Risarcito il patema d’animo patito da una madre per la ritardata diagnosi di sordità del figlio

Trib. Firenze, Sez. II, Sent., 30 dicembre 2023; Dott. Zanda
Fatto e diritto
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione
Gli attori hanno citato in giudizio i due convenuti allegando:
– Il 04.08.2003 nasceva (omissis) e successivamente venivano effettuati sul bambino i controlli di
routine. In esito agli stessi, la pediatra che seguiva il bambino consigliava ai genitori degli esami di
approfondimento sulla capacità uditive del piccolo a seguito di un Boel Test dubbio.
Conformemente alla indicazione del medico i genitori provvedevano, dunque, a far effettuare
accertamenti audiologici sul bambino ed il 04.06.2004 portavano il figlio al C.R.O. (centro
rieducazione ortofonica) ove il piccolo veniva sottoposto a tests uditivi le cui risultanze negavano
qualsiasi difficoltà uditiva: “Boel test buone risposte a giochi sonori. Udito nella norma” (cfr. doc. 2
certificazione CRO 04.06.2004);
– Il bambino crescendo presentava, però, evidenti difficoltà nel linguaggio tanto da determinare i
genitori a sollecitare la azienda sanitaria di competenza all’esame del caso del proprio figlio (doc. 3
cartella 19.07.2006 Azienda USL 11 di Empoli) nella quale viene esplicitato il motivo della
osservazione del bambino: “ritardo nel linguaggio parla un gergo incomprensibile.. è un bambino
tranquillo ben regolato e comunicativo. Accenna gioco simbolico (cfr. doc. 3 osservazione clinica
esame obbiettivo del 19.07.06).
In sede di giudizio conclusivo del 19.09.2006, valutata anche la osservazione del comportamento del
bambino alla scuola materna: “bimbo cerca la maestra e gli altri bambini per giocare con loro. Molte
perplessità sulle capacità di comprensione. Ci sono dei comandi che non capisce sembra non sentire.
E’ un bambino presente nelle attività. Va in bagno da solo. Imita molto e sembra così bypassare i
deficit di comprensione (cfr doc. 3 “osservazione psicologica logopedica psicomotoria sociale”) —
veniva deciso di iniziare — stante raccertato disturbo del linguaggio — trattamento logopedico (cfr
doc. 3 “Giudizio conclusivo”).
Ed infatti sin dal dicembre 2006 il piccolo (omissis) veniva seguito con un programma personalizzato
di aiuto e supporto presso la Azienda USL 11 di Empoli (cfr doc. 4 diario dei trattamenti dal dicembre
2006).
Vale la pena riportare quanto verbalizzato in sede di primo incontro: “a 9 mesi ha fatto l’esame
audiometrico per la mamma (incomprensibile)..dubbio di problemi di udito, invece no.” (cfr doc. 4
diario del 06.12.2006).
Seguiva un ininterrotto percorso terapeutico il cui sviluppo viene tracciato sempre nella scheda di cui
al doc. 3:
“10.01.2007 gruppo di logopedia
07.02.2007 colloquio con i genitori si programmano ..approfondimenti diagnostici (RMN ECG e
indagini genetiche)
11.02.2007 certificazione di handicap
05.03.2007 inizia terapia individuale
11.10.2007 inizio gruppo psicoeducativo (2 ore 2 volte a settimana)
11.11.2007 colloquio con la logopedista è migliorato più collaborativo e pure l’intenzionalità
comunicativa più il lessico
07.05.2008 colloquio con i genitori la logopedista e l’educatrice. Bimbo è ulteriormente migliorato
sia il linguaggio che il comportamento. Qualche perplessità sulla comprensione verbale
11.06.2008 colloquio con le insegnanti bimbo presenta delle fobie a scuola (finestre chiuse)
07.07.2008 si programma leiter per agosto 1
1 Leiter-R è un test per la misura del QI e dell’abilità cognitiva particolarmente adatto per bambini e
adolescenti, da 2 a 20 anni, con ritardo cognitivo e con disturbi verbali.
03.09.2008 Test Leiter completo
23.09.2008 colloquio con la madre (stanca)
07.10.2008 incontro multidisciplinare”.
Seguivano ulteriori annotazioni su incontri e valutazioni dei progressi del bambino sino alla
certificazione dei 21.07.2011 di fine trattamento logopedico.
Si evidenzia fin d’ora come tutte le relazioni redatte nel periodo indicato riportino come patologia
“Grave disturbo del linguaggio e ritardo degli apprendimenti” (cfr. doc. 5).
– in data 20.11.2009 il minore veniva sottoposto, su insistenza della madre, ad ulteriore esame
audiometrico presso il C.R.O. di Firenze, che ancora una volta dava esito negativo: “esame
audioimpedenzometrico nei limiti della norma” (cfr. doc. 6).
Successivamente alla fine del trattamento logopedico erano evidenti degli innegabili progressi del
minore da ascriversi però, non alla miracolosa riuscita di far evolvere un bambino minorato psichico,
bensì alla circostanza che in seguito ad ulteriori accertamenti il 18.06.2010 veniva finalmente
refertato che (omissis) era afflitto da ipoacusia bilaterale prevalente sinistra di entità medio grave (cfr.
doc. 7).
Tradotto nei fatti il bambino era afflitto da sordità sin dalla nascita ma tale circostanza non è emersa
che dopo oltre sei anni dalla nascita del bimbo.
Tutto questo nonostante che il bambino avesse conseguito, come sopra esposto, da parte del C.R.O.
due diverse certificazioni di assenza di problemi uditivi, si ricorda infatti che:
– venne portato al C.R.O. pochi mesi dopo la nascita – .. – su indicazione della pediatra per sospette
irregolarità nell’udito ottenendo una certificazione di piena rassicurazione sulla funzionalità uditiva
del bambino (cfr doc. 2 certificazione C.R.O. 04.06.2004 Boel test buone risposte a giochi sonori.
Udito nella norma) ma pure successivamente;
– Stante l’incoercibile e pervicace convinzione della madre sulla perfetta regolarità psichica del bimbo
e della sussistenza, invece, di problemi funzionali la stessa riportò (omissis) qualche anno dopo (e
dopo averlo sottoposto a tutta una serie di controlli) al C.R.O. ove nuovamente ebbe certificazione di
perfetta regolarità della funzione uditiva del bambino (cfr. doc. 6 Certificazione C.R.O. 20.11.2009
timpanogramma sx e dx nella norma conclusioni esame audioimpedenzometrico nei limiti della
norma).
La colpa dei convenuti sta nel fatto che l’inescusabile omessa diagnosi di sordità proviene da un centro
di alta specializzazione audiologica e ad essa si è aggiunta la mancata percezione da parte anche degli
operatori dell’ASL di Empoli che il bimbo fosse sordo nonostante lo avessero in cura per ben tre anni
e mezzo senza arrivare a comprendere la natura e l’entità dei problemi del bambino.
A detta degli attori si tratta di un caso di inefficienza delle strutture sanitarie convenute che ha
determinato che (omissis) sia stato tenuto scisso dal mondo, privato della possibilità di interagire
correttamente con la realtà che lo circondava nonostante anzi a causa della continua attenzione
terapeutica nei suoi confronti.
La diagnosi di ipoacusia bilaterale è stata peraltro confermata successivamente dall’ospedale Meyer
di Firenze ed il piccolo (omissis) ha potuto finalmente intraprendere il giusto percorso in relazione
all’invalidità da cui è affetto (doc. 8), mediante l’ausilio di apparecchi acustici che gli hanno consentito
di migliorare la propria situazione.
In ordine alla responsabilità delle controparti anche a seguito del supplemento di CTU alcun dubbio
può ormai residuare.
Il (omissis) ha chiaramente rappresentato più volte che sussiste un errore diagnostico ed un ritardo
diagnostico con responsabilità da ascriversi al 50% ciascuno fra i due convenuti.
Appare evidente come non possa dunque dubitarsi dell’errore diagnostico commesso dal CRO né
tanto meno della negligenza, imprudenza ed imperizia dei sanitari dell’azienda USL, di gravità tale
da essere definita “diabolica ed illogica ostinazione” da parte del CTU, circostanze che hanno
purtroppo determinato una trattazione dell’allora minore (omissis) come un soggetto affetto da un
disturbo di natura mentale con le conseguenze ben descritte dal (omissis).
