Di Gianfranco Dosi
I Pensione, trattamento di reversibilità, indennità e rendita in caso di morte
1. Le prestazioni previdenziali
All’assicurazione generale obbligatoria (AGO) gestita dall’INPS sono automaticamente iscritti per i trattamenti di invalidità, vecchiaia e superstiti tutti i lavoratori che prestano attività retribuita alle dipendenze di terzi.
Le prestazioni previdenziali sono dovute al lavoratore anche nel caso in cui il datore di lavoro non abbia versato con regolarità i contributi (principio dell’automaticità delle prestazioni), pur nei limiti della prescrizione.
La prescrizione per le contribuzioni di previdenza e assistenza sociale obbligatorie è stata portata da dieci a cinque anni dall’art. 3, comma 9, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare).
Il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, di cui all’art. 2116 c.c., 1° comma, (e art. 27 co 2 RDL 14 aprile 1939, n. 636 e succ. modificazioni) opera sia ai fini del raggiungimento del requisito minimo di contribuzione necessaria per il conseguimento del diritto alle prestazioni, che ai fini della determinazione della misura del trattamento (Cass. civ. Sez. lavoro, 19 agosto 2004, n. 16300).
La responsabilità del datore di lavoro per danni subiti dal lavoratore a causa di mancata o irrego¬lare contribuzione rappresenta un’ipotesi di responsabilità contrattuale, derivante dalla violazione di una specifica ed indisponibile obbligazione imposta dalla legge. Consegue da ciò che il termine di prescrizione della relativa azione risarcitoria è quello decennale, di cui all’art. 2946 cod. civ., il cui “dies a quo” può variare a seconda dell’interesse che si intende tutelare con la proposizione della domanda di risarcimento, posto che l’interesse ad agire del lavoratore sorge ancor prima del verificarsi degli eventi condizionanti l’erogazione delle prestazioni previdenziali, eventualmente avvalendosi dell’azione di condanna generica al risarcimento. Tuttavia, allorquando l’azione sia diretta all’ottenimento del risarcimento del danno per l’avvenuta perdita della pensione il termine di prescrizione decorre dal momento in cui il lavoratore, raggiunta l’età pensionabile e concorrendo ogni altro requisito, perde il relativo diritto (o lo vede ridotto) a causa dell’omissione contributiva (Cass. civ. Sez. lavoro, 15 giugno 2007, n. 13997.
La legge 12 agosto 1962 n. 1338 prevede la possibilità di costituire una rendita vitalizia in favore del lavoratore per il quale siano stati omessi in parte o in tutto i versamenti dei contributi di legge.
Secondo l’art. 13 della legge, ferme restando le disposizioni penali, il datore di lavoro che abbia omesso di versare contributi per l’assicurazione obbligatoria invalidità, vecchiaia e superstiti e che non possa più versarli per sopravvenuta prescrizione può chiedere all’Istituto nazionale della previdenza sociale di costituire, nei casi previsti dal successivo quarto comma, una rendita vitali¬zia reversibile pari alla pensione o quota di pensione adeguata dell’assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore dipendente in relazione ai contributi omessi.
La rendita integra con effetto immediato la pensione già in essere; in caso contrario i contributi di cui sopra sono valutati a tutti gli effetti ai fini dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti.
Il datore di lavoro è ammesso ad esercitare la facoltà concessagli su esibizione all’Istituto nazio¬nale della previdenza sociale di documenti di data certa, dai quali possano evincersi la effettiva esistenza e la durata del rapporto di lavoro, nonché la misura della retribuzione corrisposta al lavoratore interessato.
Il lavoratore, quando non possa ottenere dal datore di lavoro la costituzione della rendita, può egli stesso sostituirsi al datore di lavoro, salvo il diritto al risarcimento del danno, a condizione che fornisca all’Istituto nazionale della previdenza sociale le prove del rapporto di lavoro e della retribuzione indicate nel comma precedente. Per la costituzione della rendita, il datore di lavoro, ovvero il lavoratore allorché si verifichi l’ipotesi prevista al quarto comma, deve versare all’Istituto nazionale della previdenza sociale la riserva matematica calcolata in base alle tariffe che sono all’uopo determinate e variate, quando occorre, con decreto del Ministro del lavoro.
La Corte Costituzionale (Corte cost. 22 dicembre 1989, n. 568), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, quarto e quinto comma, della legge 1338/62 nella parte in cui, salva la necessità della prova scritta sulla esistenza del rapporto di lavoro da fornirsi dal lavoratore, non consente di provare altrimenti la durata del rapporto stesso e l’ammontare della retribuzione.
Le più importanti prestazioni erogate dall’assicurazione generale obbligatoria sono le seguenti: pensione di vecchiaia (al raggiungimento dell’età pensionabile), pensione di anzianità (al raggiun¬gimento dell’anzianità contributiva), assegno di inabilità (al verificarsi di un evento invalidante totale se c’è uno stato di bisogno, cioè un reddito non superiore a 1.530 euro annui secondo la legge 118/71) pari ad euro 260 al mese che a 65 anni si converte in assegno sociale di 409,05 (ex pensione sociale) non reversibile; assegno di invalidità (al verificarsi di una riduzione della capacità lavorativa (legge 222/1984 sulla base di accertamenti dell’INPS dal 2011; l’assegno di invalidità non reversibile; pensione ai superstiti (indiretta e di reversibilità).
2. L’indennità in caso di morte
Secondo l’art. 2122 del codice civile in caso di morte del lavoratore le indennità di cui agli artt. 2118 (indennità di mancato preavviso) e 2120 (TFR) sono corrisposte iure proprio al coniuge. ai figli a carico, ai parenti entro il terzo grado, agli affini entro il secondo grado con ripartizione secondo il bi¬sogno di ciascuno (o, in mancanza, secondo le norme sulla successione legittima o per testamento).
La giurisprudenza ha chiarito che l’indennità in caso di morte è dovuta anche al coniuge divorziato e all’ex coniuge titolare di assegno (Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1222). La sentenza afferma che ove, oltre al coniuge divorziato ed al coniuge superstite, esistano anche figli del lavo¬ratore defunto (e/o altri parenti od affini a suo carico) aventi diritto alla indennità di buonuscita ai sensi dell’art. 2122 c.c., dal coordinamento di tale disposizione con l’art. 9 della l. n. 898 del 1970 si estrae complessivamente la regola che al coniuge divorziato (nella fattispecie considerata di concorso di plurimi aventi diritto), va attribuita una quota della quota del coniuge superstite; per cui, tra i due (od eventualmente più) coniugi, dovrà in pratica, suddividersi la quota di spettanza del coniuge superstite, come previamente determinata in ragione del concorso di questi con gli altri superstiti aventi diritto ex art. 2122, comma 1, c.c. Devesi, per altro, precisare, ai fini di tale preventiva determinazione, che dei due criteri all’uopo indicati dal predetto art. 2122 c.c. – se¬condo il quale “la ripartizione della indennità se non vi è accordo tra gli aventi diritto, deve farsi secondo il bisogno di ciascuno” – non risulta applicabile, giacché incompatibile, il primo, e rileva quindi unicamente il successivo (ripartizione “secondo il bisogno”).
Perciò in caso di morte del lavoratore dipendente divorziato che abbia contratto un nuovo matri¬monio, qualora oltre al coniuge divorziato e a quello superstite esistano anche figli (o altri parenti o affini a suo carico) aventi diritto alla indennità di buonuscita di cui all’art. 2122 c.c., questa si ripartisce in due quote, secondo il bisogno di ciascuno: una prima in favore dei figli (o altri parenti del defunto), la seconda, a vantaggio del coniuge superstite e dell’ex coniuge, nei rapporti tra i quali la relativa quota va ripartita in ragione della durata dei rispettivi rapporti di coniugio.
3. La rendita INAIL liquidata ai superstiti
Secondo l’art. 85 del DPR 30 giugno 1965 n. 1124 sulle assicurazioni obbligatorie “Se l’infortunio ha per conseguenza la morte, spetta a favore dei superstiti sottoindicati una rendita nella misura di cui ai numeri seguenti, ragguagliata al cento per cento della retribuzione calcolata secondo le disposizioni degli articoli da 116 a 120:
1) il cinquanta per cento al coniuge superstite fino alla morte o a nuovo matrimonio; in questo secondo caso è corrisposta la somma pari a tre annualità di rendita;
2) il venti per cento a ciascun figlio legittimo, naturale, riconosciuto o riconoscibile, e adottivo, fino al raggiungimento del diciottesimo anno di età, e il quaranta per cento se si tratti di orfani di entrambi i genitori, e, nel caso di figli adottivi, siano deceduti anche entrambi gli adottanti. Per i figli viventi a carico del lavoratore infortunato al momento del decesso e che non prestino lavoro retribuito, dette quote sono corrisposte fino al raggiungimento del ventunesimo anno di età, se studenti di scuola media o professionale, e per tutta la durata normale del corso, ma non oltre il ventiseiesimo anno di età, se studenti universitari. Se siano superstiti figli inabili al lavoro la rendita è loro corrisposta finché dura l’inabilità. Sono compresi tra i superstiti di cui al presente numero, dal giorno della nascita, i figli concepiti alla data dell’infortunio. Salvo prova contraria, si presumono concepiti alla data dell’infortunio i nati entro trecento giorni da tale data. La Corte costituzionale (Corte cost. 27 marzo 2009, n. 86) ha dichiarato, tra l’altro, l’illegittimità del presente numero, nella parte in cui, nel disporre che, nel caso di infortunio mortale dell’assicurato, agli orfani di entrambi i genitori spetta il quaranta per cento della rendita, esclude che essa spetti nella stessa misura anche all’orfano di un solo genitore naturale.
3) in mancanza di superstiti di cui ai numeri 1), e 2), il venti per cento a ciascuno degli ascendenti e dei genitori adottanti se viventi a carico del defunto e fino alla loro morte;
4) in mancanza di superstiti di cui ai numeri 1), e 2), il venti per cento a ciascuno dei fratelli o sorelle se conviventi con l’infortunato e a suo carico nei limiti e nelle condizioni stabiliti per i figli.
La somma delle rendite spettanti ai suddetti superstiti nelle misure a ciascuno come sopra asse¬gnate non può superare l’importo dell’intera retribuzione calcolata come sopra. Nel caso in cui la somma predetta superi la retribuzione, le singole rendite sono proporzionalmente ridotte entro tale limite. Qualora una o più rendite abbiano in seguito a cessare, le rimanenti sono propor¬zionalmente reintegrate sino alla concorrenza di detto limite. Nella reintegrazione delle singole rendite non può peraltro superarsi la quota spettante a ciascuno degli aventi diritto ai sensi del comma precedente.
Cass. civ. Sez. lavoro, 3 agosto 2005, n. 16283 e Cass. civ. Sez. lavoro, 26 gennaio 2010, n. 1570 hanno chiarito che in caso di decesso del lavoratore titolare di rendita da malattia profes¬sionale, il coniuge superstite ha diritto al riconoscimento di una rendita di reversibilità solo ove vi sia un nesso causale tra la patologia che aveva portato all’attribuzione della rendita e la morte.
La Corte costituzionale (Corte cost.18 dicembre 1985, n. 360), ha dichiarato l’illegittimità co¬stituzionale dell’art. 85 nella parte in cui nel disporre che, nel caso di infortunio mortale dell’assi¬curato, agli orfani di entrambi i genitori spetta il quaranta per cento della rendita, esclude che tale rendita spetti anche all’orfano dell’unico genitore naturale che lo ha riconosciuto.
4. La pensione di reversibilità
La pensione di reversibilità è la quota parte della pensione complessiva che spetta al sopraggiun¬gere della morte di un familiare (coniuge, figli, nipoti, genitori, fratelli celibi e sorelle nubili).
È stata introdotta in Italia con il regio decreto legge 636/1939.
Il trattamento di pensione ai superstiti viene erogato dopo il decesso del pensionato o dell’assicu¬rato che ancora lavori.
La pensione ai superstiti (in senso ampio di reversibilità) può essere, quindi:
a) pensione di reversibilità (in senso stretto), nel caso in cui il deceduto percepisse già la pen¬sione di vecchiaia o di anzianità.
b) pensione indiretta, nel caso in cui il deceduto lavorasse ancora e avesse versato un minimo di contributi. In particolare (in base al D,lgs 503/92) spetta solo se il lavoratore aveva accumulato, anche in epoche diverse, almeno 15 anni di contribuzione (780 contributi settimanali) oppure 5 anni di contributi, di cui almeno 3 nel quinquennio precedente la scomparsa.
La domanda di reversibilità o di pensione indiretta può essere presentata direttamente alle sedi territoriali Inps competenti o attraverso gli enti di patronato, regolarmente delegati dall’interes¬sato.
Hanno diritto alla pensione: il coniuge superstite, anche se separato: se il coniuge superstite è separato con addebito, la pensione ai superstiti spetta a condizione che gli sia stato riconosciuto dal tribunale il diritto agli alimenti; il coniuge divorziato se titolare di assegno divorzile; i figli (le¬gittimi o legittimati, adottivi, naturali, riconosciuti legalmente o giudizialmente dichiarati, nati da precedente matrimonio dell’altro coniuge) che alla data della morte del genitore siano minorenni, inabili, studenti o universitari e a carico alla data di morte del medesimo; i nipoti minori (equiparati ai figli) se a totale carico degli ascendenti (nonno o nonna) alla data di morte dei medesimi.
In mancanza del coniuge, dei figli e dei nipoti la pensione può essere erogata ai genitori d’età non inferiore a 65 anni, non titolari di pensione, che alla data di morte del lavoratore e/o pensionato siano a carico del medesimo.
In mancanza del coniuge, dei figli, dei nipoti e dei genitori la pensione può essere erogata ai fratelli celibi inabili e sorelle nubili inabili, non titolari di pensione, che alla data di morte del lavoratore e/o pensionato siano a carico del medesimo.
Con queste precisazioni, le percentuali del trattamento di reversibilità (pensione di reversibilità e pensione indiretta) sulla pensione o sul trattamento economico goduto sono le seguenti:
Solo il coniuge 60%
Coniuge con 1 figlio 80%
Coniuge con 2 o più figli 100%
Solo 1 figlio 70%
2 figli 80%
3 o più figli 100%
Solo 1 genitore 15%
2 genitori 30%
La pensione decorre dal mese successivo alla morte dell’assicurato o del pensionato, indipenden¬temente dalla data di presentazione della domanda.
La pensione di reversibilità dura a vita e si cumula (salvo quanto si dirà tra breve sui limiti di red¬dito introdotti con la legge 335/95) con quelle che il coniuge superstite percepiva in precedenza o delle quali ha maturato i diritti.
I beneficiari della pensione di reversibilità sono, quindi:
– il coniuge;
– il coniuge separato; (il coniuge separato “con addebito” solo se ha diritto agli alimenti);
– il coniuge divorziato che sia titolare di un assegno divorzile (a condizione che non si sia risposato – perdendo così anche l’assegno divorzile – e che il lavoratore deceduto sia stato iscritto all’Inps prima della sentenza di divorzio);
– l’ex coniuge, anche se dopo il divorzio e prima della morte il lavoratore o pensionato assicurato si sia risposato. In questi casi, in base alla legge n.74 del 1987, sarà il giudice a stabilire le quote che spettano al primo e al secondo coniuge.
Se il vedovo o la vedova contraggono un nuovo matrimonio la pensione di reversibilità viene revo¬cata e viene liquidata una doppia annualità pari a 26 mesi della quota di pensione di reversibilità.
Dal 1° gennaio 1996 – con la legge 335/95 – sono stati introdotte alcune limitazioni: l’importo della pensione ai superstiti è condizionato dalla situazione economica del titolare. I trattamenti pensionistici sono cumulabili con i redditi del beneficiario nei limiti fissati dalla tabella F allegata alla legge n. 335.
TABELLA legge n. 335/1995
Tabella – relativa ai cumuli tra trattamenti pensionistici ai superstiti e redditi del beneficiario
Reddito superiore a 3 volte il trattamento minimo annuo Fondo pensioni lavoratori dipendenti, calcolato in misura pari a 13 volte l’importo in vigore al 1° gennaio. Percentuale di cumulabilità:
75 per cento del trattamento di reversibilità
Reddito superiore a 4 volte il trattamento minimo annuo del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, calcolato in misura pari a 13 volte l’importo in vigore al 1° gennaio. Percentuale di cumulabilità:
60 per cento del trattamento di reversibilità
Reddito superiore a 5 volte il trattamento minimo annuo dei Fondo pensioni lavoratori dipendenti, calcolato in misura pari a 13 volte l’importo in vigore al 1° gennaio. Percentuale di cumulabilità:
50 per cento del trattamento di reversibilità
In pratica, la pensione viene ridotta rispettivamente del 25% se il reddito personale (anche non di lavoro) supera di tre volte l’importo annuale della pensione minima Inps (che è di 480 euro al mese) (cioè supera l’importo di 17.281,68 euro nel 2008), il 40% se di quattro volte superiore (23.042,24 euro) e del 50% nel caso in cui le entrate extra superino di cinque volte tale parametro (28.802,20 euro).
Nella valutazione del reddito è naturalmente esclusa la pensione di reversibilità.
Per mettere in condizione l’ente di previdenza di effettuare la trattenuta nella giusta misura, i pensionati di reversibilità sono tenuti a presentare ogni anno una dichiarazione (modello Red) con la quale devono dare conto dei redditi percepiti nell’anno precedente. Se questi si sono ridotti, la pensione verrà ripristinata nella misura intera o assoggettata a una trattenuta più bassa.
Non vi è, invece, nessuna riduzione se ci sono figli minori. Sono perciò esenti da qualsiasi tratte¬nuta le pensioni di reversibilità liquidate a favore del coniuge superstite con uno o più figli minori di età, studenti o inabili. In questo caso l’assegno resta intatto. Fermo restando che nel momento in cui il figlio perde il diritto (come nel caso più ricorrente del figlio che termina gli studi) il genitore superstite è soggetto alla riduzione se ha redditi superiori agli indicati limiti di legge.
L’ l’INPS ha fornito le indicazioni operative.
Poiché la terminologia potrebbe indurre alcuni equivoci l’INPS ha emanato una apposita circolare interpretativa (Circolare INPS n. 15 del 6 febbraio 2009) di cui si riportano alcune indicazioni.
– sul significato di “familiare a carico” e di “sostentamento”
Per le pensioni ai superstiti, il concetto di “a carico” è diverso che in ambito strettamente fiscale ai fini IRPEF secondo cui, per essere a carico, i familiari non devono disporre di un reddito proprio superiore 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili.
Nel caso della pensione ai superstiti la definizione è più ampia.
La normativa vigente prevede, infatti, che “ai fini del diritto alla pensione ai superstiti, i figli di età superiore ai 18 anni e inabili al lavoro … si considerano a carico dell’assicurato o del pensionato se questi, prima del decesso, provvedeva al loro sostentamento in maniera continuativa”. (Riferimen¬to: articolo 13 del Regio decreto legge 14 aprile 1939, n. 636 come modificato dalla Legge 903 del 21 luglio 1965 art. 22 comma 7).
Il termine “sostentamento” implica sia la non autosufficienza economica dell’interessato, sia il mantenimento da parte del lavoratore o pensionato deceduto.
La “non autosufficienza economica” si verifica con modalità diverse; sono considerati non autosuf¬ficienti economicamente:
– i figli maggiorenni (con le precisazioni esposte sopra) che hanno un reddito che non supera l’im¬porto del trattamento minimo maggiorato del 30% (cioè 595,66 euro mensili per il 2009);
– i figli maggiorenni inabili che hanno un reddito non superiore a quello fissato annualmente per il diritto alla pensione di invalido civile totale (cioè 1.240,52 euro mensili per il 2009);
– i figli maggiorenni inabili, titolari dell’indennità di accompagnamento, che hanno un reddito non superiore a quello fissato annualmente per la concessione della pensione di invalido civile totale au-mentato dell’importo dell’indennità di accompagnamento (e cioè 1.712,56 euro mensili per il 2009).
Il “mantenimento abituale” è desunto dai comportamenti tenuti dal lavoratore o dal pensionato deceduto nei confronti del familiare superstite.
5. La distribuzione di competenza tra la Corte dei conti e il giudice ordinario
Le controversie sulla pensione (anche di reversibilità) sono attribuite alla competenza della Corte dei conti per i dipendenti pubblici, altrimenti alla competenza del giudice ordinario del lavoro. Sono in ogni caso di competenza del tribunale ordinario le controversie sulla ripartizione della pensione ex art. 9 della legge sul divorzio tra coniuge superstite ed ex coniuge.
Cass. civ. Sez. Unite, 13 maggio 1993, n. 5429 e Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 1999, n. 2593 hanno chiarito che la giurisdizione della Corte dei conti in materia di pensioni rientra tra le “altre materie disciplinate dalla legge” cui rinvia l’art. 103, secondo comma, della Costituzione. Entrambe le decisioni in questione riconoscono la competenza della Corte dei conti anche in caso di contro¬versia tra l’ente pensionistico e il coniuge divorziato, ad esclusione dei casi in cui vi sia controversia sulla ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge superstite e coniuge divorziato che è di competenza, come meglio si vedrà, sempre del tribunale ordinario (Corte conti, Sez. Lazio, 14 giugno 2012, n. 609; Cass. sez. Unite, 13 novembre 2013, n. 25456).
Le leggi che attribuiscono la cognizione in materia pensionistica alla Corte dei conti sono l’art. 12 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, e gli artt. 14 e 16 del r.d. 26 giugno 1933 n. 703. All’at¬tribuzione della giurisdizione in materia di pensioni ed al relativo rito sono dedicati inoltre gli artt. 62 – 64 del r.d. 12 luglio 1934 n. 1214 ed il capo V del titolo II (artt. 71 – 89) del r.d. 13 agosto 1933 n. 1038.
In seguito al completamento della ‘regionalizzazione’, avvenuta con la legge 14 gennaio 1994 n. 19, di conversione del decreto legge 15 novembre 1993 n. 453, i giudizi pensionistici pendenti sono stati trasferiti alle sezioni regionali con riguardo al luogo di residenza del ricorrente, mentre residua la competenza delle sezioni centrali solamente per il grado di appello.
La c.d. ‘privatizzazione’ del pubblico impiego non ha prodotto mutamenti nelle attribuzioni giuri¬sdizionali della Corte dei conti in materia pensionistica.
Sono sottratte alla giurisdizione ordinaria le controversie in materia pensionistica, già attribuita alla giurisdizione della Corte dei conti. La soluzione è stata ribadita dalla giurisprudenza delle se¬zioni unite, la quale ha più volte affermato il principio che l’attribuzione al giudice ordinario della giurisdizione in tema di rapporto di lavoro, non seguita dal mutamento della disciplina pubblicisti¬ca previdenziale e pensionistica, non incide sulla preesistente giurisdizione della Corte dei conti (Cass. sez. Unite 25 giugno 2002, n. 9285; Cass. sez. un. 19 giugno 2000, n. 451; Cass. sez. unite 9 agosto 2001, n. 10973).
La Corte dei conti ha competenza sui giudizi relativi a pensioni a totale carico dello Stato e su quel¬le a carico degli enti previdenziali confluiti nell’INPDAP. Le controversie possono avere ad oggetto sia l’esistenza del diritto alla pensione sia la sua entità. La Corte dei conti giudica anche in ordine alla legittimità del recupero disposto dall’ente in ordine alle somme erogate a titolo di trattamento pensionistico ed accessori (indennità integrativa speciale, tredicesima mensilità, interessi legali e rivalutazione).
La Corte giudica sia in materia di pensioni ordinarie (civili e militari) che di pensioni di guerra. Le prime sono collegate al servizio prestato negli impieghi civili o nelle forze armate, le seconde a quello di guerra.
Il giudizio inizia con la presentazione di un ricorso in cui vengono esposte le ragioni di fatto e di diritto su cui si basa la pretesa pensionistica. Il ricorso deve essere notificato all’amministrazione, a pena di improcedibilità. Per poter adire il giudice occorre, evidentemente, l’interesse ad agire e cioè che l’amministrazione abbia negato l’esistenza del diritto ovvero l’abbia riconosciuto in en¬tità ritenuta non soddisfacente. Il giudizio peraltro non ha ad oggetto solo la legittimità dell’atto dell’amministrazione, ma l’accertamento della fondatezza della pretesa (c.d. giudizio sul rapporto).
Il diritto alla pensione è imprescrittibile, mentre si prescrivono i singoli ratei dopo cinque anni de¬correnti dal momento in cui è sorto il diritto. Oltre alla prescrizione quinquennale, la legge, nell’i¬potesi di pensione privilegiata, ha previsto un’ipotesi di decadenza (art. 169 T.U. 1092 del 1973) ove l’interessato abbia fatto decorrere il termine di cinque anni dalla cessazione dal servizio senza chiedere l’accertamento delle infermità o lesioni).
Nel ricorso introduttivo il ricorrente, dimostrando un fumus di fondatezza della sua pretesa ed il pericolo nel ritardo, può chiedere la sospensione del provvedimento pensionistico impugnato.
Nel giudizio pensionistico la parte può costituirsi in giudizio di persona e svolgere nell’udienza le proprie conclusioni. È comunque ammessa la possibilità di nominare un avvocato ma non è richie¬sto il requisito dell’iscrizione all’albo dei cassazionisti.
Per il ricorso in appello è, invece, necessario farsi assistere da un avvocato patrocinante in Cassa¬zione, come previsto dall’art. 3 della legge 21 marzo 1953, n. 161.
La legge 21 luglio 2000 n. 205 ha notevolmente semplificato il giudizio in materia di pensioni, pre¬vedendo: il giudice unico; la possibilità di adottare decisioni in forma semplificata (es. in caso di manifesta inammissibilità); l’estinzione del giudizi non riassunti dagli eredi dopo la morte del ricor¬rente (90 giorni dalla comunicazione dell’evento ovvero dalla pubblicazione in G.U.); la perenzione dei ricorsi ultradecennali. In sintesi, dopo la presentazione del ricorso, il presidente fissa l’udienza di discussione che viene notificata alle parti almeno 60 giorni prima. Dopo la discussione orale il giu¬dice legge il dispositivo della sentenza in udienza. La sentenza deve essere depositata nei quindici giorni successivi. La sentenza è immediatamente esecutiva.
Nei giudizi pensionistici le sentenze possono essere appellate solamente per motivi di diritto (an¬che il vizio di difetto o contraddittorietà della motivazione è errore di diritto).
L’appello può essere proposto dalle parti entro sessanta giorni dalla notificazione della sentenza ovvero entro un anno dalla sua pubblicazione (deposito in segreteria).
La Corte costituzionale ha ritenuto legittima l’attribuzione alla Corte dei Conti delle competenze in materia di pensioni a carico dello Stato (Corte cost. 10 maggio 2002, n. 185) affermando che è manifestamente infondata, in riferimento all’art. 77 cost., la questione di legittimità costituzio¬nale dell’art. 29 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80, “nella parte in cui, modificando l’art. 68 comma 1 lett. m) d.lg. n. 29 del 1993, e successive modificazioni, devolve la giurisdizione delle controversie in materia pensionistica dei pubblici dipendenti al giudice ordinario, in quanto il rimettente muove dall’erroneo presupposto interpretativo che la norma impugnata abbia attribuito al giudice ordina¬rio” la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto le pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, mentre tale giurisdizione risulta tuttora attribuita alla Corte dei conti, come si desume, tra l’altro, dal rilievo che l’art. 5 legge 21 luglio 2000 n. 205, regola lo svolgimento dei giudizi pensionistici davanti alla Corte dei conti, con ciò presupponendone la giurisdizione.
Nel caso di contenzioso sulla ripartizione tra coniuge superstite ed ex coniuge (art. 9 legge divorzio) la competenza è sempre del tribunale ordinario. A questa conclusione sono giunte sia la Corte dei Conti (Corte conti, Sez. Lazio, 14 giugno 2012, n. 609) sia la Corte di cassazione (Cass. sez. Unite, 13 novembre 2013, n. 25456) osservando che l’art. 9, comma 2, legge 898/1070 sottrae alla giurisdizione ordinaria, per devolverla alla Corte dei Conti in materia di pensioni, la sola contro¬versia afferente all’erogazione della prestazione di reversibilità se, in caso di morte dell’ex coniuge, manchi un coniuge superstite di questi aventi i requisiti per la pensione di reversibilità. Viceversa, in caso di concorso di coniugi succedutisi nel tempo, per aver l’ex dipendente pubblico defunto con¬tratto nuove nozze dopo la sentenza di cessazione degli effetti civili del primo matrimonio, l’art. 9, comma 3, della medesima legge attribuisce espressamente la giurisdizione al giudice ordinario. La competenza è del tribunale ordinario e non della sezione lavoro.
6. Pensione di reversibilità e assegno alimentare per i dipendenti pubblici
La normativa sulle pensioni dei dipendenti pubblici (DPR 29 dicembre 1973, n. 1092, prevede agli articoli 81 e 88 disposizioni specifiche per la pensione di reversibilità stabilendo all’art. 81 quarto comma (coniuge superstite) che “La pensione non spetta alla vedova [ma anche al vedovo!] quando sia stata pronunciata sentenza, passata in giudicato, di separazione personale per sua colpa; in tal caso, ove sussista lo stato di bisogno, è corrisposto alla vedova un assegno alimen¬tare”.
Questa disposizione è stata dichiarata incostituzionale da Corte cost. 30 luglio 1997, n. 284 la quale chiarì che in funzione della natura previdenziale della pensione di reversibilità, contrasta con gli art. 3 e 38 cost. l’art. 81 comma 4 t.u. 29 dicembre 1973 n. 1092, nella parte in cui esclude il diritto di tale pensione in favore della vedova alla cui colpa sia stata addebitata con sentenza passata in giudicato la separazione allorché ad essa spettava il diritto agli alimenti da parte del coniuge successivamente deceduto.
Si tornerà su questo aspetto allorché si esaminerà il tema del rapporto tra il diritto alla reversibilità pensionistica e l’eventuale addebito della separazione. Fin da ora è, però, opportuno osservare che la legislazione dei dipendenti pubblici prevede il diritto alla pensione di reversibilità (se, come ha chiarito la Corte costituzionale, vi è stata l’attribuzione degli alimenti in sede di separazione ad¬debitata) o, in subordine, un assegno alimentare che l’art. 88 prevede nella misura del 20% della pensione del titolare. Nulla di simile è previsto nel settore privato.
Anche su questa differenza di trattamento tra dipendenti pubblici e settore privato si fonda l’orien-tamento della Cassazione, cui si farà in seguito riferimento, tendente all’attribuzione nel settore privato della pensione di reversibilità in caso di coniuge separato con addebito, anche se manca l’attribuzione degli alimenti.
7. Reversibilità e convivenza more uxorio
Il convivente more uxorio non è incluso tra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di reversibilità.
La Corte costituzionale ha dichiarato che “non è fondata la questione di legittimità costituziona¬le dell’art. 13 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, convertito nella legge 6 luglio 1939, n. 1272 e dell’art. 9, secondo e terzo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74), impugnati, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui non includono il convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di reversibilità, anche quando la convivenza abbia acquistato gli stessi caratteri di stabilità e certezza propri del vincolo coniugale (Corte cost., 3 novembre 2000, n. 461).
Secondo la Corte la mancata inclusione del convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari del trat-tamento pensionistico di reversibilità trova una sua non irragionevole giustificazione nella circostanza che il suddetto trattamento si collega geneticamente ad un preesistente rapporto giuridico che, nel caso considerato, manca. Ne consegue che la diversità delle situazioni poste a raffronto giustifica una differenziata disciplina delle stesse. Nemmeno può dirsi violato il principio di tutela delle formazioni sociali in cui si sviluppa la persona umana in quanto la riferibilità del suddetto principio alla conviven¬za di fatto “purché caratterizzata da un grado accertato di stabilità” – più volte affermata da questa Corte – non comporta un necessario riconoscimento al convivente del trattamento pensionistico di reversibilità (che non appartiene certo ai diritti inviolabili dell’uomo presidiati dall’art. 2 Cost.).
