Va dichiarato adottabile il minore il cui sviluppo psicofisico sia stato pregiudicato dai genitori.

Corte d’Appello di Perugia, sentenza 7 ottobre 2024, n. 8
Svolgimento del processo / Motivi della decisione
Il Tribunale per i ### dell’### con sentenza n. 13/2024 depositata il ###,
dichiarava lo stato di adottabilità del minore ### respingendo ogni contraria
richiesta proveniente dai genitori del minore.
Tale sentenza veniva impugnata dinanzi alla Corte di Appello di ### con
separati atti di impugnazione, dai due genitori, che argomentavano
essenzialmente sulla insussistenza dei presupposti per la dichiarazione di
adottabilità, osservando che la coppia genitoriale aveva manifestato
temporanee difficoltà stante la lontananza dalla famiglia di origine, che vi era
stato interessamento e volontà da parte loro di incontrare il bambino, che era
stata negata; che la signora ### è aiutata dalla sua famiglia di origine, che la
supporta sia per la cura del figlio ### di anni 8 che della piccola ### sorella
di ### nata nel 2022; che vi era stata disponibilità di ### a riprendere il
percorso al CSM e la terapia farmacologica, al fine di continuare il percorso di
supporto e sostegno per sé e per la minore; che il TM aveva ignorato la
richiesta della nonna paterna del minore ### di rendersene affidataria
supportando figlio e nuora nel percorso di recupero delle funzioni genitoriali.
Gli appellanti hanno dunque rassegnato le seguenti conclusioni:
per ### “revocare la decadenza dalla responsabilità genitoriale del sig. ###
nonché revocare nei confronti del minore ### la dichiarazione dello stato di
adottabilità, disponendo il rientro dello stesso presso la famiglia di origine, ed
altresì disponendo le misure di sostegno e di aiuto previste dall’art. 1 comma
2° ### n. 184/83; nonché disporre l’avvio degli incontri protetti padre-figlio,
giammai attivati nonostante ab origine richiesti.
– In via subordinata: disporre l’ascolto della sig.ra ### nata a ### il ### e
residente in ### alla Corte II n. 5/PT, CF: ###, madre di ### e nonna
paterna di ### nella forma dell’ascolto da remoto; ed all’esito disporre
l’affidamento etero familiare presso la famiglia della sig.ra ### resasi
disponibile ad accogliere il piccolo presso la sua abitazione di cui all’art. 2
comma 1° ### 184/83 per la durata massima ivi prevista, (se del caso anche
proseguendo quello disposto e in atto), ripristinando gli incontri con i genitori
secondo tempi e modalità ritenute opportune. – in ogni caso: disporre,
l’elaborazione di un idoneo progetto di sostegno e interventi a tutela del
minore, consistente nell’affidamento del minore ai SS e al CF territorialmente
competenti; nel ### di ### presso l’abitazione del minore; nella presa in
carico dei genitori da parte dei SS competenti; nella presa in carico della ###
da parte del ### nella presa in carico di ### da parte del ### ha così
concluso: “ 1)in accoglimento del presente appello, riformare integralmente la
sentenza n. 13/2024 ### – ### N. /2022, oggi impugnata perché
immotivata, illogica, carente, contraddittoria per tutte le causali espresse nella
narrativa del presente atto; 2)sempre in accoglimento del presente appello,
previa riforma dell’impugnata sentenza, revocare il provvedimento di
sospensione e decadenza dalla responsabilità genitoriale della sig.ra ### e del
di lei compagno, nonché revocare la dichiarazione dello stato di adottabilità
emessa nei confronti del minore ### disponendo il rientro dello stesso presso
la famiglia di origine e, altresì, disponendo le misure di sostegno e di aiuto
previste dall’art. 1 comma 2° ### n. 184/83; nonché dare inizio agli incontri
protetti padre-figlio, giammai attivati nonostante sin da subito richiesti; 3)in
via subordinata, sempre in accoglimento del presente appello, previa riforma
dell’impugnata sentenza, a)disporre l’ascolto di ### nata a ### il ### e
residente in ### alla Corte II n. 5/PT, CF: ###, madre di ### e nonna
paterna di ### nella forma dell’ascolto da remoto; b)disporre l’affidamento del
minore ### alla nonna paterna, ### al fine di favorire il rientro, l’allocazione
e la permanenza del minore ### nel nucleo familiare di appartenenza, dicasi
famiglia di origine, con l’elaborazione di un idoneo progetto di sostegno e
interventi a tutela del minore, consistente nell’affidamento del minore ai SS e
al CF territorialmente competenti, nel ### di ### presso l’abitazione del
minore, nella presa in carico dei genitori da parte dei SS competenti, nella
presa in carico della ### da parte del ### nella presa in carico di ### da
parte del ### c)disporre un percorso di supporto e un progetto di sostegno,
anche terapeutico ove necessario, a favore dei genitori del minore, mediante i
servizi territorialmente competenti, con il coinvolgimento anche della nonna
paterna, ### nella gestione della vita familiare e nell’educazione e gestione
del minore, mediante attività di sostegno e affiancamento dei genitori nello
svolgimento delle loro funzioni, in quanto la nonna paterna è disponibile anche
ad affiancare i genitori nell’affidamento del minore ### d)ove si non dovesse
accedere alla richiesta di affido avanzata dalla nonna paterna, disporre
l’immediato rientro, allocazione e permanenza dello stesso minore ### presso
l’abitazione dei nonni materni, dove la ### risiede e convive insieme ai di lei
genitori e agli altri due figli minori, ### e ### in ### e)in ogni caso
disporre, fermo restando il rientro, l’allocazione e la permanenza del minore
### nel nucleo familiare di appartenenza, dicasi famiglia di origine cioè della
madre, dei due suoi fratelli e dei nonni materni, sempre ove non si dovesse
accedere alla richiesta di affido avanzata dalla nonna paterna, l’elaborazione di
un idoneo progetto di sostegno e interventi a tutela del minore, consistente
nell’affidamento del minore ai SS e al CF territorialmente competenti, nel ###
di ### presso l’abitazione del minore, nella presa in carico dei genitori da
parte dei SS competenti, nella presa in carico della ### da parte del ###
nella presa in carico di ### da parte del ### f)disporre un percorso di
supporto e un progetto di sostegno, anche terapeutico ove necessario, a favore
dei genitori, mediante i servizi territorialmente competenti, con il
coinvolgimento anche della nonna paterna, ### nella gestione della vita
familiare e nell’educazione e gestione del minore, mediante attività di sostegno
e affiancamento dei genitori nello svolgimento delle loro funzioni, in quanto la
nonna paterna è disponibile anche ad affiancare i genitori nell’affidamento del
minore ### g)disporre e fissare immediatamente, nelle more del
reinserimento del minore ### nella famiglia dei nonni materni e della madre,
gli incontri e la frequentazione tra i genitori stessi e il minore anche in
ambiente protetto”.
Si è costituita in giudizio l’avv. ### in qualità di tutore e difensore del minore
### contestando tutte le deduzioni e richieste contenute negli atti di appello
in quanto prive di fondamento e contrarie agli interessi del minore, chiedendo il
rigetto del gravame.
Previa riunione dei due fascicoli ed integrazione del contraddittorio con gli
affidatari del minore, ai sensi dell’art.5 della legge n. 184 del 1983, demandata
ai ### incaricati con modalità di segretazione dell’identità degli affidatari,
all’udienza del 17.9.2024, alla quale il procedimento è stato rinviato per la
relativa decisione, la Corte di Appello – ### minorenni – ha trattenuto la causa
in decisione. Il P.G., nella persona della dr.ssa ### ha concluso come da
verbale d’udienza, chiedendo il rigetto del gravame.
Entrambi i gravami sono infondati e non meritano accoglimento. In punto di
diritto non pare superfluo ricordare che il principio ispiratore della disciplina
dell’adozione, secondo cui il minore ha diritto di essere educato nella famiglia
di origine, incontra i suoi limiti nel caso in cui, in via non transitoria, questa
non sia in grado di prestare le cure necessarie e assicurare l’obbligo di
mantenere, educare ed istruire la prole. Il prioritario diritto fondamentale del
figlio di vivere, nei limiti del possibile, con i suoi genitori e di essere allevato
nell’ambito della propria famiglia, sancito dall’art. 1 della l.n. 184 del 1983,
impone particolare rigore nella valutazione dello stato di adottabilità, ai fini del
perseguimento del suo superiore interesse, potendo quel diritto essere limitato
solo ove si configuri un endemico e radicale stato di abbandono – la cui
dichiarazione va reputata, alla stregua della giurisprudenza costituzionale, della
Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di giustizia, come «extrema
ratio» a causa dell’irreversibile incapacità dei genitori di allevarlo e curarlo per
loro totale inadeguatezza (Cass., 30/06/2016, n. 13435; Cass., 26/05/2014, n.
11758). Sulla scorta di quanto detto e in conformità all’orientamento della
Suprema Corte, la prioritaria esigenza del figlio di vivere con i genitori biologici
impone particolare rigore nella valutazione dello stato di abbandono che non
può fondarsi né su anomalie non gravi del carattere e della personalità dei
genitori (Cass. 18563/2012), né su impedimenti di ordine transitorio (Cass.
9949/2012). Inoltre, la Corte ha costantemente ribadito che il giudice di
merito, nell’accertare lo stato di adottabilità di un minore, deve in primo luogo
esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilità di recupero,
attraverso un percorso di crescita e sviluppo, delle capacità e competenze
genitoriali, con riferimento, in primo luogo, alla elaborazione, da parte dei
genitori, di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità
genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore,
ancorché con l’aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi dell’intervento dei
servizi territoriali (Cass. n. 14436/2017). Il giudice di merito, quindi, deve,
prioritariamente, tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere
situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del
fallimento del tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità
genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno
stabile contesto familiare, è legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità
(Cass. 22589/2017; Cass. 6137/2015). Da tanto consegue che, per un verso,
compito del servizio sociale incaricato non è solo quello di rilevare le
insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere, con
interventi di sostegno, a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso,
ricorre la «situazione di abbandono» sia in caso di rifiuto ostinato a collaborare
con i servizi predetti, sia qualora, a prescindere dagli intendimenti dei genitori,
la vita da loro offerta al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psico-
fisico, cosicché la rescissione del legame familiare è l’unico strumento che
possa evitargli un più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità
affettiva (Cass. 7115/2011).
Inoltre, il giudizio sulla situazione di abbandono deve fondarsi su una
valutazione quanto più possibile legata all’attualità, considerato il versante
prognostico. Il parametro, che perviene anche dai principi elaborati dalla Corte
di ### (cfr. in particolare la sentenza del 13/10/2015 – caso S.H. contro ###,
è divenuto un principio fermo anche nella giurisprudenza di legittimità, come
può rilevarsi dalla pronuncia n. 24445 del 2015: «In tema di adozione del
minore, il giudice, nella valutazione della situazione di abbandono, quale
presupposto per la dichiarazione dello stato di adottabilità, deve fondare il suo
convincimento effettuando un riscontro attuale e concreto, basato su indagini
ed approfondimenti riferiti alla situazione presente e non passata, tenendo
conto della positiva volontà di recupero del rapporto genitoriale da parte dei
genitori». Solo un’indagine sulla persistenza e non solo sulla preesistenza della
situazione di abbandono, svolta sulla base di un giudizio attuale, in particolare
quando vi siano indizi di modificazioni significative di comportamenti e di
assunzione d’impegni e responsabilità da parte dei genitori biologici, può
condurre ad una corretta valutazione del parametro contenuto nella L. n. 184
del 1983, art.8 dovendosi tenere conto del diritto del minore a vivere nella
propria famiglia di origine, così come indicato nell’art. 1 della L. n. 184 del
1983 (Cass.22934/2017). In particolare, la norma, anche alla luce della
progressiva elaborazione compiuta dalla giurisprudenza di legittimità e dai
principi introdotti dalla Corte Europea dei diritti umani, fissa rigorosamente il
perimetro all’interno del quale deve essere verificata la sussistenza della
condizione di abbandono. Si deve trattare di una situazione non derivante
esclusivamente da condizioni di emarginazione socio economica (disponendo
l’art. 1 che siano intraprese iniziative di sostegno nel tempo della famiglia di
origine), fondata su un giudizio d’impossibilità morale o materiale
caratterizzato da stabilità ed immodificabilità, quanto meno in un tempo
compatibile con le esigenze di sviluppo psicofisico armonico ed adeguato del
minore, non dovuta a forza maggiore o a un evento originario derivante da
cause non imputabili ai genitori biologici (cfr. sentenza ### contro ### del
16/7/2015), non determinata soltanto da comportamenti patologici ma dalla
verifica del concreto pregiudizio per il minore (Cass. N. 7193/ 2016). ### è
integrato anche da una situazione di fatto obiettiva che, a prescindere dagli
intendimenti dei genitori, impedisca o ponga in pericolo il sano sviluppo
psicofisico del minore per il non transitorio difetto dell’assistenza materiale e
morale necessaria a tal fine (così fra le altre, 26 gennaio 2011, sez. 1, n.
1838).
In definitiva, vi è abbandono se la situazione familiare è tale da compromettere
in modo grave e irreversibile lo sviluppo psicofisico della personalità del
minore, dovendosi prescindere dalla soggettiva responsabilità o dalla
colpevolezza dei genitori e dei parenti, a fronte del preminente interesse del
minore (così Cass. 31 marzo 2010, sez.1, n.7961; vedi anche Cass. 18
febbraio 2005, sez.1, n.3389). Per “situazione di abbandono”, quindi, si deve
considerare non soltanto il rifiuto intenzionale e irrevocabile dell’adempimento
dei doveri genitoriali, ma anche una situazione di fatto obiettiva del minore,
che a prescindere dalla volontà dei genitori, impedisca o ponga in pericolo il
suo sano sviluppo psicofisico, per il non transitorio difetto di quell’assistenza
materiale e morale necessaria a tal fine.
Ciò premesso, nel caso in esame, facendo applicazione delle norme
disciplinanti la materia alla luce dei criteri interpretativi sopra richiamati, alla
luce delle risultanze istruttorie raccolte in prime cure può giungersi alla
conclusione che la sentenza impugnata merita piena conferma.
Dall’esame del fascicolo trasmesso dal ### dell’### nonché dalle relazioni dei
### sociali di ### e di ### (provincia di ###, luogo ove la coppia si è
trasferita, emergono carenze strutturali nelle rispettive competenze genitoriali
che hanno indotto il giudice di primo grado a formulare una prognosi negativa
circa la loro recuperabilità in tempi rapidi e compatibili con le esigenze
evolutive del minore.
Innanzitutto va rilevato che il procedimento per la dichiarazione di adottabilità,
instaurato su ricorso del Pm, fa seguito a un precedente procedimento de
potestate, attivato in quanto il minore ### veniva condotto presso una casa
famiglia segretata, con affido ai servizi sociali di ### La relazione di ingresso
in casa famiglia del minore, di cui alcuni stralci sono riportati nella sentenza
impugnata, riportava che il minore, pur avendo due anni, non era in grado di
camminare e veniva tenuto sempre nel girello, per cui era abituato a stare in
punta di piedi presentando problemi ai tendini delle gambe e dei piedi, inoltre
non si cibava se non di latte e biscotti. Nella relazione di valutazione delle
competenze genitoriali del 13.7.2022 si espone che il bambino, quanto al
linguaggio, si limitava alla lallazione.
Da subito, appena inserito in casa famiglia, ### ha cominciato a recuperare le
tappe evolutive saltate, ha imparato a deambulare, a cibarsi di pietanze solide,
ha arricchito il suo linguaggio.
Tali fatti non sono neppure contestati nel loro storico verificarsi, pur tentando
gli appellanti di darne una spiegazione con riferimento ad una situazione
momentanea di difficoltà e preoccupazioni legate a problemi di lavoro del
padre, alla mancata assunzione di psicofarmaci da parte della madre (in
quanto in stato di gravidanza) ed all’assenza di supporto dai familiari che
risiedevano lontano.
In realtà, pare indiscutibile che la coppia ### abbia tenuto condotte che
hanno posto seriamente a rischio la salute del bambino, con rischio di
pregiudicare in maniera grave funzioni essenziali della persona quali la
deambulazione e la parola e di ostacolare una sua corretta crescita (si pensi
all’adozione di un regime alimentare povero e ripetitivo, costituito solo da latte
e biscotti). Il mancato raggiungimento degli obiettivi di crescita attesi in
ragione dell’età è di per sé indice di grave negligenza e trascuratezza da parte
dei genitori del minore. Nessun dubbio, quindi, sulla sussistenza di una pre-
condizione di abbandono utile a giustificare il provvedimento di rescissione del
legame familiare.
La relazione dell’### 1 del 13.7.2022 di valutazione delle competenze
genitoriali evidenziava per entrambi i genitori “la presenza di indicatori di grave
inadeguatezza genitoriale legati ad aspetti di carenza nella critica e di giudizio;
criticità nella funzione protettiva con scarsa capacità di riflettere sulle
ripercussioni delle proprie azioni rispetto al figlio (…) tendenza a considerare
normali scelte come quella di portare il bambino in macchina senza il
seggiolino (…), mancanza di una piena coscienza delle problematiche e dei
bisogni del figlio (…)”.
Va aggiunto che la madre è affetta da disturbo ossessivo compulsivo ed il
padre da abuso di alcolici, da ritenersi nient’affatto sporadico (vedasi il
certificato del casellario, da cui risultano precedenti per guida in stato di
ebbrezza sia nel 2008/9 che nel 2019). Orbene, dagli atti risulta che i percorsi
suggeriti dal ### per il recupero delle funzioni genitoriali non hanno avuto
buon esito. Invero il sig. ### dopo che era stata accertata positività all’alcool
a novembre e dicembre 2022, non si è più presentato per i dovuti controlli né
presso il ### né presso il ### interrompendo ogni contatto con i servizi
territorialmente competenti.
Emerge dunque dagli atti, come dato concreto ed attuale che non ha trovato
adeguata smentita neppure del corso del presente procedimento (anzi, il legale
del padre ha riferito all’ultima udienza di non avere più notizie del signor ###,
che i genitori del minore ### non hanno compiuto alcuna evoluzione positiva
e risultano tuttora gravemente inadeguati a prendersi cura di prole minore,
tanto è vero che anche per ### il ### di ### ha aperto un procedimento a
tutela e li ha sospesi dalla responsabilità genitoriale; né risultano sopravvenuti
elementi tali da indurre ad una diversa valutazione rispetto a quanto accertato
dal servizio specialistico nel 2022. ### per i ### ha formulato un giudizio
negativo sulla capacità di recupero delle competenze genitoriali sulla base di
una serie di elementi comportamentali emersi da una completa istruttoria e
all’esito di un iter giudiziario nel corso del quale sono stati posti in essere tutti i
possibili interventi di sostegno, protrattisi a lungo e proseguiti anche dopo il
trasferimento della coppia in ### (come richiamati a pag. 3-4 della sentenza
impugnata alla quale si fa integrale rinvio e risultanti dalle plurime relazioni dei
### in atti).
Nel caso in esame è stata correttamente valutata dal giudice di prime cure la
circostanza che gli appellanti non hanno dato prova di adesione a percorsi di
recupero dalle dipendenze (quanto a ### che ha interrotto ogni contatto con il
### e che in ogni caso non ha dimostrato di aver superato le problematiche di
abuso di alcool); la ### ha affermato, senza offrirne adeguata prova, di
seguire una terapia farmacologica e di essere seguita dal CSM di ### ma ciò
non risulta certo sufficiente in quanto le sue carenze genitoriali non sono legate
solo alla patologia psichiatrica da cui ella è affetta (disturbo ossessivo
compulsivo) ma trovano radice in una più ampia e grave inadeguatezza, legata
anche – come evidenziato dalla valutazione delle competenze genitoriali in atti)
– alla carenza di funzioni metacognitive ed alla scarsa capacità di mettersi in
discussione, tendendo ad attribuire all’esterno le responsabilità. La relazione
dell’### 1 concludeva “### anche difficile, viste le caratteristiche di
personalità e di funzionamento della coppia, prevedere un lavoro di supporto
specialistico rivolto all’implementazione della resilienza e all’acquisizione di
capacità genitoriali che non preveda un supporto assistenzialistico nelle 24
ore”. ### della signora ### è tutt’altro che transeunte, ove si consideri che
anche il suo primo figlio, attualmente di anni dieci, è stato sempre cresciuto dai
nonni materni e che la stessa ### è in regime di affido ai nonni, i quali, stante
anche l’età avanzata, manifestano difficoltà ad occuparsi dei due minori, tanto
che il tribunale di ### sta valutando di disporre il collocamento del bambino
più grande presso il padre biologico. Dal canto suo anche il signor ### risulta
aver gravemente sottovalutato i bisogni del figlio, senza mostrare di aver
svolto alcun percorso critico e consapevole in ordine alle cause che hanno
condotto all’allontanamento del minore dalla famiglia di origine.
Altro dato che emerge dalle relazioni è che l’interesse per le sorti di ### da
parte dei genitori e dei nonni è stato pressoché assente. In particolare, dal
2023 in poi, essi non hanno chiesto più alcuna informazione sul bambino,
allontanandosi volontariamente dall’### per dare alla luce la secondogenita
### Anche in tale circostanza , dunque, essi hanno anteposto le loro necessità
rispetto alle esigenze del minore ### Venendo poi alla questione della
presenza di parenti entro il quarto grado idonei a svolgere funzioni genitoriali
vicariali, deve evidenziarsi che dopo che per ### a seguito di segnalazione del
### dell’### è stato aperto un procedimento a tutela, ne è stato disposto
l’affido al servizio sociale di ###, competente per territorio in base alla nuova
residenza della signora ### Dalle relazioni del suddetto servizio è emerso che
la minore è collocata presso i nonni materni, che però accusano una certa
difficoltà, data l’età avanzata e la necessità di occuparsi dell’altro nipotino ###
da sempre collocato presso i nonni.
Il nucleo familiare della madre pare quindi oggettivamente impossibilitato a
prendersi cura di ### e nemmeno ne ha fatto richiesta.
Quanto poi alla disponibilità asseritamente manifestata dalla madre di ### a
prendersi cura del minore ### (adducendo che in primo grado si sarebbe
verificato un vizio procedurale, in quanto la signora aveva fatto richiesta di
essere sentita e ciò non è avvenuto, senza adeguata motivazione) è vero che
non vi è stata una formale pronuncia da parte del giudice di prime cure su tale
richiesta (che viene reiterata in questa sede), ma la richiesta audizione
sarebbe meramente esplorativa, dal momento che la pur formalizzata
manifestazione di disponibilità della signora a rendersi collocataria del minore
non sarebbe sufficiente ad accoglierne la richiesta.
Invero, la signora ### mai risulta aver preso contatti con i servizi sociali o con
il tutore per avere notizie del bambino fin da quando è stato collocato in casa
famiglia, mai ha chiesto di incontrarlo, mai ha mostrato forme di
interessamento per lui, quali ad esempio l’invio di beni materiali come vestiti o
giocattoli. Dagli atti risulta che la signora ### vive in un Comune diverso
rispetto alla famiglia ### e non risultano esservi stati rapporti significativi tra
nonna paterna e minore neppure nel limitato periodo in cui ### ha vissuto in
### cioè dalla nascita fino al 2021. Nelle relazioni non si dà conto di alcun
legame affettivo della signora ### con ### e, per inciso, neppure con ###
tanto è vero che ella viene menzionata di rado nelle relazioni dei servizi di
### e mai è stata svolta un’indagine sociale sulle sue condizioni di vita.
La nonna paterna sarebbe a tutti gli effetti per ### un’illustre sconosciuta con
cui non ha sviluppato alcuna relazione di attaccamento, tanto che sarebbe
lesivo dei suoi interessi sradicarlo dal contesto in cui vive attualmente;
oltretutto dalle relazioni dei servizi la ### parrebbe convivere con il figlio ###
padre del minore che ha posto in essere le condotte pregiudizievoli per il suo
sviluppo di cui si è dato conto in precedenza, ulteriore ragione ostativa al
collocamento del minore presso la nonna.
Dai documenti acquisiti risulta che il minore, da giugno 2022 è stato inserito
presso una famiglia affidataria nella quale si è ben adattato e che e si è da
subito posta in ascolto dei suoi bisogni, adoperandosi con dedizione
ammirevole affinchè il bambino potesse apprendere tutte le abilità confacenti
alla sua età e superare i deficit che ne avevano caratterizzato la primissima
infanzia. I genitori affidatari infatti si sono lodevolmente prodigati per una sana
ed equilibrata crescita del bambino, seguendo tutti i suggerimenti degli
specialisti, garantendogli ogni tipo di supporto possibile (inserimento in un nido
privato, logopedia, terapia di psicomotricità, danza movimento terapia, attività
Giurisprudenza di merito Ondif
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sportiva) utile al suo sviluppo psicofisico e soprattutto, come emerge dalle
relazioni allegate alla comparsa di costituzione, offrendogli attenzioni costanti,
premure ed affetto.
Al momento dunque (vedasi in particolare la relazione dei servizi sociali del
7.6.2024) il minore vive una situazione di evidente benessere psico-fisico, con
un adeguato livello di protezione e affetto, pienamente inserito nel contesto
familiare anche allargato, risultando del tutto pregiudizievole per il suo
interesse – come rimarcato dai ### sociali e dal tutore qualsiasi cambiamento,
ancor più l’eventuale ripresa di una relazione con le figure genitoriali o con i
rami parentali materno e paterno, rispetto ai quale il minore non ha maturato
alcun attaccamento.
Da tanto consegue la conferma della decisione impugnata in ordine alla
dichiarazione di adottabilità del minore.
La natura della lite e degli interessi coinvolti giustifica la compensazione delle
spese di lite.
P.Q.M.
Respinta ogni diversa domanda, istanza ed eccezione, così decide: -rigetta i
reclami e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata; -compensa le spese
di lite tra le parti.

