Marito affetto da sindrome da dipendenza da alcool. Imputabile per maltrattamenti e lesioni

Tribunale Pescara, sent., 25 gennaio 2022, n. 3202 – Pres. Villani, Giud. Rel. Valente
TRIBUNALE DI PESCARA
All’udienza del 20 dicembre 2021 ha emesso la seguente
SENTENZA
nei confronti di:
D.C.A., nato a F. il (…), residente a M., Corso U. n.233 – domicilio eletto in sede di Riesame
– presente-
Posizione giuridica:
sottoposto alla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare dal 16.8.2019;
Dal 3.3.2020 (aggravamento) sottoposto agli arresti domiciliari;
In data 31.5.2021 revocata la misura.
assistito e difeso di fiducia dall’Avv. Marcello Cordona del Foro di Pescara;
con l’intervento del P.M., Dott.ssa De Lucia Gabriella
IMPUTATO
Come da foglio allegato
IMPUTATO
1) Reato p. e p. dall’art. 572/2 comma c.p. (già artt. 572, 61 n. 11 quinquies c.p.), perché, mediante
continui soprusi, angherie, violenze morali e fisiche, maltrattava P.R., moglie convivente,
costringendola a vivere in uno stato di permanente umiliazione e sofferenza psico-fisica. In
particolare, la percuoteva ripetutamente con calci, pugni ed in alcuni casi financo con l’uso di armi
improprie anche alla presenza dei figli (di cui tre ancora minorenni), sempre per banali motivi e le
impediva di uscire di casa da sola, di comunicare con il cellulare e di incontrare autonomamente
altre persone. In particolare:
nel 2017 circa in Venezia, all’interno di una stanza d’albergo, dapprima la insultava e la percuoteva
pretendendo che si trovasse nuda sul letto, quindi, dopo essersi procurato un coltello ed un paio di
forbici la colpiva ripetutamente cagionandole plurime ferire da taglio;
l’11.08.2019, rientrato a casa, dapprima le ordinava di uscire dalla stanza, quindi, alla presenza dei
figli minori F.D.C. ed E.D.C., la insultava ripetutamente con frasi del tipo “sei una puttana” e la
picchiava selvaggiamente con calci e pugni; infine, dopo aver raggiunto il secondo piano, infrangeva
la porta della stanza nella quale la moglie si era rifugiata e la colpiva ripetutamente con un ferro da
barbecue fino a farla cadere rovinosamente a terra.
Con raggravante di aver commesso il fatto in presenza dei figli minori di anni diciotto.
In Montesilvano, Venezia e Pescara, fino all’ 11 Agosto 2019
2) Reato p. e p. dagli artt. 582, 585, 576 n. 5), 577 n. 1) e 61 n. 11 quinquies c.p., perché, in occasione
della condotta meglio descritta al capo A), mediante l’ausilio di un ferro da barbecue procurava a
P.R. lesioni consistite in “Trauma cranio facciale con frattura della ossa nasali” con prognosi di gg.
30 (fattispecie procedibile d’ufficio).
Con le aggravanti di aver commesso il fatto con l’uso di un’arma, in presenza dei figli minorenni, in
occasione della commissione del reato di cui all’art. 572 c.p. e ai danni della moglie.
In Pescara, l’ 11 Agosto 2019
Svolgimento del processo
Si procede nei confronti di D.C.A. per i reati di cui in epigrafe.
All’udienza del 27.1.2020 il Tribunale ha ordinato la rinnovazione della notifica del decreto di
giudizio immediato, a seguito della quale l’imputato ha chiesto ed ottenuto l’ammissione al giudizio
abbreviato.
E’ stata disposta una perizia medico-legale finalizzata ad accertare lo stato di capacità del prevenuto
al momento dei fatti e la sua eventuale pericolosità sociale. All’uopo è stato nominato il Dott.R.D.L..
Acquisita la relazione peritale e il fascicolo del P.M., le parti hanno concluso come in epigrafe
riportato e il Tribunale ha deciso come da dispositivo più oltre riprodotto.
Motivi della decisione
Sussiste, al di là di ogni ragionevole dubbio, la penale responsabilità di D.C.A. in ordine ai reati a
lui ascritti nei capi di imputazione. Dall’esame della documentazione agli atti è risultato che a seguito
di una segnalazione pervenuta in data 11.8.2019 presso la Questura di Pescara per lite familiare,
personale di P.G. si è portato alle ore 20:00 presso l’abitazione sita in via D. J. della T. n. 19 del
Comune di Pescara, constatando la presenza di un uomo ed una donna, identificati nei coniugi
D.C.A. e P.R., ancora in stato di forte agitazione, e della presenza di un’altra donna, identificata in
D.A.R.A., madre convivente dell’imputato, con in braccio i propri nipoti, F. (di anni 5) ed E. (di anni
7) entrambi in lacrime.
Nell’immediatezza dei fatti la P. – che presentava evidenti ferite e tumefazioni – riferiva agli operanti
che da diverso tempo il coniuge era solito tenere nei suoi confronti condotte aggressive, ingiuriose
e vessatorie, anche in presenza dei suoi quattro figli e di sua suocera, ma di non averli mai denunciati
per il timore di conseguenze ancora più gravi; che prima del loro arrivo il coniuge, verosimilmente
ubriaco, l’aveva dapprima insultata dicendole “se una puttana” e lanciandole addosso degli ortaggi
poco prima acquistati e, poi, picchiata con calci e pugni e da ultimo aggredita fisicamente, con un
arnese del barbecue, dopo aver rotto la porta di una stanza ove si era rifugiata con i suoi figli.
Gli operanti avevano modo di rilevare che la stanza indicata dalla P. come il luogo in cui era iniziata
l’aggressione si presentava in disordine e vi erano tracce di sangue e vetri rotti sul pavimento
dell’abitazione.
La P., prontamente, trasportata con l’autombulanza presso il Pronto Soccorso dell’Ospedale civile di
Pescara, veniva, ivi trattenuta, essendole stato riscontrato un “trauma cranico facciale con frattura
delle ossa nasali” – lesioni, queste, compatibili con la versione dei fatti resa dalla stessa agli agenti di
P.S.
La P. – sentita nuovamente a s.i.t. alle ore 9:55 del giorno successivo, 12.8.2019, all’interno
dell’ospedale – confermava, senza incorrere in contraddizioni e inverosimiglianze, quanto narrato il
giorno precedente; ribadiva che “episodi come quelli di ieri avvengono purtroppo molto spesso, A.
cerca sempre la lite”; riferiva di aver richiesto l’intervento dei Carabinieri solo un paio di volte
quando vivevano in un’altra abitazione sita nel Comune di Montesilvano e di aver subito, in passato,
un’altra grave aggressione fisica ad opera del marito nel mentre erano in vacanza a Venezia. In tale
circostanza – che collocava temporalmente nell’anno 2017 – il marito l’aveva insultata e picchiata
soltanto perché, contrariamente alle sue aspettative, non l’aveva trovata a letto nuda. Indispettito da
ciò “lui è sceso nella hall ed è risalito con un coltello e delle forbici e mi ha colpito sulla schiena con
entrambi. Mi sono medicata da sola, non ho chiamato nessuno. Siamo tornati a Pescara con il treno
e poi mi ha aiutato uria suocera a medicarmi un’altra volta”. Ha aggiunto, che il marito le vietava di
gestire il denaro, di utilizzare un telefono cellulare e di avere le chiavi di casa.
Nella stessa giornata del 12.8.2019, alle ore 12.15, gli operanti provvedevano a sentire a s.i.t. il figlio
maggiorenne, D.C.L., il quale riferiva che la madre era da oltre tre anni oggetto di aggressioni fisiche
e verbali ad opera del padre e che quella sera, nel rientrare a casa dal lavoro, aveva sentito il padre
urlare contro la madre frasi ingiuriose quali “puttana”, “zoccola” e simili, e di essersi determinato a
chiamare il 113 perché allarmato dalle urla della madre. Ha precisato, che il padre “quando ha la
luna storta si arrabbia, diventa violento, gli basta una fesseria per innescare la sua reazione senza
senso” e che le aggressioni fisiche e verbali ad opera del padre in danno della madre erano frequenti:
“più volte al mese “. Si trattava dell’abituale modalità con cui il padre si rapportava alla propria
moglie, anche in presenza dei fratelli minori. Di essere intervenuto più volte in soccorso della madre
– come anche sua nonna. Ha riferito di un episodio in cui la madre per sottrarsi all’aggressione del
marito si era rifugiata presso la Caserma dei Carabinieri di Montesilvano, sita vicina alla loro
abitazione. Ha confermato la circostanza che la madre non possiede denaro, né un telefono cellulare,
né le chiavi di casa perché il padre non vuole e che la stessa non ha vita sociale.
Non vi è motivo di dubitare delle dichiarazioni rese dal figlio dell’imputato, non essendo emerso
alcun proposito vendicativo o gratuitamente calunnioso da parte dello stesso nei confronti
dell’imputato.
Appare evidente che le dichiarazioni del figlio si collocano, inequivocabilmente, a sostegno delle
dichiarazioni accusatorie rese dalla persona offesa.
La sostanziale uniformità delle dichiarazioni accusatorie rese dalla P.O. e dal figlio dell’imputato,
risulta confortata dalla circostanza che già in data 19.4.2018 personale della Compagnia dei
Carabinieri di Montesilvano era intervenuto presso l’abitazione dei coniugi D.C.A. e P.R. (vedasi
doc. 23 del fascicolo del P.M.) perché era in corso una lite familiare, constatando uno stato di
agitazione e un grave disagio della P..
Durante la narrazione dei fatti – per come si evince dalla semplice lettura delle s.i.t. in atti – la persona
offesa si è sempre espressa senza esasperare o esagerare nella narrazione dei fatti e del regime di
vita – circostanza, questa, che depone per una sua spontaneità e genuinità.
L’episodio dell’11.8.2019, puntualmente ricostruito dalla persona offesa, e riscontrato dal referto
medico, dall’annotazione di servizio della P.G. intervenuta sul posto e dalle dichiarazioni del figlio,
L., dà conto della gravità dello stesso e ben spiega la ragione della presentazione della denuncia,
collocatasi al culmine di una serie di precedenti violenze, vessazioni e prevaricazioni, mai prima
denunciate. La persona offesa non era e non è portatrice di un interesse economico, strettamente
correlato all’esito del processo – circostanza, questa, che depone ulteriormente sulla attendibilità
della P..
Non rileva, contrariamente alla prospettazione della difesa, ai fini dell’attendibilità della persona
offesa, il comportamento della stessa, determinatasi a rimettere la querela sporta nei confronti del
marito, rappresentando la remissione di querela al più un tentativo della vittima di riappacificare il
clima familiare.
Non pare condivisibile l’assunto della difesa, secondo cui vi era reciprocità nei comportamenti
aggressivi, dovuti a divergenze e litigi di coppia, atteso che una tale ricostruzione della dinamica
degli accadimenti stride con l’intero compendio probatorio ed in particolare con le dichiarazioni rese
dal figlio della coppia, il quale non ha minimamente accennato a reciproche violenze.
Insomma, gli elementi sopra evidenziati si collocano, all’evidenza, a sostegno dell’ipotesi
accusatoria.
La patologia cui era affetto l’imputato all’epoca dei fatti: “Sindrome da dipendenza da alcool” non si
colloca tra le alterazioni patologiche idonee ad escludere totalmente la capacità di intendere e di
volere del prevenuto – come evidenziato dal perito nella relazione resa in data 7 maggio 2021.
Pertanto, il quadro clinico offerto dal perito consente solo di affermare che il periziato al momento
dei fatti in oggetto era seminfermo di mente a causa della patologia sopra diagnosticata.
Pertanto, l’imputato va ritenuto responsabile dei reati ascrittigli.
Quanto alla determinazione della pena, valutati tutti gli elementi di cui all’alt. 133 c.p. e riconosciuta
l’attenuante di cui all’art.89 C.P., si stima equa la pena di anni uno, mesi nove e giorni dieci di
reclusione (cosi determinata: ritenuta la continuazione tra i reati, attesa l’evidente unicità del
medesimo disegno criminoso, pena base, ritenuto più grave il reato di cui al capo 1), e tenuto conto
che i fatti contestati ricadono sotto la vecchia disciplina, anni tre di reclusione, ridotta ex art.89 c.p.
alla pena di anni due di reclusione, aumentata ex artt.81 C.P., alla pena di anni due e mesi otto di
reclusione, ridotta per la scelta del rito alla pena di cui sopra.
L’imputato è tenuto per legge al pagamento delle spese processuali.
Ricorrono i presupposti di legge per concedere al prevenuto il beneficio della sospensione
condizionale della pena.
La presente motivazione viene resa nel termine indicato in dispositivo ex art.544 co.3 c.p.p.
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e ss. c.p.p.;
dichiara
D.C.A. responsabile dei reati ascrittigli e, ritenuta la continuazione tra i reati contestati, lo condanna
alla pena di anni uno, mesi nove e giorni dieci di reclusione, oltre che al pagamento delle spese
processuali. Pena sospesa.
Fissa giorni 90 per la motivazione.

Revocato il mantenimento alla moglie convivente e alla figlia con lavoro a tempo indeterminato

