Violenza sessuale in danno di minori: escluse le attenuanti generiche quando il fatto desta particolare allarme sociale.
Corte di Cass., Sez. III pen., Sent. 3 settembre 2024, n.
33350, Cons. Relatore Dott. Donatella Galtiero
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta da
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere-Relatore
Dott. BUCCA Antonella – Consigliere
Dott. DI STASI Lorenzo Antonio – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da
A.A., nato a C il (Omissis)
B.B., nato a B il (Omissis)
C.C., nata a B l'(Omissis)
avverso la sentenza in data 14.11.2023 della Corte di Appello di Napoli
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Donatella Galterio;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
Dott. Pietro Molino, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; lette le memorie
di replica dei difensori degli imputati che hanno concluso per l’accoglimento dei
rispettivi ricorsi
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 14.11.2023 la Corte di Appello di Napoli ha confermato la
condanna di A.A. per il reato di cui agli artt. 81 e 609-bis cod. pen. per aver
costretto le due nipotine D.D. e E.E., entrambe minori dei dieci anni, a subire in
ripetute occasioni atti sessuali tra il 2018 e il marzo 2019, B.B.del medesimo reato
commesso ai danni della sola D.D. nel corso dello stesso arco temporale e sia
quest’ultimo che C.C., madre delle bambine, per il reato di cui all’art. 609-quinquies
cod. pen. aver compiuto in presenza di costoro atti sessuali al fine di farvele assistere
ed infine la C.C. per il reato di cui all’art. 609-bis cod. pen. per non aver impedito le
violenze sessuali che il padre convivente commetteva sulle proprie figlie.
2. Avverso il suddetto provvedimento tutti gli imputati hanno proposto, per il tramite
del proprio difensore, ricorso per cassazione, il cui contenuto viene di seguito
riprodotto nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
B.B. ha articolato cinque motivi
2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito agli
artt. 546 , secondo comma e 548 primo comma cod. proc. pen. la nullità sentenza di
primo grado in quanto priva della sottoscrizione del presidente del Collegio, rilevando
che quella recante la firma mancante, successivamente acquisita al di fuori del
contraddittorio in sostituzione di quella originariamente depositata, non potesse valere
a sanare il vizio non essendo consentito dall’ordinamento l’acquisizione di copie
sostitutive. Osserva che solo la sentenza depositata in cancelleria a conclusione della
fase decisionale valga come documento effettivo, che non ammette equipollenti.
2.2. Con il secondo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito
all’art. 393 cod. proc. pen. l’inammissibilità dell’incidente probatorio con cui erano
state assunte le dichiarazioni della minore D.D. non essendo stati indicati i fatti su cui
la teste era chiamata a rispondere che, al pari di ogni altra testimonianza, devono
essere compiutamente esposti così da garantire alla controparte il diritto ad escutere
altri testimoni in prova contraria.
2.3. Con il terzo motivo censura l’affermazione di responsabilità cui la Corte di appello
era approdata in assenza di valutazione delle prove decisive a discarico evidenziate
dalla difesa, quali: a) le prime rivelazioni spontanee rese dalla minore all’assistente
sociale dott. ssa F.F. cui aveva menzionato tra gli autori delle condotte abusanti “pure
G.G., ma non il fidanzato di zia H.H., ma un altro fidanzato di zia H.H., quello con i
capelli, non quello con il melone” che nella deposizione dibattimentale dell’assistente
sociale era ingiustificatamente diventato “G.G., il fidanzato di zia H.H., quello con i
capelli”, laddove la bambina aveva precisato trattarsi di “un altro fidanzato di zia
H.H.”; b) le dichiarazioni rese dalla minore al dott. I.I. incaricato della consulenza
ginecologica cui aveva, in risposta alla domanda se fosse a conoscenza del motivo per
cui era sottoposta alla visita medica, che si trovava lì per gli abusi subiti dal nonno,
senza fare alcun riferimento all’imputato; c) la suggestione subita dalla minore al
momento di procedere al riconoscimento fotografico dell’imputato cui questi viene già
presentato dagli inquirenti, secondo quanto dalla videoregistrazione, come “colui che
avrebbe meritato tante sculacciate”, senza che fosse stato in precedenza chiaramente
indicato dalla minore quale autore delle violenze patite; d) la mancata verifica al fine
di chiarire chi fosse “il fidanzato di zia H.H.” indicato dalla p.o., dell’inizio delle
violenze sessuali tenuto conto che tra il 2017 e il 2018 l’imputato aveva cessato la sua
relazione sentimentale con la zia della bambina, secondo quanto univocamente riferito
dalla teste J.J. e dichiarato dagli altri due coimputati; e) i disegni spontaneamente
fatti dalla minore durante le indagini in cui veniva riprodotto solo il nonno; f) le iniziali
dichiarazioni rese dalla minore nell’incidente probatorio in cui solo il nonno viene
indicato come colui con il quale era stata incitata dalla madre a fare sesso,
affermazione più volte ripetuta, cui solo alla fine si aggiunge, dopo la domanda
reiterata ed inducente dell’esaminatore, la risposta che anche con costui faceva
“sesso”, e che si fosse trattato di una suggestione era emerso con chiarezza poco
dopo al momento del riconoscimento fotografico dove alla domanda ” che faceva
questo zio B.B.?” la risposta era stata “sesso” e alla successiva domanda “sesso con
chi?” la risposta immediata e spontanea era stata “con zia H.H.”; g) la descrizione
dettagliata ed accompagnata da descrizioni concrete degli abusi subiti per mano del
nonno in contrapposizione al carattere stereotipato delle condotte attribuite dalla
minore al ricorrente; h) la mancanza di un metodo di ascolto conforme ai protocolli
vigenti, con particolare riferimento alla “Step-Wise Interview”, nell’ascolto della
minore dove era stata quest’ultima a condurre l’interrogatorio e non già l’esaminatore
che non aveva seguito le fasi graduali previste nell’approccio con la bambina che
prevedono in sequenza la creazione del rapporto, il racconto di due eventi
autobiografici, la verifica della conoscenza, l’introduzione dell’argomento
dell’intervista, la narrazione libera, la fase delle domande generali, la fase delle
domande specifiche, gli aiuti ove necessari per il colloquio e il commiato; i) la costante
presenza della dott.ssa F.F. alle audizioni della minore che conseguentemente era
spinta a ripetere quanto aveva già raccontato a costei anche per compiacerla.
