Che valore hanno gli accordi conclusi in sede di separazione in vista di un futuro ed eventuale divorzio?
Cass. Civ., Sez. I, Ord., 14 aprile 2023, n. 10031; Pres. Valitutti, Rel. Cons. Conti
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
A.A. e B.B., già uniti in matrimonio, si separavano consensualmente comparendo davanti al
Presidente del Tribunale di Cosenza sulla base di un accordo trasfuso nel ricorso presentato il
14.1.2010 che prevedeva, fra l’altro, l’obbligo del A.A. di versare alla B.B. la somma mensile di Euro
2.500,00, di cui Euro 1500,00 per la moglie ed Euro 1000,00 per i figli, considerando l’obbligo
assunto dalla B.B. di trasferire alcune quote societarie della S. al marito. Formalizzato tale atto di
trasferimento di quote in data (Omissis) con atto in Notar C.C., il Tribunale cosentino omologava la
separazione consensuale. Successivamente, lo stesso Tribunale, in data 12.9.2014, con sentenza n.
1589/2014, su domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio, pronunziava la
cessazione degli effetti civili del matrimonio, recependo gli accordi intercorsi fra i coniugi che
confermavano l’obbligazione del A.A. di corrispondere alla B.B. la somma di Euro 2.500,00 mensili
“vita natural durante”.
Il A.A. ha quindi proposto ricorso per la modifica delle condizioni di divorzio chiedendo, per quel
che qui ancora rileva, la riduzione dell’assegno di divorzio e del contributo per il mantenimento dei
figli, in ragione delle mutate condizioni patrimoniali dell’obbligato e della beneficiaria.
Il Tribunale di Cosenza riteneva inammissibile sia la richiesta di modifica degli accordi assunti in
sede di divorzio – in quanto ritenuti non suscettibili di revisione in ragione della finalità dagli stessi
perseguita – che la domanda di nullità degli accordi, in quanto non esperibile con il rito camerale e
rigettava nel resto la domanda del ricorrente quanto al collocamento del minore con decreto del 13
marzo 2019.
Tale pronunzia veniva quindi confermata dalla Corte di appello di Catanzaro che rigettava il reclamo
proposto dal A.A. con decreto n. 501 del 2019.
Secondo la Corte di appello il provvedimento impugnato doveva ritenersi complessivamente
conforme a legge, rilevando che in sede di separazione le parti avevano concluso un accordo avente
contenuto negoziale contenente la costituzione di una rendita vitalizia a favore della B.B. e dei tre
figli, in relazione alla regolamentazione del trasferimento delle quote di pertinenza della moglie della
società S.. Srl , ciò trovando riscontro nella previsione di un’obbligazione di trasferimento di un bene
di valore determinato a fronte di un’obbligazione di mantenimento della moglie e dei figli non
correlata alla minore età della prole o all’autosufficienza economica degli stessi. L’autonomia
negoziale che aveva governato l’accordo escludeva che potesse avere rilievo un’eventuale forzatura
della causa matrimoniale sottostante agli accordi fra i coniugi o eventuali profili di annullabilità del
negozio in relazione al possibile conflitto d’interesse fra genitori e beneficiari, trovando conferma
l’estraneità dell’accordo sul versamento mensile allo schema dell’assegno di mantenimento di cui
agli artt. 155 e 156 c.c. nel contenuto delle conclusioni congiuntamente assunte dai divorziandi in
sede di scioglimento del matrimonio, ove le somme originariamente concordate a carico del A.A.
vennero espressamente indicate come dovute “vita natural durante”.
Secondo la Corte di appello non era nemmeno possibile ipotizzare la nullità della clausola contenuta
nella sentenza di divorzio, posto che l’eventuale natura implicita alla componente assistenziale
dell’assegno non intaccava la validità dell’intero schema negoziale, radicato negli accordi di
separazione omologati nè incideva sulle statuizioni contenute nella sentenza di divorzio, anche
considerando l’irrilevanza dello squilibrio tra le prestazioni in ragione dell’aleatorietà del rapporto
previsto dall’art. 1872 c.c., costituto anche per donazione, a nulla rilevando la discrasia fra l’atto di
cessione delle quote e il contenuto degli accordi trasfusi nell’omologa e confermati in sede di
scioglimento del vincolo matrimoniale.