Peraltro occorre evidenziare come anche a seguito del supplemento disposto permanga il contrasto
fra i due consulenti, posto che il (omissis) rappresenta che il disturbo da cui è affetto (omissis) era
presente sin dalla nascita e non è stato riconosciuto per ben due volte con gli esami condotti dal CRO,
mentre la Dr.ssa (omissis) parla di disturbo a formazione progressiva (?), e ciò subito dopo aver
evidenziato che in campo neuropsichiatrico non sussistono linea guida per la diagnosi differenziale
di sordità, in quanto l’ipoacusia non è patologia di interesse primariamente neuropsichiatrico ma di
competenza di altra specialità, donde ogni commento sulla confusa trattazione della consulente appare
davvero superfluo.
***
Il CTU ha ritenuto resistenza del solo danno biologico temporaneo del ragazzo, quantificato nella
misura del 15-20% per circa 4 anni (dal luglio 2006 al giugno 2010) in considerazione del periodo di
parziale isolamento dal mondo sonoro per mancata diagnosi di ipoacusia, omessa protesizzazione ed
inutili trattamenti neuropsichiatrici, cui hanno concorso entrambe gli enti convenuti, CENTRO di
RIEDUCAZIONE ORTOFONICA ovvero C.R.O. S.r.l. e AZIENDA USL TOSCANA CENTRO, in
uguale proporzione (50% e 50%).
La quantificazione così operata appare però inadeguata al danno concretamente subito.
Ed invero gli anni trascorsi in condizione di ridotta comunicazione corrispondono infatti ai più
rilevanti e sensibili passaggi dello sviluppo somatopsichico è quest’ultimo deve quindi presumersi
compromesso, o al limite inferiore, deviato rispetto alla evoluzione che avrebbe avuto con un
tempestivo inquadramento della sordità. La vicenda vissuta da (omissis) non può considerarsi esaurita
con la ritrovata funzione uditiva.
Ciò risulta confermato a seguito di approfondita valutazione neuropsicologica condotta dalla Dr.ssa
(omissis) che anche il Dr. (omissis) nel supplemento di CTU evidenzia, rappresentando che residua
un “deficit di accesso al lessico in chiave fonemica e per immagini, cui si associa inefficienza a carico
dei processi di codificazione/recupero delle informazioni dalla memoria a lungo termine… con
fragilità ai limiti inferiori di norma per quanto concerne gli apprendimenti nella lettura, nonché nelle
competenze ortografiche”.
Il danno psicologico così ben documentato e cosi attinente le funzioni verbali (e quindi dell’udito)
non può essere di così limitata entità come stabilito dai CTU, considerando che per anni è stato
trascurato il deficit uditivo, il ragazzo è stato emarginato di fatto dai coetanei, sottoposto a quanto di
solito è indicato per tutt’altra patologia di ordine psichiatrico, munito di protesi quando ormai i suoi
coetanei erano padroni da anni della funzione verbale, e infine alle soglie dell’età adulta riconosciuto
portatore comunque di una sofferenza delle funzioni superiori connesse con l’udito, tutte circostanze
emerse in sede di colloquio col ragazzo durante la CTU. Un udito normale è infatti requisito
fondamentale per uno sviluppo adeguato della comunicazione verbale. Pertanto, in presenza di un
problema di udito non trattato, il bambino presenterà un ritardo e uno sviluppo atipico della
comprensione e della produzione del linguaggio, tanto più grave quanto più è grave la perdita uditiva.
Gli effetti negativi della sordità sul linguaggio si possono riassumere in quattro punti: 1. Il deficit
uditivo causa un ritardo nello sviluppo delle abilità di espressione e comprensione linguistica; 2. Il
deficit linguistico provoca problemi nell’apprendimento della lettura e della scrittura con conseguenti
difficoltà scolastiche; 3. Difficoltà nella comunicazione spesso portano ad isolamento sociale e scarsa
concezione di sé; 4. Può avere un impatto sulle scelte vocazionali.
Per prevenire danni irreversibili nello sviluppo cognitivo è infatti fondamentale agire
tempestivamente. Ipoacusie, anche di lieve o media entità, se protratte nel tempo, possono
determinare difficoltà nell’ascolto in presenza di rumore – ad esempio in una classe scolastica – e nella
localizzazione delle sorgenti sonore – basti pensare a quanto questa capacità sia importante anche
soltanto per attraversare la strada in sicurezza. È utile anche considerare che un bambino con difficoltà
uditive importanti, non riuscirà a riprodurre i suoni delle parole che sente, non potrà essere calmato e
rassicurato dalla voce della mamma e inoltre non potrà recepire correttamente buona parte di tutte le
esperienze sensoriali che compiono i suoi coetanei. Ed è anche questa mancanza di stimolazione che
arresta o altera il normale sviluppo uditivo ed è bene ricordare che la durata della sordità prima della
diagnosi e dell’intervento protesico-riabilitativo, è negativamente correlata con la capacità che avrà
in futuro il bambino di esprimersi e comunicare. Generalmente l’età consigliata per l’adattamento
audioprotesico, è entro i primi 6 mesi di vita.
Nel caso di specie, ad (omissis), proprio il fatto che il deficit uditivo di cui era affetto sia stato
trascurato, ha determinato una non corretta e non completa interconnessione con l’apprendimento del
linguaggio e conseguentemente ha causato un’incompleta formazione degli elementi cognitivi basilari
per il suo regolare sviluppo, elementi che devono assolutamente essere considerati nella
quantificazione del danno biologico.
Il danno va infatti considerato nel suo rilievo di base e, quindi, adeguatamente rimodulato in
considerazione della vicenda clinica e della situazione concreta della parte lesa: ciò sotto ogni profilo
rilevante e attinente ai riflessi sulla sua integrità psico-biologica, al condizionamento e al pregiudizio
nello svolgimento delle sue attività areddituali, ad ogni ulteriore aspetto morale che concorre a
descrivere il danno non patrimoniale, e, necessariamente, sulla base delle risultanze e delle allegazioni
anche presuntive offerte dalla parte (in sede di CTU tutto questo è stato evidenziato sia dai colloqui
col ragazzo che con la madre).
Del tutto fuorviarne il richiamo della Dr.ssa (omissis) ad una eventuale comorbilità per DSA, posto
che appare evidente come l’unico disturbo da cui è sempre stato affetto (omissis) è un’ipoacusia,
circostanza emersa chiaramente nelle indagini peritali; è veramente incredibile che si continui a
dipingere il ragazzo come affetto da patologie neuropsichiatriche quando invece si tratta di sordità!
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Non si può peraltro neanche concordare con l’esclusione del danno iatrogeno da parte di entrambi i
CTU, ovvero l’aggravamento ascrivibile a condotta imperita del medico delle conseguenze di un fatto
dannoso già verificatosi e non imputabile al medico.
Il danno iatrogeno è il pregiudizio alla salute, causato da colpa di un sanitario, che ha per effetto
l’aggravamento di una lesione già esistente, a sua volta ascrivibile a colpa di un terzo od a cause
naturali. Questo pregiudizio sussiste dunque quando si verifichi la seguente successione causale: a)
una lesione della salute; b) l’intervento di un medico per farvi fronte; c) l’errore del medico; d)
l’aggravamento o la mancata guarigione della lesione iniziale, sub a).
Pertanto, il danno non patrimoniale prodottosi risulta riconducibile al concorso di due condotte umane
distinte: quella del soggetto che ha causato la lesione originaria (nel nostro caso il C.R.O. per errata
e/o omessa diagnosi); e quella della Azienda USL Toscana Centro, chiamata a curare la patologia di
(omissis), che l’ha invece aggravata.
Nella fattispecie per cui è causa le distinte azioni da un lato del C.R.O. e dall’altro dell’Azienda USL
hanno contribuito a cagionare un evento dannoso unitario anche se non dovesse risultare possibile
distinguere l’efficienza causale del comportamento dell’uno e dell’altro.
Si pensi infatti come a seguito dell’errore del C.R.O. la Azienda sanitaria abbia intrapreso un percorso
terapeutico del tutto errato e dannoso per (omissis), che ha evidentemente aggravato la situazione,
circostanza cui deve necessariamente aggiungersi e considerarsi il fatto che la Azienda, nonostante
molteplici sollecitazioni in tal senso provenienti in primis dalla madre, non ha ritenuto opportuno
rivedere l’inquadramento diagnostico persistendo pertanto senza alcuna giustificazione in un
trattamento dimostratosi dopo ben ulteriori 3 anni inadeguato.
La Azienda sanitaria non ha ritenuto necessario, negli anni dal 2007 al 2010, eseguire alcun
approfondimento di diagnostica nei confronti dell’allora minore, né disporre alcuna verifica sulla
asserita normalità audiologica, ribadendo invece la sussistenza di ritardo cognitivo, e ciò in palese
contrasto rispetto al quadro clinico di difficoltà nell’esecuzione e comprensione di ordini, condotta
assolutamente censurabile sia dal punto di vista giuridico che morale.