2.4. Con il quarto motivo lamenta l’insussistenza del dolo nel reato di corruzione di
minorenni alla luce di quanto dichiarato dalla stessa minore secondo la quale erano
state solo la zia e la mamma coloro che la volevano far assistere per mostrarle come
si faceva e non già il ricorrente, oltre all’evidente contraddizione che stando la
bambina nella camera dei nonni non era dato comprendere come potesse assistere ai
rapporti sessuali tra i due fidanzati.
2.5. Con il quinto motivo censura il trattamento sanzionatorio rilevando come
l’applicazione del massimo della pena, essendo i giudici di merito partiti da una pena
base di 13 anni non fosse giustificata dalla gravità dei fatti, dalla tenera età delle
vittime, dall’allarme sociale provocato dalle condotte e dal grave pregiudizio arrecato
alle minori trattandosi di elementi già contenuti nella aggravante dell’infradecennalità
delle p.o. e che perciò avrebbe richiesto un quid pluris rispetto alle conseguenze
previste dal legislatore. Censura, inoltre, l’equiparazione della pena base applicata al
coimputato C.C. e al ricorrente quando solo il primo rispondeva di violenze sessuali ai
danni di due minori e al quale soltanto erano state attribuite da D.D. le condotte più
cruente.
3. A.A. ha affidato le proprie doglianze a tre motivi.
3.1. Con il primo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito
all’art. 603 cod. pen. e al vizio motivazionale, il diniego della rinnovazione istruttoria
concernente sia l’escussione dei testi K.K. e L.L. sia l’espletamento di una perizia volta
ad accertare se i problemi all’apparato genitale ed urinario da cui era affetto
l’imputato gli consentissero di porre in essere le condotte contestategli, entrambe
decisive ai fini della verifica della responsabilità di costui, senza che alcuna
motivazione fosse stata resa al fine di escludere la decisività. Rileva che l’unico
argomento speso ai fini del diniego di escussione del K.K. sia la mancata indicazione
delle sue generalità complete, senza che si fosse tenuto conto che costui fosse stato
indicato come il fidanzato della L.L., il che invece consentiva agevolmente all’ufficio di
rintracciarlo anche soltanto con l’escussione della fidanzata che lavorava come
psicologa presso la medesima comunità che ospitava la minore, sulla cui audizione la
Corte di appello non si era nemmeno espressa.
3.2. Con il secondo motivo contesta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito
agli artt. 196 e 393 cod. proc. pen. e al vizio motivazionale, la valutazione di
attendibilità della vittima per essersi la Corte di appello limitata a riproporre
acriticamente le stesse argomentazioni spese dal Tribunale tralasciando le specifiche
censure articolate dalla difesa, quali: a) la verifica, anche attraverso un’indagine
peritale, della capacità a deporre della minore al fine di appurare la presenza o meno
di interferenze esterne idonee ad incidere sulla genuinità del racconto; b) la possibile
riconducibilità delle problematiche affettivo relazionali della minore ad eventi
traumatici vissuti quali la morte del padre e l’allontanamento dalla famiglia di origine e
come tali non giustificabili dagli abusi riferiti; c) la presenza nel racconto della minore
di elementi fantastici o comunque di soggetti che non era stato possibile identificare,
quali un tale M.M. non riconducibile ad alcun componente della famiglia o conoscente
frequentante la casa, ovvero un bambino, non meglio identificato di nome N.N. che
l’avrebbe anche lui spinta ad avere rapporti con il nonno, tutti soggetti che non
possono che essere il parto della fantasia della minore e che lasciano fortemente
dubitare della veridicità della restante parte del racconto; d) la discrasia tra la
descrizione dell’abitazione della vittima da parte dell’assistente sociale secondo cui si
trattava di un’abitazione di poche stanze in cui convivevano ben nove persone e la
“casa grande” emersa dal racconto reso dalla bambina allorquando già da tempo era
stata collocata nella comunità essendosi perciò abituata agli ampi spazi della struttura
di accoglienza con un possibile contagio dichiarativo dovuto all’interazione con gli altri
ospiti; e) l’utilizzo di espressioni poco consone al linguaggio di una bambina di 5 anni
come l’espressione “fare sesso” in stridente contrasto con il restante vocabolario tipico
invece della età infantile, come il termine “nocchettina”, segno inequivoco del
condizionamento esercitato sulla minore da terzi; f) la mancanza di approfondimenti
sulla genesi della rivelazione, quantunque a tale fase la Carta di Noto attribuisca la
massima importanza. Censura, inoltre, la metodologia seguita nello svolgimento
dell’incidente probatorio stante i plurimi condizionamenti cui era stata esposta la
minore che non solo era stata accompagnata all’audizione dalla F.F. preavvertendola
delle cose brutte che avrebbe dovuto raccontare, annuncio ben diverso dall’informare
il teste dell’oggetto del colloquio, che aveva consentito alla bambina di dirigere lei
stessa l’interrogatorio scegliendo cosa e quando dire quanto ci si aspettava da lei, ma
che era ben consapevole della presenza della F.F. che la aveva avvertita, approfittando
del momentaneo allontanamento dell’esaminatrice, di essere al di là del vetro oscurato
della stanza di ascolto dal quale poteva sentirla e vederla. Condotte queste che
avevano a detta della difesa pesantemente influenzato la spontaneità del racconto,
avendo attivato nella dichiarante un meccanismo riflesso volto ad assecondare e a
compiacere l’adulto di riferimento.