8. Rendita Inail ai superstiti e convivenza more uxorio
Non è stata ugualmente ritenuta incostituzionale la mancata inclusione del convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari della rendita Inail ai superstiti La Corte costituzionale ha infatti affermato che “È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 85, primo comma, numero 1, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 11, 30, 31, 38 e 117 Cost. e degli artt. 12 e 13 del Trat¬tato 25 marzo 1957, che si incentra sulla mancata equiparazione del convivente al coniuge del la¬voratore agli effetti della corresponsione della rendita Inail in caso di infortunio sul lavoro che abbia avuto per conseguenza il decesso dello stesso lavoratore (Corte cost., 27 marzo 2009, n. 86).
In proposito, oltre a ribadire la diversità tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, deve essere riconfermato il principio secondo cui la mancata inclusione del convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di reversibilità trova una sua non irragionevole giustificazione nella circostanza che il suddetto trattamento si collega geneticamente ad un preesi¬stente rapporto giuridico che, nel caso considerato, manca. Né si può prendere in considerazione la censura relativa ad un presunto vulnus degli artt. 11 e 117 Cost. sotto il profilo del contrasto con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario (Trattato 25 marzo 1957, Carta dei diritti fondamen¬tali dell’U.E.) e dagli obblighi internazionali (Convenzione sui diritti dell’Infanzia), dato che detti vincoli ed obblighi non sono individuati in modo preciso.
9. Cumulabilità tra pensione di reversibilità e rendita Inail ai superstiti
Ad occuparsi di questo aspetto è stata la legge 23 dicembre 2000 n. 388 (amministrazione del patrimonio e contabilità dello Stato) che all’art. 73 (Revisione della normativa in materia di cumulo tra rendita INAIL e trattamento di reversibilità INPS) ha precisato che “A decorrere dal 1° luglio 2001, il divieto di cumulo di cui all’articolo 1, comma 43, della legge 8 agosto 1995, n. 335, non opera tra il trattamento di reversibilità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’in¬validità, la vecchiaia ed i superstiti, nonché delle forme esclusive, esonerative e sostitutive della medesima, e la rendita ai superstiti erogata dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) spettante in caso di decesso del lavoratore conseguente ad infortunio sul lavoro o malattia professionale ai sensi dell’articolo 85 del decreto del Presidente della Repub¬blica 30 giugno 1965, n. 1124. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano alle rate di pensione di reversibilità successive alla data del 30 giugno 2001, anche se la pensione stessa è stata liquidata in data anteriore”.
Occupandosi del divieto di cumulo che prima era previsto tra la reversibilità e tutte le altre forme di sussidi previdenziali la Corte costituzionale aveva comunque avuto modo di precisare che “non è incostituzionale il principio di parziale non cumulabilità tra rendita vitalizia liquidata dall’Inail (ad esclusione di quella liquidata ai superstiti in caso di morte) e trattamento di reversibilità (Corte cost. 29 maggio 2002, n. 227).
È manifestamente infondata – ha detto la Corte – in riferimento agli art. 2, 3 e 38 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 43, l. 8 agosto 1995 n. 335, nella parte in cui prevede che le pensioni di inabilità, di reversibilità o l’assegno ordinario di invalidità a carico dell’assicura¬zione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, liquidati in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionale, non sono cumulabili con la rendita vitalizia liquidata per lo stesso evento invalidante a norma del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, fino a concorrenza della rendita stessa, in quanto non può escludersi un intervento legislativo che, per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica e con criteri di gradualità, introduca un divieto di cumulo tra prestazioni previdenziali o assistenziali, prima non previsto, sempre che, nel rispetto del principio di solidarietà sociale e di eguaglianza sostanziale, sia garantito il soddisfacimento delle esigenze di vita cui erano precedente¬mente commisurate le prestazioni considerate, mentre la rimozione del divieto di cumulo in questio¬ne tra il trattamento di reversibilità e la rendita ai superstiti erogata dall’INAIL in caso di decesso del lavoratore conseguente a infortunio sul lavoro o malattia professionale, disposto dall’art. 73 legge 23 dicembre 2000 n. 388, non ha introdotto una disciplina privilegiata per i trattamenti di reversi¬bilità, ma ha solo inteso modificare la normativa del settore tenendo conto della giurisprudenza di legittimità formatasi al riguardo.
L’abolizione del divieto di cumulo con la reversibilità operata con la legge 388/2000 riguarda quindi solo la rendita Inail erogata ai superstiti in caso di decesso del lavoratore.
II Le limitazioni all’accesso alla reversibilità in caso di matrimonio contratto in età anziana dal pensionato
1. Il progressivo cammino della Corte costituzionale che ha portato all’eliminazione di qualsiasi periodo minimo di durata del matrimonio per l’accesso alla pensione di rever¬sibilità.
Il pensionato che contrae matrimonio, magari con una persona molto più giovane, può portare ad una situazione di sofferenza del sistema pensionistico esposto alla prospettiva di esborsi di lunghissima durata. Questo rischio non può però implicare la mortificazione di diritti fondamentali della persona, anche anziana, quali quello di contrarre matrimonio. Perfino il matrimonio cosid¬detto “dell’ultima ora” non può essere escluso dalle conseguenze di tipo pensionistico a favore del coniuge superstite.
Insomma, “la libertà di formare una famiglia non può ritenersi concretamente limitata dal ridimen-sionamento di una mera aspettativa, futura ed incerta, come quella di conseguire una pensione di reversibilità. L’istituto della famiglia, costituzionalmente tutelato, ha contenuti e risponde a scopi etico-sociali più pregnanti di quello che sarebbe dato rinvenire in un rapporto istituito con finalità così limitate e ristrette” (Corte cost. 9 gennaio 1975, n. 3 che considerò in ogni caso legittime le restrizioni allora previste per l’accesso alla reversibilità da parte del coniuge che abbia contratto matrimonio con il pensionato).
Più volte la Corte costituzionale si è trovata a precisare i criteri e i principi del giusto bilanciamento tra il diritto a contrarre matrimonio e il diritto al trattamento di reversibilità del coniuge superstite.
Come si vedrà, nel 2011 il legislatore ha reintrodotto – in connessione con l’aumento dei matrimo¬ni soprattutto tra pensionati e badanti – alcune restrizioni agli importi pensionistici di reversibilità fondati su matrimoni considerati “di convenienza” sulla cui legittimità la Corte costituzionale non ha avuto però finora occasione di pronunciarsi. A tale proposito si deve ricordare, però, che nella sentenza n. 3 del 1975 la Corte precisò che “la preminenza della tutela della retribuzione differita non costituisce un principio invalicabile, tale da non consentire in via assoluta alcuna deroga od eventuali adattamenti a particolari situazioni. Infatti, appunto perché, nel caso in esame, il diritto della vedova alla pensione di reversibilità, è da considerarsi un diritto spettante come diritto auto¬nomo, sono ammissibili le condizioni poste dal legislatore, dettate dall’intento cautelativo di ovviare alle frodi presunte, a difesa del pubblico erario. Tale valutazione di contrapposti interessi e del loro con temperamento o prevalenza appartiene alla competenza discrezionale del legislatore e non può costituire motivo di illegittimità ove, come nel caso, siano da escludere motivi arbitrari”.
Ripercorriamo, attraverso alcune tra le sentenze più importanti, il percorso della giurispruden¬za costituzionale sul punto relativo al periodo minimo di matrimonio perché il coniuge super¬stite possa aver diritto alla reversibilità.
a) Corte cost. 9 gennaio 1975, n. 3.
Questa è l’unica sentenza che ritenne ammissibili le restrizioni (epoca delle nozze, limiti di età, durata del matrimonio) che erano originariamente previste per l’accesso alla reversibilità da parte del coniuge che abbia contratto matrimonio con il pensionato.
Come si è sopra detto la legge 15 febbraio 1958 n. 46 (pensioni dei dipendenti civili e militari dello Stato) prevedeva all’art. 11 che la vedova del dipendente civile, impiegato o salariato di ruolo, deceduto dopo aver maturato venti anni di servizio effettivo ha diritto alla pensione di reversibilità quando il matrimonio sia stato contratto prima della cessazione dal servizio.
Ha, inoltre diritto a pensione di reversibilità la vedova del pensionato dello Stato, purché il matri¬monio, qualora sia posteriore alla cessazione del servizio, sia stato contratto dal pensionato prima del compimento del settantaduesimo anno di età [e sia durato almeno due anni (condizione poi esclusa dalla legge 1646/62)] e se la differenza di età fra i coniugi non sia maggiore di anni venti. Si prescinde dalle suddette condizioni qualora il matrimonio sia stato contratto dal pensionato pri¬ma del compimento del sessantacinquesimo anno di età, o qualora dal matrimonio sia nata prole, anche se postuma (comma così sostituito dall’art. 1 della legge 14 maggio 1969, n. 252).
Chiamata a pronunciarsi su questa norma Corte cost. 9 gennaio 1975, n. 3 ritenne legittima l’apposizione delle suddette condizioni che hanno come premessa il riconoscimento, in via di prin¬cipio, che il diritto alla pensione di reversibilità spetti non solo in caso di matrimonio contratto in costanza di servizio, ma anche nel caso di matrimonio contratto in data successiva alla sua cessa¬zione. Trattasi di un principio d’ordine generale, introdotto nella legislazione, qui in esame, sugli ordinamenti della Cassa pensioni per i dipendenti di enti locali, dopo che lo stesso principio aveva informato ed informa la legislazione sulle pensioni a carico dello Stato (Legge n. 46 del 1958 e suc¬cessive modificazioni). Tuttavia, una volta ciò ammesso, non ne deriva necessariamente l’esigenza di un pari trattamento, per entrambe le ipotesi su accennate.
Precisò allora la Corte che la disciplina restrittiva in materia di pensioni di reversibilità dovute alle vedove di ex dipendenti di enti locali ed ex dipendenti statali nel caso che il matrimonio sia stato celebrato dopo il collocamento a riposo, non contrasta con i diritti della famiglia garantiti dall’art. 29 Cost., non potendosi ragionevolmente ritenere che le restrizioni stesse, concernenti l’età massima del pensionato, la differenza minima di età fra i coniugi e la durata minima del ma¬trimonio, agiscano come elemento negativo influente sulla possibilità di contrarre matrimonio. La Corte ritenne perciò allora ammissibili le restrizioni concernenti l’età massima del pensionato, la differenza minima di età fra i coniugi e la durata minima del matrimonio, tutte dettate dall’intento cautelativo di ovviare alle frodi presunte, a difesa del pubblico erario, e la cui valutazione, in rela¬zione al contemperamento o alla prevalenza degli opposti interessi, appartiene alla discrezionalità del legislatore ove, come nel caso, siano da escludere motivi arbitrari.
L’art. 3 Cost. non è informato ad una meccanica uniformità di trattamento riguardo a situazioni che, pur ricollegandosi ad unica matrice, assumano, tuttavia, aspetti da considerare particolari. È l’esame della razionalità o meno della convergenza o della divergenza di trattamento, che giustifica il richiamo alla garanzia dettata dall’art. 3 Cost.
Nel caso, la dedotta illegittimità per la non coincidenza di trattamento pensionistico, non sussiste.
Dai lavori preparatori delle leggi sulle pensioni a carico dello Stato, si evince (e ciò vale, essendone identici i presupposti, anche per le pensioni relative a dipendenti di enti locali) che i criteri limitativi per le pensioni di reversibilità derivanti da matrimoni conclusi da già pensionati, sono stati dettati in via generale, dal legislatore. come remora all’ipotesi, non infrequente, di matrimoni contratti non per naturale affetto, e, quindi, in tal senso sospettabili, sicché le condizioni restrittive, volte a garantire, in qualche modo, la genuinità e la serietà del tardivo coniugio, si risolvono anche nella tutela del pubblico erario contro maliziose e fraudolenti iniziative.
Così riconosciuta, di conseguenza, la ragionevole giustificazione della norma, va esclusa la dedotta violazione dell’art. 3 Cost.
Si assume in secondo luogo, che il restrittivo sistema di legge sopra delineato ostacolerebbe i diritti della famiglia, garantiti dall’art. 29 Cost., primo comma, e, invece di agevolare, contrasterebbe la formazione della famiglia e l’adempimento dei relativi compiti, violando il dettato del seguente articolo 31, primo comma.
La questione non è, però, ritenuta fondata neanche sotto questo punto di vista. Invero – afferma la Corte – la normativa in esame, non riguarda il campo dei diritti e doveri reciproci tra i membri della famiglia, cui è informato l’art. 29 Cost. Nemmeno detta normativa può riconoscersi come elemento negativo influente sulla possibilità di contrarre matrimonio. La libertà di formare una famiglia non può ritenersi concretamente limitata dal ridimensionamento di una mera aspettativa, futura ed incerta, come quella di conseguire una pensione di reversibilità. L’istituto della famiglia, costituzionalmente tutelato, ha contenuti e risponde a scopi etico-sociali più pregnanti di quello che sarebbe dato rinvenire in un rapporto istituito con finalità così limitate e ristrette.
Importante il passaggio in cui la Corte afferma che la preminenza della tutela della retribuzione differita non costituisce un principio invalicabile, tale da non consentire in via assoluta alcuna de¬roga od eventuali adattamenti a particolari situazioni. Infatti, appunto perché, nel caso in esame, il diritto della vedova alla pensione di reversibilità, è da considerarsi un diritto spettante come diritto autonomo, sono ammissibili le condizioni poste dal legislatore, dettate dall’intento cautelativo di ovviare alle frodi presunte, a difesa del pubblico erario.
Tale valutazione di contrapposti interessi e del loro con temperamento o prevalenza appartiene alla competenza discrezionale del legislatore e non può costituire motivo di illegittimità ove, come nel caso, siano da escludere motivi arbitrari.
b) Corte cost. 15 febbraio 1980, n. 15
Con la sentenza in questione la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 6, secondo comma, L. 22 novembre 1962, n. 1646, nella parte in cui, ai fini del trattamento di quiescenza di reversibilità delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro: a) non prevede la rilevanza del matrimonio contratto dal pensionato prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età, prescindendosi in questa ipotesi da ogni altro requisito; b) richiede che il matrimonio, dal quale non sia nata prole, anche postuma, sia stato contratto dal pensionato prima del compimento del settantaduesimo anno di età, e che la differenza di età tra i coniugi non superi gli anni venti, anziché venticinque.
Ha dichiarato inoltre l’illegittimità dell’art. 6, secondo comma, L. 22 novembre 1962, n. 1646, nella parte in cui, ai fini del trattamento di quiescenza di reversibilità delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di previdenza presso il Ministero del tesoro, qualora si tratti di titolare di pensione di privilegio, fermi i restanti requisiti di rilevanza, richiede che il matrimonio, dal quale non sia nata prole, anche postuma, sia stato contratto dal pensionato prima del compimento del settantacin¬quesimo anno di età.
c) Corte cost., 31 maggio 1988, n. 587
Sulla base della premessa della vicenda specifica all’esame della Corte – seccondo cui è illegittimo l’art. 10, settimo comma, della legge 6 agosto 1967, n. 699 (Disciplina dell’Ente “Fondo tratta¬mento quiescenza e assegni straordinari al personale del lotto”) il quale stabilisce che la vedova ha diritto all’assegno di reversibilità a condizione che nel matrimonio, contratto dal dipendente dopo il 65° anno d’età, non sussista una differenza di età tra i coniugi maggiore di anni 20 – la Corte dichiara che sono costituzionalmente illegittimi l’art. 81, 3° comma, d. p. r. 29 dicembre 1973, n. 1092 (norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello stato) e l’art. 6, 2° comma, l. 22 novembre 1962, n. 1646 (modifiche agli ordinamenti degli istituti di previdenza presso il ministero del tesoro) nella parte in cui testualmente escludono il diritto alla pensione di reversibilità in considerazione della differenza di età fra i coniugi superiore ai venticinque anni al momento delle nozze.
Nella decisione si averte che la Corte ha in passato ha deciso nel senso della non fondatezza questioni analoghe, in quanto i profili della rimessione restavano limitati ad una assunta dispa¬rità, peraltro insussistente per la diversità di disciplina, con il rapporto di lavoro privato assi¬stito dall’assicurazione generale obbligatoria per la vecchiaia e i superstiti. Ma per i trattamenti pubblici e assimilati, in ordine a disposizioni limitative della reversibilità contenute nelle varie inerenti normative, la Corte ha già tratto convincimento della irrazionalità di restrizioni a mero fondamento naturalistico con conseguente esigenza di una necessita di parificazione, sul punto, dei sistemi pensionistici stessi. Ed e da considerare che il potere legiferante dello Stato non può certo spingersi sino a incidere nella sfera personale di chi si sia risolto a contrarre il vincolo familiare, così comprimendo valori costituzionalmente protetti (sent. n. 15 del 1980 e sent. n. 73 del 1987).
d) Corte cost. 2 aprile 1999, n. 110
È costituzionalmente illegittimo – per contrasto con gli art. 3, 29, 31, 38 cost. – l’art. 21, comma 1, n. 2, l. 29 ottobre 1971 n. 889, recante norme in materia di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di trasporto, nella parte in cui preclude la concessione della pensione di reversibilità in favo¬re del coniuge allorquando il matrimonio, contratto dal pensionato in età superiore ai settantadue anni, sia durato meno di due anni.
e) Corte cost. 13 giugno 2000, n. 187
È costituzionalmente illegittimo, per lesione dell’art. 3 della Costituzione, l’art. 22, sesto comma, della legge 18 agosto 1962, n. 1357, nella parte in cui esclude il diritto alla pensione di rever¬sibilità in favore del coniuge del veterinario, che abbia contratto matrimonio successivamente al pensionamento dell’assicurato, in quanto, alla stregua di un principio generale – già affermato dalla giurisprudenza costituzionale anteriore e recepito dalle leggi – il diritto in questione non può es¬sere subordinato alla durata minima del vincolo matrimoniale né limitato immotivatamente. Resta assorbito l’ulteriore profilo.
Ricorda la Corte che sin dalla sentenza n. 3 del 1975 questa Corte ha affermato che costituisce un principio generale del nostro ordinamento la spettanza della pensione di reversibilità anche al coniuge che abbia contratto matrimonio dopo il pensionamento dell’assicurato. A quella pronuncia la Corte si è sempre attenuta, dichiarando la illegittimità costituzionale d’una serie di norme che, nelle ipotesi di matrimonio posteriore alla quiescenza, subordinavano il diritto alla reversibilità a una durata minima del vincolo (sent. n. 110 del 1999, sent. n. 162 del 1994, sent. n. 1 del 1992, sent. n. 450 del 1991 e sent. n. 189 del 1991, sent. n. 123 del 1990); e ciò sul presupposto che norme siffatte, sebbene indirettamente, ledevano il diritto di libertà matrimoniale.
Tali principi sono stati recepiti dal legislatore che – nei più recenti provvedimenti in materia pre¬videnziale, fra i quali la citata legge n. 136 del 1991 – ha evitato di far dipendere il diritto alla pensione di reversibilità da una durata minima del matrimonio. Onde la illegittimità costituzionale, per lesione dell’art. 3 della Costituzione, di quella norma – com’è nel caso di specie – che limiti immotivatamente il diritto al trattamento di reversibilità in favore del coniuge, il quale abbia con¬tratto matrimonio in seguito al pensionamento dell’assicurato. Né ha pregio, per quanto qui rileva, la circostanza secondo cui il matrimonio possa essere contratto da persona in età avanzata al solo fine di far conseguire al coniuge il beneficio della reversibilità, trattandosi di una circostanza di mero fatto.
2. Matrimoni “di convenienza”. Le restrizioni operative dal 1°gennaio 2012.
L’art. 18, co 5, del Decreto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), ha disposto restrizioni agli importi della pensione di reversibilità in relazione alla durata minima del matrimonio contratto dal pensionato.
Il comma 5 dell’art. 18 prevede quanto segue.
“Con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione ge¬nerale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matrimonio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10. Nei casi di frazione di anno la predetta riduzione percentuale è proporzionalmente rideterminata. Le disposizioni di cui al presente comma non si applicano nei casi di presenza di figli di minore età, studenti, ovvero inabili. Resta fermo il regime di cumulabilità disciplinato dall’articolo 1, comma 41, della predetta legge n. 335 del 1995”.
La normativa è diretta a limitare i matrimoni di convenienza fra persone con notevole differenza di età che potrebbero indursi a sposarsi allo scopo principale di “ereditare” la pensione.
Il costo sociale di un reddito vitalizio ha spinto alcuni sistemi previdenziali a limitare tale pratica introducendo requisiti di età.
La manovra economica del 2011 ha introdotto con decorrenza dal 1° gennaio 2012 un limite pen¬sionistico di reversibilità nei matrimoni cosiddetti “di convenienza” [collegati anche all’aumento dei matrimoni delle persone anziane con le proprie badanti] e ha previsto che nell’ipotesi in cui un pensionato abbia contratto matrimonio dopo i 70 anni con una persona molto più giovane (uno scarto di età di almeno 20 anni tra i coniugi), l’aliquota della pensione di reversibilità è ridotta del 10% per ogni anno di matrimonio che manca per arrivare ai dieci anni di durata. Oltre dieci anni di durata la pensione di reversibilità viene erogata per intero.
Quindi se vi è uno scarto di età inferiore ai venti anni la reversibilità è sempre ammessa e la pen¬sione è piena. Se vi è, invece, uno scarto superiore ai 20 anni di età tra i due sposi e il coniuge più anziano supera i 70 anni (es. 50 anni lei e 71 anni lui) la reversibilità è ridotta del 10% per ogni anno mancante rispetto ai dieci. Se la morte cioè interviene al primo anno di matrimonio la reversibilità è ridotta del 90%; se interviene al settimo anno di matrimonio la reversibilità è ridotta del 30% e così via.
Le uniche eccezioni a tali tagli sono la presenza di figli minori, studenti o disabili.
Perché rimanga il diritto alla piena reversibilità, quindi, alla morte del coniuge devono esservi figli comuni (ancora minorenni, studenti o disabili) oppure il matrimonio deve aver avuto una durata superiore ai 10 anni. In caso contrario l’assegno mensile viene decurtato del 10% per ogni anno mancante rispetto ai 10.
3. La sentenza della Corte cost. 14 luglio 2016, n. 174
L’art. 18, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizza¬zione finanziaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, n. 111, sopra esaminato, non ha avuto vita lunga.
Nel 2014 la sezione giurisdizionale per la Regione Lazio della Corte dei conti ha sollevato que¬stione di legittimità costituzionale della norma, esponendo di essere stato chiamato a decidere sulla domanda di un coniuge superstite di un titolare di pensione diretta, che aveva chiesto il riconoscimento del diritto di percepire la pensione di reversibilità, senza la decurtazione percen¬tuale sancita dalla disposizione in questione ed evidenziava che la disposizione “non si presta a un’interpretazione compatibile con il dettato costituzionale” presentandosi in contrasto con l’art. 29 Cost., “in quanto le decurtazioni previste dalla legge pregiudicano la possibilità di condurre una vita dignitosa dopo la morte del coniuge e violano così la libertà di compiere scelte personali in àmbito familiare”.
Sia l’INPS che la Presidenza del consiglio dei ministri chiedevano di dichiarare inammissibile o co¬munque infondata la questione di legittimità costituzionale.
La Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale la disposizione in questione (Corte cost. 14 luglio 2016, n. 174) precisando che l’ordinamento configura la pensione di reversibilità come «una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime con¬dizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3, secondo comma, della Costituzione) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (art. 38, secondo comma, della Costituzione) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, primo comma, della Costituzione)» (sentenza n. 286 del 1987, punto 3.2. del Considerato in diritto). In virtù di tale connotazione previdenziale, il trattamento di reversibilità si colloca nell’alveo degli artt. 36, primo comma, e 38, secondo comma, della Carta fondamentale, che prescrivono l’adeguatezza della pensione quale retribuzione differita e l’idoneità della stessa a garantire un’esistenza libera e dignitosa.
Nella pensione di reversibilità erogata al coniuge superstite, la finalità previdenziale si raccorda a un peculiare fondamento solidaristico. Tale prestazione, difatti, mira a tutelare la continuità del sostentamento (sentenza n. 777 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto) e a prevenire lo stato di bisogno che può derivare dalla morte del coniuge (sentenze n. 18 del 1998, punto 5. del Considerato in diritto, e n. 926 del 1988, punto 2. del Considerato in diritto).
Il perdurare del vincolo di solidarietà coniugale, che proietta la sua forza cogente anche nel tempo successivo alla morte, assume queste precise caratteristiche, avallate da plurimi princìpi costitu¬zionali (sentenze n. 419 del 1999, punto 2.1. del Considerato in diritto, e n. 70 del 1999, punto 3. del Considerato in diritto).
Lo stesso fondamento solidaristico, che il legislatore è chiamato a specificare e a modulare nelle multiformi situazioni meritevoli di tutela, in modo coerente con i princìpi di eguaglianza e ragio¬nevolezza, permea l’istituto anche nelle sue applicazioni più recenti alle unioni civili, in forza della clausola generale dell’art. 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze).
In un àmbito che interseca scelte eminentemente personali e libertà intangibili, i princìpi di egua¬glianza e ragionevolezza rivestono un ruolo cruciale nell’orientare l’intervento del legislatore. Quest’ultimo, vincolato a garantire un’adeguata tutela previdenziale, per un verso non deve inter¬ferire con le determinazioni dei singoli che, anche in età avanzata, ricercano una piena realizzazio¬ne della propria sfera affettiva e, per altro verso, è chiamato a realizzare un equilibrato contem¬peramento di molteplici fattori rilevanti, allo scopo di garantire l’assetto del sistema previdenziale globalmente inteso.
Nel contesto di tali fattori, alla direttrice già tracciata dalla disciplina di cui all’art. 1, comma 41, della legge 8 agosto 1995, n. 335 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complemen¬tare), che riduce percentualmente l’ammontare del trattamento di reversibilità nell’ipotesi di con¬corso di più beneficiari e di cumulo dei redditi, si potrebbe affiancare il complementare criterio selettivo dell’età del coniuge beneficiario, sperimentato in altri ordinamenti, anche allo scopo di contenimento delle erogazioni previdenziali, come si evince dalle note informative sintetiche ela¬borate, nel corso del dibattito parlamentare, dall’Ufficio legislazione straniera del Servizio Bibliote¬ca della Camera dei deputati (XVI Legislatura, Atto Camera n. 1847 e abb.).
Nonostante i temperamenti che il sistema previdenziale predispone, la disposizione impugnata si rivela disarmonica rispetto ai princìpi costituzionali enunciati.
La ratio della misura restrittiva risiede nella presunzione che i matrimoni contratti da chi abbia più di settant’anni con una persona di vent’anni più giovane traggano origine dall’intento di frodare le ragioni dell’erario, quando non vi siano figli minori, studenti o inabili. Si tratta di una presunzione di frode alla legge, connotata in termini assoluti, che preclude ogni prova contraria. La sua ampia valenza lascia trasparire l’intrinseca irragionevolezza della disposizione impugnata. Pur di accen¬tuare la repressione di illeciti, già sanzionati dall’ordinamento con previsioni mirate (sentenze n. 245 del 2011, punto 3.1. del Considerato in diritto, e n. 123 del 1990, punto 2. del Considerato in diritto), si enfatizza la patologia del fenomeno, partendo dal presupposto di una genesi immanca¬bilmente fraudolenta del matrimonio tardivo.
Si tratta, a ben vedere, di un presupposto di valore, sotteso anche a precedenti discipline restrit¬tive, fortemente dissonante rispetto all’evoluzione del costume sociale. Il non trascurabile cam¬biamento di abitudini e propensioni collegate a scelte personali emerge nitidamente dalla costante giurisprudenza di questa Corte, che prende in esame disposizioni dal contenuto affine, volte a negare il diritto alla pensione di reversibilità nell’ipotesi di matrimonio durato meno di due anni, celebrato dopo la cessazione dal servizio e dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di età (sentenza n. 123 del 1990) o di matrimonio celebrato dopo il sessantacinquesimo anno di età, a fronte di una differenza di età superiore a vent’anni (sentenza n. 587 del 1988).
Nell’attribuire rilievo all’età del coniuge titolare di trattamento pensionistico diretto al momento del matrimonio e alla differenza di età tra i coniugi, la disposizione in esame introduce una regolamen¬tazione irragionevole, incoerente con il fondamento solidaristico della pensione di reversibilità, che ne determina la finalità previdenziale, presidiata dagli artt. 36 e 38 Cost. e ancorata dal legislatore a presupposti rigorosi. Una tale irragionevolezza diviene ancora più marcata, se si tiene conto dell’ormai riscontrato allungamento dell’aspettativa di vita.
La disposizione opera a danno del solo coniuge superstite più giovane e si applica esclusivamente nell’ipotesi di una considerevole differenza di età tra i coniugi. Si conferisce, in tal modo, rilievo a restrizioni «a mero fondamento naturalistico» (sentenza n. 587 del 1988, punto 2. del Consi¬derato in diritto), che la giurisprudenza di questa Corte ha già ritenuto estranee «all’essenza e ai fini del vincolo coniugale», con peculiare riguardo all’età avanzata del contraente e alla durata del matrimonio (sentenza n. 110 del 1999, punto 2. del Considerato in diritto).
L’esclusione dell’operatività delle norme che, in presenza di figli, limitano l’erogazione della pensio¬ne di reversibilità, non attenua i profili di contrasto con i princìpi di eguaglianza e di ragionevolez¬za. Difatti, essa non è valsa a fugare i dubbi di legittimità costituzionale in altri casi già scrutinati da questa Corte, con riguardo alla disciplina delle pensioni erogate alle vedove di guerra (sentenze n. 162 del 1994 e n. 450 del 1991), che condizionava il diritto alla durata annuale del matrimonio o alla presenza di prole, ancorché postuma.
Il vulnus ai diritti previdenziali del coniuge superstite appare ancor più evidente in una normativa che subordina tali diritti alla circostanza, del tutto accidentale ed eccentrica rispetto alla primaria finalità di protezione del coniuge, che vi siano figli minori, studenti o inabili all’epoca del sorgere del diritto del coniuge. Per i figli, peraltro, la disciplina delle pensioni di reversibilità appresta una tutela autonoma, che interagisce con la normativa indirizzata ai coniugi ai limitati effetti della già citata disciplina del “cumulo”. Questo dato serve a confermare l’equilibrato intento solidaristico che ha, già da qualche tempo, ispirato il legislatore.
Neppure la peculiarità del meccanismo congegnato nel 2011, che commisura l’ammontare della pensione di reversibilità alla durata del matrimonio, senza escludere in radice il diritto a beneficiare di tale prestazione, rappresenta un significativo elemento di discontinuità tra la misura censurata e le disposizioni già dichiarate incostituzionali da questa Corte, dapprima sulla scorta di un’analisi puntuale della disparità di trattamento tra le diverse categorie dei beneficiari (sentenze n. 15 del 1980 e n. 139 del 1979) e, nell’evoluzione successiva, sul presupposto della «ingiustificata irraziona¬lità» di discipline restrittive ancorate a elementi di matrice naturalistica (sentenza n. 587 del 1988, battistrada di una giurisprudenza costante, rappresentata dalle sentenze n. 447 del 2001, n. 187 del 2000, n. 110 del 1999, n. 162 del 1994, n. 1 del 1992, n. 450 e n. 189 del 1991, e n. 123 del 1990).
Quando la durata del matrimonio sia inferiore all’anno, la correlazione tra l’ammontare della pen¬sione di reversibilità e la durata del matrimonio azzera il trattamento previdenziale: il meccani¬smo di riduzione, concepito in termini graduali dal legislatore, si risolve in una esclusione pura e semplice del diritto, che non differisce dalle ipotesi sottoposte alla disamina di questa Corte nelle pronunce appena ricordate.
L’antitesi con i princìpi di eguaglianza e ragionevolezza non è meno stridente, quando la durata del matrimonio valga a proporzionare il trattamento di reversibilità corrisposto al coniuge, e non a disconoscerlo del tutto. La pregnanza del vincolo di solidarietà coniugale, fondamento della pen¬sione di reversibilità, è graduata in rapporto all’elemento, contingente ed estrinseco, della durata del matrimonio.
Peraltro, il nesso tra durata del matrimonio e ammontare della pensione di reversibilità non si correla a una previsione generale e astratta, eventualmente incentrata su un requisito minimo di convivenza, valido per tutte le ipotesi.
Tale nesso, articolato nei termini singolari di un progressivo incremento dell’importo della pensione al protrarsi del matrimonio, riguarda la sola ipotesi in cui il matrimonio sia scelto da chi ha già compiuto i settant’anni di età e la differenza di età tra i coniugi travalichi i vent’anni.
