PMA e ricerca delle fonti del diritto applicabili al caso concreto

Cass. Civ., Sez. I, Ord., 08 gennaio 2024, n. 511
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
Svolgimento del processo
1.- Il Sindaco del Comune di Pisa, quale Ufficiale delegato del Governo nella materia dello Stato
Civile, il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Pisa hanno proposto ricorso congiunto con due mezzi
notificato il 14 settembre 2022 per la cassazione del decreto depositato e notificato in data 15 giugno
2022 dalla Corte di appello di Firenze.
B.B. e A.A. hanno resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale notificato il 24 ottobre
2022 con due mezzi, illustrati con memoria.
L’avvocato C.C., in veste di curatore speciale del minore D.D.(nato il 20 gennaio 2016 a Pontedera)
avente cittadinanza statunitense, ha replicato con controricorso notificato il 20 ottobre 2022 e
memoria.
Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rinvio della trattazione
della causa alla pubblica udienza e, in subordine, l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto
del ricorso incidentale.
La controversia venne introdotta in primo grado il 4/4/2016 da B.B. e A.A. dinanzi al Tribunale di
Pisa, con ricorso in cui esposero:
– di avere contratto matrimonio negli Stati Uniti d’America (Indiana) il 1° agosto 2014;
– che, nel corso del 2015, A.A. si era sottoposta in Danimarca alla fecondazione eterologa, con seme
di donatore anonimo e con il consenso di B.B.;
– che, a seguito della pratica di procreazione medicalmente assistita (PMA), era nato il 20 gennaio
2016, in Italia, a Pontedera (PI), D.D.;
– che le due donne avevano chiesto che nell’atto di nascita fosse dato atto che il bambino era stato
procreato con la PMA di tipo eterologo con il consenso della B.B. e che dunque entrambe le donne
fossero riconosciute come genitrici;
– che l’Ufficiale di Stato Civile aveva opposto il proprio rifiuto nei confronti della madre c.d.
intenzionale B.B. di procedere alla dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale, perché in
contrasto con quanto stabilito dall’art.250 cod.civ. che fa riferimento a genitori di sesso diverso.
B.B. e A.A. chiesero, quindi, al Tribunale di Pisa di accertare l’illegittimità del provvedimento
dell’Ufficiale di Stato Civile che aveva rifiutato di ricevere la dichiarazione di riconoscimento di
filiazione naturale da parte della B.B., relativamente al minore, figlio biologico di A.A. generato a
seguito di PMA, e che fosse ordinata la rettificazione dell’atto di nascita iscritto al numero 5, parte I,
serie B, anno 2016, del Comune di Pisa con l’indicazione come genitore anche di B.B..
Esse sostennero che, sulla base della legge n. 40/2004 era possibile riconoscere la qualifica di genitore
anche al coniuge omosessuale che presti il proprio consenso alla fecondazione eterologa dell’altro
coniuge.
Chiesero, inoltre, che si desse applicazione alla legge del Wisconsin, deducendo che questa
consentiva la omogenitorialità, all’esito della fecondazione eterologa.
Si costituirono in giudizio il Sindaco di Pisa in qualità di Ufficiale di stato Civile, la Prefettura di Pisa
ed il Ministero dell’Interno, i quali, affermata la qualità di parte processuale, chiesero il rigetto del
ricorso.
Il Tribunale, dubitando della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 29, comma
2, del d.P.R. n. 396/2000, 250 cod.civ., 5 e 8 della legge n. 40/2004, rimise la presente controversia
alla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 237/2019, dichiarò l’inammissibilità della questione
di legittimità costituzionale per la insuperabile perplessità del quesito posto dal giudice.
Riassunto il giudizio ad opera delle ricorrenti, il Tribunale respinse il ricorso ed affermò la legittimità
del rifiuto opposto dall’Ufficiale di Stato Civile in quanto la legge n. 40/2004 si poneva come ostativa
alla pretesa delle ricorrenti, né la giurisprudenza della CEDU avrebbe potuto obbligare gli Stati
membri a riconoscere la genitorialità omosessuale quale unica forma di tutela della vita familiare e
del legame del minore con la madre intenzionale.
