Tribunale Bergamo, Sez. I, sentenza 4 gennaio 2023, n. 7 – Pres. De Sapia, Giud. Rel. Marrapodi
TRIBUNALE ORDINARIO DI BERGAMO
PRIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, in composizione collegiale, nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Cesare de Sapia – Presidente
dr.ssa Veronica Marrapodi – Giudice relatore
dr.ssa Paola Gargantini – Giudice onorario
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di primo grado iscritta al numero di ruolo R.G. 211/2019, assunta in decisione
all’udienza del 13/09/2022, promossa con ricorso depositato il 09/01/2019 da:
F.B., nata ad A. (B.) l'(…), rappresentata e difesa dal proc. dom. avv…., giusta procura in atti –
ammessa in via provvisoria al patrocinio a spese dello Stato con delibera del Consiglio dell’Ordine
degli Avvocati di Bergamo n. …/2018, revocato con efficacia dal 25/11/2019;
RICORRENTE
nei confronti di
S.M., nato a O. A. (B.) l'(…), rappresentato e difeso dal proc. dom. avv…., giusta procura in atti;
CONVENUTO
con l’intervento di
PROCURA DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI BERGAMO
OGGETTO: Separazione giudiziale
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza non definitiva n. 1516/2020, resa in data 08/10/2020, pubblicata il 28/10/2020, questo
Tribunale dichiarava la separazione personale dei coniugi ai sensi dell’art. 709 bis c.p.c. e, con
separata ordinanza, rimetteva la causa sul ruolo del Giudice istruttore, previa concessione dei
termini di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c., per l’ulteriore corso del giudizio e la decisione sulle
domande aventi ad oggetto l’addebito, l’assegnazione della casa coniugale, l’assegno di
mantenimento richiesto dalla moglie per sé e per i figli L. e M., all’epoca entrambi maggiorenni non
ancora economicamente autonomi.
La causa veniva istruita mediante l’espletamento di un accertamento a mezzo della polizia tributaria
sui redditi e sul patrimonio di entrambe le parti (v. ordinanza G.I. del 15/07/2021), le cui relazioni
venivano trasmesse dalla Guardia di Finanza, in data 08/10/2021 per quanto concerne la posizione
di B.F. e in data 07/03/2022 per la posizione di M.S..
Rigettata ogni altra istanza istruttoria, all’udienza fissata in modalità “cartolare” per il giorno
13/09/2022 i procuratori delle parti precisavano le conclusioni come sopra riportate e la causa veniva
rimessa in decisione innanzi al Collegio, previa assegnazione dei termini di giorni 30 per il deposito
delle comparse conclusionali e di giorni 20 per il deposito delle memorie di replica ex art. 190 c.p.c.
Così riassunti i fatti di causa, in via preliminare deve osservarsi che il materiale probatorio agli atti
è sufficiente a fondare una motivata decisione su tutte le domande svolte, stante l’inammissibilità
delle istanze istruttorie reiterate dalle parti in sede di precisazione delle conclusioni, per i motivi già
illustrati dal Giudice istruttore. Ogni altra istanza istruttoria non riproposta in sede di precisazione
delle conclusioni va ritenuta implicitamente e definitivamente rinunziata.
Le domande di addebito della separazione reciprocamente avanzate dalle parti vanno rigettate per
i motivi di seguito enunciati.
In punto di diritto, pare utile ricordare che, per costante e uniforme giurisprudenza di merito e di
legittimità, la dichiarazione di addebito della separazione implica l’imputabilità al coniuge di un
comportamento specifico contrario ai doveri matrimoniali, cui sia ricollegabile l’irreversibile crisi
del rapporto di coniugio. Affinché, dunque, possa essere addebitata ad uno, o ad entrambi i coniugi,
la responsabilità del fallimento della convivenza coniugale non basta che questi abbia posto in essere
una violazione grave dei doveri nascenti dal matrimonio, ma occorre che sussista un preciso nesso
di causalità tra il comportamento oggettivamente trasgressivo ed il verificarsi della intollerabilità
della convivenza, sicché in caso di mancato raggiungimento della prova che il comportamento
contrario ai predetti doveri, tenuto da uno dei coniugi o da entrambi, sia stato la causa efficiente del
fallimento della convivenza, legittimamente va pronunciata la separazione senza addebito (cfr. ex
multis, Cass. n. 8873/2012; Cass. n. 14840/2006; da ultimo, Trib. Cuneo, sez. I, 15/07/2021, n. 596).