Il rilievo peculiare della durata del matrimonio, nella sola ipotesi regolata dalla disciplina in esame, ne palesa – da altra e ugualmente pregnante angolazione – il contrasto già segnalato con l’art. 3 Cost.
Non può essere invocata, in chiave comparativa, la disciplina dell’attribuzione della pensione di reversibilità ai coniugi divorziati (art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, recante «Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio» e successive modificazioni).
In tale fattispecie, la durata non rileva in senso assoluto e astratto, ma come ragionevole criterio per suddividere la pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato, titolare del diritto all’assegno divorzile a carico del coniuge scomparso, e altri coniugi superstiti. La durata del matrimonio, infatti, non si riverbera sull’ammontare della pensione di reversibilità, complessivamente attribuito, ma viene in rilievo soltanto nella ripartizione dell’intero tra una pluralità di aventi diritto.
Dalle considerazioni svolte, discende la fondatezza della questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 Cost.
III Separazione con addebito e pensione di reversibilità
Si esamina ora il cammino della giurisprudenza in ordine al problema se il coniuge separato con addebito abbia diritto, e in che limiti, alla pensione di reversibilità. Fermo il principio che il coniuge separato ha sempre diritto alla reversibilità, il problema concerne l’estensione o meno del principio anche al coniuge separato con addebito.
Occorre dire che il problema ha perso nel tempo molto di importanza per il forte decremento del pronunce di addebito nelle separazioni, ma soprattutto per l’aumento dei divorzi e la riduzione dei tempi per divorziare. In giurisprudenza ormai sono rarissime le decisioni che si occupano del rapporto tra addebito della separazione e pensione di reversibilità, mentre, al contrario, sono mol¬tissime e in continuo aumento le sentenze che si occupano dei presupposti per l’accesso alla re¬versibilità del vedovo divorziato e, soprattutto, della ripartizione della reversibilità tra coniuge su¬perstite ed ex coniuge. In sintesi la portata degli interventi giurisprudenziali in materia di pensione di reversibilità in caso di scissione coniugale si è di molto ridotta nel tempo sia per il decremento delle pronunce di addebito che per la maggiore accessibilità al divorzio nel quale la reversibilità è assicurata per legge, come si vedrà, al solo coniuge (o ex coniuge) titolare di assegno divorzile.
Ciò premesso, sul punto dei rapporti separazione con addebito e pensione di reversibilità, si deve dare atto di una singolare situazione che si è determinata in seguito agli orientamenti della Cor¬te costituzione e di quelli della Sezione lavoro della Corte di cassazione. In particolare la Corte costituzionale si è nel tempo orientata nel dichiarare senz’altro la illegittimità di tutte le norme che negano la pensione di reversibilità al coniuge separato con addebito titolare di un assegno alimentare (ex art. 156, terzo comma, c.c.: “resta fermo l’obbligo di prestare gli alimenti…”). La sezione lavoro della Corte di cassazione è andata oltre rispetto a questa posizione e si è ormai orientata con decisione a prevedere ogni caso il diritto alla pensione di reversibilità a prescindere dal godimento di un assegno alimentare.
Nei precedenti di merito editi si riconosce il diritto alla pensione di reversibilità solo se il coniuge separato con addebito gode dell’assegno alimentare (Trib. Ivrea, 22 aprile 2010, Trib. Forlì 15 dicembre 2010).
a) L’orientamento della Corte costituzionale
Si possono prendere in considerazione alcune tra le più importanti decisioni della Corte costitu¬zionale che si sono occupate di questo aspetto: Corte cost. 15 febbraio 1980, n. 14; Corte cost. 28 luglio 1987, n. 286; Corte cost. 3 novembre 1988, n. 1009; Corte cost. 27 luglio 1989, n. 450; Corte cost. 28 luglio 1993, n. 346; Corte cost. 30 luglio 1997, n. 284. Salvo la prima che ritenne legittima l’esclusione della pensione di reversibilità per il coniuge separato con addebito tutte le altre indicate hanno dichiarato l’incostituzionalità dell’esclusione se riferita al coniuge separato con addebito ma con diritto agli alimenti. Nelle decisioni in questione si riconduce questa conclusione alla necessaria solidarietà che si realizza quando il bisogno colpisce i lavoratori ed i loro familiari per i quali non può prescindersi dalla necessaria ricorrenza dello stato di bisogno, che si si pone come presupposto del trattamento.
Corte cost. 15 febbraio 1980, n. 14 dichiarò legittimi l’art. 1 del decreto legislativo 18 gennaio 1945, n. 39 e l’art. 24 della legge 18 agosto 1962 che negavano l’attribuzione della reversibilità al coniuge separato per colpa. La pensione di reversibilità – disse la Corte – ha carattere e contenuto diversi dai mezzi assistenziali e previdenziali previsti nell’art. 38 Cost. con riguardo vuoi ad ogni cittadino inabile al lavoro e indigente, vuoi al lavoratore in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, mentre la tutela del nucleo familiare resta affidata alla legge ordinaria. L’esclusione del coniuge separato per sua colpa dal diritto alla pensione di reversibilità si spiega nel sistema della legge, poiché il legislatore ha giudicato che vi sia, in questa ipotesi, un più pronunciato allentamento del vincolo matrimoniale, con disaffezione ed estraneità alla vita e all’atti¬vità lavorativa del coniuge deceduto. Né è esatto, come sostiene il giudice “a quo”, che, a differenza del coniuge separato per colpa, quello cui la separazione viene addebitata ai sensi del nuovo testo dell’art. 151 cod. civ., abbia diritto alla pensione di reversibilità. La declaratoria del giudice di adde¬bitabilità della separazione ad uno dei coniugi priva, tra l’altro, costui del diritto al mantenimento, come accadeva per il coniuge colpevole nella disciplina previgente. Permane, pertanto, una razionale giustificazione per differenziare il trattamento del coniuge superstite, secondo che nei suoi confronti sia intervenuta, o no, la dichiarazione di addebitabilità (Corte cost. 15 febbraio 1980, n. 14).
Successivamente questa conclusione fu rimeditata e le disposizioni che escludevano la reversibili¬tà in caso di addebito vennero via via dichiarate incostituzionali limitatamente ai casi di addebito senza assegno alimentare, come è molto chiaro soprattutto dalla motivazione di tutte le decisioni più che dai dispositivi.
Corte cost., 3 novembre 1988, n. 1009 affermò che tra la posizione del coniuge divorziato che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5 della legge n. 898 del 1970 e la posizione del coniuge separato con addebito, che sia titolare dell’assegno alimentare di cui all’art. 156, terzo comma, cod. civ., si può ragionevolmente riconoscere una analogia, la quale comporta che pure al secondo, come al primo, debba essere attribuito il diritto alla pensione di reversibilità; trattamento che va comunque riconosciuto, una volta cessata la rilevanza della colpa quale fondamento della sepa¬razione (a seguito della riforma introdotta dalla legge n. 151 del 1975), in ragione dell’esigenza (costituzionale) di tutela previdenziale del lavoratore e dei suoi familiari sancita dall’art. 38 della Costituzione. Pertanto è costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., l’art. 20 della legge 2 febbraio 1973, n. 12, primo comma, lett. a), in materia di previdenza e as¬sistenza degli agenti e dei rappresentanti di commercio, nella parte in cui esclude dal diritto alla pensione di reversibilità il coniuge superstite quando “sia stata pronunciata sentenza di separazio¬ne legale per colpa dello stesso”.
Corte cost. 28 luglio 1987, n. 286 – una delle sentenze più importanti in materia della Corte costituzionale – chiarì che la pensione di reversibilità costituisce, tanto nel settore privato che in quello pubblico, una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il persegui¬mento dell’interesse a liberare ogni cittadino dal bisogno ed a garantire quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3, comma secondo, Cost.), con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (art. 38, comma secondo, Cost.) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, comma primo, Cost.). Pertanto sono costituzionalmente illegittimi, in riferimento agli art. 3 e 38 cost.: le norme che escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato.
Nel dispositivo non si fa menzione del presupposto costituito dal godimento dell’assegno alimentare ma nella motivazione questo è molto evidente come è provato anche solo dal passaggio in cui la Corte rimprovera il legislatore che “non aveva accolto l’invito, rivoltogli con la decisione n. 14 del 1980, di provvedere con apposita norma a soddisfare l’esigenza, anche allora considerata giusta, di attribuire ed coniuge del lavoratore privato, separato per colpa, e poi con addebito della separa¬zione, una pensione o una quota di pensione di reversibilità condizionata allo stato di bisogno, e ciò specialmente quando vi sia il riconoscimento in suo favore del diritto agli alimenti”.
A maggiore specificazione di quanto genericamente rilevato, si osserva che la pensione di re¬versibilità, appartenente al più ampio “genus” delle pensioni ai superstiti, è una forma di tutela previdenziale nella quale l’evento protetto è la morte, cioè, un fatto naturale che, secondo una presunzione legislativa, crea una situazione di bisogno per i familiari del defunto, i quali sono i soggetti protetti.
La disciplina, in un primo momento, è stata diversa per i soggetti del rapporto pubblico e per i lavoratori del settore privato.
Per gli uni la pensione era ritenuta dovuta per effetto della continuazione del rapporto di impiego; per gli altri conseguiva alla continuazione delle contribuzioni e la sua erogazione si giustificava come corrispettivo dei contributi versati da parte degli stessi lavoratori e dei datori di lavoro per l’attività di lavoro, che poteva essere stata anche discontinua e svolta alle dipendenze di diversi datori di lavoro.
In un primo momento, per il settore privato, la pensione di reversibilità è stata riconosciuta solo ad alcune categorie che erano in grado di sostenerne il costo; successivamente è stata generalizzata.
L’evoluzione legislativa ha dato, poi, al trattamento di cui si discute, un fondamento diverso dal precedente e sostanzialmente identico per i due settori, pubblico e privato.
La si considera, ormai, come una forma di tutela previdenziale ed uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno ed alla garanzia di quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento dei diritti civili e politici (art. 3, comma secondo, Cost.) con una riserva, costituzionalmente rico¬nosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale (art. 38, comma secondo, Cost.) rispetto alla generalità dei cittadini (art. 38, comma primo, Cost.). Della solidarietà generale, in definitiva, fa parte quella solidarietà che si realizza quando il bisogno colpisce i lavoratori ed i loro familiari per i quali, però, non può prescindersi dalla necessaria ricorrenza dei due requisiti della vivenza a carico e dello stato di bisogno, i quali si pongono come presupposti del trattamento, così come ha ritenuto anche questa Corte (sent. n. 6 del 1980 e sent. n. 7 del 1980).
Per effetto della morte del lavoratore, la situazione pregressa della vivenza a carico subisce inter¬ruzione, ma il trattamento di reversibilità realizza la garanzia della continuità del sostentamento ai superstiti.
Questa stessa Corte ha riconosciuto (sent. n. 213 del 1985) anche all’indennità di buonuscita la stessa funzione previdenziale, con l’esigenza della ricorrenza dei suddetti presupposti, e l’ha rite¬nuta spettante anche al coniuge separato per colpa o con addebito della separazione, parificando le due situazioni, quella della separazione per colpa, precedente alla riforma del diritto di famiglia, e quella della separazione con addebito nell’attuale regime.
Pertanto, le norme censurate non solo non sono state abrogate a seguito della modifica operata dal nuovo regime con l’introduzione dell’istituto della separazione con addebito, ma esse trovano applicazione anche in danno del coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata la separazione con addebito.
Si ribadisce che la nozione di famiglia, presa in considerazione dal regime generale previdenziale e da quello specifico del settore di cui ci si occupa, non è quella ristretta alla famiglia che si costitui¬sce con il matrimonio, con i vincoli di consanguineità e di affinità. La tutela previdenziale riguarda anche quei rapporti assistenziali che si atteggiano in modo simile a quelli familiari a condizione che il lavoratore defunto provvedesse in vita, in via non occasionale, al sostentamento di soggetti clas¬sificabili come “familiari”. Si comprendono nella famiglia “previdenziale” anche le persone legate da vincoli di affiliazione e di adozione, i figli legalmente riconosciuti o legalmente dichiarati, i figli natu¬rali ed anche i fratelli celibi e le sorelle inabili al lavoro. Non si richiede essenzialmente nemmeno la convivenza. Invero la convivenza non esclude la possibile autonomia socio-economica del soggetto che, pertanto, non beneficia del trattamento previdenziale, mentre la mancanza di convivenza non esclude anche la sopportazione del carico. Quello che si richiede è proprio quest’ultima condizione, intendendosi per “vivenza a carico” la cura del sostentamento del “familiare” in modo continuativo e non occasionale, in adempimento di uno specifico obbligo giuridico o di un mero dovere.
Ora, proprio i suddetti principi hanno ispirato quelle norme che nel settore pubblico assicurano anche al coniuge separato per colpa ed in stato di bisogno una quota della pensione di reversibilità del coniuge defunto; hanno determinato la previsione legale, a favore del coniuge divorziato, di un assegno la cui entità è determinata proprio tenendosi conto, oltre che del contributo dato alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio, dello stato di bisogno e delle condizioni economiche nonché della responsabilità per la rottura del matrimonio.
Invero, l’assegno ha una natura complessa ma esso oltre che risarcitorio ed indennitario è anche as-sistenziale.
Nel caso della morte dell’ex coniuge pensionato, a carico del quale sussisteva l’obbligo della som-ministrazione dell’assegno, ai sensi dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970, si è specificamente pre¬visto (art. 9 della legge n. 898 del 1970 stessa nel testo novellato dalla legge n. 436 del 1978 ed ora dalla legge n. 74 del 1987), a favore dell’altro ex coniuge, non passato a nuove nozze, titolare ancora del suddetto assegno, privo di mezzi adeguati e non in grado di procurarseli per ragioni oggettive, e sempre che abbia i requisiti per la pensione di reversibilità, l’attribuzione dell’intera pensione o di una parte di essa, se non concorre con l’altro coniuge o con i figli, o altrimenti di una parte della stessa, tenuto conto, tra l’altro, anche della durata del rapporto matrimoniale.
I detti trattamenti si giustificano anche con il riferimento a quella particolare solidarietà che si crea tra persone già legate dal vincolo del coniugio e che può continuare ad avere effetti rilevanti anche dopo lo scioglimento del matrimonio, proprio per la lata nozione di famiglia.
È, quindi, evidente che le norme censurate, le quali escludono dall’attribuzione della pensione di reversibilità, in tutto o in parte, il coniuge separato per colpa o con addebito della separazione, contrastano con i precetti costituzionali invocati (artt. 3 e 38 Cost.) e creano un’evidente dispari¬tà di trattamento sia rispetto al coniuge divorziato sia rispetto al coniuge del dipendente statale. Pertanto si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale delle norme censurate nella parte in cui escludono dall’erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato.
Con la terza sentenza che si segnala (Corte cost. 27 luglio 1989, n. 450) la Corte precisa che il diritto compete solo a chi è separato con addebito ma con assegno alimentare.
La sentenza afferma testualmente infatti – stavolta anche nel dispositivo – dapprima che è in-costituzionale l’art. 31, 1° comma, lett. a), l. 13 luglio 1965, n. 859 (norme di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea), nella parte in cui esclude dal diritto a pensione di reversibilità anche il coniuge superstite separato per sua colpa, o al quale la separa¬zione è stata addebitata, con sentenza passata in giudicato, che aveva diritto agli alimenti verso il coniuge deceduto. Ed inoltre, in applicazione dell’art. 27, l. 11 marzo 1953, n. 87, è dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, 1° comma, n. 1, l. 4 dicembre 1956, n. 1450, modificato dall’art. 4, l. 13 luglio 1967, n. 583 (miglioramenti del trattamento posto a carico del fondo specia¬le di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia); dell’art. 21, 1° comma, n. 1, l. 29 ottobre 1971, n. 889 (norme in materia di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di trasporto); dell’art. 21, 1° comma, lett. a), l. 23 novembre 1971, n. 1100 (istituzione di un ente di previdenza ed assistenza a favore dei consulenti del lavoro); dell’art. 5, 1° comma, n. 1, l. 1° luglio 1975, n. 296 (modifiche al trattamento pensionistico del fondo speciale degli addetti alle abolite imposte di consumo), nella parte in cui escludono dal diritto a pensione di reversibilità anche il co¬niuge superstite separato per sua colpa, o al quale la separazione è stata addebitata, con sentenza passata in giudicato, che aveva diritto agli alimenti verso il coniuge deceduto.
Corte cost., 28 luglio 1993, n. 346 precisò che la normativa risultante quale effetto delle pro¬nunce di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 38 Cost., (sent. n. 286 del 1987, sent. n. 1009 del 1988 e sent. n. 450 del 1989) di diverse disposizioni di legge, (concernenti dipen¬denti del settore privato soggetti a regimi previdenziali collegati all’I.N.P.S., ed alcune categorie di lavoratori autonomi) che negavano il diritto alla pensione di reversibilità al coniuge superstite se¬parato per propria colpa (o con addebito) ancorché questi risultasse titolare di diritto agli alimenti a carico del coniuge defunto, costituisce un “tertium comparationis” ineludibile nella decisione da adottare sulla questione di legittimità costituzionale sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., riguar¬do alle pensioni per gli impiegati degli enti locali, nei confronti dell’analogo combinato disposto dell’art. 38, primo comma, del R.D.L. 3 marzo 1938, n. 680 e dell’art. 7, secondo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646. Né rileva in contrario che, mentre le disposizioni riconosciute illegittime con le su citate sentenze escludevano del tutto il trattamento pensionistico del coniuge separato per propria colpa, in quelle ora impugnate è invece prevista, in uno con la esclusione del diritto a pensione, la spettanza di un assegno alimentare pari al venti per cento della pensione diretta, trattandosi pur sempre, anche in questi casi, di vedove separate per colpa o con addebito che godevano già di assegno alimentare a carico del defunto coniuge, e dovendosi ritenere costitu¬zionalmente necessario, nella contrapposizione delle due discipline, accordare prevalenza, rispetto agli elementi di differenziazione, ai più consistenti aspetti di assimilazione. Pertanto il combinato disposto degli artt. 38, primo comma, del regio D.L. 3 marzo 1938, n. 680, e 7, secondo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646, deve essere dichiarato illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui esclude il diritto a pensione a favore della vedova di impiegato iscritto alla C.P.D.E.L., che sia separata legalmente con sentenza passata in giudicato pronunciata per di lei colpa, allorché a questa fosse stato riconosciuto il diritto agli alimenti verso il coniuge deceduto, attribuendo alla stessa soltanto il diritto alla corresponsione di un assegno alimentare ove sussista lo stato di bisogno.
E infine Corte cost. 30 luglio 1997, n. 284 chiarì che in funzione della natura previdenziale della pensione di reversibilità, contrasta con gli art. 3 e 38 cost. l’art. 81 comma 4 T.U. 29 dicembre 1973 n. 1092, nella parte in cui esclude il diritto di tale pensione in favore della vedova alla cui col¬pa sia stata addebitata con sentenza passata in giudicato la separazione, allorché ad essa spettava il diritto agli alimenti da parte del coniuge successivamente deceduto.
Per meglio comprendere il significato della sentenza indicata, si ricorda che il DPR 29 dicembre 1973 n. 1092 sul trattamento di quiescenza dei dipendenti statali all’art. 81 comma 4, prescrive che “La pensione non spetta alla vedova quando sia stata pronunciata sentenza, passata in giudicato, di separazione personale per sua colpa; in tal caso, ove sussista lo stato di bisogno, è corrisposto alla vedova un assegno alimentare”. L’art. 88 al 4° e 5° comma prevede che “L’assegno alimentare previsto per il coniuge superstite nel caso di separazione legale è pari al 20 per cento della pensione diretta”. La Corte ha quindi voluto ribadire che la pensione di reversibilità intera spetta alla vedova separata con addebito allorché gode di un assegno alimentare.
Come si vede, quindi, l’orientamento della Corte costituzionale si è molto chiaramente precisato nel tempo come tendente a garantire anche al coniuge separato con addebito la pensione di re¬versibilità se ed in quanto, godeva del trattamento alimentare di separazione cui fa riferimento il terzo comma dell’art. 156 del codice civile.
b) L’orientamento della Corte di cassazione
La sezione lavoro della Corte di cassazione si è mossa, invece, in una direzione di consapevole su-peramento dell’orientamento della Corte costituzionale. Mentre la Corte costituzionale dichiarava la illegittimità di quelle norme che negavano l’accesso alla pensione di reversibilità al coniuge separato con addebito che godeva di un assegno alimentare (lasciando così privo del trattamento di reversi¬bilità solo il coniuge senza assegno alimentare e quindi che non si trova in condizione di bisogno) la Cassazione sviluppava (che è giudice di legittimità sia delle corti di merito ordinarie che della Corte dei conti) un orientamento che garantisce la pensione di reversibilità in ogni caso al coniuge (anche separato con addebito e senza assegno alimentare). Si è già segnalato, in ogni caso, che la portata di questi interventi giurisprudenziali si è di molto ridotta nel tempo sia per il decremento delle pro¬nunce di addebito che per la maggiore accessibilità al divorzio nel quale la reversibilità è assicurata per legge, come si vedrà, al solo coniuge (o ex coniuge) titolare di assegno divorzile.
L’orientamento in questione è stato inaugurato da Cass. civ. Sez. lavoro, 16 ottobre 2003, n. 15516 la cui massima ufficiale è la seguente: Il coniuge separato per colpa, o al quale la separa¬zione sia stata addebitata, è equiparato in tutto e per tutto al coniuge superstite (separato o non) ai fini della pensione di reversibilità, che gli spetta a norma dell’art. 13 del R.D.L. n. 636 del 1939, nel testo sostituito dall’art. 22 della L. n. 903 del 1965.
Si trattava di un caso in cui la separazione legale era stata pronunciata con addebito ad entrambi i coniugi e non era stato stabilito assegno di mantenimento o altra provvidenza di tipo alimentare, nel presupposto della sufficienza dei mezzi economici a disposizione della moglie. La Corte di ap¬pello aveva ritenuto decisivo l’elemento dell’inesistenza di una situazione di bisogno accertata per negare, in seguito alla morte del marito, il diritto rivendicato dalla moglie alla pensione di rever¬sibilità, aggiungendosi anche che, comunque, non era stata fornita la prova che il coniuge avesse in vita provveduto in via fissa e continuativa alla corresponsione di somme finalizzate a sopperire alle ordinarie esigenze di vita della moglie.
Nell’unico motivo di ricorso la moglie richiamava la decisione della Corte Costituzionale n. 286 del 1987 (che, come si è sopra detto, nel dispositivo non richiamava espressamente il presupposto co¬stituito dal godimento dell’assegno alimentare) limitandosi ad affermare che la reversibilità spetta anche al coniuge separato per colpa o con addebito, “senza che sia richiesta la sussistenza del diritto al mantenimento” (precisazione che, in realtà, non compare nel dispositivo della decisione della Corte costituzionale).
La Cassazione giudicava il ricorso fondato con un’ampia motivazione nella quale si passano in rassegna le principali decisioni sul punto della Corte costituzionale.
Si legge che con la sent. n. 14 del 1980, la Corte Costituzionale giudicò non fondata – in riferimento all’art. 3 Cost. e all’art. 38 Cost., comma primo e secondo – la questione di legittimità costituzio¬nale dell’art. 24 della legge 30 aprile 1969, n. 153, il quale dispone, con riguardo al trattamento di reversibilità, che non ha diritto alla pensione il coniuge quando sia passata in giudicato la sentenza di separazione per sua colpa. Concluse la Corte che i principi costituzionali invocati non esigevano che il coniuge separato per sua colpa ricevesse la stessa tutela pensionistica del coniuge incolpe¬vole. E tuttavia avvertì che spettava al legislatore stabilire come al coniuge colpevole potessero essere corrisposti un assegno o una pensione alimentare (condizionata cioè allo stato di bisogno), così come è previsto in tema di trattamento di quiescenza dei dipendenti dello Stato dagli artt. 81, comma quarto, e 88, commi quarto e quinto, del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092.
Si ricorda ancora che il DPR 29 dicembre 1973 n. 1092 sul trattamento di quiescenza dei dipen¬denti statali all’art. 81 comma 4, prescrive che “La pensione non spetta alla vedova quando sia stata pronunciata sentenza, passata in giudicato, di separazione personale per sua colpa; in tal caso, ove sussista lo stato di bisogno, è corrisposto alla vedova un assegno alimentare”. L’art. 88 al 4° e 5° comma prevede che “L’assegno alimentare previsto per il coniuge superstite nel caso di separazione legale è pari al 20 per cento della pensione diretta”.
Pertanto è chiaro che la Corte di cassazione intende reagire alla differenza di trattamento previsto per i dipendenti statali che hanno diritto ad un assegno alimentare (sia pure solo del 20% della pensione diretta) anche nell’ipotesi in cui non potrebbero usufruire della reversibilità non godendo dell’assegno alimentare in seguito alla separazione con addebito.
Nella motivazione si legge quindi che, investita nuovamente della medesima questione, con la sent. n. 286 del 1987, la Corte Costituzionale osservò, da una parte, che il legislatore non aveva affatto accolto l’invito, rivoltogli con la decisione n. 14 del 1980, di provvedere con apposita norma a soddisfare l’esigenza, anche allora considerata giusta, di attribuire ed coniuge del lavoratore privato, separato per colpa, e poi con addebito della separazione, una pensione o una quota di pensione di reversibilità condizionata allo stato di bisogno, e ciò specialmente quando vi sia il rico¬noscimento in suo favore del diritto agli alimenti, tenuto conto del fatto che il settore pubblico, già prima della riforma del diritto di famiglia, prevedeva, a favore dello stesso coniuge separato per colpa, l’attribuzione di una quota della pensione di reversibilità; dall’altra, rilevò l’evoluzione dell’i¬stituto della pensione di reversibilità e la più incisiva generazione del principio di solidarietà (artt. 3 e 38 Cost.), secondo le considerazioni già svolte nella decisione n. 169 del 1986, l’espansione della linea di tendenza all’unificazione o, quanto meno, all’equiparazione dei regimi pensionistici dei lavoratori pubblici e privati, e soprattutto l’evoluzione della disciplina legislativa dei rapporti tra i coniugi in caso di scioglimento del matrimonio. Per queste considerazioni, la Corte Costituzionale decise di “dichiarare la illegittimità costituzionale delle norme censurate nella parte in cui esclu¬dono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato (di cui la Cassazione riporta testualmente il dispositivo, fondando il proprio ragionamento soprattutto su questo, piuttosto che sulla motivazione).
Successivamente – ricorda ancora la Corte di cassazione – è stata anche pronunciata l’illegittimità costituzionale, sempre per violazione degli artt. 38 e 3 Cost., dell’art. 20, comma primo, lett. a), della legge 2 febbraio 1973 n. 12, relativo al trattamento pensionistico corrisposto dall’ente nazio¬nale assistenza agenti e rappresentanti di commercio, nella parte in cui esclude dal diritto a pen¬sione di reversibilità il coniuge superstite, quando sia stata pronunziata la sentenza di separazione legale per colpa dello stesso (C. Cost. n. 1009 del 1988).
È certo che, nelle due menzionate decisioni, nucleo essenziale della motivazione e che non è più giustificabile, dopo la riforma dell’istituto della separazione personale introdotta dal novellato art. 151 c.c., il diniego al coniuge, cui è stata addebitata la separazione, di una tutela che assicuri la continuità dei mezzi di sostentamento che il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornirgli, ed inoltre che sussiste disparità di trattamento rispetto al coniuge del divorziato al quale la pensione di reversibilità è corrisposta quando sia titolare dell’assegno di divorzio, oltre che rispetto al regime della reversibilità operante per il coniuge del dipendente statale separato per colpa.
E tuttavia, il dispositivo delle decisioni, conforme, del resto, all’enunciato della motivazione, pre¬senta un significato letterale univoco, quanto alla determinazione dell’effetto caducatorio delle norme che sanciscono l’esclusione del coniuge separato per colpa dal beneficio della pensione di reversibilità. Non si è presenza, quindi, di quelle ipotesi in cui si devono enucleare dai contenuti della motivazione i criteri necessari per il riscontro dell’oggetto della decisione e delle disposizioni con essa caducate (cfr. Cass. 15 marzo 2001, n. 3756), siccome nella fattispecie esiste perfetta coerenza tra la lettera del dispositivo, che non richiama in alcun modo la motivazione al fine di precisare la portata dell’innovazione normativa, e gli stessi contenuti della motivazione, dal mo¬mento che la sentenza non assume alcuna posizione in ordine all’applicabilità al coniuge separato per colpa, o al quale la separazione è addebitata, di uno dei regimi giuridici della pensione di re¬versibilità considerati come parametri di legittimità costituzionale: quello del coniuge divorziato, ovvero quello vigente per le pensioni statali.
Le considerazioni contenute nella motivazione, invero, se conducono con sicurezza ad equiparare la separazione per colpa a quello con addebito (e ciò anche in base alla decisione n. 14 del 1980), non autorizzano minimamente l’interprete a ritenere che sia residuata una differenza di trattamen¬to per il coniuge superstite separato in ragione del titolo della separazione. Se contenuti precettivi ulteriori è possibile individuare, essi riguardano esclusivamente il legislatore, indubbiamente au¬torizzato a disporre che il coniuge separato per colpa o con addebito abbia diritto alla reversibilità, ovvero ad una quota, solo nella sussistenza di specifiche condizioni.
Né l’attuale assetto normativo, come determinato dall’intervento della Corte Costituzionale, può essere sospettato di contrasto con l’art. 3 Cost., atteso che la condizione del coniuge separato non è comparabile con quella del divorziato, mentre il diverso trattamento riservato ai dipendenti statali, potrebbe indurre e semmai a dubitare della legittimità di questo, e non certo del trattamento più favorevole del settore privato.
In conclusione, caducata l’esclusione disposta dalle norme dichiarate incostituzionali, il coniuge separato per colpa, o al quale la separazione sia stata addebitata, è equiparato in tutto e per tutto al coniuge superstite (separato o non) ai fini della pensione di reversibilità, che gli spetta a norma dell’art. 13 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, nel testo sostituito dall’art. 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903.
Sostanzialmente identica è la motivazione di altre decisioni (Cass. civ. Sez. lavoro, 18/06/2004, n. 11428 e Cass. civ. Sez. lavoro, 19-03-2009, n. 6684 secondo cui “La pensione di rever¬sibilità va riconosciuta non solo al coniuge separato in favore del quale il pensionato defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento ma, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 1987, anche al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzio¬ne legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte, assolvendo alla funzione di sostentamento in precedenza indirettamente assicurata dalla pensione in titolarità del coniuge defunto debitore dell’assegno”.
Anche Cass. civ. Sez. lavoro, 7 dicembre 2010, n. 24802 ribadiva gli stessi principi afferman¬do che “a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286/1987 – che ha dichiarato l’ille¬gittimità costituzionale della legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 24 e della legge 18 agosto 1962, n. 1357, art. 23, comma 4, nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato – tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (se¬parato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte”.
Da ultimo, molto esplicita nel dichiarare il superamento rispetto all’orientamento della Corte costi-tuzionale è Cass. civ. Sez. VI, 12 maggio 2015, n. 9649 la cui vicenda è la seguente. La Corte di appello di Genova aveva respinto il gravame proposto dalla moglie superstite e, confermando la sentenza del Tribunale della Spezia, ha ritenuto che fosse infondata la sua domanda di riconosci¬mento della pensione di reversibilità in qualità di superstite del coniuge dal quale era separato con addebito, sul rilievo che non era titolare di un assegno di mantenimento ai sensi dell’art. 156 c.c., comma 3 (quindi un assegno alimentare). La moglie ricorreva per cassazione.
La sesta sezione riteneva fondato il ricorso sostenendo che “come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte (cfr. Cass. 22.4.2011 n. 9314, 7.12.2010 n. 24802, Cass. 19 marzo 2009 n. 6684 e 16 ottobre 2003 n. 15516) a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286 dei 1987 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 24 e della L. 18 ago¬sto 1962, n. 1357, art. 23, comma 4 nella parte in cui escludono dal la erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato – tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte”.