Tribunale Alessandria, Sent., 26 gennaio 2022, n. 56 – Pres. Marozzo, Giud. Rel. Bersani
TRIBUNALE ORDINARIO di ALESSANDRIA
Sezione CIVILE
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 513/2020 promossa da:
F.L. (…) nata B. M. (C.) (…) difesa da avv. ZEPPA ENRICO domiciliata a VIA PIACENZA 23 15121
ALESSANDRIA
ricorrente
contro
B.D. nato il (…) a A. S. (A.) (…) difesa dall’avv. GALANTINO MARGHERITA domiciliata VIA
MAZZINI N. 7 CASTELNUOVO SCRIVIA
resistente
Svolgimento del processo
Con ricorso ritualmente notificato il ricorrente Sig. L. esponeva quanto segue
1) di aver contratto matrimonio civile con la Sig.ra D. in S. (A.), in data 18/05/1997;
2) dall’unione nascevano due figlie, A. il (…) e N. il (…), (doc. n. 2, 3 già in atti);
3) i coniugi, inizialmente in regime di comunione dei beni, successivamente sceglievano il regime di
separazione dei beni, con atto a rogito Notaio V.M. di A. in data (…);
4) l’unione, dapprima felice, diveniva in seguito più difficile ed i coniugi decidevano di separarsi
consensualmente;
5) con il ricorso del 29/11/2012 (doc. n. 4 già in atti), R.G. n. 1037/2012, i Signori L. e D. chiedevano al
Tribunale di Tortona di pronunciare la separazione consensuale;
6) in data 28/01/2013, il Tribunale omologava con decreto la separazione fra i Sig.ri L. e D. (cfr doc.
n. 4) alle seguenti condizioni:
– affidamento congiunto delle figlie, con sistemazione prioritaria presso la madre;
– corresponsione da parte del Sig. L. della somma di Euro 100,00 mensili per la Sig.ra D. ed Euro
175,00 mensili per ciascuna figlia, con spese straordinarie da ripartirsi tra i coniugi
proporzionalmente al reddito di ciascuno;
– le parti concordavano che, la casa coniugale sarebbe stata messa in vendita, con ripartizione del
ricavato al 50% e detrazione dal 50% spettante alla Sig.ra D., degli importi relativi alle rate di mutuo
pagate dal Sig. L. a far data da settembre 2012;
– la casa coniugale, con il relativo mobilio, veniva temporaneamente assegnata al Sig. L. sino alla
vendita, con onere del medesimo di pagare per intero le rate del mutuo ipotecario;
– la Sig.ra D. e le figlie spostavano la propria dimora presso la di lei madre;
– le parti concordavano che al momento della vendita della casa coniugale si sarebbero divisi i mobili;
– l’autovettura FIAT Panda intestata al Sig. L. restava in uso alla Sig.ra D., con onere in capo a
quest’ultima di sopportarne le spese di utilizzo;
7) successivamente la Sig.ra D. iniziava una convivenza stabile e duratura con un’altra persona, dalla
quale nasceva un figlio;
8) tra il 2014 ed il 2015 il Sig. L. perdeva il lavoro, ed in quella condizione pur provvedendo al
pagamento del mantenimento alla moglie e alle figlie, non riusciva più a far fronte al pagamento del
mutuo del quale, dalla data della separazione, aveva pagato la somma di Euro 7.785,10.
Sulla scorta di tali premesse parte ricorrente rassegnava le seguenti conclusioni:
Voglia l’Ill.mo Tribunale di Alessandria, rejectis adversis:
A) Nel merito:
1) pronunciare lo scioglimento del matrimonio contratto in data 18/05/1997 dal Sig. L.F. e dalla Sig.ra
D.B. in S. (A.), registrato presso il Comune di SALE (AL) al n. 2, Serie A, Parte II, Anno 1997, e
statuire, per l’effetto, che la moglie perda il cognome del marito che aveva aggiunto al proprio a
seguito del matrimonio, ordinando all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune di SALE (AL) di
procedere all’annotazione della Sentenza, il tutto alle seguenti condizioni:
a) cessazione dell’obbligo del Sig. L. di versare l’importo di Euro 100,00 a titolo di mantenimento
della Sig.ra D.B., contestualmente alla pronuncia dello scioglimento del matrimonio;
b) assegnazione della casa coniugale, sita in S. (A.) Via M. n. 64, catastalmente identificata al N.C.E.U.
del medesimo Comune al foglio (…), mapp. (…), sub. (…), in comproprietà tra i coniugi, unitamente
al mobilio, al Sig. L.F. sino alla vendita della medesima, con onere in capo all’assegnatario delle spese
di manutenzione ordinaria della medesima e di quelle di ordinaria gestione;
c) ripartizione al 50% tra i coniugi del ricavato della vendita della casa coniugale se eccedente
rispetto al debito residuo verso la banca e agli oneri derivanti dalle azioni esecutive, con sottrazione
dalla quota di spettanza della Sig.ra D. della somma pagata dal Sig. L.F. per le rate di mutuo
maturate dopo la separazione;
d) disporre l’affidamento congiunto delle figlie L.N. e L.A., con esercizio congiunto della potestà
sulle medesime;
e) disporre che il Sig. L. possa vedere le figlie, compatibilmente con le esigenze di studio delle
medesime ed i suoi turni ed orari di lavoro;
f) disporre che il Sig. L.F. corrisponda un assegno mensile di Euro 175,00 (centosettantacinque/00),
da rivalutare annualmente in base all’indice ISTAT, per il mantenimento di ciascuna figlia;
g) disporre che i genitori contribuiscano nella misura del 50% ciascuno, al pagamento delle spese
straordinarie che si rendessero necessarie nell’interesse delle figlie;
h) disporre che per la corretta individuazione delle spese straordinarie venga applicato l’art. 11 del
Protocollo in data 20 luglio 2016 adottato dal Tribunale di Alessandria, con l’esclusione delle spese
di trasporto pubblico, da considerarsi comprese nell’assegno di mantenimento;
i) disporre l’onere in capo alla Sig.ra D. di chiedere il rimborso dei libri scolastici, ai sensi e per gli
effetti di cui alla L. n. 448 del 1998 e s.m.i., se ne sussiste il titolo;
l) disporre l’onere in capo alla la Sig.ra D. di comunicare tempestivamente al Sig. L. l’avvenuta
erogazione dei rimborsi per l’acquisto di libri di testo ex L. n. 448 del 1998 e s.m.i., e disporre altresì
che il 50% di tali importi sia da lei restituito al Sig. L. entro il giorno 10 del mese successivo a quello
di accredito, con facoltà del Sig. L. di portarli in compensazione con le spese straordinarie;
m) disporre che tutte le spese straordinarie siano richieste e documentate nei modi previsti dal
Protocollo in data 20 luglio 2016 adottato dal Tribunale di Alessandria e che le spese che necessitano
di preventivo accordo siano concordate secondo le modalità stabilite nel medesimo protocollo;
n) disporre che la Sig.ra D. trasmetta al Sig. L. le ricevute di pagamento delle spese mediche
corredate dalla relativa prescrizione medica, nonché le ricevute delle spese scolastiche entro 15 gg
dal pagamento;
o) disporre che la Sig.ra D. comunichi al Sig. L. il luogo dove dimorano le figlie, se diverso dalla
residenza anagrafica, il nominativo del loro medico di base del SSN, l’istituto scolastico e/o
l’Università ed il corso universitario da esse frequentate, tenendolo sempre al corrente delle
eventuali variazioni dei suddetti dati;
p) disporre che il pagamento delle spese straordinarie avvenga in concomitanza con il versamento
dell’importo del mantenimento mensile relativo al mese successivo a quello in cui la richiesta di
rimborso è stata fatta;
B) In via istruttoria:
Con riserva di ulteriormente dedurre, produrre, capitolare ed indicare mezzi di prova nei
concedendi termini istruttori.
In ogni caso, con vittoria di spese ed onorari di causa.
Salvis juribus.
Si costituiva parte resistente contestando la prospettazione di parte ricorrente, rassegnando le
seguenti conclusioni: “Piaccia all’ Ill.mo Tribunale di Alessandria, ogni contraria o diversa istanza
eccezione e deduzione reietta, previe le declaratorie del caso:
1) dichiarare, eventualmente anche mediante sentenza non definitiva, la cessazione degli effetti civili
del matrimonio concordatario contratto il 18 maggio 1997 a Sale (AL);
2) dare atto che B.D. è disoccupata, invalida civile al 100%, nonché convivente con le figlie
maggiorenni non economicamente autosufficienti e che per tale ragione ha diritto all’assegnazione
della casa coniugale, della quale è comproprietaria al 50%, sita in S. (A.) – via M. n 64, unitamente al
mobilio;
3) dare atto che, nell’ipotesi di assegnazione della casa coniugale alla madre, N.L. avrà diritto di
percepire un contributo al mantenimento, oltre rivalutazione Istat, pari ad Euro 200,00, oltre al 100%
delle spese mediche e scolastiche ordinarie e straordinarie e A.L. avrà diritto di percepire un
contributo al mantenimento pari ad Euro 150,00, oltre rivalutazione Istat;
4) dare atto che nell’ipotesi di mancata assegnazione della casa coniugale alla madre, con loro
convivente, N.L. avrà diritto di percepire un contributo al mantenimento, oltre rivalutazione Istat,
pari ad Euro 350,00, oltre al 100% delle spese mediche e scolastiche ordinarie e straordinarie e A.L.
avrà diritto di percepire un contributo al mantenimento pari ad Euro 150,00, oltre rivalutazione Istat.
5) disporre che, a cura della Cancelleria, l’emananda sentenza sia trasmessa in copia autentica, dopo
il suo passaggio in giudicato, all’Ufficiale dello Stato Civile per le annotazioni e gli ulteriori
incombenti di legge
Con il favore delle spese, dei diritti e degli onorari di questo giudizio”.
Le parti comparivano avanti il Presidente del Tribunale, il quale a scioglimento della riserva
adottava il seguente provvedimento provvisorio: ” sciogliendo la riserva di decisione dell’udienza
del 16.10.2020 nella causa per scioglimento del matrimonio promossa con ricorso depositato il
13.2.2020 da L.F. nei confronti di D.B.; sentite le parti; fatta salva ogni diversa successiva
determinazione all’esito dell’istruttoria; ritiene che non constino circostanze tali da modificare in via
urgente le condizioni della separazione. Nomina Giudice Istruttore della causa il dott. G. Bersani e
rimette le parti dinanzi a quest’ultimo per l’udienza di prima comparizione del 12.1.2021 ore 10.
Concede termine a parte ricorrente sino al 10.12.2020 per il deposito in cancelleria di memoria
integrativa e termine alla convenuta sino al 5.1.2021 per la costituzione in giudizio. Avverte la
convenuta che la costituzione oltre il suddetto termine comporterà le decadenze di cui all’art. 167
c.p.c. e che oltre detto termine non potranno essere proposte eccezioni processuali e di merito non
rilevabili d’ufficio”.
Le parti depositavano le rispettive memorie integrative nei termini concessi dal Presidente del
Tribunale.
All’udienza del 12/01/2021, il procuratore del Sig. L. chiedeva la modifica del provvedimento del
Presidente del Tribunale in punto mantenimento della figlia L.A., motivando la richiesta sulla base
della circostanza che la medesima aveva trovato una occupazione stabile con conseguente
raggiungimento dell’indipendenza economica.
Il Giudice istruttore assegnava alle parti termine di 15 giorni per la produzione di documenti a
sostegno della richiesta di revoca del provvedimento presidenziale e rinviava la causa all’udienza
del 09/02/2021.
All’udienza del 09/02/2021, il Giudice invitava la parte resistente a depositare la busta paga di L.A.
e rinviava la causa all’udienza del 24/02/2021.
All’udienza del 24/02/2021, vista la documentazione prodotta da parte resistente, il procuratore del
Sig. L. reiterava la revoca dell’assegno di mantenimento a favore di L.A. e della resistente, fondando
tale richiesta sulla base delle risultanze della busta paga depositata e del documento n. 18 allegato
alla memoria integrativa, ed evidenziando che entrambe i documenti costituivano fatti nuovi, non
conosciuti al momento dell’emanazione del provvedimento presidenziale di cui si chiedeva la
revisione.
Con Provv. del 09 marzo 2021, il Giudice rigettava le richieste di modifica del provvedimento
presidenziale e rinviava la causa all’udienza del 30/03/2021.
All’udienza del 30/03/2021, le parti chiedevano la concessione dei termini di cui all’art. 183 c.p.c..
Con ordinanza del 23 giugno 2021 il Giudice istruttore adottava la seguente ordinanza a seguito
delle richieste istruttorie delle parti: ” P.Q.M. Non ammette la prova per testi ed interrogatorio
formale indicata da parte ricorrente trattandosi di fatti e circostanza da provarsi documentalmente;
Ammette la prova per interrogatorio formale e per testi indicata da parte convenuta con riferimento
ai capitoli 4); non ammette i restanti capitoli trattandosi di fatti e circostanza da provarsi
documentalmente; Ordina ai sensi dell’art. 210 c.p.c. alla Sig.ra D.B., alla Sig.ra L.A., alla B. S.p.A.
l’esibizione del CUD 2021 per i redditi 2020 della Sig.ra L.A.; a F.L. l’esibizione dell’atto di
pignoramento dell’immobile e di tutti i documenti relativi alla procedura esecutiva sulla casa
coniugale; Ordina – ai sensi dell’art. 213 c.p.c. all’Agenzia delle Entrate di Alessandria l’esibizione
del CUD 2021 per i redditi 2020 e della dichiarazione dei redditi della Sig.ra L.A. e ogni documento
dal quale risulti il reddito da questa percepito nell’anno 2020. Documentazione da depositarsi in
cancelleria entro il termine del 15 settembre 2021″.
All’udienza del 28 settembre 2021 le parti chiedevano concordemente fissarsi udienza di
precisazione delle conclusioni.
Alla successiva udienza del 28 ottobre 2021 le parti precisavano le conclusioni e la causa veniva
riservata per la decisione collegiale con termine per note ex art. 190 c.p.c.
Motivi della decisione
Sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio.
La domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, richiesta dalla ricorrente merita
accoglimento anche in considerazione dell’adesione a tale richiesta da parte della resistente.
I coniugi vivono separati fin dall’omologazione della sentenza di separazione omologata dal
Tribunale di Tortona del 28 gennaio 2013 ed i medesimi non hanno più ripreso la convivenza.
Sussistono pertanto i presupposti per l’accoglimento della richiesta congiunta.
Sull’affidamento dei figli
Nulla deve essere disposto in ordine all’affidamento delle figlie A., nata il (…) e la
figlia N. nata il (…) essendo entrambe maggiorenni.
Sul contributo al mantenimento delle figlie A. e N. maggiorenni
E’ noto che costituisce diritto di tutti i figli – indipendentemente da un vincolo coniugale che possa
legare i loro genitori – essere dagli stessi mantenuti sino al momento della raggiunta autosufficienza
economica. L’obbligo di mantenimento dei figli può essere assolto in via diretta o in via indiretta.
L’assegno periodico assicura al figlio il diritto ad essere mantenuto anche nella fase di disgregazione
della famiglia per separazione, divorzio o cessazione della convivenza dei genitori.
Il versamento dell’assegno è – pertanto – una modalità di mantenimento indiretto attraverso il quale
un genitore adempie al suo obbligo di concorrere alle spese necessarie alla crescita dei figli che non
siano prevalentemente con lo stesso conviventi.
La misura dell’assegno indiretto, se non concordata, è giudizialmente stabilita in proporzione alla
capacità reddituale e patrimoniale dell’obbligato al fine di assicurare al figlio, considerato il
concorrente obbligo dell’altro genitore, il soddisfacimento delle sue esigenze primarie e di crescita
tendenzialmente assicurandogli il medesimo tenore di vita goduto in costanza di convivenza dei
suoi genitori (art. 337-ter comma 4 c.c.).
Pertanto, nessuno dei genitori può essere esonerato dal mantenimento del figlio neppure in caso di
intervenuta decadenza, né l’assegno periodico di mantenimento non può essere oggetto di rinunzia
da parte del genitore percipiente non trattandosi di un suo diritto ma del figlio.
Il dovere di mantenere i figli deve essere adempiuto da parte di entrambi i genitori
proporzionalmente alle loro sostanze e secondo le loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
La corresponsione dell’assegno è quindi la modalità con cui un genitore, generalmente quello non
collocatario in via prevalente, provvede indirettamente e periodicamente alle spese connesse alle
esigenze dei figli somministrando all’altro un importo con lo scopo di assicurare alla prole il
soddisfacimento delle attuali esigenze e ad assicurargli uno standard di vita tendenzialmente
analogo a quello goduto in costanza di convivenza dei genitori (Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2012, n.
785).
Nel caso concreto è stato provato che la figlia delle parti sig.na L.A. è occupata mediante un contratto
di apprendistato professionalizzante presso la soc. B., a cui è applicato il CCNL Distribuzione
Moderna Organizzata (cfr. doc. 6 parte resistente – Piano formativo individuale).
In base a quanto stabilito dall’art. 41 del D.Lgs. del 15 giugno 2015, n. 81, il contratto di apprendistato
professionalizzante è un contratto di lavoro a tempo indeterminato e tale veniva definito anche
dall’art. 1 del D.Lgs. del 14 settembre 2011, n. 167 (in tal senso anche la Giurisprudenza di legittimità:
Cassazione civile sez. lav., 13/07/2017, n.17373).
A seguito dell’avvenuto deposito della busta paga di L.A. è inoltre emerso che la retribuzione della
medesima riferita al mese di gennaio 2021, ammonta ad euro Euro 710,00 netti mensili; dalla
Certificazione Unica relativo all’anno 2020 di L.A., depositata in atti, risulta un reddito di Euro
10.639,52 relativo al periodo dal 09/03/2020 (data di assunzione) al 31/12/2020. Poiché la retribuzione
sopra indicata era riferibile ad un periodo di circa dieci mesi, la retribuzione media mensile è
pertanto di circa 1.060 euro.
Ad avviso del Tribunale la natura del contratto e la retribuzione percepita dalla figlia sig.na L.A. –
nei termini sopra indicati – sono elementi sufficienti a garantire alla medesima l’indipendenza
economica.
La Giurisprudenza di legittimità ha stabilito che: “il diritto del coniuge separato di ottenere un
assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo
abbia iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una
adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad
opera del genitore” (Cassazione civile sez. VI, 14/03/2017, n.6509).
A ciò consegue l’accoglimento della domanda del ricorrente Sig. L. di cessazione dell’obbligo di
corrispondere il mantenimento e il rimborso delle spese straordinarie della figlia L.A..
Relativamente all’altra figlia maggiorenne L.N., il ricorrente Sig. L. chiede che l’ammontare
dell’assegno di mantenimento sia confermato in Euro 175,00 mensili, come da condizioni di
separazione, e che il contributo per le spese straordinarie sia determinato in ragione del 50% delle
medesime; la resistente chiede che il contributo al mantenimento sia aumentato ad Euro 200,00
mensili.
Ritiene il Tribunale che la somma determinata in Euro 150,00 nell’anno 2013 debba ora essere
rideterminata in Euro 200,00 mensili stante le aumentate esigenze della figlia rispetto al momento
della separazione, con attribuzione delle spese straordinarie nella misura del 50% in capo a ciascun
genitore secondo i criteri indicati dal Protocollo in vigore presso il Tribunale di Alessandria.
Sull’assegnazione della casa coniugale.
La resistente abita nella casa coniugale con le figlie fin dal momento della separazione omologata
nel 2013.
Appare pertanto adeguato il mantenimento della situazione consolidatasi nel tempo e quindi
l’assegnazione della casa coniugale alla resistente fino a quando le parti non decideranno di porre in
vendita l’immobile di cui sono comproprietari.
Sul contributo al mantenimento del coniuge.
L’assegno di mantenimento dovuto al coniuge in caso di separazione è considerata la proiezione
degli obblighi di mantenimento reciproci derivanti dal matrimonio (art. 143 c.c.), nonché
estrinsecazione del generale dovere di assistenza materiale, che permane anche dopo la cessazione
della convivenza: la separazione, infatti, instaura un regime che tende a conservare quanto più
possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi,
con il tipo di vita di ciascuno dei coniugi (Cass. civ. sez. I, 20 febbraio 2013, n.4178, cfr. anche Cass.
Civ. Sez I, 16 maggio 2017, n. 12196).
Ai sensi dell’art. 156 c.c., dunque, il giudice, per stabilire se e in quale misura sia dovuto il contributo
per il coniuge, deve compiere una serie di passaggi consequenziali:
a) verificare la non addebitabilità della separazione al richiedente;
b) valutare il tenore di vita in costanza di convivenza, che costituisce il parametro per
l’inadeguatezza dei redditi del richiedente;
c) accertare, comparativamente, le disponibilità economiche delle parti;
d) valutare le altre circostanze che, ex art. 156 comma 2 c.c., ai fini della quantificazione in concreto
dell’importo mensile dovuto.
Si tratta di una serie di operazioni, certamente non solo aritmetiche, di per sé difficili ma rese ancora
più complesse dai numerosi mutamenti della realtà sociale (aumento dei coniugi che ricostituiscono
un nuovo nucleo familiare; persistenza della capacità lavorativa differenziata in base al sesso;
aumento del numero delle convivenze more uxorio; maggior intervento delle famiglie di origine)
che impongono all’operatore un’attenta valutazione complessiva e al contempo analitica di tutti i
fattori che possono portare all’imposizione di un contributo al mantenimento da un coniuge all’altro.
Una volta stabilito che il coniuge non è responsabile della frattura coniugale e che non ha redditi
sufficienti a fargli mantenere un tenore di vita analogo (ma non necessariamente identico) a quello
goduto in costanza di convivenza, il giudice procede alla valutazione comparativa dei mezzi a
disposizione di ciascun coniuge e delle altre circostanze In questa analisi entrano in gioco tutti i
fattori di carattere economico o suscettibili di valutazione economica (Cass. Civ. Sez. VI, 24 giugno
2019, n. 16809; Cass, civ. Sez VI, 15 febbraio 2018, n.3709): reddito al netto della fiscalità (Cass. Sez
VI, 31 maggio 2018, n. 13954) e patrimonio. All’esito di tale valutazione complessiva, se sussiste
sproporzione tra le parti, il giudice procederà alla determinazione dell’assegno.
Nel caso concreto, tuttavia, non appare contestato che la resistente Sig.ra D. da tempo convive
stabilmente con altra persona, avendo con la medesima costruito un nuovo nucleo familiare,
caratterizzato per i connotati della stabilità, continuità e regolarità (cfr. memoria integrativa del
05/01/2021, ove si afferma testualmente: “Se è vero che la moglie ha instaurato una convivenza “more
uxorio”, mai negata, è anche vero che dall’unione è nato un altro figlio …”).
Nel caso concreto, pertanto l’assegno di contributo al mantenimento già disposto in favore della
resistente sig.ra D. al momento della separazione deve essere revocato.
Sulle spese del giudizio
Le spese del giudizio – in considerazione dell’accoglimento della congiunta istanza di cessazione
degli effetti civili del matrimonio e della parziale soccombenza di entrambe le parti su alcuni aspetti
del procedimento – devono essere compensate fra le parti..
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita,
così dispone:
dichiara
la cessazione degli effetti civili del matrimonio celebrato in data 18/05/1997 dal Sig. L.F. e dalla Sig.ra
D.B. in S. (A.), registrato presso il Comune di SALE (AL) al n. 2, Serie A, Parte II, Anno 1997,
statuendo che la moglie perda il cognome del marito che aveva aggiunto al proprio a seguito del
matrimonio.
Manda all’Ufficio di Stato civile del Comune di SALE (AL) per i provvedimenti di competenza.
dispone
a carico del ricorrente L.F. un contributo mensile di Euro 200,00 da pagarsi entro il giorno 5 di ogni
mese con rivalutazione annuale ISTAT a titolo di concorso al mantenimento della figlia N. divenuta
maggiorenne, ma non ancora economicamente autosufficiente con attribuzione delle spese
straordinarie nella misura del 50% in capo a ciascun genitore secondo i criteri indicati dal Protocollo
in vigore presso il Tribunale di Alessandria;
revoca
l’obbligo in capo al padre di contribuire al mantenimento in favore della figlia A. essendo divenuta
maggiorenne ed economicamente indipendente.
assegna
la casa coniugale alla resistente sig.ra D.B.
revoca
l’obbligo in capo al ricorrente di contribuire al mantenimento in favore della resistente sig.ra D.B.
Dichiara
Non luogo a provvedere con riferimento alle altre richieste delle parti.
Spese compensate.