Una stabile convivenza ultratriennale dei coniugi non preclude di per sé la delibazione della sentenza ecclesiastica di annullamento per vizi genetici del matrimonio-atto.

Cass. Civ., Sez. I, Ordinanza del 28 gennaio 2025, n. 1999, Cons.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6829/2024 R.G. proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in R (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato
MARZO GIANCARLO (-) rappresentato e difeso dall’avvocato MARCIANO
FABRIZIO (Omissis)
-ricorrente-
Contro
B.B., elettivamente domiciliato in R (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato
INCHINGOLO GIANNI (Omissis) rappresentato e difeso dall’avvocato
AMBROSIO MARIA (Omissis)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 47/2024 depo-sitata il
09/01/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/01/2025 dal
Consigliere FILIPPO D’AQUINO.
Svolgimento del processo
1. A.A. ha proposto ricorso davanti alla Corte di Appello di Napoli, chiedendo
dichiararsi l’efficacia della sentenza rotale del 25 novembre 2020 del Tribunale
Ecclesiastico Interdiocesano Partenopeo, divenuta definitiva, con cui era stata
dichiarata la nullità del matrimonio contratto con B.B. in data 29 dicembre
1997, per difetto di discrezione di giudizio di entrambi i coniugi e per incapacità
del ricorrente ad assumere gli obblighi coniugali.
2. La Corte di Appello di Napoli, con la sentenza qui impugnata, ha rigettato il
ricorso del ricorrente, ritenendo la sentenza contraria all’ordine pubblico in
conformità ai principi di Cass., Sez. U., n. 16379/2014 , per il fatto che
l’instaurazione della convivenza e il per-durare della stessa per oltre un triennio
non consente il venir meno del matrimonio, inteso come rapporto, quand’anche
esistessero vizi genetici dell’atto di matrimonio.
3. Propone ricorso per cassazione il A.A., affidato a due motivi, cui resiste con
controricorso la B.B.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 , primo comma, n. 3,
cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 cod. proc.
civ., nonché degli artt. 797 , primo comma, n. 7 cod. proc. civ., anche alla luce
dei principi indicati da Cass., n. 149/2023 , in relazione alla convivenza
ultratriennale, in assenza di allegazione di fatti idonei a integrare il contrasto
della sentenza rotale con i principi di ordine pubblico.
2. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 , primo comma, n.
4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 8 lett. b) del
Protocollo addizionale all’Accordo di modifica del Concordato Lateranense
stipulato in data 18.02.84 tra Stato Italiano e Santa Sede, ratificato con L. n.
121/1985 , nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., nonché ancora degli
artt. 132 , secondo comma, n. 4, e 118 disp. att. cod. proc. civ.
3. Osserva il ricorrente – a sostegno dei due motivi di impugnazione – che la
convivenza non può operare in termini ostativi al riconoscimento di vizi genetici
dell’atto di matrimonio, ove il vizio genetico sia riconosciuto dall’ordinamento
interno e, in particolare, riguardi vizi del consenso analoghi a quelli previsti
dall’ordinamento italiano. Osserva, inoltre, il ricorrente che il giudice interno
non può riesaminare il merito della sentenza del Tribunale ecclesiastico.
4. Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, non
essendo oggetto del ricorso la rivalutazione del giudizio in fatto articolato dal
giudice del merito, né incentrandosi il ricorso su una rivalutazione della
motivazione del giudice del merito. Non meritano accoglimento neanche le
ulteriori eccezioni di inammissibi-lità per difetto di specificità, essendo il ricorso
sufficientemente an-corato ai fatti, agli atti e ai documenti di causa, né
trattandosi di censure nuove, essendo le stesse pertinenti alla originaria causa
petendi.
5. I due motivi, i quali possono essere esaminati congiunta-mente, sono
fondati. Secondo la tradizionale giurisprudenza di questa Corte (Cass., n.
27236/2008 ), l’ordine pubblico non osta al riconoscimento in Italia della
sentenza rotale che abbia dichiarato nullo il “matrimonio-atto” concordatario
nel caso previsto dal can. 1095, n. 2, ob gravem defectum discretionis iudicii
(per mancanza grave della discrezione di giudizio: Cass., n. 27236/2008 ). Con
il menzionato arresto, questa Corte ha ritenuto che “non ogni incompatibilità
con l’ordine pubblico italiano rileva a impedire l’efficacia di esse nel nostro
ordinamento, dovendo il giudice della delibazione tenere conto della specificità
dell’ordinamento canonico”, risultando ostative al riconoscimento le sole
“incompatibilità assolute con l’ordine pubblico italiano”, non anche quelle
relative “in ragione del favore particolare al loro riconoscimento che lo Stato
italiano s’è imposto con il protocollo addizionale del 18 febbraio 1984
modificativo del concordato” (Cass., n. 27236/2008 ; Cass. Sez. U., n.
19809/08 ). Solo in caso di non assimilabilità delle cause di annullamento a
quelle interne l’ordine pubblico preclude il riconoscimento delle sentenze
ecclesiastiche (Cass. Sez. U., n. 19809/08 , cit.), mentre nei casi in cui la
fattispecie di diritto canonico sia assimilabile a quelle dell’ordi-namento interno
e sia “ancorata a fatti oggettivi analoghi” (Cass., n. 27236/2008 ),
l’incompatibilità è relativa e non ne preclude il rico-noscimento
nell’ordinamento italiano.
6. Sotto questo specifico profilo, questa Corte ha ritenuto che l’ordinamento
interno, nella parte in cui prevede l’incapacità, anche di intendere e di volere,
dei nubendi (artt. 117 , 119 , 120 cod. civ.) “non differisce in linea di massima
da quella dell’ordinamento canonico” (Cass., n. 27238/2008 , cit.); ragione per
la quale, al riconoscimento in Italia della sentenza dichiarativa di nullità del
matrimonio per difetto di discrezione di giudizio non è ostativo l’ordine
pubblico, senza – peraltro – che osti la tutela dell’incapace nel caso in cui la
domanda fosse proposta dal soggetto non affetto da incapacità, come avviene
in caso di annullamento del matrimonio per errore sulle qualità essenziali
dell’altro coniuge ex art. 122 cod. civ., derivante da malattia fisica o psichica
(Cass., n. 27238/2008 ).
7. Questo principio, riaffermato successivamente (Cass., n. 19808/2009 ;
Cass., n. 9844/2012 ), è stato rimeditato dalla successiva giurisprudenza di
questa Corte che, evidenziando la rilevanza del matrimonio-rapporto, in
relazione agli obblighi solidaristici che derivano dalla convivenza (fatti propri
dalla giurisprudenza costituzionale e dal diritto dell’Unione) e alla efficacia
sanante della convivenza sui vizi del matrimonio-atto, come risultante dai casi
di decadenza della proposizione delle varie azioni di annullamento (artt. 119 –
123 cod. civ.), ha ritenuto che la convivenza come coniugi, quale elemento
essenziale del matrimonio-rapporto, ove pro-trattasi per almeno tre anni dalla
celebrazione del matrimonio concordatario, integra una situazione giuridica di
ordine pubblico italiano, tale da impedire la dichiarazione di efficacia della
sentenza di nullità pronunciata dal Tribunale ecclesiastico per qualsiasi vizio
genetico del matrimonio-atto (Cass., Sez. U., nn. 16379-16380/2014; Cass., n.
1494/2015 ; Cass., n. 1622/2015 ; Cass., n. 1788/2015 ; Cass., n. 3877/2015
). Pertanto, una volta integrata la convivenza ultratriennale, divengono
irrilevanti nell’ordinamento interno i vizi genetici del matrimonio canonico
“nonostante la sussistenza dell’e-lemento essenziale della convivenza
coniugale” (Cass., Sez. U., n. 16379/2014 , cit.).
8. La giurisprudenza più recente ha, tuttavia, dato una interpre-tazione
restrittiva di questo principio. È stata negata applicazione del principio, ad
esempio, nel caso in cui la sentenza ecclesiastica abbia dichiarato la nullità del
matrimonio per errore essenziale sulle qualità personali dell’altro coniuge
dovuto a dolo di questo, anche in caso di convivenza ultratriennale dei coniugi.
Questo caso di annul-lamento del matrimonio-atto è, difatti, previsto anche
nell’ordina-mento italiano e non è sanabile dalla protrazione della convivenza
prima della scoperta del vizio (Cass., n. 17910/2022 ).
9. Più in generale, non tutte le sentenze ecclesiastiche di annul-lamento per
vizi genetici del matrimonio-atto sono precluse dalla protrazione di una
convivenza ultratriennale stabile dei coniugi, ma solo quelle che non hanno
rilevanza per l’ordinamento interno, risul-tando viceversa delibabili le sentenze
di annullamento per vizi genetici “che rilevano come tali anche per il codice
civile italiano” (Cass., n. 17910/2022 , cit.).
10. Nel qual caso, non è la convivenza ultratriennale in sé a costituire un limite
di ordine pubblico alla delibazione in Italia di sentenze di annullamento per vizi
di capacità, integrato dalla mera deficienza caratteriale o immaturità del
coniuge, ma solo quei vizi che originino da un deficit psichico, ossia da uno
stato patologico idoneo a incidere sulla capacità di intendere e volere del
soggetto e sul cor-retto formarsi della sua volontà cosciente, la cui valutazione
è ri-messa al giudice del merito, il quale è onerato di verificare se i vizi, come
riscontrati dalla sentenza del Tribunale ecclesiastico, si inquadrino in una delle
cause di nullità del matrimonio riconosciute dall’ordinamento italiano (Cass., n.
28307/2023 ; Cass., n. 149/2023 ), come nel caso di incapacità di intendere e
di volere (art. 120 cod. civ.). È, pertanto, compito del giudice del merito
verificare se la causa di nullità del matrimonio ecclesiastico sia da qualificarsi
come incapacità di valutare ex ante la rilevanza del vincolo matrimoniale,
analogo a un deficit psichico, ovvero a uno stato patologico idoneo a incidere
sulla capacità di intendere e volere del soggetto e sul cor-retto formarsi della
sua volontà cosciente, ovvero se costituisca una mera deficienza caratteriale o
mera immaturità del coniuge, causa di nullità, quest’ultima, che incontra il
limite dell’ordine pubblico in caso di convivenza ultratriennale (Cass., n.
28307/2023 ).
11. La sentenza di appello si è limitata a statuire l’incompatibilità con l’ordine
pubblico della sentenza ecclesiastica per la mera protra-zione della convivenza
ultratriennale, senza verificare se la causa di nullità del matrimonio-atto trovi
riscontro in analoghe cause di nullità dell’ordinamento interno, come nel caso
di un deficit psichico idoneo a comportare una incapacità di intendere e di
volere, tale da com-portare l’incapacità patologica di comprendere il senso del
matrimonio, causa di nullità alla quale non osta la convivenza ultra-triennale,
ovvero se il matrimonio sia stato annullato per mera im-maturità del coniuge,
la cui pronuncia in sede ecclesiastica non può essere riconosciuta
nell’ordinamento interno in caso di protrazione della convivenza ultratriennale.
12. Il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza cassata con rinvio alla Corte di
Appello di Napoli, perché valuti se la causa di nullità del matrimonio
concordatario di cui alla sentenza oggetto di delibazione si inquadri in una delle
cause di nullità riconosciute dall’ordinamento italiano secondo i principi
enunciati. Al giudice del rinvio è rimessa la regolazione delle spese del giudizio
di legittimità.
Va disposto l’oscuramento delle generalità e dei dati identificativi degli
interessati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte
di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la regolazione e la
liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Va disposto l’oscuramento delle generalità e dei dati identificativi degli
interessati.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2025.
Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2025.