3.3. Con il terzo motivo si duole dell’eccessiva gravosità del trattamento sanzionatorio
determinato senza aver tenuto conto degli elementi addotti dalla difesa con
conseguente malgoverno della discrezionalità anche in relazione al giudizio di
equivalenza tra le opposte circostanze. Lamenta in ogni caso il diniego delle attenuanti
generiche avuto riguardo alla sproporzione tra la pena e i fatti.
4. Il ricorso di C.C. si compone anch’esso di tre motivi, il cui contenuto è del tutto
sovrapponibile a quello interposto dal padre.
5. Con memoria in replica alla requisitoria del Procuratore Generale, che ha concluso
per l’inammissibilità di tutti i ricorsi, le difese hanno ulteriormente sviluppato i
rispettivi motivi di doglianza insistendo per il loro accoglimento
Motivi della decisione
1. Il ricorso di A.A. da valutarsi unitamente a quello della figlia C.C., dal contenuto del
tutto analogo anche con riferimento a censure riguardanti esclusivamente il
coimputato, non può ritenersi meritevole di accoglimento.
Il primo motivo concernente il diniego di rinnovazione dibattimentale non supera
neppure il vaglio di ammissibilità.
Va infatti rilevato con riferimento all’escussione dei testi K.K. e L.L. che le deposizioni
suddette non rivestono affatto il carattere di decisività che la difesa apoditticamente
afferma, essendo il ruolo di pretesa “fonte inquinante” rivestito dall’assistente sociale
F.F. rispetto alle dichiarazioni della vittima, sotteso alla richiesta ex art. 603 cod. proc.
pen. ampiamente scandagliato ed incontrovertibilmente escluso dalla Corte di merito
sulla base delle risultanze istruttorie già acquisite senza che sulla base dell’ampia
motivazione fornita il supporto giustificativo possa ritenersi carente. Deve al riguardo
richiamarsi il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui in tanto il giudice
di appello può esercitare il potere di acquisire nuove prove o rinnovare quelle già
acquisite in quanto la presunzione di completezza dell’indagine probatoria
dibattimentale ceda alla constatazione dell’impossibilità di una decisione allo stato
degli atti, situazione che in tanto può profilarsi in quanto i dati già acquisiti si
presentino incerti, nella quale soltanto si esaurisce il vaglio rimesso al giudice del
gravame ai sensi dell’art. 603 primo comma cod. proc. pen. (Sez. 3, Sentenza n. 230
del 09/11/2006, Casale, Rv. 235809), a differenza di quanto previsto dal secondo
comma della stessa norma per le prove sopravvenute o scoperte successivamente alla
pronuncia della sentenza di primo grado.
Deve, del resto escludersi che nel caso in esame le deposizioni sollecitate alla Corte
territoriale rivestissero alcun carattere di novità. Ed invero il contenuto della
testimonianza del teste K.K. era ben noto alle difese, trattandosi del soggetto cui
aveva fatto riferimento la C.C., riferendo di essere stata contattata da costui che la
aveva messa a parte degli interessi perseguiti dalla F.F. e della conseguente
costruzione di un castello di false accuse nei confronti dei familiari delle bambine per
trattenerle nella comunità da lei gestita. Se è singolare che il teste suddetto non sia
mai stato citato in primo grado né ne siano state fornite le generalità, quantunque
ripetutamente richieste dal Tribunale, così da consentirne l’eventuale audizione ex
officio, generalità che, come argutamente sottolineato dalla sentenza di prime cure,
dovevano essere note alla difesa tenuto conto che le stesse dichiarazioni rese
all’imputata erano state ripetute anche al suo difensore che avrebbe potuto
verbalizzarle e produrle già nelle forme di cui agli artt. 391 bis ss. cod. proc. pen.,
non possono ora farsi ricadere le conseguenze della scelta difensiva sui giudici del
gravame onerandoli di un incombente a carico degli imputati, peraltro continuando a
non fornire i dati necessari per la identificazione del testimone, senza che comunque
venga evidenziata un’incertezza dei dati probatori sui quali è stata fondata la
decisione. Lo stesso vale anche per la teste L.L. in relazione alla quale neppure sono
state individuate le circostanze sulle quali avrebbe dovuto deporre.
Quanto alla richiesta ex art.603 cod. proc. pen. di una perizia volta ad accertare la
compatibilità delle problematiche dell’apparato genitale ed urinario di A.A. con le
condotte criminose ascrittegli, non risulta dal riepilogo dei motivi di gravame
contenuto nella parte iniziale della sentenza impugnata né dall’atto di appello essere
stata svolta alcuna doglianza in tal senso, né figurando essere mai stato introdotto nel
processo il tema delle condizioni fisiche dell’imputato, in relazione alle quali, peraltro,
la C.C. non vanta alcun interesse.
Conseguentemente di nessuna censura è passibile il silenzio tenuto dalla Corte
partenopea sul punto, così come il diniego espresso in relazione al diniego della prova
dichiarativa, scevro da lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del
provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state
presumibilmente evitate con l’assunzione delle testimonianze richieste.
2. Le contestazioni che i ricorrenti rivolgono con il secondo motivo dei rispettivi atti
alla pronuncia impugnata in relazione alla valutazione di attendibilità della minore non
possono ritenersi meritevoli di accoglimento.
