Responsabilità professionale dell’avvocato che instaura tardivamente l’azione di disconoscimento della paternità.
Tribunale Brescia, Sez. II, Sent., 20/01/2025, n. 256
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di BRESCIA
SEZIONE SECONDA CIVILE
nella persona del Giudice dott.ssa Elena Fondrieschi ha pronunciato la
seguente
SENTENZA
Nella causa civile di 1 GRADO iscritta al n. r.g. 18234/2019 promossa da:
P1 , con l’avv. Bruno Liberti
ATTORE
contro
C1 , con gli avv.ti Giovanna Aucone e Sergio Ferrari
CONVENUTO
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto di citazione notificato in data 10.12.2019, il sig. P1 conveniva in
giudizio l’avv. C1 deducendo quanto segue.
Nel mese di settembre 2009 il sig. P1 si rivolgeva all’avv. C1 al fine di
chiedergli assistenza professionale relativa alla procedura di separazione
promossa dalla ex moglie, X1 r.g. 14159/2009 e altresì per la causa di
disconoscimento della secondogenita X2 ,r.g. 18638/2010 (docc. 1 e 2).
L’avv. C1 predisponeva la comparsa di costituzione e risposta con la quale non
si opponeva alla domanda di separazione ma si opponeva alla richiesta
presentata dalla sig. X1 circa l’assegnazione della casa coniugale e di un
assegno di mantenimento (doc. 3).
In data 1.2.2009 all’udienza presidenziale veniva assegnata provvisoriamente
la casa coniugale cointestata ai coniugi alla sig.ra X1 ed inoltre, veniva posto a
carico del sig. P1 l’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie
mediante assegno mensile di 400,00 curo (doc. 4).
In data 1.12.2009 l’avv. C1 informava fattore in merito alle decisioni prese nel
corso dell’udienza camerale ma lo stesso avrebbe omesso di informarlo circa la
possibilità di impugnare il provvedimento di assegnazione mediante reclamo
alla Corte d’Appello (doc. 5).
Nel mese di gennaio 2010. il sig. P1 ha, quindi, dovuto lasciare la casa
coniugale per trasferirsi presso l’abitazione della propria madre,
corrispondendo alla stessa la somma annua di 2.400,00 euro a titolo di
indennità per vitto e alloggio (doc. 8).
Successivamente, l’avv. C1 depositava una nota integrativa autorizzata datata
22.1.2010 (doc. 6) con la quale chiedeva la revoca immediata del
provvedimento di assegnazione della casa coniugale, ma tale richiesta sarebbe
pervenuta oltre la scadenza dei termini per proporre il reclamo.
Con sentenza del 19.6.2013 il Tribunale di Brescia modificava il provvedimento
di assegnazione (doc. 7) stabilendo “quanto alla domanda di assegnazione
della casa coniugale in comproprietà, è appena il coso di evidenziare che il
provvedimento di assegnazione viene adottato solo nel caso in cui vi siano figli
minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti”.
Inoltre lamentava che l’Avv. C1 avrebbe omesso di eccepire l’incapacità a
testimoniare della sig.a X2 nel procedimento di separazione.
L’attore deduceva di aver subito un danno patrimoniale pari a 29.000,00 euro
di cui 20.600,00 euro corrisposti a titolo di vitto e alloggio alla propria madre
da gennaio 2010 a settembre 2018, data coincidente con il decesso della
stessa ed inoltre, sarebbe stato privato di un potenziale guadagno da parte
della ex moglie in relazione al godimento esclusivo della casa coniugale per un
importo complessivo non inferiore a 8.400,00 euro (metà del canone locatizio
percepibile).
Deduceva inoltre che avrebbe subito un danno non patrimoniale quantificabile
in non meno di 25.000,00 euro a causa di un trauma psicologico conseguente
al cambiamento radicale delle proprie abitudini che lo avrebbe costretto a
ricorrere all’utilizzo di ansiolitici e calmanti (doc. 9).