Si insiste dunque anche per la condanna per danno iatrogeno nella quantificazione che sarà ritenuta
di giustizia.
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Non va sottovalutato nemmeno il danno morale subito da (omissis).
Basta invero leggere la prima CTU nella quale è ben spiegato come il ragazzo si porti dietro come
bagaglio un’angoscia che non dovrebbe avere e come sia molto apprensivo perché da sempre abituato
a stare molto vicino alla madre.
È lo stesso (omissis) che afferma “Lo vedo che non mi pare giusto che un dottore studia per tutta la
vita e poi non trova la cosa giusta per un bambino… È ironico che andiamo a Siena (la mamma aveva
dimenticato i documenti) e ci dicono che siamo sordi…. che sono sordo… Mi fa arrabbiare … Potevo
fare tante cose … esempio il calcio .. Potevo essere in là con lo studio”.
È dunque evidente la sofferenza interiore del ragazzo per la vicenda che lo ha visto coinvolto. Appare
davvero impossibile negare che ci sia stato un danno morale se solo si considera che egli è stato
trattato come affetto da disturbo neuropsichiatrico quando invece era non udente.
Peraltro, si rileva che detto aspetto non è assolutamente trascurabile, in quanto anche nel diventare
adulto (omissis) si renderà sempre più conto di quanto gli è accaduto e l’elaborazione della sua
sofferenza sarà presumibilmente maggiore via via che egli riuscirà a comprendere appieno tutti gli
eventi occorsi.
Per questi motivi gli attori deducono che la quantificazione operata dal CTU sia troppo esigua sia con
riferimento al danno biologico che alla sofferenza morale che, come detto, sarà maggiore una volta
che (omissis) sarà divenuto adulto e in grado di comprendere ancora meglio le conseguenze degli
errori e ritardi diagnostici ed errati trattamenti sanitari cui è stato sottoposto per negligenza,
imprudenza ed imperizia dei convenuti.
Hanno rilevato, infine, che con la sentenza n. 25164 del 10.11.2020 la Corte di Cassazione ha ribadito
il principio secondo cui la voce di danno morale è autonoma e non conglobabile nel danno biologico,
trattandosi di sofferenza di natura del tutto interiore e non relazionale, quindi, meritevole di un
compenso aggiuntivo al di là della “personalizzazione”, e detta, dunque, le regole precise per la sua
liquidazione.
La Suprema Corte precisa che il danno morale sì sostanzia nella rappresentazione di uno stato d’animo
di sofferenza interiore, che prescinde del tutto dalle vicende dinamico-relazionali della vita del
danneggiato.
L’autonomia del danno morale è infatti da leggersi nella più grande fenomenologia del danno non
patrimoniale al bene salute. La sofferenza conseguente alla lesione del bene salute, infatti, può essere
declinata in due differenti contenuti: quella “fisica e della vita di relazione” e quella “interiore” (intesa
come dolore, la vergogna, la paura, la disperazione).
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Accanto al danno biologico e a quello morale va risarcito anche il danno da perdita di chance legato
alla possibilità di poter essere tempestivamente trattato con protesi con beneficio per lo sviluppo
somatopsichico ed anche migliori prospettive di adattamento alla protesi.
Nella fattispecie in esame emerge con palese evidenza come (omissis), a causa di un errore
diagnostico ripetuto negli anni, nonché a causa di una incomprensibile ed ingiustificata pervicacia
dell’azienda sanitaria nell’intraprendere un percorso curativo senza alcuna rivalutazione della
sintomatologia, sia stato privato delle concrete possibilità di un trattamento terapeutico adeguato in
relazione all’invalidità sofferta, e come dunque le chance di guarigione e/o di miglioramento siano
state effettivamente perdute a causa della condotta gravemente colposa delle odierne convenute.
Il CTU Dr. (omissis) nel supplemento di perizia evidenzia la sussistenza di detto danno, causato dalle
difficoltà nel raggiungere le migliori performances neurocognitive teoricamente attendibili, e lo
quantifica in una percentuale fra il 5 e 10%.
Anche in questo caso si ribadiscono le osservazioni sopra riportate e si insiste per la quantificazione
che risulterà di giustizia, con considerazione di tutte le circostanze del caso concreto.
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Nel caso in esame, come già esposto, (omissis) in conseguenza degli eventi narrati è stato privato
negli anni più importanti della formazione della possibilità di interagire con l’esterno, e ciò ha
evidentemente determinato una “deviazione” del suo percorso di vita rispetto a quello che avrebbe
avuto se la patologia fosse stata correttamente inquadrata dalla nascita.
Dette circostanze dovranno essere risarcite dal punto di vista del danno esistenziale.
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Hanno insistito anche per i danni subiti dai genitori di (omissis) a causa della vicenda che li ha visti
coinvolti.
Gli stessi hanno subito un danno non patrimoniale nella compiuta accezione del danno morale
laddove per anni hanno creduto che il figlio fosse affetto da disabilità psichiche, per poi scoprire che
egli aveva invece problemi uditivi, circostanza che evidenzia in pieno la colposa negligenza delle
convenute.
A ciò deve aggiungersi la concreta sofferenza patita per le lesioni credute nel figlio minore, aggravata
in seguito dal dolore causato dal ritardo con cui ad (omissis) sono state finalmente prestate le
opportune cure e terapie.
In questa sede si evidenzia come soprattutto la madre che, come emerso in sede di perizia, è sempre
stata accanto al figlio con il quale sussiste un attaccamento particolare, abbia riportato una sofferenza
notevole per quanto occorso, dapprima scoprendo dopo anni che era affetto da ipoacusia e poi
successivamente nel constatare i ritardi causati dalla negligenza dei convenuti nello sviluppo psichico
e nel percorso scolastico del figlio; dette circostanze sono emerse chiaramente in sede di colloqui con
i CTU.
E’ notorio come il danno morale possa essere provato anche a mezzo presunzioni: “Stante la piena
autonomia del danno morale rispetto al danno biologico il giudice è tenuto a esperire la strada della
risarcibilità del danno, anche affidandosi a criteri presuntivi ed in riferimento a quanto
ragionevolmente riferibile alla realtà dei rapporti di convivenza ed alla gravità delle ricadute della
condotta in atti” (Cassazione Civile, Sez. III, sentenza n. 21970 pubblicata il 12/10/2020).
Lo strettissimo rapporto affettivo sussistente tra madre e figlio, la convivenza nonché la tenera età in
cui sono avvenuti i fatti di causa costituiscono tutti elementi presuntivi del danno morale sofferto
dalla madre e dai genitori entrambi per le condotte illecite dei convenuti.
Sul danno patrimoniale della sig.ra (omissis) si rinvia espressamente a tutto quanto dedotto,
argomentato e prodotto nella memoria ex art. 183, VI comma, n. 1, c.p.c.
***
Infine, hanno osservato come permanga l’insanabile contrasto – anche a seguito dei due supplementi
di CTU – il contrasto tra la valutazione della (omissis) e quella degli altri specialisti, in primis il
(omissis) esperto audiologo e quindi competente in detto specifico ambito.
Hanno chiesto in ogni caso che il Tribunale di Firenze voglia considerare nella propria decisione
esclusivamente l’elaborato e il supplemento di perizia redatti dal Dr. (omissis) – nel quale sono
comunque incluse le valutazioni della Dr.ssa (omissis) -, anche in considerazione dell’atteggiamento
immotivatamente ostile e poco collaborativo della dottoressa.
DIFESA Di C.R.O. s.r.l.
1) Il ctu Dott. (omissis) ha ribadito l’insussistenza di qualsiasi invalidità permanente, riconoscendo
ad (omissis) la sola invalidità temporanea del 15% (e non del 25%) per un periodo ricompreso tra il
luglio 2006 e il giugno 2010 e imputando la responsabilità al 50% tra C.R.O. e la ASL.
Il CTU ha altresì escluso esiti incidenti sulla capacità produttiva specifica del minore di produrre
reddito, quantificando una perdita di chances in misura “percentualmente trascurabile, da identificare
in un range tra il 5 e il 10%”. Occorre rilevare, ancora una volta, che (omissis) è risultato affetto da
un’ipoacusia ereditaria ad insorgenza progressiva: vi è quindi un momento in cui la malattia insorge,
ma in un momento precedente la patologia non era presente e in questo senso, come ampiamente
argomentato dal CTP di C.R.O., Prof. (omissis), anche nelle osservazioni a quest’ultimo supplemento
di consulenza, sono contestabili le conclusioni cui giunge il Dott. (omissis), perché non è possibile, a
priori, affermare che l’esame del novembre 2009 non fosse rappresentativo dello stato uditivo non
patologico del bambino in tale momento storico, dal momento che la diagnosi di ipoacusia perviene
sette mesi dopo, ovvero nel giugno 2010.