Il A.A. ha impugnato il decreto della Corte di appello di Catanzaro indicato in epigrafe con ricorso
per cassazione, affidato a due motivi.
La B.B. non si è costituita.
La causa è stata posta in decisione all’udienza camerale del 18 novembre 2022.
Con il primo motivo il ricorrente prospetta la violazione dell’art. 160 c.c. e della L. n. 898 del 1970,
in relazione agli artt. 1362 c.c. e ss., nonchè il vizio di motivazione apparente. Secondo il ricorrente
l’interpretazione dell’accordo dallo stesso prospettata nel corso del giudizio che vi individuava una
componente assistenziale, avrebbe dovuto essere fatta propria dal giudice di merito, se questi avesse
fatto corretta applicazione dei canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.. La motivazione del
provvedimento impugnato sarebbe apparente laddove la Corte di appello avrebbe ritenuto che la sola
autonomia negoziale era in grado di escludere ogni profilo di illegittimità dell’accordo.
La Corte di appello, inoltre, avrebbe tralasciato di considerare l’antecedente verbale assembleare della
società S., anteriore al ricorso per separazione, nel quale la B.B., proprietaria del 50% delle quote
della S.Srl , partecipava all’aumento di capitale sociale con il conferimento della ditta individuale O.e
B.di B.B., stimata in Euro 28.991,57.
Ora, la Corte di appello avrebbe omesso di considerare l’atto prodromico alla cessione delle quote
della società S.della B.B.. Secondo il ricorrente se la Corte di appello avesse fatto corretto utilizzo
dei canoni ermeneutici, la stessa avrebbe dovuto ritenere che l’obbligazione assunta aveva una
componente di mera natura assistenziale, sempre revisionabile. In difetto di tale interpretazione,
l’obbligazione sarebbe secondo il ricorrente finalizzata e funzionale al successivo divorzio e dunque
invalida ai sensi dell’art. 160 c.c., comportando tale accordo la rinuncia all’assegno di divorzio per il
coniuge economicamente debole e la rinuncia al reciproco diritto alla revisione da parte del coniuge
obbligato. Gli accordi raggiunti fra le parti, tenendo conto dell’avvicendamento temporale degli atti
pubblici, se ritenuti non funzionali a realizzare la componente assistenziale dell’assegno di divorzio,
non potrebbero che essere affetti da nullità, in quanto finalizzati a condizionare la libertà decisionale
del A.A. in ordine allo scioglimento del vincolo coniugale, costituendo “il prezzo del consenso del
divorzio”. Nemmeno potrebbe parlarsi, secondo il ricorrente, di contratto a favore di terzo quanto al
contributo per i figli, non essendo chiare le conseguenze dell’esercizio del potere di revoca da parte
dello stipulante nonchè del rifiuto del terzo di profittarne, potendosi ipotizzare che l’obbligazione
rimanesse in favore della B.B., tanto esponendo il A.A. al pagamento di un’obbligazione di
mantenimento aggiuntiva nei confronti della prole o della stessa B.B. che avrebbe potuto ancora
reclamare un assegno di divorzio, non essendo indicato che l’importo concordato fosse sostitutivo
dell’assegno periodico di divorzio.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 160, 1382, 769 1418 e 1346 c.c.,
nonchè degli art. 111 Cost., comma 6 e art. 132 c.p.c., in relazione all’art. 1362 c.c. La Corte di
appello avrebbe esaminato solo in parte l’eccezione di nullità della clausola e non avrebbe considerato
che la radice dell’accordo negoziale era rappresentata non dagli accordi omologati, ma dalla
trasformazione societaria. In più, il fallimento del matrimonio avrebbe rappresentato la causa genetica
dell’accordo societario e del suo svolgimento nelle condizioni di separazione, limitando la libertà
decisionale del A.A. e comportando la rinuncia implicita, oltre che dell’assegno di divorzio e della
possibilità di modificare l’obbligazione di mantenimento, in violazione dell’art. 160 c.c., avendo la
Corte di appello tralasciato di valutare la sproporzione evidente dell’accordo anche in relazione agli
obblighi accessori assunti dal A.A.. La motivazione della sentenza impugnata, prosegue il ricorrente,
sarebbe contraddittoria ed apparente non considerando, laddove ammette la costituzione di una
rendita vitalizia per donazione, per giustificare la sproporzione tra prestazioni, che per la donazione
è richiesta la forma scritta ad substantiam, con conseguente nullità dell’accordo rilevabile d’ufficio.