Salvaguardare il nucleo familiare adottivo del minore.

Tribunale per i Minorenni di Sassari 18 gennaio 2022
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Nella procedura di adozione della minore Omissis, nata omissis,
da parte di Omissis, rappresentato e difeso dall’avv. Omissis del
Foro di Omissis
Conclusioni delle parti
Ricorrente: “ farsi luogo all’adozione della minore Omissis da
parte del ricorrente, con l’aggiunta del proprio cognome Omissis,
posponendolo a Omissis; accertarsi e dichiararsi il legame di
parentela della suddetta minore con gli ascendenti e i parenti tutti
del ricorrente”
PMM intervenuto: “parere favorevole all’adozione; denegare la
competenza a decidere del Tribunale per i Minorenni in materia di
riconoscimento del legame parentelare della minore con gli
ascendenti e i parenti del ricorrente”
FATTO E DIRITTO
Con ricorso depositato il 10.9.2021 il ricorrente chiede l’adozione
della minore Omissis, figlia del proprio compagno di vita, Omissis
(unico genitore), deducendo la sua integrale condivisione rispetto al
progetto genitoriale condotto da quest’ultimo, che ha sostenuto sin
da quando, nel corso del 2019, ha deciso di recarsi negli Stati Uniti
per divenire padre in esito ad un procedimento di “gestazione per
conto di altri”, con il quale convive in Omissis unitamente alla piccola
Omissis, al cui sostentamento quotidiano contribuisce in misura
paritaria con il padre, sia affettivamente che finanziariamente, tanto
che la bambina, a suo dire, riconosce di avere “due pap à”. Dà conto,
ulteriormente, dell’intenzione di unirsi civilmente con il Omissis nel
corso del 2022.
Il padre dell’adottanda, tanto a mezzo di atto di esplicito assenso
scritto allegato al ricorso, quanto verbalmente in udienza, presta il
proprio consenso alla domanda di adozione, confermando quanto
dedotto dal Omissis in merito alle scelte di organizzazione familiare
assunte dai due uomini.
La relazione di approfondimento elaborata dal servizio sociale di
Omissis ulteriormente conferma quanto esposto dal ri corrente,
chiarendo che il rapporto fra questi e la minore appare improntato
alla fiducia e alla disponibilità reciproche, trattandosi di una relazione
“gratificante per entrambi che presuppone la costruzione di un
rapporto sicuro e organizzato ”.
A carico del ricorrente, in base agli accertamenti effettuati, non
risultano specifici pregiudizi (informativa Carabinieri di Omissis del
26.10.21).
Gli elementi fattuali appena esposti inducono univocamente a
ritenere sussistente un profondo legame affettivo fra i l ricorrente e
l’adottanda, piuttosto simile a quello esistente fra un genitore e il
proprio figlio. La circostanza che Omissis abbia sempre vissuto, sin
dalla nascita, il signor Omissis quale figura paritetica rispetto al
padre giustifica l’accoglimen to della domanda di adozione proposta,
proprio perché, nell’attuale sistema giuridico, è l’adozione in casi
particolari a rispondere a specifiche esigenze di riconoscimento legale
di rapporti affettivi così intensi dal confinare con la genitorialità
strettamente intesa. Ciò, per espressa previsione normativa
(appunto, art. 44 lett. D l. 184/83) , indipendentemente dalla
sussistenza delle condizioni proprie dell’affidamento preadottivo (che
è il presupposto dell’adozione legittimante) e, sulla base di una
giurisprudenza ormai solida (Cass. 12962/2016) , anche qualora
l’adottante sia partner del genitore dell’adottando nell’ambito di una
relazione omoaffettiva , la quale (come diffusi studi scientifici
chiariscono) sotto il profilo del sentimento verso i figli in nulla
differisce rispetto alle famiglie basate su unioni eterosessuali.
Del pari, merita accoglimento la domanda di posposizione del
cognome dell’adottante a quello già proprio della minore Omissis.
Ritiene il Tribunale che sia oggi superata l’inte rpretazione
tradizionale del combinato disposto degli artt. 55 L. n. 184/83 e 299
c.c. che prevedeva, nelle ipotesi di adozione ex art. 44 L. n.
184/1983, regole rigide e automatiche di attribuzione del cognome.
La giurisprudenza tradizionale aveva ritenu to che : “ In ipotesi di
adozione del figlio del proprio coniuge ai sensi dell’art. 44, lett. b) l.
4 maggio 1983 n. 184 (ma la situazione non è diversa nell’ipotesi di
adozione ex art. 44 lett.d), stante il richiamo contenuto nel
successivo art. 55 della stessa legge, trova applicazione l’art. 299
c.c., l’adottato che sia figlio naturale riconosciuto dai propri genitori
non assume il solo cognome dell’adottante ma antepone tale
cognome al proprio cognome di origine, non essendo prevista per
tale ipotesi, alla stregua del tenore letterale della norma, alcuna
deroga alla regola del doppio cognome fissato dal comma 1 del
menzionato art. 299, regola che, peraltro, costituisce conseguenza
del principio, caratterizzante l’adozione del maggiorenne e quella del
minorenne nei casi particolari previsti dal cit. art. 44 della l. n. 184
del 1983, secondo cui l’adottato conserva tutti i diritti e doveri verso
la sua famiglia di origine ” (Cassazione civile , sez. I , 19/08/1996 ,
n. 7618).
L’equiparazione, ai fini degli e ffetti sul cognome tra adottato
maggiorenne e adottato ex art. 44 L. n. 184/83 risente
dell’impostazione secondo la quale l’adozione in casi particolari era
stata concepita come un’adozione da distinguere rispetto a quella
legittimante proprio perch é veniva pronunciata in situazioni che
rendevano impossibile l’adozione piena e mantenevano i rapporti con
la propria famiglia d’origine. Il mantenimento del doppio cognome
risentiva di tale impostazione e, ad avviso di questo Giudice,
rappresentava un segnale al l’esterno e nella costruzione della propria
identità personale dell’appartenenza a due famiglie, quella adottiva e
quella biologica.
Nel caso in esame è evidente che non vi è l’esigenza di tutelare
una famiglia d’origine diversa da quella adottiva o il sen so di
appartenenza a due famiglie perch é l’unica famiglia della minore è
quella composta dalla coppia Omissis.
Relativamente ai richiesti accertamento e consequenziale
dichiarazione del legame familiare fra l’adottanda e i parenti ed
ascendenti del ricorrente, in sede di udienza il PMM, intervenuto, ha
eccepito l’incompetenza del Tribunale per i Minorenni , trattandosi di
materia non espressamente indicata tra quelle di cui all’articolo 38
delle disposizioni attuative del codice civile, che regola
fondamentalmente il riparto di competenza tra i plessi giurisdizionali
minorile ed ordinario.
L’eccezione è rigettata: a ben vedere, infatti, il riconoscimento
del legame parentelare fra adottando e famiglia dell’adottante
equivale a una mera conseguenza dell a pronuncia di adozione, in altri
termini costituisce una specificazione dei contenuti dell’istituto ad
oggetto della domanda principale. Ne discende che l’organo
giurisdizionale competente a conoscere della domanda di adozione
(pacificamente il Tribunale per i Minorenni) è, in astratto, anche
competente a pronunciarsi in senso dichiarativo relativamente a ogni
effetto ad essa correlato, considerat i da un verso l’intima
connessione dell’accertamento richiesto rispetto alla domanda
principale, dall’altro i b asilari principi di concentrazione delle tutele
ed economia processuale.
Nel merito, il Tribunale ritiene che l’adozione in casi particolari di
cui all’articolo 44 lettera D della legge 184/1983 allo stato attuale
comporta, quale suo effetto naturale, l’es tensione dei legami familiari
dell’adottante anche al soggetto adottato.
In proposito, l’articolo 55 della legge 184 del 1983 testualmente
dispone l’applicabilità, all’adozione in casi particolari, dell’articolo
300 del codice civile. Trattasi di disposizi one che regola l’adozione di
maggiorenni, prevedendo, al suo secondo comma, che “ l’adozione
non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia
dell’adottato, né tra l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le
eccezioni stabilite dalla legge ”.
La più recente legge 219 del 2012 ha tuttavia modificato
l’articolo 74 del codice civile, che attualmente stabilisce: “ la
parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso
stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’intern o del
matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel
caso in cui il figlio è adottivo ”. Unica, espressa ed inequivocabile
eccezione, è rappresentata dall’ipotesi di adozione di maggiorenni.
A giudizio del Tribunale, la nuova dispos izione normativa ha
determinato l’abrogazione implicita dell’articolo 55 della legge 184
del 1983, nella parte in cui rimanda all’applicabilità del predetto
articolo 300 del codice civile. Tale interpretazione , oltre a collimare
con il dato strettamente le tterale (che esclude dall’orizzonte di tutela
del legame parentelare solo l’adozione di maggiorenni ), poggia
inoltre su più profonde considerazioni di ordine teleologico e storico –
sistematico.
Il nuovo articolo 74 del codice civile , infatti, risponde alla storica
esigenza di eguagliare legami familiari di genesi differente (intra o
extra matrimoniale, oppure adottiva), rispetto ai quali non si
ravvisano tuttavia differenze di intensità sentimentale, assistenziale
e valoriale quanto al rapporto adulto -soggetto minorenne,
realizzando così appieno, in ambito familiare, il concetto di
eguaglianza dello status di figlio direttamente discendente
dall’articolo 3 della Costituzione. E’, pertanto, una regola generale
volta alla tutela del soggetto minore indipendente mente dalla forma
del proprio contesto di riferimento, a condizione che si tratti,
appunto, di un contesto familiare .
Parallelamente , vale osservare come anche l’istituto
dell’adozione in casi particolari, pur rimanendo formalmente
immutato nel testo della legge 184 del 1983, ha sostanzialmente
mutato la propria strumentalità giuridica nel corso di quasi quattro
decenni.
Inizialmente, infatti, esso corrispondeva a una sola esigenza :
rivestire di dignità giuridica peculiari rapporti esterni alla famiglia di
origine del minore . Essa, ricalcante le ragioni del riconoscimento
dell’adozione del maggiorenne, ha giustificato il rinvio alle norme di
riferimento di quest’ultimo istituto. Progressivamente, tuttavia,
l’adozione in casi particolari ha assunto un significato del tutto nuov o
e collaterale: garantire una tutela legale del minore appartenente ad
un nucleo familiare non diversamente riconosciuto dall’ordinamento
(a titolo esemplificativo in ipotesi di adozione da parte del single
unico punto di riferimento de l minore o, come nel c aso di specie, di
una delle componenti di famiglia a base omoaffettiva che abbia
sempre, di fatto, svolto un ruolo cogenitoriale nell’interesse del
minore).
Come si intuisce, alla base di tale nuova strumentalità giuridica
dell’adozione in casi particolari sta proprio la finalità di riconoscere e
salvaguardare senza differenze il nucleo familiare di riferimento del
minore, che corrisponde esattamente allo stesso scopo che ha indotto
il Legislatore a parificare la filiazione adottiva (d a intendersi, qu indi,
qualsiasi forma di filiazione adottiva minorile) attraverso la riforma
dell’articolo 74 del codice civ ile, che si differenzia ormai dall’analogia
istituzionale con l’adozione del maggiorenne.
In quest’ottica, l’applicazione dell’artic olo 300 del codice civile
all’adozione in casi particolari del minore del quale sia legittimato il
nucleo familiare di riferimento risulta incompatibile con i principi di
pari dignità attualmente garantiti appieno dal sistema giuridico
italiano, dovendosene ritenere l’abrogazione, ai sensi dell’articolo 15
delle disposizioni sulla legge in generale (cosiddette Preleggi) .
Per Questi Motivi
Visto l’articolo 44 comma 1 lettera D della legge 4 maggio 1983
n. 184
1) Dichiara farsi luogo all’adozione di Omissis, nata omissis, da
parte di Omissis, con il conseguente effetto dell’estensione dei
legami di parentela dell’adottante in capo all’adottata ;
2) Dispone che la suddetta minore posponga il cognome Omissis a
quello attuale così da acquisire il cognome “ Omissis”;
3) Nulla sulle spese.
Si comunichi al PM, al ricorrente, al padre della minore
(Omissis), all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Omissis
per la trascrizione nei registri dello stato civile.