Se le doglianze afferenti alla capacità a deporre della vittima si sviluppano nell’orbita
della mera congetturalità, venendo evidenziate possibili cause della sindrome post
traumatica riconducibili al pregresso vissuto familiare della bambina ovvero pretese
sovrapposizioni fantastiche di differenti esperienze che si infrangono al cospetto di una
puntuale indagine peritale sulla sua capacità a deporre compiuta tanto in sede di s.i.t.
che di incidente probatorio dalle due consulenti incaricate anche di condurre
l’audizione che ne evidenzia gli schemi logici, la naturalezza delle espressioni utilizzate
proprie di una condizione ancora infantile e soprattutto la struttura del racconto volta
ad evidenziare immediatamente gli aspetti più rimarchevoli delle vicende subite per
poi soffermarsi su episodi risalenti secondo l’ordine marcatamente cronologico, tipica
di una narrazione genuina, le censure in ordine al condizionamento asseritamente
subito dalla dichiarante per la presenza della dott.ssa F.F. non possono comunque
ritenersi meritevoli di accoglimento.
Va in primo luogo rilevato, quanto al vizio di violazione di legge devoluto, che gli
eventuali vizi in procedendo concernenti le modalità dell’esame della minore non
possono essere eccepiti dall’imputato, trattandosi di norme dettate ad esclusiva tutela
del soggetto debole sottoposto all’audizione, sia che si tratti di un minore, sia di un
maggiorenne che versi in condizioni di particolare vulnerabilità nell’ottica della corretta
assunzione delle sue dichiarazioni così da salvaguardarne l’integrità fisica e psicologica
ed evitare al contempo l’insorgenza di fenomeni riconducibili alla ed. vittimizzazione
secondaria (Sez. 5, Sentenza n. 32374 del 08/06/2017, Rv. 270601; Sez. 3, Sentenza
n. 8648 del 11/01/2024, Rv. 285969). E ciò a fortiori nel caso di minori per quanto
concerne la presenza dei genitori o di altri soggetti indicati dallo stesso dichiarante,
soccorrendo al riguardo la specifica previsione dell’art. 609 decies terzo comma cod.
pen., che assicura in ogni stato e grado del procedimento l’assistenza affettiva e
psicologica della persona offesa minorenne attraverso la presenza dei genitori o di
persone idonee da quest’ultima indicate.
Quanto invece al preteso vizio motivazionale in punto di attendibilità della vittima
conseguente alle modalità della sua audizione, si osserva quanto segue.
Emerge effettivamente dalla sentenza di primo grado che tanto in sede di sommarie
informazioni rese dalla minore alla PG, quanto in sede di incidente probatorio
all’audizione sia stata presente sia pure parzialmente la dott.ssa F.F., ovverosia
l’assistente sociale che aveva raccolto le prime rivelazioni della bambina ospite presso
la struttura comunitaria ove era stata collocata insieme alla sorellina minore ben
prima dell’avvio delle indagini del presente processo stante il procedimento di
decadenza dalla responsabilità genitoriale avviato nei confronti dei di lei genitori dal
Tribunale per i Minorenni di Napoli. Risulta infatti che nel corso della prima audizione
condotta dalla dott.ssa Raffaella Perrella, esperta di psicologia infantile nominata dal
PM, sia stata fatta entrare l’assistente sociale allorquando la minore, che dapprima
aveva spontaneamente risposto alle domande postele si è, al momento in cui l’esame
si è spostato sulla sua famiglia di origine, bloccata chiudendosi nel silenzio, per poi
riprendere con la presenza della F.F., che la stessa bambina aveva chiesto, il colloquio
in condizioni di serenità. Del pari, nel corso dell’incidente probatorio, svoltosi in una
stanza apposita munita di vetro a specchio ed impianto citofonico alla sola presenza
della dott.ssa O.O., ovverosia la psichiatra consulente del Gip conducente
l’interrogatorio, e la minore, quest’ultima ha acquisito consapevolezza della presenza
al di là del vetro della F.F. essendosi la stessa palesata con la voce cosi da rassicurala
quando, uscita momentaneamente dalla stanza l’esaminatrice, la bambina si è
spaventata essendo rimasta sola senza comprenderne le ragioni.
Orbene, non può ritenersi che tale presenza abbia inficiato la ritualità della prova, non
essendo ravvisabili le criticità dedotte nel ricorso nella assunzione delle dichiarazioni
della minore, né, a valle, nella sua valutazione.
Occorre al riguardo muovere da due fondamentali premesse. La prima in punto di
fatto è data dalla relazione instauratasi tra la bambina, priva di alcun contatto con le
figure familiari a seguito dalla sua collocazione nella comunità, e l’assistente sociale
che era diventata la sua unica referente affettiva e al contempo la sua guida tanto da
averle consegnato, nella successiva rielaborazione delle esperienze vissute in un
contesto finalmente neutro, le sue rivelazioni in merito alle penose vicende subite
nella sua famiglia di origine, così da sostituirsi alla stessa figura materna sul piano
fiduciario, spirituale ed emotivo. La seconda in punto di diritto, ma alla prima
strettamente connessa, risiede nella previsione in primis del sopra richiamato art.