È in ogni caso ingiustificata la ripartizione a perfetta metà operata dal CTU tra C.R.O. che ha visto il
bambino, in quell’arco temporale, una sola volta, appunto nel novembre 2009, e la ASL che lo ha
avuto in cura per oltre quattro anni.
Si contesta comunque che ricorra una perdita di chance, circostanza che peraltro appare in contrasto
con l’esclusione di qualsiasi danno permanente e si ribadisce che la percentuale quantificata dal CTU
è (5/10%) è assolutamente trascurabile e priva di dignità risarcitoria.
Oltre alle deduzioni del proprio CTP, C.R.O. si riporta a quanto esposto e dedotto nella propria
comparsa conclusionale 7.9.2020 e nella replica 29.9.2020, anche con riferimento all’invalidità
temporanea.
2) Per quanto attiene il supplemento alla CTU neuropsichiatrica, la Dott.ssa (omissis) ha confermato
le conclusioni cui era già pervenuta, ovvero che non sussiste alcun danno, neanche in termini di
perdita di chance, in relazione all’asserita tardività della diagnosi, posto che — si ribadisce — trattasi
di una patologia progressiva e non è possibile stabilire precisamente quando si sia resa clinicamente
manifesta nel soggetto.
Nulla C.R.O. ha da aggiungere a quanto correttamente rilevato dalla Dott.ssa (omissis), anche in
questa fase supplementare.
3) Si rileva, ancora una volta, l’infondatezza della domanda attrice, sia nell’an che nel quantum, che è
stato ripetutamente modificato in corso di causa e mai motivato sulla base delle evidenze delle CTU,
le cui risultanze sconfessano completamente la richiesta dei sig.ri (omissis) e (omissis).
Da ciò non può che derivare la temerarietà della lite.
DIFESA USL 11 E.
La convenuta ha dedotto una palese mancanza di responsabilità dei sanitari empolesi ritenendo non
sussista alcun nesso di causa tra le presunte condotte omissive e/o commissive degli operatori dell’ex
Azienda USL 11 di E. e la menomazione in seguito riscontrata sul minore (ipoacusia bilaterale)
nemmeno, in ipotesi, in termini di aggravamento della patologia lamentata.
I sanitari afferenti al reparto di neuropsichiatria infantile, come detto in più occasioni, non avevano e
non avrebbero avuto le competenze specifiche né gli strumenti necessari per diagnosticare l’ipoacusia
bilaterale da cui era affetto al tempo il piccolo (omissis) trattandosi di una unità operativa complessa
che si occupa della prevenzione, della diagnosi, della cura e della riabilitazione dei disturbi
neurologici, neuropsicologici e psicopatologici della popolazione in età tra 0-17 anni nonché di tutti
i disturbi dello sviluppo nelle sue varie linee di espressione psicomotoria, cognitiva, linguistica,
affettiva e relazionale.
A tal proposito peraltro corre l’obbligo di evidenziare come lo stesso Dott. (omissis) nel proprio
elaborato (cfr. pagg. 42-43 dell’elaborato peritale), stante l’inapparente o poco apparente presenza di
deficit percettivi alla nascita, predominante sulle frequenze acute (e senza alcun altro soggetto colpito
nel ceppo familiare), abbia definito la diagnosi dell’ipoacusia neurosensoriale bilaterale di tipo
ereditario una complessa sfida diagnostica più spesso intercettabile in età scolastica.
Desta dunque molte perplessità leggere nel proseguo dell’elaborato che il consulente ravveda
comunque una evidente responsabilità da parte dei sanitari colpevoli – a suo dire – di non aver
diagnosticato la patologia dell’apparato uditivo e/o non aver approfondito le indagini svolte.
Le cartelle cliniche depositate in atti evidenziano un atteggiamento assai scrupoloso e oltremodo
diligente da parte dei medici afferenti alla UOC di Neuropsichiatria i quali, raccolti i dati anemnestici
dai genitori del minore e valutate le problematiche rilevate durante un periodo di osservazione
scolastica, intraprendevano un percorso terapeutico – che peraltro secondo la Dott.ssa (omissis) è
risultato congruo e necessario – e per ben 2 volte, sospettando problematiche che potessero radicarsi
fuori dal proprio campo di competenza (patologia che verosimilmente potevano essere in relazione
con l’apparato uditivo del minore) non hanno esitato a rivalutare il quadro clinico ed inviare il piccolo
presso un ambulatorio medico specialistico di diagnosi (CRO di F., prima, e Istituto di disciplina
Otorinolarigologiche dell’A.U.O. di S., poi) per l’esecuzione di approfondimenti strumentali. Appare
pertanto logico che i medici della convenuta azienda, considerati i risultati degli esami specialistici
svolti in ordine alla capacità uditiva del minore, si trovarono “costretti” a porre una diagnosi
alternativa differenziale che comunque escludesse l’ipoacusia bilaterale.
Non paiono pertanto condivisibili gli assunti e le conclusioni del Dott. (omissis) il quale sostiene una
evidente responsabilità dei sanitari empolesi per il ritardo diagnostico solo per il fatto che questi
avessero trascritto in cartella clinica, in ordine alla capacità di comprensione del minore, l’inciso
“sembra non sentire” e non ebbero, come da lui sostenuto, indagato più approfonditamente su tale
aspetto.
Nel momento in cui i genitori del minore si rivolgevano al centro “L.B.” per gli evidenti problemi e
le difficoltà di linguaggio riscontrati nel piccolo durante i primi anni di crescita (problemi che come
confermato dalla Dott.ssa (omissis) erano ben presenti nel minore), venivano anche tempestivamente
eseguiti tutti i necessari esami diagnostici strumentali per una corretta ricerca eziologica del
riscontrato disturbo del linguaggio.
Si deve, poi, tener conto della circostanza che il minore fosse bilingue e tale circostanza, secondo
quanto riportato dalla maggioritaria dottrina medica e dagli studi relativi all’analisi dello sviluppo del
linguaggio dei bambini bilingue, influenzasse notevolmente la possibilità di individuare la presenza
di un disturbo specifico del linguaggio nel piccolo.
Escluso quindi con certezza il problema audiometrico sulla scorta dei risultati del predetto esame,
correttamente i sanitari dell’Azienda convenuta, tenuto conto del quadro clinico nel frattempo
rilevato, iniziavano un percorso terapeutico e riabilitativo mirato alla risoluzione dei disturbi specifici
del linguaggio.
Il piccolo (omissis), anche nel periodo successivo alla presa in carico da parte dei sanitari, veniva
visitato ed indagato mediante ulteriori approfondimenti specialistici ad ampio raggio per cercare di
trovare la causa del disturbo di linguaggio.
Veniva quindi eseguito, presso la struttura di S. M., un elettroencefalogramma che, però, non
evidenziava alcuna anomalia parossistica né alcuna alterazione comportamentale di possibile
significato epilettico.
Contestualmente veniva impostato un progetto terapeutico individualizzato che prevedeva un
trattamento logopedico, prima, e un trattamento psicoeducativo in gruppo, poi.
La diagnosi iniziale veniva peraltro confermata anche dal test Ieiter-R (test della misura del QI),
effettuato nel settembre del 2008, il quale evidenziava i problemi relativi al disturbo del linguaggio
ed il ritardo di apprendimento.
A dir il vero non si comprende cosa i sanitari empolesi avrebbero dovuto fare in termini di condotte
alternative anche perché il consulente, chiamato a chiarimenti sul punto, non ha fornito spiegazioni
eloquenti ma si è limitato a riportare uno stralcio della perizia già depositata (cfr. pag. 143 elaborato
peritale).
Tutte le volte che i medici hanno avuto un dubbio in ordine alla capacita uditiva del minore lo hanno
inviato presso un centro specializzato che ha sempre reso pareri negativi in ordine a possibili patologie
dell’apparato uditivo.
Contrariamente a quanto sostenuto sul punto dal CTU è stato anche grazie alla costanza dei medici
della convenuta che è stato possibile addivenire alla diagnosi di ipoacusia: nonostante le risultanze
degli esami condotti dal CRO, il personale sanitario della UOC di Neuropsichiatria, nutrendo ancora
qualche dubbio sulle capacità uditive del minore, decideva di inviare il piccolo (omissis) presso altro
centro specializzato (AOU di S.).
Tempestiva è stata infine la decisione di protesizzare il minore al momento in cui l’istituto senese ha
ripetuto gli esami rilevando che il minore era affetto da una ipoacusia bilaterale.
Deve essere giudicato quindi come notevolmente scrupoloso, ed informato allo stato di diligenza
dovuta nel caso di specie, il comportamento diagnostico e terapeutico del personale sanitario.