Notificazioni e accertamento della irreperibilità: non è sufficiente la mancanza del nominativo del destinatario sul citofono di casa

Cass. Civ., Sez. I, Ord., 27 gennaio 2022, n. 2530; Pres. Cristiano, Rel. Cons. Fidanzia
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16281/2017 proposto da:
E.S., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,
rappresentata e difesa dall’avvocato V. R., giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
B.L., elettivamente domiciliato in Roma, presso lo studio dell’avvocato G.A., che lo rappresenta e
difende unitamente all’avvocato F. B., giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
Pubblico Ministero in persona del Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello
di Firenze;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2141/2016 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 21/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/12/2021 dal cons. Dott.
ANDREA FIDANZIA.
Svolgimento del processo
CHE:
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza pubblicata il 21.12.2016, ha rigettato l’appello proposto
da E.S. avverso la sentenza del Tribunale di Arezzo che, nella dichiarata contumacia dell’allora
convenuta, aveva pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio da lei contratto con
B.L. ed aveva revocato l’assegno di mantenimento stabilito, a carico di quest’ultimo, dalla sentenza
di separazione personale dei coniugi.
La Corte d’Appello, premesso che il gravame era stato avanzato ben oltre il termine lungo semestrale
di cui all’art. 327 c.p.c., ha disatteso la prospettazione della sig.ra E. secondo cui la notifica del ricorso
introduttivo del giudizio di primo grado e del decreto di fissazione d’udienza innanzi al Tribunale di
Arezzo effettuata nei suoi confronti era nulla.
In particolare, il giudice di secondo grado ha ritenuto valida la notifica del ricorso in oggetto, eseguita
l’8.4.2014 ai sensi dell’art. 143 c.p.c., sul rilievo che l’ufficiale giudiziario, avendo personalmente
accertato, in occasione di un precedente tentativo di notifica del febbraio 2014, che il nominativo
dell’appellante non figurava “sui campanelli nè sulle cassette postali” dell’indirizzo di residenza,
aveva correttamente dichiarato l’irreperibilità della destinataria.
La Corte d’Appello ha, invece, dichiarato nulla la notifica dell’ordinanza ammissiva dell’interrogatorio
formale della E. – parimenti disposta a norma dell’art. 143 c.p.c., – in quanto effettuata il 28.10.14 in
difetto di un nuovo sopralluogo, non potendo l’ufficiale giudiziario basarsi, ai fini dell’accertamento
della irreperibilità, sull’esito di quello precedente, avvenuto ben sei mesi prima, dato che in tale
periodo di tempo la situazione di fatto avrebbe potuto essere mutata.
Ciò premesso, la corte territoriale ha ritenuto ammissibile l’impugnazione tardiva, ai sensi dell’art.
327 c.p.c., comma 2, ma ha dichiarato inammissibile la domanda di riconoscimento di un assegno
divorzile, siccome proposta dalla sig.ra E. per la prima volta in grado di appello, sul duplice rilievo
che l’appellante aveva volontariamente deciso di rimanere contumace nel giudizio di primo grado e
che, anche ove fosse stata posta nelle condizioni di presentarsi in Tribunale per rendere
l’interrogatorio formale, non avrebbe potuto più introdurre tardivamente tale domanda dinanzi al
primo giudice.
E.S. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidandolo a quattro motivi.
B.L. ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
CHE:
1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 143 c.p.c.
La ricorrente lamenta che la corte del merito abbia ritenuto valida la notifica, in data 8 aprile 2014,
del ricorso introduttivo del giudizio e del decreto di fissazione dell’udienza dinanzi al Tribunale di
Arezzo, ancorchè eseguita nei suoi confronti senza una previa ricognizione dei luoghi, fondandosi la
valutazione di irreperibilità dell’ufficiale giudiziario su un sopralluogo avvenuto presso la sua
abitazione ben due mesi prima (esattamente il 7 febbraio 2014); deduce inoltre che non è sufficiente
ai fini dell’accertamento della irreperibilità, a norma dell’art. 143 c.p.c., la mancanza del nominativo
di un soggetto sul citofono o sulla cassetta postale del luogo di abitazione, dovendo comunque
l’ufficiale giudiziario raccogliere informazioni da altre persone presenti in loco.
2. Il motivo è fondato sotto entrambi i profili illustrati.
Va in primo luogo rilevato che, secondo quanto emerge proprio dalla lettura della sentenza
impugnata, l’ufficiale giudiziario l’8.4.2014 ha proceduto alla notifica col rito degli irreperibili senza
neppure recarsi presso l’abitazione della ricorrente, ma basandosi sull’esito di un precedente accesso,
effettuato in febbraio. Se ne deduce che la corte del merito – che pure ha ritenuto nulla la notifica ex
art. 143 c.p.c., dell’ordinanza che aveva disposto l’interrogatorio formale della E. perchè non
preceduta da un sopralluogo abbia supposto, del tutto erroneamente, che la validità/invalidità di una
notificazione eseguita ai sensi della norma predetta solo perchè è già stata in passato effettuata
un’infruttuosa ricerca del destinatario presso la propria abitazione, dipenda dalla durata (più o meno
lunga) del periodo di tempo intercorso fra il primo e il secondo tentativo.
Va aggiunto che questa Corte, nella sentenza n. 11138/2003, ha già enunciato il principio di diritto,
secondo cui, “non sussistendo per legge alcun obbligo, per i soggetti giuridici, di indicare il proprio
nominativo sui citofoni o sulla cassetta postale del luogo di abitazione, l’ufficiale giudiziario, ove
verifichi, in uno stabile privo di portiere, l’assenza del nominativo del soggetto destinatario della
notifica in corrispondenza dell’interno che il richiedente indica quale luogo di residenza, e ove constati
la presenza, invece, del nominativo di altri soggetti i quali risultino momentaneamente assenti, deve
procedere comunque alla notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c., e non può limitarsi invece – tanto più in
un ampio e moderno contesto urbano – a stendere una relazione negativa, neppure ove fondata sulle
informazioni negative delle altre “persone del luogo””(vedi anche Cass. n. 6761/2004).
Nella più recente sentenza n. 19012/2017 questa Corte, nel ritenere legittima la notificazione
effettuata ai sensi dell’art. 143 c.p.c., ad un destinatario, il cui nominativo non era stato rinvenuto sui
citofoni e neppure sulle cassette postali, aveva valorizzato la circostanza che l’ufficiale giudiziario
aveva attestato di aver raccolto informazioni negative, circa la reperibilità in quel luogo del
destinatario dell’atto, dai residenti interpellati.
Nella sentenza n. 8638/2017, questa Corte, sempre in tema di notificazione ex art. 143 c.p.c., ha
enunciato il principio di diritto secondo cui l’ufficiale giudiziario, ove non abbia rinvenuto il
destinatario nel luogo di residenza risultante dal certificato anagrafico, è tenuto a svolgere ogni
ulteriore ricerca ed indagine dandone conto nella relata, dovendo ritenersi, in difetto, la nullità della
notificazione. In particolare, nel caso concreto esaminato dalla predetta sentenza, questo giudice di
legittimità ha cassato la sentenza impugnata che aveva ritenuto la regolarità di una notifica eseguita
ex art. 143 c.p.c., semplicemente sulla base dell’assenza del nominativo della destinataria sul citofono
dell’indirizzo di residenza anagrafica, trascurando di rilevare che la dicitura “famiglia” seguita da altro
cognome, presente sullo stesso citofono, corrispondeva effettivamente alla residenza della
destinataria, essendo quel cognome riferibile al defunto marito.
Alla luce del contenuto delle sentenze sopra menzionate, emerge in modo inconfutabile che questa
Corte non ha mai ritenuto sufficiente, ai fini della valutazione positiva di irreperibilità del destinatario
della notifica, ai sensi dell’art. 143 c.p.c., il mero mancato rinvenimento del nominativo del
notificando sui citofoni e neppure sulle caselle postali, occorrendo comunque un quid pluris che,
secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, deve quantomeno consistere nella raccolta, da
parte dell’ufficiale giudiziario, di specifiche informazioni in loco sul destinatario dell’atto dai residenti
interpellati.
L’ufficiale giudiziario che, una volta verificata la mancanza del nominativo del notificando sui
citofoni e sulle cassette postali, si astenga dal compiere ogni ulteriore ricerca ed indagine,
quantomeno nei termini sopra illustrati, viene senz’altro meno al suo dovere di “normale diligenza”
nello svolgimento dell’attività notificatoria.
La sentenza impugnata deve essere quindi cassata e, versandosi in fattispecie di nullità della
notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, la causa va rinviata, ex art. 354 c.p.c., al Tribunale di
Arezzo in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
3. Restano assorbiti i restanti motivi di ricorso, con i quali la ricorrente propone la questione di nullità
sotto i distinti profili del vizio di motivazione apparente e/o contraddittoria, e denuncia inoltre la
violazione e/o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 10 in relazione agli artt. 293
e 153 c.p.c.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto e rinvia al Tribunale di Arezzo, in diversa composizione, per nuovo esame
e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omessi i nominativi e gli altri
dati identificativi delle parti.

Le scelte di vita comune rilevano in funzione perequativa.