609-decies terzo comma cod. pen. e, a seguire, dell’art. 498 quarto comma cod.
proc. pen. che consente espressamente la partecipazione all’esame dibattimentale del
minore di un familiare, così come di un esperto in psicologia infantile allorquando il
giudice nell’esercizio della sua discrezionalità ritenga di assicurare la teste la
necessaria assistenza affettiva e psicologica così da facilitarne l’audizione nelle
condizioni di maggiori serenità possibili, adeguando le condizioni di ascolto alla stessa
condizione anagrafica ed emotiva del dichiarante. Se quindi la ratio sottesa a tale
previsione nell’esclusiva tutela del soggetto debole sottoposto all’audizione, non può
ritenersi nel silenzio tenuto riguardo alla presenza di un familiare dagli artt. 392 ss
cod. proc. pen. che tale partecipazione incorra in alcun divieto, ove si consideri che
l’incidente probatorio altro non è che un’assunzione anticipata della prova rispetto al
dibattimento in presenza della particolare vulnerabilità del teste così come previsto
dall’art. 392 comma 1-bis cod. proc. pen. Del resto, a conferma di tale conclusione,
soccorre il comma 5-bis dell’art. 398 cod. proc. pen. che rimette al giudice in
presenza, fra i soggetti interessati alla prova, di minorenni la discrezionalità dì stabilire
“il luogo, il tempo, e le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente
probatorio quando le esigenze di tutela delle persone lo rendano necessario ed
opportuno”.
Sgombrato il campo dalla nullità assunta dalla difesa, si tratta di valutare se la
partecipazione dell’assistente sociale, da considerarsi nel caso di specie del tutto
assimilabile a quella di un genitore, alle audizioni possa aver inciso sulla valutazione di
attendibilità della minore.
Ma della problematica risultano essersi fatti ampiamente carico tanto i giudici di primo
grado quanto quelli del gravame, escludendo con valutazione conforme la suddetta
evenienza con argomentazioni non solo intrinsecamente logiche, ma altresì
particolarmente approfondite all’interno di una disamina ad ampio spettro delle
peculiarità del caso di specie che la difesa non supera, assestandosi le devolute
doglianze sul piano del dissenso valutativo che, com’è noto, non può trovare ingresso
nel vizio motivazionale deducibile in sede di legittimità.
Le valutazioni compiute in ordine alla mancanza di un interesse sottostante
dell’assistente sociale a deviare il contenuto delle dichiarazioni della p.o. in termini
accusatori nei confronti degli imputati risultano invero fondate sulla constatazione che
tanto la vittima quanto la sorella più piccola erano state già da tempo, rispetto al
momento della rivelazione delle condotte criminose, collocate presso la struttura, dove
all’epoca la F.F. non rivestiva alcun ruolo, escludendo così alla radice la finalità
economica ventilata dalla difesa, derivante dai guadagni legati in forma di contributi
alla presenza delle minori all’interno della comunità ospitante, essendo stato peraltro
già in corso il procedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale nei confronti
della C.C.. D’altra parte il desiderio da parte della minore di compiacere la dott.ssa F.F.
su cui la difesa muta il tiro per sostenere la suggestione subita dalla piccola non solo
viene costruita in termini di mera congettura, restando tutto da dimostrare che la
volontà della minore fosse quella di ripetere le dichiarazioni già rese per non tradire le
aspettative della sua confidente di elezione, ma in ogni caso si scontra con il dato, del
tutto ignorato nel ricorso, che nel corso dell’incidente probatorio la minore avesse già
reso dichiarazioni in merito agli abusi subiti e comunque alle peculiari dinamiche
sessuali all’interno delle mura domestiche prima di rendersi conto della presenza
dell’assistente sociale al di là del vetro oscurante. È proprio la difesa, infatti ad
evidenziare, come sia stata la minore, non appena lasciata sola con la dott.ssa O.O.,
ad assumere la guida dell’audizione decidendo lei stessa cosa dire ed ignorando le
diverse sollecitazioni della psichiatra che avrebbe voluto inquadrare la vicenda
delittuosa partendo più da lontano ovverosia ottenendo prima delucidazioni sul
contesto familiare. Proprio l’ostinazione con cui la dichiarante ha voluto riferire prima
di tutto le “quattro cose brutte” che le erano accadute è stata valorizzata dalla
sentenza di primo grado, che si fonde con quella impugnata in un unico corpo
argomentativo, attese le convergenti conclusioni in punto di ricostruzione degli
accadimenti e della affermazione di responsabilità, per escludere la suggestione subita
dalla bambina, che aveva già riferito all’esaminatrice, prima di realizzare la presenza,
sia pur non de visu, della F.F., le vicende criminose di cui era stata vittima, senza che
risulti che dopo tale momento abbia in alcun modo mutato la sua versione. Che poi
tali dichiarazioni fossero il frutto di un indottrinamento da parte di costei è circostanza
che non solo stride con il contenuto delle rivelazioni raccolte a seguito dello spontaneo
racconto della bambina riferito dall’assistente sociale nella deposizione resa in
giudizio, ma che neppure ha un collegamento diretto con le “brutte cose” successe,
termine con il quale si è espressa l’assistente sociale per informare, incombente
questo rientrante nei suoi compiti, la minore, mentre l’accompagnava all’audizione,
dell’oggetto del colloquio con quella che ha presentato come una sua “amica”, così da
farle capire che avrebbe potuto stare a suo agio, prevenendo gli eventuali timori che
un’audizione formale avrebbe potuto suscitare nella bambina.
Va peraltro aggiunto che, a completamento del quadro probatorio emerso dalle
dichiarazioni accusatorie rese dalla p.o. nei confronti dell’imputato, soccorrono una
pluralità di riscontri sia diretti che indiretti puntualmente messi in luce dalle due
sentenze di merito, avuto riguardo agli esiti della perizia ginecologica rivelatrice di un
nodulo della membrana imenale della minore, del tutto compatibile con una
precedente lacerazione, nonché alla presenza di ben tre indicatori specifici, quali
l’enuresi, l’encopresi e l’erotizzazione precoce, elementi dei quali viene fornita
compiuta descrizione dal Tribunale avellinese.