Divieto di compensazione dei crediti alimentari

Tribunale Avellino, Sez. II, sentenza 2 maggio 2024 n. 881
Il Tribunale di Avellino, II sezione civile, nella persona del giudice monocratico Dott. Sossio
Pellecchia, viste le conclusioni così come precisate in atti e lette le note di trattazione scritta che
tengono luogo della discussione orale della causa, ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c., pronunzia la
presente
SENTENZA
nella causa iscritta al n. …/2020 R.G. A.C.C., avente ad oggetto “Opposizione a precetto (art. 615, 1′
comma c.p.c.)” e vertente
TRA
Attore 1 , nata a L. 1 il D. 1 (C.F. C.F. 1 ), rappresentata e difesa dagli Avv.ti…, in virtù di procura in
atti,
OPPONENTE
CONTRO
Convenuto 1 , nato ad L. 2 il D. 2 , (C.F. C.F. 2 );
OPPOSTO CONTUMACE
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto di citazione notificato una prima volta in data 24.02.2020 ed una seconda volta, a seguito di
ordine giudiziale di rinnovazione, in data 30.6.2020, Attore 1 ha proposto opposizione ex art. 615,
comma primo, c.p.c., avverso l’atto di precetto notificatole da Convenuto 1 per il pagamento della
somma complessiva di Euro 5.280,52 in virtù della sentenza n. …/2019 emessa dal Tribunale di
Avellino in data 22.10.2019 (dep. in pari data) con la quale Attore 1 è stata condannata al pagamento
della somma di Euro 5.058,20 nei confronti di Convenuto 1 a titolo di rimborso della metà della
somma prelevata dalla Pt 1 dal conto cointestato con … Attore 2
Attore 1 ha eccepito come unico motivo di opposizione la compensazione tra il credito del
Convenuto 1 il credito da lei vantato a titolo di mantenimento suo e della prole, disposto nella misura
di Euro 350,00 con ordinanza presidenziale del Tribunale di Avellino n. cronol. ../2017 e, in seguito,
con sentenza di separazione n. …/2019 di questo Tribunale del 10.12.2019 (dep. in data 17.12.2019).
In particolare, Attore 1 ha notificato ad Convenuto 1 at- to di precetto in data 17.07.2018 per una
somma complessiva di Euro 5.541,82, essendosi Convenuto 1 reso inadempiente rispetto all’obbligo
di mantenimento a suo carico.
L’opposto, pur se ritualmente e tempestivamente evocato in giudizio, non si è costituito.
Alla prima udienza svoltasi in data 25.11.2020, il giudice ha disposto la sospensione dell’esecuzione
e concesso i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c., con rinvio all’udienza dell’11.03.2021, all’esito della
quale il giudice ha accolto le istanze istruttorie.
All’udienza del 02.03.2022, la causa, una volta istruita, è stata rinviata all’udienza del 04.04.2024,
all’esito della quale il nuovo giudice istruttore, ritenuta la causa matura per la decisione, ha rinviato
per la precisazione delle conclusioni e la decisione ex art. 281 sexies c.p.c. all’udienza del 2.05.2024.
L’opposizione fondata e va accolta.
La compensazione è un modo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento, di carattere
satisfattivo, atteso che va a soddisfare un interesse succedaneo del creditore, rappresentato
dall’interesse del creditore di estinguere un suo debito a fronte del credito vantato verso il medesimo
soggetto che è, al contempo, suo creditore e debitore.
L’ordinamento consente così a due soggetti obbligati, l’uno obbligato verso l’altro, di estinguere le
reciproche obbligazioni per l’ammontare corrispondente.
La compensazione può essere legale laddove ha ad oggetto crediti certi, liquidi ed esigibili,
giudiziale quando il credito opposto in compensazione non è liquido ma è di pronta e facile
liquidazione e, infine, volontaria, nel caso in cui la compensazione opera per volontà delle parti, al
di fuori dei requisiti stabiliti dalla legge.
Nel caso in esame, l’opponente eccepisce la compensazione legale, essendo i crediti vantati dalle
parti in causa giudizialmente accertati nell’an e nel quantum, rispettivamente con la sentenza n.
…/2019 del 22.10.2019 il credito dell’opposto e con la successiva sentenza n. …/2019 del 17.12.2019 il
controcredito dell’opponente, da lei opposto in compensazione.
Tuttavia, la compensazione può operare per quella parte di credito spettante all’opponente a titolo
di mantenimento della stessa riconosciuto nella misura di Euro 200,00, dovendo escludersi invece la
compensazione della restante parte di credito di Euro 150,00, riferita al mantenimento della prole.
Nello specifico, l’assegno di mantenimento al coniuge separato non è qualificabile quale credito
alimentare, anche se ha la funzione di provvedere agli alimenti in favore del coniuge che si trovi
incolpevolmente “in stato di bisogno e nell’impossibilità di svolgere attività lavorati- va”, e, pertanto,
è opponibile in compensazione (Cass., Sez. 3, Sent. n. 9686 del 26.05.2020: “Con l’opposizione ex art.
615 c.p.c. il debitore esecutato può opporre in compensazione al creditore procedente un
controcredito certo (cioè, definitivamente verificato giudizialmente o incontestato) oppure un
credito illiquido di importo certamente superiore (la cui entità possa essere accertata, senza dilazioni
nella procedura esecutiva, nel merito del giudizio di opposizione) anche nell’ipotesi di
espropriazione forzata promossa per il credito inerente al mantenimento del coniuge separato, non
trovando applicazione, in difetto di un “credito alimentare”, l’art. 447, comma 2, c.c.”).
Diverso è il caso dell’assegno corrisposto per il mantenimento dei figli in virtù del suo carattere
alimentare: Cass., Sez. 6, O.R.D. n. 23569 del 18 novembre 2016: “Il carattere sostanzialmente
alimentare dell’assegno di mantenimento a beneficio dei figli, in regime di separazione, comporta la
non operatività della compensazione del suo importo con altri crediti.
(Nella specie, la S.C., confermando l’ordinanza di merito, ha ritenuto l’inadempimento del coniuge
onerato, che aveva operato una illegittima compensazione tra quanto dovuto a titolo di assegno in
favore dei figli e il proprio credito per rate di mutuo”; Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 11689 del
14.05.2018: “Il carattere sostanzialmente alimentare dell’assegno di mantenimento a beneficio dei
figli, in regime di separazione, comporta la non operatività della compensazione del suo importo
con altri crediti” (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la
compensazione tra credito per spese di lite e credito derivante dal mancato pagamento di ratei
dell’assegno di mantenimento cumulativamente dovuto per l’ex moglie e le figlie).
Pertanto, la compensazione può operare unicamente per la somma di Euro 200,00 al mese
riconosciuta a titolo di mantenimento dell’opponente.
Tuttavia, essendo il danaro un bene fungibile ed essendo il credito per il mantenimento della Pt 1
stabilito con la sentenza n. 2370/2019 e qui opposto in compensazione fissato nella misura di Euro
200,00 al mese, può senz’altro valorizzarsi, anche per ragioni di economia processuale, la sua volontà
di opporlo in compensazione per Euro 5.541,82. Dunque, essendo stato il mantenimento riconosciuto
alla Pt 1 con decorrenza da maggio 2017, nel corso del presente giudizio può ritenersi sicuramente
accertato un controcredito dell’opponente pari ad almeno Euro 11.200,00, per 56 mensilità fino al
dicembre 2021.
Difatti, all’udienza del 15.12.2021 i testi Testimone 1 e Testimone 2 hanno concordemente dichiarato
che l’opposto non ha versato l’assegno di mantenimento all’opponente ininterrottamente dal maggio
2017 fino alla data della loro deposizione.
Essendo, quindi, il controcredito opposto in compensazione per Euro 5.541,82 maggiore del credito
per il quale l’opposto ha minacciato l’esecuzione, il precetto va annullato e va dichiarato che
l’opposto non ha diritto a procedere esecutivamente in danno dell’opponente per il credito indicato
nel precetto medesimo.
Le spese di lite seguono la soccombenza dell’opposto e si liquidano e si distraggono come in
dispositivo (III scaglione di valore, decisione senza deposito di comparse conclusionali e memorie
di replica, valori tra i minimi ed i medi).
P.Q.M.
Il Tribunale di Avellino, definitivamente pronunziando, disattesa ogni diversa istanza, deduzione
ed eccezione, così provvede: 1. accoglie l’opposizione e, per l’effetto, annulla il precetto opposto e
dichiara che l’opposto non ha diritto di agire esecutivamente in danno dell’opponente per il credito
indicato nello stesso, che si è estinto per compensazione; 2. condanna l’opposto a pagare
all’opponente le spese di lite, liquidate in Euro 125,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per compensi
professionali, oltre iva, cpa, se dovute, come per legge, e rimborso delle spese forfettarie nella misura
del 15% dei compensi, con distrazione in favore degli avv.ti …
Conclusione
Così deciso in Avellino, il 2 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2024.

Separazione consensuale: l’atto di trasferimento della proprietà della casa coniugale non costituisce convenzione matrimoniale.

Cass. civ., Sez. III, Ord., 17/12/2024, n. 32975
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TATANGELO Augusto – Presidente
Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere
Dott. GUIZZI Giaime Stefano – Consigliere
Dott. GORGONI Marilena – Relatore
Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6831/2021 R.G. proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in R V.LE (Omissis), presso lo studio
dell’avvocato SABRINA MAGRINI (Omissis), rappresentato e difeso
dall’avvocato MAURO MENGUCCI (Omissis);
– ricorrente –
contro
B.B., rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA GIUNTA (Omissis), pec:
(Omissis);
avverso la sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 752/2020, depositata in
data 21/07/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dal
Consigliere MARILENA GORGONI.
Svolgimento del processo
1. Con decreto n. 155/2003 veniva ingiunto a A.A. il pagamento a favore della
Banca delle Marche Spa di Euro 76.183,84.
2. In forza di detto titolo l’ingiungente in data 13/03/2003 iscriveva ipoteca
giudiziale per l’importo di Euro 68.000,00 relativamente alla quota di 3/10
dell’appartamento di proprietà dell’ingiunto sito in Pesaro.
3. I 3/10 dell’immobile suddetto erano stati trasferiti da A.A. a B.B. in sede di
separazione consensuale, omologata in data 13/01/2003 e annotata a margine
dell’atto di matrimonio in data 23/01/2023.
4. Successivamente, in data 22/09/2009, la banca notificava a B.B. atto di
pignoramento immobiliare relativo all’immobile suddetto.
5. B.B., conclusa con la banca una transazione, otteneva il decreto n 192/2011
con cui veniva ingiunto a A.A. il pagamento a suo favore di Euro 57.000,00
corrisposti alla banca in forza della transazione, facendo leva sulla scrittura
privata dell’8/04/2005 con cui A.A. si obbligava a garantire e a manlevare B.B.
“da ogni eventuale somma che la stessa fosse stata costretta a pagare a causa
della suddetta ipoteca giudiziale”.
6. Il Tribunale di Pesaro, con sentenza n. 44/2015, rigettava l’opposizione al
decreto ingiuntivo n. 192/2011 proposta da A.A.
7. La Corte d’Appello di Ancona, con la sentenza n. 752/2020, resa pubblica in
data 21/07/2020, ha rigettato l’impugnazione proposta da A.A. ed ha
confermato la pronuncia di primo grado.
8. Per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte territoriale ha ritenuto che:
– essendo stato l’atto traslativo contenuto nel ricorso per separazione
consensuale trascritto in data 14/05/2003 (quindi, dopo l’iscrizione dell’ipoteca
giudiziale ai danni di A.A., risalente al 12/03/2003), qualsiasi azione legale
esercitata da B.B. nei confronti di detta iscrizione ipotecaria si sarebbe rivelata
“disperata e temeraria”;
con la scrittura dell’8/04/2005, dopo aver premesso che la banca aveva iscritto
ipoteca prima che l’atto di assegnazione fosse trascritto, le parti avevano
concordato che A.A. si sarebbe impegnato a far cancellare l’ipoteca giudiziale
quanto prima e che comunque avrebbe manlevato B.B. di ogni somma da
questa pagata eventualmente alla banca in forza di detta ipoteca;
– perdurando l’inadempimento di A.A., la banca nel 2009 aveva iniziato la
procedura esecutiva sull’immobile, costringendo B.B. ad accordarsi per salvare
la casa, stipulando addirittura un mutuo per coprire il debito di A.A., ottenere
la liberazione dall’ipoteca e fermare la procedura esecutiva;
– i diritti di A.A. nei confronti della banca non risultavano minimamente
compromessi dal comportamento di B.B.
8. A.A. ricorre ora per la cassazione della sentenza n. 752/2020 della Corte di
merito, formulando due motivi.
9. B.B. resiste con controricorso.
10. È stata disposta la trattazione in Camera di Consiglio, in applicazione degli
artt. 375 e 380 – bis 1 cod. proc. civ.
11. Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta
giorni dalla data della camera di consiglio.
Motivi della decisione
12. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione
di norme di diritto e segnatamente degli artt. 162 e 163 c.c. in correlazione
con l’art. 2644 c.c. (art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c.)”.
Il ricorrente sostiene che, essendo l’iscrizione dell’ipoteca illegittima, perché
successiva all’annotazione ex art. 162 cod. civ. della convenzione con cui
aveva trasferito a B.B. l’immobile per cui è causa, quest’ultima avrebbe dovuto
non già raggiungere una convenzione con la banca, ma difendersi in giudizio,
opponendo alla banca di essere proprietaria dei 3/10 della proprietà
dell’appartamento, e solo là dove fosse risultata soccombente nei giudizi di
opposizione a precetto o, comunque, di opposizione ex art. 619 cod. proc. civ.
nei confronti della banca, avrebbe potuto far valere l’obbligo di garanzia e di
manleva assunto con la scrittura privata dell’aprile 2005.
Il motivo è complessivamente infondato.
In primo luogo, va considerato che a pag. 3 della sentenza si legge che la corte
d’appello ha ritenuto il profilo relativo all’opponibilità dell’atto attributivo “in
parte superato dall’accordo del 8.04.2005” e che detta statuizione non è stata
attinta dalle censure del ricorrente.
Inoltre, l’assunto da cui muove il ricorrente, cioè che l’atto di trasferimento
inserito nell’accordo di separazione fosse una convenzione matrimoniale, come
tale soggetta alle peculiari forme di pubblicità per essa previste (annotazione a
margine dell’atto di matrimonio, ex art. 162 , 4 comma, cod. civ., e trascrizione
ex art. 2647 cod. civ.), introduce una questione nuova e, come tale, non
esaminabile, anche per l’impossibilità di svolgere in sede di giudizio di
legittimità gli accertamenti di fatto necessari (cfr. Cass. 1/07/2024, n. 1818)
L’assunto è, comunque, anche infondato in diritto, essendo la convenzione
matrimoniale uno strumento che implica la convivenza e la scelta di un regime
patrimoniale, là dove l’atto di trasferimento di un bene inserito nelle pattuizioni
con cui i coniugi regolano in sede di separazione i loro rapporti economici
configura un contratto atipico sottoposto alle regole del diritto comune (Cass.
11/05/1984, n. 2887; Cass. 12/09/1997, n. 9034 ; Cass. 24/04/2007, n. 9863
; Cass. 23/09/2013, n. 21736 ).
13. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione di norme
di diritto e segnatamente degli artt. 1175 e 1375 c.c. in correlazione con l’art.
1227 c.c. (art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c.)”.
Attinta da censura è la statuizione con cui la corte d’appello ha statuito che non
poteva pretendersi da B.B. un comportamento diverso, neppure alla luce del
superiore principio di buona fede contrattuale.
Il ricorrente ribadisce che, essendo l’esclusiva proprietaria dell’immobile, la
B.B. avrebbe dovuto quantomeno proporre opposizione di terzo ex art. 619
cod. proc. civ. piuttosto che prestare acquiescenza all’operato della Banca delle
Marche Spa, rinunciando espressamente e irrevocabilmente e “sin d’ora” a
qualsiasi azione legale nei confronti della Banca delle Marche Spa
La scelta volontaria di rinunciare a qualsiasi azione legale nei confronti della
Banca delle Marche Spa avrebbe dovuto essere ritenuta contraria alla buona
fede ed alla correttezza, avendo impedito qualsiasi difesa contro il
pignoramento immobiliare eseguito da Banca delle Marche Spa; sicché, detto
comportamento rinunciatario avrebbe dovuto essere valutato anche ai sensi
dell’art. 1227 cod. civ.
Il motivo è inammissibile.
La ragione assorbente è da individuarsi nella mancata censura della sentenza
nella parte in cui ha ritenuto comunque salvi e, quindi, non pregiudicati dal
comportamento di B.B. i diritti dell’odierno ricorrente verso la banca.
Pertanto, anche a prescindere dalla censura introdotta con il motivo qui
scrutinato – che, comunque, è inficiata a monte dal convincimento infondato
(per le ragioni già esposte) che B.B. avrebbe potuto contestare alla banca
l’inopponibilità dell’iscrizione ipotecaria giudiziale – l’impugnazione non
potrebbe raggiungere il suo scopo, quello di ottenere l’annullamento in toto di
tutte le ragioni che autonomamente hanno sorretto il capo di sentenza che ha
negato la configurabilità di un comportamento volontario e pregiudizievole di
B.B., e ciò in applicazione del consolidato principio secondo cui quando una
sentenza o un capo della stessa sia sorretta da più ragioni autonomamente
idonee a tal fine, se una di dette ragioni non formi oggetto di censura si
determina l’inammissibilità, per sopravvenuto difetto di interesse, delle censure
relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto
queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta
definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass.
26/02/2024, n. 5102 ).
14. Il ricorso va, dunque, rigettato.
15. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
16. Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto,
ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di
cui all’art. 13 , comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 .
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore
della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 5.800,00, oltre a Euro
200,00 per esborsi, nonché alle spese generali ed accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13 , comma
1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 , per il versamento al competente
ufficio di merito, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in
cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Conclusione
Così deciso il 12 novembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 17 dicembre 2024.

Responsabilità professionale dell’avvocato che instaura tardivamente l’azione di disconoscimento della paternità.

