in
camera di consiglio e possono parteciparvi l’organo che ha proposto il
procedimento, il notaio e i loro difensori, se nominati”.
La procedura ora descritta, dunque, nella fase istruttoria ammette la possibilità
di delega da parte del Consiglio dell’Ordine notarile al Presidente e per la
discussione davanti alla CO.RE.DI. prevede che possa parteciparvi l’organo che
ha proposto il procedimento, anche mediante l’assistenza di un avvocato.
La ricorrente non precisa nel ricorso, se davanti la CO.RE.DI. il Consiglio
dell’Ordine Notarile fosse rappresentato o meno da un avvocato o se fosse
presente esclusivamente per mezzo del delegato del Presidente e non chiarisce
quali attività si erano svolte nella due occasioni in cui era presente il suddetto
delegato e quale lesione al diritto di difesa la delega avrebbe comportato.
In ogni caso, in disparte le ragioni di inammissibilità del motivo per difetto di
specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve affermarsi che non vi è alcun
impedimento alla possibilità per il Presidente del Consiglio dell’Ordine Notarile
di delegare per la partecipazione alla discussione davanti la CO.RE.DI. un altro
componente del medesimo organo, qualora non abbia ritenuto di farsi
rappresentare da un avvocato e che la Corte d’Appello di Venezia ha
correttamente interpretato le norme che governano il procedimento
disciplinare.
Del tutto inconferente, infatti, è il richiamo all’art. 90 della legge notarile, che
disciplina la differente ipotesi del funzionamento del Consiglio dell’Ordine
Notarile in caso di mancanza del Presidente e del segretario, prevedendo che
5
gli stessi siano sostituiti rispettivamente dal più anziano e dal meno anziano tra
i membri del Consiglio.
D’altra parte, anche in altri casi è espressamente prevista la facoltà di delega
del Presidente del consiglio notarile ad altro componente dell’Organo (ad es.
art. 39 l.n.).
In conclusione, la delega in oggetto era del tutto legittima e mai avrebbe
potuto inficiare la procedura amministrativa che si è svolta davanti la
Commissione Regionale di disciplina, nel regolare contraddittorio tra le parti,
senza alcuna lesione del diritto di difesa della ricorrente.
2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3 della L. n. 162 del 2014, art. 6, comma 3, disciplinante la
negoziazione assistita in materia familiare per avere la Corte d’Appello di
Venezia negato la qualità di tertium genus e negato l’autonoma causa
familiare all’accordo raggiunto ai sensi della L. n. 162 del 2014, art. 6 dei
coniugi A.- T. e autenticato, quanto alle sottoscrizione degli stessi, dal notaio
M., qualificandolo, invece, come scrittura privata, con conseguente nullità
dell’intera decisione impugnata.
La ricorrente evidenzia che il legislatore ha distinto l’accordo raggiunto ai sensi
della L. n. 162 del 2014, art. 5 con la procedura di negoziazione assistita e il
medesimo accordo, raggiunto con la procedura ex art. 6 della medesima legge,
in tema di separazione personale dei coniugi, cessazione degli effetti civili del
matrimonio e modifica delle condizioni di separazione e divorzio. Tale accordo
non ha carattere negoziale, nella procedura è previsto l’intervento del pubblico
ministero e si producono gli effetti dei provvedimenti giudiziari. Non si tratta,
dunque, di un atto notarile e non può nemmeno essere ricondotto ad
una semplice scrittura privata, proprio perchè, L. n. 162 del 2014, ex art.
6, deve essere approvato dal pubblico ministero ed equivale a un
provvedimento emesso dall’autorità giudiziaria.
Peraltro, la L. n. 162 del 2014, art. 5, comma 3, che si applica anche agli
accordi di negoziazione assistita in materia familiare, prevede che in caso di
trasferimento immobiliare il pubblico ufficiale debba autenticare la
sottoscrizione del processo verbale.
Dunque, al pubblico ufficiale è richiesta la sola autenticazione delle
sottoscrizioni ossia l’autentica cosiddetta minore.
Il suddetto accordo non può essere assimilato ad un titolo stragiudiziale quale
potrebbe essere un’ordinaria scrittura privata e, dunque, vi sarebbe stata
violazione della L. n. 162 del 2014, art. 6, comma 3. Infine, trattandosi di un
provvedimento equiparato a quello giudiziale, non troverebbe applicazione
neanche l’art. 2671 c.c. che prevede che il pubblico ufficiale curi nel più breve
tempo possibile la trascrizione dell’atto che riceve.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3, della L. n. 162 del 2014, art. 5, comma 2, in materia di
negoziazione assistita per avere la Corte d’Appello di Venezia inteso attribuire
al notaio M. gli obblighi di controllo di legalità in ordine all’accordo raggiunto
dai coniugi a seguito della negoziazione assistita, nonostante la norma
suindicata attribuisca espressamente tale funzione agli avvocati delle parti.
La L. n. 162 del 2014, art. 5, comma 2, prevede che gli avvocati certifichino
6
l’autografia delle firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e
all’ordine pubblico, tale norma si lega, a parere della ricorrente, al successivo
comma 3 che prevede che all’autentica debba provvedere “un pubblico ufficiale
a ciò autorizzato” che, pertanto, non necessariamente deve essere un notaio
ma anche un cancelliere o un segretario comunale che, dunque, non avrebbe
alcun obbligo di controllo di legalità.
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3 della L. n. 162 del 2014, art. 5, comma 3, in materia di
negoziazione assistita per avere la Corte d’Appello di Venezia erroneamente
identificato il pubblico ufficiale indicato nella predetta norma con la sola
categoria del notaio.
L’art. 5, comma 3, fa riferimento al pubblico ufficiale in relazione all’autentica
della sottoscrizione del processo verbale di accordo mentre la Corte d’Appello,
nel provvedimento impugnato, afferma che tale attività è riservata al notaio e
che dunque non si può considerare un caso di autentica c.d. minore.
Pertanto, il notaio, avendo agito in qualità di mero pubblico ufficiale, non aveva
l’onere di rispettare le norme della legge notarile, quali gli artt. 62 e 72 e art.
138, lett. c), e art. 147, lett. a), della legge notarile.
4.1 I motivi secondo, terzo e quarto che, stante la loro evidente connessione,
possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.
In sintesi, la ricorrente ritiene di essersi limitata ad un’autentica minore senza
ricevere alcun atto notarile e, pertanto, di non avere alcun obbligo di
controllare la legalità – formale e sostanziale – del verbale di accordo
comportante il trasferimento immobiliare sottoscritto dai coniugi nell’ambito
della convenzione conclusa in sede di negoziazione assistita per la loro
separazione consensuale, e conseguentemente di non aver alcun obbligo di
iscrizione del medesimo verbale a repertorio, di metterlo a raccolta e,
tantomeno, di provvedere alla celere trascrizione dello stesso.
4.2 La tesi della ricorrente non può essere condivisa.
Il D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con modifiche dalla L. 10
novembre 2014, n. 162, ha introdotto nel nostro ordinamento la c.d. procedura
di negoziazione assistita da avvocati, nuovo strumento di composizione
amichevole delle liti (capo II del suddetto decreto).
L’art. 5, dispone che l’accordo che compone la controversia venga sottoscritto
dalle parti e dagli avvocati che le assistono i quali certificano l’autografia delle
firme e la conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine pubblico. Il
comma 3 del citato art. 5 prevede che, quando le parti, con l’accordo,
concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti soggetti a trascrizione,
per procedere alla trascrizione dello stesso è necessario che la sottoscrizione
del processo verbale di accordo sia autenticata da un pubblico ufficiale a ciò
autorizzato.
La procedura di negoziazione assistita ricomprende anche la possibilità di
addivenire a soluzioni consensuali di separazione personale, di cessazione degli
effetti civili o di scioglimento del matrimonio, nonchè di modifica delle
condizioni di separazione e divorzio. Il D.L. n. 132 del 2014, art. 6 delinea un
procedimento articolato in più fasi, i cui tratti caratterizzanti sono da
individuarsi nella necessaria presenza di almeno un avvocato per parte e nel
7
coinvolgimento del Procuratore della Repubblica. In tal caso, il comma 3
dell’art. 6 prevede che l’accordo raggiunto a seguito della convenzione produce
gli effetti e tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di
cui al comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli
effetti civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle
condizioni di separazione o di divorzio. Nell’accordo si deve dare atto che gli
avvocati hanno tentato di conciliare le parti e le hanno informate della
possibilità di esperire la mediazione familiare e che gli avvocati hanno
informato le parti dell’importanza per il minore di trascorrere tempi adeguati
con ciascuno dei genitori. L’avvocato della parte è anche obbligato a
trasmettere, entro il termine di dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile del
Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto, copia, autenticata dallo
stesso, dell’accordo munito delle certificazioni di cui all’art. 5.
Da quanto sopra riportato emerge che è lo stesso legislatore, nel disciplinare i
poteri certificativi dell’avvocato nell’ambito della negoziazione assistita delle
separazioni e dei divorzi, a fare rinvio a quanto dispone in materia l’art. 5, il
quale, come si è detto, in caso di trasferimenti immobiliari prevede, ai
fini della trascrizione dell’accordo, che la sottoscrizione del verbale sia
autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
Sicchè, il combinato disposto del D.L. n. 132 del 2014, art. 5, comma 3, e
dell’art. 6, impone, per procedersi alla trascrizione dell’atto di trasferimento
immobiliare (eventualmente) contenuto nell’accordo di separazione o divorzio,
l’ulteriore autenticazione delle sottoscrizioni del processo verbale di accordo da
parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato, non potendosi riconoscere
analogo potere certificativo agli avvocati che assistono le parti. Ciò anche in
conformità con il disposto dell’art. 2657 c.c., comma 1, secondo cui “la
trascrizione non si può eseguire se non in forza di sentenza, di atto pubblico o
di scrittura privata con sottoscrizione autenticata o accertata giudizialmente”.
Tale interpretazione è conforme all’orientamento della giurisprudenza di questa
Corte che ha costantemente affermato il carattere tassativo della disposizione
di cui all’art. 2657 c.c. e che, con riferimento alla trascrivibilità dell’accordo di
separazione che riconosca ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva
di beni mobili o immobili, ovvero ne operi il trasferimento a favore di uno di
essi, ha ritenuto che tale accordo, in quanto inserito nel verbale d’udienza
(redatto da un ausiliario del giudice e destinato a far fede di ciò che in esso è
attestato), assume forma di atto pubblico, ai sensi e per gli effetti dell’art.
2699 c.c., e solo in quanto tale, dopo l’omologazione che lo rende efficace,
costituisce, titolo per la trascrizione a norma dell’art. 2657 c.c. (Sez. 1, Sent.
n. 4306 del 1997).