Nemmeno sarebbe comprensibile la motivazione laddove affermava che la discrasia fra oggetto degli
accordi societari – ove vi era stata la rinunzia ad ogni altro diritto – e oggetto dell’omologa era
ininfluente, risultando dal collegamento di tutti gli atti, che la relativa obbligazione avrebbe avuto
causa nel fallimento del matrimonio.
I motivi, che meritano un esame congiunto, sono in parte infondati e in parte inammissibili per le
ragioni di seguito esposte.
Giova premettere che questa Corte ha avuto modo di ribadire che gli accordi con i quali i coniugi
fissano, in sede di separazione, il regime giuridico-patrimoniale in vista di un futuro ed eventuale
divorzio sono invalidi per illiceità della causa, perchè stipulati in violazione del principio
fondamentale di radicale indisponibilità dei diritti in materia matrimoniale di cui all’art. 160 c.c. Ne
consegue che di tali accordi non può tenersi conto non solo quando limitino o addirittura escludano
il diritto del coniuge economicamente più debole al conseguimento di quanto necessario a soddisfare
le esigenze della vita, ma anche quando soddisfino pienamente tali esigenze, in quanto una preventiva
pattuizione potrebbe determinare il consenso alla dichiarazione della cessazione degli effetti civili del
matrimonio (Cass., n. 11012/2012; Cass., n. 2224/2017; Cass., n. 20745/2022 e Cass., n.
28483/2022).
Si tratta di un indirizzo risalente (Cass. nn. 2955/98, 1315/96, 9416/95, v. anche Cass. n. 1801/2000)
secondo il quale “il principio dell’indisponibilità dei diritti è motivato dalla riflessione che gli accordi
preventivi possono condizionare il comportamento delle parti non solo per i profili economici
preconcordati ma – quando sono accettati in funzione di prezzo o contropartita per il consenso al
divorzio – anche per quanto attiene alla volontà stessa di divorziare, venendo così ad incidere su uno
status personale ed a limitare la libertà di difesa nel successivo giudizio di divorzio. Fino alla
pronuncia del divorzio i soggetti sono legati dal vincolo coniugale e non possono pertanto derogare
ai diritti ed ai doveri derivanti dal matrimonio”).
Un orientamento parzialmente diverso si è manifestato per effetto di altre pronunce di questa Corte
che hanno sancito l’efficacia di accordi patrimoniali futuri tra i coniugi, quali espressione della loro
autonomia contrattuale diretta a realizzare interessi meritevoli di tutela ex art. 1322 c.c. (Cass., 21
dicembre 2012, n. 23713; Cass., 8 novembre 2006, n. 23801).
In questa direzione, Cass. n. 24261/2015 ha ritenuto, superando l’indirizzo tradizionale orientato a
considerare gli accordi assunti prima del matrimonio o magari in sede di separazione consensuale, in
vista del futuro divorzio, nulli per illiceità della causa, perchè in contrasto con i principi di
indisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio (tra le altre, cfr. Cass. n. 6857/1992),
che “l’accordo delle parti in sede di separazione o di divorzio (e magari quale oggetto di precisazioni
comuni in un procedimento originariamente contenzioso) ha natura sicuramente negoziale, e talora
dà vita ad un vero e proprio contratto (Cass. n. 18066/2014; Cass. n. 19304/2013; Cass. n.
23713/2012).