Tribunale Brescia, Sez. II, Sent., 20/01/2025, n. 256
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BRESCIA
SEZIONE SECONDA CIVILE
nella persona del Giudice dott.ssa Elena Fondrieschi ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
Nella causa civile di 1 GRADO iscritta al n. r.g. 18234/2019 promossa da:
P1 , con l’avv. Bruno Liberti
ATTORE
contro
C1 , con gli avv.ti Giovanna Aucone e Sergio Ferrari
CONVENUTO
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto di citazione notificato in data 10.12.2019, il sig. P1 conveniva in
giudizio l’avv. C1 deducendo quanto segue.
Nel mese di settembre 2009 il sig. P1 si rivolgeva all’avv. C1 al fine di
chiedergli assistenza professionale relativa alla procedura di separazione
promossa dalla ex moglie, X1 r.g. 14159/2009 e altresì per la causa di
disconoscimento della secondogenita X2 ,r.g. 18638/2010 (docc. 1 e 2).
L’avv. C1 predisponeva la comparsa di costituzione e risposta con la quale non
si opponeva alla domanda di separazione ma si opponeva alla richiesta
presentata dalla sig. X1 circa l’assegnazione della casa coniugale e di un
assegno di mantenimento (doc. 3).
In data 1.2.2009 all’udienza presidenziale veniva assegnata provvisoriamente
la casa coniugale cointestata ai coniugi alla sig.ra X1 ed inoltre, veniva posto a
carico del sig. P1 l’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie
mediante assegno mensile di 400,00 curo (doc. 4).
In data 1.12.2009 l’avv. C1 informava fattore in merito alle decisioni prese nel
corso dell’udienza camerale ma lo stesso avrebbe omesso di informarlo circa la
possibilità di impugnare il provvedimento di assegnazione mediante reclamo
alla Corte d’Appello (doc. 5).
Nel mese di gennaio 2010. il sig. P1 ha, quindi, dovuto lasciare la casa
coniugale per trasferirsi presso l’abitazione della propria madre,
corrispondendo alla stessa la somma annua di 2.400,00 euro a titolo di
indennità per vitto e alloggio (doc. 8).
Successivamente, l’avv. C1 depositava una nota integrativa autorizzata datata
22.1.2010 (doc. 6) con la quale chiedeva la revoca immediata del
provvedimento di assegnazione della casa coniugale, ma tale richiesta sarebbe
pervenuta oltre la scadenza dei termini per proporre il reclamo.
Con sentenza del 19.6.2013 il Tribunale di Brescia modificava il provvedimento
di assegnazione (doc. 7) stabilendo “quanto alla domanda di assegnazione
della casa coniugale in comproprietà, è appena il coso di evidenziare che il
provvedimento di assegnazione viene adottato solo nel caso in cui vi siano figli
minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti”.
Inoltre lamentava che l’Avv. C1 avrebbe omesso di eccepire l’incapacità a
testimoniare della sig.a X2 nel procedimento di separazione.
L’attore deduceva di aver subito un danno patrimoniale pari a 29.000,00 euro
di cui 20.600,00 euro corrisposti a titolo di vitto e alloggio alla propria madre
da gennaio 2010 a settembre 2018, data coincidente con il decesso della
stessa ed inoltre, sarebbe stato privato di un potenziale guadagno da parte
della ex moglie in relazione al godimento esclusivo della casa coniugale per un
importo complessivo non inferiore a 8.400,00 euro (metà del canone locatizio
percepibile).
Deduceva inoltre che avrebbe subito un danno non patrimoniale quantificabile
in non meno di 25.000,00 euro a causa di un trauma psicologico conseguente
al cambiamento radicale delle proprie abitudini che lo avrebbe costretto a
ricorrere all’utilizzo di ansiolitici e calmanti (doc. 9).
In data 18.1.2019, il sig. P1 avanzava richiesta di risarcimento danni all’avv.
C1 (doc. 12), il quale rispondeva mediante missiva del 31.5.2019 affermando
di aver proposto allo stesso la possibilità di presentare reclamo avverso il
provvedimento presidenziale ma che lo stesso si sarebbe rifiutato di procedere
in tal senso (doc. 13).
Deduceva altresì che l’avv. C1 avrebbe predisposto tardivamente l’atto di
citazione in merito all’azione di disconoscimento di paternità della figlia X2
(doc. 14) e che tale procedimento si sarebbe concluso con una dichiarazione di
intervenuta prescrizione dell’azione con condanna del sig. P1 alla refusione
delle spese legali nei confronti della figlia e della ex moglie per un totale
complessivo di 17.128,00 euro (spese legali, liquidate in favore della figlia in
complessivi Euro 7.100,00 oltre accessori e nei confronti della ex moglie X1 in
ulteriori Euro 6.400,00 oltre accessori) ed inoltre, tale provvedimento gli
avrebbe precluso definitivamente la possibilità di far accertare giudizialmente
l’effettiva paternità della figlia X2 e ciò gli avrebbe comportato un danno non
patrimoniale quantificabile in non meno di 20.000,00 euro.
Deduceva altresì di aver corrisposto all’avv. C1 l’importo di 7.324,00 euro a
titolo di compenso professionale e ne chiedeva la ripetizione a causa
dell’asserita condotta negligente del professionista.
Chiedeva in via principale, di accertare la responsabilità professionale dell’avv.
C1 e per l’effetto, condannarlo al risarcimento di tutti i danni subiti dall’attore,
quantificati in complessivi 98.452,80 euro o nella diversa somma che venisse
accertata in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data
del comportamento negligente al saldo effettivo.
L’avv. C1 ritualmente costituitosi in giudizio, deduceva di aver espletato
diligentemente il proprio mandato professionale in quanto l’obbligazione
dell’avvocato costituisce un’obbligazione di mezzi e non di risultato, pertanto, il
professionista avrebbe l’obbligo di mettere in atto le condizioni necessarie a
consentire al cliente la realizzazione dello scopo perseguito ma non a
conseguire il risultato.
Esponeva inoltre, di aver informato il sig. P1 circa la possibilità di esperire
reclamo avverso il provvedimento presidenziale dell’1.12.2009 ma che costui si
sarebbe rifiutato di procedere in tal senso non volendo sostenere ulteriori costi.
Deduceva altresì di aver reso edotto l’attore di essere decaduto dall’azione di
disconoscimento della paternità della figlia X2 ma che, nonostante ciò, il sig.
P1 avrebbe deciso di procedere ugualmente con la causa ed inoltre, lo stesso
non avrebbe fornito clementi atti a dimostrare che quest’ultimo avrebbe avuto
notizia degli adulteri della moglie solo in epoca recente.
Rappresentava inoltre la mancanza di prova circa il nesso causale tra il danno
lamentato dall’attore e la condotta asseritamente negligente del convenuto.
In merito al quantum domandato dall’attore, in relazione all’indennità di vitto e
alloggio asseritamente corrisposta dallo stesso alla madre, deduceva che
l’attore non avrebbe provato di essersi trasferito presso l’abitazione della
madre, né tanto meno di aver effettuato dei versamenti alla stessa a titolo di
vitto e alloggio poiché le ricevute prodotte dall’attore avrebbero solo un valore
confessorio tra il sig. P1 e la sig.ra C2
Contestava altresì il quantum domandato dall’attore in riferimento al mancato
riconoscimento dell’indennità di occupazione della casa coniugale da parte della
moglie, poiché il parametro di riferimento utilizzato dal medesimo sarebbe
inappropriato ed inoltre, il sig. P1 non avrebbe fornito dei riscontri oggettivi in
merito.
Contestava inoltre la documentazione prodotta dall’attore al fine di dimostrare
il danno biologico asseritamente subito dallo stesso poiché si tratterebbe di una
consulenza stragiudiziale non assunta in contradditorio tra le parti.
Infine, contestava la richiesta di risarcimento avanzata dall’attore in merito
all’impossibilità di accertare giudizialmente l’effettiva paternità della figlia X2
poiché non si comprenderebbe la natura del danno né i criteri impiegati
dall’attore per la quantificazione dello stesso.
L’avv. C1 a conferma della correttezza della propria condotta professionale
esponeva che dopo l’esposto presentato dal sig. P1 l’Ordine degli Avvocati di
Brescia non ha dato seguito alla vicenda ed ha archiviato il procedimento.
Chiedeva in via principale, di accertare il corretto espletamento del mandato
difensivo allo stesso conferito da parte del sig. P1 accertare che nessun danno
è stato arrecato all’attore e per l’effetto, rigettare le domande attoree.
In via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento della domanda attorea,
quantificare i danni nella sola misura che venisse accertata in corso di causa e
rigettare tutte le voci di danno che non risultassero accertate nell’an e nel
quantum.
La causa è stata istruita con l’assunzione di prova testimoniale e
successivamente, fissata a precisazione delle conclusioni, è stata trattenuta in
decisione con termini di legge per deposito di comparse conclusionali e di
replica.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
La responsabilità del prestatore di opera intellettuale, nel caso di specie
l’avvocato, per un’attività professionale negligente nei confronti del cliente
richiede la dimostrazione del danno e del nesso causale tra il comportamento
del professionista e il pregiudizio subito dal cliente (Cass. 15743/2024 ).
Quindi, anche laddove il professionista abbia commesso un errore non sussiste
un’automatica responsabilità dello stesso ovvero un automatico diritto al
risarcimento in favore del cliente essendo la responsabilità dell’avvocato
configurabile solo nel caso in cui – eseguita una valutazione prognostica – è
possibile asserire con certezza che senza l’errore il cliente avrebbe ottenuto il
risultato sperato.
Ciò premesso, nel caso di specie si osserva che la censura circa la mancata
eccezione di incapacità a testimoniare della figlia X2 non coglie nel segno
perché l’azione di disconoscimento della paternità proposta dal P1 nei confronti
della figlia X2 non comportava l’incapacità di quest’ultima a testimoniare nella
causa di separazione giudiziale dei genitori ma piuttosto una valutazione circa
la sua attendibilità. Su questo aspetto risulta che l’avvocato C1 a pagina 8 della
comparsa conclusionale della causa di separazione (cfr. all. 1) in relazione
all’udienza di ammissione dei mezzi di prova del 4 luglio 2017 ha puntualmente
rilevato che “inutile dire che la signora X2 ha espresso da tempo, per tale fatto,
ampio astio e malanimo nei confronti dell’odierno esponente e, per ciò solo, si
reputa che le sue dichiarazioni andranno più opportunamente espunte dal
Collegio a pagina 3 della memoria di replica (cfr all. n. 2), il difensore ha
ribadito che: “la stessa risposta, peraltro, si impone anche rispetto alle
condotte che le figlie hanno descritto, invero genericamente, collocandole in un
tempo assai remoto. Sulla parzialità delle deposizioni da parte delle figlie si
richiama quanto già riferito nei precedenti atti e ci si limita ad osservare che,
nell’esaminare una domanda di addebito, si reputa debba essere
particolarmente scrupoloso il vaglio di attendibilità dei testimoni, che deve
tener conto dei rapporti familiari e personali” Quindi risulta documentato che il
convenuto ha contestato l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla sig.ra X2
invitando il giudice a non tenerne conto ai fini della decisione.
Dalla lettura della sentenza emessa a conclusione del giudizio di separazione
emerge che quanto testimoniato dalla sig.ra X2 durante il giudizio di
separazione non ha influito sulla decisione della causa. Invero, nella sentenza
si legge che “benché … entrambe le figlie della coppia, sentite come testi
abbiano riferito che la madre aveva sempre subito le violenze del padre,
spesso ubriaco, tale contegno del coniuge non può ritenersi causa della
separazione in quanto anch’esso risalente nel tempo, avendo le figlie dichiarato
che gli ultimi anni di violenza cui avevano assistito risalivano all’anno 2001”.
Per quanto riguarda la doglianza relativa alla mancata opposizione avverso il
“provvedimento ingiusto di assegnazione della casa coniugale emesso dal
Presidente in difetto dei presupposti di legge ” non avendolo reclamato si rileva
quanto segue.
La casa coniugale era cointestata ai coniugi, la figlia X2 sebbene maggiorenne
ed economicamente sufficiente risiedeva nella casa familiare con la madre e
nutriva grande avversità verso il padre che aveva intentato azione di
disconoscimento nei suoi confronti, la sig.ra X1 era priva di reddito, tanto che il
sig. P1 anche con la sentenza di separazione è stato condannato a
corrispondere un mantenimento mensile pari a Euro 375,00, mentre il P1 era
titolare di redditi propri oltre che proprietario di altri immobili (alito n. 12), tra
cui era comproprietario della casa in cui dopo il provvedimento si è trasferito
con la madre, “di un altro immobile sito in X dove trascorre le sue giornate …
aveva la disponibilità esclusiva di altri appartamenti delle figlie, mentre la
sig.ra X1 dispone solamente della casa coniugale” (verbale 20.11.2011 all. 14
convenuto). Nel periodo in cui è stato emesso il provvedimento presidenziale
una parte della giurisprudenza riconosceva al giudice ampia discrezionalità
nell’assegnare la casa familiare di cui i coniugi fossero comproprietari a quello
tra i due economicamente più debole, ciò anche in mancanza di figli minorenni
o maggiorenni non economicamente indipendenti con esso conviventi, al fine di
favorire il consorte privo di redditi propri, consentendogli così di mantenere il
tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Cass. civ. n. 870/1998 e Cass.
civ. n. 2070/2000 ).
Invero le successive richieste di modifica del provvedimento presidenziale
avanzate dalla difesa del P1 il 22.1.2010 (all-6 convenuto), il 20.11.2011 ed il
19.4.2012 (in quest’ultimo caso adducendo anche un peggioramento delle
condizioni di salute del P1 , non sono state accolte dall’allora giudice istruttore
dott.ssa F..
Non si ritiene, quindi, raggiunta la prova secondo la regola “del più probabile
che non ” che in caso di reclamo la Corte di Appello di Brescia avrebbe
senz’altro riformato il provvedimento sfavorevole al P1 assegnando a lui stesso
la casa. Sul punto si rileva che la stessa sentenza n. 2411/2013 non ha
assegnato ad alcuno dei comproprietari la casa di cui erano comproprietari.
La domanda altorea di risarcimento va respinta anche per assenza di prova del
danno. Quanto alla causa di separazione, Fattore ha dedotto di aver subito
danni rappresentati dall’indennità di vitto e alloggio che avrebbe corrisposto dal
gennaio 2010 al settembre 2018 alla propria madre per complessivi Euro
20.600,00 (Euro 2.400 annui); nonché dal mancato guadagno di Euro 8.400
che avrebbe potuto ricavare se l’immobile in comproprietà con la moglie
anziché essere goduto da quest’ultima in via esclusiva dal dicembre 2009 al
giugno 2013 fosse stato dato in locazione (valore locatizio dell’immobile
stimato in 400 euro considerato alla metà per 42 mensilità durante i quali l’ex
moglie ha goduto in via esclusiva dell’immoblle in comproprietà).
Quanto alla prima richiesta non si comprende come possa essere anche
astrattamente imputabile al convenuto il periodo dal giugno 2013 al 2018
posto che il fatto che l’attore non è tornato nel possesso dell’immobile
nonostante la sentenza n. 241 1/2013 costituisce elemento estraneo alla
condotta del convenuto per la quale il P1 ha incardinato con diverso difensore
causa r.g. 17148/2015. Coglie nel segno l’argomentazione del convenuto
laddove espone che l’attore per ottenere l’eventuale ristoro delle somme
corrisposte alla madre, avrebbe dovuto dimostrare che se fosse rimasto nella
propria casa avrebbe sostenuto una spesa in misura inferiore. In altri termini la
richiesta risarcitoria dell’attore avrebbe potuto trovare ristoro solo nel caso in
cui la difesa attorea avesse provato che in caso di revoca del provvedimento di
assegnazione della casa coniugale, nel medesimo lasso di tempo preso in
considerazione, il sig. P1 per il proprio mantenimento avrebbe speso una cifra
inferiore rispetto a quella sostenuta vivendo con la madre nella casa che era
cointestata ad entrambi (i testimoni indicati dall’attore hanno riferito soltanto
che il P1 avrebbe contribuito a pagare le utenze della casa materna e
all’acquisto di generi alimentari, provvedendovi personalmente o versando
alcune somme alla di lui madre: trattasi di costi che avrebbe sostenuto
quand’anche avesse continuato ad abitare nella casa coniugale di cui era
parimenti comproprietario al 50%).
La seconda richiesta si pone in termini ipotetici in quanto non è in alcun modo
certo come gli ex coniugi avrebbero gestito il bene in comproprietà nel quale
peraltro viveva anche la secondogenita X2 , non risulta quindi altamente
probabile che avrebbero posto in locazione l’immobile traendo il guadagno
asserito dall’attore.
Quanto alle conseguenze di carattere non patrimoniale si rileva che non è stata
espressamente dedotta la sussistenza di alcun danno biologico e che risulta
oltremodo difficile stabilire nel complesso quadro relazionale quali ripercussioni
sullo stato d’animo dell’attore siano potenzialmente connesse alla sola
assegnazione della casa alla ex moglie che viveva con la secondogenita verso
la quale era stato incardinata azione di disconoscimento della paternità.
Per quanto concerne la doglianza sul deposito tardivo della domanda di
disconoscimento della paternità della secondogenita X2 si rileva quanto segue.
Il professionista ha predisposto fatto di citazione per il disconoscimento nel
mese di ottobre 2010 e lo ha notificato il 4.11.2010 (doc. 14).
Lo stesso difensore, a pagina 3 della propria comparsa di costituzione datata
28.10.2009 e depositata nella causa di separazione (doc. 3), riportava
l’intenzione del sig. P1 di procedere per la richiesta di disconoscimento della
figlia X2: “Come egli ha di recente scoperto, ella da molti anni intrattiene,
senza scrupolo alcuno, diverse relazioni extraconiugali, tali da alimentare nel
marito fondati sospetti che la secondogenita X2 in realtà non sia neppure sua
figlia; il sig. P1 intende pertanto promuovere al più presto azione per il
disconoscimento di paternità”.
In sede istruttoria, durante l’esperimento dell’interrogatorio formale, è emerso
che al legale convenuto sin dai primi colloqui (il primo avvenuto a settembre
del 2009) era stato riferito dal cliente circa forte dubbio sulla paternità di una
delle due figlie (verbale dell’8.6.2021 : “il sig. P1 era venuto da me per la
separazione ricevuta dalla moglie perché l’assistessi in quel procedimento, in
tale occasione mi aveva parlato solo della separazione in vista della
costituzione per l’udienza. Non ricordo dopo quanto tempo, ma
successivamente il sig. P1 mi raccontò di avere dei sospetti circa la paternità di
una delle sue figlie. Io suggerii di chiedere alla collega T1 che assisteva la
moglie del P1 la disponibilità ad effettuare un esame del DNA”).
In data 9.6.2010 l’avv. C1 invia una missiva all’avv. T1 – legale della sig.ra X1 –
circa la scoperta delle relazioni extraconiugali della donna, da cui
presumibilmente sarebbe stata concepita la figlia X2 (v. sub. doc. 17).
Da quanto sopra documentato, in particolare, dalla comparsa di costituzione in
giudizio nella causa di separazione, emerge inequivocabilmente che nell’ottobre
del 2009 il P1 avesse conoscenza dell’adulterio della moglie e che tale
circostanza fosse stata resa nota all’avv. C1 il quale la riportava nel proprio
atto del 28.10.2009. Ne consegue che fazione di disconoscimento è stata
tardivamente incardinata dal legale convenuto ex art. 244 c.c.
La difesa del convenuto si concentra sul fatto che il P1 sarebbe stato informato
della probabile eccezione di decadenza che l’ex moglie e la figlia avrebbero
sollevato in ordine alla data dell’effettiva scoperta dell’adulterio e che,
comunque, l’esito negativo del giudizio è dipeso dal fatto che “il cliente non è
stato in grado di fornire elementi utili a dimostrare di aver avuto notizia dei
tradimenti in epoca recente
Si impongono due ordini di considerazioni, da un lato rimane fermo il fatto che
l’avv. C1 ha dato avvio al procedimento di disconoscimento della paternità oltre
un anno dalla dichiarata (in comparsa di costituzione) scoperta e dall’altro che
comunque nella sentenza n. 1915/2013 è dato atto che l’eccezione di
decadenza è stata sollevata effettivamente dalle convenute e comunque
“avrebbe potuto essere rilevata d’ufficio ” e che “occorreva che il marito
dimostrasse non solo i tradimenti della moglie, ma soprattutto la data della
scoperta di questi da parte sua.
I capitoli di prova dell’attore, di cui va ribadita l’irrilevanza, erano tutti diretti a
dimostrare che la X1 dall’epoca della celebrazione del matrimonio, risalente al
maggio 1972, avesse intrattenuto relazioni extraconiugali.
Nessuna richiesta di prova orale è stata dedotta con riferimento alla recente
venuta a conoscenza delle condotte libertine della moglie”.
Quanto sopra dimostra che la tematica della decadenza dell’azione di
disconoscimento non è stata trattata con la dovuta diligenza dal professionista
incaricato che ha incardinato fazione certamente un anno dopo la scoperta e
nella stessa attività preparatoria e di predisposizione dell’atto non ha
adeguatamente approfondito una questione rilevabile anche d’ufficio senza
formulare capitoli di prova coerenti e senza aver dato atto di aver richiesto al
cliente puntuali spiegazioni sul punto. Appare, quindi, non pertinente che il
convenuto ora addebiti verso il P1 l’incapacità di costui di fornire elementi utili
sulla data della scoperta, quando, nemmeno dà atto di aver esaminato con
costui la questione e non ha dimostrato di aver colto l’essenzialità di formulare
adeguata prova a riguardo.
Tali elementi provano l’inadempimento del convenuto e fondano la richiesta di
risarcimento del danno quantificato in Euro 17.128,80 oltre interessi dal
18.1.2019 (data della prima richiesta risarcitoria doc. 12) ovvero l’importo
dovuto a titolo di spese legali liquidate in soccotnbenza in favore della P2 oltre
alla restituzione dei compensi per questa causa versati all’avv. C1
Su quest’ultimo punto risulta provato dai doc. 40-41 e 42 che l’attore ha
versato l’importo di euro 7.324,00 all’avv. C1 direttamente o ai suoi stretti col
laboratori. Dalle ricevute prodotte, infatti, è riportata la dicitura degli acconti
versati, cui segue la data del pagamento, ed accanto la firma dell’avv. C1 dallo
stesso riconosciuta in sede di interrogatorio formale oppure quella dei suoi
collaboratori. Costoro, avv.ti C. e P., sentiti come testimoni hanno negato di
aver ricevuto le predette somme, pur riconoscendo la paternità delle firme
siglate a fianco alle varie diciture di acconto per conto dell’avv. C1 Quanto
riferito appare inverosimile anche considerato che dalla semplice visione dei
documenti allegati sub doc. 40, 41, 42, è possibile notare come l’inchiostro sia
uniforme per ogni riga, il che fa ben intendere come sia la scritta “Acconto 00
in data…” che la sottoscrizione, siano state effettivamente eseguite con la
stessa penna. Ogni riga, infatti, è consecutiva all’altra, per cui le firme
successive risultano essere state apposte quando le precedenti risultavano già
esistenti. In assenza di prova della falsità dei documenti rileva che le
sottoscrizioni sono state effettivamente apposte dall’avv. C1 dall’avv. C. e
dall’avv. P. per conto del primo con dicitura “x M “; testi hanno confermato
l’autenticità delle loro firme nelle date di ricezione degli acconti indicati.
Dal momento che non è stata fatta espressa imputazione a quale causa si
riferisse l’importo complessivo di 7.324,00 considerato quanto liquidato nella
sentenza di disconoscimento e i valori in uso presso la terza sezione
dell’intestato Tribunale per le cause di separazione si liquida l’importo da
restituire in quanto riferibile alla causa di disconoscimento in Euro 5.500 oltre
interessi dal dovuto al saldo.
Non può invece essere riconosciuta l’ulteriore richiesta di risarcimento di danno
da perdita di chance di poter far accertare la verità biologica sulla paternità
della secondogenita X2 Invero la sentenza con cui il P1 è stato dichiarato
decaduto dall’azione di disconoscimento da atto che “dall’esame dei testi
indicati dalle convenute è emerso come da molti anni il marito accusasse la
moglie di tradimento e questo anche in presenza di terze persone (testi T2 e
T3 ; si consideri pure la denuncia querela sporta dalla X1 nei confronti del
marito nel maggio 1998 – quindi più di dieci anni prima l’indizio del presente
giudizio – sempre in relazione ad accuse di relazioni sentimentali con altri
uomini)”. Alla luce di tali considerazioni è inequivoco che data la realtà dei fatti
non si poneva alcuna occasione favorevole per un diverso accertamento e che
quindi non è stata la condotta del convenuto ad impedire all’attore di
conoscere la verità circa l’effettiva o meno paternità della secondogenita, già
all’epoca della notifica dell’atto di citazione non accertabile giudizialmente dato
il tempo trascorso dalla scoperta degli adulteri.
Le spese di lite seguono la soccombenza con condanna di parte convenuta alla
rifusione in favore di parte attrice delle spese di lite, liquidate in complessivi
Euro 5.838.55 di cui Euro 5.077,00 per compenso professionale (considerati
valori medi per fase studio, introduttiva, istruttoria e decisionale) ed Euro
761.55 per spese generali oltre iva, cpa, spese di notifica, contributo unificato
e marca da bollo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Brescia, in composizione monocratica, definitivamente
pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita così
dispone:
Condanna il convenuto a corrispondere all’attore l’importo di Euro 17.128,80
oltre interessi legali dal 12.1.2019 al saldo.
Condanna il convenuto a restituire l’importo di 5.500 oltre interessi legali dalla
ricezione al saldo.
Condanna parte convenuta a rifondere a parte attrice le spese di lite, liquidate
come in parte motiva.
Conclusione
Così deciso in Brescia, il 20 gennaio 2025.
Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2025.