In data 18.1.2019, il sig. P1 avanzava richiesta di risarcimento danni all’avv.
C1 (doc. 12), il quale rispondeva mediante missiva del 31.5.2019 affermando
di aver proposto allo stesso la possibilità di presentare reclamo avverso il
provvedimento presidenziale ma che lo stesso si sarebbe rifiutato di procedere
in tal senso (doc. 13).
Deduceva altresì che l’avv. C1 avrebbe predisposto tardivamente l’atto di
citazione in merito all’azione di disconoscimento di paternità della figlia X2
(doc. 14) e che tale procedimento si sarebbe concluso con una dichiarazione di
intervenuta prescrizione dell’azione con condanna del sig. P1 alla refusione
delle spese legali nei confronti della figlia e della ex moglie per un totale
complessivo di 17.128,00 euro (spese legali, liquidate in favore della figlia in
complessivi Euro 7.100,00 oltre accessori e nei confronti della ex moglie X1 in
ulteriori Euro 6.400,00 oltre accessori) ed inoltre, tale provvedimento gli
avrebbe precluso definitivamente la possibilità di far accertare giudizialmente
l’effettiva paternità della figlia X2 e ciò gli avrebbe comportato un danno non
patrimoniale quantificabile in non meno di 20.000,00 euro.
Deduceva altresì di aver corrisposto all’avv. C1 l’importo di 7.324,00 euro a
titolo di compenso professionale e ne chiedeva la ripetizione a causa
dell’asserita condotta negligente del professionista.
Chiedeva in via principale, di accertare la responsabilità professionale dell’avv.
C1 e per l’effetto, condannarlo al risarcimento di tutti i danni subiti dall’attore,
quantificati in complessivi 98.452,80 euro o nella diversa somma che venisse
accertata in corso di causa, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data
del comportamento negligente al saldo effettivo.
L’avv. C1 ritualmente costituitosi in giudizio, deduceva di aver espletato
diligentemente il proprio mandato professionale in quanto l’obbligazione
dell’avvocato costituisce un’obbligazione di mezzi e non di risultato, pertanto, il
professionista avrebbe l’obbligo di mettere in atto le condizioni necessarie a
consentire al cliente la realizzazione dello scopo perseguito ma non a
conseguire il risultato.
Esponeva inoltre, di aver informato il sig. P1 circa la possibilità di esperire
reclamo avverso il provvedimento presidenziale dell’1.12.2009 ma che costui si
sarebbe rifiutato di procedere in tal senso non volendo sostenere ulteriori costi.
Deduceva altresì di aver reso edotto l’attore di essere decaduto dall’azione di
disconoscimento della paternità della figlia X2 ma che, nonostante ciò, il sig.
P1 avrebbe deciso di procedere ugualmente con la causa ed inoltre, lo stesso
non avrebbe fornito clementi atti a dimostrare che quest’ultimo avrebbe avuto
notizia degli adulteri della moglie solo in epoca recente.
Rappresentava inoltre la mancanza di prova circa il nesso causale tra il danno
lamentato dall’attore e la condotta asseritamente negligente del convenuto.
In merito al quantum domandato dall’attore, in relazione all’indennità di vitto e
alloggio asseritamente corrisposta dallo stesso alla madre, deduceva che
l’attore non avrebbe provato di essersi trasferito presso l’abitazione della
madre, né tanto meno di aver effettuato dei versamenti alla stessa a titolo di
vitto e alloggio poiché le ricevute prodotte dall’attore avrebbero solo un valore
confessorio tra il sig. P1 e la sig.ra C2
Contestava altresì il quantum domandato dall’attore in riferimento al mancato
riconoscimento dell’indennità di occupazione della casa coniugale da parte della
moglie, poiché il parametro di riferimento utilizzato dal medesimo sarebbe
inappropriato ed inoltre, il sig. P1 non avrebbe fornito dei riscontri oggettivi in
merito.
