Benché revocato, irripetibile l’assegno di divorzio.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO DI FORLÌ
Sezione Civile
Il Tribunale, in composizione collegiale, nelle persone dei seguenti Magistrati:
dott.ssa Rossella Talia – Presidente
dott.ssa Anna Orlandi – Giudice est.
dott.ssa Valentina Vecchietti – Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. 105 del ruolo generale degli affari contenziosi civili
dell’anno 2017, avente ad oggetto: divorzio contenzioso – scioglimento del matrimonio
promossa da
X , nato a *** (CE) il 14.02.1975 e residente a *** (RA) in via ***, rappresentato e difeso, in
forza di procura posta a margine del ricorso per lo scioglimento del matrimonio, dall’avv.
Anna Rosa Venturini del foro di Ravenna, con domicilio eletto presso e nel suo studio sito in
Bagnacavallo (RA) alla via Oberdan 34 (ricorrente)
nei confronti di
Y , nata a *** (CE) il 9.06.1981 e residente a *** in via ***, rappresentata e difesa, in forza di
procura posta in calce alla comparsa di costituzione e risposta, dall’avv. Alessandro Pinzari del
foro di Forlì-Cesena, con domicilio eletto presso e nel suo studio sito in Forlì al Largo de
Calboli 14 (resistente)
e con l’intervento obbligatorio ex lege del
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PUBBLICO MINISTERO presso la Procura della Repubblica in sede
CONCLUSIONI
Con “note di trattazione scritta” ex art. 83, co. 7, lett. h) D.L. n. 18/2020 e succ. modifiche
depositate dal ricorrente X in data 02.09.2021 e dalla resistente Y il 9.09.2021 per l’udienza
del 30.09.2021 svoltasi in modalità cartolare, le parti hanno così concluso, il primo
domandando:
“Voglia l’Ecc.mo Tribunale, pronunciare con sentenza definitiva: 1) la minore D. resterà affidata in via
condivisa ad entrambi i genitori con collocazione prevalente presso la madre; 2) il sig. X verserà, a titolo
di contributo nel mantenimento della figlia, la somma di € 350,00 in via anticipata mensile entro il 5
di ogni mese, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici ISTAT; 3) i genitori provvederanno nella
misura del 50% ciascuno, rimborsandosele a vicenda, al pagamento delle spese mediche, scolastiche, per
viaggi anche a scopo di studio (queste ultime solo se previamente concordate), necessarie per la figlia. I
rimborsi dovranno avvenire entro 15 giorni dalla richiesta, opportunamente documentata; 4) dichiari
cessato l’obbligo del sig. X di contribuire al mantenimento della sig.ra Y a far data dalla domanda; 5)
condanni la sig.ra Y alle spese del presente giudizio stante l’opposizione”.
La seconda così precisando le proprie conclusioni:
“Voglia l’Ill.mo Tribunale di Forlì: prevedere l’affido condiviso di D., con collocamento presso la madre; –
prevedere a carico del sig. X il pagamento a titolo di mantenimento per la figlia, dell’importo complessivo
di € 400,00 mensili oltre al 70% delle spese straordinarie mediche, scolastiche, ludiche, ricreative e per
viaggi di svago e/o istruzione; – prevedere a carico del sig. X il pagamento a titolo di mantenimento per
la sig.ra Y dell’importo di € 150,00 mensili; – con vittoria di compensi legali”.
MOTIVI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Preliminarmente, si evidenzia che nel presente giudizio è già stata pronunziata sentenza
parziale di scioglimento del matrimonio contratto dalle parti ad *** (CE) in data 20.05.2002
(vedasi sentenza parziale n. 677/2017 emessa in data 28.06.2017 e pubblicata il 29.06.2017)
con separata ordinanza per la rimessione della causa in istruttoria. Il procedimento è poi stato
istruito solo documentalmente, ritenute non ammissibili e non rilevanti ai fini della
decisione le prove orali articolate dalla resistente, e pertanto rinviato per la precisazione delle
conclusioni. All’udienza da ultimo allo scopo fissata, svoltasi in modalità cartolare con la sola
trattazione scritta ex art. 83, co. 7 lett. h) del D.L. n. 18/2020, le parti hanno precisato le
proprie conclusioni come indicato in epigrafe, hanno depositato le ultime dichiarazioni dei
redditi e la causa è stata nuovamente rimessa al Collegio per la sentenza definitiva,
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assegnando alle parti i termini ex art. 190 c.p.c. per il deposito di comparse conclusionali e
memorie di replica.