Ne consegue che il fatto che l’accordo di separazione o cessazione degli effetti
civili del matrimonio raggiunto a seguito della convenzione produce gli effetti e
tiene luogo dei provvedimenti giudiziali che definiscono, nei casi di cui al
comma 1, i procedimenti di separazione personale, di cessazione degli effetti
civili del matrimonio, di scioglimento del matrimonio e di modifica delle
condizioni di separazione o di divorzio non incide sulla necessità che, quando il
suddetto accordo comprenda anche un atto di trasferimento immobiliare, ai fini
della trascrizione, debba essere autenticato dal pubblico ufficiale a ciò
8
preposto.
Deve, infine, sottolinearsi che è infondata anche la prospettazione della
ricorrente secondo la quale, poichè il D.L. n. 132 del 2014, art. 5, comma 2,
attribuisce agli avvocati che certificano l’autografia delle firme l’obbligo del
controllo della conformità dell’accordo alle norme imperative e all’ordine
pubblico, tale controllo di legalità formale e sostanziale dell’atto grava sui
medesimi anche nelle ipotesi di cui al successivo art. 5, comma 3, e, in tali
casi, il notaio non deve compiere alcun controllo, trovandosi in presenza di una
cd. “autentica minore”.
Infatti, nel caso di trasferimento immobiliare, ai fini della pubblicità immobiliare
e della certezza nella circolazione giuridica dei beni, il legislatore ha ritenuto
insufficiente sia il potere di certificazione e autenticazione delle firme sia il
controllo di legalità da parte degli avvocati che procedono alla negoziazione
assistita e, ha ribadito espressamente che, quando nell’accordo è compreso un
contratto o un atto soggetto a trascrizione, è necessaria l’autenticazione del
processo verbale di accordo da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
La legge, infatti, non conosce deroghe espresse alla regola della previa
autentica delle scritture private ai fini della trascrizione, in quanto la necessità
di un controllo pubblico è principio essenziale e cardine del sistema
della pubblicità immobiliare e del complesso sistema delle trascrizioni
e delle intavolazioni diretto a garantire la certezza dei diritti.
L’art. 2657, infatti, è strettamente correlato ad altre disposizioni del codice
civile, quali quelle che attribuiscono la competenza al ricevimento degli atti
pubblici, o all’autenticazione delle scritture private, al notaio o ad altro pubblico
ufficiale a ciò autorizzato (artt. 2699 e 2703 c.c.), e quella che impone al
conservatore l’obbligo di rifiutare la trascrizione se il titolo non ha i requisiti
prescritti dalla legge (art. 2674 c.c.). Tali norme sono, a loro volta,
strettamente correlate con le disposizioni della legge notarile (L. 16 febbraio
1913, n. 89) e compongono un quadro normativo articolato da cui emergono i
tratti caratterizzanti del sistema di pubblicità immobiliare, anche sotto il profilo
delle condizioni cui è subordinata la trascrizione, di un determinato titolo, nei
registri immobiliari.
Ai fini della trascrizione dell’accordo, peraltro, ai sensi del D.L. 31 maggio
2010, n. 78, art. 19, comma 14, conv. in L. 30 luglio 2010, n. 122 il notaio
deve attestare la coerenza dei dati catastali con le risultanze dei registri
immobiliari e con lo stato di fatto dell’immobile. I dati catastali, infatti,
costituiscono elementi oggettivi di riscontro delle caratteristiche patrimoniali
del bene, rilevanti ai fini fiscali e l’omissione della dichiarazione di cui alla
norma citata determina la nullità assoluta dell’atto, perchè la norma ha una
finalità pubblicistica di contrasto all’evasione fiscale, conseguendone la
responsabilità disciplinare del notaio, ai sensi della L. 16 febbraio 1913, n. 89,
art. 28, comma 1.
In conclusione, si deve affermare il seguente principio di diritto: “ogni
qualvolta l’accordo stabilito tra i coniugi, al fine di giungere ad una
soluzione consensuale di separazione personale, ricomprenda anche il
trasferimento di uno o più diritti di proprietà su beni immobili, la
disciplina di cui al D.L. n. 132 del 2014, art. 6, conv. in L. n. 162 del
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2014, deve necessariamente integrarsi con quella di cui al medesimo
D.L. n. 132 del 2014, art. 5, comma 3, con la conseguenza che per
procedere alla trascrizione dell’accordo di separazione contenente
anche un atto negoziale comportante un trasferimento immobiliare, è
necessaria l’autenticazione del verbale di accordo da parte di un
pubblico ufficiale a ciò autorizzato, ai sensi dell’art. 5, comma 3”.
Da quanto detto discende la sussistenza dell’illecito disciplinare contestato, in
quanto la ricorrente aveva l’obbligo di procedere nelle forme previste dall’art.
2703 c.c., con il conseguente obbligo di iscrizione dell’atto nel repertorio ex art.
62 L. n. e di conservazione e raccolta ex art. 72 l.n. 89 del 1913, nonchè quello
di effettuare la trascrizione nel più breve tempo possibile ex artt. 2643 e 2671
c.c..
5. Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione ex art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 3 dell’art. 147, lett. a), l.n., in relazione all’art. 2671 c.c., per
avere la Corte d’Appello di Venezia ritenuto che, con la propria condotta di vita
pubblica o privata, il notaio M. abbia compromesso il decoro ed il prestigio
dell’intera classe notarile, con conseguente nullità del decreto della Corte
d’Appello di Venezia, nella parte in cui ha confermato la sanzione ex art. 147,
lett. a), L. n..
La ricorrente evidenzia che l’art. 147 L. n. è una norma di chiusura del sistema
volta sanzionare una serie indifferenziata di comportamenti non previsti da
altre norme e, quindi, condotte non tipizzate, sicchè la mancata tenuta e
raccolta dell’autentica in oggetto poteva essere sanzionata ex art. 137 legge
notarile e non ai sensi dell’art. 147, lett. a). Peraltro, nessuno svilimento del
ruolo del notaio era stato posto in essere dalla ricorrente, sia nei confronti dei
coniugi che avevano sottoscritto l’accordo di separazione, sia nei confronti del
conservatore. La ricorrente aggiunge che, l’attività professionale non rientra
nelle ipotesi di condotte tenute nella vita pubblica o privata e che l’atto è stato
successivamente trascritto senza che la Corte ne tenesse conto.
Non vi sarebbe stato, pertanto, alcun pregiudizio neanche potenziale nel
comportamento del notaio che non è stato percepito all’esterno come
travalicante il proprio ruolo.
5. Il quinto motivo è infondato.
La Corte d’Appello ha ritenuto con giudizio di merito sottratto al sindacato di
questa Corte che la condotta della ricorrente abbia compromesso il decoro e il
prestigio della classe notarile in quanto, sia pure in una sola occasione, il
notaio ha agito in spregio dei più elementari canoni di diligenza professionale,
disattendendo le regole fondamentali poste a tutela del principio di autenticità
del titolo della trascrizione, la cui essenziale ragione risiede nell’esigenza di
assicurare un adeguato controllo sulla legalità sostanziale dell’atto oltre che
sulla capacità e legittimazione delle parti.
Le plurime violazioni nella formazione del titolo della trascrizione riscontrate
anche dal conservatore, oltre che dalle parti che si sono viste rifiutare la
trascrizione, costituiscono, secondo la Corte d’Appello, un elemento di sicura
valenza dimostrativa della compromissione del decoro e del prestigio della
classe notarile, atteso l’innegabile svilimento della funzione del notaio.
La motivazione ora riportata è immune dalle censure di violazione di legge
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lamentate dalla ricorrente che sostanzialmente con il motivo in esame richiede
un’inammissibile rivalutazione in fatto circa l’effettiva capacità lesiva del
prestigio e della funzione notarile riconducibile alla sua condotta.
La Corte d’Appello, peraltro, ha tenuto conto anche del fatto che il notaio aveva
eliminato le conseguenze dannose delle proprie azioni mediante la ripetizione
dell’atto e la successiva trascrizione, sostituendo, ex art. 144 legge notarile, la
sanzione della sospensione prevista dall’art. 147 con quella pecuniaria di Euro
5000.
Infine, il fatto che la compromissione del decoro e del prestigio della
professione sia stata causata da comportamenti che costituiscono a loro volta
illeciti disciplinari tipizzati non impedisce il concorso formale tra illeciti, essendo
le norme sanzionatorie poste a presidio di beni giuridici distinti ed essendo
plurime le violazioni contestate, sia pure nell’ambito di un’unica vicenda
fattuale.
6. Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: falsa applicazione ex art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3 degli artt. 62 e 72 e art. 138, lett. c, l.n., in relazione alla
L. n. 162 del 2014, artt. 5 e 6 per avere la Corte d’Appello di Venezia applicato
all’accordo di negoziazione assistita dei coniugi le norme della legge notarile
relative alle scritture private raccolte o sottoscritte dal notaio, con conseguente
nullità delle tre sanzioni confermate dal decreto della corte d’appello di Venezia
L. n. 89 del 1913, ex artt. 62 e 72 e art. 138, lett. c.
A parere della ricorrente la L. n. 162 del 2014, art. 6, comma 3, non comporta
l’applicabilità degli artt. 62 e 72 e art. 138, lett. c), della legge notarile, che
presuppongono che il notaio sia chiamato a ricevere un atto pubblico, una
scrittura autenticata o l’autentica di una scrittura privata. Si tratta, infatti, di
un accordo equiparabile a un provvedimento dell’autorità giudiziaria. L’art. 138,
lett. c), l.n. punisce il notaio che non conserva gli atti da lui ricevuti o presso di
lui depositati mentre il notaio M. non aveva ricevuto alcun atto pubblico o
scrittura privata.
6.1 Il sesto motivo è infondato.
La censura è ripetitiva di quelle proposte con i motivi secondo, terzo e quarto
sicchè vale quanto già esposto in relazione alle ragioni di infondatezza dei
suddetti motivi, mentre per quanto attiene alla violazione dell’art. 138, lett. c),
l.n. la censura è assorbita dall’accoglimento del settimo motivo di ricorso
secondo quanto di seguito si dirà.
7. Il settimo motivo di ricorso è così rubricato: falsa applicazione ex art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3 della sanzione ex art. 138, lett. c, L. n., per avere la
Corte d’Appello di Venezia applicato tale sanzione in relazione all’autentica
cosiddetta minore apposta dal notaio M., nonostante la sanzione per tale
violazione sia prevista dall’art. 137, comma 1, L. n. e conseguente nullità della
sanzione ex art. 138, lett. c), L. n. di Euro 5000.