Se quindi, da un canto, la presenza della assistente sociale durante le s.i.t. così come,
quanto meno in termini di consapevolezza della dichiarante, durante la seconda parte
dell’incidente probatorio non è elemento che consenta di desumere il condizionamento
subito, rispondendo per contro alla finalità di rassicurarla nell’esposizione delle
dolorose e al contempo scabrose vicende che la avevano vista protagonista all’interno
del nucleo familiare, dall’altro le argomentazioni difensive sulla suggestione cui
sarebbe stata in concreto assoggettata non trovano alcun riscontro nella sequenza
delle varie audizioni succedutesi, risultando al contrario esclusa dalla lineare e
convincente motivazione resa dai giudici di merito, argomentazioni che si tramutano
perciò in null’altro che in mere illazioni.
Il motivo in esame deve essere conseguentemente rigettato.
3. Inammissibili devono ritenersi invece le doglianze articolate dai due ricorrenti con il
terzo motivo in punto di trattamento sanzionatorio, non solo perché afferenti ad un
profilo della rejudicanda che, in quanto riservato all’apprezzamento discrezionale del
giudice di merito, non può essere oggetto di sindacato in sede di legittimità all’infuori
delle ipotesi in cui la determinazione della pena sia frutto di mero arbitrio o di
ragionamento manifestamente illogico (Cass. sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 , dep.
2014, Rv. 259142), ma ancor prima in ragione della loro aspecificità.
Quanto al diniego delle attenuanti generiche, le difese non confutano gli elementi
negativi e come tali ritenuti preponderanti dalla Corte di appello posti a fondamento
del diniego, limitandosi a censurare la sproporzione della pena rispetto alle concrete
modalità dei fatti. Va tuttavia ribadito che, non essendo il beneficio di cui all’art. 62-
bis cod. pen. un diritto automatico dell’imputato, il suo riconoscimento presuppone la
esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di favorevole apprezzamento,
nonché tali da prevalere sugli eventuali elementi di segno opposto, nell’ottica di una
valutazione complessiva rimessa alla discrezionalità del giudicante. Ciò premesso,
risponde al consolidato orientamento di questa Corte il principio, correttamente
declinato dai giudici partenopei che hanno evidenziato la peculiare gravità dei fatti alla
luce della tenera età delle vittime e del contesto familiare degli accadimenti tale da
aver generato un particolare allarme sociale, secondo il quale, nel motivare il diniego
della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario prendere in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti (di cui il
presente ricorso non contiene alcuna menzione) o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente
che venga fatto riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo
tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (cfr. ex multis Sez. 3, n. 28535 del
19/03/2014, Lule, Rv. 259899).
Ancor più generiche risultano le censure articolate in punto di dosimetria della pena.
Avendo la sentenza in esame incentrato sugli stessi elementi valorizzati ai fini del
diniego delle attenuanti ex art. 62-bis cod. pen., nonché sul grave pregiudizio causato
alle minori con riferimento al corretto sviluppo della loro personalità sul piano
psicofisico, che di per sé costituisce la compiuta rappresentazione di un corretto uso
del potere discrezionale, incombeva sulla difesa l’onere di evidenziare l’illogicità o
comunque la contraddittorietà delle argomentazioni spese al riguardo dalla Corte
distrettuale. Per contro, i ricorrenti non hanno indicato alcun parametro che il Giudice
del merito avrebbe dovuto valutare e che invece non ha esaminato per un maggiore
contenimento della misura sanzionatoria inflitta, non valendo a tal fine il vago
riferimento al ricorso di appello di cui neppure è riassuntivamente indicato il
contenuto: in definitiva il motivo in disamina si risolve in un’astratta doglianza sul
corretto esercizio del potere discrezionale sia in ordine alla determinazione della pena
base che della quantificazione degli aumenti ex art. 81 cod. pen. che in difetto del
requisito della specificità richiesta dall’art. 581 lett. d) cod. proc. pen. incorre tout
court nella statuizione di inammissibilità.
4. Passando alla disamina del ricorso del B.B., il primo motivo, concernente la nullità
della sentenza contenente la sottoscrizione del Presidente del Collegio acquisita
successivamente a quella formalmente depositata in assenza della suddetta
sottoscrizione, deve ritenersi manifestamente infondato.
Come questa Corte ha avuto modo di chiarire, la mancata sottoscrizione della
sentenza d’appello da parte del presidente del collegio (non giustificata espressamente
da un suo impedimento legittimo) e sottoscritta dal solo estensore, configura una
nullità relativa che non incide né sul giudizio, né sulla decisione consacrata nel
dispositivo, e che, ove dedotta dalla parte nel ricorso per cassazione, comporta
l’annullamento della sentenza-documento e la restituzione degli atti al giudice di
appello, nella fase successiva alla deliberazione, affinché si provveda ad una nuova
redazione della sentenza-documento che, sottoscritta dal presidente e dall’estensore,
deve essere nuovamente depositata (Sez. U, n. 14978 del 20/12/2012, Destro, Rv.
254671; Sez. 3, Sentenza n. 13942 del 03/03/2022, Omodei, Rv. 283130; Sez. 6, n.
46348 del 05/11/2015, Verteramo, Rv. 266308), risiedendo la ratio della nullità in
parola nell’esigenza di assicurare che la motivazione corrisponda ai singoli passaggi
logici e procedimentali della deliberazione collegiale.
Ciò detto, nel caso di specie alla sanatoria del vizio iniziale della “sentenza
documento” ha provveduto autonomamente il Presidente che, una volta resosi conto
della mancanza della sua sottoscrizione, ha provveduto ad apporla, rendendo ultronee
le doglianze difensive volte ad evidenziare un vizio che al momento dell’impugnazione
della pronuncia in esame non era più tale.