Quanto all’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale, si ricorda il costante e condiviso principio
di conio giurisprudenziale in base al quale essa rappresenta una violazione particolarmente grave
che, determinando normalmente l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, costituisce, di
regola, circostanza sufficiente a giustificare l’addebito della separazione al coniuge responsabile,
sempreché non si constati, attraverso un accertamento rigoroso ed una valutazione complessiva del
comportamento di entrambi i coniugi, la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale,
tale che ne risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto, in un contesto
caratterizzato da una convivenza meramente formale (cfr. ex multis Cass. n. 977/2017; Cass. n.
16859/2015; Cass. n. 16270/2013).
Ciò premesso in diritto, nel caso di specie va anzitutto osservato che parte ricorrente ha dichiarato
che tra i coniugi già in passato era stato radicato un procedimento di separazione personale avanti
a questo Tribunale (proc. civ. n. 3895/2015 r.g.), successivamente estinto “per intervenuta
riconciliazione delle parti” (v. p. 4 ricorso). Ora, tale circostanza, in quanto non contestata dalla
controparte, deve ritenersi pacifica, con la conseguenza che, ai fini della declaratoria di addebito
della separazione, alcun rilievo può essere attribuito agli avvenimenti che si collocano
temporalmente in periodi della vita matrimoniale antecedenti all’intervenuta riconciliazione e che
ciascun coniuge pone, invece, nella presente causa, a fondamento della domanda di addebito. In
altri termini, ai fini dell’accertamento della ragione, unica ed esclusiva, che avrebbe determinato la
sopravvenuta crisi matrimoniale, nessun nesso causale può essere ravvisato con quegli avvenimenti
che le parti deducono nei rispettivi atti ma che sono precedenti alla riconciliazione intervenuta
nell’anno 2015, in un contesto in cui marito e moglie erano già pienamente consapevoli delle
condotte contrarie ai doveri matrimoniali attribuite l’uno all’altro.
Ciò precisato, si osserva che B.F. avanza domanda di addebito della separazione nei confronti del
marito sia per il fatto che quest’ultimo avesse posto in essere comportamenti violenti, verbalmente
e fisicamente nei suoi riguardi, assumendo un atteggiamento da “vero padre padrone e pretendendo che
la moglie fosse al suo più completo servizio, non perdendo occasione per umiliarla anche alla presenza dei figli”
(v. p. 2 ricorso) e “l’unica volta che la signora F. aveva reagito (nel 2018) era stato perché il S. le aveva
scagliato addosso una ciotola con dei frutti e lei si era difesa gettando verso il marito un piatto” (v. p. 6
memoria integrativa), sia per il fatto che S. avesse intrattenuto “numerose relazioni extraconiugali di cui
non faceva mistero neppure con i figli, assentandosi spesso da casa per giorni e notte intere e non rispondendo
alle chiamate telefoniche dei familiari che gli chiedevano notizie” (v. p. 2 ricorso).
Ebbene, premesso che questi fatti, sinteticamente e genericamente allegati negli atti introduttivi del
giudizio, non sono stati neppure esplicitati dettagliatamente nella prima memoria istruttoria – che
costituisce il termine ultimo per la precisazione delle domande – va in ogni caso rilevato come tutti
i capitoli di prova orale articolati nella memoria di cui all’art. 183, comma 6 n. 2 c.p.c. siano stati
condivisibilmente dichiarati inammissibili dal Giudice istruttore stante l’assoluta genericità con la
quale essi sono stati formulati. Si legge, nel capitolo 1, che S. avrebbe intrattenuto “nel corso del
matrimonio varie relazioni extra-coniugali assentandosi da casa per giorni e notti intere”; il capitolo
è oltremodo generico sia dal punto di vista del contesto spazio-temporale in cui i fatti sarebbero
avvenuti, sia perché l’espressione relazione extraconiugale assume carattere valutativo, mentre al
testimone può essere chiesta solamente la conferma o meno di determinati fatti oggettivi, per cui la
difesa di parte ricorrente avrebbe dovuto compiere lo sforzo di illustrare gli avvenimenti dai quali
desumere la violazione del dovere di fedeltà da parte di S.. Quanto ai capitoli 2 e 3, al di là del fatto
che in essi si fa ancora riferimento alle relazioni intrattenute da S. con le proprie amanti – espressioni
che contengono intrinsecamente giudizi di valore non demandabili al testimone – le circostanze a
cui si riferiscono risalgono all’epoca in cui il figlio L. veniva ricoverato presso l’ospedale Gaslini di
Genova, sicuramente antecedente all’intervenuta riconciliazione dei coniugi. Anche le circostanze
capitolate ai numeri 4 e 5, al di là del fatto che paiono eccessivamente generiche ed indeterminate
sia dal punto di vista del contesto spazio-temporale sia dal punto di vista della descrizione oggettiva
dei fatti che la parte intendeva provare, così come formulati sarebbero in ogni caso insufficienti a
fondare l’addebito della separazione, posto che frequentare sale da ballo o località turistiche di lusso
non costituisce di per sé una violazione dei doveri coniugali.