L’art. 138, lett. c), legge notarile si riferisce alla più grave situazione della
mancata custodia materiale dell’atto originale con conseguente perdita e
definitivo smarrimento dello stesso o di un suo allegato per negligenza
imputabile al notaio mentre quand’anche si volesse ritenere che l’autentica in
oggetto non rivestiva la forma di autentica minore ma doveva necessariamente
avere quella di autentica formale, essa presentava tutti i requisiti previsti ad
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eccezione dei numeri di repertorio e raccolta e dunque la fattispecie era
eventualmente sanzionabile ai sensi dell’art. 62 legge notarile e dell’art. 137,
comma 1, medesima legge.
7.1 Il motivo è fondato.
La norma citata, infatti, dispone che è punito con la sospensione da uno a sei
mesi il notaio che non conserva, per negligenza, gli atti da lui ricevuti o presso
lui depositati.
Nel caso di specie, come si è detto, la condotta negligente del notaio, fondata
sull’erroneo presupposto che il verbale di accordo autenticato non fosse un atto
notarile, si è concretizzata nella diversa fattispecie dell’omessa iscrizione
dell’atto a repertorio ex art. 62 legge notarile, nell’omessa tenuta a raccolta
dello stesso, come imposto dall’art. 72 legge notarile per le scritture private
autenticate soggette a pubblicità immobiliare.
Tale condotta ricade nell’illecito disciplinare di cui all’art. 137 L. n. e non in
quella di cui al successivo art. 138, lett. c), che presuppone che l’atto sia
messo a raccolta dal notaio o sia depositato presso di lui e che,
successivamente, venga distrutto o disperso per negligenza nella sua
conservazione materiale.
Nella specie, invece, la restituzione dell’atto ai coniugi ha realizzato l’illecito di
cui all’art. 72 l.n. ma impedisce il sorgere dell’obbligo di conservazione
materiale dell’atto. Una diversa interpretazione del rapporto tra i due illeciti,
infatti, comporterebbe un’inammissibile sovrapposizione o concorrenza tra la
violazione dell’art. 72, sanzionata dall’art. 137, e l’omessa conservazione di
uno o più atti per negligenza, di cui all’art. 138, lett. c.), in modo che al
ricorrere della prima, ricorrerebbe sempre anche la seconda.
8. In conclusione, la Corte accoglie il settimo motivo di ricorso, rigetta i
restanti sei, cassa il provvedimento impugnato e rinvia ad altra sezione della
Corte d’Appello di Venezia, che dovrà rideterminare la sanzione alla luce
dell’accoglimento del settimo motivo e che dovrà provvedere anche alla
liquidazione delle spese del presente giudizio
P.Q.M.
La Corte accoglie il settimo motivo, rigetta i restanti motivi di ricorso, cassa
l’ordinanza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia ad altra sezione
della Corte d’Appello di Venezia che provvederà anche sulle spese del presente
giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2 Sezione civile, il 11 luglio
2019.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2020.

La chat tra moglie e amante costa l’addebito della separazione

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Ordinario di Velletri
Sezione Prima Civile
in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Guglielmo Garri Presidente Relatore
dott.ssa Maria Casaregola Giudice
dott.ssa Amelia Pellettieri Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al numero di R.G. 2962/17
avente ad oggetto: separazione giudiziale coniugi
promossa da
nato a cod. fisc.
rappresentato e difeso dall’avv.
cod. fisc. giusta delega in calce al ricorso introduttivo,
elettivamente domiciliato presso il suo studio in
PARTE ATTRICE RICORRENTE
Contro
PARTE CONVENUTA RESISTENTE
E con l’intervento del Pubblico Ministero presso il Tribunale;
CONCLUSIONI
All’udienza di precisazione delle conclusioni del giorno 20/11/2019, l’avv.
precisa le conclusioni riportandosi a quelle contenute nella memoria 183
n. 1 c.p.c.: “Piaccia all’Eccellentissimo Tribunale adito, disattesa ogni contraria
istanza, ragione ed eccezione, pronunciare la separazione giudiziale tra i coniugi
secondo le seguenti modalità e condizioni:
A) i coniugi vivranno separati con l’obbligo del mutuo rispetto. B) La casa coniugale,
sita in di proprietà di entrambi i
coniugi al 50%, verrà lasciata nella disponibilità della Sig.ra
con tutti i mobili ivi contenuti, e continuerà a risiedervi con i figli. C) Il mutuo
residuo relativo all’immobile sito in
verrà assunto al 50% da entrambi i coniugi; in particolare, a fronte di rate mensili di €
700,00 cadauna, il Sig. verserà l’importo di € 350, mentre la restante parte pari ad € 350,00 verrà corrisposta dalla D) L’autovettura modello di proprietà della Sig.ra
resterà in uso alla medesima. E) I figli minori continueranno a risiedere con la Sig.ra e su di
essi entrambi i genitori continueranno ad esercitare la potestà genitoriale, in regime di
affidamento condiviso, con collocazione prevalente presso la madre, con facoltà per il
padre di vederli e tenerli con sé secondo le seguenti modalità: il martedì ed il giovedì
dalle ore 14,00 alle ore 19.30, salvo modifica dei giorni e dell’orario da concordare
previamente con la madre, anche in base alle esigenze dei ragazzi e degli impegni di
lavoro del sig. ed ogni due settimane dalle ore 10,00 del sabato
alle ore 10,00, con pernotto, alle ore 19.30 della domenica allorché li ricondurrà
presso la madre. Quanto alle festività, i minori, previo accordo tra i genitori,
trascorreranno le solennità natalizie e pasquali alternativamente con il padre e con la
madre. Il giorno dei rispettivi compleanni verrà passato con entrambi i genitori. Per
quanto concerne il periodo estivo (mese di agosto), i figli, previo accordo tra coniugi,
resteranno per quindici giorni con la madre e per i restanti quindici con il padre. In
difetto di accordo tra i genitori, il padre potrà vedere e tenere con sé i minori dal 16
agosto al 30 agosto. F) Il Sig. verserà mensilmente (entro il
giorno 05 di ogni mese), per il mantenimento dei figli minori, l’importo complessivo
di € 400/00 (€ 200 per ciascun figlio), annualmente rivalutabile secondo gli indici
ISTAT, oltre al 50% delle spese mediche, scolastiche e straordinarie per i bambini.
G) Il Sig. corrisponderà alla Sig.ra
l’importo di € 300/00 quale assegno di mantenimento, annualmente rivalutabile
secondo gli indici ISTAT.
L’avv. presente che precisa
le conclusioni come da comparsa di costituzione e risposta e rileva che il ricorrente
non ha depositato la documentazione reddituale relativa alla società cooperativa
: “Pronunciare la separazione dei coniugi con addebito al sig. ordinandone l’annotazione al competente Ufficio dello Stato Civile del Comune di Velletri; – Determinare quale contributo al mantenimento della
moglie la somma mensile di € 2000,00 che sarà accreditata entro
e non oltre il giorno cinque di ogni mese di competenza da rivalutarsi annualmente
secondo gli indici ISTAT al consumo; – Determinare quale contributo al
mantenimento dei figli minori la somma mensile di € 1000,00
(€ 500,00 per ciascun figlio) ovvero la diversa somma che sarà ritenuta di Giustizia
all’esito della fase istruttoria, somma che sarà versata entro e non oltre il giorno
cinque di ogni mese di competenza e da rivalutarsi annualmente secondo gli indici
ISTAT al consumo; – quanto alle spese straordinarie, considerato il divario tra la
diversa capacità reddituale dei coniugi, disporre che le spese straordinarie siano poste
a totale carico del ricorrente, ovvero, in subordine, nella misura dell’80% a carico del
sig. e il restante 20% a carico della sig.ra -Assegnare la dimora
coniugale al genitore, comproprietario, in quanto ivi convivente
con i figli minorenni, oltre che con – Disporre l’affidamento condiviso dei
figli a ciascun genitore, con allocazione prevalente presso la ex casa coniugale sita in
– l’autovettura di proprietà della sig.ra resterà ad essa proprietaria; – Regolare come segue il
diritto di visita in favore dell’altro genitore:
Quanto a il padre potrà vederla e tenerla con sé secondo le seguenti
modalità: il martedì e il giovedì dalle ore 17:30 alle ore 19:30 ed ogni due settimane
dalle ore 10:00 alle ore 19:30 del sabato e dalle ore 10:00 alle ore 19:30 della
domenica, escluso il pernotto come richiesto dal ricorrente. Riguardo le festività,
previo accordo tra i genitori, trascorrerà le solennità natalizie e pasquali
alternativamente con il padre e con la madre. Per quanto concerne il periodo estivo
(mese di agosto) i figli, previo accordo tra i coniugi, resteranno per dieci giorni con la
madre e per i restanti dieci giorni con il padre. Si fa presente che ha
manifestato di voler vedere il padre senza la presenza dell’attuale compagna
Quanto a ha da poco compiuto due anni; stante la tenera età del bambino, la signora manifesta la propria disponibilità, al momento e fin quando il bambino non avrà acquisito un minimo di autonomia, a consentire al padre di vedere il bambino quando vuole presso la casa coniugale e previo
appuntamento da concordarsi anticipatamente con la resistente e con modalità da
condividere di volta in volta nel primario interesse del bambino.
– Quanto alle spese straordinarie, considerato il divario tra la diversa capacità
reddituale dei coniugi, disporre che le spese straordinarie siano poste a totale carico
del ricorrente, ovvero, in subordine, nella misura del 75% a carico del sig. e
il restante 25% a carico della signora
Con vittoria di spese e competenze.”.
RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso ritualmente notificato alla sig.ra il sig.
chiedeva che il Tribunale adito disponesse, in sede presidenziale, i
provvedimenti temporanei ed urgenti come qui appresso indicati:
A) i coniugi vivranno separati con l’obbligo del mutuo rispetto. B) La casa
coniugale, sita in di proprietà di
entrambi i coniugi al 50%, verrà lasciata nella disponibilità della Sig.ra
con tutti i mobili ivi contenuti, e continuerà a risiedervi con i figli. C)
Il mutuo residuo relativo all’immobile sito in
verrà assunto al 50% da entrambi i coniugi; in particolare, a fronte di rate
mensili di € 700,00 cadauna, il Sig. verserà l’importo di € 350,
mentre la restante parte pari ad € 350,00 verrà corrisposta dalla
D) L’autovettura modello di

proprietà della resterà in uso alla medesima. E) I figli minori
continueranno a risiedere con la Sig.ra
e su di essi entrambi i genitori continueranno ad esercitare la potestà
genitoriale, in regime di affidamento condiviso, con collocazione prevalente presso la
madre, con facoltà per il padre di vederli e tenerli con sé secondo le seguenti
modalità: il martedì ed il giovedì dalle ore 14,00 alle ore 19.30, salvo modifica dei
giorni e dell’orario da concordare previamente con la madre, anche in base alle
esigenze dei ragazzi e degli impegni di lavoro del sig. ed ogni due
settimane dalle ore 10,00 del sabato alle ore 10,00, con pernotto, alle ore 19.30 della
domenica allorché li ricondurrà presso la madre. Quanto alle festività, i minori,
previo accordo tra i genitori, trascorreranno le solennità natalizie e pasquali
alternativamente con il padre e con la madre. Il giorno dei rispettivi compleanni verrà
passato con entrambi i genitori. Per quanto concerne il periodo estivo (mese di
agosto), i figli, previo accordo tra coniugi, resteranno per quindici giorni con la
madre e per i restanti quindici con il padre. In difetto di accordo tra i genitori, il padre
potrà vedere e tenere con sé i minori dal 16 agosto al 30 agosto. F) Il Sig.
verserà mensilmente (entro il giorno 05 di ogni mese), per il
mantenimento dei figli minori, l’importo complessivo di € 400/00 (€ 200 per ciascun
figlio), annualmente rivalutabile secondo gli indici ISTAT, oltre al 50% delle spese
mediche, scolastiche e straordinarie per i bambini. G) Il Sig.
corrisponderà alla Sig.ra l’importo di € 300/00 quale
assegno di mantenimento, annualmente rivalutabile secondo gli indici ISTAT.
Si costituiva la Sig.ra con patrocinio a carico dello Stato,
aderendo alla domanda di separazione, ma chiedendo che venisse pronunciata la
separazione con addebito al marito, il quale avrebbe intrattenuto una relazione extraconiugale
da anni, ovvero già in costanza di matrimonio, con un’altra donna, con la
quale, attualmente, sarebbe convivente.
Inoltre, la resistente chiedeva un contributo al mantenimento per sé pari ad €
2.000,00, essendo priva di occupazione, nonché un assegno di mantenimento di
complessivi € 1.000.00 per i figli minori, oltre alla concorrenza al pagamento delle
spese straordinarie nella misura dell’80%.
Per quanto concerne l’affidamento concordava con il ricorrente in ordine al regime
dell’affido condiviso dei figli minori, con collocamento
prevalente presso la madre nella casa coniugale, con possibilità per il padre di vederli
secondo le modalità meglio specificate nella comparsa ed in particolare con una
frequentazione compatibile con la tenera età del figlio
A scioglimento della riserva assunta dal Presidente f.f. del Tribunale di Velletri
all’udienza del 14.09.2017, venivano adottati i seguenti provvedimenti:
1) Autorizza i coniugi a vivere separati con l’obbligo di mutuo rispetto. 2) Dispone
l’affidamento condiviso dei figli minori con collocazione
prevalente presso la madre signora con la quale è rimasto a
convivere anche l’altro figlio maggiore d’età, 3) La casa coniugale lasciata
in godimento alla signora unitamente al relativo arredo. 4)
Possibilità per il padre di vedere e tenere con sé i figli minori quando lo desideri
previo accordo con la madre e, in assenza di accordo, due pomeriggi ogni settimana
nei giorni di martedì e giovedì, in assenza di diverso accordo tra le parti, dall’uscita
da scuola fino alle ore 20,00 e, per la sola a week end alterni dal sabato
mattina fino alla domenica alle ore 20,00, compatibilmente con le esigenze della
ragazza. Per quanto riguarda possibilità per il padre di vederlo e tenerlo
con sé nel week end anche per l’intera giornata del sabato e della domenica
riaccompagnandolo presso la casa della madre alle ore 19,30, senza pernottamento, in
ragione della tenera età del bambino; nel periodo estivo, possibilità per il sig.
di restare 15 giorni con la figlia anche non consecutivi, previo
accordo tra i genitori, festività natalizie e pasquali ad anni alterni tra i genitori;
opportunità, per il padre, di tenere con sé il figlio per 15 giorni, dalle ore
09,30 sino alle ore 19,30, senza pernotto. 5) Obbligo per il sig. di
corrispondere, a titolo di concorso per il mantenimento dei figli minori,
la somma di € 1.000,00 complessivi, rivalutabili secondo gli indici ISTAT
annuali, oltre al 50% delle spese straordinarie, mediche e scolastiche, previamente
concordate; ed € 600,00, rivalutabili secondo gli indici ISTAT annuali, per il
mantenimento della sig.ra
Con la medesima ordinanza il Presidente nominava il giudice istruttore e fissava
l’udienza di comparizione e trattazione, assegnando al ricorrente termine di giorni 30
prima dell’udienza sopra indicata per il deposito di memoria integrativa ex art. 163
c.p.c. ed alla resistente termine di giorni 10 prima dell’udienza sopra indicata per la
costituzione in giudizio ai sensi degli artt. 166 e 167 c.p.c., nonché per la
proposizione delle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio.
Di ciò è stata data comunicazione al P.M., in ossequio al disposto di cui all’art. 70
c.p.c. ed in conformità con l’orientamento giurisprudenziale consolidato (tra le altre,
v. Cass. 24.05.05 n. 10894; 07.02.03 n. 1829) secondo cui l’obbligatorietà
dell’intervento del P.M. nelle cause di separazione dei coniugi, come nelle altre cause
in cui tale partecipazione è imposta dalla legge, non richiede che un rappresentante di
detto ufficio sia presente alle udienze istruttorie, o prenda conclusioni in occasione
della rimessione della causa al Collegio, ma postula soltanto che detto ufficio sia
informato del processo, per poter esercitare in esso i poteri attribuiti dall’ordinamento,
ivi compreso quello di presentare conclusioni con comparsa scritta davanti al
Collegio.
All’udienza di prima comparizione del 24/01/2018, successivamente al deposito
rispettivamente della memoria integrativa e della comparsa di costituzione e risposta,
il G.I. a scioglimento della riserva relativamente alle istanze di integrazione della
ordinanza presidenziale del 23.09.2017, disponeva che:
– “i giorni di sabato e domenica che il minore deve trascorrere con il padre,
la madre lo consegni entro le ore 10:00 dei predetti giorni”,
– “l’assegno per il mantenimento del coniuge e dei figli a carico del sig.
sia da questi versato entro il giorno 5 di ogni mese, a decorrere dal
prossimo mese di maggio 2018”.
Inoltre, su istanza concorde dei procuratori, concedeva alle parti i triplici termini di
cui all’art. 183 6° comma, c.p.c. rinviando, per la decisione sulle istanze istruttorie,
all’udienza del giorno 31 ottobre 2018.
Nelle memorie predette le difese delle parti incentravano la controversia su due
questioni fondamentali: i) la quantificazione degli assegni di mantenimento per la
resistente e per i figli ad esclusione di in quanto maggiorenne ed
economicamente autosufficiente; ii) la domanda di addebito formulata dalla
basata sulla relazione extraconiugale del con la sig.ra
In ordine alla crisi coniugale la difesa del dopo aver addotto in ricorso una
sopravvenuta incompatibilità caratteriale tra i coniugi quale causa della crisi, nella
memoria integrativa ha precisato che sussistevano “primi sintomi” di una crisi
risalenti a “10 anni or sono”, quando la signora avrebbe,
inspiegabilmente, iniziato ad avere un atteggiamento di freddezza, tanto da costituire
una “barriera” che ha a mano a mano allontanato i consorti.
Nella comparsa di costituzione e risposta e nelle successive memorie ex art 183
c.p.c., la difesa della resistente contestava tale ricostruzione rilevando che tali
affermazioni trovavano puntuale smentita nella decisione maturata nel 2012 dai
coniugi di acquistare in proprietà una casa per la famiglia contraendo un mutuo nel
novembre 2012 e, soprattutto, di avere un altro figlio nel 2015 (nonostante le
condizioni di salute della sconsigliassero una nuova gravidanza,
soprattutto per l’età di 46 anni). Inoltre, parte resistente evidenziava come negli anni
di matrimonio i coniugi avessero avuto una perfetta intesa di coppia, anche dal punto
di vista lavorativo tale da determinare una crescita dell’attività imprenditoriale con
profitti che hanno consentito alla famiglia di vivere molto agiatamente.

Ad avviso di parte resistente, il sig. avrebbe, in realtà, vissuto due “vite
parallele” a partire dal settembre 2011, allorquando avrebbe iniziato la relazione con
la signora (sua attuale compagna, con la quale convive dall’aprile
2016 unitamente ai due figli di lei) di cui la moglie solo a dicembre 2015 avrebbe
scoperto la esistenza.
Tale situazione sarebbe stata confermata, ad avviso della difesa della sig.ra
dallo stesso in un messaggio inviato alla moglie in data
18.3.2016 nel quale si legge testualmente “… sono stato bravissimo a non fartene
accorgere (…)”.
La relazione extra-coniugale, scoperta nel dicembre 2015, dapprima minimizzata
come una “semplice sbandata”, sarebbe stata anche ammessa dalla stessa amante del
marito con la quale la resistente avrebbe avuto un fitto scambio di messaggi
WhatsApp. In particolare, la difesa riporta un messaggio in cui la signora
scrive alla che il 23/9 (anno 2015) hanno festeggiato 5 anni; in un altro
messaggio la signora riferisce “quando è nato lui stava a letto
a casa mia”.
Il rapporto coniugale, quindi, sarebbe stato irrimediabilmente compromesso con la
scoperta nel dicembre 2015 della relazione extraconiugale intrattenuta dal sig.
con l’attuale compagna (pochi mesi dopo la nascita del
figlio ) e, all’esito di un duro confronto con il marito, nel corso del quale
questi ammetteva la relazione.
In conclusione, la ricostruzione offerta dalla difesa della sig.ra
dimostrerebbe come il tradimento del marito sia stato la causa della rottura del
matrimonio, non corrispondendo al vero che il sig. dopo essersi rifugiato
nell’aprile del 2016 presso la casa della sig.ra si sarebbe ripresentato presso
la casa coniugale per “risolvere i problemi insorti”, e dopo un solo giorno, la
lo avrebbe inspiegabilmente cacciato via in malo modo.
Per quanto riguarda le questioni economiche la difesa della ha insistito
per una corresponsione di ammontare di gran lunga superiore a quanto proposto in
ricorso dal attesa la reale e non dichiarata capacità reddituale del ricorrente
quale titolare di una ditta di manutenzione di impianti di riscaldamento che durante il
matrimonio avrebbe consentito alla famiglia una vita agiata e piena di svaghi,
vacanze frequenti e costose, nonché un complessivo tenore di vita compatibile con il
riconoscimento di un assegno alla moglie di € 2.000,00 mensili e ai due figli di
complessivi € 1.000,00.