Ciò premesso, vista l’evidente mancanza di qualsivoglia responsabilità da parte degli operatori
sanitari fiorentini, vorrà il Giudicante respingere ogni addebito di responsabilità mosso dagli attori.
3. Sulla correttezza dell’operato dei medici della Neuropsichiatria Infantile della Azienda USL
Toscana Centro
Parimenti non condivisibili sono le conclusioni del Dott. (omissis) in ordine al percorso elaborato dai
sanitari della UOC Neuropsichiatria Infantile i quali, secondo la sua tesi, sarebbero rei di aver trattato
il minore con un approccio terapeutico errato dovuto proprio all’asserita omessa diagnosi circa
l’ipoacusia bilaterale di cui era affetto il piccolo (omissis).
Tali conclusioni destano ancor più stupore laddove si tenga in considerazione che l’altro membro del
collegio peritale, la Dott.ssa (omissis), specialista in neuropsichiatria infantile, è giunta a
considerazioni diametralmente opposte, concludendo la propria relazione non individuando, sia dal
punto di vista diagnostico sia dal punto di vista riabilitativo, comportamenti manchevoli e/o omissivi
da parte della NPI dell’Usl di E..
Secondo la neuropsichiatra infantile – nominata dal Giudice proprio con lo scopo di condurre un
approfondimento sul ritardo del linguaggio da cui era affetto il piccolo (omissis) e sulla
corrispondenza della terapia posta in essere dagli operatori sanitari – il minore era affetto (e lo è
tutt’oggi) anche da un disturbo del linguaggio espressivo non del tutto compensato in associazione a
fragilità nella lettura e nelle componenti ortografiche in soggetto con ipoacusia neurosensoriale. La
specialista ha rilevato dunque la necessita di un percorso di tutoring DSA finalizzato al potenziamento
delle abilità di studio e degli apprendimenti, nonché di potenziamento lessicale e di potenziamento
della memoria a lungo termine verbale (cfr. pag. 27 relazione). La Dott.ssa (omissis) conclude sul
punto sostenendo che
anche supponendo che fosse necessario protesizzare il minore prima di quando effettivamente ciò è
accaduto e che questo accadesse, non è certa che la qualità del linguaggio e le competenze sugli
apprendimenti sarebbero state migliori di quelle odierne.
Al fine della valutazione della correttezza e della bontà del trattamento terapeutico/riabilitativo,
occorre, infine, precisare come il minore, visti i miglioramenti del disturbo presentato, sia rimasto in
cura presso il presidio de “L. B.” anche successivamente alla diagnosi dell’ipoacusia bilaterale
(2010)ed alla conseguente protesizzazione sino al novembre del 2013, allorquando il trattamento
veniva sospeso a causa del trasferimento della famiglia in altro comune, proprio perché i problemi
relativi al disturbo specifico del linguaggio persistevano (cfr. doc. 2 e 3 fascicolo di parte convenuta
Azienda USL Toscana Centro).
Il consulente del Giudice ritiene dunque corretto il percorso intrapreso dal minore per cercare di
recuperare il disturbo del linguaggio con ciò escludendo ogni responsabilità in ordine alle condotte
dei sanitari empolesi.
MOTIVAZIONE
Letto il lungo elaborato peritale comprensivo delle osservazioni dei ctp delle parti e del supplemento
richiesto dal Giudice, a seguito del contrasto tra il ctu audiologo e del ctu neuropsichiatra infantile, si
ritiene che sussista effettivamente una colpa medica sia del Centro C.,R.O. s.r.l. che degli operatori
dell’Ausl 11 di E.; la madre infatti si rivolse fin dal 2004 al Centro di Rieducazione Ortofonica per
sospetta sordità e per alcune criticità riscontrate nel comportamento e nello sviluppo del linguaggio,
ciò emerge per tabulas dai certificati prodotti, che il bambino presentava una difficoltà del linguaggio
che non si risolveva nel tempo e che non venne indagato in modo completo con gli esami oggettivi,
collaudati da decenni, e che sono stati indicati dal ctu dott. (omissis) tra cui i potenziali evocati uditivi,
cui provvide solamente la struttura universitaria di Siena ben 6 anni dopo nel 2010.
Il dott. (omissis) chiarisce nel supplemento ctu, che più probabilmente che non, era sordo fin dal
2004, quando venne visitato presso il C.R.O. e detto ctu ripercorre i vari documenti che attestano i
problemi di linguaggio annotati dai sanitari fin dal 2004.
Il dott. (omissis) con ragionamento immune da vizi logici, discostandosi peraltro dalle non
condivisibili considerazioni della neuropsichiatra dott.ssa (omissis), non esperta in branca
audiologica, afferma che il ritardo cognitivo non è una patologia autonoma di (omissis), sebbene
appare correlata con la sordità; quest’ultima viene collocata nella fase anteriore al pieno sviluppo del
linguaggio, in quanto effettivamente la madre fin dal 2004 riferiva di tali criticità ai sanitari del C.R.O.
sollecitando indagini sul versante audiologico; il ctu dott. (omissis) infatti ripercorre tutta la
documentazione medica dal 2004 in poi, che dimostra come il problema dello sviluppo del linguaggio
sia presente fin dal 2004, e tale disturbo del linguaggio viene condivisibilmente associato causalmente
alla sordità, e non considerato come espressione di una patologia da ritardo mentale autonoma rispetto
alla sordità.
Appare più logica e coerente questa valutazione del dott. (omissis) sia con le linee guida e gli studi
dettagliatamente riportati nel suo elaborato, e nelle osservazioni dei ctp, in quanto si sottolinea il fatto
che la sordità interferisce nel pieno e armonico sviluppo cognitivo del soggetto, causando
evidentemente difficoltà di comunicazione, di apprendimento, di linguaggio, qualora si manifesti
appunto prima del pieno sviluppo del linguaggio e dell’apprendimento.
A questi argomenti, collegati alla documentazione sanitaria in atti dove si richiama costantemente
questo problema di un irregolare sviluppo del linguaggio si aggiunge il fatto che allorquando
(omissis) fu finalmente protesizzato, recuperò le sue capacità di apprendimento e di linguaggio
giungendo a livelli di quasi normalità, con recupero di normalità anche del suo quoziente intellettivo;
tutto ciò mal si concilia con quanto opinato dalla dott.ssa (omissis), che parla di una sordità
manifestatasi solo nel 2009 con le indagini oggettive complete eseguite tardivamente solo
all’Università di Siena, includenti i potenziali evocati uditivi, mai eseguiti dal CRO né nel 2004, e
persino, sorprendentemente , nel 2006.
Si riporta quindi la pag. 142 della ctu depositata nel 2022 in causa con le considerazioni del ctu
specialista in branca dott. (omissis) di Milano (medico chirurgo, specialista in Medicina Legale e
delle Assicurazioni e specialista in Otorinolaringoiatria ed in Audiologia):
“devono essere giudicate erronee le conclusioni diagnostiche degli accertamenti del novembre 2009,
confrontate con quelle degli esiti degli accertamenti effettuati nel giugno 2010, le cui differenze non
si possono spiegare sulla base di un semplice, repentino peggioramento di soglia in un arco temporale
limitato a pochi mesi, a fronte di una sostanziale invariazione della soglia uditiva rilevata durante le
recenti operazioni peritali e della storia anamnestica, che depone per una difficoltà di correlazione col
mondo dei suoni in tutta la vita precedente del giovane, il sottoscritto CTU ha comunque ritenuto di
suddividere la responsabilità per tale ritardo diagnostico al 50% con l’azienda sanitaria di Empoli, che
aveva il paziente sotto osservazione, potendo rilevare tutte le incongruenze di comportamento dello
stesso, già ad iniziare dal 2006.
Punto tre: con riferimento all’ipoacusia progressiva ad esordio tardivo, senza precedenti familiari e in
assenza di altri fattori di rischio, occorre ragionare con mente serena.
Le linee guida, già del 2000 e 2007, davano delle indicazioni precise, sia per lo screening che per la
diagnosi precoce delle ipoacusie infantili.
Il ruolo dell’audiometria obiettiva è indiscutibile per le sue capacità di definire la soglia uditiva in
termini precisi, arrivando a delineare tutto il campo tonale con differenti modalità di registrazione
dell’audiometria a risposta elettriche.
Anche gli echi cocleari (nel caso in discussione mai registrati fino al 2010) sono stati molto
caldeggiati come screening neonatale e in Lombardia venivano ricercati nei reparti di ostetricia già a
finire dagli anni 90.