Tribunale di Verona, est. Bartolotti, 7 dicembre 2021
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di VERONA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. 5759/2019 R.G. promossa da:
TULLIO (C.F.), con il patrocinio dell’avv. T.C.
RICORRENT
E contro
CORNELIA (C.F.), con il patrocinio dell’avv.
R.S.
CONVENUTO
con l’intervento ex tege del
PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Verona.
OGGETTO: Divorzio contenzioso – Cessazione effetti civili
CONCLUSIONI
All’udienza del giorno 01.07.2021 le parti hanno rassegnato le seguenti conclusioni:
Parte ricorrente TULLIO:
“Disporsi a carico del TULLIO il pagamento dell’importo di € 2.900,00 mensili a titolo di assegno divorzile
a favore della sig.ra CORNELIA nonché un contributo a! mantenimento dei figli per l’importo di € 9.00,00
per ciascun figlio oltre il pagamento delle spese mediche e scolastiche dei figli sino a quando saranno
economicamente autosufficienti, con pagamento diretto agli stessi.
Respingersi integralmente tutte le domande della sig.ra CORNELIA
Vittoria dispese legali.
Addebitarsi per intero alla sig.ra CORNELIA le spese di CTU”
Parte resistente CORNELIA:
“Nel merito: […] formula espressa rinuncia a mezzo del proprio difensore, limitatamente alle sole e
singole domande inerenti alla richiesta di rimborso delle spese extra sostenute nell’interesse dei figli […];
1) dichiararsi la cessazione degli effetti civili de! matrimonio concordatario contratto dai coniugi
CORNELIA e TULLIO il giorno 30.04.1987 a Sant’Angelo (VI), matrimonio trascritto presso il comune di
Sant’Angelo (VI) n. 13; p.H; S.A., anno 1987, ordinando all’ufficiale distato civile di procedere alia
trascrizione dell’emananda sentenza sui pubblici registri anagrafici con ulteriore annotazione nei comuni
di residenza;
2) assegnarsi l’abitazione coniugale, sita a Negrar (Vr) via bosco piano n.4/D, con gli arredi e corredi ivi
presenti alla sig.ra CORNELIA, che ne è anche proprietaria, affinché vi conviva con i figli TULLIOLO e
GAIO;
3) darsi atto che i figli GAIA, TULLIOLO e GAIO sono attualmente tutti e tre maggiorenni e che pertanto
regoleranno di comune accordo con il padre le visite e gl’incontri con il medesimo;
4) farsi obbligo al TULLIO di corrispondere a CORNELIA a titolo di assegno divorzile in favore della
stessa la somma mensile di € 9.000,00= (euro diecimila/00,) in luogo di quella provvisoria attuale di €.
4.200,00= stabilita all’udienza presidenziale de! 23.10.2019, o somma diversa, maggiore o minore,
ritenuta di giustizia, che andrà rivalutata annualmente secondo gl’indici istat a decorrere dal mese di
Gennaio 2022 e da corrispondersi a mezzo bonifico bancario entro il giorno cinque di ogni mese tenuto
conto di quanto espresso […];
5) farsi obbligo A TULLIO di corrispondere a titolo di contributo al mantenimento e direttamente ai tre
figli maggiorenni: GAIA, TULLIOLO e GAIO la somma mensile di €. 900,00=(mille/00) a ciascuno in
uguale misura fino all’indipendenza economica degli stessi o somma diversa, maggiore o minore, ritenuta
di giustizia, per le motivazioni espresse nella narrativa del presente atto e successivi, somma da
rivalutarsi annualmente secondo gl’indici istat a decorrere dal mese di Gennaio 2022 e da corrispondersi
a mezzo bonifico bancario entro il giorno cinque di ogni mese;
6) disporsi l’obbligo in capo a TULLIO di contribuire direttamente ed integralmente con accollo esclusivo
al 100% in capo al medesimo, considerato il palese squilibrio di reddito tra le parti, delle seguenti spese
accessorie previste da! protocollo de! Tribunale di Verona, includendosi anche tutte le spese extra
inerenti alle auto in uso e/o proprietà dei figli maggiorenni, così come elaborate dal Consiglio Nazionale
forense in data 29/11/2017, le quali sono state inserite come spese extra obbligatorie per le quali non è
prevista alcuna concertazione, anche le spese inerenti a! bollo ed all’assicurazione de! mezzo di trasporto
[…];
In via istruttoria: […];
In ogni caso: spese di lite integralmente rifuse oltre a! 15% a titolo di rimb. Forfett. ed accessori previsti
per legge quali Iva e c.p.a.
Il Pubblico Ministero nulla ha osservato sulle conclusioni delle parti.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
1. Preliminarmente deve rilevarsi che ai sensi del novellato art. 132 c.p.c. il giudice è esonerato
dalla redazione dello svolgimento del fatto; inoltre, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., lo stesso
non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali e a confutare tutte le
argomentazioni prospettate dalle parti, ben potendosi limitare, valutate nel loro complesso le
prove acquisite nel processo e le contrapposte tesi difensive, alla indicazione dei soli elementi
posti a fondamento della decisione adottata nel caso concreto. Ancora, deve rilevarsi la legittimità
della motivazione per relationem. anche mediante il riferimento ad atti delle parti, che non può
essere considerato lesivo del principio di imparzialità e terzietà del giudice (cfr. sul punto Cass.
civ. Sez. Un. n. 642 del 16.01.2015).
In ordine alla esposizione del fatto deve quindi intendersi richiamato il contenuto degli atti
introduttivi delle parti.
2. Ciò posto, osserva il Collegio che la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio
contratto fra TULLIO e CORNELIA è già stata emessa con sentenza del Tribunale di Verona n.
206/2020 del 30.08.2020 e pubblicata in pari data.
3. Ritiene in primo luogo il Collegio di rigettare la domanda sviluppata in via istruttoria da parte
resistente con la riproposizione dei medesimi mezzi di prova (istanze ex art. 210 c.p.c. e prova
testimoniale e per interpello) già formulati nella memoria ex art. 183 comma sesto n. 2 c.p.c.,
dovendosi quivi condividere e richiamare il contenuto dell’ordinanza emessa dal giudice istruttore
in data 12.11.2020, ove è stata altresì disposta una integrazione peritale in ordine alle capacità
economiche delle parti.
Deve quindi in questa sede ribadire il Collegio che la causa risulta sufficientemente istruita a
seguito della acquisizione della relazione peritale espletata nel procedimento di separazione
personale fra coniugi e l’integrazione disposta nel corso dell’istruttoria del presente procedimento
divorzile; peraltro ulteriore documentazione è stata acquisita a seguito dell’accoglimento da parte
del giudice istruttore di istanza ex art. 210 c.p.c. della parte resistente; la causa è pertanto
certamente matura per la decisione.
4. Nel merito, osserva il Collegio che la controversia fra le parti si concentra essenzialmente sulle
questioni economiche inerenti alla determinazione quantitativa delle spese straordinarie per i figli
e dell’assegno divorzile in favore di CORNELIA, comunque non disconosciuto sotto il profilo della
sussistenza dei presupposti per il suo riconoscimento in favore della resistente, quale coniuge
economicamente più debole.
Deve quindi anzitutto recepirsi la domanda della resistente e non contestata dal ricorrente di
assegnazione della casa coniugale, di cui è peraltro già titolare del diritto di proprietà risultando
circostanza pacifica che i figli delle parti sono maggiorenni, ma non autosufficienti e che
quantomeno il figlio più piccolo Leonardo (nato in data 03.06.1996) continua a convivere con la
madre.
Parimenti deve essere accolta la domanda, comune ad entrambe le parti, di obbligo del padre
ricorrente di contribuire al mantenimento ordinario dei figli mediante versamento direttamente
in loro favore della somma di € 1.000,00 al mese, anche tenuto conto della capacità reddituale del
ricorrente TULLIO, secondo quanto di seguito precisato.
5. La resistente CORNELIA insiste per il riconoscimento dell’obbligo del padre di provvedere
altresì al 100% delle spese straordinarie da sostenersi in favore dei figli.
La domanda non è contestata in punto di determinazione quantitativa da parte del ricorrente
TULLIO, il quale, piuttosto, chiede che anche detta forma di mantenimento sia prevista
direttamente a favore dei figli; dunque con rimborsi a questi ultimi, invece che alla madre.
Nelle conclusioni della resistente non vi è, invero, una precisa domanda di versamento a sé, invece
che ai figli, sebbene il riferimento al contenuto dei provvedimenti presidenziali induca certamente
a interpretare l’istanza in tale senso.
Al riguardo reputa il Collegio che in mancanza di diverso accordo fra le parti e tenuto conto della
mancata costituzione in giudizio dei figli per conseguire in via diretta il mantenimento da parte
dell’uno o l’altro genitore, debba essere dato rilievo alla legittimazione attiva del genitore con gli
stessi conviventi.
A tale riguardo è pacifico che il figlio GAIO conviva ancora con la madre e che la figlia GAIA viva
in un diverso immobile condotto in locazione; quanto al figlio TULLIOLO, deve concludersi che lo
stesso continui a convivere anch’egli con la madre, tenuto conto dell’esplicita affermazione in tal
senso contenuta nella comparsa conclusionale della madre resistente, non oggetto di specifica
contestazione in sede di memoria di replica da parte del ricorrente.
Deve quindi disporsi che il padre provveda integralmente al pagamento delle spese straordinarie
da sostenersi nell’interesse dei figli, mediante rimborso direttamente alla figlia GAIA delle spese
da questa sostenute e mediante rimborso a favore della madre CORNELIA di quelle sostenute
nell’interesse dei figli TULLIOLO e GAIO. Il rimborso delle spese deve ritenersi regolato secondo
quanto disciplinato dal Protocollo Famiglia in uso presso il Tribunale di Verona.
6. Quanto alla domanda di assegno divorzile, occorre innanzi tutto prendere in considerazione
le rispettive capacità economiche di ciascuna parte.
Sul punto vengono in rilievo gli accertamenti eseguiti dal consulente tecnico nominato d’ufficio
nelle due relazioni peritali acquisite in causa: quella relativa al periodo di imposta 2015 – 2018,
espletata in sede di separazione e quivi prodotta con il consenso delle parti; quella relativa al
successivo periodo di imposta 2019-2020, depositata in data 16.04.2021.
Le conclusioni cui è pervenuto il c.t.u. sono dal Collegio pienamente condivise e da intendersi qui
richiamate, poiché congruamente motivate e scevre da vizi logici o argomentativi; il c.t.u. ha inoltre
puntualmente risposto alle osservazioni dei consulenti di parte con precisa e pertinente presa di
posizione su ciascun aspetto sollevato.
Devono quindi anche essere rigettate le contestazioni svolte in sede di osservazioni dalle parti,
peraltro non puntualmente richiamate né in sede di udienza, né in sede di comparsa conclusionale
e memoria di replica: rimane pertanto priva di concreta rilevanza la doglianza del ricorrente
secondo cui la clinica San Egidio, ove lo stesso svolge la propria attività professionale in ambito
medico, avrebbe annunciato lo scioglimento del contratto di collaborazione a decorrere dal
01.01.2022, avendo sul punto il c.t.u. chiarito come allo stato non vi siano elementi idonei ad
indurre a ritenere che TULLIO abbia subito o subirà nel prossimo futuro un effettivo
peggioramento delle proprie condizioni lavorative e reddituali, anche in considerazione della
prosecuzione gestionale della clinica, anche a seguito del mutato assetto proprietario, da parte di
soggetti professionali particolarmente qualificati nel settore della sanità privata accreditata.
Parimenti si rivelano irrilevanti le osservazioni del consulente di parte resistente (invero limitate a
pochi rilievi di divergenza rispetto alle conclusioni del c.t.u., per il resto pienamente condivise),
tenuto conto della puntuale motivazione offerta in risposta dal consulente d’ufficio in ordine ai
criteri di stima utilizzati per la determinazione del compendio immobiliare di BURE (Comune di
San Pietro in Cariano – VR) e in ordine alla scarsa significatività degli esborsi sostenuti dal
ricorrente con il pagamento del canone di locazione in favore della nuova compagna, signora
Sempronia, rispetto ai valori complessivi della capacità reddituale e finanziaria del ricorrente
medesimo (cfr. relazione peritale depositata in sede di separazione iscritta al n. 3567/2017 in data
04.12.2019, pp. 49 e 50, acquisita in sede di udienza presidenziale nel presente procedimento di
divorzio; cfr. relazione peritale depositata nel presente procedimento in data 16.04.2021, pp. 43-
46).
In sede di consulenza tecnica d’ufficio e a seguito di ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. sono
state infine acquisite le informazioni di rilevanza in riferimento agli assegni depositati dal
ricorrente TULLIO sul conto corrente Banca Sella cointestato con la compagna Sempronia
dovendosi ritenere che dalle movimentazioni ivi emergenti non si evincano ulteriori apprezzabili
elementi valutativi rispetto a quelli già forniti dal consulente tecnico d’ufficio.
Deve quindi darsi atto della non trascurabile sperequazione reddituali sussistente fra i coniugi.
La resistente CORNELIA risulta essere priva di occupazione lavorativa e a fronte di un patrimonio
netto di poco superiore ad € 530.000,00, rappresentato quasi esclusivamente dal valore di mercato
della casa coniugale di cui è proprietaria in via integrale ed esclusiva, gode di una capacità
reddituale di soli € 2.133,00, determinata dai proventi dei canoni di locazione dell’immobile ad
uso artigianale ubicato in Sant’Angelo (VI), di cui è comproprietà ria per la quota dei due noni
(2/9).
Il ricorrente TULLIO, invece, risulta svolgere attività medico professionale di radiologo in ambito
privatistico e può contare su un patrimonio complessivo stimato nel valore di € 1.333.078,00,
determinato dal saldo positivo di conto corrente (circa 35 mila euro), nonché dal valore di mercato
di una serie di immobili di cui è proprietario esclusivo in Comune di Sant’Angelo (VI) ed uno in
Comune di Verona e da quello del compendio immobiliare in corso di costruzione in Comune di
San Pietro in Cariano, località BURE, preso in considerazione al valore della ristrutturazione
già ultimata (per un valore complessivo di quasi 4 milioni e mezzo di euro), con detrazione
dell’ammontare complessivo dei debiti inerenti ai mutui contratti per l’operazione commerciale
(per oltre due milioni e mezzo di euro).
Il c.t.u. ha verificato una capacità reddituale da lavoro autonomo per la somma media mensile
netta di € 29.340 nel quinquennio 2015 – 2020; peraltro risulta che a decorrere dall’anno 2019 il
ricorrente ha svolto la propria professione di radiologia diagnostica anche a mezzo della società
di professionisti GGG, con sede presso la residenza del ricorrente medesimo ed avente quali soci,
oltre a TULLIO, la sua compagna Sempronia, che non risulta iscritta ad alcun albo professionale,
per la quota del 30%.
Negli anni 2019 e 2020, dunque, la corrispondente quota di utili risulta attribuita alla socia
Sempronia.
Il c.t.u. ha inoltre dato conto del rilevante incremento dei compensi professionali conseguiti
nell’anno 2019, rispetto agli anni precedenti (€ 690.914,00 rispetto alla media di € 573.512,00 del
periodo 2015 – 2018) e della successiva contrazione nel 2020 (€ 605.044,00) quale effetto delle
restrizioni disposte per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da sars covid – 19,
riassestandosi, per quest’anno, sui valori del 2018 (€ 614.909,00), con un incremento generale nel
biennio 2019 – 2020 rispetto al periodo precedente del 7,27%; anche il reddito netto professionale
risulta aumentato, in crescita del 3,66% nell’ultimo biennio 2019-2020 rispetto al periodo
antecedente (2015 – 2018).
Per l’ultimo biennio 2019 – 2020, il c.tu. ha dunque valutato un reddito lordo per la somma di €
538.000,00 annui da attività libero professionale, nonché per la somma di € 33.500,00 dalla
locazione degli immobili ubicati in Sant’Angelo e Verona, per una capacità reddituale netta
complessiva di € 324.600,00, pari alla somma di € 27.050,00 al mese (p 27 e 28 elazione peritale).
La quota reddituale ritraibile dall’attività svolta per mezzo della società fra professionisti GGG ed
attribuita a Sempronia nell’ambito della ripartizione degli utili per la quota del 30% è stata
calcolata dal c.t.u. nella somma media netta di € 75.717,00 per gli anni 2019 – 2020, pari ad un
importo netto mensile di € 6.143,00.
Reputa il Collegio che anche detto valore reddituale debba essere considerato quale espressione
della capacità economica del ricorrente TULLIO tenuto conto dei precisi rilievi svolti dal c.t.u. in
ordine alla assenza di iscrizioni della socia a qualsivoglia albo professionale ed alla mancata
indicazione dell’apporto effettivo di questa all’esercizio dell’attività sanitaria svolta mediante la
società GGG (p. 26 relazione peritale).
Devono essere quivi pienamente condivise anche le ulteriori osservazioni del c.t.u. in ordine alla
capacità lavorativa e reddituale futura del ricorrente.
Dunque, deve concludersi che allo stato non vi siano elementi per ipotizzare un rischio effettivo e
concreto che il ricorrente possa subire una contrazione dei propri redditi professionali nel corso
del 2022 e comunque del prossimo futuro, tenuto conto della stabilità dei valori accertati nel corso
degli anni, della prosecuzione della gestione della clinica San Egidio da parte di un operatore
sanitario, con conseguente verosimile continuazione dei rapporti professionali già in essere,
nonché della contingenza delle cause di contrazione del fatturato nel corso dell’anno 2020,
inevitabilmente connessa alle restrizioni adottate in quel periodo sulla libertà di movimento delle
persone per contrastare l’andamento della crisi pandemica, già allentate nel corso del 2021 e
ragionevolmente destinate a non essere ripetute, quantomeno con medesimo rigore ed
estensione, nel prossimo futuro, anche grazie alla campagna vaccinale nel frattempo avviata.
Quanto agli ulteriori redditi di cui il ricorrente potrà godere dall’investimento immobiliare in corso
di esecuzione in località BURE grazie alla percezione dei canoni locatizi delle unità immobiliari,
reputa il Collegio di condividere la conclusione del c.t.u. in ordine alla natura potenziale di detta
fonte reddituale; il valore di redditività netta stimata dal c.t.u. in € 79.821,00 (€ 6.651,75 al mese),
pari al 3% del valore complessivo dei dieci appartamenti (valore complessivo € 2.660.700,00) ,
ormai in corso di ultimazione (cfr. prospetto p. 15 relazione peritale) deve quindi essere
considerata quale reddito futuro, allo stato non apprezzabile ai fini della presente decisione.
Ai fini della decisione in ordine alla determinazione dell’assegno divorzile a favore della resistente
CORNELIA occorre tenere conto altresì della durata del matrimonio (oltre 32 anni, dal 30.04.1987
alla data di pronuncia del divorzio del 30.01.2020); deve tenersi conto della circostanza – affermata
dalla resistente sin dalla comparsa di costituzione e risposta e non oggetto di specifica
contestazione del ricorrente – che i coniugi risultano essersi separati una prima volta nel 1999,
riprendendo tuttavia la convivenza e quindi tornando a separarsi di fatto ad ottobre 2012; su
ricorso dell’odierno ricorrente nel corso del 2017, è stata pronunciata la sentenza di separazione
personale fra i coniugi (pubblicata in data 27.03.2018).
Dunque, a prescindere dalle rispettive allegazioni delle parti – tra loro solo parzialmente difformi
– in ordine alla effettiva durata della prima separazione e del preciso momento in cui i coniugi
hanno ripristinato la coabitazione, risulta che le stesse hanno proseguito la comunione
matrimoniale in via di fatto per circa 25 anni, prima di interrompere nuovamente e definitivamente
la convivenza.
Occorre altresì considerare le scelte comuni assunte dai coniugi nel corso della loro vita
matrimoniale; in tal senso deve valorizzarsi la circostanza affermata dalla resistente CORNELIA e
non oggetto di specifica contestazione, secondo all’inizio della vita matrimoniale, i coniugi hanno
condiviso la scelta che la moglie interrompesse il lavoro di insegnante precedentemente svolto
per occuparsi delle esigenze domestiche della famiglia e della crescita dei figli.
Pertanto, tenuto conto della funzione anche perequativa assunta dall’assegno divorzile ai sensi
dell’art. 5 comma sesto Legge 898/1970, va rilevato come la odierna resistente, lasciando il lavoro
sin dall’inizio del matrimonio ed occupandosi essenzialmente dei bisogni quotidiani comuni e dei
figli, abbia compiuto in accordo con il marito, o in ogni caso con la sua concludente tacita
accettazione, una scelta di vita improntata a rinunciare ad una propria autonomia reddituale per
dedicarsi completamente alla cura delle comuni esigenze familiari e domestiche (sul rilievo del
contributo offerto non soltanto alla formazione del patrimonio comune o personale dell’ex
coniuge, bensì anche alla conduzione della vita familiare, cfr. da ultimo Cass. civ. sez. I, ordinanza
n. 5603 del 28/02/2020).
Quanto alle ragioni della decisione non emergono dagli atti specifici elementi valutativi degni di
rilievo, anche tenuto conto dell’abbandono della procedura di separazione successivamente alla
pubblicazione della sentenza non definitiva limitata allo status.
Allo stato deve darsi atto di come la resistente, pur in assenza di motivi di inabilità lavorativa e
sebbene munita di una competenza professionale quale insegnante, si trova ragionevolmente in
una condizione di difficoltà a reperire una occupazione idonea a garantirle mezzi adeguati per
provvedere autonomamente alle proprie esigenze, tenuto conto del lungo periodo di inattività
professionale a seguito delle scelte comunque accettate dai coniugi in corso di convivenza,
nonché protratte anche a seguito della crisi coniugale, con l’accordo originariamente raggiunto
fra le parti per un assegno di mantenimento di € 2.500,00 in favore della moglie a seguito della
interruzione della convivenza dell’ottobre 2012, tenuto conto dell’età della resistente (nata in data
14.05.1960), ormai sessantaduenne e della sfavorevole congiuntura economica del paese a
seguito del lungo periodo di emergenza pandemica, non ancora concluso, che ha notoriamente
influito sui livelli occupazionali, specialmente a danno della donna.
Pertanto, tenuto conto degli elementi valutativi evidenziati, tenuto conto della notevole
sperequazione reddituale fra i coniugi, considerato altresì che la resistente CORNELIA si trova
anche per età, oltre che per scarsa esperienza professionale, di fatto mai maturata, in una
condizione di verosimile difficoltà a reperire una occupazione remunerativa, tenuto conto infine
degli accordi presi dalle parti in occasione della definitiva interruzione della convivenza nel corso
del 2012 e negli anni a seguire fino alla proposizione del ricorso per separazione personale
nell’anno 2017, in cui i coniugi hanno valorizzato la già indicata sproporzione fra le capacità
lavorative e reddituali di ciascuno, reputa equo il Collegio riconoscere un assegno di divorzio a
favore di CORNELIA che si ritiene di dover fissare nella somma mensile di € 5.900,00 al mese, a
decorrere dalla data emissione della presente sentenza e , dunque, dal mese di dicembre 2021 e
successivamente entro il giorno 5 di ogni mese.
Le spese di lite devono essere integralmente compensate fra le parti in ragione della reciproca
soccombenza.
Reputa invece il Collegio di porre le spese relative al compenso del consulente tecnico di ufficio
per l’integrazione peritale disposta nel presente procedimento definitivamente a carico del
ricorrente TULLIO in considerazione della circostanza che la necessità di indagini reddituali è stata
essenzialmente determinata dalla natura dell’attività dallo stesso esercitata anche in forma
societaria, tale da richiedere precisi accertamenti contabili, tenuto conto altresì dei rilievi svolti in
ordine alla riconducibilità al medesimo TULLIO anche della quota reddituale della società PIESSE
SS invece dallo stesso attribuita a Tullia nonché della necessità di una attenta valutazione delle
complessive capacità economiche del medesimo ricorrente anche sul piano patrimoniale, estesa
alla verifica della entità e potenzialità del compendio immobiliare in corso di costruzione in
Comune di San Pietro in Cariano, località BURE.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando nel procedimento di divorzio dei coniugi TULLIO
CORNELIA, ogni altra istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
ASSEGNA la casa coniugale con tutti gli arredi ed i corredi alla madre CORNELIA, che vi abiterà
con i figli.
PONE a carico di TULLIO l’obbligo di corrispondere direttamente in favore di ciascuno dei figli
GAIA (nata in data 13.10.1991), TULLIOLO (nato in data 10.07.1992) e GAIO (nato in data
05.04.1996) la somma di € 900,00, a titolo di contributo al loro mantenimento ordinario, con
rivalutazione secondo gli indici ISTAT annuali.
PONE a carico di TULLIO l’obbligo di provvedere integralmente al pagamento delle spese
straordinarie da sostenersi nell’interesse dei figli secondo quanto stabilito dal Protocollo Famiglia
in uso presso il Tribunale di Verona, mediante rimborso direttamente alla figlia Rebecca delle
spese da questa sostenute, nonché mediante rimborso a favore della madre CORNELIA di quelle
sostenute nell’interesse dei figli Giuseppe e Leonardo.
PONE a carico di TULLIO l’obbligo di corrispondere in favore di CORNELIA a decorrere dal mese
di dicembre 2021 e successivamente entro il giorno 5 di ogni mese, a titolo di assegno divorzile,
la somma di € 5.900,00, con rivalutazione secondo gli indici ISTAT annuali
DISPONE che le spese di lite siano integralmente compensate fra le parti.
PONE il pagamento del compenso del c.t.u. definitivamente a carico del ricorrente TULLIO.

Giurisdizioni diverse fra domande di affidamento e mantenimento del minore.