Ancora, sulla richiesta di applicabilità della legge del Wisconsin, il Tribunale osservò che “nessuna
equiparazione appare possibile sulla base delle norme e della giurisprudenza rilevante e deve
escludersi che il minore abbia acquisito nello Stato di cittadinanza della madre lo status di figlio della
madre e della co-madre e pertanto non può farsi luogo a riconoscimento di tale status nel nostro
ordinamento ai sensi dell’art. 33 cit.”.
Il reclamo presentato dalle originarie ricorrenti è stato accolto dalla Corte di Appello di Firenze, con
il decreto oggetto del presente ricorso.
È stata disposta la trattazione camerale.
Motivi della decisione
2.1- Preliminarmente, si deve disattendere l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza
avanzata dal Procuratore generale.
Invero, in adesione all’indirizzo espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, il collegio giudicante
ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della
trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare
(Cass. Sez. U. n. n.38162/2022).
In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sé, anche con la statuizione
su questioni nuove, soprattutto se non oggettivamente inedite e già assistite da un consolidato
orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo (Cass. n.6118/2021; Cass. n.8757/2021).
2.2.- Preliminarmente, va respinta perché infondata l’eccezione sollevata dal curatore del minore di
inammissibilità dell’intero ricorso, per violazione del canone della sinteticità e chiarezza degli atti
processuali, peraltro ormai recepito, quanto al processo civile, dal testo dell’art. 121 del cod.proc.civ.,
come novellato dal D.Lgs. n. 149 del 10 ottobre 2022 (norma, tuttavia, non applicabile ratione
temporis al presente ricorso, redatto in data 14 settembre 2022 e notificato in pari data).
Questa Corte, invero, ha affermato – anche a Sezioni Unite – che, sebbene il ricorso per cassazione
debba essere redatto “in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il
ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda “sub iudice” posti a fondamento delle
doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione
dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera
non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata
dall’art. 360 cod. proc. civ.”, resta nondimeno inteso che “l’inosservanza di tali doveri può condurre
ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione
oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza
gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3) e 4) dell’art. 366 cod. proc.
civ.” (così Cass Sez. U. n. 37552/2011; in senso conforme Cass. n.4300/2023, Cass. 32933/2023).
Nel caso di specie, l’esposizione dei fatti di causa e dei motivi di ricorso – sebbene eccedente i limiti
stabiliti nel Protocollo d’intesa intervenuto tra questa Corte e il Consiglio Nazionale Forense
(evenienza che, peraltro, “non può radicare, di per sé, sanzioni processuali di nullità, improcedibilità
o inammissibilità che non trovino anche idonea giustificazione nelle regole del codice di rito”; cfr.
Cass. n. 21831/2021) – non incide in alcun modo sull’intellegibilità degli uni come degli altri,
escludendo, così, che il ricorso possa ritenersi inammissibile. L’eccezione suddetta, dunque, va
respinta, anche in ossequio a quell’interpretazione “non formalistica” delle cause di inammissibilità
del ricorso per cassazione, raccomandata dalla giurisprudenza sovranazionale (cfr. Corte EDU, sent.
Succi e altri c. Italia, del 28 ottobre 2021).
3.1. – Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli
artt. 33 e 35 della legge n.218/1995.
3.2.- Le amministrazioni ricorrenti contestano, innanzi tutto, l’applicabilità dell’art.33 della legge
n.218/1995(DIP) e sostengono, piuttosto, l’applicabilità dell’art.35 della legge cit. Ciò perché l’art.33
DIP riguarda la filiazione naturale e, dunque, il rapporto tra A.A. ed il figlio, rapporto di filiazione
riconosciuto dall’ordinamento italiano. Di contro, argomentano che in merito al rapporto tra D.D. e
B.B., che non è la madre naturale, né genetica, non può trovare applicazione l’art.33, ma deve farsi
applicazione dell’art.35 DIP, dettato in tema di riconoscimento del figlio, e rammentano che B.B. ha
promosso un’azione di rettificazione del Registro di Stato Civile e non un’azione di stato.