* * *
Ciò premesso, per quanto concerne in primo luogo il regime di affidamento e di collocazione
dell’unica figlia della coppia, D., nata a *** lo 01.06.2004, non sussistono motivi per non
confermare le statuizioni al riguardo contenute nell’ordinanza presidenziale dello 06.03.2017,
come peraltro richiesto da entrambe le parti. La figlia minore è pertanto affidata
congiuntamente ai genitori Y e X, con esercizio separato della responsabilità genitoriale
limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione nei periodi di
permanenza della minore presso ciascun genitore e collocazione abitativa stabile e prevalente
presso la madre nella sua residenza di ***.
Quanto alla disciplina delle visite ed incontri padre-figlia nonché tempi di permanenza della
minore presso ciascun genitore, stante l’età di D. ormai vicina al raggiungimento della
maggiore età, si ritiene opportuno rimettere la regolamentazione degli incontri padre-minore
ad accordi da prendersi direttamente tra gli stessi.
* * *
Ciò posto, venendo quindi a trattare gli aspetti economici della causa, quanto in
primis all’entità dell’assegno da versarsi da parte del padre alla madre a titolo di contributo al
mantenimento della figlia D. e percentuale di partecipazione alle spese straordinarie da
sostenersi per la stessa contributo che la madre, sin dalla comparsa di costituzione e anche in
sede di precisazione delle conclusioni, chiede stabilirsi in € 400,00 mensili, cui deve essere
aggiunto il 70% delle spese straordinarie da sostenersi per la figlia, alla luce della differente
situazione economico-patrimoniale dei genitori, e che il padre chiede confermarsi
nell’importo di € 350,00 mensili, oltre al 50% delle spese straordinarie, si sottolinea che: –
nella sentenza di separazione giudiziale emessa dal Tribunale di Forlì il 27.10.2011 e
depositata il 13.12.2011, si stabilivano l’affidamento condiviso ai genitori della figlia D., con
collocazione stabile presso la madre, cui di conseguenza era assegnata la casa familiare di
proprietà dell’Acer, sita in Forlì e condotta in locazione, e un assegno mensile da pagarsi da
parte del padre di € 350,00, annualmente rivalutabili sulla base degli indici ISTAT, a titolo di
contributo al mantenimento della figlia, oltre al 50% delle spese mediche non mutuabili,
scolastiche, ricreative e straordinarie in generale, purché debitamente documentate e, quanto
alle ultime due, previamente concordate; – il Presidente del Tribunale, nell’ordinanza resa in
data 06.03.2017, confermava l’entità dell’assegno attualmente versato per la figlia minore,
ovvero € 350,00 mensili oltre al 50% delle spese straordinarie; – all’attualità, quindi, non
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essendo intervenute modifiche del provvedimento presidenziale in ordine all’entità del
contributo per la figlia, il ricorrente corrisponde assegno mensile di € 350,00 per la figlia D. e
provvede al pagamento del 50% delle spese straordinarie da sostenersi per la medesima.