Poi così continua la sentenza: “Nonostante la Corte costituzionale, nell’occasione indicata e in altre successive (cfr. Corte Cost. n. 1009 del 1988, n. 450 del 1989, n. 346 del 1993 e n. 284 del 1997) abbia giustificato le proprie pronunce anche con considerazioni legate alla necessità di assicurare la continuità dei mezzi di sostentamento che in caso di bisogno il defunto coniuge sarebbe stato tenuto a fornire all’altro coniuge separato per colpa o con addebito, il dispositivo della decisione dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma esaminata non indica condizioni ulteriori, rispetto a quelle valevoli per il coniuge non separato per colpa, ai fini della fruizione della pensio¬ne. Ad ambedue le situazioni è quindi applicabile la L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 22, il quale non richiede (a differenza che per i figli di età superiore ai diciotto anni, per i genitori superstiti e per i fratelli e sorelle del defunto, etc), quale requisito per ottenere la pensione di reversibilità, la viven¬za a carico al momento del decesso del coniuge e lo stato di bisogno ma unicamente l’esistenza del rapporto coniugale col coniuge defunto pensionato o assicurato”.
In definitiva – conclude la sentenza – “nella legge citata la ratio della tutela previdenziale è rappresentata dall’intento di porre il coniuge superstite al riparo dall’eventualità dello stato di bisogno, senza che tale stato di bisogno divenga (anche per il coniuge separato per colpa o con addebito) concreto presupposto e condizione della tutela medesima. Poiché la Corte territoriale non si è attenuta alla regola indicata desumibile dalla L. 21 luglio 1965, n. 903, art. 22, quale risultante dalla dichiarazione di incostituzionale della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 24, la sen¬tenza impugnata va cassata e va dichiarato il diritto della ricorrente alla pensione di reversibilità.
c) L’orientamento della Corte dei conti
La Corte dei conti non potrebbe applicare, per i dipendenti pubblici, lo stesso orientamento della Cassazione, perché andrebbe oltre quanto prevede il DPR 29 dicembre 1973, n. 1092 il quale, come detto, all’art. 81 quarto comma – come interpretato dalla Corte costituzionale (Corte cost. 30 luglio 1997, n. 284 sopra riportata) – prescrive, in mancanza di attribuzione degli alimenti in sede di separazione, solo il diritto ad un assegno alimentare del 20% dell’ammontare della pensio¬ne e il diritto alla pensione di reversibilità).
Ed infatti C. Conti Toscana Sez. giurisdiz., 14 maggio 2003, n. 346 ha confermato che dopo la sen¬tenza costituzionale n. 346 del 1993 [sopra esaminata che concerne gli impiegati degli Enti locali] ai sensi del combinato disposto dell’art. 38 del R.D.L. n. 680 del 1938 e dell’art. 7 della legge n. 1646 del 1962, spetta alla vedova di impiegato iscritto alla ex C.P.D.E.L. separata con addebito, nel caso in cui non abbia diritto al trattamento di reversibilità, un assegno alimentare qualora viva in uno stato di effettivo bisogno.
IV Divorzio e pensione di reversibilità
1. L’art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 nel testo modificato dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74
L’art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 nel testo modificato dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74 prescrive dal secondo comma quanto segue.
2. In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza.
3. Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze.
4. Restano fermi, nei limiti stabiliti dalla legislazione vigente, i diritti spettanti a figli, genitori o collaterali in merito al trattamento di reversibilità.
5. Alle domande giudiziali dirette al conseguimento della pensione di reversibilità o di parte di essa deve essere allegato un atto notorio, ai sensi della legge 4 gennaio 1968, n. 15, dal quale risultino tutti gli aventi diritto. In ogni caso, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica la tutela, nei confronti dei beneficiari, degli aventi diritto pretermessi, salva comunque l’applicabilità delle sanzioni penali per le dichiarazioni mendaci.
L’interpretazione autentica di tale norma è stata offerta dall’articolo 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263 secondo cui “Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 9 si interpretano nel senso che per titolarità dell’assegno ai sensi dell’articolo 5 deve intendersi l’avvenuto riconosci¬mento dell’assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto articolo 5 della citata legge n. 898 del 1970.
Il previgente testo dell’art. 9 della legge sul divorzio prevedeva che “Se l’obbligato alla sommini¬strazione dell’assegno periodico ci cui all’art. 5 muore senza lasciare coniuge superstite, la pensio¬ne e gli altri assegni che spetterebbero a questi possono essere attribuiti dal tribunale, in tutto o in parte, al coniuge divorziato”.
2. Per chiedere la reversibilità basta il giudicato di divorzio e non serve l’annotazione della sentenza
Va premesso che nella sentenza di divorzio vanno distinti una efficacia inter partes (la sola pro¬nuncia di divorzio passata in giudicato è sufficiente a determinare nei rapporti tra i coniugi l’effetto divorzile) e una efficacia erga omnes.
Da questo si evince che la parte che chiede la pensione di reversibilità dopo il giudicato ma prima dell’annotazione è già ex coniuge ai sensi dell’art. 9 della legge sul divorzio.
Lo ha precisato la giurisprudenza precisando che la sola pronunzia di divorzio, passata in giudicato, come fatto costitutivo di un reciproco diverso status tra i coniugi, è sufficiente a determinare – nei rapporti tra i medesimi – gli effetti suoi propri, in primo luogo quello della dissoluzione del vin¬colo matrimoniale, mentre altri effetti – quelli erga omnes, con la conseguente opponibilità della nuova situazione ai terzi – sono ricollegabili soltanto ai successivi adempimenti della trascrizione e dell’annotazione nei registri dello stato civile (in applicazione di tale principio, nella specie, la suprema corte ha confermato la pronunzia dei giudici di merito secondo cui al coniuge superstite, non spetta la qualità di erede dell’altro, deceduto successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, ma anteriormente all’annotazione della sentenza stessa presso i registri dello stato civile) (Cass. civ. Sez. II, 9 giugno 1992, n. 7089).
Ne discende anche che la morte di un coniuge dopo il giudicato di divorzio ma prima dell’annota¬zione fa venir meno la qualità di coniuge (e non dà luogo a successione).
E quindi anche il diritto alla pensione di reversibilità è riconosciuto se la morte avviene dopo il giu¬dicato di divorzio anche prima dell’annotazione della sentenza a margine dell’atto di matrimonio.
3. Le diverse ipotesi previste dall’art. 9 della legge sul divorzio
Hanno diritto alla pensione di reversibilità (sempre che – limitatamente all’ex coniuge divorziato – come si dirà, il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza):
a) Coniuge superstite
b) Uno (o anche più di uno) ex-coniuge divorziato (con assegno divorzile e non passato a nuove nozze)
c) Coniuge superstite ed ex coniuge (con assegno divorzile e non passato a nuove nozze)
d) Coniuge superstite e più ex coniugi (con assegno divorzile e non passati a nuove nozze)
Nei casi a) e b) non è previsto alcun intervento giudiziario ma gli interessati devono rivolgersi direttamente all’ente erogatore della pensione.
Nei casi c) e d) è previsto invece l’intervento del tribunale (trattandosi di un conflitto tra più aventi diritto alla pensione).
Il tribunale in questi casi è chiamato ad interviene per attribuire le quote e può intervenire anche successivamente allorché muti la situazione (per esempio per morte o passaggio a nuove nozze di uno dei beneficiari e in tal caso il tribunale distribuisce nuovamente le quote tenendo conto del fatto che per uno dei precedenti beneficiari è venuto meno il diritto).
Permangono naturalmente i diritti spettanti ai figli, ai genitori e agli altri soggetti indicati in caso di concorso con il coniuge.
Come meglio si preciserà tra breve, sono tre le condizioni perché sorga per l’ex coniuge il diritto alla pensione di reversibilità: 1. che il richiedente sia titolare dell’assegno divorzile; 2. che il richie¬dente non sia passato a nuove nozze; 3. che il rapporto di lavoro da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza di divorzio.
Se sussistono queste tre condizioni l’ex coniuge può rivolgersi direttamente all’ente pensionistico.
La pensione è comprensiva di tredicesima, contingenza, indennità integrativa speciale.
L’espressione “altri assegni” (…Se in tale condizione si trovano più persone, il tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni… ) significa che la ripartizione opera oltre che per la pensione anche per tutto quanto sia ad essa assimilabile e che spetta al coniuge superstite iure proprio e non iure successionis. Vi rientra quindi l’indennità di buonuscita (Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1222).
La decorrenza del trattamento di reversibilità è sempre dalla morte del pensionato e cioè precisa¬mente dal primo giorno del mese successivo alla sua morte (salvo la prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c. e art. 3, co 9 legge 335/1995).
4. Natura autonoma del diritto del coniuge divorziato e dell’ex coniuge
Il diritto al trattamento sorge nel coniuge divorziato in via autonoma ed automatica nel momento della morte del pensionato, ma in forza di una aspettativa maturata, sempre in via autonoma e definitiva, nel corso della vita matrimoniale, sicché è insuscettibile d’essere vanificato dal succes¬sivo decorso degli eventi relativi al rapporto matrimoniale; e che, correlativamente, la disposizio¬ne in esame attribuisce al coniuge divorziato un diritto che non è la continuazione, mutato il de¬bito avanti la sua morte; ma è un autonomo diritto – di na tura squisitamente previdenziale – alla pensione di reversibilità collegato automaticamente alla fattispecie legale, di modo che prescinde da ogni pronunzia giurisdizionale (Cass. civ. Sez. Unite, 25 maggio 1991 n. 5939; Cass. civ. Sez. 23 aprile 1992 n. 4897; Cass. civ. Sez. 9 dicembre 1992 n. 13041; Cass. civ. Sez. 12 novembre 1994 n. 9528).
L’indagine esegetica esclude la fondatezza della teoria per la quale il trattamento riconosciuto al coniuge divorziato nell’ipotesi di presenza di un coniuge superstite (o, più esattamente, di un coniuge superstite avente in concreto il diritto alla pensione di reversibilità, posto che, se questo coniuge esiste ma non vanta i relativi requisiti, il coniuge divorziato ha diritto all’intero di rever¬sibilità ai sensi del comma 2 dell’art. 9) costituisce soltanto un diritto nei confronti del coniuge superstite avente funzione e natura di prosecuzione del precedente assegno divorzile, di modo che “il coniuge divorziato non concorre in posizione paritaria con quello superstite”, e la “quota” non ha natura di pensione di reversibilità.
Di contro, impone l’affermazione del principio che anche in questa ipotesi il coniuge divorziato è titolare di un autonomo diritto al trattamento di reversibilità che l’ordinamento attribuisce al coniuge sopravvissuto; solo che questo diritto, potenzialmente all’intero trattamento, è limitato quantitativamente dall’omologo diritto spettante al coniuge superstite.
In altri termini, sia il coniuge divorziato che quello superstite sono titolari di un proprio diritto all’unico trattamento di reversibilità; e ciascuno di questi diritti è autonomo (perché non deriva dall’altro, né sussiste nei confronti dell’altro), e concorre in pari grado con quello dell’altro: in que¬sto senso è, appunto, un diritto ad una quota della pensione di reversibilità.
5. Le tre condizioni perché l’ex coniuge ottenga la pensione di reversibilità
L’art. 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 nel testo modificato dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74 prescrive, come si è visto, al secondo comma che “In caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”.
Non vi sono dubbi, quindi sul fatto che i tre requisiti per poter accedere alla pensione di reversibili¬tà sono i seguenti: 1) Titolarità di assegno divorzile; 2) Che il richiedente non sia passato a nuove nozze; 3) Che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza.
6. Titolarità di assegno divorzile
Sul significato da attribuire all’espressione “titolarità di assegno divorzi¬le” non vi possono più essere dubbi a seguito di quanto chiarito con interpretazio¬ne autentica dall’articolo 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263 il quale ha precisato che “Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 9 della legge 1º dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che per titolarità dell’assegno ai sensi dell’arti¬colo 5 deve intendersi l’avvenuto riconoscimento dell’assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto articolo 5 della citata legge n. 898 del 1970”.
Comunque già Corte cost., 17 marzo 1995, n. 87 aveva chiarito che l’art. 9 comma 2 della l. 1 dicembre 1970 n. 898, novellato dall’art. 13 della l. 6 marzo 1987 n. 74 non è costituzionalmente illegittimo per violazione dell’art. 3 cost. nella parte in cui condiziona il diritto alla pensione di re¬versibilità della moglie divorziata alla titolarità dell’assegno attribuito giudizialmente tra i coniugi, poiché non è irragionevole che la legge colleghi il trattamento previdenziale, da attribuire alla mo¬glie divorziata alla titolarità dell’assegno divorzile, stabilito dal giudice, in base a valutazione delle condizioni economiche dei coniugi ed alle ragioni dello scioglimento del matrimonio, ed escluda tale trattamento quando l’assegno di divorzio sia stato stabilito consensualmente, in base ad un atto di autonomia privata).
Ed anche la giurisprudenza di legittimità maggioritaria è sempre stata orientata nello stesso senso. Per esempio Cass. civ. Sez. I, 24 maggio 2007, n. 12149 aveva affermato molto chiaramente che “Il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, o ad una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite – di cui all’art. 9 della L. 6 marzo 1987, n. 74 – presuppone (anche ai sensi dell’art. 5 della L. 28 dicembre 2005, n. 263, norma interpretativa, quindi retro¬attiva ed applicabile anche ai giudizi in corso) che il richiedente al momento della morte dell’ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto ai sensi dell’art. 5 della legge predetta, non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo e neppure che in via di fatto o anche per effetto di private convenzioni intercorse tra le parti abbia ricevuto regolari erogazioni economiche dal “de cuius” quando questi era in vita”.
In quale momento si verifica l’“effettiva titolarità” dell’assegno?
La “titolarità” va intesa con riferimento al momento del riconoscimento definitivo del diritto all’as¬segno. Quindi il coniuge è “effettivamente titolare dell’assegno” solo dopo il giudicato sull’assegno.
L’art. 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, laddove dispone che per titolarità dell’assegno, ai sensi dell’art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, debba intendersi “l’avvenuto riconoscimento dell’as¬segno… da parte del tribunale”, va inteso con riferimento non ad una qualunque attribuzione avente carattere provvisorio, ma al riconoscimento definitivo del diritto all’assegno; non è idonea, pertanto, a fondare il diritto dell’ex coniuge alla pensione di reversibilità o ad una quota della stessa, l’attribu¬zione di un emolumento mensile a carattere provvisorio in quanto essa non preclude il rigetto della domanda di assegno divorzile, ove l’espletata istruttoria conduca ad escludere gli estremi per il suo accoglimento. (Rigetta, App. Bologna, 19/7/2007) (Cass. civ. Sez. I, 11 aprile 2011, n. 8228).
7. Anteriorità del trattamento pensionistico rispetto alla sentenza di divorzio
L’art. 9 della legge sul divorzio prescrive, come si è visto, al secondo comma, anche che il diritto alla reversibilità per l’ex coniuge (titolare di assegno e non passato a nuove nozze) è condizionato alla circostanza “che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza”.
Sono due le interpretazioni possibili della norma.
Secondo una prima interpretazione sarebbe riconosciuto il diritto alla reversibilità se il rapporto di lavoro da cui trae origine il trattamento previdenziale è iniziato prima del giudicato di divorzio (anche con sentenza non definitiva) ed anche se prima di tale momento non sia maturato il diritto alla pensione. Resta però arduo ipotizzare l’attribuzione di un diritto di natura previdenziale, quale la pensione di reversibilità, se mancano addirittura i presupposti per poter attribuire la pensione al defunto.
Per la seconda interpretazione il diritto alla reversibilità sussisterebbe se il rapporto previdenziale sia giunto a compimento dei suoi elementi minimi prima del giudicato di divorzio. Quindi devono essere maturati prima del divorzio gli elementi minimi (per esempio il versamento minimo dei contributi) che consentono l’attribuzione della pensione. Ed è certamente questa interpretazione la più ragionevole. Pertanto la reversibilità è dovuta se il defunto ha maturato il diritto alla pensione prima del divorzio.
8. Quale giudice è competente?
Come si è sopra visto le controversie sulla pensione (anche di reversibilità) sono attribuite ex lege alla competenza della Corte dei conti per i dipendenti pubblici (Cass. sez. Unite 25 giugno 2002, n. 9285; Cass. sez. un. 19 giugno 2000, n. 451; Cass. sez. unite 9 agosto 2001, n. 10973; Cass. civ. Sez. Unite, 13 maggio 1993, n. 5429; Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 1999, n. 2593), altrimenti alla competenza del giudice ordinario del lavoro trattandosi di causa previden¬ziale. Il principio vale, naturalmente, anche per l’eventuale contenzioso ex art. 9 della legge sul divorzio tra l’ente pensionistico e il coniuge divorziato purché al di fuori di una controversia sulla ripartizione tra coniuge divorziato e coniuge superstite (Cass. civ. Sez. Unite, 13 maggio 1993, n. 5429; Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 1999, n. 2593).
Sono infatti in ogni caso di competenza del tribunale ordinario le controversie sulla ripartizione della pensione ex art. 9 della legge sul divorzio tra coniuge superstite ed ex coniuge. A questa conclusione sono giunte sia la Corte dei Conti (Corte conti, Sez. Lazio, 14 giugno 2012, n. 609) sia la Corte di cassazione (Cass. sez. Unite, 13 novembre 2013, n. 25456) osservando che l’art. 9, comma 2, legge 898/1070 sottrae alla giurisdizione ordinaria, per devolverla alla Corte dei Conti in materia di pensioni, la sola controversia afferente all’erogazione della prestazione di reversibilità se, in caso di morte dell’ex coniuge, manchi un coniuge superstite di questi aventi i requisiti per la pensione di reversibilità. Viceversa, in caso di concorso di coniugi succedutisi nel tempo, per aver l’ex dipendente pubblico defunto contratto nuove nozze dopo la sentenza di cessa¬zione degli effetti civili del primo matrimonio, l’art. 9, comma 3, della medesima legge attribuisce espressamente la giurisdizione al giudice ordinario. La competenza è del tribunale ordinario e non della sezione lavoro.
La soluzione è stata ribadita anche da Cass. civ. Sez. lavoro, 6 marzo 2003, n. 3384 che ha osservato come esula dal novero delle controversie previdenziali, soggette al rito speciale di cui all’art. 442 c.p.c., ed è, quindi, attribuita al tribunale secondo il rito ordinario, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970, la controversia tra l’ex coniuge divorziato ed il coniuge superstite avente ad oggetto la ripartizione tra essi della quota di pensione reversibile, in quanto il relativo giudizio riguarda esclusivamente la quantificazione di siffatte quote in applicazione dei criteri stabiliti dalla legge n. 898 del 1970 e non involge profili concernenti il rapporto assicurativo e previdenziale con l’ente previdenziale, che già corrisponda il relativo trattamento per intero al coniuge superstite e che sia stato chiamato in giudizio al solo fine di rendergli opponibile la sentenza. (Fattispecie relativa a spostamento della competenza territoriale in relazione alla ritenuta applicabilità del rito previsto per le controversie previdenziali).
9. Quale rito per il contenzioso tra coniuge superstite ed ex coniuge?
La legge non dice nulla sul rito da seguire. E la scelta del rito è resa ancor più problematica dal fatto che la legge n. 74 del 1987 ha riformulato con l’art. 13 le disposizioni dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970, sopprimendo l’ultimo comma che prevedeva espressamente il rito camerale per i procedimenti in questione. Inoltre l’ultimo comma dell’art. 9 precisa che “Alle domande giudiziali… deve essere allegato un atto notorio… dal quale risultino tutti gli aventi diritto. In ogni caso, la sen¬tenza che accoglie la domanda non pregiudica la tutela, nei confronti dei beneficiari, degli aventi diritto pretermessi…” con ciò lasciando anche desumere che possa essere del tutto plausibile il rito ordinario (introdotto appunto con “domanda giudiziale”).
Pacifico è che la decisione deve essere adottata con sentenza soggetta ai termini ordinari di impu¬gnazione a prescindere dal rito seguito nel procedimento. Il principio è stato affermato testualmen¬te da Cass. civ. Sez. I, 6 aprile 1996, n. 3232 e Cass. civ. Sez. I, 30 ottobre 2008, n. 26121 secondo cui l’espressa previsione contenuta nell’art. 9, ultimo comma, della legge sul divorzio per il quale la decisione delle controversie relative al conseguimento da parte del coniuge divorziato di una quota di pensione di reversibilità spettante all’altro coniuge, deve essere resa con sentenza, comporta che, a prescindere dalle forme o dal rito da adottare in tali controversie, la pronuncia sulle stesse è suscettibile d’impugnazione entro i termini ordinari di cui agli artt. 325 e 327 cod. proc. civ., atteso che le eventuali peculiarità del procedimento, che conduce alla emanazione o del provvedimento finale, non sono idonee, in difetto di specifiche indicazioni legislative, a sottrarre quest’ultimo all’operatività dei termini per la proposizione del gravame contro le sentenze.
Secondo quanto ritenuto in passato da Cass. civ. Sez. I, 12 novembre 1994, n. 9528 il prov¬vedimento del tribunale sarebbe camerale di natura costitutiva. Anche, però, la natura costitutiva è dubbia in quanto il tribunale non fa altro che dichiarare il diritto del coniuge superstite e dell’ex coniuge a qualcosa che gli spetta per legge.
È stato negli anni Duemila che la Cassazione ha impresso un deciso orientamento favorevole all’applicazione in questo settore del rito camerale.
Secondo Cass. civ. Sez. I, 2 marzo 2001, n. 3037 l’adozione del rito camerale per i procedi¬menti relativi a tutte le pretese del coniuge divorziato aventi ad oggetto la pensione di reversibilità trova applicazione anche dopo la novella n. 74 del 1987 (per effetto della quale è stato soppresso l’ ultimo comma dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970, secondo il quale, nei procedimenti “de quibus”, il tribunale “provvede in camera di consiglio”), non rilevando che quest’ultima, riformu¬lando con l’art. 13 le disposizioni del citato art. 9 legge n. 898 del 1970, contempli esplicitamente l’adozione del rito predetto solo con riferimento alla revisione delle disposizioni concernenti l’affi¬damento dei figli e di quelle riguardanti la misura e le modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli art. 5 e 6 stessa legge.
Cass. civ. Sez. I, 14 gennaio 2004, n. 336 ha affermato perentoriamente che “I procedimenti aventi ad oggetto la quota di pensione di reversibilità sono assoggettati al rito camerale anche dopo l’entrata in vigore della L. 6 marzo 1987 n. 74” precisando che “questa Suprema Corte ha avuto occasione di affermare che il rito camerale per i procedimenti relativi alle pretese del coniuge divorziato aventi ad oggetto la pensione di reversibilità continua a trovare applicazione anche dopo la novella di cui alla legge n. 74 del 1987 – che come è noto ha soppresso l’ultimo comma dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970, nel testo sostituito dalla legge n. 436 del 1978, il quale disponeva che nei procedimenti in oggetto il tribunale provvede in Camera di consiglio – non rilevando in contrario che nella nuova formulazione del citato art. 9 l’adozione di detto rito è contemplata specificamente solo con riferimento alla revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e la misura e le modalità dei contributi di cui agli artt. 5 e 6 della stessa legge (Cass. 2001 n. 3037; 1991 n. 12029). Va, peraltro, osservato che non ricorre alcuna ragio¬ne di incompatibilità tra procedimento camerale da un lato, natura contenziosa della controversia e forma di sentenza del provvedimento adottato dall’altro, come dimostra l’esistenza nell’ordi¬namento, e segnatamente nella legislazione più recente, di procedimenti in Camera di consiglio relativi a diritti soggettivi che si concludono con provvedimenti a contenuto decisorio, in materie tipicamente contenziose, secondo criteri di politica legislativa dettati dall’opportunità di adottare determinate forme procedimentali in ragione della natura degli interessi da regolare o della ne¬cessità di celerità del processo.
In particolare, la novella sul divorzio del 1987 ha espresso un particolare favore per il rito camerale, come agevolmente si desume dalla disciplina dettata nell’art. 4 sia per il giudizio di primo grado che per quello di appello, onde in mancanza di una specifica disposizione di segno contrario non appare consentito ritenere che abbia inteso escludere tale forma di rito per un procedimento, come quello relativo alla quota della pensione, intimamente connesso al giudizio di divorzio.
Anche secondo Cass. civ. Sez. I, 30 marzo 2004, n. 6272 in tutti i procedimenti riguardanti le pretese del coniuge divorziato sulla pensione di reversibilità si applica il rito camerale; tuttavia, l’adozione del rito ordinario non costituisce motivo di nullità, sia perché questa non è sancita da alcuna norma, sia – in osservanza del principio di conservazione degli atti – perché il rito or¬dinario consente di raggiungere il medesimo risultato con maggiori garanzie per la difesa e per il contraddittorio.
Conforme a questo indirizzo è nella giurisprudenza di merito App. Catania, 24 gennaio 2005 mentre hanno espresso il convincimento per il rito ordinario Trib. Latina, 2 giugno 2000 e Trib. Pescara, 21 giugno 2006.
Nelle cause relative alla ripartizione del trattamento pensionistico di reversibilità tra coniuge su¬perstite ed ex coniuge il foro è quello generale delle persone fisiche (art. 18 c.p.c.) – e cioè del coniuge superstite o dell’ex coniuge contro cui si agisce – o quello alternativo ex art. 12-quater della legge 898/1970 (introdotto con la riforma di cui alla legge 74/1987) quello del luogo in cui l’obbligazione deve essere adempiuta (dove cioè l’ente pensionistico ha la propria sede). Lo ha chiarito Cass. civ. Sez. I, 14 gennaio 2004, n. 336 secondo cui il soggetto che agisce in giudizio per ottenere la quota di pensione dell’ex coniuge deceduto fa valere un diritto proprio nei confronti dell’altro coniuge superstite e dell’ente pensionistico, il quale è parte necessaria del procedimento e destinatario della decisione adottata. Il soggetto che agisce ha certamente facoltà di avvalersi del foro alternativo di cui all’art. 12-quater della legge n. 898 del 1970, introdotto con l’art. 18 della legge n. 74 del 1987, il quale, con formulazione ripetitiva del disposto dell’art. 20 c.p.c., all’evidente scopo di agevolare l’esercizio della tutela giurisdizionale dei diritti a contenuto patrimoniale derivanti direttamente o indirettamente dal divorzio, prevede quale foro speciale alternativo quello del luogo in cui l’obbligazione deve essere adempiuta (dove cioè l’ente pensio¬nistico ha la propria sede).
10. L’ente erogatore della pensione è parte necessaria?
La sentenza da ultimo citata della prima sezione della Cassazione ha affermato che l’ente pensio¬nistico sarebbe “parte necessaria” del procedimento in quanto destinatario della decisione adottata (Cass. civ. Sez. I, 14 gennaio 2004, n. 336).
Il Tribunale di Caltanissetta aveva rigettato una domanda diretta ad ottenere in sede di ripartizione tra ex coniuge e coniuge superstite il riconoscimento di una quota della pensione di reversibilità. La Corte di Appello di Caltanissetta, in accoglimento del gravame, dichiarava, invece, il diritto dell’ex coniuge ad una quota. Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione il coniuge superstite.
Uno dei motivi di ricorso era costituito dalla ritenuta illegittimità del foro alternativo utilizzato in sede di merito di cui all’art. 12-quater della legge sul divorzio (foro del luogo in cui l’obbligazione deve essere adempiuta) indicato in quello della sede dell’ente pensionistico. La sentenza respin¬ge questo motivo di ricorso affermando – come sopra già detto – che: “Ritenuto, invero, che il soggetto che agisce in giudizio per ottenere la quota di pensione dell’ex coniuge deceduto fa va¬lere un diritto proprio nei confronti dell’altro coniuge superstite e dell’ente pensionistico, il quale è parte necessaria del procedimento e destinatario della decisione adottata, detto soggetto ha certamente facoltà di avvalersi del foro alternativo di cui all’art. 12-quater della legge n. 898 del 1970, introdotto con l’art. 18 della legge n. 74 del 1987, il quale, con formulazione ripetitiva del disposto dell’art. 20 c.p.c., all’evidente scopo di agevolare l’esercizio della tutela giurisdizionale dei diritti a contenuto patrimoniale derivanti direttamente o indirettamente dal divorzio, prevede quale foro speciale alternativo quello del luogo in cui l’obbligazione deve essere adempiuta. Deve pertanto argomentarsi che la S. ha legittimamente proposto l’azione dinanzi al Tribunale di Calta¬nissetta, dove l’ente erogatore ha pacificamente la propria sede, avvalendosi del foro alternativo indicato nella norma richiamata.
Secondo questa decisione quindi il procedimento andrebbe proposto anche nei confronti dell’ente pensionistico.
La tesi non è però convincente in quanto l’ente pensionistico è certamente parte necessaria nel contenzioso tra coniuge superstite che richiede la reversibilità, ma è molto dubbio che lo sia anche nei procedimenti in cui il contenzioso è tra coniuge superstite ed ex coniuge.
A tale proposito si può osservare che già Cass. civ. Sez. I, 8 gennaio 1997, n. 75 aveva chia¬rito molto bene che spetta solo al giudice (garantendo all’interessato l’assegno divorzile oppure ripartendo tra più soggetti il diritto alla reversibilità) il potere di accertare i presupposti attinenti alle condizioni economiche dei coniugi e alle ragioni della decisione, che giustificano nei confronti dell’ente erogatore la prosecuzione, nella forma della pensione di reversibilità della funzione di sostentamento del coniuge superstite e dell’ex coniuge prima indirettamente adempiuta dalla pensione di cui era titolare il defunto coniuge debitore dell’assegno.
Pertanto in caso di contenzioso tra più soggetti aspiranti alla pensione, l’ente erogatore della pen¬sione si troverà a dover solo eseguire un provvedimento del giudice.
Con riferimento proprio al contenzioso tra più aspiranti lo aveva già chiarito Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 1991, n. 5241 affermando che il provvedimento col quale il tribunale, adito dal coniuge divorziato per l’attribuzione di una quota della pensione di riversibilità spettante al coniuge su¬perstite, accolga la domanda statuendo anche sulla attribuzione di quella parte di tale trattamento che, per qualsiasi ragione, non sia stato riconosciuto a quest’ultimo soggetto, così da investire non solamente il rapporto fra gli aventi causa del coniuge deceduto, ma altresì quello con l’ ente ero¬gatore del trattamento stesso, ancorché reso in forma di decreto ed in adozione del rito camerale, è suscettibile di formare giudicato avverso il quale detto ente – il quale, non essendo stato parte nel relativo procedimento, non è legittimato alla proposizione del reclamo di cui all’art. 739 c. p. c. – può proporre opposizione ex art. 404, 1° comma, c. p. c., quale contraddittore necessario pretermesso e pregiudicato nei suoi diritti per effetto di quell’ulteriore statuizione.
Proprio per questo Cass. civ. Sez. I, 30 marzo 2004, n. 6272 in una vicenda in cui l’ente pen¬sionistico – chiamato in giudizio da una delle parti – aveva censurato la decisione di merito che lo aveva ritenuto parte necessaria nel giudizio nonostante tale qualità sia stata dalla giurisprudenza riconosciuta solo nei giudizi aventi ad oggetto l’attribuzione della pensione di reversibilità al co¬niuge divorziato (comma 2 dell’art. 9) e non anche in quelli vertenti fra il coniuge divorziato ed il coniuge superstite per l’attribuzione al primo di quota parte della pensione (comma 3 dell’art. 9) ha precisato c he “La controversia fra il coniuge superstite e l’ex coniuge per la ripartizione, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970 in esame, delle quote sulla pensione di reversibilità non comporta la necessità della presenza dell’Istituto che eroga la pensione, come deve ritenersi invece nella diversa ipotesi di cui al comma 2 riguardante il diverso rapporto fra l’ex coniuge e l’Istituto in assenza di un coniuge superstite”, precisando tuttavia che “Ciò non toglie però che anche nella prima ipotesi la parte possa avere interesse a coinvolgerlo nel giudizio affinché la sentenza faccia stato anche nei suoi confronti e si eluda il rischio che l’Istituto assuma una posizione di estraneità rispetto al contenuto della decisione.