In particolare, la difesa della resistente deduce che gli incassi quotidiani per l’attività
svolta dal ricorrente sarebbero andati da un minimo di € 250,00 a 700/800 € per una
media di circa 5 interventi al giorno; tali ricavi sarebbero incompatibili con le
dichiarazioni di natura fiscale in considerazione della consolidata pratica adottata di
richiedere per gli interventi predetti il pagamento in nero senza ricevuta, circostanza
questa ben nota alla signora che, in ragione del ruolo svolto di contabile,
riceveva giornalmente l’elenco degli interventi eseguiti. A dire della resistente vi era
in uso tra le parti un codice di comunicazione per distinguere gli interventi con
ricevuta e quelli senza, ovvero misti, che superavano di gran lunga quelli con
ricevuta. Di questi interventi, come detto, prendeva nota a fine giornata la signora
alla quale venivano consegnate le schede degli interventi recanti le
annotazioni “s/r” (senza ricevuta) e “c/r” (con ricevuta) (V. Doc. 13 e Doc. 14).
Ad oggi l’attività del sig. prosegue proficuamente con l’impresa
familiare costituita unitamente al figlio come socio al 49%.
Per quanto concerne lo svolgimento da parte della di attività lavorativa
presso la la difesa della resistente ne contestava la sussistenza.
In ordine alla situazione reddituale la difesa del ricorrente deduceva viceversa come
la situazione lavorativa attualmente abbia risvolti completamente diversi rispetto al
passato considerato che il lavora con il mandato di assistenza di un solo
marchio mandato che viene rinnovato annualmente e senza diritto di esclusiva; inoltre, le zone di competenza sarebbero state ridotte
drasticamente con l’apertura di nuovi centri assistenza che hanno come competenza la
provincia di Latina che in passato era di competenza esclusiva del ricorrente, e sulla
quale ora non può più operare.
Pertanto, gli introiti derivanti dalla attività si sarebbero notevolmente ridotti a causa
della concorrenza; parte ricorrente inoltre contestava la allegazione circa le entrate in
c.d. nero atteso che nel settore nel quale lavora il ormai da diversi anni
durante gli interventi vi è l’obbligo di rilasciare il “Libretto di Climatizzazione” che
attesta la regolarità della manutenzione sui prodotti di riscaldamento e questo di
conseguenza prevede l’emissione di ricevuta, stessa cosa avviene nel caso di
sostituzione di parti di ricambi sulle quali viene riconosciuta la garanzia di 2 anni da
parte dell’azienda produttrice esclusivamente presentando un documento fiscale che
attesta il periodo di sostituzione dello stesso ed è importante ricordare che il sig.
lavora con tariffe che gli vengono obbligate dalla azienda madre come da
listini che gli vengono inviati annualmente.
A riprova di quanto detto la difesa del allegava che l’utile netto relativo
all’anno 2017 è stato pari ad € 30.003,00 così ripartito tra il ricorrente ed il figlio
il 49%, pari ad € 14.701,00 è spettato al sig. e la
somma di € 15.302,00, pari al 51%, al sig.
A seguito dell’espletamento dei termini di cui sopra, l’odierno giudicante in
sostituzione definitiva del precedente assegnatario, a scioglimento della riserva
assunta all’udienza predetta, ammetteva con ordinanza del 24/11/2018 le prove per
testi che venivano escussi successivamente.
I testi afferenti alla dedotta attività lavorativa della resistente hanno dichiarato quanto
segue:
il teste ha riferito: “vado abitualmente a ritirare le pizze da asporto presso la
trattoria e in una sola occasione nell’estate del 2018 ho intravisto in
cucina la signora che conosco personalmente” “ Vado a prendere le pizze
li quasi tutti i fine settimana e in altre occasioni non ho visto la signora anche per la
collocazione della cucina all’interno del locale”;
il teste ha riferito: “nell’estate del 2018 in occasione di una cena con i miei
collaboratori della ditta ho visto la signora in cucina” “Mi sono recato
altre due volte alla trattoria successivamente a questo episodio e non ho visto la
signora in occasione di una sagra nel giugno del 2018 che lavorava per la
trattoria che aveva uno stand all’interno della sagra stessa”.
In ordine alla circostanza relativa alla pratica di dissimulare gli incassi ha riferito il
teste fratello del ricorrente che ha dichiarato: “ho lavorato con
mio fratello fino all’ottobre del 2015 e successivamente mi sono dimesso.” Sui
capitoli da 9 a 14 dichiara: Sugli interventi di assistenza eseguiti da me accanto
all’importo indicavo la dicitura sr ossia senza ricevuta. Sul capitolo 19 nulla so; io
incassavo di media circa € 300,00 giornalieri; eravamo io e mio fratello a fare gli
interventi”.
Infine, ha deposto come teste la sig.ra attuale convivente del signor
che ha testualmente dichiarato: “La mia relazione col è iniziata nel
2016” “Confermo quanto scritto nei messaggi di cui al doc. 15, ma preciso di aver
scritto certe cose solo per rabbia, atteso che sebbene avesse intrapreso una relazione
con me sin dal giugno 2016, frequentava saltuariamente anche la moglie
dal punto di vista intimo; a riprova la mi mandava messaggi in tal senso”.
Alla udienza del 20/11/2019 il G.I. tratteneva la causa in decisione assegnando i
termini di legge di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito degli scritti conclusionali.
1. Separazione personale
La domanda di separazione personale formulata per quanto sopra detto da entrambe
le parti deve essere accolta, in quanto l’indisponibilità delle parti ad una
riconciliazione, per tutto il tempo in cui il processo si è protratto, dimostra che la
convivenza coniugale è divenuta intollerabile.
Non vi è contestazione sull’impossibilità di ricostruire il consorzio familiare.
L’elevata conflittualità che ha caratterizzato i rapporti tra le parti e la separazione
iniziata, su autorizzazione del Presidente che ha pronunciato i provvedimenti
provvisori, per tutta la durata del processo conducono ad escludere la possibilità di
una riconciliazione tra i coniugi ed a riconoscere l’intollerabilità della prosecuzione
della convivenza.
2. Addebito
Va ricordato che in punto di diritto la pronuncia di addebito della separazione
presuppone l’accertamento da parte del giudice non solo, ovviamente, del
comportamento oggettivamente trasgressivo di uno o di entrambi i coniugi ai doveri
coniugali, ma anche che tale violazione abbia causato la crisi matrimoniale e che
sussista, pertanto, un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il
determinarsi dell’intollerabilità della convivenza, condizione presupposta per la
pronuncia di separazione (cfr. Cass. sez. 1, n. 279 del 12/01/2000; n. 23071 del
16/11/2005; n. 9877 del 28/04/2006; n. 18074 del 20/08/2014; sez. 6-1, ord. n. 3923
del 19/02/2018).
La pronuncia di addebito postula, quindi, in ogni caso, l’accertamento che il
comportamento contrario ai doveri coniugali abbia causato l’intollerabilità della
prosecuzione della convivenza (Cass. Sez. I, 20/08/2014, n. 18074) mentre non può
operare nei casi in cui emerga che il rapporto sia già compromesso per
incompatibilità caratteriale o altre cause, poiché in questo caso la condotta è
conseguenza e non causa della crisi coniugale già in atto.
Quale corollario di questi principi, e del principio generale di cui all’art. 2697 c.c., la
giurisprudenza è altrettanto consolidata nel ritenere che «grava sulla parte che
richieda, per l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà, l’addebito della separazione
all’altro coniuge l’onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel
rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi
eccepisce l’inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi
dell’infedeltà nella determinazione dell’intollerabilità della convivenza, provare le
circostanze su cui l’eccezione si fonda, vale a dire l’anteriorità della crisi
matrimoniale all’accertata infedeltà» (Cass. sez. 6-1, ord. n. 3923 del 19/02/2018;
conforme sez. 1, sent. n. 2059 del 14/02/2012).
In punto di fatto, l’istruttoria svolta ha permesso di dimostrare che la relazione
extraconiugale del è pacificamente anteriore alla crisi
coniugale e che questa ha causato il definitivo allontanamento dell’odierno ricorrente
dalla casa coniugale nel mese di Aprile 2016.
La anteriorità della relazione anzidetta è comprovata dalle risultanze della
deposizione della teste attuale compagna del la quale ha
confermato la riconducibilità a sé dei messaggi Whatsapp intercorsi nell’agosto 2016
con la in cui riferisce la esistenza della relazione antecedentemente alla
convivenza con il stesso e, in particolare, che allorquando la resistente
aveva partorito il terzo figlio nell’agosto 2015, il “era a letto” con
lei. Inoltre, sempre in tale conversazione la conferma, in risposta a precisa
domanda della che tale relazione extraconiugale durava da circa 5 anni e
che il 23 settembre del 2015 avevano festeggiato 5 anni di relazione. Queste
circostanze contenute nei messaggi predetti sono da ritenersi provate proprio in
considerazione della espressa conferma da parte della circa la
riconducibilità a lei degli stessi; la circostanza che la teste abbia tentato di modificare
la tempistica della sua relazione con il dichiarando “di aver scritto certe
cose solo per rabbia, atteso che, sebbene avesse intrapreso una relazione con me sin
dal giugno 2016 frequentava saltuariamente anche la moglie dal punto
di vista intimo; a riprova la mi mandava messaggi in tal senso”, non sia
da ritenere plausibile e credibile in considerazione della attuale stabilità di relazione
fra la stessa e l’odierno ricorrente. E’ da ritenersi, invero, più attendibile quanto
riferito dalla tramite messaggi in un momento in cui la situazione non era
ancora sfociata nella attuale lite giudiziaria.

D’altra parte, la anteriorità della relazione è suffragata dalla condotta del
che nell’aprile 2016 ha abbandonato la casa coniugale per trasferirsi senza soluzione
di continuità presso l’abitazione della è da rilevarsi come tale
comportamento non possa che ritenersi compatibile esclusivamente con uno stabile e
consolidato rapporto pregresso che ha determinato il non appena possibile a
trasferirsi presso la con la quale intratteneva da tempo una relazione
extraconiugale.
Ciò posto, è evidente che la crisi coniugale e la rottura della convivenza fra i coniugi
sia stata determinata dalla decisione unilaterale del ricorrente di abbandonare la casa
coniugale in relazione alla sua decisione unilaterale di andare a convivere con la
abbandonando definitivamente la propria famiglia nell’aprile del 2016 a
soli sei mesi dalla nascita del suo terzo figlio. Tale condotta è stata determinata dalla
scelta del di abbandonare la sua famiglia per consolidare definitivamente la
sua relazione extraconiugale che ha, quindi, determinato in via irreversibile la rottura
del rapporto di coniugio.