Ora, in base ad una valutazione comparativa delle rispettive condizioni economico-reddituali
degli ex-coniugi per come emerse dalle allegazioni e deduzioni degli stessi e dalla
documentazione versata in atti – tenuto conto che il padre, di professione sergente maggiore
dell’Esercito Italiano sin dall’epoca del matrimonio, con retribuzione mensile attuale di circa
€ 1.800/2.000, al quale devono aggiungersi le maggiorazioni stipendiali ricevute nei periodi
di missione all’estero, ha percepito nell’anno di imposta 2015 un reddito lordo pari ad €
29.972,08, nell’anno di imposta 2016 un reddito lordo di € 29.074,59, nell’anno di imposta
2017 un reddito lordo pari ad € 31.159,39, nell’anno di imposta 2018 un reddito lordo di €
32.271,11 e nell’anno di imposta 2019 un reddito lordo di € 52.295,28, superiore a quello
degli anni precedenti in ragione della indennità straordinaria versatagli per lo svolgimento di
missione in Afghanistan per il periodo gennaio-agosto anno 2019, mentre la madre,
insegnante precaria di scuola primaria nel settore pubblico, ha percepito nell’anno di imposta
2015 un reddito complessivo ed imponibile di € 18.400 con una imposta netta di € 2.126,00,
nell’anno di imposta 2016 un reddito complessivo di € 16.126,00 con un reddito imponibile
di pari importo, nell’anno di imposta 2017 un reddito lordo di € 17.441, nell’anno di
imposta 2018 un reddito complessivo di € 20.448,00 ed un reddito imponibile di €
20.030,00 e nell’anno di imposta 2019 un reddito complessivo pari ad € 20.803,00 ed un
reddito imponibile di € 20.385,00 con una imposta netta di € 2.676,00, e dopo la
separazione risulta avere acquistato un immobile di 5,5 vani ubicato a *** (circostanza
documentalmente dimostrata e comunque non oggetto di contestazione da parte della
resistente) – avuto riguardo alle aumentate esigenze della figlia con il crescere dell’età, pur
temperate dalla partecipazione alle spese straordinarie e facendo applicazione di un principio
di proporzionalità ex art. 337 ter c.c., si ritiene equo porre a carico del padre assegno mensile,
a titolo di contributo al mantenimento della figlia D., di € 400,00 mensili, annualmente
rivalutabili secondo gli indici ISTAT e da versarsi alla madre entro il giorno 5 di ogni mese. Il
padre X e la madre Y provvederanno nella misura del 50% ciascuno al pagamento delle spese
straordinarie da sostenersi nell’interesse della figlia, attenendosi all’art. 15 del Protocollo di
intesa per la gestione dei processi in materia di famiglia del Tribunale di Forlì del 27.07.2016
e succ. modifiche, che predispone uno schema/disciplina di spese straordinarie e da
intendersi qui integralmente richiamato.
* * *
Deve infine decidersi sulla sussistenza o meno del diritto della resistente moglie a ricevere dal
ricorrente assegno perequativo o meglio, essendo già passata in giudicato la sentenza parziale
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di scioglimento del matrimonio, assegno divorzile, e, in caso di risposta positiva al quesito, la
determinazione della sua entità. Al riguardo, si evidenzia che: – nella sentenza di separazione
sopra citata, rilevato che il marito, sergente maggiore dell’Esercito Italiano, poteva contare su
uno stipendio mensile di € 1.500 eventualmente maggiorato per trasferte all’estero e che la
moglie, maestra elementare, non aveva invece un lavoro stabile, svolgendo periodi di
supplenze e lavori saltuari, neppure in regola, e quindi non disponeva di un reddito fisso e
sicuro, si stabiliva che il X versasse alla Y ex art. 156 c.c. assegno mensile di € 150,
annualmente rivalutabili secondo gli indici ISTAT; – nel ricorso per divorzio, così come nelle
note di trattazione scritta per l’udienza di precisazione delle conclusioni, X domanda
dichiararsi cessato l’obbligo del marito di contribuire al mantenimento della sig.ra Y a fare
data dalla domanda, non ricorrendone i presupposti di legge, alla luce anche dei più recenti
orientamenti giurisprudenziali, mentre la resistente Y, costituendosi e anche nelle note di
trattazione scritta da ultimo depositate, domanda confermarsi il contributo mensile di €
150,00 già posto a carico del marito in suo favore nella sentenza di separazione, e ciò in
ragione dell’incertezza costante del proprio futuro lavorativo, non essendovi garanzia alcuna
di assunzione nella scuola a tempo indeterminato; – nella già citata ordinanza emessa ex art. 4
comma 8 legge n. 898/1970, il Presidente del Tribunale, evidenziato che nell’ultimo anno il
marito ha dichiarato un reddito lordo da lavoro di oltre € 29.000, la moglie, ancorché non si
tratti di reddito stabilizzato, di € 18.000 (e negli anni precedenti di € 10.000 e € 14.000), di
gran lunga superiore al reddito esistente al momento della separazione (€ 4.600), ritenuto
che, in tale situazione, la differenza reddituale comunque giustifica il riconoscimento di
assegno divorzile, tenuto conto della breve durata del matrimonio (7 anni), in via provvisoria
ed urgente determinava in € 80,00 il contributo mensile per la moglie.