Sui poteri dell’ente pensionistico rimasto estraneo al procedimento Cass. civ. Sez. I, 24 maggio 1991, n. 5877 aveva affermato che anche nell’ipotesi in cui si dovesse trattare di litisconsorte necessario pretermesso, in quanto estraneo al giudizio, l’ente non avrebbe titolo né interesse a dolersi di una pronuncia che non lo riguarda, né potrebbe addurre una sorta di legittimazione so¬pravvenuta per effetto della notifica operata nei suoi confronti della sentenza emessa, atteso che, non essendo egli destinatario del comando del giudice, detta notifica non può determinare per il medesimo la formazione del giudicato.
Resterebbe salva ovviamente, secondo la sentenza indicata, per l’ente pensionistico pretermesso (che non fosse, per esempio, stato chiamato in giudizio) la facoltà di far valere un eventuale pre¬giudizio promuovendo una causa separata volta alla declaratoria di nullità della sentenza, ovvero utilizzando lo strumento dell’opposizione di terzo (v. Cass. 1983, n. 7458; 1989, n. 5618).
Sempre ammesso, però, che si individui la situazione da cui deriverebbe il pregiudizio per l’ente, per esempio – come si vedrà tra breve – allorché l’ente venga chiamato (per esempio dall’ex co¬niuge) a rimborsare somme erogate al coniuge superstite che non ne aveva diritto.
I principi sopra enunciati con specifico riferimento al procedimento di cognizione ordinario sono chiaramente utilizzabili in relazione a quello camerale e coloro che rimasero estranei al procedimen¬to stesso possono impugnare in sede contenziosa ordinaria, per ragioni di legittimità, il provvedi¬mento camerale emesso “inter alios” (Cass. civ. Sez. I, 24 maggio 1991, n. 5877).
11. I criteri di ripartizione delle quote tra coniuge superstite ed ex coniuge
a) l’orientamento previdenziale (Cass. Sez. Unite 12 gennaio 1998, n. 159: la ripartizio¬ne va effettuata sulla base dei rispettivi periodi di durata legale del matrimonio).
Secondo un primo orientamento nella ripartizione si dovrebbe dare rilevanza solo alla durata legale del matrimonio.
Nel caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la pensione di reversibilità ai fini della determinazione (ex art. 9, comma 3, della l. n. 898 del 1970, nel testo novellato dall’art. 13 della l. n. 74 del 1987) della quota da attribuirsi al “coniuge divor¬ziato” (o – più puntualmente – ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità tra il coniuge superstite e quello divorziato) non possono essere utilizzati criteri diversi da quello della “durata del rapporto” matrimoniale, ossia dal semplice dato numerico rappresentato dalla proporzione fra le estensioni temporali dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi con l’ex coniuge deceduto. E tale durata del rapporto matrimoniale non può essere intesa che come coincidente con la durata legale del medesimo, e pertanto non possono assumere rilevanza, in pregiudizio del “coniuge di¬vorziato”, la eventuale cessazione della convivenza matrimoniale ancora prima della pronuncia di divorzio, o (in favore – questa volta – del “coniuge superstite”) l’eventuale periodo di convivenza “more uxorio” con l’ex coniuge deceduto, che abbia preceduto la stipulazione del nuovo matri¬monio. Ne consegue che la quota della pensione di reversibilità spettante a ciascuno dei coniugi, non può che essere data dal rapporto tra la durata legale del suo matrimonio con l’ex coniuge e la misura costituita dalla somma dei due periodi matrimoniali, e che rimane preclusa l’adozione di qualsiasi altro criterio di valutazione, anche se in funzione di mera emenda e di mera correzione del risultato conseguito (Cass. civ. Sez. Unite, 12 gennaio 1998, n. 159).
Anche se contraddetta (in punto di valutazione degli elementi per la determinazione delle rispettive quote) da decisioni successive della Corte costituzionale, questa sentenza delle Sezioni Unite resta fondamentale per comprendere il dibattito sulla natura giuridica della pensione di reversibilità.
Vi si legge che il tema relativo alla posizione giuridica del coniuge rispetto al quale sia stata pro¬nunciata sentenza di scioglimento del matrimonio o di cessazione dei suoi effetti civili (in breve coniuge divorziato) titolare di un assegno divorzile, a seguito della morte dell’altro coniuge (in bre¬ve, ex coniuge) fruente di un trattamento pensionistico, è disciplinato, attualmente, nel secondo e nel terzo comma dell’art. 9 della L. 1 dicembre 1970 n. 898 nel testo novellato dall’art. 13 L. 6 marzo 1987 n. 74.
Come è immediatamente palese, il regime così fissato si uniforma alla disciplina positiva dettata dai vari ordinamenti previdenziali in tema di trattamento di reversibilità al coniuge superstite.
Soprattutto, però, è del tutto armonico al principio che, nei confronti del coniuge, il trattamento di reversibilità ha il suo fondamento ed il suo presupposto non già in una situazione di vivenza a carico del pensionato o di stato di bisogno, sebbene, ed esclusivamente, nell’incidenza dell’apporto (diretto od indiretto) di ciascuno dei coniugi sulla formazione non solo del patrimonio comune ma, altresì, a quello dell’altro coniuge; e nel conseguente diritto del coniuge superstite all’intero tratta¬mento di reversibilità, indipendentemente dalla sorte del rapporto matrimoniale.
Ne risulta legittimata, allora la comune opinione (che perciò si condivide): che il diritto al tratta¬mento sorge nel coniuge divorziato in via autonoma ed automatica nel momento della morte del pensionato, ma in forza di una aspettativa maturata, sempre in via autonoma e definitiva, nel corso della vita matrimoniale, sicché è insuscettibile d’essere vanificato dal successivo decorso degli eventi relativi al rapporto matrimoniale; e che, correlativamente, la disposizione in esame attribuisce al co¬niuge divorziato un diritto che non è la continuazione, mutato il debito avanti la sua morte; ma è un autonomo diritto – di natura squisitamente previdenziale – alla pensione di reversibilità collegato au¬tomaticamente alla fattispecie legale, di modo che prescinde da ogni pronunzia giurisdizionale che, ove necessaria, ha natura meramente dichiarativa. Vale a dire, in ultima analisi, che la disposizione che ne occupa incidendo su tutti indistintamente gli ordinamenti previdenziali – ha allargato l’ambito degli aventi diritto alla pensione di reversibilità, ed ha introdotto quale nuovo soggetto titolare di quel trattamento, il coniuge divorziato, al quale ha esteso integralmente il trattamento previsto per il coniuge superstite, sempre che sussistano gli ulteriori requisiti della titolarità dell’assegno di divor¬zio, del mancato passaggio a nuove nozze e della preesistenza alla sentenza di divorzio del rapporto da cui trae origine il diritto dell’ex coniuge alla pensione.
Tanto, evidentemente, condiziona le opzioni interpretative inerenti a taluni problemi che la nor¬ma non risolve in modo espresso; ma, soprattutto, ribadisce in via definitiva la conclusione già raggiunta secondo cui il nuovo regime esclude ogni collegamento della misura del trattamento di reversibilità ai criteri di determinazione della misura dell’assegno divorzile.
In ordine alla posizione del coniuge divorziato in presenza di quello superstite, il dettato del ter¬zo comma dell’art. 9 ha fatto insorgere tre questioni (sulle quali si sono verificati i contrasti di giurisprudenza, il dettato del terzo comma dell’art. 9 ha fatto insorgere tre questioni (sulle quali si sono verificati i contrasti di giurisprudenza che hanno determinato l’assegnazione del ricorso a queste Sezioni Unite) tra loro diverse, ma le cui rispettive soluzioni si influenzano e condizionano reciprocamente.
La prima, attiene all’identificazione della natura del trattamento riservato, in questa ipotesi, al coniuge divorziato.
La seconda questione attiene all’individuazione del criterio di determinazione della quota da attri¬buire al coniuge divorziato.
La terza questione, infine, attiene alla identificazione del “rapporto” della cui durata deve essere tenuto conto.
In ordine alla prima delle dette questioni, l’indagine esegetica esclude la fondatezza della teoria per la quale il trattamento riconosciuto al coniuge divorziato nell’ipotesi di presenza di un coniuge superstite (o, più esattamente, di un coniuge superstite avente in concreto il diritto alla pensione di reversibilità, posto che, se questo coniuge esiste ma non vanta i relativi requisiti, il coniuge di¬vorziato ha diritto all’intero di reversibilità ai sensi del comma 2 dell’art. 9) costituisce soltanto un diritto nei confronti del coniuge superstite avente funzione e natura di prosecuzione del precedente assegno divorzile, di modo che “il coniuge divorziato non concorre in posizione paritaria con quello superstite”, e la “quota” non ha natura di pensione di reversibilità.
Di contro, impone l’affermazione del principio che anche in questa ipotesi il coniuge divorziato è titolare di un autonomo diritto al trattamento di reversibilità che l’ordinamento attribuisce al coniuge sopravvissuto; solo che questo diritto, potenzialmente all’intero trattamento, è limitato quantitativamente dall’omologo diritto spettante al coniuge superstite.
In altri termini, sia il coniuge divorziato che quello superstite sono titolari di un proprio diritto all’unico trattamento di reversibilità; e ciascuno di questi diritti è autonomo (perché non deriva dall’altro, né sussiste nei confronti dell’altro), e concorre in pari grado con quello dell’altro: in que¬sto senso è, appunto, un diritto ad una quota della pensione di reversibilità.
Al fine della determinazione della quota da attribuirsi, in questa ipotesi, al coniuge divorziato (o, più puntualmente, la ripartizione del trattamento di reversibilità tra il coniuge superstite e quello divorziato) non possono essere utilizzati criteri diversi da quello della “durata del rapporto”, ossia del semplice dato numerico rappresentato dalla proporzione tra le estensioni temporali dei rapporti (come sarà detto) matrimoniali degli stessi coniugi con l’ex coniuge.
In questo senso, allora, deve essere composto il contrasto sul punto.
A sostegno del principio (al quale ha aderito anche la Corte costituzionale nella sentenza 24 genna¬io 1991 n. 23, ove ha sottolineato che, conformemente ai principi generali della riforma del 1987, “la pensione di reversibilità va ripartita tra coniuge divorziato e coniuge superstite in base all’unico criterio della durata di ciascun matrimonio”) concorrono tutti i canoni ermeneutici.
Innanzitutto, quello letterale, una volta che il testo normativo si limita ad indicare soltanto quel parametro.
Il dato letterale è ribadito dall’esegesi sistematica, dalla quale emerge che il criterio della durata del matrimonio è l’unico che risulti armonico alle caratteristiche ontologiche della disciplina intro¬dotta dall’art. 13 della L. n. 74/1987.
D’altra parte, l’interpretazione accolta è resistita dall’obiezione che la locuzione normativa “te¬nendo conto della durata del rapporto” ha il valore di una mero invito a considerare anche questo elemento di giudizio, e non anche quello di fissare un criterio rigido ed automatico.
Ciò in quanto la lettura proposta non è sorretta da alcun valido argomento; non tiene conto dei ristrettissimi tempi di formazione della L. n. 74 del 1987 che – come è noto – hanno impedito la limatura del testo finale, il che, evidentemente, preclude che possa essere attribuito eccessivo va¬lore a talune formule espressive soprattutto se, come quella in esame, intrinsecamente anodine; e, in ogni caso, è nettamente contraddetta dai rilievi fin qui svolti.
Parimenti, non è resistita dal rilievo che la previsione del necessario intervento del giudice ai fini della ripartizione si può spiegare e giustificare solo ove si ammetta che la determinazione della quota non è puramente matematica, ma esige un sia pur minimo aspetto di discrezionalità, di modo che impone la necessaria utilizzazione di ulteriori elementi di valutazione.
Quell’intervento, infatti, trova il suo fondamento nella constatazione che si tratta pur sempre di ripartire un unico trattamento di reversibilità tra i suoi contitolari e di corrispondere a ciascuno di essi una quota determinata nel suo preciso ammontare; e nella considerazione che, ovviamente, una siffatta ripartizione non può essere effettuata in sede amministrativa e dall’ente erogatore del trattamento previdenziale, il cui compito consiste, e si esaurisce, nel determinare l’ammontare del trattamento globalmente spettante al coniuge sopravvissuto.
Il “rapporto” della cui durata deve essere tenuto conto ai fini della ripartizione in questione, infine, è esclusivamente quello matrimoniale.
Non si può condividere, quindi, l’orientamento (fatto proprio dalla Corte del merito, ed estrema¬mente minoritario) secondo cui al fine della ripartizione della pensione di reversibilità assume rilievo anche il “rapporto” dal quale ha avuto origine il trattamento pensionistico dell’ex coniuge; con la conseguenza che la ripartizione deve essere operata in diretta proporzione alla durata dei periodi in cui – in ciascuno dei due matrimoni del coniuge defunto, rispettivamente, col coniuge divorziato e col coniuge superstite – vi è stata coincidenza tra “rapporto matrimoniale” e “rapporto da cui tra origine il trattamento pensionistico”.
In tale senso, del resto, è sempre stato l’orientamento di questa Corte di legittimità espresso non solo indirettamente, ma anche in modo esplicito ed analitico nella sentenza 30 agosto 1996 n. 7980.
Né potrebbe- essere diversamente.
Come s’è detto, sussiste una intrinseca ed inscindibile contiguità tra i regimi dettati, rispettivamente, per l’ipotesi in cui il coniuge divorziato non concorra col coniuge superstite e l’ipotesi del concorso, ed il regime relativo alla seconda ipotesi, di modo che quest’ultimo regime ripete le regole fondamentali dettate per l’altro.
Ora, come s’è visto, nell’ipotesi di sopravvivenza del solo coniuge divorziato, la misura della pen¬sione di reversibilità a questi spettante non è in alcun modo collegata, subordinata o comunque limitata dalla “durata” – nel corso del matrimonio – del “rapporto” costituente titolo del diritto a pensione.
Pertanto, anche nella ipotesi di concorso col coniuge superstite, e stante anche la carenza di una espressa disposizione positiva in senso contrario, la misura del trattamento di reversibilità del coniuge divorziato non può che rimanere disgiunta dalla durata del rapporto generatore del diritto a pensione.
Nel contempo – salve, ovviamente, le regole previste dagli specifici ordinamenti previdenziali – il coniuge superstite ha diritto al trattamento di reversibilità alla sola condizione della persistenza del rapporto matrimoniale al momento del decesso del coniuge pensionato, non solo indipendentemente
dalla durata del rapporto costituente titolo del diritto a pensione durante il suo rapporto matrimonia¬le, ma anche ove il rapporto matrimoniale sia iniziato quando il coniuge era già andato in pensione.
Non si vede, allora, come l’elemento della durata del rapporto generatore della pensione possa assumere rilievo nell’ipotesi del concorso del coniuge superstite con quello divorziato.
Non solo, ma l’applicazione del criterio porterebbe a conseguenze assurde e sicuramente inam¬missibili nell’ipotesi in cui l’ex coniuge abbia contratto il nuovo matrimonio con il coniuge super¬stite quando era già in pensione. In questo caso, infatti, alla stregua di siffatto criterio al coniuge superstite non competerebbe alcuna quota del trattamento di reversibilità, una volta che nei suoi confronti non sussiste alcun momento di coincidenza tra rapporto matrimoniale e rapporto gene¬ratore del diritto a pensione e, con ciò, il parametro cardine del metodo di ripartizione.
La durata del rapporto matrimoniale, infine, coincide con la durata legale del matrimonio.
Correlativamente, non può assumere rilevanza, in pregiudizio del coniuge divorziato, l’eventuale cessazione della convivenza matrimoniale avanti la pronuncia di divorzio; o, in favore di quello superstite, l’eventuale periodo di convivenza more uxorio con l’ex coniuge che abbia preceduto la stipulazione del nuovo matrimonio.
Infatti, secondo il modello delineato dalla L. n. 898 del 1970 (e mantenuto fermo anche a seguito dei successivi interventi del 1978 e del 1987) la cessazione della convivenza, anche se a seguito di separazione legale, comporta soltanto una fase di sospensione della comunione materiale e spirituale tra i coniugi e non anche la sua radicale caducazione, che si verifica, con effetto ex nunc, unicamente con la sentenza di divorzio. Se ne trae che in carenza di qualsiasi specificazione o limitazione, il generico riferimento a quel rapporto contenuto nel terzo comma dell’art. 9 non può essere inteso come rinvio al circoscritto periodo del normale svolgimento del rapporto matrimo¬niale si da lasciar fuori periodi che costituiscono pur sempre componenti di quel rapporto; e deve riguardare l’intero periodo della durata legale del matrimonio.
Nel contempo, stante la sostanziale omogeneità delle relative problematiche, non possono non valere anche in relazione alla soluzione della questione che ne occupa i rilievi – che si condividono appieno in quanto coerenti ai principi fin qui affermati con i quali la Corte costituzionale ha giu¬stificato, nella sentenza n. 24 gennaio 1991 n. 23, la declaratoria di infondatezza della eccezione di incostituzionalità del criterio di ripartizione dell’indennità di fine rapporto dettato nell’art. 12 bis della L. n. 898 del 1970, nella parte in cui non lo rapporta alla sola durata della convivenza. Dopo aver sottolineato che il riferimento alla durata legale del matrimonio costituisce un elemento che caratterizza in modo essenziale tutti gli istituiti riguardanti la determinazione delle posizioni patrimoniali dei coniugi a seguito del divorzio, ha osservato che con riferimento al trattamento di fine rapporto, a tale conclusione occorreva pervenire anche e “soprattutto, perché si tratta della ripartizione di una entità economica maturata nel corso del rapporto del lavoro e del matrimonio, sicché il contributo dato dall’altro coniuge non può non avere rilievo determinante”; perché “è evidente che quel contributo non cessa con la separazione legale o di fatto”; e perché “é del tutto ragionevole che il legislatore, una volta fatta la scelta di attribuire la quota dell’indennità in una percentuale predeterminata, …abbia preferito ancorarsi ad un dato certo ed irreversibile, quale la durata del matrimonio, piuttosto che ad uno incerto e precario come la cessazione della conviven¬za: non solo perché questa è di non facile accertamento in caso di separazione di fatto, ma perché anche in quella legale essa è soggetta a fasi di reversibilità”.
Il periodo di convivenza more uxorio prematrimoniale, dal suo canto, non può assumere rilevanza, innanzitutto, per l’inammissibilità della valorizzazione di un rapporto di fatto extra matrimoniale.
Inoltre, e soprattutto, per il principio che il trattamento di reversibilità per il coniuge superstite ha il suo intrinseco fondamento nelle implicazioni patrimoniali della comunione di vita connesse al rap¬porto matrimoniale e, più esattamente nell’apporto diretto di quel coniuge al patrimonio non solo comune e familiare ma anche personale del coniuge poi deceduto. In questa prospettiva, infatti, specie di fronte alla contrapposizione dei reciproci diritti dei coniuge superstite e divorziato, non vi può essere spazio per la valorizzazione, in favore del coniuge superstite, di periodi di convivenza extra matrimoniali.
In questo senso, perciò, deve essere composto anche il contrasto sulla terza questione.
Ne consegue che la quota della pensione di reversibilità spettante a ciascuno dei coniugi non può che essere data dal rapporto tra la durata legale del suo matrimonio con l’ex coniuge e la misura costituita dalla somma dei due periodi matrimoniali.
Vale a dire che deve essere determinata sulla base di una frazione che ha, quale denominatore, il numero corrispondente alla somma degli anni dei due (o più, nel caso di più divorzi) periodi ma¬trimoniali e, quale numeratore, il numero corrispondente alla durata del suo periodo matrimoniale legale. In concreto, ipotizzando che il matrimonio tra il coniuge divorziato e l’ex coniuge sia durato 17 anni e quello tra l’ex coniuge sia durato 8 anni, sicché la somma dei due periodi matrimoniali ammonti a 25 anni, la quota del coniuge divorziato è pari ai 17/25 del trattamento globale di re¬versibilità e la quota del coniuge superstite agli 8/25 dello stesso trattamento: perciò, rispetto ad un trattamento globale, ad esempio, di L. 1.000.000, al coniuge divorziato compete una quota di L. 680.000 (1.000.000: 25 x 17) ed all’ex coniuge compete una quota di L. 320.000 (1.000.000: 25 x 8).
Ovviamente, con questo metodo viene ad essere implicitamente ripartito tra i due coniugi (che potenzialmente hanno diritto all’intero) ed in proporzione alla durata dei rispettivi periodi matri¬moniali, anche l’ammontare del trattamento pensionistico e, quindi, di reversibilità, corrispondente al periodo anteriore anche al primo matrimonio, o al periodo intermedio tra il divorzio ed il nuovo matrimonio.
In sintesi, dunque, a mente dell’art. 9 comma 2 e 3 della L. 1 dicembre 1970 n. 898 come novellati dall’art. 13 della L. 6 marzo 1987 n. 74, ove al momento della morte dell’ex coniuge titolare di un diritto a pensione, allo stesso sopravvivano il coniuge divorziato (a sua volta titolare di assegno divorzile) ed un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, entrambi i coniugi, divorziato e superstite, hanno pari ed autonomo diritto all’unico trattamento di reversibi¬lità che l’ordinamento previdenziale riconosce al coniuge sopravvissuto; inoltre, la ripartizione del trattamento di reversibilità tra detti coniugi deve essere effettuata esclusivamente sulla base del criterio della durata legale dei rispettivi matrimoni, ed in rigorosa proporzione con i relativi periodi, sicché rimane preclusa l’adozione di qualsiasi altro elemento di valutazione, anche in funzione di mera emenda o correzione del risultato conseguito.
b) l’orientamento assistenziale (Corte cost. 4 novembre 1999, n. 419 e Corte cost. 14 no¬vembre 2000, n. 491: ai fini della ripartizione possono essere valorizzati anche elementi diversi dalla durata legale del matrimonio)
Secondo la giurisprudenza costituzionale l’art. 9, comma 3, della legge 1° dicembre 1970 n. 898, nel testo sostituito da ultimo dall’art. 13 legge marzo 1987 n. 74, nella parte in cui prevede che la ripartizione dell’ammontare della pensione di reversibilità fra coniuge ed ex coniuge, se entrambi vi abbiano diritto, avvenga “tenendo conto della durata del rapporto”, non impone una ripartizione in base ad un imprescindibile ed esclusivo criterio matematico, ma consente, secondo interpreta¬zione conforme a Costituzione, che il tribunale valuti anche circostanze ulteriori analoghe a quelle da considerare per definire i rapporti patrimoniali fra i coniugi divorziati; così intesa, la norma non contrasta con gli art. 3 e 38 costituzione.
Sui legge nella sentenza che la questione di legittimità costituzionale investe il criterio di riparti¬zione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite, che abbia i requisiti per ottenerla, e l’ex coniuge, al quale la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio abbia riconosciuto il diritto all’assegno, alla cui somministrazione era tenuto il titolare del diritto alla pensione, poi deceduto.
La Corte d’Appello di Trento ritiene che l’art. 9, comma 3, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (Di¬sciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) – nel testo sostituito, da ultimo, dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio) -, prevedendo che la ripartizione dell’ammontare della pensione tra il coniuge e l’ex coniuge, se en¬trambi vi abbiano diritto, avvenga “tenendo conto della durata del rapporto”, imponga di effettuare tale ripartizione esclusivamente secondo il criterio matematico della proporzione fra la estensione temporale dei rispettivi rapporti matrimoniali, senza che il giudice chiamato a determinare le quote di ripartizione della pensione possa utilizzare alcun altro criterio o correttivo, neppure quelli pre¬visti per la determinazione della misura dell’assegno di divorzio, e senza che possa comparare le situazioni di bisogno delle persone che concorrono nella ripartizione della pensione.
Così interpretata, la disposizione denunciata violerebbe i princìpi di razionalità e di solidarietà so¬ciale (artt. 3 e 38 Cost.). Difatti il criterio di ripartizione della pensione, fondato esclusivamente sulla durata del rapporto matrimoniale, porterebbe ad esiti irragionevoli e non suscettibili di corre¬zione, privando delle risorse necessarie il coniuge superstite che versi in stato di bisogno, mentre l’ex coniuge potrebbe godere di un trattamento di molto superiore allo stesso assegno di divorzio.
La questione non è fondata, nei sensi di seguito precisati.
Nel disciplinare i rapporti patrimoniali tra coniugi in caso di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, il legislatore ha assicurato all’ex coniuge, al quale sia stato attribuito l’as¬segno di divorzio, la continuità del sostegno economico correlato al permanere di un effetto della solidarietà familiare, mediante la reversibilità della pensione che trae origine da un rapporto previ¬denziale anteriore al divorzio, o di una quota di tale pensione qualora esista un coniuge superstite che abbia anch’esso diritto alla reversibilità.
In questo caso la pensione di reversibilità realizza la sua funzione solidaristica in una duplice di¬rezione.
Anzitutto nei confronti del coniuge superstite, come forma di ultrattività della solidarietà coniugale, consentendo la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del coniuge deceduto (sentenze n. 70 del 1999 e n. 18 del 1998).
In secondo luogo nei confronti dell’ex coniuge, il quale, avendo diritto a ricevere dal titolare diretto della pensione mezzi necessari per il proprio adeguato sostentamento, vede riconosciuta, per un verso, la continuità di questo sostegno e, per altro verso, la conservazione di un diritto, quello alla reversibilità di un trattamento pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale. Si tratta, dunque, di un diritto alla pensione di reversibilità, che non è inerente alla semplice qualità di ex coniuge, ma che ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titola¬rità attuale dell’assegno, la cui attribuzione ha trovato fondamento nell’esigenza di assicurare allo stesso ex coniuge mezzi adeguati (art. 5, comma 6 della legge n. 898 del 1970).
In presenza di più aventi diritto alla pensione di reversibilità (il coniuge superstite e l’ex coniuge), la ripartizione del suo ammontare tra di essi non può avvenire escludendo che si possa tenere conto, quale possibile correttivo, delle finalità e dei particolari requisiti che, in questo caso, sono alla base del diritto alla reversibilità. Ciò che, appunto, il criterio esclusivamente matematico della proporzione con la durata del rapporto matrimoniale non consente di fare. Difatti una volta attribu¬ito rilievo, quale condizione per aver titolo alla pensione di reversibilità, alla titolarità dell’assegno, sarebbe incoerente e non risponderebbe al canone della ragionevolezza, né, per altro verso, alla duplice finalità solidaristica propria di tale trattamento pensionistico, la esclusione della possibilità di attribuire un qualsiasi rilievo alle ragioni di esso perché il tribunale ne possa tenere in qualche modo conto dovendo stabilire la ripartizione della pensione di reversibilità.
La mancata considerazione di qualsiasi correttivo nell’applicazione del criterio matematico di ripar¬tizione renderebbe possibile l’esito paradossale indicato dal giudice rimettente, il quale sottolinea come, con l’applicazione di tale criterio, il coniuge superstite potrebbe conseguire una quota di pensione del tutto inadeguata alle più elementari esigenze di vita, mentre l’ex coniuge potrebbe conseguire una quota di pensione del tutto sproporzionata all’assegno in precedenza goduto, sen¬za che il tribunale possa tener conto di altri criteri per ricondurre ad equità la situazione.
La disposizione denunciata si presta tuttavia ad una diversa interpretazione, che rispecchia un altro orientamento, sia della giurisprudenza di legittimità sia di larga parte della dottrina.
La ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l’ex coniuge deve essere di¬sposta “tenendo conto” della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali (art. 9, comma 3, della leg¬ge n. 898 del 1970). A questa espressione non può essere tuttavia attribuito un significato diverso da quello letterale: il giudice deve “tenere conto” dell’elemento temporale, la cui valutazione non può in nessun caso mancare; anzi a tale elemento può essere riconosciuto valore preponderante e il più delle volte decisivo, ma non sino a divenire esclusivo nell’apprezzamento del giudice, la cui valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico. Una conferma del significato relativo della espressione “tenendo conto” si trova nel sistema della stessa legge, che altre volte usa la medesi¬ma espressione per riferirsi a circostanze da considerare quali elementi rimessi alla ponderazione del giudice; e ciò proprio per definire i rapporti patrimoniali derivanti dalla pronuncia di divorzio (cfr. art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970).
La diversa interpretazione, che porta alla ripartizione dell’ammontare della pensione esclusiva¬mente in attuazione di una proporzione matematica, non giustificherebbe, tra l’altro, la scelta del legislatore di investire il tribunale per una statuizione priva di ogni elemento valutativo, potendo la ripartizione secondo quel criterio automatico essere effettuata direttamente dall’ente che eroga la pensione, come avviene in altri casi nei quali la ripartizione tra più soggetti che concorrono al trattamento di reversibilità è stabilita in base ad aliquote fissate direttamente dal legislatore.
Del resto, quando il legislatore ha inteso stabilire in modo rigido e automatico i criteri per la de-terminazione di prestazioni patrimoniali dovute all’ex coniuge, ha usato una diversa espressione testuale, direttamente significativa della percentuale di ripartizione e del periodo da considerare; ciò che avviene, ad esempio, per l’indennità di fine rapporto, ripartita tra il coniuge e l’ex coniuge in una percentuale determinata ed in proporzione agli anni in cui il rapporto di lavoro che vi dà titolo è coinciso con il matrimonio (art. 12-bis della legge n. 898 del 1970).
Conclusivamente è da ritenere che si possa ricavare dalla disposizione denunciata un contenuto normativo che non è in contrasto con i princìpi indicati per la verifica di legittimità costituzionale. Questa interpretazione deve essere preferita, conservando all’ordinamento una norma nel signifi¬cato, che la disposizione può esprimere, compatibile con la Costituzione.
Gli stessi principi sono stati ribaditi e confermati anche da Corte cost. 14 novembre 2000, n. 491 che ha ritenuto manifestamente infondata, in relazione all’art. 3 cost., la questione di le¬gittimità costituzionale dell’art. 9 comma 3 l. div., nella parte in cui si riferisce, quale criterio di ripartizione della pensione di reversibilità tra divorziato e coniuge superstite, alla durata legale del rapporto matrimoniale, con conseguente inclusione del periodo di separazione personale ed esclu¬sione dell’eventuale periodo di convivenza “more uxorio” precedente la celebrazione del secondo matrimonio.
La giurisprudenza di legittimità si è successivamente adeguata a questo orientamento interpreta¬tivo (Cass. 8113/2000; 12389/2000; 282/2001; 1057/2002).
12. Da quando decorre la quota attribuita e chi deve eventualmente restituire all’ex coniuge gli importi corrisposti dall’ente pensionistico in eccesso al coniuge superstite?
Secondo una parte giurisprudenza la quota attribuita decorrerebbe dal giudicato nella causa di attribuzione della quota di reversibilità (ritenendosi che la sentenza abbia natura costitutiva del diritto: Cass. civ. Sez. I, 12 novembre 1994, n. 9528 secondo cui l’obbligo dell’Inps di cor¬rispondere all’ex coniuge la quota parte della pensione di reversibilità deve decorrere dalla data di pronuncia del provvedimento camerale di natura chiaramente costitutiva e non dalla data del decesso dell’ex coniuge obbligato come quando manca un coniuge superstite o come quando vi sia solo il coniuge superstite).
Secondo questa impostazione il diritto alla quota di reversibilità dell’ex coniuge non si baserebbe direttamente sul rapporto previdenziale con l’ente erogatore ma sull’esercizio di un diritto pote¬stativo da parte dell’ex coniuge (divorziato) che chiede e ottiene una sentenza costitutiva del suo diritto (e che quindi non può avere decorrenza retroattiva in difetto di una norma che lo preveda).
Tuttavia, seguendo la tesi della natura costituiva della sentenza e della decorrenza dal giudicato ci si espone al rischio che il coniuge superstite titolare della pensione possa ritardare il giudicato nella causa in cui l’ex coniuge ha chiesto l’accertamento del suo diritto.
Per questo una giurisprudenza risalente aveva ritenuto che la decorrenza dovesse essere garantita dal momento della morte dell’assicurato e non dal passaggio in giudicato della decisione del giudice (che avrebbe invece natura dichiarativa del diritto e non costituiva del diritto) (Cass. 11 dicembre 1980, n. 6396). Il principio contrario – della decorrenza dalla morte del pensionato – venne affermato da Cass. civ. Sez. I, 24 giugno 1989, n. 3092.
Il principio oggi affermato in giurisprudenza molto chiaramente è che la pensione in caso di con¬tenzioso tra ex coniuge e coniuge superstite decorre sempre dalla morte del pensionato e non dalla sentenza.