Il Collegio deve invece dare atto che alcun capitolo di prova è stato articolato dalla ricorrente con
riguardo alle asserite violenze verbali e fisiche che avrebbe subìto durante l’arco della vita
matrimoniale, sebbene contestate dal convenuto sin dalla prima memoria difensiva. Rispetto a
questi episodi di aggressività fisica e verbale, avvenuti anche alla presenza dei figli secondo quanto
dichiarato in atti, B.F. neppure si è premurata di produrre in giudizio le “relazioni di servizio”, a suo
dire presenti presso la Stazione dei Carabinieri di Clusone, dove si sarebbe recata più volte senza
sporgere denunzia per timore delle reazioni del marito (v. p. 6 memoria integrativa). Oltre a non
aver prodotto queste relazioni, va dato atto che la parte ha pure omesso di chiedere a questa Autorità
giudiziaria di acquisirle ai sensi dell’art. 213 c.p.c., sicché tali fatti, semmai avvenuti, sono rimasti
sforniti di qualsivoglia riscontro probatorio.
La domanda di addebito avanzata dalla moglie va pertanto rigettata.
A fondamento della propria domanda di addebito, M.S. asserisce, a sua volta, di esser stato vittima
di una aggressione fisica da parte della moglie, che nell’anno 2018, a seguito di una lite scaturita dal
fatto che F. volesse impedirgli di uscire di casa da solo mentre ella lo aveva sempre fatto,
quest’ultima gli rompeva in testa un piatto provocandogli un taglio; che, infatti, da quel momento
la moglie lo rinchiudeva fuori casa, e così faceva anche nel mese di settembre 2019, dopo aver fatto
rientro nella casa coniugale nel dicembre 2018; che, in ogni caso, egli aveva “cercato di tenere in piedi
la convivenza nonostante i tradimenti della moglie, perché l’aveva sempre desiderata e amata”, ma
a questo punto chiedeva l’addebito della separazione sì da impedirle di percepire un assegno per il
proprio mantenimento (v. p. 3 memoria difensiva); che, dunque, la convivenza era divenuta
intollerabile “a causa esclusiva della ricorrente che ha sempre avuto relazioni extraconiugali, non ha
mai amato il marito ed ha sempre tenuto anche un comportamento prepotente, arrogante e pieno di
insulti” (v. p. 1 comparsa di costituzione); che, peraltro, la moglie avrebbe usato la sua bellezza per
sedurre più uomini, in quanto anche prima del matrimonio con l’odierno convenuta, ella era già
stata sposata e si era separata dal precedente marito a causa di una relazione intrattenuta con un
altro uomo e continuata clandestinamente anche quando all’età di 30 anni S. cominciava a
frequentarla e all’età di 36 la sposava, e ad oggi, dopo “altre” relazioni, “la F. ha una relazione stabile
con un uomo che si chiama V.” (v. p. 2 comparsa di costituzione).
Così riassunti i fatti allegati da S., va anzitutto confermato il giudizio di inammissibilità delle istanze
di prova orale articolate dalla difesa del convenuto. Non pare inutile ribadire, infatti, l’assoluta
genericità dei capitoli non circostanziati dal punto di vista spazio-temporale e l’irrilevanza di quelli
tesi a fornire prova di avvenimenti risalenti ad epoca anteriore al 2015, anno in cui i coniugi si
riconciliavano.