Contestava inoltre la documentazione prodotta dall’attore al fine di dimostrare
il danno biologico asseritamente subito dallo stesso poiché si tratterebbe di una
consulenza stragiudiziale non assunta in contradditorio tra le parti.
Infine, contestava la richiesta di risarcimento avanzata dall’attore in merito
all’impossibilità di accertare giudizialmente l’effettiva paternità della figlia X2
poiché non si comprenderebbe la natura del danno né i criteri impiegati
dall’attore per la quantificazione dello stesso.
L’avv. C1 a conferma della correttezza della propria condotta professionale
esponeva che dopo l’esposto presentato dal sig. P1 l’Ordine degli Avvocati di
Brescia non ha dato seguito alla vicenda ed ha archiviato il procedimento.
Chiedeva in via principale, di accertare il corretto espletamento del mandato
difensivo allo stesso conferito da parte del sig. P1 accertare che nessun danno
è stato arrecato all’attore e per l’effetto, rigettare le domande attoree.
In via subordinata, nell’ipotesi di accoglimento della domanda attorea,
quantificare i danni nella sola misura che venisse accertata in corso di causa e
rigettare tutte le voci di danno che non risultassero accertate nell’an e nel
quantum.
La causa è stata istruita con l’assunzione di prova testimoniale e
successivamente, fissata a precisazione delle conclusioni, è stata trattenuta in
decisione con termini di legge per deposito di comparse conclusionali e di
replica.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione
La responsabilità del prestatore di opera intellettuale, nel caso di specie
l’avvocato, per un’attività professionale negligente nei confronti del cliente
richiede la dimostrazione del danno e del nesso causale tra il comportamento
del professionista e il pregiudizio subito dal cliente (Cass. 15743/2024 ).
Quindi, anche laddove il professionista abbia commesso un errore non sussiste
un’automatica responsabilità dello stesso ovvero un automatico diritto al
risarcimento in favore del cliente essendo la responsabilità dell’avvocato
configurabile solo nel caso in cui – eseguita una valutazione prognostica – è
possibile asserire con certezza che senza l’errore il cliente avrebbe ottenuto il
risultato sperato.
Ciò premesso, nel caso di specie si osserva che la censura circa la mancata
eccezione di incapacità a testimoniare della figlia X2 non coglie nel segno
perché l’azione di disconoscimento della paternità proposta dal P1 nei confronti
della figlia X2 non comportava l’incapacità di quest’ultima a testimoniare nella
causa di separazione giudiziale dei genitori ma piuttosto una valutazione circa
la sua attendibilità. Su questo aspetto risulta che l’avvocato C1 a pagina 8 della
comparsa conclusionale della causa di separazione (cfr. all. 1) in relazione
all’udienza di ammissione dei mezzi di prova del 4 luglio 2017 ha puntualmente
rilevato che “inutile dire che la signora X2 ha espresso da tempo, per tale fatto,
ampio astio e malanimo nei confronti dell’odierno esponente e, per ciò solo, si
reputa che le sue dichiarazioni andranno più opportunamente espunte dal
Collegio a pagina 3 della memoria di replica (cfr all. n. 2), il difensore ha
ribadito che: “la stessa risposta, peraltro, si impone anche rispetto alle
condotte che le figlie hanno descritto, invero genericamente, collocandole in un
tempo assai remoto. Sulla parzialità delle deposizioni da parte delle figlie si
richiama quanto già riferito nei precedenti atti e ci si limita ad osservare che,
nell’esaminare una domanda di addebito, si reputa debba essere
particolarmente scrupoloso il vaglio di attendibilità dei testimoni, che deve
tener conto dei rapporti familiari e personali” Quindi risulta documentato che il
convenuto ha contestato l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla sig.ra X2
invitando il giudice a non tenerne conto ai fini della decisione.