Del resto, non si può ritenere che il caso del giovane sia stato ben affrontato ed in particolare
tempestivamente diagnosticato, se si considerano i seguenti dati:
1) sin dai primi mesi di vita risulta anamnesticamente che il bambino non si girasse e/o non cogliesse
ì rumori ambientali;
2) anche alla scuola materna non partecipava al mondo sonoro, non cantava e non ripeteva le
filastrocche;
3) conseguentemente comparve un ritardo di linguaggio, che non tendeva a risolversi;
4) gli accertamenti di neuropsichiatria infantile dal 2006 denunciarono più volte un gergo
incomprensibile con comprensione deficitaria… disturbi del linguaggio… ci sono dei comandi che non
capisce, sembra non sentire… difficoltà ad adeguarsi alla consegna anche per le sue difficoltà a
comprendere ciò che gli viene richiesto, eccetera;
5) nel 2004 e nel novembre 2009 venero fatti accertamenti audiologici incompleti, refertati come
normali
6) nel giugno 2010 venne finalmente posta la diagnosi di ipoacusia neurosensoriale bilaterale, dopo
aver eseguito un esame audiometrico infantile, un esame impedenzometrico, uno studio di potenziali
evocali del monco encefalico ed uno studio dei prodotti di distorsione cocleare;
7) al ragazzo fu quindi accertata un’ipoacusia ereditaria;
8) applicate le protesi, il giovane soggetto chiuse il “gap” comunicativo.
Sostenere quindi che il giovane non fosse sordo fino al 2010, a fonte dell’anamnesi sopra riportala,
non ha alcun presupposto logico; l’ipoacusia era sicuramente già presente, perlomeno dal 2006, e
molto probabilmente fin dal primo accertamento del 2004, e poteva essere riconosciuta utilizzando
adeguate metodiche diagnostiche, già a disposizione ed ampiamente diffuse a quei tempi”.
Infatti, da pag. 43 a pag. 46 il ctu riporta il contenuto della documentazione sanitaria di dal 2004 al
2010 da cui emerge la logicità e condivisibilità delle sue valutazioni tecniche ossia la sussistenza di
nesso di causa tra sordità e disturbi del linguaggio e apprendimento documentati dal 2004 e comunque
certamente dal 2006.
A pag. 43: “omissis… Riguardo al primo punto soccorrono i dati anamnestico/documentali, che
rivelano un ritardo nell’acquisizione del linguaggio e successivamente anche dell’apprendimento
scolastico, a fronte peraltro di accertamenti audiologici apparentemente normali (4 giugno 2004, a 10
mesi; timpanogramma bilateralmente tipo “C” [con picco a pressione negativa], riflessi stapediali
evocabili e buone risposte all’acumetria tramite giochi sonori [Boel test]).
Persistendo il ritardo di linguaggio il bambino fu quindi avviato ad indagini dì neuropsichiatria
infantile, che in data 19/07/2006 segnalarono: “… parla un gergo incomprensibile, anche la
comprensione appare deficitaria… “; contestualmente alla scuola materna, fu descritto: “il bambino
cerca le maestre e gli altri bambini, gioca con loro. Molte perplessità sulle capacità di comprensione:
ci sono dei comandi che non capisce, sembra non sentire”.
Il 5 marzo 2007 e 13 giugno 2007, a quattro anni, rispettivamente un elettroencefalogramma ed una
risonanza magnetico nucleare encefalica risultarono nella norma; nel frattempo il piccolo fu affidato
ad un servizio di rieducazione logopedica e riabilitazione all’apprendimento scolastico, ma senza
sostanziale miglioramento del quadro rilevato.
Il 15/10/2007 un certificato del centro di NPI statuiva: “il minore presenta disturbi del linguaggio e
un ritardo degli apprendimento che non è possibile valutare con tests standardizzati; la comunicazione
verbale è sufficientemente investita, nonostante il disturbo linguistico; il linguaggio di (omissis) è
caratterizzato in produzione da un repertorio lessicale limitato a poche parole onomatopeiche con
rilevanti semplificazioni fonologiche; in comprensione il linguaggio, relativamente ad ordini semplici
e contestuali, appare relativamente adeguato; il bambino ha ridotte capacità attentive e di fronte a
certe richieste emerge la sua difficoltà ad adeguarsi alla consegna anche per le sue difficoltà a
comprendere ciò che gli viene richiesto e cerca dì manipolare e gestire la situazione; è stata eseguita
RMN encefalo ed EEG, che hanno dato esili negativi; le indagini e gli accertamenti sono ancora in
corso, attualmente il bambino segue un trattamento riabilitativo logopedico presso il nostro servizio
alla badia di San Minialo “.
A distanza di circa 17 mesi, il 09/03/2009 fu rilasciata la seguente diagnosi funzionale: “non si
evidenziano deficit a livello motorio, a parte un certo impaccio più evidente nella motricità fine e
nella coordinazione motoria; non si evidenziano nemmeno deficit a livello sensoriale (NDR: ???); il
linguaggio è fortemente disturbato, sia nella comprensione, che produzione verbale; il linguaggio di
(omissis) è ancora caratterizzato da un marcato ritardo, ma con dei miglioramenti, che si sono avuti
sia in comprensione, che in produzione; la produzione verbale è ancora caratterizzata da un repertorio
lessicale molto ridotto e limitato a poche parole con rilevanti semplificazioni fonologiche; c’è
un’iniziale costruzione della frase; anche in comprensione il linguaggio è compromesso, ma,
relativamente ad ordini semplici e contestuali, può essere adeguato, è molto migliorata la usa capacità
comunicativa ed il bambino appare più in grado di gestire situazioni ambientali che in passato lo
mettevano fortemente in difficoltà creandogli ansia e dalle quali si difendeva con comportamenti
oppositivi e cercando di manipolare la situazione; per quanto riguarda il suo livello cognitivo è stato
testato con Scala di Leiter, della quale è stato possibile somministrare le prove per il 01 completo: il
livello ottenuto con la scala ha dato valori ai limiti inferiore della norma.
A distanza di circa cinque anni e mezzo dai primi, il 20 novembre 2009 ulteriori esami funzionali
dell’udito (esame impedenzometrico ed audiometrico), eseguiti presso il medesimo centro ortofonico,
furono ancora refertati come nei limiti della norma, ma anche in questa occasione, come del resto
nella precedente rilevazione, furono del tutto omessi accertamenti audiologici obiettivi, come i
potenziali evocati uditivi.
Finalmente il 16 giugno 2010, persistendo il dubbio di una minorazione uditiva, furono ripetuti
opportuni accertamenti funzionali, questa volta presso altra struttura sanitaria (Azienda Ospedaliera
Universitaria di Siena), che portarono alla corretta diagnosi di ipoacusia neurosensoriale bilaterale,
di medio-grave entità (soglia media sui 50 60 dB HL) con, all’esame impedenzometrico, test di Metz
positivo, allo studio dei potenziali evocati del tronco cefalico, onda V rilevabile bilateralmente fino a
circa 90 80 dB SPL (equivalente a 60 50 dB HL) e prodotti di distorsione cocleare compatibili con la
soglia uditiva rilevata audiometricamente.
Audioprotesizzato nell’estate successiva, il bambino poté così chiudere il “gap” comunicazionale e dì
apprendimento”.
Nel rispondere alle osservazioni dei periti di parte attrice che hanno sostenuto la contraddittorietà del
ctu (omissis) tra premesse e conclusioni, e particolarmente nell’aver da un lato riconosciuto la
risalenza della sordità all’epoca pre-linguale e dall’altro nell’aver escluso che l’omessa tempestiva
protesizzazione avesse determinato l’attuale stato di non perfetta performance cognitiva di accertata
anche ufficialmente e che aveva dato luogo alla necessità di sostegno a scuola, questo giudice si
riporta alle valutazioni del dott. (omissis), che sostanzialmente esclude un danno permanente, laddove
a pag. 148 conferma tale valutazione, ascrivendo le difficoltà di (omissis) nell’apprendimento, nella
lettura e scrittura, alla sua malattia di base ossia alla sua sordità genetica, che anche se
tempestivamente trattata, avrebbe avuto comunque delle ripercussioni nel pieno sviluppo cognitivo.
Il dott. (omissis) si esprime, infatti, col dire a pag. 150 “Infine per quanto riportato nella consulenza
psicologica della Dott.ssa (omissis) che denuncia un u deficit di accesso al lessico in chiave fonemica
e per immagini, cui si associa inefficienza a carico dei processi di codificazione/recupero delle
informazioni dalla memoria a lungo termine… con fragilità ai limiti inferiori dì norma per quanto
concerne gli apprendimenti nella lettura, si reputa che tali deficit nonché nelle competenze
ortografiche”, non siano di entità tale da delineare un danno biologico permanente, ma possano
semmai esprimere una perdita di chances nel raggiungere le migliori performance neurocognitive
teoricamente attendibili”.