3.3.- Escludono che si possa trattare non già di un riconoscimento, ma di una dichiarazione di nascita,
perché il riconoscimento è sempre richiesto per il genitore non partoriente, salvo che nel caso
dell’attribuzione in via presuntiva della paternità allorché il figlio nasce a una coppia eterosessuale in
costanza del vincolo matrimoniale e che, in caso di PMA, la prestazione anticipata del consenso
equivale a una sorta di riconoscimento anticipato.
3.4.- Sostengono che la cittadinanza americana del minore non è stata provata e che, nel caso in
esame, troverebbe applicazione l’art.35 della legge 218/1995, in base al quale per la capacità a
riconoscere è regolata dal diritto italiano e, quindi, dall’art.250 e seguenti cod.civ. che colloca la
capacità di riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio unicamente in capo alla madre e al
padre biologico, mentre non è prevista la capacità di soggetti terzi di effettuare tale riconoscimento,
né trovano applicazione, alle coppie dello stesso sesso, le norme della legge n.40/2004.
3.5.- Deducono, inoltre, che anche a ritenere applicabile il diritto americano, non vi era dimostrazione
che esso permetta ad entrambe le ricorrenti, ed in particolare alla B.B., di essere qualificate come
genitrici del figlio dato alla luce in forza di PMA.
Osservano le ricorrenti che il Capitolo 891.40 del codice del Winsconsin regola ed ammette la
genitorialità intenzionale a seguito di PMA eterologa testualmente solo per le coppie sposate di sesso
diverso; che la sentenza della Corte di appello del VII circuito federale Wolf v. Walker concerne
unicamente le problematiche inerenti ai matrimoni tra persone dello stesso sesso, vietato in
Winsconsin, così come la sentenza della Corte Suprema USA Obergefell v. Hodges; che la sentenza
della Corte Suprema USA Pavan v. Smith concerne la legge dell’Arkansas e del Winsconsin e non
appare applicabile alla fattispecie.
Aggiungono che le sentenze Baskin v. Bogan della Corte di appello del VII circuito federale e della
Corte Suprema USA concernono la sola incostituzionalità del divieto di matrimonio omosessuale.
In relazione a dette sentenze esprimono condivisione per la conclusione resa in primo grado, ove è
stato escluso che da tali pronunce potesse dedursi quanto sostenuto dalle ricorrenti in materia di
filiazione ottenuta mediante PMA eterologa in coppia omosessuale femminile, palesandosi un salto
logico.
Le ricorrenti amministrazioni, quindi, osservano che anche la sentenza Torres v. Seemayer – con cui
la Corte del Distretto del Winsconsin Occidentale ha deciso una class action rivolta avverso il
dirigente del Dipartimento dello Stato che cura i registri dello stato civile — non è decisiva, perché
— pur essendo nato il minore de quo prima del 2/5/2016 tramite PMA eterologa — allo stesso minore
il Capitolo 891.40 del Win. Statute, così come oggetto di interpretazione da parte della Corte non può
trovare applicazione perché questo si applica unicamente ai minori nati in Winsconsin,come si evince
dal capitolo 69.14, inerente ai poteri dell’ufficiale di stato civile in ordine alle nascite e alla gestione
degli atti di nascita.
Ne deducono che le originarie attrici non rientrano nella class action che beneficia dell’ingiunzione e
che per loro continua a valere il disposto testuale, ostativo perché riferito solo alle coppie sposate
eterosessuali.
Aggiungono che per esse la legge del Winsconsin non può essere utilmente invocata quale legge
straniera regolante la filiazione nel caso di specie, a norma dell’art.33 DPI. Inoltre, sostengono che
non può invocarsi l’applicazione della norma come modificata dalla sentenza Torres “come se” il
minore fosse nato in uno stato americano, per renderla poi applicabile al caso di una nascita in Italia.
4.1.- Con il secondo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli
artt. 9, 11, 12, 29 30 e 43 del DPR 396/2000, degli articoli 250 e 269 cod.civ. e degli artt. 1, 4, 5, 8, 9
e 12 della legge n.40/2004.
Le amministrazioni ricorrenti contestano l’affermazione compiuta dalla Corte di appello, secondo la
quale non ricorrerebbe una violazione dell’ordine pubblico perché il caso in esame concerne l’ipotesi
del riconoscimento di uno status da parte di un altro ordinamento che viene recepito in Italia e che
non era mai stata posta in discussione la illegittimità della trascrizione di certificati di nascita di
bambini nati da coppie omosessuali all’estero, mentre non ricorreva la disapplicazione della legge
n.40/2004.