In assenza di specifiche allegazioni in ordine al fatto che una tale condotta abbia costituito la causa
unica e determinante della crisi matrimoniale, nessuna rilevanza assume la circostanza che “L.F. si è
anche rifiutata di lavorare, nonostante le sollecitazioni che il marito le ha fatto quando i figli sono
cresciuti” (p. 2 comparsa di costituzione), circostanza peraltro ammessa dalla medesima ricorrente
in sede di libero interrogatorio (v. verb. ud. pres. 14/11/2019). Dalla trattazione della causa è emerso,
infatti, come S. abbia tollerato negli anni l’inerzia della moglie nel reperire una occupazione
retribuita, tanto che i due si riconciliavano nell’anno 2015, quand’ella pacificamente non svolgeva
ancora alcuna attività lavorativa. In mancanza di un preciso nesso di causalità tra tale violazione del
dovere di collaborazione e la sopravvenuta intollerabilità della convivenza matrimoniale, va
condiviso il giudizio di inammissibilità dei capitoli di prova articolati sul punto dalla difesa di parte
convenuta.
Pure inammissibile, in quanto irrilevanti ai fini della pronunzia di addebito, è la circostanza che B.F.
avesse dichiarato di non volere figli e che, una volta rimasta incinta, avrebbe dichiarato a S.
l’intenzione di abortire ove quest’ultimo non la avesse sposata: trattasi, nella fattispecie, di
circostanze che, semmai fossero realmente accadute, sono comunque precedenti non solo
all’intervenuta riconciliazione dei coniugi, ma addirittura alla celebrazione delle nozze, comunque
pienamente note a S. senza che ciò lo abbia fatto desistere dalla volontà di costituire il vincolo
matrimoniale con l’odierna ricorrente, sicché alcun rilievo possono assumere ai sensi dell’art. 151,
comma 2 c.c.
Dalla trattazione della causa, invece, sono emersi plurimi indizi gravi, precisi e concordanti che
inducono questo Collegio a ritenere che i litigi avvenuti in seno alla coppia nell’anno 2018, e poi
ancora nell’anno 2019, in cui cessava definitivamente la convivenza matrimoniale, si verificavano in
un contesto caratterizzato da una formale coabitazione tra marito e moglie, improntato su una
reciproca autonomia e libertà sentimentale, contesto nel quale non vi è spazio per pronunciare
l’addebito della separazione ad uno o all’altro coniuge. In proposito pare utile richiamare quanto
dichiarato dai coniugi in sede presidenziale, quando venivano interrogati liberamente sulle cause
della rottura del matrimonio. Ebbene, B.F. dichiarava testualmente quanto segue: “La crisi tra me e
mio marito c’è sempre stata; bene o male il rapporto è sempre stato malato. I problemi tra di noi ad
esempio ci sono stati anche durante la convivenza pre-matrimoniale perché in quel periodo io non
riuscivo a rimanere incinta e quando gli dissi di sottoporsi anche lui ad esami, dopo un po’ di tempo
mi ha lasciata, dicendomi che avrebbe desiderato dei figli nella mia vita e una donna che non avrebbe
avuto figli non l’avrebbe voluta. Anche dopo che ci siamo sposati lui ha sempre voluto uscire da solo
o magari cercava la lite per uscire il sabato sera. Dopo un anno e mezzo che abbiamo avuto L. ho
scoperto che lui frequentava la sua impiegata e aveva paura che fosse incinta. Quando scoprii questa
frequentazione chiesi a lui se fosse vero, cosa che lui effettivamente mi confermò dicendomi altresì
che c’era la possibilità che fosse rimasta incinta; grazie a Dio l’impiegata non era incinta e si sono
lasciati.
Questo avveniva prima del matrimonio. Io sapevo che mio marito aveva la tendenza a tradirmi già
prima di sposarmi e me lo sono sposato lo stesso”. Sentito liberamente, M.S. dichiarava testualmente:
“Vivo fuori casa dal novembre 2018; preciso di essere stato buttato fuori di casa, perché mi ero
permesso di uscire senza il suo permesso. Tuttavia, per riprendere il rapporto con i miei figli sono
rientrato nella casa coniugale verso dicembre 2018 e vi ho abitato fino a settembre 2019 quando mia
moglie, vedendomi messaggiare su Facebook, ha colto l’occasione per ributtarmi fuori di casa. Da
dicembre 2018 a settembre 2019 tra me e mia moglie ci sono stati pochissimi rapporti sessuali;
abbiamo consumato i pasti insieme, abbiamo trascorso una settimana di vacanza con i figli durante
l’estate 2019 ma non uscivamo insieme il sabato sera. A dire il vero non abbiamo mai avuto
l’abitudine di uscire insieme perché ci sono sempre state discussioni tra di noi” (v. verb. ud. pres.
14/11/2019).