Pag. 151: “….Dopo la protesizzazione il ragazzo ha comunque recuperato pressoché totalmente il
proprio handicap cognitivo/comunicativo (una quota minimale del quale sarebbe comunque da
considerare intrinseca allo stato di ipoacusico e quindi non necessariamente rimediabile con
qualsivoglia approccio terapeutico, anche il più tempestivo), tanto che le “attuali fragilità”,
individuate dalla dottoressa (omissis) non possono configurare altro che una perdita di chances nel
raggiungere le migliori performance neurocognitive pag. 165: “…. omissis l’individuata bassa
percentuale di perdita di chance nel raggiungere le migliori performance neurocognitive Attendibili
(stimato tra il 5 e il 10%), fa riferimento a quanto riportato nella consulenza psicologica dalla
dottoressa (omissis), su cui si ritiene che possa avere inciso il ritardo di applicazione della terapia
protesica, atta a compensare il deficit uditivo, comunicativo e di sviluppo cognitivo del giovane
soggetto”.
Visto l’ampio dibattito tra i periti delle parti e il ctu (omissis) e il contrasto tra il ctu (omissis) e il ctu
(omissis), e tenendo in considerazione anche quanto obbiettivamente rilevato dalla dott.ssa (omissis),
ausiliaria della dott.ssa (omissis) che ha proceduto alla somministrazione di test ad (omissis);
considerate anche le linee guida indicate dai periti di parte e dal ctu (omissis), anche in punto di
efficacia di una immediata protesizzazione acustica prima che venga portato a compimento lo
sviluppo della fase del linguaggio e dell’apprendimento, rimane il dubbio che effettivamente l’attuale
stato del giovane (omissis) e le sue evidenziate fragilità, che lo collocano come soggetto ufficialmente
disabile, sia una condizione ineludibile, che si sarebbe verificata comunque anche col comportamento
corretto dei sanitari, e interamente determinata dalla sua sordità incurabile, o se invece la precoce
protesizzazione a uno o due anni di età, avrebbe dato dei risultati in termini di normale performance
cognitiva, ben diversamente da quanto accaduto, ovvero una protesizzazione a 6 anni di età.
Aderendo, tuttavia, alle conclusioni del ctu (omissis), super partes, ed esperto in branca, di cui è stata
eccepita la contraddittorietà, v’è da chiedersi come mai le linee guida prevedano una protesizzazione
acustica “quanto prima”, se essa poi non fosse capace di incidere sul normale sviluppo del linguaggio
e dell’apprendimento, con ciò quindi evitando la cristallizzazione di un danno cognitivo permanente.
Dunque, effettivamente il dibattito tecnico dei ctp col ctu, lascia comunque spazi al dubbio di un
danno iatrogeno permanente di tipo cognitivo causato dalla ritardata protesizzazione.
Pur con tale dubbio, tuttavia, si recepisce quanto conclude il dott. (omissis) laddove nega l’invalidità
permanente e afferma che sussista nesso di causalità tra omessa protesizzazione precoce al 2004 o al
2006 e inabilità solo temporanea al 15-20%, quale danno esistenziale relazionale sofferto da (omissis)
a causa dell’isolamento sonoro e ambientale per tutta la durata del ritardato intervento.
Dunque si ritiene di recepire la conclusione finale del ctu, che non riconosce alcuna invalidità
permanente ma solamente una inabilità temporanea per tutto il tempo del ritardo nella protesizzazione
che va dal 4 giugno 2004 (data in cui la madre si rivolse all’ASL di Empoli n. 11 che negligentemente
non pose la corretta diagnosi di sordità, omettendo di procedere ad effettuare i corretti esami
strumentali specifici per rilevamento obbiettivo della sordità descritti dal dott. (omissis)), oppure, dal
19 luglio 2006 (data certa indicata dal ctu) fino ad arrivare al 16 giugno 2010, coincidente con la data
dell’effettuazione, per la prima volta, dei potenziali del tronco cefalico e degli altri esami corretti,
nella diversa struttura di Siena; oltre un danno per perdita di chance di raggiungimento di normali
performance cognitive stimata al 5-10%.
Sulla inabilità temporanea il valore della inabilità che viene presa a base del calcolo è quello tratto
dalle tabelle meneghine, in quanto nello specifico caso di che trattasi, appare un criterio liquidatorio
più equo, rispetto a quello fondato sulla legge Gelli Bianco e rimando in essa contenuto all’art. 139
codice delle assicurazioni, peraltro nel diverso caso delle lesioni micropermanenti (qui, infatti, non
vi è alcuna lesione permanente in base a quanto riferito dal ctu (omissis). Inoltre, deve considerarsi
che la citazione qui risulta notificata prima dell’entrata in vigore della Legge Gelli Bianco per cui
applicando l’art. 11 Pre-leggi non troverebbe applicazione detta ultima disposizione.
Si noti che qualora si applicasse l’art. 139 cda partendo dalla premessa che ci si trova in presenza di
lesioni micropermanenti tra l’1 e il 9% di IP, qui non calzante, si addiverrebbe a liquidare al minore
al minore un importo che appare non satisfattivo del reale danno sofferto in termini di danno
esistenziale, relazionale e morale, per gli anni del suo isolamento acustico nei primi sei anni di vita,
perché si giungerebbe a riconoscere un importo inferiore a 10 euro al giorno, laddove il valore di
questo isolamento in questa particolare e importante fase dell’età evolutiva appare ben maggiore.
A questi argomenti si aggiunge il fatto che il ctu esperto in branca dott. (omissis) espressamente che
con molta probabilità il bambino era sordo già alla visita del 4 giugno 2004 presso Asl n. 11 di Empoli,
quando la madre lo aveva portato lamentando proprio i disturbi del linguaggio e il pediatra lo aveva
indirizzato proprio agli accertamenti audiologici.
Da lì fino al 19 luglio 2006 proprio nell’età dello sviluppo, quando il minore si trovava nella fascia di
età tra uno e quasi tre anni, nessun’alma indagine audiologica venne colpevolmente svolta dall’ASL
di Empoli, e dal Centro di Rieducazione Ortofonica di Firenze, nonostante l’elevata specializzazione
di quest’ultimo ente, e nonostante il permanere dei disturbi di linguaggio e apprendimento; nessuna
indagine audiologica obbiettiva venne disposta dalle convenute, ma anzi il minore fu erroneamente
avviato ai trattamenti di neuropsichiatria infantile, logopedia ecc. che erano inutili e non risolsero
alcunché. E ciò si sottolinea, quando era ben possibile impiegare esami strumentali per giungere ad
una corretta diagnosi differenziale.
Alla luce di tali considerazioni e facendo datare il danno risarcibile comunque al 19 luglio 2006 invece
che al 4 giugno 2004, nonostante con buona probabilità la sordità fosse già riscontrabile con
appropriati accertamenti fin dal 2004, come dice il dott. (omissis), pare equo partire in termini
monetari agganciandosi all’importo attuale previsto per inabilità temporanea dalle tabelle di Milano,
e dunque partire da euro 145,00 al giorno di ITA, enucleandone il 20% ottenendosi euro 29,00 al
giorno.
Si moltiplica euro 29,00 per il numero dei giorni di ritardata diagnosi e ritardo protesico, 1.430 giorni
(dal 19.7.2006 al 16 giugno 2010 totali quattro anni circa) e si ottiene euro 42.340,00 somma da
devalutare al 19.7.2006 e successivamente rivalutare con indici istat, applicando sulla somma via via
rivalutata, gli interessi al tasso di legge fino al soddisfo, e ciò al fine di liquidare anche il danno da
ritardo (cass. S.u. 1712/95).
A questo importo si aggiunge il danno da perdita di chance, stimato tra il 5 e il 10%, ossia la chance
perduta di acquisire normali performance cognitive; sul punto occorre dire che non è fondata la
deduzione del CRO secondo cui una tale modesta percentuale di chance perduta non abbia dignità
risarcitoria; infatti il 50% più 1 è richiesto nel diverso giudizio di causalità nella produzione di tale
danno da chance perduta, ma non per la risarcibilità della chance, che potrebbe essere anche inferiore
al 50%. A tal riguardo la Suprema corte di Cassazione ha ad es. affermato: Sez. 3 -, Sentenza n. 5641
del 09/03/2018 , Cassando con rinvio, CORTE D’APPELLO ROMA, 15/07/2015 che “In materia
perdita di “chance”, l’attività del giudice deve tenere distinta la dimensione della causalità da quella
dell’evento di danno e deve altresì adeguatamente valutare il grado di incertezza dell’una e dell’altra,
muovendo dalla previa e necessaria indagine sul nesso causale tra la condotta e l’evento, secondo il
criterio civilistico del “più probabile che non”, e procedendo, poi, all’identificazione dell’evento di
danno, la cui riconducibilità al concetto di chance postula una incertezza del risultato sperato, e non
già il mancato risultato stesso, in presenza del quale non è lecito discorrere di una chance perduta, ma
di un altro e diverso danno; ne consegue che, provato il nesso causale rispetto ad un evento di danno
accertato nella sua esistenza e nelle sue conseguenze dannose risarcibili, il risarcimento di quel danno
sarà dovuto integralmente”.