Patrocinio a Spese dello Stato: il compenso dell’avvocato non può essere liquidato in misura non adeguata al decoro professionale.

Tribunale Brindisi, Sent., 18/12/2024, n. 1828
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI BRINDISI
SEZIONE CIVILE
nella persona del Giudice Monocratico Dott. Antonio Sardiello
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa iscritta nel registro generale sotto il numero d’ordine 1415/2023
R.G.
TRA
(…) avv. (…) n. a X con studio in X (cod. fisc. (…)) in proprio rapp. e dif.
dall’avv. MC con studio in X (cod. fisc X
Ricorrente
contro
C1 in persona del Ministro pro tempore con sede in X (cod. fisc. X ex lege
domiciliato presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato con sede in
All’udienza del 20.11.2024 la causa, dopo la discussione, è stata riservata per
la decisione. Successivamente, sono pervenute note riepilogative.
Svolgimento del processo
L’avv. P1, con ricorso ai sensi del’art. 281-decies e ss. c.p.c., ha proposto, per
i motivi ivi dettagliatamente sviluppati, opposizione avverso il decreto di
liquidazione dei compensi emesso dal Tribunale di Brindisi, in data 28.03.2023,
comunicato a mezzo PEC in pari data, con il quale detto Tribunale ha liquidato
in favore dell’avv. P1 il compenso maturato quale difensore della sig.ra P2, nel
giudizio rubricato al numero di R.G. 3823/2020 e quantificato nella somma di
Euro 1.200,00 oltre accessori di legge.
Ha, pertanto, la ricorrente, rassegnando le seguenti conclusioni: “rigettata ogni
avversa istanza di contrario contenuto, revocare l’impugnato decreto,
provvedendo alla liquidazione del compenso spettante all’avv. P1 per le causali
di cui alla narrativa del presente ricorso in misura non inferiore a Euro
3.112,87, oltre 15% spese generali di studio e accessori di legge. Con vittoria
di spese e competenze del giudizio di opposizione.
La ricorrente ha lamentato che l’opposto provvedimento sarebbe errato sia
perché non avrebbe specificato l’iter seguito nella liquidazione, sia perché non
in linea con i parametri forensi, avendo riconosciuto somme inferiori ai minimi
e non adeguate all’effettiva attività svolta, all’esito della lite ed al decoro della
professione.
Il C1 non si è costituito.
All’udienza del 20.11.2024 la causa è stata riservata per la decisione.
Successivamente, sono pervenute note riepilogative.
Motivi della decisione
Il ricorso è fondato e merita il rigetto per i motivi di seguito indicati.
L’avv. P1 è stata difensore della sig.ra P2 nel procedimento innanzi al Tribunale
di Brindisi RG 11.3823/2020, promosso dalla predetta nei confronti del sig. P3
, avente ad oggetto la separazione fra coniugi.
La sig.ra P2 aveva, all’uopo, richiesto e ottenuto l’ammissione al beneficio del
patrocinio a spese dello Stato con Provv. 11.870 del 2020 del Consiglio
dell’Ordine degli Avvocati di X , in data 27 ottobre 2020 all. 3.
Il suo L’avv. X , ha provveduto a svolgere tutta l’attività professionale
necessaria per la tutela dei diritti della propria assistita:
a) per la fase di studio: esame e studio degli atti a seguito della consultazione
con la cliente, ricerca documenti precedenti la costituzione in giudizio;
b) per la fase introduttiva del giudizio: redazione ricorso e autentica di firma in
procura, formazione del fascicolo e della posizione della pratica in studio,
deposito in uno agli allegati, esame provvedimento giudiziale di fissazione
udienza presidenziale, notificazione, esame della corrispondente relata, esame
atto di costituzione avverso, inclusi allegati, ulteriori consultazioni con la
cliente;
c) per la fase decisionale: partecipazione udienza presidenziale con
trasformazione del rito in consensuale per raggiunta conciliazione
giudiziale/transazione della controversia, esame del provvedimento conclusivo
del giudizio, ritiro del fascicolo, trascrizione del decreto n. cron. 36/2022 in
data 4.1.2022 (con assegnazione della casa coniugale) presso i registri
immobiliari all. 4 e 5.
Il raggiungimento dell’accordo tra le parti è avvenuto grazie ad una laboriosa
attività di mediazione e collaborazione dei difensori che, con un’intensa attività
stragiudiziale, sono riusciti a placare l’accesa conflittualità fra i coniugi.
Conclusa l’attività difensiva, con istanza in data 5 marzo 2023 l’avv. P1 ha
richiesto al Tribunale la liquidazione delle proprie competenze, come da nota
spese depositata telematicamente il 13.03.2023 e redatta in riferimento allo
scaglione “Indeterminabile – complessità bassa”.
Secondo i valori-base indicati nel D.M. n. 55 del 2014 per l’attività
effettivamente svolta delle fasi di studio, introduttiva e decisionale (per come
sopra dettagliatamente descritta), con l’aumento del 25% dell’importo previsto
per la fase decisionale, stante il raggiungimento dell’accordo (art.46 D.M. n. 55
del 2014 ), si va a determinare un compenso complessivo pari a Euro 6.225,75
che, con l’applicazione della decurtazione del 50% ex art. 130 D.P.R. n. 15 del
2002, si riduce a Euro 3.112,87 oltre 15% spese gen. di studio e accessori di
legge.
Con Provv. in data 28 marzo 2023, comunicato a mezzo PEC in pari data, il
Tribunale di Brindisi così ha provveduto sulla predetta istanza:
“…LIQUIDA
in favore dell’avv. (…) le somme di seguito specificate: fase di studio Euro
600,00, fase introduttiva Euro 500,00, fase decisoria Euro 900,00; oltre Euro
400,00 quale aumento per transazione; totale Euro 2.400,00, ridotto nella
misura del 50% ai sensi dell’art.130 D.P.R. n. 115 del 2002 = Euro 1.200,00
oltre spese generali al 15%, iva e cap come per legge….”.
Ha lamentato la ricorrente che, nel liquidare l’attività da lei svolta nel sopra
citato giudizio, il Tribunale ha utilizzato (così come richiesto nell’istanza di
liquidazione dello stesso difensore e nell’allegata nota specifica) valori tariffari
relativi a cause di valore indeterminabile di complessità bassa operando,
tuttavia, una riduzione del compenso base – costituito dal valore medio dei
parametri di liquidazione (art. 4 del D.M. n. 55 del 2014 ) – che risulta del
tutto ingiustificata.
Deve convenirsi che l’art. 4 del D.M. n. 55 del 2014 , per come da ultimo
novellato col D.M. n. 37 del 2018 , ha introdotto limiti ben precisi al potere
giudiziale di riduzione dei compensi: in particolare, tenuto conto del parametro
medio/base, il Giudice non può, ridurre, in ogni caso, il compenso dell’avvocato
in misura superiore al 50%.
Cosicché la riduzione di cui al combinato disposto degli artt. 82 e 130 del
D.P.R. n. 115 del 2002 giammai potrà essere superiore al 50% del parametro
base.
Lo ha confermato la Suprema Corte di Cassazione che con la sentenza n.10438
del 19 aprile 2023 – qui allegata per facilità di consultazione all. 7 – ha
affermato il seguente principio di diritto: “Ai fini della liquidazione in sede
giudiziale del compenso spettante all’avvocato nel rapporto col proprio cliente,
in caso di mancata determinazione consensuale, come ai fini della liquidazione
delle spese processuali a carico della parte soccombente, ovvero in caso di
liquidazione del compenso del difensore della parte ammessa al beneficio del
patrocinio a spese dello Stato nella vigenza dell’art.4 , comma 1, e art.12 ,
comma 1, del D.M. n. 55 del 2014 , come modificati dal D.M. n. 37 del 2018 , il
giudice non può in nessun caso diminuire oltre il 50 per cento i valori medi di
cui alle tabelle allegate”.
A tale interpretazione si perviene, altresì, in maniera sistematica vista anche la
previsione dell’art.13 bis introdotto nella L. n. 247 del 2012 secondo cui la
corresponsione del compenso professionale deve essere proporzionata alla
quantità e qualità della prestazione resa, tenendo conto della natura, del
contenuto e delle caratteristiche dell’attività legale effettivamente e
concretamente svolta nonché della coerenza con i compensi previsti dal D.M.
del 10 marzo 2014, n. 55 .
D’altro canto la stessa Suprema Corte, in più pronunce anche recenti, ha
statuito che il potere discrezionale riconosciuto al Giudice nella determinazione
del compenso dell’avvocato “non può condurre ad una liquidazione che, pur nel
rispetto delle indicazioni dell’art.4 del D.M. n. 55 del 2014 , remuneri l’opera
del difensore, al netto delle spese vive, con una somma non consona al decoro
professionale che l’art.2233 c.c. pure impone di considerare” (Cass. Civ. ord.
n.24492 del 30.11.2016 ).
E’ accaduto, invece, nel caso di specie che il provvedimento di liquidazione
abbia operato una duplice diminuzione, prima decurtando il compenso richiesto
(in conformità col parametro base) e conducendolo a misura perfino inferiore ai
minimi parametrici e poi, ulteriormente, riducendolo della metà in termini
percentuali, in aperta violazione del D.M. n. 55 del 2014 e dei principi sopra
espressi.
Alla luce di tutto quanto esposto il compenso professionale spettante all’avv.
P1 per l’attività prestata in favore della sig.ra P2 nel procedimento innanzi al
Tribunale di Brindisi rubricato al numero di R.G. 3823/2020 dovrà essere
liquidato in misura non inferiore a C 3.112,87, oltre 15% spese generali di
studio e accessori di legge, come richiesto dallo stesso difensore con l’istanza
di liquidazione, come da seguente prospetto:
Tabelle: 2014-2018
Competenza: Giudizi di cognizione innanzi al tribunale
Valore della Causa: Indeterminabile – complessità bassa
Fase Compenso
Fase di studio della controversia, valore medio: Euro 1.620,00
Fase introduttiva del giudizio, valore medio: Euro 1.147,00
Fase decisionale, valore medio: Euro 2.767,00
Compenso tabellare (valori medi) Euro 5.534,00
Aumento del 25 % su Euro 2.767,00 per conciliazione giudiziale o transazione
della controversia (art. 4, comma 6) Euro 691,75
Compenso maggiorato comprensivo degli aumenti Euro6.225,75
Riduzione del 50 % su Euro 6.225,75 per gratuito patrocinio (art. 130 D.P.R.
n. 115 del 2002 )
Compenso al netto delle riduzioni Euro 3.112,87
PROSPETTO FINALE
Compenso tabellare Euro 5.534,00
Totale variazioni in aumento + Euro 691,75
Totale variazioni in diminuzione – Euro 3.112,88
Compenso totale Euro3.112,87
Spese generali ( 15% sul compenso totale, già ridotto del 50 ) Euro 466,93.
Somma da liquidare, in riforma del decreto di liquidazione opposto Euro
3.579,80.
Spese irripetibili del presente giudizio, in considerazione della mancata
costituzione del C1 opposto.
P.Q.M.
il Tribunale di Brindisi
nella persona del Giudice Monocratico Dott. Antonio Sardiello
definitivamente, decidendo sul ricorso, ai sensi dell’art. 281-decies e ss.
c.p.c., depositato telematicamente in data 28.4.2023, dall’avv.to EB , avverso
il decreto di liquidazione dei compensi emesso dal Tribunale di Brindisi, in data
28.03.2023, comunicato a mezzo PEC in pari data, con il quale detto Tribunale
ha liquidato in favore dell’avv. (…) il compenso maturato quale difensore della
sig.ra E2 nel giudizio rubricato al numero di R.G. 3823/2020 e quantificato
nella somma di Euro 1.200,00 oltre accessori di legge, così provvede:
1) Revoca l’impugnato decreto e liquida il compenso spettante all’avv. (…) ,
per le motivazioni di cui innanzi, in Euro 3.579,80, comprensiva della somma
del 15% per spese generali, oltre accessori come per legge.
2) Pone il suddetto pagamento a carico dell’Erario, autorizzando la emissione
del relativo mandato di pagamento
3) Spese del presente giudizio irripetibili, stante la mancata costituzione del C1
resistente.

Nessuna responsabilità professionale per l’amministratore di sostegno in difetto di prova di una attività colposa o dolosa nell’informativa al Giudice Tutelare.