Sostengono che nessuna discriminazione è ravvisabile nei confronti dei minori in base al fatto che
siano nati in Italia o all’estero essendo, allo stato, in entrambi i casi vietata la trascrizione di un atto
di nascita recante due genitori dello stesso sesso (v. Cass. Sez. U. n. 12193/2019).
Specificano che il rifiuto opposto dall’ufficiale civile è coerente con la disposizione normative che
escludono la configurabilità di una doppia maternità risultante dagli atti dello Stato civile e
richiamano anche le sentenze della Corte costituzionale numero 230 del 2020, n.32 e 33 del 2021 che
hanno affermato l’impossibilità di una risposta giurisprudenziale alla pretesa, del cosiddetto genitore
intenzionale di una coppia dello stesso sesso, di riconoscere il figlio di un partner che è il genitore
biologico.
5.1. – La decisione impugnata.
– Sotto un primo profilo, la Corte di appello ha respinto il motivo di impugnazione volto a conseguire
il riconoscimento omogenitoriale del figlio nato da genitore biologico e genitore intenzionale a
seguito di PMA, giacché ha aderito, con statuizione non impugnata, alla costante giurisprudenza di
legittimità secondo la quale, “in caso di concepimento all’estero mediante l’impiego di tecniche di
procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, voluto da coppia omoaffettiva femminile, deve
essere rettificato l’atto di nascita del minore, nato in Italia, che indichi quale madre, oltre alla donna
che ha partorito, l’altra componente la coppia quale madre intenzionale, poiché il legislatore ha inteso
limitare l’accesso a tali tecniche di procreazione medicalmente assistita alle situazioni di infertilità
patologica, alle quali non è equiparabile l’infertilità della coppia omoaffettiva, né può invocarsi
un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 8 l. n. 40 del 2004, non potendosi ritenere tale
operazione ermeneutica imposta dalla necessità di colmare in via giurisprudenziale un vuoto di tutela
che richiede, in una materia eticamente sensibile, necessariamente l’intervento del legislatore.” (Cass.
n. 6383/2022; Cass. n. 7413/2022, Cass. n. n. 22179/2022, tra le molte);
– Sotto altro profilo, la Corte di appello ha richiamato la giurisprudenza di legittimità secondo la
quale, “in materia di stato civile, è legittimamente trascritto in Italia l’atto di nascita formato all’estero,
relativo a un minore, figlio di madre intenzionale italiana e di madre biologica straniera, non essendo
contrario all’ordine pubblico internazionale il riconoscimento di un rapporto di filiazione in assenza
di un legame biologico, quando la madre intenzionale abbia comunque prestato il consenso
all’impiego da parte della “partner” di tecniche di procreazione medicalmente assistita, anche se tali
tecniche non sono consentite nel nostro ordinamento.” (Cass. n. 23319/2021), ed ha ritenuto che la
fattispecie in esame potesse rientrare in questo ambito applicativo, diversamente dal Tribunale che lo
aveva escluso sul rilievo che il minore de quo era nato in Italia e in detto Stato era stato formato il
suo atto di nascita.
Ha, quindi, accolto il reclamo proposto da B.B. e A.A., ha ravvisato l’illegittimità del rifiuto opposto
dall’Ufficiale di Stato Civile di Pisa sotto questo diverso profilo e, di conseguenza, ha ordinato la
rettificazione dell’atto di nascita di cui sopra nel senso di aggiungere che il minore D.D. è figlio anche
della madre intenzionale B.B., con compensazione delle spese di lite e spese per CTU a carico delle
reclamanti.
Segnatamente, la Corte di appello, previa ricostruzione del sistema delle fonti, mediante l’ausilio di
un perito, ha ritenuto applicabile il diritto del Wisconsin, del quale è cittadina la madre biologica del
minore, alla luce dell’art.19 della legge n.218/1995 (DIP); ha, quindi, affermato che la fattispecie in
esame ricadeva nell’ambito di applicazione dell’art.33 DIP e non dell’art.36-bis DIP.