Dalla lettura della sentenza emessa a conclusione del giudizio di separazione
emerge che quanto testimoniato dalla sig.ra X2 durante il giudizio di
separazione non ha influito sulla decisione della causa. Invero, nella sentenza
si legge che “benché … entrambe le figlie della coppia, sentite come testi
abbiano riferito che la madre aveva sempre subito le violenze del padre,
spesso ubriaco, tale contegno del coniuge non può ritenersi causa della
separazione in quanto anch’esso risalente nel tempo, avendo le figlie dichiarato
che gli ultimi anni di violenza cui avevano assistito risalivano all’anno 2001”.
Per quanto riguarda la doglianza relativa alla mancata opposizione avverso il
“provvedimento ingiusto di assegnazione della casa coniugale emesso dal
Presidente in difetto dei presupposti di legge ” non avendolo reclamato si rileva
quanto segue.
La casa coniugale era cointestata ai coniugi, la figlia X2 sebbene maggiorenne
ed economicamente sufficiente risiedeva nella casa familiare con la madre e
nutriva grande avversità verso il padre che aveva intentato azione di
disconoscimento nei suoi confronti, la sig.ra X1 era priva di reddito, tanto che il
sig. P1 anche con la sentenza di separazione è stato condannato a
corrispondere un mantenimento mensile pari a Euro 375,00, mentre il P1 era
titolare di redditi propri oltre che proprietario di altri immobili (alito n. 12), tra
cui era comproprietario della casa in cui dopo il provvedimento si è trasferito
con la madre, “di un altro immobile sito in X dove trascorre le sue giornate …
aveva la disponibilità esclusiva di altri appartamenti delle figlie, mentre la
sig.ra X1 dispone solamente della casa coniugale” (verbale 20.11.2011 all. 14
convenuto). Nel periodo in cui è stato emesso il provvedimento presidenziale
una parte della giurisprudenza riconosceva al giudice ampia discrezionalità
nell’assegnare la casa familiare di cui i coniugi fossero comproprietari a quello
tra i due economicamente più debole, ciò anche in mancanza di figli minorenni
o maggiorenni non economicamente indipendenti con esso conviventi, al fine di
favorire il consorte privo di redditi propri, consentendogli così di mantenere il
tenore di vita goduto in costanza di matrimonio (Cass. civ. n. 870/1998 e Cass.
civ. n. 2070/2000 ).
Invero le successive richieste di modifica del provvedimento presidenziale
avanzate dalla difesa del P1 il 22.1.2010 (all-6 convenuto), il 20.11.2011 ed il
19.4.2012 (in quest’ultimo caso adducendo anche un peggioramento delle
condizioni di salute del P1 , non sono state accolte dall’allora giudice istruttore
dott.ssa F..
Non si ritiene, quindi, raggiunta la prova secondo la regola “del più probabile
che non ” che in caso di reclamo la Corte di Appello di Brescia avrebbe
senz’altro riformato il provvedimento sfavorevole al P1 assegnando a lui stesso
la casa. Sul punto si rileva che la stessa sentenza n. 2411/2013 non ha
assegnato ad alcuno dei comproprietari la casa di cui erano comproprietari.
La domanda altorea di risarcimento va respinta anche per assenza di prova del
danno. Quanto alla causa di separazione, Fattore ha dedotto di aver subito
danni rappresentati dall’indennità di vitto e alloggio che avrebbe corrisposto dal
gennaio 2010 al settembre 2018 alla propria madre per complessivi Euro
20.600,00 (Euro 2.400 annui); nonché dal mancato guadagno di Euro 8.400
che avrebbe potuto ricavare se l’immobile in comproprietà con la moglie
anziché essere goduto da quest’ultima in via esclusiva dal dicembre 2009 al
giugno 2013 fosse stato dato in locazione (valore locatizio dell’immobile
stimato in 400 euro considerato alla metà per 42 mensilità durante i quali l’ex
moglie ha goduto in via esclusiva dell’immoblle in comproprietà).