In altri termini, la relazione extraconiugale risalente a più di cinque anni antecedenti
ha determinato irreversibilmente il a rompere definitivamente ogni relazione
con la e dunque ad abbandonare la casa familiare.
Pertanto, la domanda di addebito deve essere accolta.
3. Affidamento dei figli minori e regolamentazione del diritto di visita paterno
Occorre rilevare come, successivamente all’ordinanza presidenziale che ha disposto
l’affidamento congiunto dei figli minori ad entrambi i genitori e la collocazione degli
stessi presso la madre con conseguente assegnazione della casa coniugale alla
medesima, la difesa del sig. ha concentrato le proprie istanze ed
allegazioni esclusivamente sulla questione della quantificazione dal punto di vista
economico degli assegni medesimi.
Inoltre, l’attuale età del figlio minore fa ritenere al Collegio di poter
modificare il vigente regime di visita del padre prevedendo il pernotto presso lo
stesso sempre che il minore abbia garantito uno spazio a lui dedicato presso
l’abitazione del
Conseguentemente, non essendovi alcuno specifico motivo per modificare l’attuale
assetto come predisposto dal Presidente f.f. ritiene il Collegio di dover confermare le
condizioni tuttora vigenti sia con riferimento all’affidamento, al collocamento ed alla
conseguente assegnazione della casa coniugale.
Pertanto, si dispone l’affidamento condiviso dei figli minori con
collocazione prevalente presso la madre signora con conseguente
assegnazione dell’abitazione familiare in comproprietà tra i coniugi. Dispone inoltre
che il padre possa vedere e tenere con sé i figli minori quando lo desideri previo
accordo con la madre e, in assenza di accordo, due pomeriggi ogni settimana nei
giorni di martedì e giovedì, in assenza di diverso accordo tra le parti, dall’uscita da
scuola fino alle ore 20, nonché a week end alterni dal sabato mattina dalle ore 10,00
della mattina fino alla domenica alle ore 20, tenendo conto delle esigenze dei figli.
Inoltre, il padre potrà trascorrere con i figli minori, nel periodo delle vacanze estive,
15 giorni, anche non consecutivi (o in diversi periodi concordati tra i coniugi), pervio
accordo con la madre, nonché le festività natalizie e pasquali, alternando, quanto alle
prime, il periodo tra il 24 e il 30 dicembre e il periodo tra il 31 dicembre ed il 6
gennaio e, quanto alle seconde, alternando le annualità e prevedendo che i giorni di
Pasqua e il Lunedì successivo siano alternati tra i genitori, salvo diverso accordo tra
le parti.
4. Assegno di mantenimento per i figli
Per quanto concerne il mantenimento per i figli minorenni le parti non hanno discusso
in ordine all’an debeatur, ma hanno dissentito esclusivamente in relazione alla
quantificazione del medesimo.
In proposito, ci si deve rifare ai parametri delineati dall’art. 337 ter c.c., ovvero, alle
condizioni economiche del coniuge obbligato, alle esigenze di vita dei figli in base
alla loro età ed al tempo di permanenza presso ciascun genitore (che incide sul
contributo poiché nei periodi di frequentazione con il genitore non collocatario,
questi provvede in via diretta al mantenimento dei figli).
Al riguardo la Suprema Corte (Sez. 1, Sentenza n. 17089 del 10/07/2013) ha
affermato il principio secondo cui “Il dovere di mantenere, istruire ed educare la
prole, stabilito dall’art. 147 cod. civ., obbliga i coniugi a far fronte ad una molteplicità
di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare, ma estese
all’aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all’assistenza morale e
materiale, alla opportuna predisposizione – fino a quando la loro età lo richieda – di
una stabile organizzazione domestica, adeguata a rispondere a tutte le necessità di
cura e di educazione. Tale principio trova conferma nel nuovo testo dell’art. 155 cod.
civ., come sostituito dall’art. 1 legge 8 febbraio 2006, n. 54, il quale, nell’imporre a
ciascuno dei coniugi l’obbligo di provvedere al mantenimento dei figli in misura
proporzionale al proprio reddito, individua, quali elementi da tenere in conto nella
determinazione dell’assegno, oltre alle esigenze del figlio, il tenore di vita dallo stesso
goduto in costanza di convivenza e le risorse economiche dei genitori, nonché i tempi
di permanenza presso ciascuno di essi e la valenza economica dei compiti domestici e
di cura da loro assunti.”. Tali principi sono stati anche di recente ribaditi dalla
Cassazione (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 4811 del 01/03/2018) che ha ribadito, in
particolare, la rilevanza del principio di proporzionalità secondo cui “A seguito della
separazione personale dei coniugi, nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto
dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il
principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di
entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del
tenore di vita da lui goduto. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione della corte
d’appello per non aver effettuato un’adeguata indagine circa le risorse patrimoniali e
reddituali di ciascuno dei genitori, ed avere pure espressamente trascurato la
maggiore capacità patrimoniale del padre, comunque accertata nel caso concreto).”.
Con riferimento alle capacità economiche, è stato chiarito come il parametro di
riferimento ai fini della determinazione del concorso dei genitori negli oneri
finanziari è costituito non soltanto dalle sostanze materiali, ma anche dalla capacità di
lavoro, professionale o casalingo, di ciascun coniuge, implicando quindi una
valorizzazione anche delle accertate potenzialità reddituali (cfr. art. 316 bis primo
comma, c.c.).
Invero, quanto al coniuge obbligato, deve aversi riguardo non solo e non tanto
esclusivamente al reddito, quanto alla sua complessiva capacità economica (cfr. Cass.
sez. 6-1, n. 17667 del 4/09/2015), comprensiva di ogni utilità economicamente
valutabile (Cass. sez. 1, n. 9718 del 23/04/2010 e n. 3502 del 13/02/2013).
In base a questi criteri rileva il Collegio come vada nel caso di specie confermato
l’ammontare stabilito in sede presidenziale di complessivi € 1.000,00 (€ 500,00
ciascuno) a titolo di contributo al mantenimento dei figli, atteso che il ha
una reale capacità reddituale non compatibile con quanto dichiarato in termini di utili
derivanti dalla impresa familiare costituita con il figlio maggiorenne pari a circa €
15.000,00 annui. Invero, è da ritenere presumibile, alla luce della gestione pregressa
delle società riconducibili al come emergente dalla documentazione in atti
nonché dalla deposizione del fratello socio della cooperativa
esercente la medesima attività di impresa ad oggi svolta dal ricorrente, che gran parte
degli introiti nella misura di circa il 50% vengano percepiti in nero con la
corresponsione del danaro da parte del cliente per il servizio prestato senza la
emissione della prescritta ricevuta. A tal riguardo, il teste ha
confermato che, quando era socio lavoratore della cooperativa GMC, incassava per
accordo con gli altri due soci, odierne parti del presente giudizio, gran parte dei
corrispettivi per i servizi svolti senza emissione di ricevuta. Al riguardo è da ritenersi
che tale prassi purtroppo assai diffusa nel paese continui ad essere utilizzata anche
per la gestione della attuale impresa familiare costituita dal con il figlio
Emanuele, per cui è presumibile che il ricorrente possa in concreto fare affidamento
su introiti ben più alti di quelli dichiarati a fini fiscali.
Conseguentemente, è da ritenere induttivamente che il percepisca almeno
un utile pari al doppio di quello dichiarato con la conseguenza che possa fare
affidamento su circa € 3.000,00 mensili.
Tale situazione reddituale fa ritenere congruo un ammontare pari ad € 1.000,00
mensili per i figli. Per quanto concerne le spese straordinarie rileva il Collegio che lo
squilibrio economico fra i coniugi (la è attualmente disoccupata avendo
perso la sua occupazione di addetta alla contabilità della impresa del marito) possa
comportare una ripartizione all’80% a carico del da corrispondersi alla
previo accordo in ordine alla decisione circa il sostenimento delle stesse.
5. Assegno di mantenimento per la moglie
In punto di diritto si ricorda che, secondo la giurisprudenza, occorre avere riguardo al
fatto che la separazione, a differenza del divorzio, «presuppone la permanenza del
vincolo coniugale, sicché i “redditi adeguati” cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156
c.c., l’assegno di mantenimento a favore del coniuge, in assenza della condizione
ostativa dell’addebito, sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in
costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale»
(Cass. sez. 1, n. 12196 del 16/05/2017); è poi stato chiarito che, oltre ai redditi del
coniuge obbligato – o meglio, alla sua complessiva capacità economica (cfr. Cass.
sez. 6-1, n. 17667 del 4/09/2015), comprensiva di ogni utilità economicamente
valutabile (Cass. sez. 1, n. 9718 del 23/04/2010 e n. 3502 del 13/02/2013), occorre
tenere conto anche di altri fattori (le “circostanze” non tipizzate e non individuate
dall’art. 156 c.c.), costituiti da tutti quegli elementi fattuali di ordine economico, o
comunque apprezzabili in termini economici, diversi dal reddito ed idonei ad incidere
sulle condizioni economiche delle parti (in questi termini Cass. sez. 1, n. 605 del
12/01/2017); con particolare riferimento, tra i fattori da valutare, alla capacità
lavorativa del coniuge richiedente, la Suprema Corte ha evidenziato che «l’attitudine
al lavoro proficuo … quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento
valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da
parte del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di
svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto
fattore individuale e ambientale e con esclusione di mere valutazioni astratte e
ipotetiche» (Cass. sez. 6-1, n. 5817 del 9/03/2018; sez. 1, n. 3502 del 13/02/2013).
Sintetizzando i principi sopra richiamati, si può dunque affermare che i tre
presupposti per ottenere il mantenimento a favore di uno dei coniugi sono la non
addebitabilità della separazione al coniuge richiedente l’assegno, la mancanza da
parte del beneficiario di adeguati redditi propri, la sussistenza di una disparità
economica tra i due coniugi, dovendosi precisare, come già detto, che con il termine
di “reddito” il legislatore ha voluto riferirsi non solo al denaro ma anche ad ogni altra
diversa utilità, purché economicamente valutabile (ex multis Cass. 4543/1998; Cass.
19291/2005; Cass. 6769/2007; Cass. 2445/2015).
L’onere probatorio di dimostrare i suddetti presupposti grava, ovviamente, sulla parte
che chiede l’attribuzione dell’assegno in suo favore, che non solo deve provare la
mancanza di redditi adeguati o addirittura il suo stato di indigenza (Cass. sez. 1, n.
4204 del 24/02/2006), e, più in generale, la sua attuale condizione patrimoniale, ma
anche il tenore di vita avuto in costanza di matrimonio e l’impossibilità di procurarsi
mezzi adeguati per ragioni oggettive – quest’ultima «da valutarsi in relazione alla
situazione esistente nell’attualità e, in particolare, alla possibilità, per il richiedente, di
svolgere un’attività lavorativa adeguata alla sua qualifica, posizione sociale e
condizioni personali, d’età e di salute» (Cass. Sez. 6-1, ord. n. 25781 del 30/10/2017).