Le circostanze emerse in sede di libero interrogatorio non sono state smentite né poste in discussione
dai procuratori delle parti nei successivi atti difensivi, sicché questo Tribunale ritiene che, in
conformità a quanto dichiarato dai coniugi, l’assenza di interessi comuni, svaghi e abitudini di vita
esclude che, quantomeno negli ultimi anni della vita matrimoniale, vi fosse una reale e autentica
unione spirituale. A parere del Collegio, il litigio che ha condotto per la prima volta alla cessazione
della convivenza matrimoniale nell’anno 2018 non è stato altro che il risultato di una prolungata
situazione di estrema tensione e disaffezione causata dai fatti intervenuti nel tempo dei quali
nessuno dei due coniugi può essere ritenuto responsabile in via diretta ed esclusiva.
Per tutto quanto sopra esposto, va rigettata anche la domanda di addebito della separazione
avanzata dal marito.
Passando al merito delle altre domande, va premesso che, passata in giudicato la sentenza parziale
dichiarativa della separazione personale dei coniugi, è stata introdotta avanti a questo stesso
Tribunale la causa divorzile, nell’ambito della quale sono già stati assunti dal Presidente delegato i
provvedimenti provvisori e urgenti di cui all’art. 4 L. n. 898 del 1970. A tal proposito va precisato
che quando viene instaurato un procedimento divorzile, e pende ancora tra le medesime parti il
giudizio di separazione giudiziale, l’Autorità giurisdizionale investita della causa di separazione
dovrà limitare le statuizioni economiche afferenti al mantenimento del coniuge e della prole al
periodo compreso tra la data di deposito del ricorso di separazione e la data di deposito del ricorso
di divorzio, risultando priva della potestas decidendi per il periodo temporale successivo alla
proposizione della domanda divorzile, sulla quale, appunto, è tenuta a pronunciarsi in via esclusiva
l’Autorità procedente.
Ciò precisato, la Suprema Corte ha costantemente affermato che, ai sensi dell’art. 156 c.c., deve
riconoscersi in favore del coniuge non responsabile della separazione il diritto ad un assegno di
mantenimento “tendenzialmente idoneo ad assicurargli un tenore di vita analogo a quello che aveva
prima della separazione”, allorché il coniuge richiedente non fruisca di redditi in grado di garantirgli
un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
L’assegno di mantenimento dovuto al coniuge in caso di separazione è, infatti, considerato una
proiezione degli obblighi di assistenza materiale discendenti dal matrimonio, obblighi che
permangono anche dopo la cessazione della convivenza, poiché la separazione instaura un regime
che tende a conservare quanto più possibile gli effetti propri del matrimonio e, quindi, il tipo di vita
condotto da ciascuno, pur in una situazione di cessata convivenza (cfr. Cass. n. 4178/2013, Cass. n.
12196/2017). Ai sensi dell’art. 156 c.c., dunque, per stabilire se e in quale misura sia dovuto un
contributo economico in favore del coniuge richiedente, al quale non sia stata addebitata la
separazione, deve procedersi, dapprima, ad una valutazione del tenore di vita goduto dalla coppia
in costanza di convivenza matrimoniale, che rappresenta il parametro per il giudizio di adeguatezza
o inadeguatezza dei “redditi propri” del richiedente l’assegno, e quindi, in caso di inadeguatezza,
deve procedersi all’accertamento comparativo delle disponibilità economiche delle parti, nonché alla
valutazione di ogni altra circostanza rilevante per la determinazione del quantum dovuto ex art. 156,
comma 2 c.c.
Ciò premesso in diritto, nel caso di specie la ricorrente esige il versamento da parte di S. di un
assegno di mantenimento dell’importo di Euro 1.000,00 al mese, sul presupposto che durante tutto
il corso della vita matrimoniale, e comunque fino a prima della cessazione della convivenza, il marito
le abbia versato l’importo di Euro 400,00 alla settimana per provvedere al mantenimento della
famiglia, oltre a corrispondere le somme necessarie per il pagamento delle utenze domestiche,
l’acquisto dell’abbigliamento e per far fronte alle altre spese di carattere straordinario, circostanze
parzialmente confermate da S. che, sentito liberamente all’udienza presidenziale, dichiarava che nel
tempo in cui i coniugi convivevano sotto lo stesso tetto egli versava alla moglie l’importo di Euro
400,00 alla settimana, “che lei utilizzava per pagare il vitto, il vestiario dei ragazzi, le utenze e tutte
le esigenze ordinarie della famiglia” (v. verb. ud. 14/11/2019).