Quanto alla prima richiesta non si comprende come possa essere anche
astrattamente imputabile al convenuto il periodo dal giugno 2013 al 2018
posto che il fatto che l’attore non è tornato nel possesso dell’immobile
nonostante la sentenza n. 241 1/2013 costituisce elemento estraneo alla
condotta del convenuto per la quale il P1 ha incardinato con diverso difensore
causa r.g. 17148/2015. Coglie nel segno l’argomentazione del convenuto
laddove espone che l’attore per ottenere l’eventuale ristoro delle somme
corrisposte alla madre, avrebbe dovuto dimostrare che se fosse rimasto nella
propria casa avrebbe sostenuto una spesa in misura inferiore. In altri termini la
richiesta risarcitoria dell’attore avrebbe potuto trovare ristoro solo nel caso in
cui la difesa attorea avesse provato che in caso di revoca del provvedimento di
assegnazione della casa coniugale, nel medesimo lasso di tempo preso in
considerazione, il sig. P1 per il proprio mantenimento avrebbe speso una cifra
inferiore rispetto a quella sostenuta vivendo con la madre nella casa che era
cointestata ad entrambi (i testimoni indicati dall’attore hanno riferito soltanto
che il P1 avrebbe contribuito a pagare le utenze della casa materna e
all’acquisto di generi alimentari, provvedendovi personalmente o versando
alcune somme alla di lui madre: trattasi di costi che avrebbe sostenuto
quand’anche avesse continuato ad abitare nella casa coniugale di cui era
parimenti comproprietario al 50%).
La seconda richiesta si pone in termini ipotetici in quanto non è in alcun modo
certo come gli ex coniugi avrebbero gestito il bene in comproprietà nel quale
peraltro viveva anche la secondogenita X2 , non risulta quindi altamente
probabile che avrebbero posto in locazione l’immobile traendo il guadagno
asserito dall’attore.
Quanto alle conseguenze di carattere non patrimoniale si rileva che non è stata
espressamente dedotta la sussistenza di alcun danno biologico e che risulta
oltremodo difficile stabilire nel complesso quadro relazionale quali ripercussioni
sullo stato d’animo dell’attore siano potenzialmente connesse alla sola
assegnazione della casa alla ex moglie che viveva con la secondogenita verso
la quale era stato incardinata azione di disconoscimento della paternità.
Per quanto concerne la doglianza sul deposito tardivo della domanda di
disconoscimento della paternità della secondogenita X2 si rileva quanto segue.
Il professionista ha predisposto fatto di citazione per il disconoscimento nel
mese di ottobre 2010 e lo ha notificato il 4.11.2010 (doc. 14).
Lo stesso difensore, a pagina 3 della propria comparsa di costituzione datata
28.10.2009 e depositata nella causa di separazione (doc. 3), riportava
l’intenzione del sig. P1 di procedere per la richiesta di disconoscimento della
figlia X2: “Come egli ha di recente scoperto, ella da molti anni intrattiene,
senza scrupolo alcuno, diverse relazioni extraconiugali, tali da alimentare nel
marito fondati sospetti che la secondogenita X2 in realtà non sia neppure sua
figlia; il sig. P1 intende pertanto promuovere al più presto azione per il
disconoscimento di paternità”.
In sede istruttoria, durante l’esperimento dell’interrogatorio formale, è emerso
che al legale convenuto sin dai primi colloqui (il primo avvenuto a settembre
del 2009) era stato riferito dal cliente circa forte dubbio sulla paternità di una
delle due figlie (verbale dell’8.6.2021 : “il sig. P1 era venuto da me per la
separazione ricevuta dalla moglie perché l’assistessi in quel procedimento, in
tale occasione mi aveva parlato solo della separazione in vista della
costituzione per l’udienza. Non ricordo dopo quanto tempo, ma
successivamente il sig. P1 mi raccontò di avere dei sospetti circa la paternità di
una delle sue figlie. Io suggerii di chiedere alla collega T1 che assisteva la
moglie del P1 la disponibilità ad effettuare un esame del DNA”).