5. Neppure il secondo motivo, relativo all’eccepita inutilizzabilità dell’incidente
probatorio in mancanza di indicazione ad opera del PM dei fatti su cui avrebbe dovuto
vertere l’audizione della p.o., può ritenersi fondato.
Va al riguardo in primo luogo rilevato che in tema di assunzione ed utilizzazione delle
prove, non dà luogo alla sanzione prevista dall’art. 191 cod. proc. pen., la mancata
osservanza, delle regole fissate dal codice di rito, poiché non si tratta di prove assunte
in violazione di divieti posti dalla legge, bensì di prove eventualmente assunte con
modalità diverse da quelle prescritte.
Mentre, infatti, la sanzione in esame è riferita alla sola inutilizzabilità patologica,
ricorrente in presenza di prove illegittimamente acquisite, ovverosia a quegli atti la cui
assunzione sia avvenuta in modo contrastante con i principi fondamentali
dell’ordinamento o tale da pregiudicare in modo grave ed insuperabile il diritto di
difesa dell’imputato e dunque violando una specifica norma processuale che disponga
il divieto, diverso è il caso dell’inutilizzabilità fisiologica, ricorrente allorquando si verta
nell’ambito di prove la cui assunzione è prevista ma si siano svolte senza l’osservanza
delle modalità fissate ex lege.
Come chiarito da questa Corte nel suo supremo consesso, se l’inosservanza delle
formalità prescritte dalla legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel
processo non è, di per sè, sufficiente a determinarne l’inutilizzabilità ai sensi del primo
comma dell’art. 191 cod. proc. pen., neppure è invocabile la categoria della nullità
che, pur operando nel campo della patologia della prova, presuppone l’inosservanza di
formalità espressamente previste per la sua assunzione, ove la loro mancanza non sia
a tale titolo espressamente sanzionata dalla legge (Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996,
Sala, Rv. 204644).
Ciò detto, nel caso di specie, anche non voler ritenere sufficiente l’indicazione del capo
di imputazione a cristallizzare la prova da assumere in giudizio, pur essendo evidente
che proprio sui fatti ivi riportati non avrebbe potuto che vertere l’audizione della
minore, non soccorre in ogni caso neppure la categoria della nullità in difetto di
qualunque norma che la preveda, non potendosi inquadrare la violazione lamentata in
alcuna tra le previsioni di cui all’art. 178 cod. proc. pen., con la conseguenza che
l’incidente probatorio in contestazione deve ritenersi valido, quand’anche irregolare, e
perciò legittimamente valutato ai fini del decidere.
6. Ad analogo esito deve pervenirsi anche per il terzo motivo.
Rinviandosi a quanto già stigmatizzato in relazione al secondo motivo dei ricorsi degli
A.A. e C.C. in punto di modalità dell’audizione della minore e del vaglio condotto dai
giudici di merito sulla sua credibilità oggettiva e soggettiva, va nello specifico rilevato
che la valutazione di attendibilità della p.o. non presenta le carenze lamentate dalla
difesa neppure avuto riguardo al raffronto tra le dichiarazioni accusatorie rese nei
confronti dei due imputati in ordine agli abusi sessuali subiti. Quand’anche quelle
rivolte al nonno possano ritenersi maggiormente circostanziate, essendo stati descritti
una serie di particolari del tutto collimanti con il dato esperienziale, ovverosia il dolore
provato nell’atto della penetrazione, di cui la bambina riporta le grida che non aveva
potuto trattenere, la mimica della masturbazione nel mentre strusciava l’organo
genitale sul suo viso, la eiaculazione dell’uomo coerentemente definita rispetto al suo
bagaglio di limitate conoscenze come “una pipì bianca” che le andava a finire sul viso,
cui faceva seguito la pronta reazione di andarsi a lavare, gli analoghi gesti compiuti
nei confronti della sorellina cui lei stessa provvedeva immediatamente a sciacquare il
viso, univoche e insuscettibili di diversa interpretazione sono state tuttavia ritenute
anche quelle indirizzate al “fidanzato della zia H.H.”. Ferme sono state le dichiarazioni
della bambina poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità del ricorrente
che, così come sottolineato dalla Corte partenopea, non solo lo ha riconosciuto in tutte
le audizioni tra le fotografie sottopostole, ma ha chiaramente puntualizzato che anche
lui, come il nonno, le “faceva male alla nocchettina con il pisellino” richiamando con
termini facenti parte del suo lessico infantile gli atti penetrativi subiti che, anche
quanto al loro numero, si erano svolti “tante volte” come accaduto con lo A.A..
Al cospetto di una compiuta ricostruzione della vicenda e della sua valutazione ad
opera della Corte di appello in termini peraltro conformi a quanto già ritenuto dal
giudice di primo grado, le censure difensive risultano in realtà dirette ad ottenere la
rivalutazione di elementi già presi adeguatamente in considerazione dai giudici del
gravame, riducendosi ad una mera contestazione delle risultanze emerse dalla
motivazione, senza la prospettazione di elementi puntuali, precisi e di immediata
valenza esplicativa tali da dimostrare un’effettiva carenza o una manifesta illogicità
motivazionale su punti decisivi dell’impugnativa (Sez. 5, Sentenza n. 34149 del
11/06/2019, Rv. 276566 secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che,
offrendo al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari, solleciti quest’ultimo
ad una rivalutazione o ad una diretta interpretazione degli stessi, anziché al controllo
sulle modalità con le quali tali elementi sono stati raccolti e sulla coerenza logica della
interpretazione che ne è stata fornita).