Per questo motivo appare più corretta la tesi che l’accertamento effettuato dal tribunale abbia natura dichiarativa – come bene ha sostenuto Trib. Roma Sez. I, 27 aprile 2012 secondo cui il procedimento per la ripartizione della pensione tra ex coniuge e coniuge superstite non ha natura previdenziale, non avendo ad oggetto l’accertamento di alcun rapporto di tal genere, bensì solo la determinazione delle quote sul complessivo trattamento di reversibilità spettanti all’ex coniuge di¬vorziato, da una parte, al coniuge superstite dall’altra, in applicazione dei principi della solidarietà familiare e la pronuncia richiesta ha natura dichiarativa, dovendo il diritto al trattamento decor¬rere, per entrambe le beneficiarie, dal primo mese successivo al decesso dell’originario titolare).
Cass. civ. Sez. I, 14 dicembre 2001, n. 15837 ha precisato a tale proposito che la decorrenza del trattamento di reversibilità, nel caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, nasce, nei confronti dell’ente erogatore, in conformità con quanto stabilito alle singole leggi pensionistiche, ed in particolare, con riferimento a pensioni Inps, con quanto stabilito dall’art. 5 d.lg.lt. n. 39 del 1945, a norma del quale “la pensione. decorre dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’assicurato o del pensionato”.
Ugualmente secondo Cass. civ. Sez. I, 14 gennaio 2004, n. 336 per effetto della disciplina di cui all’art. 9 della legge sul divorzio il diritto al trattamento pensionistico sorge nel coniuge divor¬ziato in via autonoma ed automatica, con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quel¬lo in cui si è verificato il decesso dell’ex coniuge pensionato, in forza di un’aspettativa maturata, sempre in via automatica e definitiva, nel corso della vita matrimoniale, ed è quindi insuscettibile di essere modificato dagli eventi relativi al rapporto matrimoniale, trovando radice nell’apporto recato da ciascuno dei coniugi alla formazione non solo del patrimonio comune, ma anche di quello dell’altro coniuge, e nelle aspettative formatesi durante e per effetto del matrimonio (v. sul punto S.U. 1998 n. 159).
Principi analoghi sono ribaditi da Cass. civ. Sez. I, 30 marzo 2004, n. 6272 in una vicenda nella quale si discuteva proprio della decorrenza del diritto alla reversibilità. La Corte d’Appello aveva fatto decorrere la pensione dal mese successivo al decesso del pensionato riformando una decisio¬ne del tribunale che aveva disposto la decorrenza dalla pubblicazione della sentenza. Nel giudicare infornate le censure contro il provvedimento della Corte d’appello la Cassazione precisava che la Corte d’appello, nel fissare la decorrenza della quota spettante all’ex coniuge dal mese successivo al decesso dell’assicurato, ha richiamato una decisione di questa Corte che a tale decorrenza aveva fatto riferimento, rilevando che dovevano trovare applicazione, in coerenza con l’oggetto proprio di tale attribuzione, le norme che regolano la pensione di reversibilità. A fronte di tale pronuncia, la ricorrente, senza dedurre alcuna considerazione giuridica a sostegno della tesi sostenuta, si è limi¬tata a richiamare la pregressa giurisprudenza che fa riferimento invece o alla data della domanda ovvero a quella della pronuncia del provvedimento camerale. Afferma testualmente la sentenza “Ritiene il Collegio invece di dare continuità all’orientamento che ha attribuito la quota di reversi¬bilità dal mese successivo al decesso specie se si consideri che in base all’art. 9 della legge n. 898 del 1970 , come sostituito dall’art. 13 della legge n. 74 del 1987, detta quota ha natura di credito pensionistico e non può pertanto non uniformarsi, quanto alla decorrenza, alle relative norme che fanno riferimento appunto al primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’assicurato. Tale del resto è anche il più recente orientamento di questa Corte (Cass. 15837/01)”.
Gli stessi principi sono stati ora ribaditi da Cass. civ. Sez. lavoro, 27 settembre 2013, n. 22259 secondo cui nel caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, il diritto alla quota di reversibilità deve farsi decorrere dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge assicurato o pensionato.
Anche la giurisprudenza di merito è conforme.
Secondo App. Roma Sez. II, 11 aprile 2003 attraverso le modifiche apportate dapprima con la legge 436/1978 e successivamente con la legge 74/1987 è stato introdotto il riconoscimento al coniuge divorziato di un vero e proprio diritto autonomo rispetto alla pensione di reversibilità, che consegue quale effetto della morte del soggetto tenuto alla corresponsione dell’assegno divorzile in suo favore. La natura previdenziale di un siffatto diritto è tale da giustificare l’azione diretta da parte del coniuge divorziato nei confronti dell’ ente tenuto all’erogazione dell’emolumento, la cui posizione è solo diversificata a seconda che vi sia o meno altro coniuge superstite del “de cuius”. Se invero in tal caso l’ ente può essere investito in via amministrativa del diritto del co¬niuge divorziato di vedersi attribuita nella sua interezza la pensione spettante al “de cuius”, la quota di pensione di rispettiva spettanza del coniuge divorziato e di quello superstite è stabilita esclusivamente in via giudiziale, da parte del tribunale adito a tale specifico fine dal richiedente. La decorrenza del diritto fatto valere nei confronti dell’ ente dal coniuge divorziato non può che essere quella stessa dell’erogazione della pensione conformemente con quanto stabilito dalle sin¬gole leggi pensionistiche e ciò in conseguenza dell’autonomia della pretesa in proposito vantata.
Chi è il soggetto tenuto eventualmente a restituire all’ex coniuge quanto l’ente abbia erogato al coniuge superstite in esubero rispetto a quanto stabilito dal tribunale?
Come in passato è stato sostenuto, “avendo la pensione natura alimentare, non potrebbe essere oggetto di restituzione nei confronti dell’ex coniuge nei casi in cui l’ente l’avesse già corrisposta al coniuge superstite (Così Cass. 22 gennaio 1983, n. 652 la quale però fa decorrere il diritto dalla morte dell’assicurato).
L’ostacolo non sussisterebbe se fosse, invece, l’ente pensionistico ad essere tenuto alla restituzione.
Ed infatti secondo Cass. 31 gennaio 2007, n. 2092 “Nel caso di concorso del coniuge supersti¬te con quello divorziato, il diritto alla quota di reversibilità deve farsi decorrere dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge assicurato o pensionato. Tale decorrenza nasce, per entrambi, nei confronti dell’ente previdenziale erogatore, onde a carico soltanto di quest’ultimo, e non anche del coniuge superstite che, nel frattempo, abbia percepito per intero e non “pro quota” il trattamento di reversibilità corrisposto dall’ente medesimo, debbono essere posti gli arretrati spettanti al coniuge divorziato (sul trattamento anzidetto in proporzione alla quota riconosciuta dal giudice), a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’ex coniuge, salva ovviamente restando la facoltà per l’ente previdenziale di recuperare dal coniuge superstite le somme versategli in eccesso”.
Il principio che il rimborso degli importi è a carico dell’ente erogatore è stato ora ribadito testualmente da Cass. civ. Sez. lavoro, 27 settembre 2013, n. 22259 secondo solo a carico soltanto di quest’ul¬timo, e non anche del coniuge superstite che, nel frattempo, abbia percepito per intero e non “pro quota” il trattamento di reversibilità corrisposto dall’ente medesimo, debbono essere posti gli arretrati spettanti al coniuge divorziato (sul trattamento anzidetto in proporzione alla quota riconosciuta dal giudice), a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’ex coniuge, salva ovviamente restando la facoltà per l’ente previdenziale di recuperare dal coniuge superstite le somme versategli in eccesso, trattandosi di ipotesi di indebito oggettivo disciplinata dall’art. 2033 codice civile.
In conformità si è pronunciato Trib. Milano Sez. IX, 21 febbraio 2011 secondo cui il soggetto obbligato alla corresponsione della pensione, anche con riferimento agli arretrati, è l’ ente erogatore, e non il coniuge superstite che abbia già riscosso la pensione di reversibilità per intero, soggetto che con riferimento alla domanda volta ad ottenere la condanna alla corresponsione degli arretrati difetta di legittimazione passiva.
13. La tutela delle parti pretermesse
Che cosa avviene se è pretermesso un avente diritto (es genitore, fratello del defunto), nonostante il testo chiaro della legge che impone, proprio per garantire che tutti abbiano le quote a cui hanno diritto, la presentazione di un atto notorio per l’esatta individuazione degli aventi diritto?
Il mezzo eventualmente azionabile dai soggetti pretermessi è, dopo la sentenza, l’opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c.
L’espressione contenuta nell’art. 9 della legge sul divorzio secondo cui “In ogni caso la sentenza non pregiudica la tutela nei confronti dei beneficiari pretermessi” sta a significare che l’ente ero¬gatore della pensione non potrebbe astenersi dal dare osservanza al giudicato.
V Pensione di reversibilità e una tantum divorzile
L’art. 5 co 8 della legge sul divorzio prevede che nel caso di corresponsione dell’assegno in unica soluzione (cioè una tantum) “non può essere proposta alcuna successiva domanda di contenuto economico”. L’art. 5, comma 8, sembra molto chiaro: la richiesta della pensione di reversibilità da parte dell’ex coniuge divorziato e il cui divorzio risulta definito con una prestazione una tantum è certamente una “domanda a contenuto economico” e dovrebbe perciò essere esclusa.
Su questo aspetto la giurisprudenza si è a lungo confrontata esprimendo posizioni contrastan¬ti tanto da determinare l’intervento delle Sezioni Unite (Cass. civ. Sez. Unite, 24 settembre 2018, n. 22434) che ha precisato che ai fini del riconoscimento della pensione di riversibilità, in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell’art 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 899, nel testo modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, la titolarità dell’assegno, di cui all’art. 5 della stessa egge 1 di¬cembre 1970, n. 898, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica solu¬zione. Pertanto la pensione di reversibilità non spetta se in sede di divorzio i rapporti economici tra i coniugi sono stati soddisfatti attraverso l’una tantum divorzile.
Questo orientamento è sempre apparso prevalente, come ribadito nel 2012 da Cass. civ. Sez. Lavoro, 8 marzo 2012, n. 6635 secondo cui in tema di divorzio, qualora le parti, in sede di re¬golamentazione dei loro rapporti economici, abbiano convenuto di definirli in un’unica soluzione, tale attribuzione, indipendentemente dal nomen iuris che gli ex coniugi le abbiano dato nelle loro pattuizioni, deve ritenersi adempitiva di ogni obbligo di sostentamento nei confronti dei beneficia¬rio, dovendosi, quindi, escludere che costui possa avanzare, successivamente, ulteriori pretese di contenuto economico e, in particolare, che possa essere considerato, all’atto del decesso dell’ex coniuge, titolare dell’assegno di divorzio, avente, come tale, diritto di accedere alla pensione di reversibilità o (in concorso con il coniuge superstite) a una sua quota
Anche Cass. civ. Sez. lavoro, 5 maggio 2016, n. 9054 ha confermato questo orientamento. Secondo questa sentenza la corresponsione dell’assegno divorzile in unica soluzione su accordo tra le parti, soggetto a verifica giudiziale, è satisfattivo di qualsiasi obbligo di sostentamento nei confronti del beneficiario, il quale, quindi, non può avanzare successivamente ulteriori pretese di contenuto economico, né può essere considerato, all’atto del decesso dell’ex coniuge, titolare dell’assegno di divorzio, avente, come tale, diritto di accedere alla pensione di reversibilità o, in concorso con il coniuge superstite, a una sua quota. Prevedendo che l’assegno sia corrisposto in un’unica soluzione – affermano i giudici – le parti intendono perseguire la finalità di voler defi¬nire ogni questione di carattere patrimoniale, “in modo da distaccare definitivamente le fortune dell’uno da quelle dell’altro”, con la conseguenza che eventuali eventi sopravvenuti non potranno modificare in aumento o in diminuzione la misura dell’assegno già corrisposto (Cass., 5 gennaio 2001, n. 126; Cass., 29 agosto 1998, n. 8654). In tal senso depone l’ultima parte del comma 8° dell’art. 5. Si è aggiunto che improponibilità di nuove domande di contenuto economico dopo la corresponsione dell’assegno in unica soluzione è conseguenza non (tanto) dell’autonomia delle parti quanto (piuttosto) dell’accertamento da parte del giudice della rispondenza dell’accordo alle esigenze di tutela del coniuge economicamente più debole. Tale accertamento e valutazione di equità dell’accordo vanno compiuti anche in sede di divorzio ad istanza congiunta.
Ugualmente, secondo Cass. Sez. I, 28 maggio 2010, n. 13108 gli accordi divorzili una tantum di questo tipo (cioè con effetti perduranti nel tempo dopo la morte del dante causa) non preclude¬rebbero l’accesso dell’ex coniuge alla pensione di reversibilità. La sentenza afferma che “In tema di divorzio e con riguardo al trattamento economico del coniuge divorziato in caso di morte dell’ex co¬niuge, l’accordo intervenuto tra i coniugi in ordine all’attribuzione dell’usufrutto sulla casa coniuga¬le a titolo di corresponsione dell’assegno di divorzio in unica soluzione, a norma dell’art. 5, comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, è idoneo a configurare la titolarità di detto assegno, alla stregua del principio della riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede od a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive della natura solidaristico-assistenziale dell’istituto; ne consegue che tale costituzione di usufrutto soddisfa il requisito della previa titolarità di assegno prescritto dall’art. 5 della legge ai fini dell’ac¬cesso alla pensione di reversibilità, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione.
Ad uguali conclusioni era anche giunta Cass. Sez. I, 12 novembre 2003, n. 17018. Il tribuna¬le di Gela aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio confermando, come assegno divorzile, la disposizione operata dal marito per la quale era costituito, in favore della moglie, usufrutto su un immobile donato alla figlia dei coniugi. La Corte d’appello di Caltanissetta con sentenza 24 luglio 1994 confermava la pronunzia ed anche la statuizione sull’assegno in essa contenuta. Affermava la Corte di cassazione che nella valutazione della condizione essenziale per l’insorgenza del diritto del divorziato ad una quota del trattamento (previdenziale) pensionistico spettante al superstite, e cioè nell’accertare (per quel che rileva) che il divorziato fosse titolare dell’assegno di cui all’art. 5 della legge, è d’obbligo attestare la verifica alla sussistenza di un accertamento sul punto che si sia formato in sede di giudizio di divorzio o di modificazione delle previste condizioni, da un canto questa essendo la ridetta condizione necessaria e sufficiente per l’insorgenza del diritto e dall’altro non essendo possibile – nel giudizio afferente la determinazione contenziosa delle quote tra divorziato e superstite – revocare in dubbio la avvenuta statuizione del diritto soggettivo alla prestazione dell’assegno. Da tanto consegue che le volte in cui, per decisio¬ne del Tribunale o per accordo dei divorziandi (dal tribunale sottoposto alla necessaria verifica), sia stata determinata una forma di assegno la cui erogazione periodica non abbia a cessare con il decesso dell’obbligato (ed oltre al caso della vicenda qui sottoposta ben potrebbe venire in rilievo quello di obbligazione solutoria del terzo assunta a seguito della costituzione di un capitale o del pagamento di premi), nondimeno deve ritenersi soddisfatto il requisito della previa titolarità di assegno di cui all’art. 5 della legge per l’accesso alla pensione di reversibilità o, in concorso con il superstite, alla sua ripartizione, tale permanente erogazione non rilevando in alcun modo sull’”an debeatur” del credito all’intero od alla sua quota ma soltanto – come è di totale evidenza – sulla mi¬sura della quota (e cioè in una sede nella quale ben possono avere la giusta considerazione i rilievi afferenti la permanente percezione di ratei dello statuito assegno da parte del coniuge divorziato).
Le Sezioni Unite, chiamate dirimere il contrasto hanno deciso, come sopra anticipato, che ai fini del riconoscimento della pensione di riversibilità, in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell’art 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 899, nel testo modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, la titolarità dell’assegno, di cui all’art. 5 della stessa legge 1 dicembre 1970, n. 898, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione (Cass. civ. Sez. Unite, 24 settembre 2018, n. 22434).
Il ricorso si basava fondamentalmente sulla sentenza delle Sezioni Unite n. 159 del 12 gennaio 1998 (che la decisione del 2018 ritiene, come si dirà, non più applicabile) con cui venne, tra l’altro, precisato che la “ratio” della pensione di reversibilità per il coniuge superstite come per il coniuge divorziato consiste nel loro apporto alla formazione del patrimonio comune ed a quello proprio dell’altro coniuge, nonché nelle loro aspettative formatesi durante e per effetto del matrimonio. Tuttavia, dopo questa pronuncia, intervenne la Corte Costituzionale che con la sentenza n. 419 del 20 ottobre 1999, ha fornito l’interpretazione dell’art. 9, comma 3, della legge sul divorzio affermando che “la pensione di reversibilità realizza la sua funzione solidaristica in una duplice direzione: nei confronti del coniuge superstite, come forma di ultrattività della solidarietà coniu¬gale, consentendo la prosecuzione del sostentamento prima assicurato dal reddito del coniuge deceduto; e nei confronti dell’ex coniuge, il quale, avendo diritto a ricevere dal titolare diretto della pensione mezzi necessari per il proprio adeguato sostentamento, vede riconosciuta, per un verso, la continuità di questo sostegno e, per altro verso, la conservazione di un diritto, quello alla reversibilità di un trattamento pensionistico geneticamente collegato al periodo in cui sussisteva il rapporto coniugale. Si tratta, dunque, di un diritto alla pensione di reversibilità, che non è inerente alla semplice qualità di ex coniuge, ma che ha uno dei suoi necessari elementi genetici nella titola¬rità attuale dell’assegno, la cui attribuzione ha trovato fondamento nell’esigenza di assicurare allo stesso ex coniuge mezzi adeguati (L. n. 898 del 1970,art.5, comma 6)”.
Perciò, deve ritenersi quindi non più invocabile la sentenza n. 159 delle Sezioni Unite del 1998 laddove identifica il fondamento della pensione di reversibilità nell’apporto alla formazione del pa¬trimonio comune e a quello proprio dell’altro coniuge e nelle aspettative formatesi durante e per effetto del matrimonio. Se in particolare l’apporto alla formazione del patrimonio comune e dell’al¬tro coniuge può considerarsi elemento costitutivo della solidarietà coniugale e post-coniugale, il presupposto per l’attribuzione della pensione di reversibilità è, invece, il venir meno di un soste¬gno economico che veniva apportato in vita dal coniuge o ex coniuge scomparso e la sua finalità è quella di sovvenire a tale perdita economica all’esito di una valutazione effettuata dal giudice in concreto che tenga conto della durata temporale del rapporto, delle condizioni economiche dei coniugi, dell’entità del contributo economico del coniuge deceduto e di qualsiasi altro criterio uti¬lizzabile per la quantificazione dell’assegno di mantenimento.
Alla luce di queste constatazioni, il problema dell’interpretazione dell’espressione testuale “titolare dell’assegno” di divorzio, di cui all’art. 9, comma 3, della legge sul divorzio, assume una direzione univoca nel senso di valorizzare il significato della titolarità come condizione che vive e si qualifica nell’attualità (non condividendosi pertanto l’opposto indirizzo ermeneutico segnato dalle uniche due decisioni le quali affermano che la titolarità dell’assegno di divorzio non significa necessaria¬mente corresponsione periodica e attuale dell’assegno: Cass. civ. sez. 1 n. 13108 del 28 maggio 2010 e n. 16744 del 29 luglio 2011). Se infatti la finalità del legislatore è quella di sovvenire a una situazione di deficit economico derivante dalla morte dell’avente diritto alla pensione, l’indice per riconoscere l’operatività in concreto di tale finalità è quello della attualità della contribuzione economica venuta a mancare; attualità che si presume per il coniuge superstite e che non può essere attestata che dalla titolarità dell’assegno, intesa come fruizione attuale di una somma pe¬riodicamente versata all’ex coniuge come contributo al suo mantenimento. Del resto l’espressione titolarità nell’ambito giuridico presuppone sempre la concreta e attuale fruibilità ed esercitabilità del diritto di cui si è titolari; viceversa, un diritto che è già stato completamente soddisfatto non è più attuale e concretamente fruibile o esercitabile, perché di esso si è esaurita la titolarità.
Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. Unite, 24 settembre 2018, n. 22434 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ai fini del riconoscimento della pensione di riversibilità, in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell’art 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 899, nel testo modificato dalla legge 6 marzo 1987, n. 74, la titolarità dell’assegno, di cui all’art. 5 della stessa egge 1 dicembre 1970, n. 898, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno di¬vorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione.
Corte cost. 14 luglio 2016, n. 174 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
E’ costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione l’art. 18, co 5, del De¬creto legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011 n. 111 (Disposizioni urgenti per la stabi¬lizzazione finanziaria), nella parte in cui con effetto sulle pensioni decorrenti dal 1° gennaio 2012 dispone che l’aliquota percentuale della pensione a favore dei superstiti di assicurato e pensionato nell’ambito del regime dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme esclusive o sostitutive di detto regime, nonché della gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, è ridotta, nei casi in cui il matrimonio con il dante causa sia stato contratto ad età del medesimo superiori a settanta anni e la differenza di età tra i coniugi sia superiore a venti anni, del 10 per cento in ragione di ogni anno di matri¬monio con il dante causa mancante rispetto al numero di 10.
Cass. civ. Sez. lavoro, 5 maggio 2016, n. 9054 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La corresponsione dell’assegno divorzile in unica soluzione su accordo tra le parti, soggetto a verifica giudiziale, è satisfattivo di qualsiasi obbligo di sostentamento nei confronti del beneficiario, il quale, quindi, non può avanzare successivamente ulteriori pretese di contenuto economico, né può essere considerato, all’atto del decesso dell’ex coniuge, titolare dell’assegno di divorzio, avente, come tale, diritto di accedere alla pensione di reversibilità o, in concorso con il coniuge superstite, a una sua quota.
Trib. Potenza, 8 aprile 2016(Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, il diritto alla quota di reversibilità deve farsi decorrere dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge assicurato o pensionato. Tale decorrenza nasce, per entrambi, nei confronti dell’ente previdenziale erogatore, onde a carico soltanto di quest’ultimo, e non anche del coniuge superstite che, nel frattempo, abbia percepito per intero e non pro quota il trattamento di reversibilità corrisposto dall’ente medesimo, debbono essere posti gli arretrati spettanti al coniuge divorziato (sul trattamento anzidetto in proporzione alla quota riconosciuta dal giudice), a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’ex coniuge, salva ovviamente restando la facoltà per l’ente previdenziale di recuperare dal coniuge superstite le somme versategli in eccesso.
App. Campobasso, 31 marzo 2016(Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il versamento di somme in eccesso effettuate per errore al coniuge superstite costituisce un indebito oggettivo ai sensi dell’art. 2033 del Codice Civile che l’Ente previdenziale ha facoltà di recuperare atteso che la decorrenza del diritto alla quota di reversibilità decorre, in caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge assicurato o pensionato stante la natura di credito pensionistico di tale quota. Ne discende che gli arretrati spettanti al coniuge divorziato dovranno essere posti a carico dell’Ente e non anche del coniuge superstite.
Corte cost., 24 settembre 2015, n. 191(Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Sono costituzionalmente illegittimi, per violazione dell’art. 3 Cost., i commi primo e terzo dell’art. 60 del T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra (D.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915) nella parte in cui, disciplinando il diritto alle pensioni indirette di guerra, subordinano il diritto alla pensione della madre del militare, deceduto per fatto bellico o a causa del servizio, separata effettivamente dal marito alla condizione del mancato ricevimento dallo stesso degli alimenti. La previsione normativa infatti ha stabilito per la madre separata un trattamento deteriore rispetto alla madre vedova, prevedendo per entrambe un comune requisito negativo – quello di non possedere un reddito annuo complessivo superiore a un determinato ammontare – e aggiungendo, solo per la prima, anche quello di non percepire gli alimenti (e, a fortiori, l’assegno di mantenimento) dal marito. Tale scelta dipende da una concezione ormai superata dei rapporti familiari, che presuppone che la pensione di reversibilità sopperisca a una mancanza di autonomia economica della donna, cosicché non spetti quando si faccia fronte a tale mancanza con gli assegni alimentari. Poiché, al contrario, il principio della parità dei coniugi è ormai acqui¬sito, la disparità tra le due fattispecie non trova più alcuna giustificazione.
Trib. Prato, 16 luglio 2015(Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di attribuzione delle quote della pensione di reversibilità a favore dell’ex coniuge divorziato e del coniuge già convivente e superstite, la ripartizione della pensione tra gli aventi diritto non è strumento di perequazione economica fra le posizioni degli stessi, ma è preordinata alla continuazione della funzione di sostegno economi¬co, assolta a favore dell’ex coniuge e del coniuge convivente, durante la vita del dante causa, rispettivamente con il pagamento dell’assegno di divorzio e con la condivisione dei rispettivi beni economici da parte dei coniugi conviventi. Il trattamento di reversibilità deve, pertanto, ripartirsi oltre che sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale e della effettiva convivenza, anche ponderando ulteriori elementi funzionali ad evitare che il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l’assegno di divorzio ed il secondo sia privato di quanto necessario per la conservazione del tenore di vita che il de cuius gli aveva assicurato in vita, fermo restando il divieto di abbandonare totalmente ogni riferimento alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali.
Cass. civ. Sez. VI, 12 maggio 2015, n. 9649 (Famiglia e Diritto, 2015, 7, 727)
La pensione di reversibilità va riconosciuta non solo al coniuge separato in favore del quale il pensionato defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento ma, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286 del 1987, anche al coniuge separato con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non), in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte.
Cass. civ. Sezioni Unite, 13 novembre 2013, n. 25456 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La controversia relativa all’attribuzione di una quota della pensione di reversibilità di un dipendente pubblico all’ex coniuge ai sensi dell’art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, è di competenza del Giudice ordinario – e non della Corte dei conti – se con il titolare dell’assegno divorzile concorre il coniuge superstite.
Cass. civ. Sez. lavoro, 27 settembre 2013, n. 22259 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Nel caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, il diritto alla quota di reversibilità deve farsi decorrere dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge assicurato o pensionato. Tale decorrenza nasce, per entrambi, nei confronti dell’ente previdenziale erogatore, onde a carico soltanto di quest’ultimo, e non anche del coniuge superstite che, nel frattempo, abbia percepito per intero e non “pro quota” il trattamento di reversibilità corrisposto dall’ente medesimo, debbono essere posti gli arretrati spettanti al coniuge divorziato (sul trattamento anzidetto in proporzione alla quota riconosciuta dal giudice), a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’ex coniuge, salva ovviamente restando la facoltà per l’ente previdenziale di recuperare dal coniuge superstite le somme versategli in eccesso, trattandosi di ipotesi di indebito oggettivo disciplinata dall’art. 2033 cod. civ.
Corte Conti, Sez. Lazio, 14 giugno 2012, n. 609 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 9 terzo comma della legge 898/1970 nel testo modificato dalla legge 74/1987 prevede la contemporanea presenza sia del coniuge superstite che di quello divorziato. Ciò induce a ritenere che la situazione soggettiva attiva che l’ordinamento riconosce al coniuge divorziato non è di carattere pensionistico in senso stretto, come tale rientrante nella giurisdizione di questa Corte, ma è autonoma ed è riconducibile esclusivamente al diritto ad ottenere l’assegno di divorzio ex art. 5 della legge citata; fatto questo che giustifica anche, sul piano dei principi, l’avvenuto affidamento della relativa determinazione all’autorità giudiziaria ordinaria, proprio perché non riguarda l’esistenza o la determinazione della pensione, ma soltanto la sua divisione in concreto fra i diversi aventi titolo.
Trib. Roma Sez. I, 27 aprile 2012 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il procedimento per la ripartizione della pensione tra ex coniuge e coniuge superstite non ha natura previden¬ziale, non avendo ad oggetto l’accertamento di alcun rapporto di tal genere, bensì solo la determinazione delle quote sul complessivo trattamento di reversibilità spettanti all’ex coniuge divorziato, da una parte, al coniuge superstite dall’altra, in applicazione dei principi della solidarietà familiare.
I concorrenti diritti delle parti decorrono dalla mensilità successiva al decesso del beneficiario dell’originario trat¬tamento previdenziale e la pronuncia richiesta ha natura dichiarativa, dovendo il diritto al trattamento decorrere, per entrambe le beneficiarie, dal primo mese successivo al decesso dell’originario titolare).
Cass. civ. Sez. Lavoro, 8 marzo 2012, n. 6635(Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio, qualora le parti, in sede di regolamentazione dei loro rapporti economici, abbiano convenu¬to di definirli in un’ unica soluzione, come consentito della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 8, attribuendo al coniuge che abbia diritto alla corresponsione dell’assegno periodico previsto nello stesso art. 5, comma 6, una determinata somma di denaro o altre utilità, il cui valore il Tribunale, nella sentenza che pronuncia lo sciogli¬mento dei matrimonio, abbia ritenuto equo ai fini della concordata regolazione patrimoniale, tale attribuzione, indipendentemente dal nomen iuris che gli ex coniugi le abbiano dato nelle loro pattuizioni, deve ritenersi adem¬pitiva di ogni obbligo di sostentamento nei confronti dei beneficiario, dovendosi, quindi, escludere che costui possa avanzare, successivamente, ulteriori pretese di contenuto economico e, in particolare, che possa essere considerato, all’atto del decesso dell’ex coniuge, titolare dell’assegno di divorzio, avente, come tale, diritto di accedere alla pensione di reversibilità o (in concorso con il coniuge superstite) a una sua quota
Cass. civ. Sez. I, 11 aprile 2011, n. 8228 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 5 della legge 28 dicembre 2005, n. 263, laddove dispone che per titolarità dell’assegno, ai sensi dell’art. 9 dellalegge 1 dicembre 1970, n. 898, debba intendersi “l’avvenuto riconoscimento dell’assegno … da parte del tribunale”, va inteso con riferimento non ad una qualunque attribuzione avente carattere provvisorio, ma al riconoscimento definitivo del diritto all’assegno; non è idonea, pertanto, a fondare il diritto dell’ex coniuge alla pensione di reversibilità o ad una quota della stessa, l’attribuzione di un emolumento mensile a carattere provvisorio in quanto essa non preclude il rigetto della domanda di assegno divorzile, ove l’espletata istruttoria conduca ad escludere gli estremi per il suo accoglimento. (Rigetta, App. Bologna, 19/07/2007).
Trib. Milano Sez. IX, 21 febbraio 2011 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Ill soggetto obbligato alla corresponsione della pensione, anche con riferimento agli arretrati, è l’ Ente erogatore, e non il coniuge superstite che abbia già riscosso la pensione di reversibilità per intero, soggetto che con rife¬rimento alla domanda volta ad ottenere la condanna alla corresponsione degli arretrati difetta di legittimazione passiva.
Sul punto si è recentemente pronunciata la Suprema Corte con la sentenza n. 2092/2007, affermando che “Nel caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, il diritto alla quota di reversibilità deve farsi de¬correre dal primo giorno del mese successivo al decesso del coniuge assicurato o pensionato. Tale decorrenza nasce, per entrambi, nei confronti dell’ ente previdenziale erogatore, onde a carico soltanto di quest’ultimo, e non anche del coniuge superstite che, nel frattempo, abbia percepito per intero e non “pro quota” il trattamento di reversibilità corrisposto dall’ ente medesimo, debbono essere posti gli arretrati spettanti al coniuge divorziato (sul trattamento anzidetto in proporzione alla quota riconosciuta dal giudice), a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’ex coniuge, salvo ovviamente restando la facoltà per l’ ente previden¬ziale di recuperare dal coniuge superstite le somme versategli in eccesso”.
Trib. Forlì, 15 dicembre 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In mancanza del presupposto della “vivenza a carico”, non sussistendo una precedente funzione di sostentamen¬to da proseguire, deve escludersi il diritto del superstite alla pensione di reversibilità (la vicenda si riferisce alla richiesta della reversibilità formulata dal coniuge superstite separato con addebito).
Cass. civ. Sez. lavoro, 7 dicembre 2010, n. 24802 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 286/1987 – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge 30 aprile 1969, n. 153, art. 24 e della legge 18 agosto 1962, n. 1357, art. 23, comma 4, nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza pas¬sata in giudicato – tale pensione va riconosciuta al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte.