Tribunale di Genova,
Sentenza del 2 gennaio 2025 n. 6,
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE DI GENOVA
in persona del dottor Pasquale Grasso in funzione di giudice unico ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al n.9479 del ruolo generale degli affari contenziosi
dell’anno 2020 e vertente tra
V. E. M. L., in persona dell’amministratore di sostegno avv. E. T. , con il proc.
dom. avv. E. R.
– attore –
e
C. avv. S., con il proc. dom. avv. A. D. V.
– convenuto –
e
Generali Italia spa, con il proc. dom. avv.B. P.
– chiamata in causa da S. C. –
CONCLUSIONI
Per parte attrice
“Piaccia al Tribunale Ill.mo, reiectis contrariis e previe le declaratorie meglio
viste:
– previa, in via istruttoria, integrazione di consulenza tecnica d’ufficio in ordine
all’esistenza di vizi occulti nell’immobile, per cui è causa, al momento
dell’acquisto a mezzo dell’atto di permuta del 24/2/2017, quali quelli descritti
dal C.T.P. Geom. L. L. nelle sue note critiche del 27/7/2023, riguardo
all’esistenza di vizi occulti nell’immobile al momento dell’acquisto (notevoli
infiltrazioni dalla copertura non impermeabilizzata del bagno; notevoli
infiltrazioni del seminterrato lato strada), che ne riducono ulteriormente il
valore a tale momento ed in caso, di esito positivo, in che misura ciò incida sul
valore commerciale dell’immobile in tale data;
– accertare e dichiarare la civile responsabilità dell’Avv. S. C., quale
amministratore di sostegno di E. M. L. V. , per avere stipulato l’atto di permuta
del 24/2/2017, secondo le modalità dedotte e/o per i fatti e le condotte riferite
in atto introduttivo ed accertande in causa, accettando una valutazione
dell’immobile di via N. C. n.11 uni in Genova sovradimensionata e maggiore
del valore effettivo e commerciale dello stesso e comunque, ponendo in essere
un atto non conveniente per l’amministrata;
– condannare, conseguentemente, l’Avv. S. C. a risarcire a E. M. L. V. tutti i
danni subiti per i fatti di causa, quantificati in € 90.000, (pari al differenziale
fra il valore reale dell’immobile avuto in permuta, maggiorato del conguaglio
ricevuto di €.30.000 ed il valore dell’immobile dato in permuta dalla stessa del
valore di €.210.000, come dichiarato in atto), o nella somma maggiore o
minore accertanda in corso di causa;
– somme maggiorate di interessi legali e di rivalutazione monetaria dal dovuto
al soddisfo.
– rigettare ogni diversa domanda e/o eccezione avversaria perché
inammissibile e/o infondata.
– Vinte le spese di lite.”.
Per S. C.
“In via pregiudiziale e/o preliminare: accertare e dichiarare, per le esposte
ragioni, il difetto di legittimazione passiva del convenuto;
in via principale e nel merito: rigettare le domande attoree in quanto infondate
in fatto ed in diritto per le esposte ragioni;
in via subordinata: nel non creduto caso di accoglimento, anche parziale, delle
avversarie domande, limitare la condanna al minor importo determinando
come di giustizia e condannare, in ogni caso, la terza chiamata Generali Italia
S.p.A. a manlevare e garantire il convenuto da quanto questi fosse tenuto a
corrispondere a parte attrice, ivi incluse le spese del presente giudizio.”.
Per Generali Italia spa
“Piaccia all’Ill.mo Tribunale adito, ogni contraria azione eccezione e deduzione
respinta:
IN VIA PRELIMINARE
ACCERTARE E DICHIARARE la carenza di legittimazione passiva dell’Avv.C. per
le motivazioni in atti e per la conseguenza respingere la domanda attorea e
conseguentemente la domanda di manleva nei confronti della Compagnia
esponente con vittoria di spese di causa.
IN VIA DI PRINCIPALITA’:
RIGETTARE, le domande attoree in confronto all’Avv. C. perché infondate sia in
fatto che in diritto e comunque e non provate;
IN VIA SUBORDINATA:
Nel non creduto caso in cui venisse ACCERTATA una responsabilità
professionale in capo all’Avv. C., provata l’esistenza di danni risarcibili e del
nesso di causalità con l’operato dello stesso, RIDIMENSIONARE la
quantificazione del danno in misura inferiore rispetto a quanto richiesto
dall’attrice e comunque entro i limiti del giusto e del provato, ed ACCERTATA in
forza delle previsioni contrattuali di polizza, l’operatività della polizza, nonché
fornita la prova della risarcibilità del sinistro ai sensi e termini di polizza
RICONDURRE alle condizioni di polizza l’eventuale responsabilità in regime di
manleva della Compagnia quivi costituita con l’applicazione condizioni tutte di
polizza, nonché del massimali e scoperti (tenuto conto che limite di esposizione
della Compagnia non potrà in alcun caso essere superiore al massimale di
polizza).
Il tutto, con il favore delle spese, diritti ed onorari della presente procedura.”
MOTIVI DELLA DECISIONE
E. M. L. V. , agendo in giudizio in persona del proprio amministratore di
sostegno avv. E. T. (e a ciò autorizzato dal giudice tutelare) conveniva in
giudizio l’avv. S. C. esponendo
– che il convenuto era stato amministratore di sostegno della sig.ra V. dal
18.11.2014 al 3.5.2018;
– che, nel corso del mandato in questione, l’avv.C. aveva rappresentato al
Giudice Tutelare la necessità di procedere alla vendita di immobile di proprietà
dell’amministrata per far fronte al pagamento delle spese condominiali relative
a detto immobile e nella prospettiva della incapacità anche futura di pagare i
costi dominicali afferenti a detto bene;
– che l’avv.C. aveva altresì segnalato al giudice di aver ricevuto proposta
contrattuale di permuta tra detto immobile e altro che non prevedeva costi di
amministrazione, altresì con la previsione di un diritto a conguaglio per
l’importo di euro 30.000,00;
– che, nonostante la contrarietà dell’amministrata, il giudice tutelare aveva
autorizzato la sopra menzionata operazione di permuta, che veniva conclusa
attribuendo all’immobile ceduto dalla V. il valore di euro 210.000,00 e a quello
acquisito il valore di euro 180.000,00;
– che, operata rinnovata valutazione degli immobili in questione da parte del
nuovo amministratore di sostegno, avv.T., subentrato nella funzione per
rinuncia dell’avv. C., doveva ritenersi che il valore dell’immobile ricevuto in
permuta era di soli 90.000,00 euro, con conseguente danno per pari importo
(180.000,00 – 90.000,00) per l’amministrata;
– che il danno in questione era ascrivibile alla condotta negligente del
convenuto, in ogni caso non “sanata” dall’autorizzazione del giudice tutelare.
Su detti presupposti parte attrice chiedeva la condanna del convenuto al
pagamento del sopra menzionato importo a titolo di risarcimento danni. L’avv.
S. C. si costituiva in giudizio contestando in fatto e in diritto la domanda
attrice; in particolare esponeva
– che l’atto di permuta oggetto di contestazione non rientrava tra i poteri
dell’amministratore di sostegno, così che – attesa la specifica autorizzazione
resa dal giudice tutelare – non poteva essere imputato al convenuto;
– che la stima del valore dell’immobile acquistato, allegata da parte attrice, era
errata in fatto e in diritto, oltre che ancorata a erronee valutazioni
dimensionali. Il convenuto concludeva pertanto domandando il rigetto della
domanda attrice; per il denegato caso di accoglimento della stessa, chiamava
in causa con le modalità di rito la propria compagnia assicurativa, Generali
Italia spa. Generali Italia spa si costituiva in giudizio svolgendo difese del tutto
sovrapponibili a quelle del proprio assicurato.
* * * * *
Considerato che
– parte attrice individua quale condotta negligente posta in essere dal
convenuto quella consistita nella passiva accettazione della stima, in tesi
erronea per difetto, del valore dell’immobile acquisito in permuta dalla sig.ra
V., in difetto di ulteriori indagini che nel caso in esame sarebbero state
doverose;
– l’istruttoria condotta impone di escludere il ricorrere di profili di negligenza
degni di rilievo nella condotta posta in essere dal convenuto avv. C.
nell’espletamento del proprio ruolo di amministratore di sostegno della sig.ra
V. ;
– si consideri a tal fine che
▪ la ctu svolta in corso di causa – a ministero del geom. L. C. – oltre a
evidenziare la sussistenza di una possibile discrepanza (tra il valore
dell’immobile assunto in atto di permuta e quello, diverso, opinato da parte
attrice) di entità sensibilmente minore rispetto a quella sostenuta dall’attore,
risulta di fondamentale importanza nella parte in cui sottolinea il carattere
eminentemente variabile di questo tipo di valutazioni, e soprattutto la
fortissima incidenza delle concrete condizioni personali (dei soggetti coinvolti),
ambientali e sociali, che non sempre possono venire adeguatamente colte dalle
stime tecniche operate dai professionisti, stime che – peraltro – possono essere
anche sensibilmente differenti da quelle degli operatori di mercato (cfr. in
particolare a pag. 12 della relazione, ove si legge che “il ctu precisa che –
indipendentemente dalle valorizzazioni estimative aritmetiche di un bene
immobile – sul mercato si può giungere ad una determinazione differente del
“valore” stesso … tenendo conto di aspetti … come ad esempio in presenza di
competitor, oppure tenendo conto del bacino territoriale di riferimento ed il
subject acquirente … nel caso di specie … sarebbe possibile operare un
differente adeguamento del prezzo “a salire” rispetto al valore calcolato … [per
contro] non sussistono elementi all’epoca di riferimento tali da motivare un
adeguamento del prezzo “a scendere” rispetto al valore calcolato”);
▪ il sopra evidenziato ampio margine di variabilità della stima e
dell’apprezzamento del valore del bene immobile considerato, evidenzia in sé
la difficile, e a ben vedere insussistente, configurabilità di una condotta
negligente dell’amministratore di sostegno, ove si consideri ulteriormente 1) il
non enorme discostamento rispetto alla stima opinata dal ctu (solo oggi, e con
parametri tecnici verosimilmente non disponibili nelle concrete circostanze in
cui ha operato il convenuto); 2) la particolarissima situazione soggettiva
dell’amministrata, che a causa dei debiti accumulati in relazione all’immobile
già di proprietà (debiti che non aveva la provvista per sostenere e che erano
destinati nel tempo a crescere, con concrete e attuali prospettive di
pignoramento del bene da parte dei creditori, situazione che avrebbe azzerato
ogni possibilità di proficuo utilizzo del bene a fini di realizzo economico) era
gravata dalla concreta necessità e urgenza di procedere alla cessione del bene;
3) la notevole appetibilità dell’immobile acquisito in relazione alle scarse
entrate economiche della sig.ra V., visto che era caratterizzato dalla previsione
di minime spese di amministrazione; 4) la richiesta – positivamente esitata – di
autorizzazione all’operazione di permuta indirizzata dall’avv. C. al giudice
tutelare, con condotta che – prescindendosi in questa sede da ogni
considerazione in ordine alla giuridica titolarità dell’operazione in capo al
giudice tutelare, sostenuta dal convenuto – quanto meno evidenzia l’adozione
di adeguate cautele e modalità di confronto con l’organo massimo di tutela
dell’amministrata da parte dell’odierno convenuto;
▪ la particolare “conformazione normativa” dei rapporti intercorrenti tra
amministratore di sostegno, soggetto amministrato e giudice tutelare (sulla
quale cfr. Cass. SS.UU. n.1606/20), se non consente in sé di escludere in
astratto la configurabilità di forme di responsabilità risarcitoria
dell’amministratore di sostegno (perché non possono escludersi condotte
incidenti in concreto, e in senso lesivo degli interessi del soggetto
amministrato, sulle decisioni adottate dall’autorità giudiziaria), impone tuttavia
di valutare in concreto se sussistano elementi indicativi del fatto che l’esercizio
del potere di controllo (e la conseguente tutela del soggetto amministrato)
esercitato dal giudice con il provvedimento autorizzatorio reso
all’amministratore di sostegno sia stato in qualche modo dolosamente o
colpevolmente “sviato” da inidonea condotta informativa posta in essere
dall’amministratore di sostegno: circostanza che, nel caso in esame, non risulta
adeguatamente dimostrata (e a ben vedere nemmeno allegata) da parte
attrice;
– merita pertanto, in conclusione, pieno rigetto la domanda attrice;
– l’esito processuale comporta l’assorbimento della domanda di manleva svolta
dal convenuto nei confronti di Generali Italia spa, soggetto che – ai fini del
successivo provvedimento di governo delle spese di lite – deve affermarsi
essere stato correttamente chiamato in giudizio dal convenuto;
– la ripartizione delle spese di lite è orientata dalla soccombenza, secondo la
liquidazione operata in dispositivo;
– parimenti, vanno poste in via definitiva a carico di parte attrice le spese di
ctu, come liquidate in corso di causa;
P.Q.M.
Il giudice, pronunciando definitivamente, disattesa e respinta ogni diversa
domanda, istanza ed eccezione, così provvede:
– rigetta le domande attrici;
– pone definitivamente a carico di parte attrice le spese di ctu, come liquidate
in corso di causa;
– condanna E. M. L. V. a rifondere le spese di lite in favore di S. C. e di
Generali Italia spa; spese che – in applicazione dello scaglione di valore da €
52.000,01 a € 260.000,00 del regolamento recante la determinazione dei
parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense (D.Min.
Giust. n.147/22) e applicati i valori minimi in considerazione del concreto
valore di causa – si liquidano per ciascuno dei predetti soggetti in € 7.052,00
per compensi, oltre rimborso spese forfettario al 15%, Iva e Cpa nella misura e
con le modalità di legge.
Genova, 2.1.2025
Il giudice
dott. Pasquale Grasso

Nessun vincolo di solidarietà tra i coniugi in comunione legale dei beni per il debito contratto da uno solo.

Cass. civ., Sez. II, Ord., 11/12/2024, n. 31856
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – Relatore
Dott. PAPA Patrizia – Consigliere
Dott. TRAPUZZANO Cesare – Consigliere
Dott. GRASSO Gianluca – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 22658/2019 R.G. proposto da:
A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CASSIODORO 1/A, presso lo
studio dell’avvocato MARCO PAGANI, che la rappresenta e difende giusta
procura in atti;
– ricorrente –
contro
B.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANTONIO CIAMARRA 259,
presso lo studio dell’avvocato DANIELA CARLETTI, che lo rappresenta e difende
giusta procura in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
nonché
C.C., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 11, presso lo studio
dell’avvocato MARCO ROSSI, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato DE ANGELIS ISABELLA MARIA CESARINA;
– controricorrente ai ricorsi principale e incidentale –
avverso la sentenza n. 3405/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata
il 22/05/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/05/2024
dal Consigliere GIUSEPPE GRASSO;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. A.A. ottenne sentenza di condanna nei confronti del di lei figlio, B.B., e della
moglie separata di costui, C.C., al pagamento della somma di Euro 152.237,54,
che l’attrice espose avere mutuato ai convenuti, onde consentire loro l’acquisto
della casa familiare.
2. Impugnò la sentenza la sola C.C.
2.2. La Corte d’Appello di Roma, accolta l’impugnazione della C.C., rigettò la
domanda avanzata nei di lei confronti dalla A.A.
La difformità dell’epilogo consiglia, sia pure in breve, riprendere, da sùbito, i
passaggi argomentativi salienti della decisione di secondo grado:
a) colui che chiede la restituzione di somma che affermi essere stata data a
mutuo, oltre alla consegna, deve provare il titolo, ancor più in ambito familiare
(cita Cass. nn. 180/2018 e 17050/2014 );
b) la scrittura dell’11/6/2004, con la quale il B.B. riconosceva il debito era priva
di valore nei confronti della C.C., la quale, non solo non ha l’aveva sottoscritta,
ma l’aveva anche contestata e il riconoscimento di uno dei debitori solidali non
produce effetto nei confronti degli altri, ai sensi dell’art. 1309 cod. civ., né
risultava che avesse rilasciato procura al marito;
c) peraltro, nel regime di comunione legale dei beni, il debito contratto da uno
dei coniuge, seppure allo scopo di far fronte ai bisogni della famiglia, non pone
l’altro coniuge nella veste di debitore solidale (cita Cass. n. 3471/2007 ), di
talché non v’è vincolo di solidarietà (cita Cass. n. 10116/2015 ).
3. A.A. propone ricorso sulla base di tre motivi.
B.B. in seno al depositato controricorso propone ricorso incidentale fondato su
quattro motivi.
C.C. resiste con controricorso al ricorso incidentale del B.B.
Sono state depositate memorie illustrative.
4. Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1372 e
dell’art. 132 , co. 2, n. 4, cod. proc. civ., anche in relazione al n. 5 dell’art. 360
cod. proc. civ.
Si assume che la C.C. non avrebbe potuto essere considerata terza, “bensì
parte sostanziale”, per avere beneficiato del mutuo per la stipula del contratto
d’acquisto della casa familiare, ciò, per lo meno “sotto il profilo dell’affidamento
ingenerato nella signora A.A.”. Il preliminare d’acquisto era stato stipulato dalla
sola C.C. e in tale occasione la suocera aveva erogato una prima parte del
mutuo.
Tutti fatti che la sentenza aveva omesso di esaminare, giungendo a conclusione
in contrasto con l’art. 1372 cod. civ. e il principio d’apparenza (cita Cass. n.
3471/2007 ).
4.1. Il motivo è in parte inammissibile e per altra parte privo di fondamento.
Quanto al profilo d’inammissibilità.
Costituisce principio fermo che l’art. 360 , primo comma, n. 5, cod. proc. civ.,
riformulato dall’art. 54 del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 , conv. in legge 7
agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile
per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito
diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle
previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4,
cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato
omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il
“come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra
le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi
istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo
qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte
le risultanze probatorie (S.U. n. 8053, 07/04/2014, Rv. 629831 – 01; alla quale
si è conformata la successiva giurisprudenza).
Peraltro, a volere prescindere da ogni altra considerazione, l’omesso esame
non sarebbe stato, in ogni caso, qui ipotizzabile, non vertendosi in ipotesi di
mancata considerazione di un fatto storico-documentale, avente carattere di
decisività, bensì, come già sopra s’è detto, di rivendicazione di un diverso
apprezzamento del complesso delle emergenze di causa (cfr., ex multis, Cass.
n. 18886/2023 ).
Quanto al resto.
Il richiamo alla sentenza n. 3471/2007 di questa Corte è operato solo a
riguardo di una delle massime tratte dalla predetta decisione, in particolare Rv.
595338 – 01.
La ricorrente, tuttavia, non s’avvede essere preclusivo il non verificarsi della
condizione delineata da altro principio di diritto tratto dalla medesima
sentenza, secondo il quale “Nella disciplina del diritto di famiglia, in relazione
alle obbligazioni contratte da uno solo dei coniugi nell’interesse della famiglia, il
creditore che, ai sensi dell’art. 189 cod. civ., voglia agire anche nei confronti
del coniuge dello stipulante, deve dimostrare non solo che il convenuto è
coniuge dello stipulante, ma anche che i beni della comunione non sono
sufficienti ad estinguere l’obbligazione e che l’unico debitore principale, il
coniuge stipulante, non abbia adempiuto l’obbligazione, assunta
esclusivamente a suo carico” (Rv. 595337 – 01).
Nel caso in esame non consta essere stato neppure prospettato che i beni della
comunione non siano sufficienti ad estinguere l’obbligazione.
5. Con il secondo motivo viene denunciata nullità della sentenza per violazione
degli artt. 112 e 132 , co. 2, n. 2, cod. proc. civ., per non essere state
riportate le conclusioni trascritte a verbale dalla esponente, fra le quali quelle
istruttorie, alle quali non si era dato corso, né in primo, né in secondo grado.
5.1. La doglianza è infondata.
Deve osservarsi che la Corte di merito, pur non avendo pedissequamente
trascritto le conclusioni, le ha, in sintesi, richiamate a pag. 3 e non consta che
non le abbia prese in considerazione.
Sul punto il Collegio intende dare continuità al principio secondo il quale
L’omessa trascrizione delle conclusioni delle parti non è di per sé causa di
nullità della sentenza, assumendo rilevanza solo se ed in quanto accompagnata
dalla mancata considerazione delle stesse da parte del giudice (Sez. 2, n.
11150, 09/05/2018, Rv. 648052).
Si è, inoltre, condivisamente precisato che l’omessa od erronea trascrizione
delle conclusioni delle parti nella intestazione della sentenza importa la sua
nullità solo quando le conclusioni formulate non sono state prese in esame,
mancando in concreto una decisione sulle domande o eccezioni ritualmente
proposte, mentre -se dalla motivazione della sentenza risulta che le conclusioni
delle parti sono state esaminate e decise, nonostante l’omessa o erronea
trascrizione – il vizio si risolve in una semplice imperfezione formale, irrilevante
ai fini della validità della sentenza (Sez. 5, n. 10465, 17/04/2024, Rv.
670843).
Quanto alla istanza istruttoria, che richiama la prova diretta e contraria di cui
alla memoria ex art. 183 cod. proc. civ., va osservato che, la stessa risulta
implicitamente non accolta, tenuto conto della “ratio decidendi” della sentenza,
né, peraltro, in questa sede la ricorrente spiega la peculiare decisività di essa
prova.
Il giudice di merito non è tenuto a respingere espressamente e motivatamente
le richieste di tutti i mezzi istruttori avanzate dalle parti qualora nell’esercizio
dei suoi poteri discrezionali, insindacabili in sede di legittimità, ritenga
sufficientemente istruito il processo. Al riguardo la superfluità dei mezzi non
ammessi può implicitamente dedursi dal complesso delle argomentazioni
contenute nella sentenza (Sez. 3, n. 14611, 12/07/2005, Rv. 584883).
6. Con il terzo motivo viene denunciata violazione degli artt. 132 , co. 2, n. 4,
cod. proc. civ., per “palese inesistenza della motivazione”.
La ricorrente afferma che la sentenza, avendo dichiarato che l’accoglimento
dell’appello rendeva “assorbita ogni altra censura”, aveva omesso di rendere
motivazione.
6.1. Il motivo non supera lo scrutinio d’ammissibilità.
Non è dato cogliere il significato della censura e l’interesse alla stessa. È del
tutto ovvio che le doglianze (o profili di esse) che sono state dichiarate
assorbite (in senso proprio) non possono che riguardare l’impugnazione della
C.C.
Non avendo la ricorrente proposto appello non potevano esserci motivi
d’impugnazione della stessa non esaminati perché assorbiti.
7. Il B.B. premette alla esposizione dei motivi del ricorso incidentale quanto
segue:
– in primo grado aveva chiesto, in via principale “la declaratoria della
responsabilità solidale della Signora C.C.” e, in subordine, “in via
riconvenzionale condizionata, per il caso di accoglimento della domanda, la
condanna di C.C. a tenerlo indenne per quanto fosse eventualmente
condannato a pagare all’attrice a titolo di restituzione del prestito erogato,
nella misura del 50% del capitale, nonché, per intero, di ogni ulteriore importo
comunque connesso alla pretesa restitutoria “;
– il Tribunale, rigettata ogni altra domanda ed eccezione, accolta la domanda
principale aveva condannato “B.B. e C.C. in solido al pagamento in favore di
A.A. della somma di Euro 152.337,54 “.
8. Con il primo motivo il ricorrente incidentale denuncia violazione e falsa
applicazione degli artt. 1988 e 1309 cod. civ., nonché l’omesso esame di un
fatto controverso e decisivo, addebitando alla decisione di non avere
apprezzato la natura plurilaterale della scrittura, che conferiva certezza a un
rapporto già in essere, da cui derivava la solidale responsabilità dei coniugi,
trattandosi di obbligazione assunta nell’interesse familiare.
9. Con il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 1362 e segg., 2697 e
2727 e segg. cod. civ., nonché 115 e 116 cod. proc. civ., nonché l’omesso
esame di fatti controversi e decisivi, addebitando alla decisione di non avere
applicato correttamente i criteri legali sull’ermeneutica negoziale, che
imponevano di tenere conto del tenore letterale dello scritto e del
comportamento delle parti, secondo il canone della buona fede.
10. Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli
artt. 186 , 143 e 144 cod. civ., nonché l’omesso esame di fatti controversi e
decisivi, addebitandosi alla decisione di non avere tenuto conto del contenuto
completo del principio di diritto estratto dalle sentenza di cassazione nn.
3471/2007 e 10116/2005 , laddove viene fatto salvo il principio di apparenza,
causa del ragionevole affidamento sul fatto che il contraente agisca anche in
nome e per conto dell’altro coniuge. Doveva, inoltre, negarsi la qualità di terzo
alla C.C., la quale aveva preso parte alle trattative e stipulato con il marito il
contratto di compravendita, il cui corrispettivo era stato pagato con i soldi dati
a mutuo dalla A.A.
11. Con il quarto motivo viene denunciata violazione degli artt. 112 e 132 , co.
2, n. 4, cod. proc. civ., per non avere la Corte locale pronunciato sulle
domande subordinate del B.B. “concernenti, quand’anche esclusa la solidarietà
passiva della coniuge, la sussistenza della responsabilità di quest’ultima per
l’obbligazione dedotta in giudizio e il diritto dello stesso B.B. alla restituzione
da parte della stessa del 50% della somma mutuata”.
13. Le esposte censure incidentali sono accomunate dalla sorte
d’inammissibilità.
Con la comparsa di primo grado B.B. svolse domanda, che qualificò
“riconvenzionale”, nei confronti della C.C., chiedendo che la stessa “sia
dichiarata tenuta a conseguentemente condannata a tenerlo indenne e/o a
rimborsagli la sua quota parte del debito contratto”.
Il Tribunale, siccome riporta la sentenza d’appello, così decise: “In
accoglimento della domanda proposta condanna B.B. e C.C. in solido al
pagamento in favore di A.A. della somma di Euro 152.337,54”, oltre accessori
e al rimborso delle spese legali.
Il B.B. non appellò la sentenza del Tribunale che non aveva soddisfatto la sue
pretese nei confronti della C.C. e che lo aveva condannato in solido al rimborso
del mutuo in favore della madre; sentenza della quale, anzi, chiese
espressamente la conferma con l’atto costitutivo d’appello.
Da ciò deriva che la condanna al medesimo inflitta in primo grado è passata in
giudicato, siccome l’omessa pronuncia sulle domande avanzate nei confronti
della C.C.
Ne deriva che costui non è portatore di alcun interesse giuridicamente
apprezzabile al ricorso incidentale. Pertanto, il ricorso incidentale, è nel suo
complesso, inammissibile.
14. Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno
liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle
svolte attività, siccome in dispositivo, in favore della controricorrente.
Le stesse vanno poste a carico solidale della ricorrente A.A. e del ricorrente
incidentale B.B., avendo quest’ultimo aderito, sostanzialmente alla posizione
della prima, avversando quella della controcorrente C.C.
La comunione di posizioni induce a compensare le spese tra la A.A. e il B.B.
15. Ai sensi dell’art. 13 , comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1
, comma 17 legge n. 228/12 ) applicabile ratione temporis (essendo stato il
ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i
presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e
di quello incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari
a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso
art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale e
condanna in solido la ricorrente A.A. e il ricorrente incidentale B.B. al
pagamento, in favore della controricorrente C.C., delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in Euro 6.500,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e
agli accessori di legge. Compensa fra la A.A. e il B.B.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1 ,
comma 17 legge n. 228/12 ), si dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento da parte della ricorrente principale e di quello
incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
previsto per il rispettivo ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13,
se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2024.
Depositato in Cancelleria l’11 dicembre 2024.