Di recente questa Corte ha poi ritenuto che in tema di soluzione della crisi coniugale, ove in sede di
separazione i coniugi, nel definire i rapporti patrimoniali già tra di loro pendenti e le conseguenti
eventuali ragioni di debito-credito portate da ciascuno, abbiano pattuito anche la corresponsione di
un assegno dell’uno e a favore dell’altro da versarsi “vita natural durante” il giudice del divorzio,
chiamato a decidere sull’an dell’assegno divorzile, dovrà preliminarmente provvedere alla
qualificazione della natura dell’accordo inter partes, precisando se la rendita costituita (e la sua causa
aleatoria sottostante) “in occasione” della crisi familiare sia estranea alla disciplina inderogabile dei
rapporti tra coniugi in materia familiare, perchè giustificata per altra causa, e se abbia fondamento il
diritto all’assegno divorzile (che comporta necessariamente una relativa certezza causale soltanto in
ragione della crisi familiare)” – cfr. Cass., n. 11012/2021 -.
Ora, reputando il Collegio di dovere dare continuità ai principi da ultimo ricordati, nel caso di specie
assume rilievo centrale la circostanza che gli ex coniugi, nel proporre domanda congiunta di
cessazione del vincolo nascente dal matrimonio ebbero a concordare l’obbligo a carico del A.A. di
corrispondere alla B.B. la somma di Euro 2.500,00 mensili, della quale Euro 1.500,00 per la stessa
ed Euro 1000,00 per i figli, con la specifica pattuizione che “Le parti stabiliscono proprio in virtù di
quanto sopra (conferimento e cessione quote societarie) che l’importo di Euro 2.500,00 sarà
corrisposto dal sig. A.A. vita natural durate.” Tale formulazione era stata preceduta dalla esplicita
indicazione che detto contributo era corrisposto in relazione alla cessione della B.B. in favore del
A.A. delle quote della ditta O. e B.i di proprietà della B.B., confluite nella società S.di proprietà degli
ex coniugi. Tali accordi, ammessi dalla L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 16 in sede di divorzio
congiunto, costituiscono il contenuto della sentenza che pronunzia il divorzio, dopo che l’autorità
giudiziaria abbia verificato “l’esistenza dei presupposti di legge e valutata la rispondenza delle
condizioni all’interesse dei figli.” Ora, la Corte d’appello ha accertato in fatto – con motivazione
ampiamente rientrante nel minimo costituzionale (cfr. Cass., S.U. n. 8053/2014) e non passibile di
rivalutazione alcuna in sede di legittimità- che le parti, in sede di separazione, hanno convenuto la
costituzione di una rendita vitalizia stabilendo che, a fronte della cessione di quote societarie dalla
moglie al marito, costituente lo scopo reale della pattuizione della rendita, questi avrebbe corrisposto
un assegno a lei ed ai figli, anche quando costoro sarebbero divenuti maggiorenni, dunque senza
soluzione di continuità. E tale manifestazione di autonomia negoziale è stata trasfusa anche negli
accordi di divorzio congiunto, omologato dal Tribunale, nei quali si stabiliva che la corresponsione
in parola era “vita natural durante”. Ne consegue che, non trattandosi di pattuizione di un assegno
divorzile, bensì di costituzione di una rendita, il ricorso al procedimento di revisione L. n. 898 del
1970, ex art. 8 era da ritenere inammissibile come dispose il Tribunale e come in definitiva confermò
la stessa Corte di appello, rigettando il ricorso proposto dal A.A.. Tanto è sufficiente per ritenere la
correttezza della decisione impugnata, pienamente in grado di resistere alla censura proposta dal
ricorrente con il primo motivo.
Quanto invece alla censura della argomentazione svolta ad abundantiam concernente la nullità della
clausola, inserita dalla Corte territoriale nella motivazione “per completezza”, la stessa è
inammissibile alla stregua dei principi già espressi da questa Corte, alla cui stregua deve ritenersi
inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione
della sentenza impugnata svolta “ad abundantiam”, in quanto la stessa, non costituendo una “ratio
decidendi” della decisione, non spiega alcuna influenza sul dispositivo della stessa e, pertanto,
essendo improduttiva di effetti giuridici, la sua impugnazione è priva di interesse. (Cass., n.
18429/2022; Cass., n. 8755/2018).
Il ricorso, sulla base delle superiori argomentazioni, va quindi rigettato.
Nulla sulle spese.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente,
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre
2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari
a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre
2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello
previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a
norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.