Cass. Sez. I, 28 maggio 2010, n. 13108 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di divorzio e con riguardo al trattamento economico del coniuge divorziato in caso di morte dell’ex co¬niuge, l’accordo intervenuto tra i coniugi in ordine all’attribuzione dell’usufrutto sulla casa coniugale a titolo di corresponsione dell’assegno di divorzio in unica soluzione, a norma dell’art. 5, comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, è idoneo a configurare la titolarità di detto assegno, alla stregua del principio della riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede od a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive della natura solidaristico-assistenziale dell’istituto; ne consegue che tale costituzione di usufrutto soddisfa il requisito della previa titolarità di assegno prescritto dall’art. 5 della legge ai fini dell’accesso alla pensione di reversibilità, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione.
Trib. Ivrea, 22 aprile 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di separazione coniugale, la pensione di reversibilità può riconoscersi non solo al coniuge separato in favore del quale il pensionato defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento, ma anche, al coniuge separato per colpa o con addebiti, quando a carico del coniuge poi defunto era stato posto un assegno alimentare in considerazione dello stato di bisogno dell’altro coniuge cui era stata addebitata la separazione .
In tale ultima ipotesi, la pensione di reversibilità costituisce la prosecuzione della funzione di sostentamento del coniuge superstite prima indirettamente adempiuta dalla pensione di cui era titolare il coniuge defunto, de¬bitore dell’assegno. Ne deriva che, nell’ipotesi di coniuge defunto che non era tenuto al pagamento dell’assegno di mantenimento né di un assegno alimentare in considerazione dello stato di bisogno dell’altro coniuge, come verificatosi nel caso concreto, in cui dunque vi era la mancanza del presupposto della “vivenza a carico”, intesa come cura e sostentamento del familiare in modo continuativo e non occasionale, in adempimento di uno speci¬fico obbligo giuridico o di un mero dovere, è stato escluso il diritto della ricorrente alla pensione di reversibilità, non sussistendo in favore della stessa una precedente funzione di sostentamento da proseguire.
App. Roma, 21 aprile 2010 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’ ente previdenziale, secondo il disposto dell’art. 9 l. n. 898 /1970, II e, ha la veste di parte necessaria solo quando la richiesta abbia ad oggetto l’attribuzione della pensione di reversibilità in assenza di un coniugo superstite, mentre la controversia tra il coniugo superstite e l’ex coniugo per la ripartizione delle quote sulla pensione di reversibilità non comporta la necessità della presenza dell’istituto che eroga la pensione: in tale ipotesi il provvedimento di attribuzione di tutta o di parte della pensione di reversibilità al coniugo divorziato fa stato nei confronti dell’ ente previdenziale, giacché si controverte solo in ordine alla spettanza pro quota di un trattamento di reversibilità già riconosciuto e del quale non viene in discussione l’ammontare complessivo (cfr. sul punto Cass. n. 3583/1984, 6272/2004).
In tutti i procedimenti riguardanti le pretese del coniugo divorziato sulla pensione di reversibilità deve ritenersi applicabile il rito camerale, nonostante la l. n. 74/87 abbia riformulato con l’art. 13 le disposizioni dell’art. 9 della l. 898 /70, sopprimendo l’ultimo comma che. prevedeva espressamente tale rito per i procedimenti in questione e contemplandolo solo al primo comma relativo all’affidamento dei figli ed “alla misura od allo modalità dei con¬tributi da corrispondere ai sensi degli art. 5 e 6”, purché i procedimenti medesimi si concludano con sentenza, come previsto dal citato art. 9 (cfr. Cass. n. 12029/1991, 3037/2001, 6272/2004, 26121/2008
Cass. civ. Sez. lavoro, 26 gennaio 2010, n. 1570 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In caso di decesso del lavoratore titolare di rendita da malattia professionale, il coniuge superstite ha diritto al riconoscimento di una rendita di reversibilità ove tra l’originaria patologia e la morte del titolare del trattamento sussista un nesso di causalità idoneo a contribuire, quale concausa, al decesso medesimo, quantomeno determi¬nandone l’anticipazione. (Nella specie, la S.C., in applicazione dell’anzidetto principio, ha escluso il diritto della vedova al trattamento di reversibilità poichè sul decesso, causato da tumore polmonare, non aveva in alcuna misura influito la pregressa patologia, costituita da “broncopatia cronica da lenta inalazione di SO2”, per la quale era stata riconosciuta la rendita da malattia professionale).
Corte cost. 27 marzo 2009, n. 86 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non è fondata, in ragione della diversità tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, la questione di legittimità costituzionale del comma primo, numero 1 della medesima norma, nella parte in cui prevede che, in caso di decesso del lavoratore per infortunio, sia disposta una rendita per il coniuge nella misura del cinquanta per cento della retribuzione percepita dal lavoratore stesso, senza garantire alcunché al convivente more uxorio.
È manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell›art. 85, primo comma, numero 1, del citato D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, sollevata in riferimento agli artt. 2, 3, 10, 11, 30, 31, 38 e 117 Cost. e degli artt. 12 e 13 del Trattato 25 marzo 1957, che si incentra sulla mancata equiparazione del convivente al coniuge del lavoratore agli effetti della corresponsione della rendita Inail in caso di infortunio sul lavoro che abbia avuto per conseguenza il decesso dello stesso lavoratore. In proposito, oltre a ribadire la diversità tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, deve essere riconfermato il principio secondo cui la mancata inclusione del convivente more uxorio tra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di reversibilità trova una sua non irragionevole giustificazione nella circostanza che il suddetto trattamento si collega geneticamente ad un preesistente rapporto giuridico che, nel caso considerato, manca. Né si può prendere in considerazione la censura relativa ad un presunto vulnus degli artt. 11 e 117 Cost. sotto il profilo del contrasto con i vincoli derivanti dall›ordinamento comunitario (Trattato 25 marzo 1957, Carta dei diritti fondamentali dell›U.E.) e dagli obblighi internazionali (Convenzione sui diritti dell›Infanzia), dato che detti vincoli ed obblighi non sono individuati in modo preciso.
Cass. civ. Sez. lavoro, 19 marzo 2009, n. 6684 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La pensione di reversibilità va riconosciuta non solo al coniuge separato in favore del quale il pensionato defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento ma, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 1987, anche al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge supersti¬te (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte, assolvendo alla funzione di sostentamento in precedenza indirettamente assicurata dalla pensione in titolarità del coniuge defunto debitore dell’assegno.
Cass. civ. Sez. I, 30 ottobre 2008, n. 26121 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’espressa previsione contenuta nell’art. 9, ultimo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74, per il quale la decisione delle controversie relative al conseguimento da parte del coniuge divorziato di una quota di pensione di reversibilità spettante all’altro coniuge, deve essere resa con sentenza, comporta che, a prescindere dalle forme o dal rito da adottare in tali controversie, la pro¬nuncia sulle stesse è suscettibile d’impugnazione entro i termini ordinari di cui agli artt. 325 e 327 cod. proc. civ., atteso che le eventuali peculiarità del procedimento, che conduce alla emanazione o del provvedimento finale, non sono idonee, in difetto di specifiche indicazioni legislative, a sottrarre quest’ultimo all’operatività dei termini per la proposizione del gravame contro le sentenze.
Trib. Milano Sez. IX, 23 gennaio 2008 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il trattamento di reversibilità, nel caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, decorre dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’assicurato o del pensionato, stante la natura pensionistica della quota di reversibilità e la necessità, quindi, di far riferimento a siffatta regola di decorrenza stabilità dalle singole leggi pensionistiche, senza che vi osti la natura costitutiva della decisione del giudice, sussistendo già al momento del decesso le condizioni che giustificano l’attribuzione della quota.
App. Napoli Sez. I, 19 settembre 2007 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La Sezioni Unite della Suprema Corte, componendo un contrasto giurisprudenziale, con sentenza del 12.1.1998 n. 159, hanno affermato che il diritto al trattamento di reversibilità ex art. 91 L. 898 /1970 sorge nel coniuge divorziato in via autonoma ed automatica nel momento della morte del pensionato in forza di una aspettativa nel corso della vita matrimoniale, sicché è insuscettibile di essere vanificato dal successivo decorso degli eventi relativo al rapporto matrimoniale. Si tratta, quindi, di un diritto, di natura squisitamente previdenziale, alla pen¬sione di reversibilità, che prescinde da ogni pronunzia giurisdizionale, che ove necessaria ha natura dichiarativa.
Cass. civ. Sez. lavoro, 15 giugno 2007, n. 13997 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La responsabilità del datore di lavoro per danni subiti dal lavoratore a causa di mancata o irregolare contribuzione rappresenta un’ipotesi di responsabilità contrattuale, derivante dalla violazione di una specifica ed indisponibile obbligazione imposta dalla legge. Consegue da ciò che il termine di prescrizione della relativa azione risarcitoria è quello decennale, di cui all’art. 2946 cod. civ., il cui “dies a quo” può variare a seconda dell’interesse che si intende tutelare con la proposizione della domanda di risarcimento, posto che l’interesse ad agire del lavoratore sorge ancor prima del verificarsi degli eventi condizionanti l’erogazione delle prestazioni previdenziali, eventualmente avvalendosi dell’azione di condanna generica al risarcimento. Tuttavia, allorquando l’azione sia diretta all’otteni¬mento del risarcimento del danno per l’avvenuta perdita della pensione (come nella specie, conseguibile presso la gestione INPS mediante il trasferimento dei contributi CPDEL, ove versati tempestivamente dal Comune), il termi¬ne di prescrizione decorre dal momento in cui il lavoratore, raggiunta l’età pensionabile e concorrendo ogni altro requisito, perde il relativo diritto (o lo vede ridotto) a causa dell’omissione contributiva.
Cass. civ. Sez. I, 24 maggio 2007, n. 12149 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, o ad una quota di essa in caso di concorso con altro coniuge superstite – di cui all’art. 9 della L. 6 marzo 1987, n. 74 – presuppone (anche ai sensi dell’art. 5 della L. 28 dicembre 2005, n. 263, norma interpretativa, quindi retroattiva ed applicabile anche ai giudizi in corso) che il richiedente al momento della morte dell’ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto ai sensi dell’art. 5 della legge predetta, non essendo sufficiente che egli versi nelle condizioni per ottenerlo e neppure che in via di fatto o anche per effetto di private convenzioni intercorse tra le parti abbia ricevuto regolari erogazioni economiche dal “de cuius” quando questi era in vita.
Cass. civ. 31 gennaio 2007, n. 2092 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuato, oltre che sulla base del criterio della durata del rapporto matrimoniale, anche ponderando ulteriori elementi – da utilizzare eventualmente quali cor¬rettivi del criterio temporale e da individuare nell’ambito dell’art. 5 della legge n. 898 del 1970 -, funzionali allo scopo di evitare che il primo coniuge sia privato dei mezzi indispensabili per il mantenimento del tenore di vita che gli avrebbe dovuto assicurare nel tempo l’assegno di divorzio ed il secondo sia privato di quanto necessa¬rio per la conservazione del tenore di vita che il “de cuius” gli aveva assicurato in vita. In quest’ambito, deve escludersi che l’applicazione del criterio temporale si risolva nell’impossibilità di attribuire una maggiore quota di pensione al coniuge il cui matrimonio sia stato di minore durata, fermo restando il divieto di giungere, attraverso la correzione del medesimo criterio temporale, sino al punto di abbandonare totalmente ogni riferimento alla durata dei rispettivi rapporti matrimoniali.
Trib. Pescara, 21 giugno 2006 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In materia di divorzio, la domanda giudiziale ex art. 9 comma III L. n. 898/1970 dell’”ex coniuge”, diretta al conseguimento della pensione di reversibilità dell’ex coniuge deceduto deve ritenersi proponibile – nel silenzio del legislatore sul rito applicabile – nelle forme ordinarie e non già secondo il rito camerale il quale – essendo rito speciale – non è suscettibile di interpretazione analogica.
Cass. civ. Sez. lavoro, 3 agosto 2005, n. 16283 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
A seguito della dichiarazione di assenza del titolare di rendita di inabilità a carico dell’INAIL (prestazione previ¬denziale diretta, il cui diritto è esercitatile soltanto dal titolare e non da altri, ancorchè siano probabili successori futuri dell’assente) non esiste alcun diritto alla prestazione indiretta o di reversibilità corrispondente, che possa essere esercitato, in quanto la fattispecie costitutiva del diritto alla rendita ai superstiti, di cui all’art. 85 del d.P.R. n.1124 del 1965, risulta integrata non solo dalla morte del titolare della rendita, ma anche dal nesso di causalità tra l’infortunio sul lavoro o la tecnopatia e la morte (Nella specie, la S.C. ha censurato la decisione di merito che aveva riconosciuto il diritto alla rendita di inabilità, a seguito della dichiarazione di assenza del suo titolare, in favore del coniuge, confermandola per aver rigettato, invece, in difetto della morte del titolare della rendita di inabilità, la domanda del coniuge stesso diretta ad ottenere la rendita ai superstiti).
App. Catania, 24 gennaio 2005 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il rito camerale per i procedimenti relativi alle pretese del coniuge divorziato aventi ad oggetto la pensione di reversibilità continua a trovare applicazione anche dopo la novella di cui alla legge 6 marzo 1987, n. 74 – che ha soppresso l’ ultimo comma dell’art. 9 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, nel testo sostituito dalla legge 1 ago¬sto 1978, n. 436, il quale disponeva che nei procedimenti in oggetto il tribunale provvede in camera di consiglio – non rilevando in contrario che nella nuova formulazione del citato art. 9 l’adozione di detto rito è contemplata specificamente solo con riferimento alla revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e la misura e le modalità dei contributi di cui agli artt. 5 e 6 della stessa legge.
Cass. civ. Sez. lavoro, 18 giugno 2004, n. 11428 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La pensione di reversibilità va riconosciuta non solo al coniuge separato in favore del quale il pensionato defunto era tenuto a corrispondere un assegno di mantenimento ma, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 286 del 1987, anche al coniuge separato per colpa o con addebito, equiparato sotto ogni profilo al coniuge superstite (separato o non) e in favore del quale opera la presunzione legale di vivenza a carico del lavoratore al momento della morte, assolvendo alla funzione di sostentamento in precedenza indirettamente assicurata dalla pensione in titolarità del coniuge defunto debitore dell’assegno.
Cass. civ. Sez. lavoro, 19 agosto 2004, n. 16300 (Foro It., 2006, 2, 1, 570)
Il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, di cui all’art. 2116 c.c., 1° comma, opera sia ai fini del raggiungimento del requisito minimo di contribuzione necessaria per il conseguimento del diritto alle prestazioni, che ai fini della determinazione della misura del trattamento.
Cass. civ. Sez. I, 30 marzo 2004, n. 6272 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La quota di reversibilità decorre dal mese successivo al decesso, specie se si consideri che in base all’art. 9 della legge n. 898 del 1970 , come sostituito dall’art. 13 della legge n. 74 del 1987, detta quota ha natura di credito pensionistico (Cass. 3092/89) e non può pertanto non uniformarsi, quanto alla decorrenza, alle relative norme che fanno riferimento appunto al primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’assicurato.
In tutti i procedimenti riguardanti le pretese del coniuge divorziato sulla pensione di reversibilità si applica il rito camerale; tuttavia, l’adozione del rito ordinario non costituisce motivo di nullità, sia perché questa non è sancita da alcuna norma, sia – in osservanza del principio di conservazione degli atti – perché il rito ordinario consente di raggiungere il medesimo risultato con maggiori garanzie per la difesa e per il contraddittorio.
Cass. civ. Sez. I, 14 gennaio 2004, n. 336 (Foro It., 2004, 1, 1087)
I procedimenti aventi ad oggetto la quota di pensione di reversibilità sono assoggettati al rito camerale anche dopo l’entrata in vigore della L. 6 marzo 1987 n. 74.
Il soggetto che agisce in giudizio per ottenere la quota di pensione dell’ex coniuge deceduto fa valere un diritto proprio nei confronti dell’altro coniuge superstite e dell’ente pensionistico, il quale è parte necessaria del pro¬cedimento e destinatario della decisione adottata. Detto soggetto ha certamente facoltà di avvalersi del foro alternativo di cui all’art. 12-quater della legge n. 898 del 1970, introdotto con l’art. 18della legge n. 74 del 1987, il quale, con formulazione ripetitiva del disposto dell’art. 20 c.p.c., all’evidente scopo di agevolare l’esercizio della tutela giurisdizionale dei diritti a contenuto patrimoniale derivanti direttamente o indirettamente dal divorzio, prevede quale foro speciale alternativo quello del luogo in cui l’obbligazione deve essere adempiuta.
Per effetto della disciplina prevista nell’art. 9 della legge sul divorzio, il diritto al trattamento pensionistico sorge nel coniuge divorziato in via autonoma ed automatica, con decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello in cui si è verificato il decesso dell’ex coniuge pensionato, in forza di un’aspettativa maturata, sempre in via automatica e definitiva, nel corso della vita matrimoniale, ed è quindi insuscettibile di essere modificato dagli eventi relativi al rapporto matrimoniale, trovando radice nell’apporto recato da ciascuno dei coniugi alla formazione non solo del patrimonio comune, ma anche di quello dell’altro coniuge, e nelle aspettative formatesi durante e per effetto del matrimonio (v. sul punto S.U. 1998 n. 159).
Cass. Sez. I, 12 novembre 2003, n. 17018 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In tema di pensione di reversibilità da ripartire tra il coniuge superstite e l’ex coniuge superstite, tutte le volte in cui, per decisione del tribunale o per accordo dei divorziandi, sia stata determinata una forma di assegno la cui erogazione periodica non abbia a cessare con il decesso dell’obbligato, deve, cionondimeno, ritenersi soddisfatto il requisito della previa titolarità di assegno di cui all’art. 5 della legge n. 898 del 1970, legge per l’accesso alla pensione di reversibilità o, in concorso con il superstite, alla sua ripartizione, tale permanente erogazione non rilevando in alcun modo sull’”an debeatur” del credito all’intero o alla sua quota, ma soltanto sulla misura della quota (e cioè in una sede nella quale ben possono avere la giusta considerazione i rilievi afferenti alla permanen¬te percezione dei ratei dello statuito assegno da parte del coniuge divorziato).
Cass. civ. Sez. lavoro, 16 ottobre 2003, n. 15516 (Famiglia e Diritto, 2004, 157, nota di FIGONE)
Il coniuge separato per colpa, o al quale la separazione sia stata addebitata, è equiparato in tutto e per tutto al coniuge superstite (separato o non) ai fini della pensione di reversibilità, che gli spetta a norma dell’art. 13 del R.D.L. n. 636 del 1939, nel testo sostituito dall’art. 22 della L. n. 903 del 1965.
Cass. civ. Sez. lavoro, 6 marzo 2003, n. 3384 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Esula dal novero delle controversie previdenziali, soggette al rito speciale di cui all’art. 442 c.p.c., ed è, quindi, attribuita al tribunale secondo il rito ordinario, ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970, la controversia tra l’ex coniuge divorziato ed il coniuge superstite avente ad oggetto la ripartizione tra essi della quota di pensione reversibile, in quanto il relativo giudizio riguarda esclusivamente la quantificazione di siffatte quote in applicazione dei criteri stabiliti dalla legge n. 898 del 1970 e non involge profili concernenti il rapporto assicurativo e previden¬ziale con l’ente previdenziale, che già corrisponda il relativo trattamento per intero al coniuge superstite e che sia stato chiamato in giudizio al solo fine di rendergli opponibile la sentenza. (Fattispecie relativa a spostamento della competenza territoriale in relazione alla ritenuta applicabilità del rito previsto per le controversie previdenziali).
Corte cost. 29 maggio 2002, n. 227 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È manifestamente infondata, in riferimento agli art. 2, 3 e 38 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 43, l. 8 agosto 1995 n. 335, nella parte in cui prevede che le pensioni di inabilità, di reversibilità o l’assegno ordinario di invalidità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, liquidati in conseguenza di infortunio sul lavoro o malattia professionale, non sono cumulabili con la rendita vitalizia liquidata per lo stesso evento invalidante a norma del testo unico delle disposizioni per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, fino a concorrenza della rendita stessa, in quanto non può escludersi un intervento legislativo che, per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica e con criteri di gradualità, introduca un divieto di cumulo tra prestazioni previdenziali o assistenziali, prima non previsto, sempre che, nel rispetto del principio di solidarietà sociale e di eguaglianza sostanziale, sia garantito il soddisfacimento delle esigenze di vita cui erano precedentemente commisurate le prestazioni considerate, mentre la rimozione del divieto di cumulo in questione tra il trattamento di reversibilità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, nonchè delle forme esclusive, esonerative e sostitutive di essa, e la rendita ai superstiti erogata dall’INAIL in caso di decesso del lavoratore conseguente a infortunio sul lavoro o malattia professionale, disposto dall’art. 73 l. 23 dicembre 2000 n. 388, non ha introdotto una disciplina privilegiata per i trattamenti di reversibilità, ma ha solo inteso modificare la normativa del settore tenendo conto della giurisprudenza di legittimità formatasi al riguardo.
Corte cost. 10 maggio 2002, n. 185 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È manifestamente infondata, in riferimento all’art. 77 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 29 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80, “nella parte in cui, modificando l’art. 68 comma 1 lett. m) d.lg. n. 29 del 1993, e successive modificazioni, devolve la giurisdizione delle controversie in materia pensionistica dei pubblici dipendenti al giudice ordinario, in quanto il rimettente muove dall’erroneo presupposto interpretativo che la norma impugnata abbia attribuito al giudice ordinario” la giurisdizione sulle controversie aventi ad oggetto le pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, mentre tale giurisdizione risulta tuttora attribuita alla Corte dei conti, come si desume, tra l’altro, dal rilievo che l’art. 5 l. 21 luglio 2000 n. 205, regola lo svolgimento dei giudizi pensionistici davanti alla Corte dei conti, con ciò presupponendone la giurisdizione.
Cass. civ. Sez. Unite 25 giugno 2002, n. 9285 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Appartiene alla giurisdizione della Corte dei conti (e non del tribunale in funzione di giudice del lavoro) la contro¬versia nella quale un ex dipendente comunale chiede che gli venga riconosciuta la pensione d’invalidità ai sensi dell’art. 2 comma 12 l. n. 335 del 1995, previo annullamento del provvedimento amministrativo di rigetto della domanda di riconoscimento della pensione stessa.
Cass. civ. Sez. I, 29 gennaio 2002, n. 1057 (Famiglia e Diritto, 2002, 3, 318)
In ragione del carattere solidaristico della pensione di reversibilità e alla luce dei precetti costituzionali di ugua¬glianza sostanziale e solidarietà sociale (nonché tenuto conto della sentenza interpretativa di rigetto della Corte cost. 4 novembre 1999 n. 419), la ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della “durata del rapporto” matrimoniale (ossia del dato numerico rappresentato dalla proporzione fra le estensioni temporali dei rapporti matrimoniali degli stessi coniugi con l’ex coniuge deceduto), anche ponderando ulteriori elementi, correlati alle finalità che presiedono al diritto di reversibilità, da utilizzare eventualmente quali correttivi del criterio temporale; tra tali elementi, da individuarsi nell’ambito dell’art. 5 legge divorzio, specifico rilievo assumono l’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge e le condizioni dei soggetti coinvolti nella vicenda matrimoniale.
Cass. civ. Sez. I, 14 dicembre 2001, n. 15837 (Giur. It., 2002, 1595, nota di CASTAGNARO)
La decorrenza del trattamento di reversibilità, nel caso di concorso del coniuge superstite con quello divorziato, nasce, nei confronti dell’ente erogatore, in conformità con quanto stabilito alle singole leggi pensionistiche, ed in particolare, con riferimento a pensioni Inps, con quanto stabilito dall’art. 5 d.lg.lt. n. 39 del 1945, a norma del quale “la pensione. decorre dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’assicurato o del pensionato”.
Cass. civ. Sez. Unite 9 agosto 2001, n. 10973 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Poiché la giurisdizione va determinata, a norma dell’art. 386 c.p.c., sulla base dell’oggetto della domanda, la controversia proposta da un dipendente in quiescenza delle Poste italiane s.p.a. che abbia direttamente ad og¬getto il trattamento di pensione (nella specie, il riconoscimento di un trattamento pensionistico calcolato sulla base di una retribuzione comprensiva dell’intero aumento retributivo previsto dalla contrattazione collettiva), senza alcun riflesso sul rapporto di lavoro già risolto, appartiene alla giurisdizione della Corte dei conti, atteso che la legge n. 71 del 1994 – che ha trasformato l’amministrazione postale in ente pubblico economico – ha affidato alla cognizione del giudice ordinario solo le controversie concernenti il rapporto di lavoro di diritto pri¬vato con detto ente, senza modificare le preesistenti regole di riparto della giurisdizione per quanto riguarda le questioni relative al trattamento pensionistico.
Cass. civ. Sez. I, 2 marzo 2001, n. 3037 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’adozione del rito camerale per i procedimenti relativi a tutte le pretese del coniuge divorziato aventi ad oggetto la pensione di reversibilità trova applicazione anche dopo la novella n. 74 del 1987 (per effetto della quale è stato soppresso l’ ultimo comma dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970, secondo il quale, nei procedimenti “de quibus”, il tribunale “provvede in camera di consiglio”), non rilevando che quest’ultima, riformulando con l’art. 13 le disposizioni del citato art. 9 legge n. 898 del 1970, contempli esplicitamente l’adozione del rito predetto solo con riferimento alla revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli e di quelle riguardanti la misura e le modalità dei contributi da corrispondere ai sensi degli art. 5 e 6 stessa legge.
Cass. civ. Sez. I, 10 gennaio 2001, n. 282 (Giur. It., 2001, 1127, nota di BELLISARIO)
Nella ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite il criterio della durata dei rispettivi rapporti matrimoniali non può avere valore esclusivo, dovendo il giudice tenere conto, in relazio¬ne alle particolarità del caso, anche di ulteriori elementi, quali l’ammontare dell’assegno goduto dal coniuge divorziato prima del decesso dell’ex coniuge, le condizioni di ciascun coniuge, e ogni altra circostanza inerente alle particolarità del caso concreto. (Nella specie la Cassazione ha rilevato che la esistenza di un periodo di con¬vivenza prematrimoniale del secondo coniuge può anche essere assunta dal giudice come elemento della sua valutazione complessiva, ma non quale indice di per sé giustificativo del computo del relativo periodo ai fini della ripartizione della pensione).
Trib. Napoli, 17 novembre 2000 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La domanda giudiziale diretta alla ripartizione tra gli aventi diritto della pensione di reversibilità spettante all’ex coniuge deceduto deve essere decisa con un provvedimento che rivesta la forma della sentenza, secondo quanto testualmente previsto dall’art. 9 comma 5 l. 1° dicembre 1970 n. 898 (come sostituito dall’art. 13 l. 6 marzo 1987 n. 74), cfr. Cass. 6 aprile 1996, n. 3232.
Corte cost. 14 novembre 2000, n. 491 (Nuova Giur. Civ., 2001, I, 176, nota di QUADRI)
È manifestamente infondata, in relazione all’art. 3 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 comma 3 l. div., nella parte in cui si riferisce,. quale criterio di ripartizione della pensione di reversibilità tra divorziato e coniuge superstite, alla durata legale del rapporto matrimoniale, con conseguente inclusione del periodo di separazione personale ed esclusione dell’eventuale periodo di convivenza “more uxorio” precedente la celebrazione del secondo matrimonio.
E’ manifestamente infondata, con riferimento all’art. 3 cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9 comma 3 l. 1 dicembre 1970 n. 898, nella parte in cui, ai fini della determinazione delle quote della pensione di reversibilità, spettanti al coniuge divorziato o superstite, non esclude dal computo della durata del rapporto matrimoniale il periodo di separazione personale e non include il periodo di convivenza “more uxorio” precedente la celebrazione del secondo matrimonio, in quanto non può certo ritenersi manifestamente irragionevole, l’aver accomunato convivenza coniugale e stato di separazione – costituendo quest’ultima, in conformità alla sua na¬tura ed alle sue origini storiche, una semplice fase del rapporto coniugale – mentre rimane punto fermo di tutta la giurisprudenza costituzionale la diversità tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, in ragione dei caratteri di stabilità, certezza, reciprocità e corrispettività dei diritti e doveri che nascono soltanto da tale vincolo; ed in quanto gli eventuali riflessi negativi del criterio della durata del matrimonio sulla posizione del soggetto economicamente più debole, possono e debbono essere superati mediante l’applicazione di altri e differenti cri¬teri concorrenti, quale, “in primis”, quello dello stato di bisogno degli aventi titolo alla pensione di reversibilità.
Corte cost. 3 novembre 2000, n. 461 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, convertito nella legge 6 luglio 1939, n. 1272 e dell’art. 9, secondo e terzo comma, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall’art. 13 della legge 6 marzo 1987, n. 74), impugnati, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione, nella parte in cui non includono il convivente ‘more uxorio’ tra i soggetti beneficiari del trattamen¬to pensionistico di reversibilità, anche quando la convivenza abbia acquistato gli stessi caratteri di stabilità e certezza propri del vincolo coniugale. Infatti, la mancata inclusione del convivente ‘more uxorio’ tra i soggetti beneficiari del trattamento pensionistico di reversibilità trova una sua non irragionevole giustificazione nella cir¬costanza che il suddetto trattamento si collega geneticamente ad un preesistente rapporto giuridico che, nel caso considerato, manca. Ne consegue che la diversità delle situazioni poste a raffronto giustifica una differenziata disciplina delle stesse. Nemmeno può dirsi violato il principio di tutela delle formazioni sociali in cui si sviluppa la persona umana in quanto la riferibilità del suddetto principio alla convivenza di fatto “purché caratterizzata da un grado accertato di stabilità” – più volte affermata da questa Corte – non comporta un necessario riconoscimento al convivente del trattamento pensionistico di reversibilità (che non appartiene certo ai diritti inviolabili dell’uomo presidiati dall’art. 2 Cost.).
Corte cost. 13 giugno 2000, n. 187 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È costituzionalmente illegittimo, per lesione dell›art. 3 della Costituzione, l›art. 22, sesto comma, della legge 18 agosto 1962, n. 1357, nella parte in cui esclude il diritto alla pensione di reversibilità in favore del coniuge del veterinario, che abbia contratto matrimonio successivamente al pensionamento dell›assicurato, in quanto, alla stregua di un principio generale – già affermato dalla giurisprudenza costituzionale anteriore e recepito dalle leggi – il diritto in questione non può essere subordinato alla durata minima del vincolo matrimoniale né limitato immotivatamente. Resta assorbito l›ulteriore profilo (relativo alla lesione dell›art. 38 Cost.).
Cass. civ. Sez. I, 14 giugno 2000, n 8113 (Corriere Giur., 2000, 10, 1312, nota di LIGUORI)
Ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e quello divorziato, il giudice deve necessariamente tener conto del preponderante elemento temporale della durata legale dei rispettivi rapporti matrimoniali con il coniuge deceduto, cioè del dato numerico rappresentato dalla rigida proporzione tra i relativi periodi di tali rapporti, senza che, tuttavia, l’applicazione di siffatto criterio implichi la mancata considerazione, in funzione di mera emenda o correzione del risultato conseguito, vuoi degli altri criteri di riferimento utilizzabili nella liquidazione dell’assegno di divorzio, afferenti alle condizioni economiche delle parti interessate ed alle fi¬nalità assistenziali di quest’ultimo, vuoi dell’ammontare del predetto assegno goduto dall’ex coniuge al momento della morte del titolare diretto della pensione.
Trib. Latina, 2 giugno 2000 (Dir. Famiglia, 2000, 1184)
A differenza dell’ipotesi in cui venga proposta domanda di revisione dell’assegno di divorzio già concesso e quantificato, qualora dall’ex coniuge, titolare di assegno divorzile, venga proposta “ex novo” domanda di parte¬cipazione, in concorso con il nuovo coniuge, alla pensione di riversibilità del defunto, domanda che potrebbe, fra l’altro, interessare soggetti estranei ai pregressi rapporti di coniugio, la domanda “de qua” va avanzata con atto di citazione e non con ricorso, a pena d’inammissibilità, ed il correlativo giudizio va condotto con il rito ordinario, destinato a concludersi con sentenza.