Sulla scorta dei superiori principi giurisprudenziali osserva il Collegio come la
domanda di parte resistente vada accolta con riferimento all’an debeatur considerata
la non opposizione da parte del che nelle conclusioni ha chiesto che il
Tribunale riconoscesse alla “un assegno di € 300/00 quale assegno di
mantenimento, annualmente rivalutabile secondo gli indici ISTAT.”.
Le odierne parti controvertono, pertanto, esclusivamente in ordine al quantum
debeatur.
Al riguardo, ritiene il Tribunale congruo quanto stabilito in sede presidenziale, atteso
che la risulta pacificamente essere stata impegnata a tempo pieno sia per
la famiglia da ormai circa 20 anni che nel lavoro di contabile al servizio della impresa
del coniuge da cui è fuoriuscita a seguito della separazione, per cui allo stato attuale
non possiede una stabile attività lavorativa che le consenta la percezione di una
autonoma retribuzione mensile. Tale situazione comporta un evidente squilibrio
reddituale fra le parti che impone il riconoscimento alla stessa di un assegno di
mantenimento al fine di consentirle di godere di un tenore di vita se non identico, ma,
comunque, analogo a quello sostenuto durante la vita coniugale. Peraltro, la
circostanza dedotta dal resistente circa le potenzialità della ricorrente di trovare una
idonea attività lavorativa non è suffragata da alcun elemento specifico; la attuale
precaria e saltuaria attività lavorativa quale cameriera presso la trattoria non
consente di ritenere la resistente economicamente autonoma ed autosufficiente,
sebbene faccia presumere una sua potenzialità reddituale.
Ritiene, pertanto, il Collegio congruo un assegno mensile pari ad € 600,00 oltre
rivalutazione ISTAT, come quantificato in sede presidenziale.
5. Spese di lite
Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa, così
provvede:
1) Dichiara la separazione personale tra
con addebito al sig. ordinando l’annotazione al competente
Ufficio dello Stato Civile del Comune di Velletri;
2) dispone l’affidamento condiviso dei figli minori ad entrambi i genitori, con
collocamento prevalente presso la madre cui viene assegnata la casa coniugale;
3) dispone che entrambi i genitori esercitino la responsabilità genitoriale,
assumendo di comune accordo, tenendo conto della capacità, dell’inclinazione
naturale e delle aspirazioni dei figli minori, le decisioni di maggior interesse
per gli stessi – riguardanti l’istruzione, l’educazione e la salute – mentre per le
sole questioni di ordinaria gestione, limitatamente a ciò che attiene
all’organizzazione della vita quotidiana, la responsabilità genitoriale sarà
esercitata dal genitore presso cui i minori sono collocati;
4) dispone che il padre possa vedere e tenere con sé i figli minori quando lo
desideri previo accordo con la madre e, in assenza di accordo, due pomeriggi
ogni settimana nei giorni di martedì e giovedì, in assenza di diverso accordo tra
le parti, dall’uscita da scuola fino alle ore 20, nonché a week end alterni dal
sabato mattina dalle ore 10,00 della mattina fino alla domenica alle ore 20,
tenendo conto delle esigenze dei figli. Inoltre, il padre potrà trascorrere con i
figli minori, nel periodo delle vacanze estive, 15 giorni, anche non consecutivi
(o in diversi periodi concordati tra i coniugi), pervio accordo con la madre,
nonché le festività natalizie e pasquali, alternando, quanto alle prime, il periodo
tra il 24 e il 30 dicembre e il periodo tra il 31 dicembre ed il 6 gennaio e,
quanto alle seconde, alternando le annualità e prevedendo che i giorni di
Pasqua e il Lunedì successivo siano alternati tra i genitori, salvo diverso
accordo tra le parti.
5) determina in complessivi euro 1.000,00 (€ 500,00 mensili ciascuno)
annualmente rivalutabili in base agli indici ISTAT, l’assegno quale contributo
di mantenimento dovuto da ai figli da corrispondersi al 5 di
ogni mese alla madre tramite bonifico bancario su c/c
intestato alla stessa, con decorrenza dalla pubblicazione della presente
sentenza, fermi i provvedimenti assunti in corso di causa;
6) dispone che contribuisca al 80% delle spese straordinarie
per i figli, così come individuate e disciplinate dal protocollo in uso presso
questo tribunale, da intendersi qui riportato;
7) determina in complessivi € 600,00 annualmente rivalutabili in base agli indici
ISTAT, l’assegno quale mantenimento dovuto da alla
da corrispondersi al 5 di ogni mese tramite bonifico
bancario su c/c intestato alla stessa, con decorrenza dalla pubblicazione della
presente sentenza, fermi i provvedimenti assunti in corso di causa;
8) rigetta ogni altra domanda;
9) condanna al pagamento delle spese di lite in favore di
che liquida in complessivi € 7.500,00 per compensi
professionali oltre accessori di legge.
Così deciso dal Tribunale Ordinario di Velletri, riunito in camera di consiglio in
data 09/03/2020.
IL PRESIDENTE EST.
dott. Guglielmo Garri

Il generico riferimento all’emergenza sanitaria non può comprimere il diritto del figlio alla bigenitorialità.

Tribunale di Torre Annunziata, 6 aprile 2020
Il giudice istruttore, dott. Francesco Coppola, •sciogliendo la riserva del 6-4-2020;•letti gli atti ed esaminate le richieste formulate dalle parti;•vista, in particolare, la richiesta della ricorrente, P. A. – formulata con ricorso depositato il 17-3-2020 – di “sospendere, temporaneamente e sino alla cessazione dell’emergenza sanitaria in essere, le visite tra padre e la figlia minore A., affetta da grave patologia dello spettro autistico, restando assicurata una videochiamata ogni giorno e la possibilità di recuperare le visite perse non appena sarà possibile”;•ritenuto che la richiesta si fonda sulle esigenze di tutela della salute della minore e sulla esigenza di riduzione del rischio di contagio, in ragione delle misure emergenziali previste sia dalla disciplina statale (d.p.c.m. 9-3-2020) che regionale (ordinanza del presidente della Regione Campania 15/2020), e della circostanza che sono state sospese le attività del Centro Serapide (dove la minore si reca a fare riabilitazione e incontra il padre una volta alla settimana) e del Polo per le famiglie presso la IV Municipalità di Napoli (dove A. incontra il padre una volta a settimana);•considerato che, inoltre, la ricorrente ha evidenziato che la richiesta è giustificataanche per i comportamenti indotti dalla patologia della minore e dalla indispensabilità diun contatto ravvicinato e costante della minore con le persone che la assistono, cherendono di fatto impossibile l’attuazione anche delle più basilari regole igienico-sanitarie indicate dal Ministero della Salute e finalizzate alla riduzione del rischio dicontagio;•ritenuto che il resistente, S. A., si è opposto alla richiesta, evidenziando che la figlia trae beneficio dagli incontri con il padre per il suo benessere psico-fisico e che non sussistono i rischi paventati, in quanto non esporrebbe mai A. a nessun pericolo di contagio;•considerato che il resistente, in particolare, ha posto in evidenza che “si limiterebbe aprelevare la figlia dal suo domicilio per condurla a casa sua in un contesto salubretanto da potersi giovare anche di un giardino in cui far prendere un pò di aria alla figliasenza alcun rischio”, come documentato nella relazione dei S.S. di Torre del Greco del5-2-2019, trattandosi di uno spazio aperto ma privato e quindi al sicuro dacontaminazioni in quanto non frequentato da altri;•considerato che la richiesta della ricorrente è stata formulata ai sensi dell’art. 4 comma 8 legge 898/1970, avendo chiesto la modifica della disciplina del diritto di visita stabilita dal presidente (e poi modificata in corso di causa) del genitore non collocatario per fatti sopravvenuti; •ritenuto che, l’esercizio della bigenitorialità è un diritto costituzionalmente protetto eche, a riguardo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha contestato allo Stato Italianol’adozione di una serie di misure del tutto automatiche e stereotipate, quali richiestesuccessive di informazioni e delega del monitoraggio della famiglia ai servizi sociali conobbligo per questi ultimi di far rispettare il diritto di visita del genitore, ritenendo che talimisure se meramente formali siano assolutamente inadeguate alla tutela dei diritti delleparti ed in particolare ad assicurare il diritto alla tutela della vita familiare (art. 8Convenzione EDU), con obbligo a carico dello Stato di disporre specifici e fattiviinterventi (per tutte Caso GIORGIONI c. ITALIA sentenza 15-9-2016);•considerato che, alla luce dei decreti leggi e dei DPCM che si stanno susseguendo alfine di evitare il diffondersi del contagio del Covid 19, il Governo ha avuto modo dichiarire che “gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore ocomunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti, inogni caso secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazioneodivorzio” (cfr. FAQ sul sito del Governo) ed in questa ottica occorre leggere anchel’ordinanza n. 15 del 13-3-2020 con la quale il Presidente della Regione Campania, dopo aver fatto obbligo a tutti i cittadini di rimanere nelle proprie abitazioni, al punto due ha precisato che sono considerate situazioni di necessità (che legittimano spostamenti temporanei ed individuali), quelle correlate ad esigenze primarie delle persone; in definitiva, quindi, anche nella situazione emergenziale attuale non possono essere la legge, le ordinanze del Presidente della Regione o i provvedimenti dell’Autorità Giudiziaria a proteggere la salute dei bambini, ma il comportamento dei genitori (così come già chiarito dal Tribunale di Milano l’11-3-2020); •ritenuto, quindi, che la responsabilità genitoriale impone, in primo luogo, ai genitorinell’esercizio del munus loro demandato di individuare le misure adeguate a tutelare lasalute della prole in un contegno che non può che essere ispirato da reciproca equalificata collaborazione e da fiducia nell’altro, in assenza di effettivi e concretielementi indicatori di atteggiamenti inadeguati;•considerato che la liceità dello spostamento finalizzato alla attuazione dellafrequentazione da parte del figlio minore del genitore non collocatario rinvienefondamento nel riconosciuto essenziale apporto all’equilibrio psico-fisico del minore correlato alla presenza di entrambi i genitori ossia costituisce misura attuativa del suo diritto alla bigenitorialità, diritto che assume rilievo nell’ordinamento costituzionale interno e nell’ordinamento internazionale (sul rilievo del diritto del figlio minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori nell’ordinamento costituzionale interno e nell’ordinamento internazionale, cfr. C. Cost. 25-1-2017, n. 17 e C. Cost. n. 76 del 