Le violenze inflitte al coniuge determinano l’addebito della separazione e la condanna al risarcimento dei danni.

Corte d’Appello di Ancona, Sentenza 16 dicembre 2024,
N. R.G. 726/2024
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE D’APPELLO DI ANCONA
SECONDA SEZIONE CIVILE
ha pronunciato la
seguente
S E N T E N Z A
nella causa civile in II grado iscritta al N° 726 del Ruolo generale dell’anno
2024,
promossa da
R. E. , rappresentata e difesa dall’avv. Valentina Lo Bartolo per procura in calce
al ricorso in primo grado
– Appellante –
CONTRO
C. A. , rappresentato e difeso dall’avv. Michele Pratelli per procura in calce alla
comparsa di costituzione in appello
– Appellato –
NEI CONFRONTI DI
PROCURA GENERALE della REPUBBLICA di ANCONA in persona del Procuratore
pro tempore
-Intervenuta –
Al quale è stato riunito il giudizio di II grado iscritto al N° 731 del Ruolo
generale dell’anno 2024, promossa da
C. A. , come sopra rappresentato e difeso
– Appellante –
CONTRO
R. E. , come sopra rappresentata e difesa
– Appellata –
NEI CONFRONTI DI
PROCURA GENERALE della REPUBBLICA di ANCONA in persona del
Procuratore pro tempore
-Intervenuta –
OGGETTO: appello avverso la sentenza n. 526 pronunciata dal Tribunale di
Pesaro all’esito della camera di consiglio tenutasi in data 28.05.2024
Sulle CONCLUSIONI
Per la R. :
“Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello di Ancona, ogni avversa e/o diversa
domanda, eccezione e conclusione disattesa, in accoglimento del presente atto
di gravame, così statuire:
In Via principale di merito: a) ritenuti fondati i motivi esposti con l’appello,
riformare in parte qua i capi della sentenza impugnata n. 526/2024, emessa
nella causa R.G. n. 1451/2021 dal Tribunale di Pesaro, G.I. Dott. Davide Storti
in data 17.06.2024, depositata e notificata il 18.06.2024 a mezzo pec,
pertanto, in accoglimento dei motivi tutti di appello sopraesposti e delle
conclusioni spiegate dalla Appellante, così statuire:
1) In via principale e nel merito pronunciare la separazione personale dei
coniugi E. R. e A. C. con dichiarazione di addebito a carico di quest’ultimo per
tutti i fatti esposti degli atti depositati, consistenti nella grave e reiterata
violazione di tutti i doveri nascenti dal matrimonio, come sono stati provati nel
corso della istruttoria documentale ed orale espletata, consistenti nella grave e
reiterata violazione del dovere di rispetto della dignità, libertà e onore della
persona della coniuge e nella mancanza di assistenza morale e materiale;
2) condannare A. C. al risarcimento dei danni morali, esistenziali e biologici
patiti dalla sig.ra R. E. per la sua condotta di grave lesione della integrità
psicofisica, della salute e della dignità della coniuge, come in atti descritta,
nella somma che si quantifica in €50.000,00= e/o in quella diversa somma che
risulterà di Giustizia;
3) condannare A. C. ex art. 96 c.p.c. al risarcimento dei danni per lite
temeraria nella somma che verrà ritenuta equa e di giustizia; 4) disporre la
cancellazione delle espressioni sconvenienti ed offensive a pag. 18 della
comparsa di costituzione del Resistente “pessima moglie” ed altre analoghe
espressioni contenute nei successivi scritti difensivi (in particolare nella III
memoria istruttoria “quella di instaurare numerosi rapporti esogamici”) con
condanna della Controparte ex art. 89 c.p.c. e delle altre espressioni lesive
della dignità della medesima;
5) rigettare in ogni caso ogni avversa, diversa domanda.
6) confermare per il resto della sentenza impugnata.
7) Vittoria di spese, funzioni ed onorari del primo e secondo grado di giudizio,
incluse le fasi cautelari e di reclamo, da distrarsi in favore dello Stato, avendo
la Appellante presentato domanda di ammissione al beneficio”.
Per il C.:
“Piaccia all’Ecc.ma Corte di Appello adito, ogni contraria istanza ed eccezione
disattesa, respingere il gravame avversario in quanto inammissibile oltre che
infondato in fatto e in diritto per le ragioni di cui in narrativa.
Voglia altresì, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Pesaro n.
526/2024 emessa in data 17.06.2024 all’esito del giudizio n. 1451/2021 RG,
notificata in data 18.06.2024, e in accoglimento dei suesposti motivi: – in via
principale, dichiarare la separazione personale dei coniugi con addebito a
carico della sig.ra R. per le ragioni esposte in atti e conseguentemente
disporre che quest’ultima non ha diritto a percepire alcun assegno di
mantenimento;
– in subordine, accertare e dichiarare che la sig.ra R. non ha comunque diritto
a percepire alcun assegno di mantenimento per le ragioni di cui al terzo motivo
di gravame;
– in ulteriore subordine, rideterminare l’importo mensile del contributo
economico da corrispondersi a controparte tenuto conto delle ragioni espresse
al punto 3) del presente atto.
In ogni caso, vinte le spese di lite del doppio grado di giudizio”.
Per la Procura intervenuta:
“Visti gli atti del fascicolo in epigrafe indicato e l’appello avverso la sentenza
del Tribunale collegiale di Pesaro nel procedimento di separazione personale tra
le parti in questione in punto omesso addebito della separazione all’attuale
parte appellata, mancato risarcimento e spese del giudizio;
considerato che le doglianze esposte appaiono infondate atteso che il Tribunale
con motivazione esaustiva e del tutto condivisibile ha fondato e motivato la
decisione parametrandola alle risultanze dell’ampia attività istruttoria svolta ed
in conformità all’orientamento giurisprudenziale in materia
Chiede il rigetto dell’appello “
FATTI DI CAUSA
E. R. si è rivolta al Tribunale di Pesaro al fine di sentir dichiarare la
separazione personale dal marito A. C. con addebito a carico del resistente, il
quale avrebbe violato il dovere di fedeltà ed avrebbe avuto un comportamento
aggressivo e controllante; la ricorrente ha altresì chiesto che vengano posti a
carico della controparte un assegno in favore della moglie ed un adeguato
contributo al mantenimento del figlio D. , maggiorenne ma non ancora
autonomo.
Costituendosi in giudizio, il C. ha preliminarmente eccepito il difetto di
giurisdizione del Tribunale adito, essendo stato già avviato nella Repubblica
Dominicana un giudizio volto allo scioglimento del matrimonio, ivi contratto; in
via subordinata, il resistente ha contestato la fondatezza delle domande
proposte dalla ricorrente ed ha chiesto che la separazione venga piuttosto
addebitata alla moglie, la quale avrebbe intrattenuto relazioni extraconiugali; il
C. non si è comunque opposto al versamento di un assegno in favore del figlio
D. , evidenziando peraltro di provvedere direttamente alle esigenze del figlio
maggiore
N. , il quale da tempo vive presso il padre.
All’esito della pronuncia parziale con cui in data 16.03.2022 è stata dichiarata
la separazione personale tra i coniugi e dell’istruttoria successivamente svolta,
con sentenza pronunciata nella camera di consiglio tenutasi in data 28.05.2024
il Tribunale di Pesaro ha rigettato le reciproche domande di addebito, ponendo
a carico del marito un assegno mensile d’importo pari ad euro 2.500,00 quale
concorso nel mantenimento della moglie ed un assegno d’importo pari ad euro
500,00 quale concorso nel mantenimento del figlio D. , oltre al concorso in
misura pari al 75% nelle spese straordinarie che si renderanno necessarie per
il ragazzo, compensando infine tutte le spese di lite tra le parti.
I primi giudici, dopo aver ritenuto che il C. abbia di fatto rinunciato
all’eccezione di difetto di giurisdizione, hanno evidenziato che il rapporto
coniugale appariva irrimediabilmente logorato sin dal novembre/dicembre 2020
e che pertanto risulta irrilevante qualsiasi violazione dell’obbligo di fedeltà
eventualmente commessa dalla R. nel marzo 2021; hanno altresì escluso che
l’istruttoria complessivamente svolta abbia comprovato i maltrattamenti ascritti
al marito, rigettando per tale motivo non soltanto la richiesta di addebito, ma
anche la domanda di risarcimento danni proposta nei suoi confronti.
Avverso tale pronuncia ha proposto appello la R. , la quale ha richiamato tutti
gli elementi dai quali dovrebbero desumersi i comportamenti aggressivi tenuti
dal marito, oggetto anche di un separato procedimento penale; l’appellante ha
altresì ribadito la richiesta di risarcimento danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c. e di
cancellazione delle espressioni offensive contenute negli atti processuali della
controparte.
Anche il C. ha proposto appello avverso la medesima pronuncia, censurando il
mancato accoglimento della domanda di addebito proposta nei confronti della
moglie e ribadendo che sino al marzo 2021 il menage familiare era proseguito
secondo le modalità consuete; ha altresì contestato che sussistano i
presupposti per riconoscere un assegno di mantenimento in favore della R. , la
quale disporrebbe di redditi propri e non si sarebbe attivata per reperire un
lavoro, chiedendo in ogni caso il ridimensionamento del contributo determinato
dai primi giudici.
La Procura Generale, intervenendo in entrambi i giudizi, ha chiesto il rigetto di
entrambe le impugnazioni.
All’esito della riunione delle cause e delle plurime memorie depositate dalle
parti,
la presente causa è stata infine trattenuta in decisione in data 23.10.2024 nelle
forme della camera di consiglio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo e principale motivo d’appello, la R. censura la sentenza nel
capo in cui i primi giudici hanno ritenuto che l’istruttoria svolta non abbia
adeguatamente comprovato i comportamenti aggressivi imputati al C.;
l’appellante ribadisce invece la propria domanda di addebito, evidenziando che
gli elementi complessivamente acquisiti comproverebbero pienamente il
comportamento aggressivo e controllante tenuto dal marito nei confronti della
moglie.
Tale motivo dev’essere accolto.
E’ stato infatti chiarito da tempo che “le reiterate violenze fisiche e morali,
inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri
nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé, non solo la pronuncia di
separazione personale, in quanto cause determinanti la intollerabilità della
convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità al loro autore”
(leggasi da ultimo Cass. Sez. I, ordinanza n.22294 del 07.08.2024).
Nel caso di specie, il C. non ha mai contestato di aver inviato i numerosissimi
messaggi prodotti dalla moglie, caratterizzati da una particolare violenza
verbale, da chiare minacce e da continue ingiurie: basti pensare al messaggio
inviato in 24.05.2018 in cui il marito ha scritto “il collo te lo dovevo spezzare
anni fa, ammazzare a te e a quel mocassinaro”, oppure ai continui messaggi
inviati nel pomeriggio del 01.07.2019, contenenti pesanti insulti e ripetute
minacce di “cancellare dalla faccia della terra” la moglie, cui chiarisce: “ti
ammazzo con le mie mani, sappilo”. I testimoni escussi hanno altresì
confermato le continue richieste del marito di sapere dove e con chi si trovasse
in ogni momento la moglie, la quale era spesso costretta ad inviargli foto o
video per comprovare quanto aveva appena riferito.
Pur non essendo emersa dalla documentazione medica prodotta e dalle
dichiarazioni rese dai testi una prova incontrovertibile in merito alle percosse
riferite dalla R., in conclusione, è stato comunque comprovato un
comportamento aggressivo del C. che non può trovare alcuna giustificazione
nella sua particolare gelosia: è stato del resto chiarito che, anche in ambito
penale, tale sentimento non costituisce una scriminante, né un’attenuante, ma
può addirittura aggravare il reato ove assuma “caratteristiche morbose e di
ingiustificata espressione di supremazia e possesso” (leggasi ad esempio Cass.
Sez. I Penale, sentenza n.16054 del 10.03.2023).
Le ingiurie e le minacce non possono ritenersi giustificate neppure alla luce
delle problematiche psichiche desumibili dalla documentazione medica
prodotta, tenuto conto che “in tema di separazione dei coniugi, ove uno di essi
sia affetto da una patologia psichiatrica che non comporti un’effettiva
incapacità di intendere e volere, il giudice, ai fini della pronunzia di addebito,
non è esonerato dalla verifica e valutazione dei comportamenti coniugali allo
scopo di accertare l’eventuale violazione dei doveri di cui all’art. 143 c.c. e la
loro efficacia causale nella crisi coniugale” (cfr. Cass. Sez. I, ordinanza n.10711
del 20.04.2023); nel caso di specie, risulta evidente che le eventuali
problematiche del C. non hanno pregiudicato in alcun modo la sua capacità di
inserirsi proficuamente nella società e non possono quindi scriminare i suoi
comportamenti.
In accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza di primo grado,
quindi, la separazione dev’essere addebitata al marito.
2. Con il secondo motivo d’appello, poi, la R. censura la sentenza nel capo in
cui i primi giudici hanno rigettato la domanda di risarcimento dei danni;
l’appellante ribadisce invece di aver adeguatamente comprovato i
comportamenti illeciti addebitati al marito.
L’impugnazione dev’essere condivisa anche sotto tale profilo. E’ stato infatti
chiarito che la violazione degli obblighi coniugali può giustificare non soltanto
l’addebito della separazione, ma anche la condanna al risarcimento dei danni
ove sia stato accertato un comportamento tale da integrare un illecito rilevante
ai sensi degli artt. 2043 e ss. c.c. (leggasi ad esempio Cass. Sez. I, ordinanza
n.16740 del 06.08.2020).
Come già evidenziato nel precedente capo, l’istruttoria ha consentito di
accertare comportamenti del C. astrattamente riconducibili a fattispecie
penalmente rilevanti (a prescindere dall’esito del procedimento pendente a suo
carico per i medesimi fatti).
Risulta altresì ragionevole presumere che tali comportamenti abbiano
determinato un concreto turbamento nella R. nell’ultimo periodo della relazione
coniugale: facendo riferimento in via analogica ai parametri elaborati dalla
giurisprudenza di merito per la liquidazione del danno non patrimoniale, risulta
quindi equo determinare il risarcimento spettante all’odierna appellante
nell’importo pari ad euro 10.000,00 in valuta attuale.
3. Dev’essere a questo punto esaminato il primo e principale motivo
dell’appello proposto dal C., il quale censura la sentenza nel capo in cui i primi
giudici hanno rigettato la domanda di addebito della separazione alla moglie;
l’appellante ribadisce a riguardo che la R. avrebbe ripetutamente violato
l’obbligo di fedeltà al coniuge.
Tale motivo dev’essere rigettato.
Come evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità sopra citata, infatti,
l’accertamento di eventuali condotte violente “esonera il giudice del merito dal
dovere di procedere alla comparazione, ai fini dell’adozione delle relative
pronunce, col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze,
trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili
solo con comportamenti omogenei” (cfr. Cass. Sez. I, ordinanza n.22294 del
07.08.2024).
Tenuto conto dei comportamenti accertati a carico del marito, pertanto,
risultano irrilevanti le eventuali violazioni dei doveri coniugali imputabili alla
moglie, non essendosi tradotte in comportamenti caratterizzati da violenza.
4. Con il secondo ed il terzo motivo d’appello, poi, il C. censura la sentenza nel
capo in cui i primi giudici hanno posto a suo carico un assegno di
mantenimento in favore della moglie d’importo pari ad euro 2.500,00 mensili;
l’appellante evidenzia a riguardo la capacità professionale della R. , la quale
non si adopererebbe in alcun modo per reperire un lavoro.
L’impugnazione dev’essere rigettata anche sotto tale profilo. I primi giudici,
infatti, hanno già tenuto conto degli aspetti evidenziati dal C., ma hanno
comunque riconosciuto alla R. un congruo assegno di mantenimento in
considerazione dell’elevatissimo tenore di vita goduto nel corso della relazione
matrimoniale e delle risorse di cui ancor oggi dispone il marito, solo in parte
desumibili dalla documentazione prodotta.
Né rileva il fatto che, all’esito del giudizio di scioglimento del matrimonio
successivamente avviato, il Tribunale di Pesaro abbia riconosciuto in favore
della R. un assegno divorzile d’importo sensibilmente minore (secondo quanto
risulta dalla documentazione prodotta nel procedimento riunito n.731/2024),
tenuto conto dei diversi presupposti su cui continua ancor oggi a fondarsi
l’assegno di mantenimento.
5. Debbono da ultimo essere rigettate sia l’istanza avanzata dalla R. al fine di
ottenere la cancellazione delle espressioni a proprio avviso offensive contenute
negli atti della controparte, sia la domanda volta ad ottenere la condanna del
C. al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
E’ stato infatti chiarito da tempo che, “in tema di espressioni offensive o
sconvenienti contenute negli scritti difensivi, non può essere disposta, ai sensi
dell’art. 89 cod. proc. civ., la cancellazione delle parole che non risultino
dettate da un passionale e incomposto intento dispregiativo, essendo ben
possibile che nell’esercizio del diritto di difesa il giudizio sulla reciproca
condotta possa investire anche il profilo della moralità, senza tuttavia eccedere
le esigenze difensive o colpire la scarsa attendibilità delle affermazioni della
controparte. Ne consegue che non possono essere qualificate offensive
dell’altrui reputazione le parole (…), che, rientrando seppure in modo piuttosto
graffiante nell’esercizio del diritto di difesa, non si rivelino comunque lesive
della dignità umana e professionale dell’avversario” (leggasi ad esempio Cass.
Sez. III, sentenza n.26195 del 06.12.2011).
Nel caso di specie, le espressioni percepite come offensive dalla R. risultano
strettamente connesse alla domanda di addebito proposta dal C. ed in ogni
caso non hanno superato il limite della continenza verbale.
Analoghe conclusioni debbono essere tratte per quanto riguarda la domanda di
risarcimento proposta ai sensi dell’art. 96 c.p.c., non essendo emerso alcun
elemento dal quale poter desumere che il marito abbia agito con mala fede o
colpa grave: è stato del resto chiarito che “agire in giudizio per far valere una
pretesa non è di per sé condotta rimproverabile, anche se questa si riveli
infondata, dovendosi attribuire a tale figura carattere eccezionale e/o
residuale, al pari del correlato istituto dell’abuso del processo, giacché una sua
interpretazione lata o addirittura automaticamente aggiunta alla sconfitta
processuale verrebbe a contrastare con i principi dell’art.24 Cost.” (leggasi ad
esempio Cass. Sez. III, ordinanza n.19948 del 12.07.2023).
6. L’esito complessivo del giudizio, caratterizzato dalla prevalente soccombenza
del C., ne impone la condanna a rifondere le spese di entrambi i gradi di
giudizio, secondo gli importi liquidati in dispositivo in considerazione
dell’attività processuale effettivamente necessaria ai fini della decisione.
Sussistono altresì i presupposti previsti dall’art. 13 comma 1 quater D.P.R. n.
115 del 2002 per il versamento da parte del C. (appellante nel giudizio riunito)
di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato in misura pari a quello
dovuto per l’appello.
P.Q.M.
La Corte d’appello, definitivamente pronunciando sull’appello proposto da R. E.
e da C. A. avverso la sentenza n. 526 pronunciata dal Tribunale di Pesaro
all’esito della camera di consiglio tenutasi in data 28.05.2024, cosí dispone:
In parziale riforma della sentenza,
ADDEBITA la separazione al marito.
DICHIARA TENUTO e CONDANNA C. A. a risarcire il danno subito da R. E. in
conseguenza dei fatti meglio descritti in motivazione, liquidandolo nell’importo
complessivamente pari ad euro 10.000,00. RIGETTA l’istanza proposta dalla R.
ai sensi dell’art. 89 c.p.c., nonché la domanda proposta ai sensi dell’art. 96
c.p.c..
PONE a carico di C. A. le spese di entrambi i gradi di giudizio, liquidate per
quanto riguarda il primo grado in complessivi euro 7.600,00 per compenso
professionale e per quanto riguarda il presente grado in euro 6.000,00 per
compenso professionale, in entrambi i casi oltre a rimborso forfettario spese
generali e ad oneri fiscali e previdenziali nella misura di legge.
DA’ ATTO che sussistono i presupposti per porre a carico del medesimo
soccombente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater D.P.R. 115 del 2002,
l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato in
misura pari a quello dovuto per l’appello.
Così deciso in Ancona, nella camera di consiglio del 4 dicembre 2024
Il Consigliere estensore Il Presidente
dott. Valentina Rascioni dott. Guido Federico