Cass. civ. Sez. I, 19 settembre 2000, n. 12389 (Giur. It., 2001, 1127, nota di BELLISARIO)
Ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite ed il coniuge divorziato il giudice deve tener conto del preponderante e, secondo le circostanze, decisivo elemento temporale costituito dalla durata legale dei rispettivi rapporti matrimoniali con il coniuge deceduto, tuttavia considerando, eventualmente in funzione di correttivi del risultato così conseguito, ulteriori elementi di giudizio afferenti alle condizioni delle parti interessate, e alle finalità assistenziali del predetto assegno, nonché dello stesso ammontare di quest’ul¬timo quale goduto dall’ex coniuge. (Nella specie, la Cassazione ha escluso che possa assumere rilevanza, in pregiudizio del coniuge divorziato, la eventuale cessazione della convivenza precedente alla pronuncia di divor¬zio, ovvero, in favore del coniuge superstite, l’eventuale periodo di convivenza more uxorio antecedente alla celebrazione del nuovo matrimonio.
Cass. civ. Sez. unite 19 giugno 2000, n. 451 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Rientra nella giurisdizione della Corte dei conti la domanda relativa alla riliquidazione della pensione sulla base di successivi aumenti retributivi proposta dall’ex dipendente della s.p.a. Ferrovie dello Stato, atteso che la devoluzione alla giurisdizione contabile della materia relativa al trattamento di quiescenza dei dipendenti dell’a¬zienda autonoma delle Ferrovie dello Stato stabilita dagli art. 13 e 62 r.d. 12 luglio 1934 n. 1214, è rimasta immutata nonostante l’entrata in vigore della l. 17 maggio 1985 n. 210, istitutiva dell’Ente Ferrovie dello Stato, ed anche dopo la trasformazione dell’ente in società per azioni (verificatasi in virtù della delibera Cipe del 12 agosto 1992, a norma dell’art. 18 d.l. 11 luglio 1992 n. 333, conv. in l. 8 agosto 1992 n. 359, sulla base delle disposizioni dettate in materia di trasformazione di enti pubblici economici dall’art. 1 d.l. 5 dicembre 1991 n. 386, conv. in l. 29 gennaio 1992 n. 35). La ritenuta persistenza di tale giurisdizione si fonda sul rilievo che il trattamento pensionistico dei menzionati lavoratori grava sull’apposito fondo che continua (anche dopo l’en¬trata in vigore della normativa da ultimo citata) ad essere alimentato parzialmente dallo Stato il quale, infatti, ai sensi dell’art. 210 comma ultimo d.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, partecipa alla copertura del fabbisogno con contributi da stabilirsi, per ogni esercizio finanziario, in misura pari alla differenza fra le spese e le entrate del fondo stesso.
Cass. civ. Sez. I, 4 febbraio 2000, n. 1222 (Famiglia e Diritto, 2000, 397)
L’espressione “altri assegni” contenuta nell’art. 9, nuovo testo, l. n. 898 del 1970 deve intendersi riferita ad ogni attribuzione anche solo in senso lato previdenziale spettante in dipendenza della morte all’ex coniuge. Anche con riguardo agli “altri assegni”, tra i quali rientra l’indennità di buonuscita, il citato art. 9, comma 3, attribuisce al coniuge divorziato una “quota” formante oggetto di un suo diritto autonomo, che trova la sua fonte diretta nella qualità stessa di ex coniuge in relazione alla funzione e disciplina (concorrentemente) previdenziale dell’emolu¬mento in questione. Il diritto del coniuge divorziato ha natura, quindi, identica a quella del diritto riconosciuto al coniuge superstite, sì che l’un diritto non deriva dall’altro ma entrambi concorrono fra loro in pari grado ed allo stesso titolo (e, cioè, “iure proprio”), in ragione della durata dei rispettivi rapporti di coniugio.
Corte cost. 4 novembre 1999, n. 419 (Giust. Civ. 2000, I, 1272)
L’art. 9 comma 3 l. 1 dicembre 1970 n. 898, nel testo sostituito da ultimo dall’art. 13 l. 6 marzo 1987 n. 74, nella parte in cui prevede che la ripartizione dell’ammontare della pensione di reversibilità fra coniuge ed ex coniuge, se entrambi vi abbiano diritto, avvenga “tenendo conto della durata del rapporto”, non impone una ripartizione in base ad un imprescindibile ed esclusivo criterio matematico, ma consente, secondo interpretazione conforme a Costituzione, che il tribunale valuti anche circostanze ulteriori analoghe a quelle da considerare per definire i rapporti patrimoniali fra i coniugi divorziati; così intesa, la norma non contrasta con gli art. 3 e 38 cost.
Non è fondata – in riferimento agli art. 3 e 38 cost. – la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, l. 1 dicembre 1970 n. 898, nel testo sostituito, da ultimo, dall’art. 13 l. 6 marzo 1987 n. 74, sollevata sotto il profilo che la ripartizione del trattamento pensionistico di reversibilità tra coniuge divorziato, titolare dell’asse¬gno, e coniuge superstite che abbia i requisiti per la pensione di reversibilità – dovendo essere disposta dal tribu¬nale tenendo conto della durata del rapporto – non consente l’adozione di altri elementi di valutazione neppure in funzione correttiva del risultato matematico conseguito, essendo possibile interpretare la norma nel senso che l’elemento temporale, pur costituendo momento imprescindibile dell’apprezzamento del giudice, non è elemento esclusivo dello stesso sì che tale valutazione non si riduce ad un mero calcolo aritmetico.
Corte cost. 2 aprile 1999, n. 110 (Foro It., 1999, I, 1371, nota di GRANATA)
È costituzionalmente illegittimo – per contrasto con gli art. 3, 29, 31, 38 cost. – l’art. 21, comma 1, n. 2, l. 29 ottobre 1971 n. 889, recante norme in materia di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di trasporto, nella parte in cui preclude la concessione della pensione di reversibilità in favore del coniuge allorquando il matrimonio, contratto dal pensionato in età superiore ai settantadue anni, sia durato meno di due anni.
Cass. civ. Sez. I, 20 marzo 1999, n. 2593 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto alla pensione di reversibilità, riconosciuto al coniuge divorziato in caso di morte dell’ex coniuge ed in assenza del coniuge superstite di questi avente i requisiti per l’ottenimento di essa, dall’art. 9 l. 1 dicembre 1970 n. 898, come sostituito dall’art. 2 l. 1 agosto 1978 n. 436 e quindi dall’art. 13 l. 6 marzo 1987 n. 74, è di natura previdenziale, non assimilabile all’assegno divorzile, e pertanto la controversia per l’accertamento del predetto diritto appartiene alla giurisdizione della Corte dei conti se il trattamento pensionistico è a carico dello Stato, e del giudice ordinario in caso diverso, ed in particolare rientra nella competenza per materia del pretore in qualità di giudice del lavoro, come nel caso di controversia instaurata per ottenere la pensione di riversibilità nei con¬fronti della Cassa nazionale di previdenza degli ingegneri e architetti.
Cass. civ. Sez. Unite12 gennaio 1998, n. 159 (Giur. It., 1999, 279 nota di MATTEO)
La “ratio” della pensione di reversibilità per il coniuge superstite come per il coniuge divorziato consiste nel loro apporto alla formazione del patrimonio comune ed a quello proprio dell’altro coniuge, nonché nelle loro aspet¬tative formatesi durante e per effetto del matrimonio. La durata del rapporto, costituisce l’unico parametro che consenta la ripartizione della pensione di reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite sulla base di elementi oggettivamente comparabili. È esclusa la rilevanza di criteri diversi dal parametro legale, quand’anche in funzione integrativa o correttiva del risultato conseguito.
Corte cost. 30 luglio 1997, n. 284 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
In funzione della natura previdenziale della pensione di reversibilità, contrasta con gli art. 3 e 38 cost. l’art. 81 comma 4 t.u. 29 dicembre 1973 n. 1092, nella parte in cui esclude il diritto di tale pensione in favore della vedo¬va alla cui colpa sia stata addebitata con sentenza passata in giudicato la separazione allorchè ad essa spettava il diritto agli alimenti da parte del coniuge successivamente deceduto.
Cass. civ. Sez. I, 6 aprile 1996, n. 3232 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La domanda giudiziale diretta alla ripartizione tra gli aventi diritto della pensione di reversibilità spettante all’ex coniuge deceduto deve essere decisa con un provvedimento che rivesta la forma della sentenza, secondo quanto testualmente previsto dall’art. 9 comma 5 l. 1 dicembre 1970 n. 898 (come sostituito dall’art. 13 l. 6 marzo 1987 n. 74), sicchè tale provvedimento deve presentare comunque (a prescindere dalla forma contenziosa o camerale del procedimento), i requisiti formali essenziali della sentenza, tra cui la sottoscrizione a mente dell’art. 132 comma 2 c.p.c. Ne consegue il provvedimento, ove sia stato erroneamente assunto con la forma del decreto ed il presidente del collegio che lo ha pronunciato non ne sia anche l’estensore, deve essere sottoscritto, oltre che dal presidente del collegio, anche dall’estensore, a pena di nullità assoluta ed insanabile, rilevabile di ufficio, anche in sede di legittimità.
Cass. civ. Sez. Unite, 13 maggio 1993, n. 5429 Foro It., 1993, I, 3280 nota di QUADRI
Competente a conoscere delle controversie relative al diritto alla pensione di reversibilità del coniuge divorziato, unico superstite, previsto dall’art. 9, 2° comma, l. n. 898/70 come novellato dall’art. 13 l. n. 74/87, è la corte dei conti; tale disciplina è applicabile ai rapporti ancora in corso in presenza dei requisiti richiesti dall’ordinamento.
L’art. 9 l. 898/70, come novellato ai sensi dell’art. 13 l. 74/87, immediatamente applicabile – quale ius super¬veniens – ai rapporti ancora in corso, anche se la morte dell’ex coniuge sia anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina, poiché riconosce al divorziato in assenza di un coniuge superstite, la titolarità di un vero e pro¬prio diritto alla pensione di reversibilità, sottrae alla giurisdizione ordinaria la competenza in merito alle relative controversie, devolvendola a quella della corte dei conti, ove si tratti di pensione a carico dello stato.
Cass. civ. Sez. I, 12 novembre 1994, n. 9528 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’obbligo dell’Inps di corrispondere all’ex coniuge la quota parte della pensione di reversibilità deve decorrere dalla data di pronuncia del provvedimento camerale di natura chiaramente costitutiva e non dalla data del de¬cesso dell’ex coniuge obbligato, non potendo l’Inps essere esposto al rischio di dover duplicare i pagamenti, qualora abbia già corrisposto, a decorrere dal giorno della morte dell’ex coniuge obbligato, la pensione per intero al coniuge superstite.
L’art. 9 l. 898/70, come novellato ai sensi dell’art. 13 l. 74/87, immediatamente applicabile – quale ius super¬veniens – ai rapporti ancora in corso, anche se la morte dell’ex coniuge sia anteriore all’entrata in vigore della nuova disciplina, poiché riconosce al divorziato in assenza di un coniuge superstite, la titolarità di un vero e pro¬prio diritto alla pensione di reversibilità, sottrae alla giurisdizione ordinaria la competenza in merito alle relative controversie, devolvendola a quella della corte dei conti, ove si tratti di pensione a carico dello stato.
Corte cost., 28 luglio 1993, n.346 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La normativa risultante quale effetto delle pronunce di illegittimità costituzionale per violazione degli artt. 3 e 38 Cost., (sent. n. 286 del 1987, sent. n. 1009 del 1988 e sent. n. 450 del 1989) di diverse disposizioni di legge, (concernenti dipendenti del settore privato soggetti a regimi previdenziali collegati all’I.N.P.S., ed alcune cate¬gorie di lavoratori autonomi) che negavano il diritto alla pensione di reversibilità al coniuge superstite separato per propria colpa (o con addebito) ancorché questi risultasse titolare di diritto agli alimenti a carico del coniuge defunto, costituisce un “tertium comparationis” ineludibile nella decisione da adottare sulla questione di legit¬timità costituzionale sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., riguardo alle pensioni per gli impiegati degli enti locali, nei confronti dell’analogo combinato disposto dell’art. 38, primo comma, del R.D.L. 3 marzo 1938, n. 680 e dell’art. 7, secondo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646. Né rileva in contrario che, mentre le di¬sposizioni riconosciute illegittime con le su citate sentenze escludevano del tutto il trattamento pensionistico del coniuge separato per propria colpa, in quelle ora impugnate è invece prevista, in uno con la esclusione del diritto a pensione, la spettanza di un assegno alimentare pari al venti per cento della pensione diretta, trattandosi pur sempre, anche in questi casi, di vedove separate per colpa o con addebito che godevano già di assegno alimen¬tare a carico del defunto coniuge, e dovendosi ritenere costituzionalmente necessario, nella contrapposizione delle due discipline, accordare prevalenza, rispetto agli elementi di differenziazione, ai più consistenti aspetti di assimilazione. Pertanto il combinato disposto degli artt. 38, primo comma, del regio D.L. 3 marzo 1938, n. 680, e 7, secondo comma, della legge 22 novembre 1962, n. 1646, deve essere dichiarato illegittimo, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui esclude il diritto a pensione a favore della vedova di impiegato iscritto alla C.P.D.E.L., che sia separata legalmente con sentenza passata in giudicato pronunciata per di lei colpa, allorché a questa fosse stato riconosciuto il diritto agli alimenti verso il coniuge deceduto, attribuendo alla stessa soltanto il diritto alla corresponsione di un assegno alimentare ove sussista lo stato di bisogno.
Cass. civ. Sez. I, 9 dicembre 1992, n. 13041 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Al fine della ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge divorziato ed il coniuge superstite, la dura¬ta del matrimonio, pur costituendo il parametro legale previsto dall’art. 9 l. n. 898 del 1970 (come modificato dall’art. 13 l. n. 74 del 1987) per la determinazione della quota di pensione spettante all’ex coniuge, in concorso con il coniuge superstite, non introduce un esclusivo sistema automatico di quantificazione, agganciato ad un mero dato aritmetico, dovendosi tener conto – fra gli elementi utilizzabili ad integrazione e correzione del criterio base – dell’eventuale rilevante scarto tra matrimonio ed effettiva convivenza verificatasi nel corso del primo vin¬colo, se e nei limiti in cui, a detto scarto, corrisponda la convivenza more uxorio della nuova coppia, radicatasi prima della sentenza di divorzio e protrattasi fino al nuovo matrimonio.
Cass. civ. Sez. II, 9 giugno 1992, n. 7089 (Dir. Famiglia, 1993, 63)
La sola pronunzia di divorzio, passata in giudicato, come fatto costitutivo di un reciproco diverso status tra i coniugi, è sufficiente a determinare – nei rapporti tra i medesimi – gli effetti suoi propri, in primo luogo quello della dissoluzione del vincolo matrimoniale, mentre altri effetti – quelli erga omnes, con la conseguente oppo¬nibilità della nuova situazione ai terzi – sono ricollegabili soltanto ai successivi adempimenti della trascrizione e dell’annotazione nei registri dello stato civile (in applicazione di tale principio, nella specie, la suprema corte ha confermato la pronunzia dei giudici di merito secondo cui al coniuge superstite, non spetta la qualità di erede dell’altro, deceduto successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, ma anteriormente all’annotazione della sentenza stessa presso i registri dello stato civile).
Cass. civ. Sez. Unite, 25 maggio 1991, n. 5939 (Corriere Giur., 1991, 877, nota di CATALANO)
Nel sistema introdotto dalla l. 6 marzo 1987, n. 74, il titolo costitutivo della pensione di reversibilità è diretta¬mente la legge, nel concorso di determinati requisiti la cui esistenza non richiede alcuna valutazione del giudice il cui intervento, invece, resta necessario per i casi in cui il de cuius sia deceduto anteriormente alla data di entrata in vigore di detta legge la quale, pertanto, non ha effetto retroattivo.
Cass. civ. Sez. I, 24 maggio 1991, n. 5877 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Anche nel contenzioso pensionistico il litisconsorte pretermesso ha facoltà di far valere il pregiudizio che egli deriva dalla mancata partecipazione ad un processo che non poteva svolgersi senza di lui, promuovendo una causa separata volta alla declaratoria di nullità della sentenza, ovvero utilizzando lo strumento dell’opposizione di terzo.
Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 1991, n. 5241 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il provvedimento col quale il tribunale, adito, a norma dell’art. 9, l. 1 dicembre 1970, n. 898 (nel testo fissato dall’art.2, l. 1 agosto 1978, n. 436), dal coniuge divorziato per l’attribuzione di una quota della pensione di riversibilità spettante al coniuge superstite, accolga la domanda statuendo anche sulla attribuzione di quella parte di tale trattamento che, per qualsiasi ragione, non sia stato riconosciuto a quest’ultimo soggetto, così da investire non solamente il rapporto fra gli aventi causa del coniuge deceduto, ma altresì quello con l’ ente ero¬gatore del trattamento stesso, ancorché reso in forma di decreto ed in adozione del rito camerale, è suscettibile di formare giudicato avverso il quale detto ente – il quale, non essendo stato parte nel relativo procedimento, non è legittimato alla proposizione del reclamo di cui all’art. 739 c. p. c. – può proporre opposizione ex art. 404, 1° comma, c. p. c., quale contraddittore necessario pretermesso e pregiudicato nei suoi diritti per effetto di quell’ulteriore statuizione.
Corte cost. 22 dicembre 1989, n. 568 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
È incostituzionale, per violazione degli art. 24 e 38 cost., l’art. 13, l. 12 agosto 1962, n. 1338, nella parte in cui, ai fini del diritto a rendita vitalizia per i periodi di contribuzione omessa ed irrecuperabile perché prescritta, salva la necessità della prova scritta sull’esistenza del rapporto di lavoro da fornirsi dal lavoratore, non consente di provare altrimenti la durata del rapporto stesso e l’ammontare della retribuzione.
Il riconoscimento del diritto del lavoratore ad una rendita vitalizia nel caso in cui – per mancato versamento ed intervenuta prescrizione dei contributi – rimanga privo di pensione, non può essere frustrato da un regime probatorio così difficoltoso da farlo divenire inattuabile, risultando altrimenti violato l’art. 24 Cost. Pertanto, l’esistenza del rapporto di lavoro – pur dovendo essere provata per iscritto, onde evitare possibili collusioni ai danni dell’I.N.P.S. – non deve necessariamente risultare da documento di data certa, trovando applicazione il comma terzo dell’art. 2704 cod. civ.; mentre la durata e la retribuzione, essendo semplici modalità del rapporto, possono essere provate anche con mezzi diversi dallo scritto. Consegue che è costituzionalmente illegittimo per contrasto con gli artt. 24 e 38 Cost. – l’art. 13 della legge 12 agosto 1962 n. 1338, commi quarto e quinto, nella parte in cui, salva la necessità della prova scritta sull’esistenza del rapporto di lavoro da fornirsi dal lavoratore, non consente di provare altrimenti la durata del rapporto stesso e l’ammontare della retribuzione.
Corte cost. 27 luglio 1989, n. 450 (Giur. It., 1990, I,1, 1532, nota di MAGGIO)
È incostituzionale l’art. 31, 1° comma, lett. a), l. 13 luglio 1965, n. 859 (norme di previdenza per il personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea), nella parte in cui esclude dal diritto a pensione di reversibilità anche il coniuge superstite separato per sua colpa, o al quale la separazione è stata addebitata, con sentenza passata in giudicato, che aveva diritto agli alimenti verso il coniuge deceduto; in applicazione dell’art. 27, l. 11 marzo 1953, n. 87, è dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 22, 1° comma, n. 1, l. 4 dicembre 1956, n. 1450, modificato dall’art. 4, l. 13 luglio 1967, n. 583 (miglioramenti del trattamento posto a carico del fondo speciale di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia); dell’art. 21, 1° comma, n. 1, l. 29 ottobre 1971, n. 889 (norme in materia di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di trasporto); dell’art. 21, 1° comma, lett. a), l. 23 novembre 1971, n. 1100 (istituzione di un ente di previdenza ed assistenza a favore dei consulenti del lavoro); dell’art. 5, 1° comma, n. 1, l. 1° luglio 1975, n. 296 (modifiche al trattamento pensionistico del fondo speciale degli addetti alle abolite imposte di consumo), nella parte in cui escludono dal diritto a pensione di reversibilità anche il coniuge superstite separato per sua colpa, o al quale la separazione è stata addebitata, con sentenza passata in giudicato, che aveva diritto agli alimenti verso il coniuge deceduto.
Cass. civ. Sez. I, 24 giugno 1989, n. 3092 (Giust. Civ., 1989, I, 2567)
Il diritto del coniuge divorziato a ricevere in tutto od in parte la pensione di reversibilità, che sarebbe spettata o spetta al coniuge superstite, deve essere attribuito dal primo giorno del mese successivo a quello del decesso dell’assicurato, e beneficia della perequazione automatica del trattamento pensionistico, anche prima delle innova¬zioni introdotte dall’art. 13, l. 6 marzo 1987, n. 74, atteso che il diritto medesimo, ai sensi e nel vigore dell’art. 9, l. 1 dicembre 1970, n. 898 (come sostituito dall’art. 2, l. 1 agosto 1978, n. 436), pur non avendo natura di credito pensionistico (riconosciutagli invece da detto art. 13, l. n. 74 del 1987), è allo stesso equiparabile, ai fini indicati.
Corte cost. 3 novembre 1988, n. 1009 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Tra la posizione del coniuge divorziato che sia titolare dell’assegno di cui all’art. 5 della legge n. 898 del 1970 e la posizione del coniuge separato con addebito, che sia titolare dell’assegno alimentare di cui all’art. 156, terzo comma, cod. civ., si può ragionevolmente riconoscere una analogia, la quale comporta che pure al secondo, come al primo, debba essere attribuito il diritto alla pensione di reversibilità; trattamento che va comunque riconosciuto, una volta cessata la rilevanza della colpa quale fondamento della separazione (a seguito della riforma introdotta dalla legge n. 151 del 1975), in ragione dell’esigenza (costituzionale) di tutela previdenziale del lavoratore e dei suoi familiari sancita dall’art. 38 Cost. Pertanto è costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt. 3 e 38 Cost., l’art. 20della legge 2 febbraio 1973, n. 12, primo comma, lett. a), in materia di previdenza e assistenza degli agenti e dei rappresentanti di commercio, nella parte in cui esclude dal diritto a pensione di reversibilità il coniuge superstite quando “sia stata pronunciata sentenza di separazione legale per colpa dello stesso”.
Corte cost. 31 maggio 1988, n. 587 (Giur. It., 1989, I,1, 402)
Sono costituzionalmente illegittimi – per illegittimità conseguenziale ex art. 27, l. 11 marzo 1953, n. 87 – l’art. 81, 3° comma, d. p. r. 29 dicembre 1973, n. 1092 (norme sul trattamento di quiescenza dei dipendenti civili e militari dello stato) e l’art. 6, 2° comma, l. 22 novembre 1962, n. 1646 (modifiche agli ordinamenti degli istituti di previdenza presso il ministero del tesoro) nella parte in cui testualmente escludono il diritto alla pensione di rever¬sibilità in considerazione della differenza di età fra i coniugi superiore ai venticinque anni al momento delle nozze.
Corte cost. 28 luglio 1987, n. 286 (Dir. Famiglia, 1988, 26)
Sono costituzionalmente illegittimi, in riferimento agli art. 3 e 38 cost.: l’art. 1, d. l. lgt. 18 gennaio 1945, n. 39 (disciplina del trattamento di reversibilità delle pensioni dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vec¬chiaia) nel testo sostituito dall’art. 7, l. 12 agosto 1962, n. 1338 (disposizioni per il miglioramento dei trattamenti di pensione dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti) e riprodotto nell’art. 24, l. 30 aprile 1969, n. 153 (revisione degli ordinamenti pensionistici e norme in materia di sicurezza sociale); l’art. 23, 4° comma, l. 18 agosto 1962, n. 1357 (riordinamento dell’ente nazionale di previdenza ed assistenza dei veterinari); nella parte in cui escludono dalla erogazione della pensione di reversibilità il coniuge separato per colpa con sentenza passata in giudicato.
Corte cost. 18 dicembre 1985, n. 360 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’art. 85 D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, in base al quale, nel caso di infortunio mortale dell’assicurato, agli orfani di entrambi i genitori spetta il quaranta per cento della rendita, escludendo che la stessa rendita possa essere attribuita anche all’orfano dell’unico genitore naturale che lo ha riconosciuto, si pone in contrasto con il principio di uguaglianza in quanto appare identica la situazione di abbandono di bisogno in cui viene a trovarsi l’orfano sia che l’infortunio lo abbia privato di entrambi i genitori, sia che lo abbia privato dell’unico genitore che lo aveva riconosciuto. Deve pertanto essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 85 D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui esclude che all’orfano dell’unico genitore naturale che lo abbia riconosciuto possa essere attribuita la rendita nella misura del quaranta per cento.
È costituzionalmente illegittimo, in riferimento all’art. 3 cost., l’art. 85, d. p. r. 30 giugno 1965, n. 1124 (t. u. delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) nella parte in cui nel disporre che, nel caso di infortunio mortale dell’assicurato, agli orfani di entrambi i genitori spetta il quaranta per cento della rendita, esclude che tale rendita spetti anche all’orfano dell’unico genitore naturale che lo ha riconosciuto.
Cass. civ. 22 gennaio 1983, n. 652 (Dir. Famiglia, 1983, 473)
La pensione di reversibilità a favore del coniuge divorziato decorre dal primo giorno del mese successivo a quello in cui è avvenuto il decesso dell’assicurato o del pensionato, purché a tale data sussistano le condizioni cui il diritto anzidetto è subordinato, e non dal giorno di emanazione del provvedimento giurisdizionale con cui quella prestazione è riconosciuta, anche se esso ha natura discrezionale e costitutiva.
Cass. civ. 11 dicembre 1980, n. 6396 (Dir. Famiglia, 1981, 433)
Tanto sulla base dell’art. 9 l. 1° dicembre 1970, n. 898, quanto ai sensi della l. 1° agosto 1978, n. 436, il diritto dell’ex coniuge superstite di ottenere una quota della pensione o di altri assegni spettanti al nuovo coniuge non trasferisce su quest’ultimo gli obblighi gravanti sul coniuge defunto nei confronti del suo ex coniuge, ma fa na¬scere in capo a questi, ricorrendo le condizioni di legge, un diritto proprio alla corresponsione di una quota della pensione o degli assegni.
Corte cost. 15 febbraio 1980, n. 15 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La differente disciplina legislativa delle condizioni di rilevanza, ai fini del trattamento di quiescenza di reversi¬bilità, del matrimonio contratto dal pensionato delle Casse pensioni degli Istituti di Previdenza del Ministero del tesoro, condizioni indicate nella norma denunciata, rispetto a quelle fissate, ai medesimi fini, per il pensionato statale dall’art. 1 della legge 14 maggio 1969 n. 252, e dall’art. 81 del D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092, secondo e terzo comma, deve ritenersi priva di qualsiasi razionale giustificazione (in effetti inesistente nella precedente normativa di cui alla legge 15 febbraio 1958 n. 46, che aveva dettato una disciplina uniforme per le due categorie di dipendenti pubblici), ove si consideri che la portata generale delle disposizioni limitative del diritto a pensione di reversibilità, ancorate a criteri naturalistici ed obiettivi, esclude che le stesse possano essere rapportate ad elementi specifici di questo o quel sistema pensionistico. Pertanto, è costituzionalmente illegittimo – per con¬trasto con l’art. 3 Cost. – l’art. 6, secondo comma, della legge 22 novembre 1962 n. 1646, nella parte in cui, ai fini del trattamento di quiescenza di reversibilità delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di Previdenza presso il Ministero del tesoro: a) non prevede la rilevanza del matrimonio contratto dal pensionato prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età, prescindendosi, in questa ipotesi, da ogni altro requisito; b) richiede che il matrimonio, dal quale non sia nata prole, anche postuma, sia stato contratto dal pensionato pri¬ma del compimento del settantaduesimo anno di età, e che la differenza tra i coniugi non superi gli anni venti, anziché venticinque.
In applicazione dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953 n. 87, va dichiarato costituzionalmente illegittimo , in via conseguenziale alla pronuncia parziale relativa all’art. 6, secondo comma, della legge 22 novembre 1962 n. 1646, lo stesso art. 6, secondo comma, nella parte in cui, ai fini del trattamento di quiescenza di reversibilità delle Casse pensioni facenti parte degli Istituti di Previdenza presso il Ministero del tesoro, qualora si tratti di titolare di pensione privilegiata, fermi i restanti requisiti di rilevanza, richiede che il matrimonio, dal quale non sia nata prola, anche postuma, sia stato contratto dal pensionato prima del compimento del settantacinquesimo anno di età (mantenendo, detta disposizione, una differenziazione di trattamento rispetto alla disciplina della pensione di reversibilità del pensionato statale, priva di razionale giustificazione).
Corte cost. 15 febbraio 1980, n. 14 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La pensione di reversibilità ha carattere e contenuto diversi dai mezzi assistenziali e previdenziali previsti nell’art. 38 Cost. con riguardo vuoi ad ogni cittadino inabile al lavoro e indigente, vuoi al lavoratore in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria, mentre la tutela del nucleo familiare resta affidata alla legge ordinaria. L’esclusione del coniuge separato per sua colpa dal diritto alla pensione di reversibilità si spiega nel sistema della legge, poiché il legislatore ha giudicato che vi sia, in questa ipotesi, un più pronunciato allentamento del vincolo matrimoniale, con disaffezione ed estraneità alla vita e all’attività lavorativa del coniuge deceduto. Né è esatto, come sostiene il giudice “a quo”, che, a differenza del coniuge separato per colpa, quello cui la separazione viene addebitata ai sensi del nuovo testo dell’art. 151 cod. civ., abbia diritto alla pensione di reversibilità. La declaratoria del giudice di addebitabilità della separazione ad uno dei coniugi priva, tra l’altro, costui del diritto al mantenimento, come accadeva per il coniuge colpevole nella disciplina previgente. Permane, pertanto, una razionale giustificazione per differenziare il trattamento del coniuge superstite, secondo che nei suoi confronti sia intervenuta, o no, la dichiarazione di addebitabilità. (Infondatezza, in riferimento agli artt. 38 e 3 Cost., della questione di costituzionalità dell’art. 24 della legge 30 aprile 1969 n. 153).
Corte cost. 9 gennaio 1975, n. 3 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La disciplina restrittiva in materia di pensioni di reversibilità dovute alle vedove di ex dipendenti di enti locali ed ex dipendenti statali nel caso che il matrimonio sia stato celebrato dopo il collocamento a riposo, prevista rispettivamente, dall’art. 6 della legge 22 novembre 1962, n. 1646 e dall’art. 11, secondo comma, e dall’art. 19 della legge 15 febbraio 1958, n. 46, modificato dall’art. 1 legge 14 maggio 1969, n. 252, non contrasta con i diritti della famiglia garantiti dall’art. 29 Cost., non potendosi ragionevolmente ritenere che le restrizioni stesse, concernenti l’età massima del pensionato, la differenza minima di età fra i coniugi e la durata minima del matri¬monio, agiscano come elemento negativo influente sulla possibilità di contrarre matrimonio.
La disciplina restrittiva in materia di pensioni di reversibilità dovute alle vedove di ex dipendenti di enti locali ed ex dipendenti statali, nel caso che il matrimonio sia stato celebrato dopo il collocamento a riposo, prevista rispet¬tivamente dall’art. 6 della legge 22 novembre 1962, n. 1646, dall’art. 11, secondo comma, e dall’art. 19 legge 15 febbraio 1958, n. 46, modificata dall’art. 1 legge 14 maggio 1969, n. 252, non contrasta con l’art. 36 Cost.. La tutela della retribuzione differita non costituisce, infatti, un invalicabile principio, tale da non consentire in via assoluta alcuna deroga od eventuali adattamenti a particolari situazioni. Sono, invero, ammissibili le restrizioni suddette, concernenti l’età massima del pensionato, la differenza minima di età fra i coniugi e la durata minima del matrimonio, che sono dettate dall’intento cautelativo di ovviare alle frodi presunte, a difesa del pubblico erario, e la cui valutazione, in relazione al contemperamento o alla prevalenza degli opposti interessi, appartiene alla discrezionalità del legislatore ove, come nel caso, siano da escludere motivi arbitrari.