Fatta questa premessa la chance di raggiungimento di normali performance cognitive dal 5 al 10%,
riferita dal CTU esperto in branca e collegata causalmente secondo un giudizio di maggiore
probabilità al ritardo diagnostico e da ritardata protesizzazione, appare meritevole di tutela risarcitoria
afferendo al bene della salute, di valore costituzionale; questa posta risarcibile non è tabellata in alcun
modo, per cui viene qui liquidata equitativamente in un importo di euro 30 mila a valori attuali
agganciati non all’aspettativa di vita di anni 82 per un soggetto maschio, ma dando un valore
monetario equitativo globale alla chance perduta, tenuto conto delle linee guida riferite dal ctu e dai
ctp che indicavano la protesizzazione precoce proprio per garantire un normale sviluppo del
linguaggio e dell’apprendimento francamente compromessi per (omissis) come emerge dalla
descrizione della dott.ssa (omissis) e dal riconoscimento anche ufficiale della sua condizione di
disabilità; infatti, tenuto conto della peculiarità del caso concreto non appaiono utilizzabili le
metodologie liquidatone di cui ai vari precedenti giurisprudenziali esaminati e che riguardano casi
del tutto differenti come ad es. trib. di Firenze n. 1451/2020 Giudice dott. (omissis) (tardiva diagnosi
di malattia ad esito però infausto, e dove fu possibile tener conto dell’aspettativa di vita di soggetto
però deceduto anticipatamente sì da liquidare la perdita di chance sul valore del singolo anno di vita
attendibile); e nemmeno può valere il criterio utilizzato nella sent. Larino 107/2022; Napoli Nord
536/2022 (chance pretensiva) o Corte Appello Firenze 1685/2022.
Quindi non rimane che riconoscere una somma di euro 30.000,00, ricavata dal raffronto coi danni
tabellati e bilanciando l’importanza per la persona del leso, di ciò che con criterio di maggior
probabilità risulta perduto al suo patrimonio “cognitivo” e dunque eminentemente “personologico”,
con possibili ripercussioni su tutta la durata della sua vita, stimabile ad 82 anni secondo i dati istat di
mortalità; qui la chance perduta consiste in minori possibilità di acquisizione da parte di (omissis) di
una piena performance cognitiva, nonostante la patologia della sordità di tipo genetico, di cui risulta
essere affetta anche la madre senza sintomi; il ctu ci spiega che con questo tipo di patologia, la
protesizzazione non svolge un ruolo di cura della malattia, ma di semplice elisione delle conseguenze
sul piano esistenziale, amplificando mediante una protesi la portata dei suoni nel loro ingresso sul
paziente. D’altra parte il grado di sordità accertato a S. sul ragazzo nel 2010 all’età di anni sei, risulta
medio grave, ciò che da un lato esclude di poter affermare che tale sordità compaia improvvisamente
nel 2010, come invece sembra sostenere la dott.ssa (omissis) e suggerisce invece che la sordità
risalisse ad anni addietro (molto probabilmente al 2004 come dice il ctu) o quantomeno al 2006, e
dall’altro lato determina la conclusione che una anticipata protesizzazione avrebbe determinato una
chance del 5/10% di avere una migliore performence cognitiva, performence che comunque viene
riferito essere in buona parte naturalmente preclusa dalla ineliminabile sordità degenerativa del
bimbo, sia pure a progressione non veloce, come dimostra il fatto che i decibell perduti sono simili
alla data di accertamento peritale (anno 2020 n. 58 decibell) rispetto all’anno 2010 (50 decibell) data
accertamento presso la struttura di Siena (perdita di 8 decibell in 10 anni).
Dunque, dovendo esprimere in termini monetari questa modesta chance perduta, si ritiene equo
stimarla appunto in euro 30.000,00, tenuto conto del raffronto con i danni tabellati, e i precedenti
giurisprudenziali sopra indicati; tale somma va devalutata e rivalutata fino al soddisfo, con interessi,
per includere il danno da ritardato pagamento, secondo la sorte delle obbligazioni di valore e la teoria
del rimpiazzo (aestimatio rei e taxatio rei).
Quanto al danno morale/esistenziale richiesto dalla madre (omissis) per aver dovuto assistere per 6
anni alla triste condizione del piccolo (omissis) che a meno di un anno presentava oggettive criticità
nella sua crescita, che potevano essere agevolmente risolte con una tempestiva diagnosi e
protesizzazione, che avrebbe agevolato lo sviluppo del linguaggio e la capacità di apprendimento,
obbiettivamente risultati compromessi come emerge dai test somministrati e dalle conclusioni della
dott.ssa ausiliaria della dott.ssa (omissis) tale danno morale ed esistenziale della madre è meritevole
di tutela, secondo l’attuale sentire sociale, e dunque supera la soglia dell’irrilevanza risarcitoria,
secondo la norma in bianco dell’art. 2043 c.c. soggetta ad interpretazioni storicizzanti e capace
appunto di adattarsi alla coscienza sociale e giuridica di una data epoca storica; appare infatti
meritevole di tutela il prossimo congiunto e nella specie una madre di un piccolo bambino convivente
per il presumibile e documentato (dalle innumerevoli visite del bambino) patema d’animo di una
mamma, che fece di tutto per assicurare al bambino le migliori cure, portandolo di continuo alle visite
e ai trattamenti, senza mai ottenere alcun riscontro, per ben sei anni, in un crescendo di speranze
continuamente deluse, e con una presumibile e crescente angoscia ed inquietudine esistenziale e
sofferenza per la condizione di un figlio di tenera età, di cui non si poteva prevedere la possibilità di
cura. Ebbene si stima equo valutare questo danno morale ed esistenziale della madre, per tutto il
tempo speso inutilmente in percorsi terapeutici del tutto inutili e non risolutori, liquidandole la somma
equitativamente determinata di euro 20 mila da attualizzare con il danno da ritardo, e ciò mediante
un giudizio di raffronto con i danni tabellati alla persona, per casi tuttavia diversi, come la lesione
dell’integrità fisica o i danni ai parenti del macroleso e dunque facendo un bilanciamento dei vari
interessi coinvolti.
Sulla suddivisione delle responsabilità tra i convenuti si recepisce la valutazione del ctu che pone al
50% ciascuna la responsabilità del ritardo diagnostico, perchè da un lato il CRO centro di elevata
specializzazione non è giunto alla corretta diagnosi nel 2004 e nemmeno inescusabilmente nel 2006
e dall’altro lato L’Asl di E. proseguì in un trattamento neuropsichiatrico e logopedico inutile, ben
potendo porre diagnosi differenziale ed evitare anni inutili di un percorso terapeutico inconcludente,
tanto più che emerge dalle annotazioni del personale Asl che il bambino non sentiva.
Le spese legali, di ctu e ctp seguono la soccombenza come in dispositivo tenuto conto della difesa di
più parti e contro più parti.
P.Q.M.
il tribunale
con sentenza che definisce il giudizio
1) condanna le convenute in solido tra loro a risarcire i danni da ritardata diagnosi di sordità,
liquidandoli ad (omissis) in misura pari ad euro 72.340,00 da devalutare al 19.7.2006 e rivalutare con
indici istat dal 19.7.2006 all’effettivo soddisfo, applicando sulla somma via via rivalutata gli interessi
al tasso di legge previsti per il singolo anno di ritardo.
2) Condanna le convenute in solido a risarcire (omissis) il danno morale ed esistenziale causato
dall’omessa diagnosi di sordità del figlio, liquidandolo in euro 20 mila, da devalutare al 19.7.2006 e
rivalutare con indici istat dal 19.7.2006 all’effettivo soddisfo, applicando sulla somma via via
rivalutata gli interessi al tasso di legge previsti per il singolo anno di ritardo.
3) Condanna le convenute a rimborsare agli attori le spese del presente giudizio che liquida in euro
16.923,60 per onorari, oltre accessori di legge, oltre spese vive, oltre spese di ctp e anticipazione del
ctu.
4) Dispone la suddivisione al 50% per ciascuno dei convenuti, degli oneri derivanti dalla presente
sentenza per capitale interessi e spese legali, anche per spese della ctu.