L’odierno convenuto, dunque, opponendosi alla domanda di riconoscimento di un assegno di
mantenimento in favore di F., sul presupposto che la medesima sia pienamente in grado di
mantenersi avendo peraltro iniziato a lavorare come badante e collaboratrice domestica, dichiarava
di provvedere per intero al pagamento della rata di mutuo cointestato tra i coniugi, ammontante a
circa 700,00 Euro al mese, acceso per l’acquisto della casa coniugale intestata ad entrambi i coniugi,
da sempre onorato per intero da S., fatto che veniva confermato in udienza presidenziale dalla
moglie (v. verb. ud. 14/11/2019).
Ora, premesso che la capacità lavorativa del coniuge assume valenza del tutto residuale nella
valutazione dei presupposti per la determinazione dell’an e del quantum dell’assegno di
mantenimento dovuto ai sensi del citato art. 156 c.c., ragione per la quale va rigettata l’istanza della
ricorrente volta all’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio di natura medica sulla sua
persona “ai fini dell’accertamento della capacità lavorativa”, preme in ogni caso rilevare, al Collegio,
come dalla documentazione medica da ultimo prodotta in atti dalla difesa della ricorrente sia
possibile evincere le buone condizioni di salute di B.F., che pur affetta da “Scoliosi degenerativa
lombare con associata stenosi del canale a livello L4-L5”, allo stato attuale, anche in virtù del buon
esito dell’intervento chirurgico eseguito in data 26/10/2021, è in grado di deambulare
autonomamente senza limitazione (dal referto prodotto risulta, infatti, che veniva indicato alla
paziente il riposo per trenta giorni, con astensione dallo svolgimento di “attività fisiche
particolarmente impegnative e gravose per il rachide (come movimenti di rotazione o flesso
estensione o sollevamento di carichi superiori a qualche chilo)”, v. all. 1, nota depositata in data
13/04/2022).
Preso atto, quindi, che le attuali condizioni di salute di B.F. non sono del tutto inconciliabili con lo
svolgimento di attività lavorativa, ma che in atti non vi è comunque prova che la ricorrente abbia
effettivamente lavorato come badante o addetta alle pulizie, va rilevato come costituisca circostanza
pacifica che S. abbia provveduto al mantenimento della famiglia assicurando il pagamento di tutte
le spese, compresa la rata del mutuo cointestato gravante sulla casa coniugale, essendo emerso dagli
atti, e dal libero interrogatorio delle parti, come durante tutto l’arco della vita matrimoniale F. non
abbia mai lavorato ancorché per scelta non condivisa tra i coniugi, ma comunque tollerata dal
marito, per tutto quanto già sopra argomentato.
Quanto alla determinazione del quantum, occorre prendere le mosse dalle risultanze
dell’accertamento eseguito a mezzo della polizia tributaria, che questo Collegio reputa esaustive e
complete, apparendo, invece, superflua e meramente dilatoria ogni altra richiesta di investigazione
a mezzo della Guardia di Finanza ovvero a mezzo di consulenza tecnica contabile avanzata dalla
difesa di parte ricorrente e reiterata in sede di precisazione delle conclusioni. Ebbene, quanto alla
posizione di B.F. dall’indagine tributaria è emerso che costei, oltre ad essere comproprietaria con il
marito della casa coniugale, risulta titolare della quota di 1/9 di un fabbricato avente una superficie
totale di 78 metri quadri e della quota di 2/36 di un terreno seminativo situati nel Comune di …,
ricevuti per successione a causa di morte; risulta, inoltre, che in data 20/12/2017 ella cedeva, insieme
agli altri coeredi, la propria quota di 4/144 di un fabbricato sito nel Comune di ..(MI), al complessivo
prezzo di Euro 75.000,00 (il prezzo corrispondente alla quota di cui F. era titolare si stima ammontare
ad Euro 2.083 Euro); risulta, altresì, che in data 24/09/2019, la medesima cedeva ad un terzo la propria
quota di nuda comproprietà pari a 8/21 delle porzioni immobiliari situate in A., al prezzo di Euro
56.000,00, importo che transitava sul conto corrente ad ella esclusivamente intestato acceso presso
l’Istituto di credito I.S. (conto corrente n. (…)), per poi essere investito, in data 18/12/2019,
evidentemente insieme ai proventi della precedente compravendita, in una polizza vita della durata
di 10 anni, in cui il premio versato ammonta ad Euro 58.025,00. Dalla documentazione in atti non
risulta che la medesima abbia presentato negli ultimi anni le dichiarazioni fiscali dei redditi e
neppure risulta titolare di significative giacenze di conto corrente (v. relazione Guardia di Finanza –
Tenenza di Clusone, pervenuta in data 08/10/2021).