La separazione è addebitabile alla moglie fedifraga anche se il marito ha tollerato il tradimento

Tribunale di Pordenone,
Sentenza del 16 ottobre 2024, n. 587
Svolgimento del processo
Con sentenza parziale n. 479/2023 pubblicata il 10/07/2023, il Tribunale ha
pronunciato la separazione personale dei coniugi e con separata ordinanza ha
disposto la rimessione della causa in istruttoria sulle domande accessorie.
Concessi i termini ex art.183 VI comma c.p.c. ed espletata l’istruttoria, la
causa è stata rimessa al Collegio per la decisione all’udienza del 7 giugno
2024, tenutasi mediante trattazione scritta, previa concessione dei termini di
cui all’art.190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e note di
replica.
Motivi della decisione
1. Addebito.
L’art. 151, secondo comma, c.c. stabilisce “Il giudice, pronunziando la
separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale
dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo
comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio”. Presupposto
fondamentale della dichiarazione di addebito, pertanto, è, oltre alla domanda di
parte, la prova della violazione, da parte del coniuge contro il quale l’addebito
è richiesto, di uno o più obblighi derivanti dal matrimonio. La valutazione
discrezionale del giudice di merito deve comprendere il complessivo
comportamento dei coniugi nello svolgimento del rapporto coniugale, con la
conseguenza che il contegno tenuto da un coniuge dovrà essere giudicato
valutandolo comparativamente con quello tenuto dall’altro coniuge (Cass. civ.
n. 11792 del 05/05/2021). Tuttavia, il comportamento oggettivamente
riprovevole di un coniuge non può dirsi giustificato dalla provocazione dell’altro
quando si traduca nella violazione di regole imperative di condotta e di norme
morali di particolare rilevanza sociale ovvero la violazione degli obblighi di
fedeltà e di assistenza morale e materiale. Altro presupposto per la pronuncia
di addebito è l’accertamento che il comportamento contrario ai doveri coniugali
abbia causato l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza, gravando sul
coniuge richiedente l’onere della prova, sia della contrarietà del
comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia
dell’efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la
prosecuzione della convivenza. (Cass. civ. n. 16691 del 05/08/2020).
Orbene, ciò premesso, nel caso di specie il marito sostiene che la crisi
matrimoniale sia esclusivamente addebitabile alle condotte della moglie, la
quale avrebbe avuto diverse relazioni extraconiugali e avrebbe abbandonato la
casa familiare.
Procedendo con ordine, ed esaminando per prima cosa l’accertata sussistenza
delle relazioni extraconiugali della moglie, tale circostanza può affermarsi come
provata in quanto la stessa ricorrente TULLIA l’ha dichiarata nel corso della
consulenza tecnica d’ufficio espletata in corso di causa; l’incarico è stato
conferito nel giudizio di separazione per accertare le competenze genitoriali e
quale modalità di affido appaia di maggior interesse per i minori e, nella
ricostruzione della storia coniugale e familiare, la ricorrente TULLIA ha
dichiarato di aver iniziato una prima relazione nell’ottobre 2018, di averla
chiusa e di averne intrapreso un’altra nel 2021 (v. pag. 17 della relazione della
consulenza tecnica d’ufficio, in atti).
Giova precisare che le dichiarazioni rilasciate al consulente tecnico d’ufficio
durante i colloqui hanno la valenza di confessione stragiudiziale rilasciata ad un
terzo, ai sensi dell’art. 2735, comma primo, seconda parte, c.c. e possono
ben essere poste a fondamento della decisione, poiché nell’ordinamento
processuale civile vigente manca una norma di chiusura che imponga la
tassatività dei mezzi di prova ed è pertanto consentito il ricorso alle prove
atipiche (sul tema v. ex multis Sez. 2 – , Ordinanza n. 3689 del 12/02/2021,
Sez. 3, Ordinanza n. 24468 del 04/11/2020; per analogia con il caso di specie
“Nei giudizi di separazione fra coniugi, ai fini della statuizione sull’affidamento
dei figli il giudice può legittimamente valorizzare il contenuto delle relazioni del
coordinatore genitoriale, unitamente alle risultanze della consulenza tecnica
d’ufficio, poiché nell’ordinamento processuale vigente manca una norma di
chiusura che imponga la tassatività dei mezzi di prova ed è pertanto consentito
il ricorso alle prove atipiche . Sez. 1 – , Ordinanza n. 27348 del 19/09/2022).
Tali dichiarazioni, valutate unitamente ai contenuti delle copie di riproduzioni
informatiche di messaggistica istantanea allegati sub doc. n. 4 di parte
convenuta (non è stata contestata da parte ricorrente la loro conformità agli
originali nella prima difesa utile) induce a ritenere effettivamente sussistenti i
fatti lamentati dal marito.
Infatti, nel documento n. 4 allegato alla comparsa di costituzione e risposta si
legge una conversazione tenuta tra i coniugi con messaggistica istantanea con
inequivoci riferimenti alla scoperta dei tradimenti della moglie da parte del
marito e con altrettante inequivoche ammissioni della moglie, definitivamente
confermate poi dalle dichiarazioni rese al terzo consulente nel corso del
processo.
Passando ora al secondo aspetto, la questione che si pone nel caso di specie è
se i tradimenti della moglie possano ritenersi di per sé la sola causa del venir
meno dell’affectio coniugalis.
A tal proposito, parte ricorrente eccepisce, da un lato, la tolleranza
dell’infedeltà da parte del marito – in quanto la coppia avrebbe intrapreso
successivamente alla scoperta dei tradimenti un percorso psicoterapeutico – e,
dall’altro lato, che la vita matrimoniale era stata caratterizzata da momenti
difficili, da trascuratezza da parte del marito ed eccessiva irritabilità dello
stesso, paventando così la preesistenza della crisi matrimoniale rispetto
all’infedeltà della moglie.
Tali eccezioni, tuttavia, non possono ritenersi adeguatamente dimostrate.
Quanto alla tolleranza, la stessa non può costituire un esimente rispetto alla
violazione dell’obbligo di fedeltà (cfr. sul punto cass. civ. 25966/2022), né può
dirsi, nel caso di specie, che la stessa si sia rivelata quale indice dell’assenza
da tempo di affectio coniugalis (una sorta di indifferenza da parte del marito).
Invero, dagli atti e da quanto riferito dai coniugi nel corso delle operazioni
peritali, è emerso che al tempo del primo tradimento, quello del 2018, la
moglie avrebbe riferito al marito una diversa versione (non meglio specificata)
e che il marito le avrebbe creduto; qualche anno dopo, ella ha confessato il
primo tradimento, il marito ha intrapreso una serie di ricostruzioni ed ha
scoperto altre infedeltà, a quel punto vi è stato un forte litigio tra i coniugi nel
marzo del 2022, con un episodio di aggressione fisica da parte del marito nei
confronti della moglie (riconosciuto dal marito). Tale episodio ha determinato
poi l’allontanamento, prima provvisorio poi definitivo, della moglie e dei figli
dalla casa familiare e il determinarsi di una serie di fatti conseguenti, tra cui
anche un percorso psicoterapeutico per la gestione dei figli in quel momento,
per di più interrottosi presto per disaccordo.
Pertanto, dalla ricostruzione finora effettuata non è emerso un contegno del
marito che possa essere qualificato come tolleranza dell’infedeltà della moglie;
né può ritenersi che le mere dichiarazioni di parte, non suffragate da altre
prove (le prove testimoniali chieste da parte ricorrente vertono sulle attività
lavorative dei coniugi, sull’organizzazione familiare e sul litigio violento tra i
coniugi, ma nulla dicono su una preesistente crisi coniugale), siano sufficienti a
far ritenere che fosse venuta meno da tempo risalente l’affectio coniugalis. Il
marito, infatti, ha riferito al consulente tecnico d’ufficio alcuni momenti forti
della vita matrimoniale (la depressione post- partum della moglie, il ricovero
della stessa in psichiatria, il ricovero del secondo figlio neonato, il
trasferimento del marito per ragioni di lavoro e la gestione del ménage
familiare, il successivo ricongiungimento di moglie e figli nella nuova residenza
del marito), ma riferisce, altresì, di aver sempre percepito la coppia come unita
e forte. Dinanzi a tale diversa versione dei fatti, ritenuta provata l’infedeltà e il
suo stretto nesso con il disgregarsi dell’affectio coniugalis, graverebbe sulla
moglie dimostrare l’interruzione del nesso di causalità tra l’infedeltà della
moglie e l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza matrimoniale,
dimostrando cioè la preesistenza della crisi (cfr. sul punto cass. civ.
3923/2018), ma tale prova non può dirsi raggiunta nell’odierno processo.
Per quanto concerne, infine, la seconda violazione di cui il marito si duole, e
cioè l’allontanamento della moglie dalla casa familiare, tale comportamento si
inserisce nell’epilogo della crisi ed è giustificato quale reazione al litigio violento
(in occasione del quale il marito avrebbe percosso la moglie con schiaffi e
spintoni) accaduto nel marzo del 2022;
anche quest’ultimo episodio – che nella sua autonoma portata e rilevanza
penale a carico del marito è stato valutato nelle sedi proprie – non rappresenta
che il precipitato dell’irreversibilità della crisi coniugale, cagionata, per tutte le
ragioni sopra esposte, dalla condotta infedele della moglie.
La domanda di addebito, pertanto, è fondata. La separazione dei coniugi sarà
pertanto dichiarata addebitabile alla moglie.
2. Assegno di mantenimento a favore della moglie.
La domanda di assegno di mantenimento avanzata dalla moglie è infondata e
sarà, pertanto, rigettata.
Ai sensi dell’art. 156 c.c., infatti, uno dei requisiti per riconoscere il diritto di
ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento è che la
separazione non sia addebitabile al richiedente.
L’addebito della separazione a carico della moglie esclude, pertanto, il suo
diritto all’assegno di mantenimento.
3. Provvedimenti riguardo ai figli e pendenza del giudizio di divorzio.
Per quanto concerne i provvedimenti riguardo ai figli, deve darsi atto della
pendenza tra le parti di procedimento di divorzio, incardinato davanti al
Tribunale di Verona (quale giudice competente per la residenza dei minori),
ove sono stati adottati provvedimenti cautelari a tutela dei minori ai sensi
dell’art. 473-bis.15 c.p.c. e ove è stata pronunciata in data 18 settembre 2024
ordinanza ex art. 473-bis.22 c.p.c. con provvedimenti temporanei e urgenti,
come dichiarato da parte ricorrente e non contestato da parte resistente.
L’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 473-bis.22 c.p.c. nel giudizio di
divorzio, suscettibile di conservare la sua efficacia anche dopo una eventuale
estinzione del processo, prevale sui provvedimenti provvisori emessi nel
giudizio di separazione; pertanto, con la presente sentenza il Tribunale deve
limitarsi a dare atto della vigenza dell’ordinanza ex art. 473-bis.22 c.p.c. nel
giudizio di divorzio sull’affido e mantenimento della prole, e ciò per evitare il
rischio di contrasti nelle decisioni e privilegiare quelle decisioni destinate
comunque a travolgere quelle della separazione e a proiettare i propri effetti
nel tempo in modo più duraturo nella regolamentazione dei rapporti tra i
coniugi; tuttavia, al fine di non privare di un titolo esecutivo l’avente diritto
all’assegno di mantenimento a favore della prole fino alla sopravvenienza dei
provvedimenti del divorzio, non appare superfluo ribadire in sentenza che sono
fermi fino a tale momento i provvedimenti assunti in corso di causa.
4. Spese.
Profili di reciproca soccombenza (la ricorrente perde sull’addebito e
sull’assegno di mantenimento, il resistente ha perso nei provvedimenti
provvisori stabiliti in corso di causa e nel reclamo dinanzi alla Corte d’Appello)
giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente
giudizio. Per le stesse ragioni gli oneri della c.t.u., già liquidati con separato
decreto, sono a carico di entrambe le parti in quote uguali, ferma la solidarietà
nei confronti del c.t.u.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza disattesa, così
provvede:
dichiara che la separazione dei coniugi è addebitabile a TULLIA; rigetta la
domanda di assegno di mantenimento a favore della moglie; sull’affido e
mantenimento della prole dà atto che è pendente giudizio di divorzio tra i
coniugi, ove sono state pronunciate ordinanze ex art. 473-bis.15 e 473-bis.22
c.p.c., fermi restando sino a tali pronunce i provvedimenti pronunciati nel corso
della presente causa; compensa le spese di lite; pone gli oneri della c.t.u., già
liquidati con separato decreto, a carico di entrambe le parti in quote uguali,
ferma la solidarietà nei confronti del c.t.u.