Secondo la Corte di appello, in base all’art. 33 della legge 218/95, lo status di figlio si individua
facendo riferimento alla legge nazionale del figlio o, se più favorevole, alla legge dello Stato di cui
uno dei genitori è cittadino, al momento della nascita.
Nel caso in esame, a dire della Corte, la madre ed il bambino, essendo cittadini USA, potevano valersi
della legge del Wisconsin. Quindi, sulla scorta della ricognizione normativa e giurisprudenziale dello
Stato estero così individuato, ha ritenuto che potevano essere qualificati come genitori, in caso di
PMA, anche i componenti di una coppia omosessuale sposata; in particolare ha richiamato la
giurisprudenza delle Corti Federali del Wisconsin dove nel caso Torres è stata accolta una class action
che tutela i bambini nati dopo il 6 giugno 2014 da coppie omosessuali che hanno praticato la PMA,
imponendo la formazione di un certificato di nascita che indichi quali genitori entrambe le madri.
6.1.- I motivi di ricorso, da trattarsi congiuntamente per connessione, sono fondati e vanno accolti nei
termini di seguito indicati.
6.2.- Va preliminarmente osservato che la contestazione circa la cittadinanza americana del minore
non appare fondata, atteso che – diversamente da quanto affermano le amministrazioni ricorrenti – la
Corte di appello l’ha accertata, a seguito della produzione del passaporto – come si evince dal decreto
impugnato — e tale accertamento di fatto non risulta efficacemente attinto da alcuna doglianza.
6.3.- Tale puntualizzazione, tuttavia, non esclude la fondatezza delle censure in merito agli altri profili
dedotti.
6.4.- Innanzi tutto, va osservato, che, nel caso di specie, il procedimento proposto ha riguardato
l’impugnazione del provvedimento dell’ufficiale di stato civile che ha opposto il rifiuto al ricevimento
della “dichiarazione di riconoscimento di filiazione naturale” da parte di B.B. ed alla richiesta di
rettificazione dell’atto di nascita del minore D.D. perché in contrasto con quanto stabilito dall’art.250
cod.civ. che fa riferimento — come soggetto legittimato a riconoscere — ad un genitore di sesso
maschile ed a un genitore di sesso femminile; va evidenziato che non risulta in alcun modo che sia
stata richiesta di trascrizione di un atto di nascita formato all’estero.
Il procedimento promosso rientra nell’ambito di applicazione dell’art. 95, comma 1, del dPR
n.396/2000, secondo il quale “1. Chi intende promuovere la rettificazione di un atto dello stato civile
o la ricostituzione di un atto distrutto o smarrito al di fuori dei casi di cui all’articolo 98, comma 2-
bis, o la formazione di un atto omesso o la cancellazione di un atto indebitamente registrato, o intende
opporsi a un rifiuto dell’ufficiale dello stato civile di ricevere in tutto o in parte una dichiarazione o
di eseguire una trascrizione, una annotazione o altro adempimento, deve proporre ricorso al tribunale
nel cui circondario si trova l’ufficio dello stato civile presso il quale è registrato l’atto di cui si tratta o
presso il quale si chiede che sia eseguito l’adempimento”.
L’atto di nascita di cui si discute: riguarda un minore, in possesso della cittadinanza americana; nato
in Italia da una donna cittadina americana, a seguito di concepimento avvenuto negli USA con il
consenso ivi prestato dalla genitrice intenzionale, che con la prima aveva ivi contratto matrimonio;
alla sottoposizione della convivente a tecniche di procreazione medicalmente assistita; e la richiesta
formulata all’ufficiale di stato civile del Comune di Pisa riguarda la “dichiarazione di riconoscimento”
da parte della genitrice intenzionale, cittadina italiana sprovvista di legame biologico con il minore.
6.5.- La circostanza che non sia stata richiesta la trascrizione di un atto di nascita formato all’estero
consente di escludere che le interessate fossero tenute a promuovere il procedimento prescritto
dall’art.67 della legge n.218/1995, richiamato dall’art.68 per gli atti pubblici ricevuti all’estero, e
ritenuto applicabile anche in caso di rifiuto dell’ufficiale di stato civile di trascrivere un
provvedimento giurisdizionale straniero recante l’accertamento del rapporto di filiazione tra un
minore nato all’estero ed un cittadino italiano (cfr. Cass. Sez. U. n.12193/2019).