Ed invero il ricorrente non offre, a fronte di una compiuta ricostruzione della vicenda e
della sua valutazione ad opera della Corte di appello, la necessaria rappresentazione e
dimostrazione di alcuna evidenza, pretermessa ovvero infedelmente riprodotta dal
giudicante, di per sé dotata di univoca ed immediata valenza esplicativa, tale cioè da
disarticolare, a prescindere da ogni soggettiva valutazione, il costrutto argomentativo
della sentenza gravata in ragione dell’intrinseca incompatibilità degli enunciati.
In ogni caso, si è in presenza di una “doppia conforme” statuizione di responsabilità
che circoscrive i poteri di una rinnovata valutazione ad opera di questa Corte nel senso
che, ai limiti conseguenti all’impossibilità nel giudizio di legittimità di procedere ad una
diversa lettura dei dati processuali o di una diversa valutazione delle prove,
trattandosi di un giudizio al quale è estraneo il controllo della motivazione in rapporto
ai dati probatori, si aggiunge l’ulteriore preclusione in ordine al “travisamento della
prova” nel quale si sostanziano gli elementi di prova a discarico asseritamente non
valutati: a prescindere da ogni valutazione sulla loro decisività, il vizio in questione
non può essere in tal caso invocato stante il limite del devolutum conseguente alla
doppia conforme, fuoriuscendosi dall’ipotesi in cui il giudice di secondo grado abbia
fondato il proprio convincimento su dati probatori non esaminati dal primo giudice,
ovvero di travisamento delle risultanze probatorie acquisite in forma di tale
macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini inequivocabili, il riscontro
della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di merito rispetto
al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 2, n. 5336 del
09/01/2018, L. e altro, Rv. 272018). Nulla di tutto ciò viene lamentato nel caso di
specie: il ricorrente, infatti, non si duole del fatto che i giudici del merito abbiano
fondato l’affermazione di responsabilità su una prova inesistente o sul risultato di una
prova oggettivamente diverso da quello effettivo, ma pretende una diversa lettura del
compendio istruttorio in relazione alla valutazione di attendibilità della p.o.,
sollecitando un sindacato precluso a questa Corte. Deve al riguardo essere ribadito
che il vizio di motivazione non può essere utilizzato per spingere l’indagine di
legittimità oltre il testo del provvedimento impugnato, nemmeno quando ciò sa
strumentale ad una diversa ricomposizione del quadro probatorio che, secondo gli
auspici del ricorrente, miri ad una decisione diversa da quella impugnata, essendo di
tutta evidenza che le doglianze in esame, lungi dal far emergere una contraddittorietà
processuale, si risolvono piuttosto nella implicita richiesta di una rivalutazione
complessiva delle prove che si traduce ineludibilmente in un nuovo giudizio di merito.
7. Il quarto motivo è inammissibile.
Le censure, in parte generiche in parte squisitamente fattuali, sollevate dalla difesa
sull’elemento soggettivo del reato ex art. 609-quinquies cod. pen. non superano il
compimento degli atti sessuali da parte dell’imputato con la propria compagna dinanzi
alla bambina con l’obiettivo di farvela assistere: quand’anche la minore fosse stata
spinta solo dalla mamma e dalla zia, id est la donna con la quale il B.B.si congiungeva,
ad imparare, guardandoli, come si intrattenevano rapporti sessuali, ciò non elimina il
fatto che quest’ultimo fosse pienamente consapevole della presenza della minore nella
stessa stanza in cui avvenivano i rapporti carnali di cui egli era protagonista, laddove
la finalità perseguita, integrante il dolo specifico richiesto ai fini del perfezionamento
della condotta criminosa, è strettamente collegata alla capacità di percezione della
vittima che non risulta in alcun modo contestata (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 15633 del
12/03/2008, Rv. 240035, nonché Sez. 3, Sentenza n. 12537 del 29/01/2015, Rv.
263000 che specifica come la prova della direzione finalistica dell’atto possa essere
desunta anche sulla base di elementi gravi, precisi e concordanti).
8. Alla statuizione di inammissibilità non si sottrae neppure il quinto motivo, che,
afferendo ad un profilo della rejudicanda riservato all’apprezzamento discrezionale del
giudice di merito, qual è il trattamento sanzionatorio, non può essere oggetto di
sindacato in sede di legittimità all’infuori delle ipotesi in cui la determinazione della
pena sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento manifestamente illogico (Cass. sez.
5, n. 5582 del 30/09/2013 , dep. 2014, Rv. 259142). Evenienza questa che non
ricorre nel caso di specie dove le doglianze in ordine alla quantificazione della pena si
incentrano su una pretesa disparità del trattamento riservato all’imputato rispetto alla
posizione asseritamente più grave di A.A., cui è stato ascritto anche il reato di violenza
sessuale anche ai danni della nipotina E.E. (capo b), senza considerare che il
prevenuto è stato dichiarato responsabile anche del reato di cui all’art. 609-quinquies
cod. pen. (capo d). Coerentemente, pertanto, la Corte di appello ha confermato la
pena base fissata dal Tribunale per entrambi gli imputati per il reato più grave,
comune ad ambedue anche in relazione alla quantità degli abusi commessi,
motivatamente discostandosi dal minimo edittale, pena sulla quale ha applicato
l’aumento ai fini della continuazione per lo A.A. con il reato sub b) e per il B.B. con il
reato sub d): e poiché gli aumenti sono stati diversificati dai giudici del gravame in
ragione della differente gravità dei reati a costoro rispettivamente ascritti, riducendo
ad un anno di reclusione quello applicato al ricorrente, la relativa quantificazione non
presta il fianco ad alcuna delle censure articolate nel il motivo in disamina.
9.1 ricorsi devono essere in conclusione rigettati, seguendo a tale esito l’onere delle
spese processuali a norma dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Conclusione
Così deciso in data 3 luglio 2024.
Depositato in Cancelleria il 3 settembre 2024.