Orbene, ai fini della decisione, è senz’altro necessario soffermarsi sulla recente pronuncia
delle Sezioni Unite, che, con la sentenza n. 18287/2018 depositata l’11 luglio 2018, hanno
ridefinito in modo chiaro i principi in materia, in particolare la natura dell’assegno divorzile
ed i presupposti per il suo riconoscimento in favore del coniuge richiedente.
Partendo da un attento esame del dato normativo di cui all’art. 5 Legge divorzio, nella sua
formulazione originaria e poi nella sua versione ultima, come modificata dall’intervento
legislativo del 1987, le Sezioni Unite hanno richiamato il proprio iniziale pronunciamento
del 1990 (sentenza Cass. Civ. S.U. n. 11490/1990), nel quale era stato affermato che
l’assegno divorzile aveva carattere esclusivamente assistenziale, dal momento che il
presupposto per la sua concessione doveva essere rinvenuto nella inadeguatezza dei mezzi del
coniuge istante, da intendersi come insufficienza degli stessi, comprensivi di redditi, cespiti
patrimoniali ed altre utilità disponibili, a conservargli un “tenore di vita analogo a quello avuto in
costanza di matrimonio”. In linea generale, avendo, appunto, l’assegno di divorzio funzione
eminentemente assistenziale, la sua attribuzione era subordinata alla sussistenza di una
situazione di squilibrio reddituale tra i coniugi, per effetto del quale uno dei due si trovi privo
di mezzi adeguati per provvedere al proprio mantenimento, o nell’impossibilità di
procurarseli per ragioni oggettive. La sussistenza di tale presupposto condizionava il sorgere
del diritto all’assegno divorzile, mentre tutti gli altri criteri, costituiti dalle condizioni dei
coniugi, dalle ragioni della decisione, dal contributo personale ed economico di ciascuno alla
conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello
comune, e dal reddito di entrambi, erano destinati ad operare solo se l’accertamento
dell’unico elemento attributivo si fosse risolto positivamente, ed incidevano soltanto sulla
quantificazione dell’assegno stesso (cfr., ex multis, oltre alla richiamata Cass. Sez. Un. n.
11490/1990, anche Cass. Civ. 12.03.1992 n. 3019).
Per quanto concerne il concetto di “adeguatezza” impiegato dal legislatore, esso andava inteso,
secondo l’interpretazione fatta propria dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, in
relazione all’interesse giuridicamente tutelato a conservare un tenore di vita analogo a quello
avuto in costanza di matrimonio, senza che fosse necessario uno stato di bisogno dell’avente
diritto, il quale poteva essere anche economicamente autosufficiente, rilevando l’apprezzabile
deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo che,
in via di massima, dovevano essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio.
L’accertamento del diritto all’assegno di divorzio si articolava, pertanto, in due fasi, nella
prima delle quali il giudice era chiamato a verificare l’esistenza del diritto in astratto, in
relazione all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive,
raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio. Nella
seconda fase, il giudice doveva poi procedere alla determinazione in concreto dell’assegno in
base alla valutazione ponderata e bilaterale dei criteri indicati nello stesso art. 5, che agiscono
come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerabile in astratto, e possono
in ipotesi estreme valere anche ad azzerarla, quando la conservazione del tenore di vita
assicurato dal matrimonio finisca per risultare incompatibile con detti elementi di
quantificazione (vedasi, tra le numerose, Cass. Civ. 12 luglio 2007, n. 15610; Cass. Civ. Sez.