6.6.- Nella specie, pertanto, l’unico strumento utilizzabile ai fini della contestazione della legittimità
del rifiuto opposto dall’ufficiale di stato civile dev’essere individuato nel procedimento di
rettificazione ex art.95, comma 1, dPR n.396/2000 “la cui funzione, collegata a quella pubblicitaria
propria dei registri dello stato civile ed alla natura dichiarativa propria delle annotazioni in essi
contenute, aventi l’efficacia probatoria privilegiata prevista dall’art. 451 cod.civ., ma non costitutive
dello status cui i fatti da esse risultanti si riferiscono, esclude peraltro l’idoneità della decisione ad
acquistare efficacia di giudicato in ordine alla sussistenza del rapporto giuridico di filiazione” (così,
in motivazione Cass. n.23319/2021), anche se va escluso che con tale procedimento si possa
conseguire l’auspicato risultato, e cioè il riconoscimento dello status filiationis ex art.250 cod.civ.,
proprio perché le annotazioni a cui il procedimento si riferisce hanno l’efficacia probatoria privilegiata
prevista dall’art. 451 cod.civ., ma non sono costitutive dello status, cui i fatti da esse risultanti si
riferiscono (circa la efficacia esclusiva probatoria privilegiata degli atti di stato civile, v. Cass.
n.3038/1977).
6.7.- Va rammentato, in proposito, che l’ordinamento di stato civile italiano è disciplinato dal d.P.R.
n.396/2000 che, come rimarcato nella requisitoria della Procura Generale, “si basa su un sistema che
distingue le seguenti evenienze:
i. Gli atti di stato civile formati direttamente dall’ufficiale di stato italiano (-oggetto di iscrizione, se
formati dallo stesso ufficiale che li registra; -di trascrizione, se formati da altro ufficiale);
ii. Gli atti di stato civile che consistono in trascrizioni di atti stranieri (-se relativi a italiani o stranieri,
previo vaglio di non contrarietà all’ordine pubblico ex art. 18 d.P.R. n.396/2000, e con funzione di
pubblicità dichiarativa; – se relativi a stranieri residenti in Italia, ex art. 19 del d.P.R. cit., con funzione
di pubblicità notizia, in quanto destinati a riprodurre gli atti già formati all’estero per agevolare gli
stranieri nell’ottenimento delle copie degli stessi come argomentato dal Consiglio di Stato, parere 8
giugno 2011, n. 1732; – se relativi a stranieri non residenti in Italia questi atti non sono trascrivibili).
Gli atti catalogati sub i. possono essere formati solo secondo il diritto italiano mentre per gli atti sub
ii. (ovvero atti di stato civile che consistono in trascrizioni di atti stranieri) la formazione può
concretarsi nella applicazione della legge del luogo o nella applicazione della legge italiana quando
gli stessi atti siano compiuti dinanzi alle autorità consolari o diplomatiche italiane, previo il necessario
vaglio della non contrarietà all’ordine pubblico.”.
Così ricostruito il sistema dell’ordinamento dello stato civile nella sua necessaria bipartizione, è
decisivo osservare che:
– le disposizioni in esame riguardano il procedimento amministrativo di formazione degli atti di stato
civile rilevanti ai fini dell’efficacia probatoria privilegiata, prevista dall’art. 451 cod.civ., ad essi
attribuita, ma non costitutivi dello status cui i fatti da esse risultanti si riferiscono e che si tratta di
norme (quelle riguardanti la formazione dell’atto di nascita) che non regolano l’attività tra i privati,
ma che sono inserite nell’ambito di un sistema normativo di applicazione necessaria, finalizzato a
regolare l’attività della pubblica amministrazione;
– l’art.11, comma 3, del dPR n.396/2000, dove si esplicitano i limiti all’attività dell’ufficiale di stato
civile, stabilisce che questi “non può enunciare, negli atti di cui è richiesto, dichiarazioni e indicazioni
diverse da quelle che sono stabilite e permesse da ciascun atto”;
-la particolarità è costituita da atti che sono formati con una modalità di relazione a contenuto
vincolato (art.12 dPR n. 396/2000: “gli atti dello stato civile sono redatti secondo le formule e le
modalità stabilite dal Ministro dell’Interno…”), con l’esclusione di qualsivoglia discrezionalità
operativa.