Cass. civ., sez. I, ord. interlocutoria, 3 marzo 2022, n. 7103
Rilevato che:
1. Con decreto n. 2703/2020 pubblicato il 6-10-2020, la Corte d’Appello di Roma,
in parziale riforma del decreto reso dal Tribunale di Roma, ha dichiarato
sussistere la giurisdizione di detta Autorità giudiziaria italiana sulle sole domande
avanzate da K.E. in ordine alla determinazione dell’assegno mensile dovuto da
M.F. per il mantenimento del figlio Ma.Fe.Vi. , nato il (omissis) , alla ripartizione
fra essi genitori del costo delle spese straordinarie ed alla relativa
regolamentazione, alla messa a disposizione del figlio di un alloggio quando in
(…) con la madre. In relazione a dette domande, a mente del disposto dell’art.
353 c.p.c., la Corte d’appello ha rimandato le parti innanzi al Tribunale di Roma
con termine di tre mesi per la riassunzione della causa, confermando, per il
resto, la pronuncia con la quale il Tribunale ha dichiarato non sussistere la
propria giurisdizione sulle altre istanze formulate dalla ricorrente, nonché
dichiarando integralmente compensate fra le parti le spese di lite per entrambi i
gradi del giudizio.
2. Avverso il suddetto decreto, M.F. propone ricorso per cassazione, affidato a
tre motivi e illustrato con memoria, nei confronti del Procuratore Generale della
Repubblica presso la Corte d’appello di Roma, che è rimasto intimato, e di K.E.
, che resiste con controricorso, illustrato con memoria.
3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art.
375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..
Considerato che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione di legge e norme di
diritto in particolare della L. n. 218 del 1995, artt. 36 bis, 37 e 42 nonché dell’art.
5 della Convenzione dell’Aja del 1996 e la violazione del foro del minore e del
c.d. “principio di prossimità” e adduce che la Corte di merito, scindendo la
domanda di affidamento da quella di mantenimento del minore e ritenendo
quest’ultima non rientrante nell’ambito applicativo della Convenzione dell’Aja del
1996 ai sensi dell’art. 4 di detta Convenzione, era incorsa in numerose violazioni
di legge. In particolare il ricorrente deduce che: a) le norme citate nella sentenza
impugnata riguardano solo il criterio di scelta della disciplina sostanziale (L. n.
218 del 1995, art. 36 bis) e la giurisdizione limitatamente a questioni inerenti la
filiazione o rapporti personali tra padre e figlio (art. 37 stessa legge), mentre
nella specie oggetto del contendere è la violazione della responsabilità
genitoriale; b) erroneamente la Corte di merito ha ritenuto non applicabile la L.
n. 218 del 1995, art. 42 che riguarda la giurisdizione e la legge applicabile in
materia di protezione dei minori e che richiama la Convenzione dell’Aja,
dovendosi applicare il fondamentale principio della residenza abituale del
minore, nella specie in (…), o principio di prossimità, che prevale e deroga a tutti
gli altri principi in relazione a ogni questione inerente la responsabilità
genitoriale, come chiarito da numerose pronunce di questa Corte che richiama e
da ultimo dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23100/2019, pronunciata in una
fattispecie che assume essere simile a quella oggetto del presente giudizio; c) il
principio di prossimità riguarda la responsabilità genitoriale nella sua globalità,
e quindi anche l’obbligo di mantenimento, mentre non esiste alcuna norma di
carattere generale che consenta di derogare al foro del minore allorché la
domanda di mantenimento sia proposta separatamente da quella di affidamento,
avendo, peraltro, la madre chiesto all’autorità giudiziaria della Federazione
Russa di pronunciarsi anche sugli obblighi di mantenimento, salvo, di seguito,
rinunciare a quella domanda in corso di causa; d) l’art. 1, u.c. Convenzione
dell’Aja del 1996 espressamente definisce la responsabilità genitoriale
comprendendovi tutti i diritti, i poteri e gli obblighi dei genitori nei confronti della
persona e dei beni dei minori e, come statuito dalla giurisprudenza di questa
Corte (Cass. SU n. 24608/2019 e SU n. 30657/2018), la domanda relativa al
mantenimento del figlio ha natura accessoria rispetto a quella sulla
responsabilità genitoriale, non potendosi operare alcuna scissione della
domanda, come erroneamente effettuato dalla Corte d’appello; e) tali principi
erano stati ribaditi anche in relazione ai regolamenti attuativi della Convenzione
dell’Aja di cui alla L. n. 218 del 1995, art. 45.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 218 del
1995, art. 45 che richiama, quanto alle obbligazioni alimentari nella famiglia, la
legge designata dal regolamento 2009/4/CE del Consiglio del 18 dicembre 2008
e l’art. 3, lett. d) prevede che l’autorità giurisdizionale competente, in via
esclusiva, a conoscere della domanda relativa a un obbligazione alimentare è
quella competente a conoscere dell’azione sulla responsabilità genitoriale,
qualora risulti ad essa accessoria, viste le richieste proposte dalla madre al
giudice italiano.
3. Con il terzo motivo, lamenta la violazione degli artt. 38 disp. att. c.c., art. 709
ter c.p.c. e art. 15 Reg. CE n. 2201/2003 sulla competenza a decidere
dell’affidamento e mantenimento del minore di coppie non unite da vincolo
matrimoniale. Deduce che le norme citate radicano il foro del minore per ogni
provvedimento che lo riguardi, ivi compreso quello relativo all’assegno di
mantenimento in suo favore, nel luogo di residenza abituale del minore stesso,
o comunque nel luogo in cui ha il domicilio il soggetto della cui situazione
giuridica si discute, come da giurisprudenza di questa Corte che richiama,
ribadendo che il figlio, pur se nato a (…) e avente la doppia nazionalità (italiana
e russa), ha la residenza anagrafica in Russia, dove ha sempre vissuto da quando
aveva tre mesi di età.
Ritenuto che:
1. In via pregiudiziale, deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del
ricorso sollevata dalla controricorrente, la quale assume difettare del carattere
di definitività il provvedimento impugnato. Secondo il più recente orientamento
delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U., 25774/2015), la sentenza con cui il
giudice d’appello riforma o annulla la decisione di primo grado, rimettendo la
causa al giudice a quo ex artt. 353 o 354 c.p.c., è immediatamente impugnabile
con ricorso per cassazione, trattandosi di sentenza definitiva, che non ricade nel
divieto, dettato dall’art. 360 c.p.c., comma 3, di separata impugnazione in
cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni, per tali intendendosi
solo quelle su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito che non
chiudono il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate (conf. tra le tante
Cass. 10015/2021 e Cass. 133/2017).
2. Tanto precisato, si pone, nella specie, la questione di giurisdizione in ordine
alle domande aventi ad oggetto: il mantenimento del figlio minore, che ha doppia
cittadinanza (italiana e russa) e risiede abitualmente in Russia; la ripartizione
tra i genitori del costo delle spese straordinarie; la disponibilità di un
appartamento a (…) per il soggiorno in Italia del minore, accompagnato dalla
madre.
2.1. La Corte di merito ha rilevato che le suddette domande erano state proposte
dalla madre in via autonoma rispetto alle altre pretese attinenti alla
responsabilità genitoriale, avendo già deciso il giudice russo in ordine
all’affidamento e alla collocazione del figlio, e ha ritenuto non applicabile nella
specie il principio della giurisdizione del giudice dello Stato ove il minore ha
residenza abituale (art. 5 della “Convenzione sulla competenza, la legge
applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di
responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori” stipulata all’Aja il
19 ottobre 1996, ratificata dall’Italia con la L. 18 giugno 2015, n. 101), poiché
l’art. 4 della stessa Convenzione stabilisce che “Sono esclusi dall’ambito della
convenzione…. e) gli obblighi degli alimenti….”.
La Corte territoriale, in ragione di detta esplicita esclusione, qualificate le
domande come rientranti nella categoria delle azioni a tutela degli “obblighi degli
alimenti”, ha, di conseguenza: ritenuto inapplicabile la L. n. 218 del 1995, art.
42 che rinvia alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, sostituita ratione
temporis dalla Convenzione dell’Aja del 1996; ha ravvisato sussistente la
giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana, in base a quanto previsto dalla L.
n. 218 del 1995, art. 37; e ha individuato la legge sostanziale applicabile in base
al disposto dell’art. 36 bis medesima Legge.
La Corte d’appello ha, inoltre, precisato che con la sentenza delle Sezioni Unite
di questa Corte n. 23100/2019, diffusamente richiamata dal ricorrente anche nel
presente giudizio, era stata affermata la competenza dell’Autorità giurisdizionale
svizzera a decidere anche sulla domanda di alimenti dovuti per il minore, poiché
accessoria a quella inerente la responsabilità genitoriale, in forza dell’espresso
richiamo all’art. 5, par. 2, lett. c) Convenzione di Lugano del 30.10.07, entrata
in vigore l’1.10.2010, alla quale non risulta aver aderito la Federazione Russa.
Osserva il Collegio che, nella citata sentenza delle Sezioni Unite (pag. 11), è in
effetti precisato espressamente che il fondamento della competenza del giudice
svizzero, ossia dello Stato di residenza abituale del figlio, sulla domanda di
mantenimento è la convenzione di Lugano, non il reg. CE che non può applicarsi
ad uno stato terzo, non facente parte dell’Unione Europea, quale è la Svizzera.
Inoltre, nel caso scrutinato con la citata sentenza si discuteva anche di
affidamento del figlio e di diritto di visita dei genitori, oltre che di mantenimento,
e solo in relazione a quest’ultimo – la competenza giurisdizionale è stata
individuata in base alle previsioni della Convenzione di Lugano. In quella
fattispecie, per contro, in tema di affidamento, collocazione e visita del minore,
la fonte regolatrice del criterio di individuazione della giurisdizione è stata
individuata nell’art. 5 della Convenzione dell’Aja del 1996, che è per l’appunto,
anche per gli Stati non facenti parte dell’Unione Europea ma aderenti alla citata
Convenzione, quale è anche la Federazione Russa, quello dell’ultima residenza
abituale del minore. E infatti, nel caso in esame, come si dà atto nella sentenza
impugnata ed è incontroverso tra le parti, il giudice russo ha già statuito in punto
di affidamento e visita del figlio, facendo così applicazione del citato art. 5.
2.2. La controricorrente ha rimarcato l’inapplicabilità, nella specie, del reg. CE,
da cui si ricava il carattere necessariamente accessorio della domanda di
mantenimento (ex art. 3, lett. d reg CE n. 4/2009 cfr. Cass. S.U. 30657/2018;
2276/2016; 27091/2017), e ha richiamato la Convenzione di assistenza
giudiziaria firmata a Roma il 25 gennaio 1979 e ratificata con L. n. 766 del 1985
dell’11 dicembre 1985, che si assume applicabile in luogo del Regolamento
Europeo 4/2009 e che all’art. 1 prevede: “I cittadini di una Parte Contraente
hanno il diritto di rivolgersi liberamente e senza impedimenti ai tribunali, alle
procure e ad altre istituzioni dell’altra Parte Contraente, nella cui giurisdizione in
conformità con la legislazione di quest’ultima rientrino cause civili (ivi comprese
quelle di famiglia): possono comparire presso di esse, presentare istanze e
sporgere querele, alle stesse condizioni dei cittadini dell’altra Parte Contraente”.
Pertanto, ad avviso della controricorrente, in coordinamento con i principi
generali di diritto internazionale privato (L. n. 281 del 1995, artt. 37 e 45 ed
artt. 3 e 9 c.p.c.), anche in base alla suddetta convenzione, è sussistente la
giurisdizione del Giudice italiano nella fattispecie che si sta scrutinando. Va
aggiunto, per quanto occorra, che la Convenzione dell’Aja del 2-101973 – a cui
ha aderito la Russia -, disciplina la legge applicabile alle obbligazioni alimentari.
3. Alla stregua delle considerazioni che precedono e della questione di
giurisdizione posta dal ricorso, si chiede di stabilire:
i) se e come debba raccordarsi il criterio della residenza abituale del minore,
stabilito dall’art. 5 della Convenzione dell’Aja del 1996, con le previsioni dell’art.
4 della stessa Convenzione e con il disposto della L. n. 218 del 1995, art. 42 nel
caso in cui: la residenza abituale del minore si trovi nella Federazione russa;
l’autorità giudiziaria russa abbia già statuito in ordine all’affidamento e alla
collocazione del figlio; e l’oggetto del giudizio instaurato innanzi all’autorità
giudiziaria italiana sia limitato alla domanda di mantenimento del minore e a
prestazioni in senso lato economiche a carico del genitore non affidatario;
ii) se e come la soluzione interpretativa accolta dalla Corte di merito, che ha
escluso l’applicabilità, nel caso di specie, della Convenzione dell’Aja del 1996, si
possa conciliare con la funzione, di massima protezione del figlio, svolta dai
provvedimenti in materia minorile e con il principio di concentrazione delle tutele
(cfr. Cass. 1310/2017 e Cass. 1/2001 per l’affermazione di detti principi e
dell’inapplicabilità dell’art. 4 della Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961,
vigente ratione temporis).
4. Non ravvisandosi quella evidenza decisoria che consente la definizione della
questione di giurisdizione da parte della sezione semplice ai sensi dell’art. 374
c.p.c., comma 1, vanno rimessi gli atti al Primo Presidente per le determinazioni
di competenza.
5. Si dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 siano omessi le
generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente
provvedimento.
P.Q.M.
Rimette gli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione per l’eventuale
assegnazione alle Sezioni Unite Civili, in ragione e per la soluzione della
questione di giurisdizione, di cui in motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c.,
comma 1, n. 1 e art. 374 c.p.c., comma 1.
Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 siano omessi le
generalità e gli altri dati identificativi in caso di diffusione del presente
provvedimento.

Coniuge divorziato e coniuge superstite sono titolari di un proprio diritto all’unico trattamento di reversibilità