In data 9.6.2010 l’avv. C1 invia una missiva all’avv. T1 – legale della sig.ra X1 –
circa la scoperta delle relazioni extraconiugali della donna, da cui
presumibilmente sarebbe stata concepita la figlia X2 (v. sub. doc. 17).
Da quanto sopra documentato, in particolare, dalla comparsa di costituzione in
giudizio nella causa di separazione, emerge inequivocabilmente che nell’ottobre
del 2009 il P1 avesse conoscenza dell’adulterio della moglie e che tale
circostanza fosse stata resa nota all’avv. C1 il quale la riportava nel proprio
atto del 28.10.2009. Ne consegue che fazione di disconoscimento è stata
tardivamente incardinata dal legale convenuto ex art. 244 c.c.
La difesa del convenuto si concentra sul fatto che il P1 sarebbe stato informato
della probabile eccezione di decadenza che l’ex moglie e la figlia avrebbero
sollevato in ordine alla data dell’effettiva scoperta dell’adulterio e che,
comunque, l’esito negativo del giudizio è dipeso dal fatto che “il cliente non è
stato in grado di fornire elementi utili a dimostrare di aver avuto notizia dei
tradimenti in epoca recente
Si impongono due ordini di considerazioni, da un lato rimane fermo il fatto che
l’avv. C1 ha dato avvio al procedimento di disconoscimento della paternità oltre
un anno dalla dichiarata (in comparsa di costituzione) scoperta e dall’altro che
comunque nella sentenza n. 1915/2013 è dato atto che l’eccezione di
decadenza è stata sollevata effettivamente dalle convenute e comunque
“avrebbe potuto essere rilevata d’ufficio ” e che “occorreva che il marito
dimostrasse non solo i tradimenti della moglie, ma soprattutto la data della
scoperta di questi da parte sua.
I capitoli di prova dell’attore, di cui va ribadita l’irrilevanza, erano tutti diretti a
dimostrare che la X1 dall’epoca della celebrazione del matrimonio, risalente al
maggio 1972, avesse intrattenuto relazioni extraconiugali.
Nessuna richiesta di prova orale è stata dedotta con riferimento alla recente
venuta a conoscenza delle condotte libertine della moglie”.
Quanto sopra dimostra che la tematica della decadenza dell’azione di
disconoscimento non è stata trattata con la dovuta diligenza dal professionista
incaricato che ha incardinato fazione certamente un anno dopo la scoperta e
nella stessa attività preparatoria e di predisposizione dell’atto non ha
adeguatamente approfondito una questione rilevabile anche d’ufficio senza
formulare capitoli di prova coerenti e senza aver dato atto di aver richiesto al
cliente puntuali spiegazioni sul punto. Appare, quindi, non pertinente che il
convenuto ora addebiti verso il P1 l’incapacità di costui di fornire elementi utili
sulla data della scoperta, quando, nemmeno dà atto di aver esaminato con
costui la questione e non ha dimostrato di aver colto l’essenzialità di formulare
adeguata prova a riguardo.