Dall’indagine patrimoniale e finanziaria svolta nei confronti di S.M. è emerso come costui sia,
anzitutto, titolare della carica di socio-amministratore e legale rappresentante di “A.L. S.n.c. di S.M.
e G.”, con sede in G., che si occupa della fabbricazione di elementi in legno per l’edilizia. Dalle
informazioni giunte dagli organi di polizia tributaria si evince che la Società di persone, di cui è socio
al 50%, è intestataria di una serie di unità immobiliari composta da terreni siti nel Comune di …e di
alcuni fabbricati siti nei Comuni di…, nonché titolare di un conto corrente con saldo pari ad Euro
10.700,00, acceso presso B.I.S., e di un altro rapporto di conto corrente acceso con B.C.C.B. e V. con
saldo negativo di circa 10.000 Euro, oltre che gravata da un mutuo ipotecario per l’importo di
193.000,00 Euro acceso nell’anno 2014. Quanto alla persona fisica di M.S., costui risulta titolare, oltre
che del 50% dell’immobile adibito ad ex casa coniugale, di quote minime di alcuni fabbricati e terreni
siti nel Comune di …e di un unico conto corrente con un saldo di Euro 2.428,00, alla data del
15/07/2021 (v. relazione Guardia di Finanza – Gruppo di Bergamo). Dalla documentazione fiscale
versata in atti risulta che nell’anno di imposta 2018 egli percepiva un reddito lordo annuo di Euro
28.337,00 (v. PF2019), nell’anno 2019 un reddito lordo annuo di Euro 37.246,00 Euro (v. PF2020),
nell’anno 2020 di Euro 42.074,00 (v. PF2021) e nell’anno di imposta 2021 di Euro 66.101,00 (v. PF2022),
a cui debbono essere detratte le imposte sul reddito e i contributi previdenziali, pari a circa 11.000
Euro annui.
Ora, premesso che già in data 09/03/2022 il Giudice istruttore, a modifica dei provvedimenti assunti
in sede presidenziale, riduceva l’assegno di mantenimento stabilito in favore di B.F., da Euro 500,00
ad Euro 250,00 al mese, stante il fatto che pacificamente S. continuava a versare per intero la rata del
mutuo di Euro 700,00, rendendosi la moglie inadempiente rispetto all’onere di contribuire al
pagamento della metà dell’importo, considerato il tenore di vita goduto dalle parti in costanza di
matrimonio per come emerso dalle dichiarazioni rese da queste in udienza, nonché delle condizioni
patrimoniali e reddituali di ciascuna per come emerse dagli accertamenti tributari compiuti in corso
di causa, tenuto conto del fatto che la moglie continui a godere della ex casa coniugale, il cui rateo
viene integralmente versato, anche all’attualità, dall’odierno convenuto – circostanza rilevante ex art.
156, comma 2 c.c. ai fini della determinazione dell’entità del contributo – questo Tribunale reputa
equo e congruo confermare la misura dell’assegno di mantenimento in favore della coniuge in Euro
250,00 al mese, fatti salvi per il pregresso i provvedimenti economici assunti in sede presidenziale,
peraltro neppure reclamati dalle odierne parti in causa.
Quanto al mantenimento della prole – premesso che nelle more del giudizio il figlio M., già
maggiorenne, è divenuto anche economicamente autonomo, per cui con ordinanza resa in data
09/03/2022 il Giudice istruttore revocava il contributo posto a carico del padre per il suo
mantenimento a far tempo dal giorno 21/07/2021 – risulta invece pacifico tra le parti che il figlio L.
non abbia ancora raggiunto l’indipendenza economica, in quanto studente universitario. Ora, tenuto
conto dei parametri di cui all’art. 337-ter, comma 4 c.c., dei dati economici sopra evidenziati con
riguardo alla condizione dei genitori coobbligati al mantenimento del figlio, nonché del fatto che
tutte le spese di natura straordinaria – indicate in dettaglio nel Protocollo in uso presso questo
Tribunale riportato in dispositivo – gravano integralmente su M.S. essendosi offerto in tal senso, il
Collegio reputa equo e congruo confermare anche per il figlio L. il contributo di Euro 400,00 al mese,
che il padre dovrà versare direttamente in favore del figlio, così come già statuito con l’ordinanza
resa in data 09/03/2022, facendo salvi per il pregresso i provvedimenti economici assunti in sede
presidenziale.