Tribunale di Modena, sent. 11 febbraio 2022 – Pres. Di Pasquale, Rel. Bolondi
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa di primo grado iscritta al n. 2924 del Ruolo Generale degli affari contenziosi per l’anno
2021 V.G.
promossa da
X (C.F. ***), rappresentata e difesa dall’Avvocato …
RICORRENTE
contro
ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (C.F. ***), in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato …
e contro
Y , rappresentata e difesa dall’Avvocato
RESISTENTI
OGGETTO: Attribuzione di quota di pensione di reversibilità
CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da rispettivi atti di costituzione in giudizio
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Z è deceduto il 17.12.2020 a ***. Gli sono sopravvissuti la moglie Y , sposata il 28.7.2004, e la ex
moglie X, sposata il 18.4.1964, da cui il Z ha successivamente divorziato con sentenza del Tribunale
di Varese n. 603 del 17.9.1996.
Al momento del decesso, Z era titolare di pensione di vecchiaia VFS 024 5000 00160778 di importo
lordo di euro 1.758,89 mensili, mentre la ex moglie godeva di assegno divorzile dell’importo di
euro 389,51 mensili.
2. Con ricorso del 10.6.2021, X ha domandato ai sensi dell’art. 9, terzo comma, della legge 898/1970,
l’attribuzione della quota ritenuta di giustizia della pensione di reversibilità dell’ex marito, oltre al
pagamento degli arretrati a far data dalla morte di quest’ultimo.
A sostegno della pretesa avanzata, la ricorrente ha allegato la lunga durata del matrimonio,
precarie condizioni di salute, e la percezione di pensione di vecchiaia di euro 800,00 mensili circa,
insufficiente a far fronte alle proprie esigenze.
3. Nel giudizio così radicato si è costituita Y, in proprio e nell’interesse del figlio minore C., nato il
7.5.2005, chiedendo attribuirsi a sé e al figlio le rispettive quote della pensione di reversibilità del Z
ritenute di giustizia.
La resistente ha riferito di versare in condizione di sostanziale indigenza a causa del proprio stato
di disoccupazione e di essere onerata del mantenimento del figlio minore.
4. Si è costituito anche l’I.N.P.S. nella sostanza rimettendosi alle determinazioni del Tribunale.
L’Istituto ha precisato di aver sinora liquidato la pensione di reversibilità SFS 024 5000 01366408, a
far data dal 19.1.2021, alla moglie Y , unitamente alla quota per il figlio minore C., per l’importo
complessivo lordo di euro 1.407,11.
5. All’udienza in data 1.12.2021 i difensori delle parti hanno chiarito non essere in discussione la
quota della pensione di spettanza del figlio minore C.. La controversia ha, dunque, per esclusivo
oggetto la ripartizione della restante quota di spettanza del coniuge superstite.
§
L’art. 9, terzo comma, della legge 898/1970, come noto, enuncia il solo criterio della “durata del
rapporto” ai fini della ripartizione della pensione di reversibilità tra il coniuge superstite e l’ex
coniuge titolare di assegno divorzile.
Nella fattispecie, la durata dei rispettivi rapporti con il Z è di anni 24 per la ricorrente, cioè dal 1964
al 1988, anno dell’inizio del giudizio di separazione personale, a seguito della quale il rapporto
coniugale tra i due è cessato senza più riprendere, e di anni 16 per la resistente, ossia dal 2004 al
2020, anno di decesso del coniuge.
Applicando il solo criterio matematico di legge fondato sulla durata dei rispettivi rapporti, la
pensione di reversibilità di cui trattasi dovrebbe essere suddivisa per il 60% alla ricorrente e per il
40% alla resistente.
La S.C. ha tuttavia sottolineato che il giudice, nell’effettuare la ripartizione di cui trattasi, debba
valutare ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell’istituto, tra i quali l’entità
dell’assegno divorzile di cui è titolare l’ex coniuge e le condizioni economiche dei due aventi
diritto (di recente in tal senso cfr. Cass., 25.5.2021, n. 14383; Cass., 13.11.2020, n. 25656).
Si tratta di indicazione condivisibile, con la precisazione però che tali parametri aggiuntivi possono
avere funzione di semplici correttivi del solo criterio indicato espressamente dalla norma.
Si possono, dunque, considerare in tale prospettiva le circostanze di seguito elencate.
La ricorrente:
– ha 78 anni;
– era titolare di assegno divorzile dell’importo di euro 389,51 mensili;
– gode di pensione di vecchiaia di importo lordo di euro 1.130,04 (doc. 4 dell’I.N.P.S.);
– non sostiene oneri abitativi.
La resistente:
– sta per compiere gli anni 43;
– ha riferito di essere disoccupata, ma è donna giovane e in salute e quindi senz’altro in possesso di
capacità lavorativa;
– non sostiene oneri abitativi, vivendo nella ex casa coniugale;
– è la sola erede, assieme al figlio, del patrimonio del coniuge defunto, di cui non ha precisato
l’entità, nemmeno per sommi capi, limitandosi a riferire laconicamente essere “ancora in corso le
operazioni di inventario e che la dichiarazione di successione non è ancora stata presentata”, condotta da
valutarsi in suo sfavore ex art. 116, secondo comma, c.p.c.;
– ha un figlio di anni 16 del cui mantenimento è gravata.
Sulla base della valutazione complessiva degli elementi riportati, il Collegio ritiene equo apportare
un correttivo alla suddivisione risultante dalla mera applicazione del criterio matematico della
durata dei rispettivi rapporti matrimoniali e stabilire che la pensione di reversibilità di cui si
discute sia ripartita in parti uguali tra la ricorrente e la resistente, naturalmente al netto della quota
di spettanza del figlio C. come visto non in contestazione.
La ricorrente ha, inoltre, svolto nei confronti dell’I.N.P.S. domanda di corresponsione degli
arretrati a far data dal decesso dell’ex marito.
La richiesta è fondata.
La S.C. ha sottolineato, in modo condivisibile, che “in presenza di un coniuge superstite avente i
requisiti per la pensione di reversibilità, il diritto del coniuge divorziato ad una quota del trattamento di
reversibilità, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, comma 3 nel testo novellato dalla L. n. 74 del 1987, art.
13 dell’ex coniuge deceduto non costituisce soltanto un diritto vantato nei confronti del coniuge superstite
avente – in quanto tale – natura e funzione di prosecuzione del precedente assegno di divorzio, ma costituisce
un autonomo diritto (di natura previdenziale, al pari di quel diritto che si configura, invece, ai sensi del
comma 2 del citato art. 9, allorché manchi un coniuge superstite il quale abbia i requisiti per la pensione di
reversibilità) al trattamento di reversibilità, che l’ordinamento attribuisce al medesimo coniuge superstite,
con la sola peculiarità per cui tale diritto è limitato, quantitativamente, dall’omologo diritto spettante
all’anzidetto coniuge superstite. Onde sia il coniuge divorziato sia il coniuge superstite sono titolari di un
proprio diritto all’unico trattamento di reversibilità … Il coniuge superstite, pertanto, non è più l’unico
naturale destinatario della pensione di reversibilità che spetta al coniuge sopravvissuto (Cass. Sezioni Unite
12 gennaio 1998, n. 159). Il diritto al trattamento di reversibilità del coniuge divorziato in concorso con il
coniuge superstite nasce, per entrambi, nei confronti dell’Ente erogatore (Cass. 14 dicembre 2001 n. 15837)
ed è dunque a carico di quest’ultimo, e non anche del coniuge superstite che, nel frattempo, abbia percepito
per intero ovvero per una quota superiore a quella realmente spettante il trattamento di reversibilità
corrisposto dall’Ente medesimo, che debbono essere posti gli arretrati spettanti al coniuge divorziato, sul
trattamento anzidetto in proporzione alla quota riconosciuta dal giudice, a decorrere dal primo giorno del
mese successivo a quello del decesso dell’ex coniuge” (Cass., 27.9.2013, n. 22259, che ha precisato come
resti ovviamente salva la facoltà per l’ente previdenziale di recuperare dal coniuge superstite le
somme versategli in eccesso, trattandosi di ipotesi di indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c.).
L’I.N.P.S. dovrà, pertanto, corrispondere alla ricorrente gli arretrati non versati, a far data dal
decesso di Z, nella misura del 50% stabilita, relativa alla sola quota di spettanza del coniuge
superstite, esclusa, dunque, la quota del figlio minore.
Le spese di lite vengono, infine, integralmente compensate in ragione dell’esito finale del giudizio
e considerato anche il fatto che tutte le parti si sono, sin dal principio, rimesse alle determinazioni
del Tribunale circa il quantum da riconoscersi a ciascuna, sì che non è possibile applicare il
principio di soccombenza di cui all’art. 91, primo comma, c.p.c.
P.Q.M.
Il Tribunale Ordinario di Modena, in composizione collegiale, ogni diversa domanda, istanza ed
eccezione disattesa e respinta:
– stabilisce che la pensione di reversibilità di Z., deceduto il 17.12.2020 a Carpi, spettante al coniuge
superstite – esclusa, dunque, la quota spettante al figlio minore C.– sia così ripartita: 50% alla
ricorrente X e 50% alla resistente Y ;
– ordina all’I.N.P.S. di procedere al pagamento alle aventi diritto secondo le quote sopra indicate;
– ordina inoltre all’I.N.P.S. di versare alla ricorrente X gli arretrati di tale pensione di reversibilità
del coniuge superstite secondo la quota del 50% a essa spettante;
– compensa integralmente tra le parti le spese di lite.
Si comunichi alle parti e al Pubblico Ministero
Così deciso in Modena nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile in data 19.1.2022

I “valori” della cultura rom non rilevano laddove siano in contrasto con la tutela dei minori

Cass. Pen., Sez. I, Sent., 01 marzo 2022, n. 7140; Pres. Casa, Rel. Cons. Talerico
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.V.C., (C.U.I. (OMISSIS)) nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/10/2019 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere TALERICO PALMA;
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ZACCO FRANCA, ha concluso, per
iscritto, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente all’applicazione
dell’esimente di cui all’art. 54 c.p., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro;
l’avv. A.F.E., in difesa dell’imputato, ha concluso, per iscritto, chiedendo l’annullamento della
sentenza impugnata.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 28 ottobre 2019, la Corte di appello di Catanzaro – per quanto qui rileva –
confermava la pronuncia del Tribunale di Cosenza in data 5.6.2017, con la quale A.V.C. era stato
ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 600 octies c.p. e, conseguentemente, previa concessione
delle circostanze attenuanti generiche, era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, la
cui esecuzione era stata sospesa ai termini e condizioni di legge.
2. Avverso detta sentenza, l’avvocato A.F.E., difensore di fiducia dell’imputato, ha proposto ricorso
per cassazione, formulando tre distinti motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto “inosservanza o erronea applicazione della legge
penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi del
combinato disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per violazione del combinato
disposto di cui agli artt. 192 e 533 c.p.p.”.
Secondo la difesa, la sentenza impugnata si fonderebbe su “una erronea ricostruzione dei fatti e, in
ogni caso, su una erronea applicazione delle norme di diritto”; dalle testimonianze rese in sede di
istruttoria non sarebbero emersi elementi che potessero far propendere per il riconoscimento di una
penale responsabilità dell’imputato; l’assistente di polizia C. aveva dichiarato di avere visto una
bambina chiedere l’elemosina e un uomo a cui consegnava il denaro ricevuto dai passanti, ma in
nessun modo si sarebbe dimostrato che la bambina fosse stata sottoposta a sofferenze e mortificazioni;
l’accattonaggio è usualmente praticato dagli zingari e, più in generale, in diverse comunità etniche,
per le quali la richiesta di elemosina costituisce una condizione di vita tradizionale molto radicata
nella mentalità delle stesse; sarebbe stato, quindi, “necessario riflettere sulle situazioni di fatto,
piuttosto che sull’applicazione astratta di un principio giuridico, e non criminalizzare condotte che
rientrano nella tradizione culturale di un popolo”, tenuto anche conto della previsione di cui all’art. 2
Cost., che valorizza il pluralismo sociale.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto “inosservanza o erronea applicazione della legge
penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi del
combinato disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per mancanza degli elementi
costitutivi dell’ipotesi di reato contestata ovvero per mancata applicazione dell’esimente dello stato di
necessità ex art. 54 c.p.”
Secondo la difesa, l’imputato avrebbe commesso il reato in stato di necessità in ragione della profonda
situazione di indigenza in cui versava, come sarebbe risultato dalle dichiarazioni del teste C., il quale
aveva riferito in ordine alla povertà dell’ A., costretto a vivere in una baracca, senza servizi igienici,
e a usare vestiti di “recupero”.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto “inosservanza o erronea applicazione della legge
penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi del
combinato disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione alla mancata
applicazione dell’art. 131-bis c.p., introdotto dal D.Lgs. n. 28 del 2015”.
Il ricorrente ha, in proposito, osservato che la Corte territoriale avrebbe rigettato la richiesta di
applicazione della causa di non punibilità in parola facendo unicamente riferimento al “disvalore
sociale della condotta”.
3. Si è proceduto alla trattazione del processo con contraddittorio scritto, ai sensi del D.L. n. 137 del
2020, art. 23, comma 8 e successive proroghe, in mancanza di richiesta delle parti di discussione
orale; il Procuratore generale di questa Corte, d.ssa ZACCO Franca, ha concluso, per iscritto,
chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente all’applicazione dell’esimente di
cui all’art. 54 c.p. con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio,
nonchè l’inammissibilità del ricorso nel resto; l’avvocato A.F.E. ha concluso, per iscritto, chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata con tutte le conseguenze di legge.
Motivi della decisione
1. Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito esplicitate.
Quanto al primo motivo di impugnazione, la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato
contestatogli è stata affermata – secondo la concorde ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di
merito – sulla base delle precise dichiarazioni dell’assistente capo C.F., in servizio presso la Squadra
Mobile di (OMISSIS), il quale aveva chiaramente riferito di avere notato dinnanzi al Tribunale della
città una bambina chiedere l’elemosina ai passanti sotto la pioggia battente, nonchè a poca distanza
un uomo – identificato, poi, nell’attuale imputato – al quale la predetta consegnava, via via, il denaro
ricevuto.
Ebbene – posto che esula dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di
merito, potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest’ultimo abbia dato adeguatamente conto,
attraverso l’iter argomentativo seguito, delle ragioni che l’hanno indotto a emettere il provvedimento
– ritiene il Collegio che le argomentazioni dell’impugnata sentenza non possono dirsi manifestamente
illogiche, nè contraddittorie, nè parziali, nè, infine, in contrasto con i dati acquisiti.
Esse perciò, resistono alle censure con cui il ricorrente, in buona sostanza, ha riproposto la tesi
difensiva già esposta nel corso dei giudizi di primo e di secondo grado, con cui sostiene che la
condotta accertata è usualmente praticata dagli zingari e, in genere, in diverse comunità etniche per
le quali la richiesta di elemosina costituirebbe una condizione di vita tradizionale molto radicata nella
mentalità delle stesse.
La dedotta connotazione culturale della pratica di chiedere l’elemosina, però, non può certamente
condurre – come evidenziato nell’impugnata sentenza – a “decriminalizzare” la condotta posta in
essere dall’imputato; e in vero, i “valori” della cultura rom non rilevano quando – come nel caso di
specie – contrastino con i beni fondamentali riconosciuti dall’ordinamento costituzionale, quali il
rispetto dei diritti umani e la tutela dei minori.
Inoltre, per l’integrazione del reato contestato non è richiesto che il minore sia sottoposto a “sofferenze
e/o mortificazioni”, come risulta chiaramente dal tenore della norma incriminatrice, che punisce,
“salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque si avvale per mendicare di una persona minore
degli anni quattordici e, comunque, non imputabile”.
2. Non merita accoglimento neppure il secondo motivo di ricorso.
La prospettazione difensiva, secondo cui l’imputato avrebbe commesso il fatto per esservi stato
costretto dalla profonda situazione di indigenza in cui versava, non integra l’invocata ricorrenza della
scriminante di cui all’art. 54 c.p.
E in vero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, “l’esimente dello stato di necessità
postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto
penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno
economico, qualora a esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente
rilevanti” (Cass. Sez. 3, n. 35590 del 11/05/2016, Rv. 267640 – 01; conformi, tra le tante: Cass. Sez.
5, n. 3967 del 13/07/2015, Rv. 265888, secondo cui “la situazione di indigenza non è di per sè idonea
a integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell’attualità e
dell’inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è
possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale”; Cass. Sez. 1, n. 11863 del
12/10/1995, Rv. 203245, che ha affermato che “lo stato di necessità non può essere riconosciuto al
mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perchè la possibilità di ricorrere all’assistenza degli
enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l’aiuto agli indigenti ne esclude la
sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo grave
alla persona”).
3. Infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso.
La Corte territoriale, nel rigettare la richiesta dell’imputato, tendente a ottenere l’applicazione della
causa di non punibilità prevista dall’art. 131 – bis c.p., ha affermato che essa non poteva “essere accolta
stante il forte disvalore sociale della condotta posta in essere dall’ A.V.C. in rapporto alla natura degli
interessi protetti dalla disposizione incriminatrice, ovvero le esigenze di tutela dei soggetti di minore
età”; tale giudizio va esaminato congiuntamente alla complessiva motivazione delle sentenze di
merito, dalle quali emergono le modalità dell’accertata condotta dell’imputato e, in particolare, la
circostanza che la bambina di soli sei anni rivolgeva ai passanti la richiesta di elemosina sotto una
pioggia battente e, quindi, consegnava il denaro ricevuto all’imputato posizionato a pochi metri di
distanza.
Posto che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede
una valutazione complessa, che ha a oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del
pericolo valutate ai sensi dell’att. 133 c.p., cioè una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità
della fattispecie concreta, la decisione adottata è esente da vizi giuridici di sorta perchè ha avuto
riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento dell’imputato al fine di valutarne
complessivamente la gravità e l’entità del contrasto rispetto alla legge.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
5. In caso di diffusione del presente provvedimento, occorre omettere le generalità e gli altri dati
identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione
del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n.
196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Avvocato. Responsabilità professionale per omesso obbligo informativo