Tali elementi provano l’inadempimento del convenuto e fondano la richiesta di
risarcimento del danno quantificato in Euro 17.128,80 oltre interessi dal
18.1.2019 (data della prima richiesta risarcitoria doc. 12) ovvero l’importo
dovuto a titolo di spese legali liquidate in soccotnbenza in favore della P2 oltre
alla restituzione dei compensi per questa causa versati all’avv. C1
Su quest’ultimo punto risulta provato dai doc. 40-41 e 42 che l’attore ha
versato l’importo di euro 7.324,00 all’avv. C1 direttamente o ai suoi stretti col
laboratori. Dalle ricevute prodotte, infatti, è riportata la dicitura degli acconti
versati, cui segue la data del pagamento, ed accanto la firma dell’avv. C1 dallo
stesso riconosciuta in sede di interrogatorio formale oppure quella dei suoi
collaboratori. Costoro, avv.ti C. e P., sentiti come testimoni hanno negato di
aver ricevuto le predette somme, pur riconoscendo la paternità delle firme
siglate a fianco alle varie diciture di acconto per conto dell’avv. C1 Quanto
riferito appare inverosimile anche considerato che dalla semplice visione dei
documenti allegati sub doc. 40, 41, 42, è possibile notare come l’inchiostro sia
uniforme per ogni riga, il che fa ben intendere come sia la scritta “Acconto 00
in data…” che la sottoscrizione, siano state effettivamente eseguite con la
stessa penna. Ogni riga, infatti, è consecutiva all’altra, per cui le firme
successive risultano essere state apposte quando le precedenti risultavano già
esistenti. In assenza di prova della falsità dei documenti rileva che le
sottoscrizioni sono state effettivamente apposte dall’avv. C1 dall’avv. C. e
dall’avv. P. per conto del primo con dicitura “x M “; testi hanno confermato
l’autenticità delle loro firme nelle date di ricezione degli acconti indicati.
Dal momento che non è stata fatta espressa imputazione a quale causa si
riferisse l’importo complessivo di 7.324,00 considerato quanto liquidato nella
sentenza di disconoscimento e i valori in uso presso la terza sezione
dell’intestato Tribunale per le cause di separazione si liquida l’importo da
restituire in quanto riferibile alla causa di disconoscimento in Euro 5.500 oltre
interessi dal dovuto al saldo.
Non può invece essere riconosciuta l’ulteriore richiesta di risarcimento di danno
da perdita di chance di poter far accertare la verità biologica sulla paternità
della secondogenita X2 Invero la sentenza con cui il P1 è stato dichiarato
decaduto dall’azione di disconoscimento da atto che “dall’esame dei testi
indicati dalle convenute è emerso come da molti anni il marito accusasse la
moglie di tradimento e questo anche in presenza di terze persone (testi T2 e
T3 ; si consideri pure la denuncia querela sporta dalla X1 nei confronti del
marito nel maggio 1998 – quindi più di dieci anni prima l’indizio del presente
giudizio – sempre in relazione ad accuse di relazioni sentimentali con altri
uomini)”. Alla luce di tali considerazioni è inequivoco che data la realtà dei fatti
non si poneva alcuna occasione favorevole per un diverso accertamento e che
quindi non è stata la condotta del convenuto ad impedire all’attore di
conoscere la verità circa l’effettiva o meno paternità della secondogenita, già
all’epoca della notifica dell’atto di citazione non accertabile giudizialmente dato
il tempo trascorso dalla scoperta degli adulteri.
Le spese di lite seguono la soccombenza con condanna di parte convenuta alla
rifusione in favore di parte attrice delle spese di lite, liquidate in complessivi
Euro 5.838.55 di cui Euro 5.077,00 per compenso professionale (considerati
valori medi per fase studio, introduttiva, istruttoria e decisionale) ed Euro
761.55 per spese generali oltre iva, cpa, spese di notifica, contributo unificato
e marca da bollo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Brescia, in composizione monocratica, definitivamente
pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita così
dispone:
Condanna il convenuto a corrispondere all’attore l’importo di Euro 17.128,80
oltre interessi legali dal 12.1.2019 al saldo.
Condanna il convenuto a restituire l’importo di 5.500 oltre interessi legali dalla
ricezione al saldo.
Condanna parte convenuta a rifondere a parte attrice le spese di lite, liquidate
come in parte motiva.
Conclusione
Così deciso in Brescia, il 20 gennaio 2025.
Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2025.