6.8.- Ne consegue che, nel caso in esame, trattandosi della formazione di un atto di nascita richiesto
all’ufficiale di stato civile italiano, la legislazione applicabile è esclusivamente quella nazionale, nel
rispetto delle modalità indicate dall’art. 30 del dPR n.396/2000 previa necessaria verifica, in capo al
soggetto che effettua la dichiarazione, della condizione di paternità o maternità risultante dalle
formule approvate con D.M. del 5 aprile 2002.
In questo ambito, quindi va valutata la legittimità del rifiuto opposto dall’Ufficiale di stato civile, con
riferimento, cioè alla normativa a cui lo stesso è tenuto a dare attuazione, senza discrezionalità
operativa.
6.9.- Le disposizioni che regolano l’ordinamento dello stato civile, pertanto, non rientrano nel campo
della legge n.218/1995, il cui oggetto è definito dall’art. 1: “La presente legge determina l’ambito della
giurisdizione italiana, pone i criteri per l’individuazione del diritto applicabile e disciplina l’efficacia
delle sentenze e degli atti stranieri.”.
Ciò trova conferma nello stesso dettato dell’art.33 della legge n.218/1995, che è rubricato “filiazione”
e concerne i criteri di individuazione del diritto applicabile per determinare lo status di figlio, e non
già la disciplina regolamentare di formazione degli atti di nascita che hanno funzione probatoria e
non costitutiva del diritto di status
L’applicazione dell’art.33 DIP da parte della Corte di appello ha realizzato dunque una evidente
violazione di legge perché ha consentito la formazione, attraverso un’operazione interpretativa della
normativa americana, di un atto di nascita di un bambino nato in Italia con l’applicazione diretta del
diritto straniero, laddove ciò non è consentito all’ufficiale di stato civile in ragione del precipuo e
limitato esercizio dei poteri di carattere pubblico attribuitigli, da cui esorbitano quelli costituivi dello
status filiationis, status che può conseguire alla diretta applicazione della legge nazionale ex art.231
e seg. cod.civ. ed ex lege n.40/2004, ove ne ricorrano i presupposti ivi previsti, e/o all’esito
dell’esperimento delle azioni di stato e/o in caso di trascrizione in Italia dell’atto di nascita formato
all’estero, relativo a un minore, figlio di madre intenzionale italiana e di madrebiologica straniera
(Cass. n. 23319/2021) o di una sentenza straniera, ipotesi tutte non ricorrenti nel caso in esame.
Erroneamente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto applicabile alla fattispecie in esame l’art.
dell’art.33 della legge n.218/1995 e perciò la decisione va cassata, senza rinvio; la controversia va
infatti decisa nel merito, ex art. 384, secondo comma, cod.proc.civ., con il rigetto dell’originaria
domanda, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e restando assorbite tutte le altre
questioni.
6.10.- Ciò non esime dal rilevare la singolarità del concreto esercizio della funzione ermeneutica da
parte del giudicante in merito alla normativa americana, in quanto tale esercizio risulta demandato ad
un perito le cui conclusioni la Corte di appello ha recepito (fol.7 e ss. del decr. imp.), in violazione
dei precipui compiti di interpretazione della legge ad essa riservati.
Va osservato in proposito che, come è stato più volte affermato, nelle controversie in cui è applicabile
l’art. 14 l. n. 218 del 1995, l’obbligo del giudice di ricercare d’ufficio le fonti del diritto va riferito
anche alle norme giuridiche degli ordinamenti stranieri, per la cui individuazione egli, ai fini della
conoscenza di tali leggi (in funzione dell’applicabilità dell’art. 16 delle preleggi), può avvalersi, oltre
che degli strumenti indicati nelle convenzioni internazionali e delle informazioni acquisite tramite il
Ministero della giustizia, anche di quelle assunte mediante esperti o istituzioni specializzate, potendo
ricorrere, onde garantire effettività al diritto straniero applicabile, a qualsiasi mezzo, anche informale,
valorizzando il ruolo attivo delle parti come strumento utile all’acquisizione della normativa volta a
disciplinare il caso concreto, fermo restando che non sussiste alcun onere di queste ultime né di
indicare né di documentare la legge straniera ritenuta applicabile (Cass. n. 14209/2022; Cass. n.