12-4-2017; sull’interpretazione dell’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, cfr. sentenza C. Edu del 9-2-2017, nel caso Solarino c. Italia; sulla necessità da parte delle autorità nazionali di adottare ogni misura idonea a rendere effettivo il rapporto tra il genitore e la prole, cfr. C. Edu, 17-11-2015, Bondavalli c. Italia; sull’importanza del rispetto del principio della bigenitorialità, quale presenza nella vita dei figli, e sulla conseguente necessità di sottoporre ad un controllo rigoroso le restrizioni apportate dalla autorità al diritto di visita dei genitori: cfr. Cass. civ., 8-4-2019, n. 9764); • considerato che in caso di contrasto tra i genitori occorre una specifica valutazione della fattispecie concreta che dia conto in maniera rigorosa della sussistenza di un pericolo di pregiudizio, tale da determinare una esigenza di tutela rafforzata della prole, al fine di individuare il concreto interesse del minore, venendo in rilievo una decisione da assumere nei suoi confronti; in particolare, in tali casi occorre operare una delicata operazione di bilanciamento degli interessi in gioco, in cui i valori di riferimento potenzialmente confliggenti sono rappresentati, da un lato, dal diritto alla bigenitorialità del minore, e, dall’altro, dal diritto alla salute; • ritenuto che, non reputando condivisibili le tesi che assegnano prevalenza ad uno dei due diritti in questione, appare preferibile l’orientamento che giustifica la compressione del diritto del minore a godere della bigenitorialità solo in presenza di oggettive e specifiche ragioni di tutela della salute proprie del caso concreto (per esempio in considerazione della specifica attività lavorativa prestata dal genitore, ovvero della provenienza da zone “rosse” o da contesti abitativi esposti in misura rilevante al pericolo di contagio, ovvero dall’utilizzo di mezzi di trasporto pubblici per raggiungere il minore). Il generico riferimento alla emergenza sanitaria non può comprimere il diritto del figlio a godere di congrua frequentazione di entrambi i genitori, dovendo ritenersi, in generale, che permanere con il genitore non coabitante presso l’abitazione dello stesso, quando sia assicurato il trasporto in sicurezza, sia a livello di rischio individuale e collettivo inferiore rispetto al rischio cui si è esposti per far fronte ad altri adempimenti (quali l’approvvigionamento di generi di prima necessità);
• • ritenuto che, pertanto, in assenza di specifiche ragioni di tutela della salute nei termini ora evidenziati, seppur con le cautele previste dalle norme vigenti, debba essere salvaguardato il diritto del resistente a potere incontrare la figlia, secondo la regolamentazione adottata nel corso del giudizio;
• • considerato che, peraltro, proprio in questo delicato periodo di restrizioni e di cautele, è necessario garantire regolari rapporti genitoriali ai minori al fine di trasmettere loro fiducia e serenità anche rispetto alle relazioni affettive con i propri genitori;
• • ritenuto, inoltre, che, essendo non contestata la sospensione delle attività del Centro Serapide e del Polo per le famiglie presso la IV Municipalità di Napoli, le uniche modalità di visita della figlia minore da parte del padre esercitabili – secondo le disposizioni allo stato stabilite, di cui alla ordinanza del 10-3-2019 – sono quelle che prevedono la facoltà per il padre di vedere e tenere con sé la figlia per due volte al mese, a settimane alterne, una volta il sabato ed una volta la domenica, liberamente, per tre ore dalle 15.30 alle 18.30 alla presenza della nonna paterna o di altra persona di fiducia, le quali, per durata e frequenza, appaiono adeguate all’attuale situazione emergenziale;
• • ritenuto che la presenza della nonna paterna o di altra persona di fiducia, tenuto conto della descritta contingenza emergenziale, al fine di evitare la presenza di altre persone, può essere sospesa, atteso che il resistente ha dichiarato di poter provvedere personalmente alle necessità della figlia di natura strettamente personale (in relazione alle quali era stata prevista la presenza di un terzo);
• • vista la disponibilità della ricorrente ad effettuare videochiamate quotidiane tra la figlia e il resistente;
• • visto il proprio decreto del 9-3-2020 con il quale il merito del giudizio è stato rinviato d’ufficio all’udienza del 23-9-2020, ore 10.00

P.Q.M.
letti gli artt. 4 comma 8 legge 898/1970 e 337 quinques c.c.,
A) rigetta la richiesta di sospensione delle visite del padre, richiesta dalla ricorrente; B) autorizza il resistente ad effettuare le visite, nei giorni indicati in motivazione, o in quelli concordati tra le parti, per tutto il periodo emergenziale causato da Covid 19, anche in assenza di terzi; C) dispone che, in aggiunta alle modalità di visita stabilite, il padre possa effettuare ogni giorno (diverso da quelli in cui si svolgeranno gli incontri) una videochiamata di almeno 15 minuti presso l’utenza telefonica fornita dalla madre collocataria della figlia minore
• all’orario concordato tra i genitori o, in difetto, tra le 17.00 e le 18.00;
• D) conferma il rinvio del processo alla fissata udienza del 23-9-2020, ore 10.00, disposto con decreto del 9-3-2020.

Il diritto di visita è recessivo rispetto alla salute.

Tribunale Vasto 2 aprile 2020
Il Tribunale
in composizione collegiale, nelle persone dei seguenti Magistrati:
– dott.ssa Annarosa Capuozzo Presidente
– dott. Fabrizio Pasquale Giudice relatore
– dott.ssa Prisca Picalarga Giudice

letti gli atti e la documentazione del procedimento iscritto al n. 428/2019 R.V.G.;
letta, in particolare, l’istanza depositata il 01.04.2020, con la quale _________ ha chiesto, ai sensi dell’art. 337 quinquies c.c., l’emissione di un provvedimento urgente per disporre la collocazione della figlia minore presso di sé nel periodo compreso tra il 7 ed 14 aprile p.v. o, in alternativa, tra il 13 ed il 26 aprile;
rilevato che il ricorrente – rappresentando di non aver potuto trascorrere con la figlia minore i periodi di tempo prestabiliti, a causa dell’attuale situazione di emergenza sanitaria nazionale – ha chiesto di poter tenere con sé la bambina dal 7 al 14 aprile (o, in alternativa, dal 13 al 26 aprile), presso la propria abitazione di Aversa, in modo da recuperare anche i fine settimana in cui si è trovato nell’impossibilità di rispettare la calendarizzazione stabilita, deducendo una perdurante difficoltà di instaurare conversazioni telefoniche con la figlia per le resistenze e l’ostruzionismo della resistente;
valutata, preliminarmente, l’ammissibilità dell’adozione di provvedimenti cautelari inaudita altera parte nell’ambito del giudizio di revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, ex art. 337 quinquies c.c., al fine di garantire la piena tutela del minore anche attraverso provvedimenti cautelari, tutte le volte in cui il diritto assistito dal fumus boni iuris sia minacciato dal pericolo di un pregiudizio imminente e irreparabile, che non può essere tutelato nei tempi necessari per farlo valere in via ordinaria;
rilevato che l’emissione di provvedimenti provvisori è espressione di una tutela immanente alla salvaguardia dell’interesse del minore, come si evince dall’art. 336 c.c., che legittima il tribunale all’adozione di provvedimenti nell’interesse del figlio anche in assenza di domanda, e dall’art. 337 ter c.c., che consente di adottare ogni provvedimento relativo alla prole, compreso l’affidamento a terzi, “anche d’ufficio”, e ciò in quanto l’instaurazione del contraddittorio differito assicura la necessaria tutela dei diritti di difesa delle parti;
considerato che, dalle allegazioni di parte ricorrente, si evince che il _________, proveniente da Milano (luogo in cui attualmente vive e lavora), il 23 marzo u.s. si è spostato ad Aversa, presso l’abitazione di famiglia, dove vorrebbe portare e tenere con sè la figlia per il periodo innanzi indicato;
ritenuto che gli incontri dei minori con genitori dimoranti in comune diverso da quello di residenza dei minori stessi non realizzano affatto le condizioni di sicurezza e prudenza di cui al D.P.C.M. 9/3/2020 ed all’ancor più restrittivo D.P.C.M. 11/3/2020, come pure al D.P.C.M. 21/3/2020 e, da ultimo, al D.P.C.M. del 22/3/2020, dal momento che lo scopo primario della normativa che regola la materia è quello di attuare una rigorosa e universale limitazione dei movimenti sul territorio (con il divieto di spostarsi in comuni diversi da quello di dimora), tesa al contenimento del contagio, con conseguente sacrificio di tutti i cittadini ed anche dei minori;
ritenuto, quindi, che il diritto-dovere dei genitori e dei figli minori di incontrarsi, nell’attuale momento emergenziale, è recessivo sia rispetto alle limitazioni alla circolazione delle persone, legalmente stabilite per ragioni sanitarie, ai sensi dell’art. 16 Cost., sia rispetto al diritto alla salute, sancito dall’art. 32 Cost. (cfr., in tal senso, Trib. Bari, ord. 26 marzo 2020);
ritenuto, peraltro, che – nel caso di specie – non è verificabile se la minore si esponga a rischio sanitario, tenuto conto: a) che il padre proviene da un luogo ad alto tasso di contagio virale; b) che non è dimostrato che lo stesso abbia rigorosamente rispettato le prescrizioni imposte dalla normativa vigente; c) che non è chiaro se nell’abitazione di destinazione siano presenti altre persone, oltre al ricorrente;
ritenuto, alla luce delle considerazioni sin qui espresse, che l’istanza del ricorrente non possa essere accolta, fermo restando che il diritto del padre a mantenere rapporti significativi e costanti con la figlia può essere esercitato attraverso strumenti telematici che consentano conversazioni in videochiamata, con cadenza anche quotidiana;
posto che, sotto tale ultimo profilo, le difficoltà dedotte e documentate dal resistente devono essere superate diffidando la resistente a consentire al _________ di avere colloqui telefonici riservati in videochiamata con la figlia, senza la presenza o l’interferenza della madre, tutti i pomeriggi e senza alcuna limitazione di durata delle singole chiamate, nella fascia oraria compresa tra le 14:30 e le 21:30;
Per Questi Motivi
a) rigetta l’istanza di cui in epigrafe;
b) dispone che _________ possa avere colloqui telefonici riservati in videochiamata con la figlia minore _________, senza la presenza o l’interferenza della madre, tutti i pomeriggi e senza alcuna limitazione di durata delle singole chiamate, nella fascia oraria compresa tra le 14:30 e le 21:30;
c) diffida _________ a consentire a _________ l’esercizio del diritto di colloquio telefonico con la figlia, come innanzi descritto, astenendosi da condotte impeditive od ostative;