Cass. Civ., Sez. III, Ord., 03 febbraio 2022, n. 3288; Pres. Frasca, Rel. Cons. Ambrosi
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11607/2019 R.G. proposto da:
S.A.G., e S.L.M., rappresentati e difesi dall’Avv. G. N., con domicilio eletto presso la Cancelleria
della Corte Suprema di Cassazione;
– ricorrenti –
contro
G. Assicurazioni s.p.a (già N.T.s.p.a.);
– intimata –
e F.B.; A.Assicurazioni s.p.a. (già C.Assicurazioni s.p.a.); A. Assicurazioni s.p.a.; S.V.L.;
– intimati –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna 17 luglio 2018, depositata il 24 gennaio 2019,
n. 286, notificata il 4 febbraio 2019.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 2 novembre 2021 dal Consigliere Dott. Irene
Ambrosi.
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto da S.A.G. e S.L.M., nella qualità di
eredi di S.S., avverso la sentenza del Tribunale di Reggio Emilia che aveva accertato, tra l’altro e per
quanto ancora rileva, la responsabilità professionale del loro padre, avv. S.S., per omesso obbligo
informativo, con condanna degli eredi al pagamento della somma di Euro 11.056,22, in favore della
cliente, attrice F.B. e respinto la domanda di manleva formulata dai predetti nei confronti della N. T.
s.p.a. (oggi G. Assicurazioni s.p.a.), deducendo la violazione delle norme in tema di interpretazione
del contratto e lamentandosi della conseguente declaratoria di esclusione della responsabilità
professionale del de cuius dall’oggetto della garanzia.
Avverso la sentenza di appello, i soccombenti propongono ricorso per cassazione articolato in tre
motivi. Sebbene intimata, G. Assicurazioni s.p.a. (già N. T. s.p.a.) non ha svolto difese. Sebbene
intimati, neppure hanno svolto difese F.B., A. Assicurazioni s.p.a. (già C. Assicurazioni s.p.a.), A.
Assicurazioni s.p.a. e S.V.L.. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi
dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1. Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni. Parte ricorrente
ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo i ricorrenti lamentano “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e
1363 c.c., per aver ritenuto la responsabilità professionale esclusa dall’oggetto della garanzia sulla
base di una lettura non sistematica ed anche letteralmente errata delle clausole contrattuali”; dopo
aver richiamato i principi di interpretazione letterale e logico sistematica del negozio indirizzati ad
enucleare la comune intenzione delle parti, i ricorrenti denunciano la lettura atomistica delle singole
clausole del contratto di assicurazione stipulato dal de cuius. Secondo i ricorrenti, la Corte di appello
si sarebbe basata sulla sola condizione generale di contratto (art. 13), isolatamente considerata, per
concludere che il loro dante causa, avv. S., aveva stipulato un’assicurazione per la responsabilità civile
extracontrattuale e per i danni da infortuni dei propri dipendenti. Aggiungono, a tal proposito, che la
sola lettura del frontespizio della polizza sarebbe stata sufficiente per avvedersi che il predetto non
aveva stipulato alcuna assicurazione di responsabilità civile contro gli infortuni per i prestatori di
lavoro, tenuto conto che le relative caselle riservate risultavano sbarrate. Sostengono, inoltre, che il
rischio concreto assicurato fosse quello inerente all’esercizio della professione di avvocato;
ammettono che il contenuto dell’art. 13, delle condizioni generali di contratto si riferisce alla
responsabilità civile verso i terzi e non a quella professionale dell’avvocato, tuttavia insistono nel
ritenere che lo stesso articolo non può essere letto isolatamente, ma nel complessivo contenuto del
contratto, a cominciare dal frontespizio nel quale compaiono – tramite aggiunte dattiloscritte – le
pattuizioni in concreto concluse fra le parti, tenuto conto altresì che nel contratto de quo non sono
neppure indicati i rischi per i quali non è stipulata l’assicurazione. In particolare, nel frontespizio della
polizza il punto che indica il rischio assicurato si compone di una parte prestampata, costituita dalla
dichiarazione di volontà della società assicuratrice e di una parte dattiloscritta che specifica l’attività
costituente il rischio assicurato da cui si evincerebbe che la dichiarazione di prestare l’assicurazione
per la responsabilità all’avv. S. deriverebbe dalla “qualità di esercente la libera professione di
avvocato”; ciò sarebbe avvalorato, infine, dalla lettura della parte prestampata libera dalla
sovrascrittura dattilografata secondo cui “in base alle condizioni tutte” “di legge nella sua qualità di
esercente la professione di avvocato”. Errata e in violazione dell’art. 1343 c.c., sarebbe quindi
l’argomentazione della Corte di appello secondo cui la dicitura “esercente la professione di avvocato”
– per non essere stampigliata accanto alle generalità dell’assicurato, bensì dattiloscritta a
completamento della frase: “l’impresa presta l’assicurazione per la responsabilità derivante
all’assicurato nella sua qualità di esercente la libera professione di avvocato” – non varrebbe ad
“estendere la garanzia a rischi diversi da quelli specificatamente indicati in polizza”.
2. Con il secondo motivo denunciano “Violazione o falsa applicazione dell’art. 1888 c.c., per aver
escluso il valore probatorio della pagina allegata al contratto di assicurazione”. In proposito, la Corte
di merito avrebbe erroneamente affermato che “alcun pregio probatorio assume l’allegazione della
pagina recante il numero 209” ai fini del riscontro della coincidenza del premio pagato dal de cuius e
quello previsto dal tariffario dell’epoca per l’assicurazione della responsabilità professionale, nè ai
fini della “prova scritta del contratto di assicurazione”. Contestano i ricorrenti di aver allegato la
pagina quale parte del contratto de quo, ma soltanto quale utile documento ad interpretare il contratto
di assicurazione e per ciò, sarebbe irrilevante la mancanza della data e della firma.
3. Con il terzo motivo, i ricorrenti lamentano “Violazione o falsa applicazione dell’art. 1342 c.c.,
comma 1, artt. 1366 e 1370 c.c., per aver ritenuto la responsabilità professionale esclusa dall’oggetto
della garanzia assicurativa ignorando i criteri ermeneutici ivi stabiliti”; nello specifico ed in sintesi,
sarebbero violati i criteri di prevalenza delle aggiunte dattiloscritte su quelle standard prestampate
nonchè quelli di interpretazione secondo buona fede e contro il predisponente; difatti, tenuto conto
che il contratto è stato predisposto dall’assicuratore, si sarebbe dovuto applicare l’art. 1342 c.c.,
comma 1, secondo cui le aggiunte prevalgono su quelle del modulo e formulario precompilato,
qualora siano incompatibili con questa e anche se queste ultime siano cancellate; si sarebbe dovuto
applicare, infine, il dettato dell’art. 1370 c.c., secondo cui le aggiunte apposte da uno dei contraenti,
nel dubbio, si interpretano a favore dell’altro. Detti criteri avrebbero condotto, se rispettati, a ritenere
sussistente la garanzia assicurativa e a riconoscere il diritto dei ricorrenti di essere tenuti indenni e
rimborsati dal pagamento di quanto versato in esecuzione delle decisioni di merito.
4. I motivi primo e terzo, da esaminare congiuntamente in ragione della loro connessione, sono
fondati nei termini che seguono.
I ricorrenti sostengono che la Corte di appello, come già il giudice di primo grado, avrebbe
erroneamente applicato i criteri ermeneutici legali, escludendo che la polizza assicurativa invocata a
fondamento della domanda di manleva, avesse ad oggetto la responsabilità professionale inerente
all’esercizio della professione di avvocato e ritenendo inesistente la garanzia assicurativa invocata.
I ricorrenti denunciano: – la lettura atomistica delle singole clausole del contratto di assicurazione in
quanto la Corte di appello si sarebbe basata sulla sola condizione generale di cui all’art. 13 del
contratto, l’erroneità dell’aver ritenuto stipulata tra le parti, oltre l’assicurazione della responsabilità
civile verso i terzi (RCT), quella verso i prestatori di lavoro (RCO), evincendosi dal frontespizio della
polizza che le relative caselle erano sbarrate; – l’erroneità dell’aver ritenuto stipulata tra le parti
un’assicurazione per la responsabilità civile verso i terzi (RCT), senza valorizzare la formula
compresa nel frontespizio della polizza, nel quale era indicato il rischio concreto assicurato con le
seguenti parole prestampate: “l’impresa presta l’assicurazione per la responsabilità derivante
all’assicurato ai sensi di legge nella sua qualità di” e le successive dattiloscritte “di esercente la libera
professione di avvocato e/o di procuratore legale, avente lo studio in (OMISSIS) (…)”; – l’erronea
valutazione della rilevanza nell’interpretazione della polizza del foglio indicato con il numero 209; –
l’erroneità per non aver risolto il contrasto tra formula dattiloscritta e prestampata in favore di quella
dattiloscritta che individua il rischio assicurato nell’esercizio della libera professione di avvocato.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’interpretazione del contratto, supponendo la
ricerca e l’individuazione della comune volontà dei contraenti, è un tipico accertamento di fatto
riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non in presenza di vizi di
motivazione o di un errore c.d. di sussunzione (tra tante, Cass. n. 13399 del 2005). Risulta evidente a
tale stregua che nel denunziare i vizi della sentenza gravata, le deduzioni dei ricorrenti, abbiano
correttamente evidenziato l’errore di diritto in cui è incorsa la Corte territoriale nell’utilizzare i criteri
ermeneutici evocati.
Posto quindi che l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio
giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione,
al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362
c.c., e segg., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante
specifica indicazione delle norme asserita mente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto,
altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai
canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni
illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione
dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (da ultimo, tra tante, Cass.
09/04/2021 n. 9461 Rv. 661265 – 01).
Ciò correttamente è stato prospettato nella specie, tenuto conto che i ricorrenti hanno osservato in
modo convincente che l’esegesi scelta dai giudici di merito non è corretta, sotto il profilo della
sussunzione, in relazione sia ai criteri ermeneutici soggettivi indicati nel primo motivo sia in relazione
a quelli oggettivi di cui agli artt. 1366 e 1370, indicati nel terzo motivo e hanno anche debitamente
riproposto quanto denunciato con l’atto di appello con cui avevano impugnato il capo della sentenza
di prime cure con cui era stata respinta la domanda di manleva svolta nei confronti della compagnia
di assicurazioni.
In particolare il criterio di lettura della polizza (doc. n. 14) secondo il senso fatto proprio dalle parole
ai sensi dell’art. 1362 c.c., là nella prima pagina, dove enuncia a stampa che “in base alle condizioni
tutte che seguono l’impresa presta l’assicurazione per la responsabilità derivante all’assicurato ai sensi
dei legge nella sua qualità di: Esercente la libera professione di avvocato e/o procuratore legale,
avente lo studio in (OMISSIS)”, utilizza espressioni che – per il fatto stesso di evocare l’esercizio della
professione legale di avvocato e/o di procuratore – sono idonee a correlare la garanzia allo
svolgimento tout court dell’attività professionale e, dunque, sia a fatti inerenti a tale svolgimento sul
piano contrattuale sia a fatti inerenti ad esso al di fuori di detto piano e, dunque, sul piano
extracontrattuale. Il criterio esegetico dell’art. 1362 c.c., dunque, non suggerisce alcuna altra esegesi.
Lo stesso criterio, ove applicato alla lettura della clausola, o meglio della condizione generale del
contratto – così come individuata dall’art. 13, delle “norme che regolano la responsabilità civile
dell’assicurato” della polizza de qua -, rende evidente, inoltre, che la previsione ivi indicata relativa
ai “danni involontariamente cagionati a terzi, per morte, per lesioni personali e per danneggiamenti a
cose, in conseguenza di un fatto accidentale verificatosi in relazione ai rischi per i quali è stipulata
l’assicurazione” risulta del tutto inidonea a definire il rischio assicurato, posto che le indicazioni date
con tali espressioni per il loro stesso tenore non risultano definire il rischio assicurato in alcun modo;
in particolare, il riferimento al “fatto accidentale verificatosi in relazione ai rischi per i quali è stipulata
l’assicurazione”, rinviando a qualcosa che la stessa polizza considera in questa sede aliunde, svaluta
completamente l’art. 13, come previsione idonea a definire il rischio assicurato, con la conseguenza
che chi legge la clausola non sa quali siano i rischi per cui la polizza è stipulata e comunque percepisce
la possibilità che essi siano determinati appunto aliunde.
L’inesistente funzione definitoria dell’oggetto della garanzia, così come emerge dalla lettura della
clausola prima evidenziata di cui all’art. 13, è confermata anche dall’applicazione del criterio di cui
all’art. 1363 c.c., che esige sul piano dell’esegesi l’interpretazione delle clausole le une per mezzo
delle altre, e pure in ragione dell’argomento evidenziato dai ricorrenti circa l’assenza di previsione
della garanzia per gli infortuni sul lavoro. L’assenza di questa previsione – di cui non si è avveduta la
corte di merito – evidenzia, altresì, l’assoluta mancanza di condivisibilità dell’argomento con cui la
stessa corte ha spiegato l’indicazione della qualificazione professionale del garantito motivando che
“tale indicazione è da ritenersi finalizzata alla qualificazione dell’attività professionale svolta
dall’assicurato al fine della determinazione dell’entità del rischio, tenuto conto della garanzia prestata
per i danni da infortunio dei dipendenti”.
Pure i criteri oggettivi di interpretazione richiamati dai ricorrenti con riguardo alla buona fede
contrattuale nonchè all’interpretazione contro l’autore della clausola ai sensi degli artt. 1366 e 1370
c.c., confermano la lettura della polizza nel senso indicato.
Ne consegue l’accoglimento del primo e terzo motivo, l’assorbimento del secondo motivo e che la
sentenza impugnata va dunque cassata in relazione, con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte
di Appello di Bologna, in diversa composizione che si uniformerà ai principi sopra ricordati,
provvedendo anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e terzo motivo, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in
relazione e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, che provvederà anche
sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 2 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 3 febbraio

L’assegno di mantenimento ai figli va bilanciato fra condizione economica e esigenze degli stessi L’ammontare dell’assegno di mantenimento ai figli è frutto del bilanciamento tra l’attuale condizione economica e le esigenze dei figli stessi e non può fondarsi in esclusiva sulla capacità economico reddituale dell’obbligato.

Cass. Civ., Sez. I, ord., 8 febbraio 2022, n. 4035 – Pres. Acierno, Cons. Rel. Meloni
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1372/2018 proposto da:
A.M.P., elettivamente domiciliata in Roma, Via…, presso lo studio dell’avvocato…, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato…, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
L.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via …presso lo studio dell’avvocato…, rappresentato e
difeso dall’avvocato…, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2071/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, pubblicata il 21/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/09/2021 dal cons. Dott. MELONI
MARINA.
Svolgimento del processo
A seguito della sentenza di dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio tra L.M.
ed A.M.P., il Tribunale di Firenze ha disposto il pagamento di un assegno di mantenimento a carico
del padre per i figli G. nato nel (OMISSIS) e L. nato nel (OMISSIS) di Euro 1.500,00 ciascuno (a fronte
del minore importo di Euro 1.150 ciascuno stabilito in fase presidenziale) ed un assegno divorzile di
Euro 1.500,00 al mese per la ex moglie (a fronte del minore importo di Euro 1.200,00 stabilito in fase
presidenziale).
La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 21/9/2017, riformò la sentenza emessa dal
Tribunale di Firenze e fissò in 1.000,00 Euro mensili l’assegno divorzile a carico del marito ed a favore
della moglie, ed in Euro 800,00 mensili l’assegno di mantenimento a carico del padre per ciascun
figlio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione A.M.P. affidato a quattro motivi e memoria.
L.M. resiste con controricorso e memoria.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n.
898 del 1970, art. 5, comma 6 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto la Corte di
Appello di Firenze ha stabilito in Euro 1.000,00 l’assegno di divorzio per la ex-moglie senza tener
conto delle situazioni economiche delle parti e conseguente sproporzione delle rispettive posizioni
economiche nonchè del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 6
Legge divorzio e degli artt. 147, 148, 315-bis e 316-bis c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1,
n. 3 per non aver tenuto conto del tenore di vita goduto dai figli in costanza di matrimonio.
Con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta omesso esame di un fatto decisivo oggetto di
discussione tra le parti in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione e falsa applicazione
degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2967 c.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto la
Corte di Appello di Firenze ha ritenuto di valore irrisorio la partecipazione sociale alla società L. e
V. donata al L. dalla madre e pari al 5% riconoscendole il valore nominale di Euro 6.457,05 anzichè
il valore patrimoniale reale di Euro 799.000,00.
Con il quarto motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91
c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per avere la Corte di Appello di Milano posto le
spese di giudizio di merito per metà a suo carico sebbene il giudizio di appello fosse iniziato ad
ottobre 2015 ed i nuovi principi in materia siano stati enucleati successivamente.
Ciò posto, occorre innanzitutto analizzare separatamente i motivi del ricorso riguardanti la
statuizione all’assegno divorzile da quelli circa il mantenimento dei due figli, G. e L..
Per quanto concerne l’assegno divorzile, la sentenza impugnata merita di essere confermata sulla
base delle seguenti ragioni: la Corte d’Appello ha valutato la sperequazione economico-reddituale
fra le parti, esaminando i fatti acquisiti, rispetto ai quali la alternativa valutazione della ricorrente
integra una censura attinente al merito, inammissibile. La Corte distrettuale ha altresì collegato
eziologicamente questo squilibrio con l’esclusivo ruolo endofamiliare non trascurando il profilo
assistenziale (la mancanza di lavoro e l’età) correlato alla durata. L’esame è pertanto completo e
legittimamente eseguito in modo coerente con i nuovi principi enunciati dalla giurisprudenza.
La pronuncia delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 18287 del 11/07/2018) ha stabilito che “Il
riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione
assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5,
comma 6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e
dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla
prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla
attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare,
alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in
considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla
formazione del patrimonio comune, nonchè di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in
relazione alla durata del matrimonio ed all’età dell’avente diritto. La funzione equilibratrice del
reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata
alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo
fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e
di quello personale degli ex coniugi”.
La Corte d’Appello, nell’attribuzione e determinazione dell’assegno divorzile, ha tenuto conto dei
criteri indicati dalle SSUU. In relazione ai figli, il criterio di proporzionalità invocato nel motivo è
stato correttamente parametrato all’attuale condizione economica ed alle esigenze dei figli stessi, i
quali, stanno iniziando ad entrare nel mondo del lavoro e, nello stesso tempo, completando il
proprio progetto formativo. L’ammontare dell’assegno di mantenimento è frutto del bilanciamento
tra i due profili e non può fondarsi in esclusiva sulla capacità economico reddituale dell’obbligato.
Inoltre, la Corte di merito ha esaurientemente motivato sulle circostanze, trattandosi G. di giovane
che ha già completato gli studi universitari e si avvia ad una carriera di avvocato mentre L. dispone
di un piccolo introito di 500,00 Euro mensili.
Infine, in ordine al quarto motivo con il quale ricorrente censura la condanna alle spese nel giudizio
di merito occorre rilevare che la ricorrente era prevalentemente soccombente e pertanto la Corte,
valutando ogni altra circostanza, ha provveduto sulle spese con motivazione congrua ed adeguata
che merita di essere confermata. Per quanto sopra, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile
con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità a
favore del controricorrente che si liquidano in Euro 2.500,00 più Euro 200,00 per spese oltre iva, cpa
e rimborso spese forfettario del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater ricorrono i presupposti processuali per il
versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello,
ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.