27365/2016; Cass. n. 14777/2009): tutto ciò, però, concerne la individuazione della legge straniera.
Resta fermo, infatti, ai sensi dell’art.14 cit. stesso che “L’accertamento della legge straniera è compiuto
d’ufficio dal giudice.” di talché la ricostruzione del sistema giuridico straniero e la individuazione
della soluzione giuridica sugli eventuali conflitti di applicazione normativa facendo uso delle norme
di diritto internazionale privato costituisce esercizio della specifica funzione ermeneutica propria del
giudice e, nel caso di specie, la Corte di appello non si è attenuta a ciò.
7.1. – Si deve passare all’esame del ricorso incidentale.
7.2. – Con il primo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione e falsa applicazione degli
artt.91 e 92, secondo comma, cod.proc.civ., nonché degli artt. 24, primo e secondo comma, e 111,
primo comma, Cost.; le ricorrenti incidentali lamentano che la compensazione delle spese di lite sia
stata disposta in assenza dei presupposti e di cause di giustificazione a fronte della soccombenza totale
della Pubblica amministrazione e che vi sia stata violazione del diritto ad agire in giudizio e al giusto
processo.
7.3.- Con il secondo motivo del ricorso incidentale si denuncia la violazione e/o falsa applicazione
dell’art.47 della Carta dei Diritti fondamentali dell’UE, congiuntamente agli artt. 18, 20, 21 del TFUE
e 7, 21, 24, 33 e 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE, anche singolarmente considerati. Le
ricorrenti lamentano, sempre in riferimento alla statuizione di compensazione integrale delle spese di
lite, la violazione di diritti che rientrano nel campo di applicazione del diritto dell’Unione e deducono
che la compensazione a vantaggio dello Stato membro in caso di resistenza in giudizio, con
soccombenza totale, costituirebbe violazione dell’art.47 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
In ordine a tale tema, prospettano anche questioni interpretative in via pregiudiziale ex art.267 del
TFUE da sottoporre, eventualmente, alla Corte di giustizia dell’Unione Europea.
7.4.- Il ricorso incidentale è inammissibile.
7.5.- La statuizione di compensazione pronunciata dalla Corte di appello in ordine alla
regolamentazione delle spese di giudizio della fase di merito, oggetto di entrambe le censure
incidentali, è per natura provvisoria e risulta assorbita all’esito del presente giudizio di legittimità
dall’accoglimento del ricorso principale con cui, con la decisione definitiva, vengono individuate le
effettive posizioni delle parti, quali vittoriose o soccombenti in ragione dell’esito complessivo del
giudizio al fine della ripartizione delle spese (Cass. n. 16121/2011; Cass. n. 23226/2013).
8.- In conclusione, il ricorso principale va accolto ed il ricorso incidentale va dichiarato
inammissibile.
La decisione impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la
controversia va decisa nel merito ex art. 384, secondo comma, cod.proc.civ., con il rigetto
dell’originaria domanda.
Le spese dell’intero giudizio seguono la soccombenza e vanno collocate a carico dei controricorrenti
in solido, nella misura liquidata in dispositivo; va conferma della collocazione a carico di D.D. e A.A.
delle spese della CTU svolta in sede di reclamo.
Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e
dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Raddoppio del contributo unificato, ove dovuto.
P.Q.M.
– Accoglie il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza
impugnata e, decidendo nel merito, respinge l’originaria domanda;
– Condanna i controricorrenti in solido alla rifusione delle spese dell’intero giudizio che liquida in
euro 2.000,00 per il primo grado, in euro 3.000,00 per la fase di reclamo ed in euro 7.200,00 per il
grado di legittimità, oltre spese prenotate a debito; conferma della collocazione delle spese di CTU a
carico di B.B. e A.A.;
– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalità delle parti e
dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52;
– Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti
per il versamento, da parte delle ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello relativo al ricorso, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, il giorno 6 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria l’8 gennaio 2024.