Dato atto che nulla viene opposto dal convenuto, va confermata l’assegnazione della casa coniugale
sita in C., via L. L. n. 14 in favore di B.F., con tutto quanto l’arreda ex art. 337-sexies c.c.
Le questioni vagliate nella presente sede esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati
toccati tutti gli aspetti rilevanti per la definizione del procedimento. Gli argomenti di doglianza non
espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e
comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
In considerazione della reciproca soccombenza delle parti in ordine alla domanda di addebito della
separazione, nonché della soccombenza del convenuto rispetto alla domanda di assegno di
mantenimento avanzata dalla moglie e della soccombenza della ricorrente in ordine al quantum
preteso a titolo di mantenimento, il Tribunale ritiene che ricorrano giustificati motivi per
compensare integralmente le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale di Bergamo, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa fra
le parti indicate in epigrafe, disattesa o rigettata ogni diversa domanda, eccezione o istanza, così
decide:
1. RIGETTA le reciproche domande di addebito, in quanto infondate;
2. CONFERMA l’obbligo in capo a M.S. di versare in favore della moglie B.F. un assegno di
mantenimento nella misura di Euro 250,00 al mese già disposto con ordinanza del Giudice istruttore
del 09/03/2022 (importo annualmente rivalutabile ex indici Istat), facendo salvi per il pregresso i
provvedimenti economici assunti in sede presidenziale;
3. CONFERMA l’obbligo in capo a M.S. di versare direttamente in favore del figlio L. l’assegno di
mantenimento nella misura di Euro 400,00 al mese, già disposto con ordinanza del Giudice istruttore
del 09/03/2022 (importo annualmente rivalutabile ex indici Istat), facendo salvi per il pregresso i
provvedimenti economici assunti in sede presidenziale;
4. CONFERMA l’obbligo in capo al padre di provvedere per intero al pagamento delle spese di
natura straordinaria che dovessero rendersi necessarie per il figlio in base al Protocollo in uso presso
questo Tribunale che si riporta di seguito:
spese mediche (da documentare) che non richiedono il preventivo accordo: a) visite specialistiche
prescritte dal medico curante; b) cure dentistiche presso strutture pubbliche; c) accertamenti e
trattamenti sanitari non erogati dal Servizio Sanitario Nazionale; d) tickets sanitari;
– spese mediche (da documentare) che richiedono il preventivo accordo: a) cure dentistiche,
ortodontiche e oculistiche; b) cure termali e fisioterapiche; c) accertamenti e trattamenti sanitari
erogati anche dal Servizio Sanitario Nazionale; d) cure non convenzionali; e) farmaci particolari;
– spese scolastiche (da documentare) che non richiedono il preventivo accordo: a) tasse scolastiche e
universitarie imposte da istituti pubblici; b) libri di testo e materiale di corredo scolastico di inizio
anno; c) gite scolastiche senza pernottamento; d) trasporto pubblico; e) mensa;
– spese scolastiche (da documentare) che richiedono il preventivo accordo: a) tasse scolastiche e
universitarie imposte da istituti privati; b) corsi di specializzazione; c) gite scolastiche con
pernottamento; d) corsi di recupero e lezioni private; e) alloggio presso la sede universitaria;
– spese extrascolastiche (da documentare) che non richiedono il preventivo accordo: a) tempo
prolungato, pre-scuola e dopo-scuola; b) centro ricreativo estivo e gruppo estivo; – spese
extrascolastiche (da documentare) che richiedono il preventivo accordo: a) corsi di istruzione,
attività sportive, ricreative e ludiche e pertinenti attrezzature; b) spese di custodia (baby sitter); c)
viaggi e vacanze;
5. CONFERMA la revoca dell’obbligo posto a carico di M.S. di contribuire al mantenimento
ordinario e straordinario del figlio M. a far tempo dalla data del 21/07/2021, facendo salvi per il
pregresso i provvedimenti economici assunti in sede presidenziale;
6. CONFERMA l’assegnazione della casa coniugale sita in C., via L. L. n. 14 in favore di B.F. ex art.
337-sexies c.c.;
7. COMPENSA integralmente le spese di lite tra le parti.
Conclusione
Così deciso in Bergamo, nella camera di consiglio dell’1 dicembre 2022