I, 11 novembre 2009, n. 23906 ove si ribadivano chiaramente i principi sopra espressi).
Ad una tale affermazione di principio, rimasta sostanzialmente ferma per quasi un
trentennio, si era più recentemente contrapposto altro innovativo orientamento, cui aveva
dato avvio la sezione prima civile della Cassazione con la sentenza n. 11504 del 2017 (seguita
poi, tra le altre, da Cass. Civ. Sez. I, 11.05.2017, n. 11538; Cass. Civ. Sez. II, 23.03.2018, n.
1630), che, pur condividendo e facendo propria la premessa sistematica della rigida
distinzione tra criterio attributivo e criterio determinativo, aveva individuato, quale
parametro della inadeguatezza dei mezzi del coniuge istante, non più il tenore di vita analogo
a quello avuto in costanza di matrimonio, quanto piuttosto la “non autosufficienza
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economica” dello stesso, evidenziando come solo all’esito del positivo accertamento di tale
presupposto potevano essere esaminati i criteri determinativi dell’assegno indicati nella prima
parte della norma. Le Sezioni Unite del 2018 hanno sottoposto ad approfondita revisione
critica entrambi gli orientamenti richiamati, evidenziando, da un lato, che il criterio
attributivo dell’assegno cristallizzato nella sentenza n. 11490/1990 – fondato, come sopra
evidenziato, sul mantenimento del tenore di vita matrimoniale – si espone, oggettivamente, ad
un forte rischio di creare indebite rendite di posizione, dall’altro, che l’impostazione
prospettata dalla sentenza n. 11504/2017, nel suo attribuire esclusivo rilievo alla astratta
condizione economico-patrimoniale soggettiva dell’ex-coniuge richiedente, sconta il fatto di
essere del tutto scollegata dalla relazione matrimoniale che pure c’è stata tra i coniugi, e che
ha determinato scelte di vita, frutto di decisioni libere e condivise, che possono aver impresso
alle condizioni personali ed economiche dei coniugi un corso irreversibile.
“Le rilevanti modificazioni sociali che hanno inciso sulla rappresentazione simbolica del legame
matrimoniale e sulla disciplina giuridica dell’istituto” hanno, dunque, indotto le Sezioni Unite del
2018 ad offrire una nuova soluzione interpretativa, fondata sulla necessità di “abbandonare la
rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di una
interpretazione dell’art. 5, comma 6, più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito …
dagli artt. 2, 3 e 29 Cost.”. Alla compiuta spiegazione della “soluzione interpretativa adottata” la
Suprema Corte ha dedicato l’intero paragrafo 10 della sentenza qui riportata. Scrivono le
Sezioni Unite che “l’art. 5 comma 6 attribuisce all’assegno di divorzio una funzione assistenziale,
riconoscendo all’ex coniuge il diritto all’assegno di divorzio quando non abbia mezzi ‘adeguati’ e non
possa procurarseli per ragioni obiettive. Il parametro dell’adeguatezza ha, tuttavia, carattere
intrinsecamente relativo ed impone una valutazione comparativa che entrambi gli orientamenti illustrati
[delle Sezioni Unite del 1990 e della sezione I civile del 2017] traggono al di fuori degli indicatori
contenuti nell’incipit della norma”, esegesi in quanto tali non soddisfacenti, che hanno imposto
un radicale ripensamento.
Nella sentenza in esame, si legge che “Il fondamento costituzionale dei criteri indicati nell’incipit
della norma conduce ad una valutazione concreta ed effettiva dell’adeguatezza dei mezzi e
dell’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata in primo luogo sulle condizioni economico-
patrimoniali delle parti, da accertarsi anche utilizzando i poteri istruttori officiosi attribuiti
espressamente al giudice della famiglia a questo specifico scopo. Tale verifica è da collegare causalmente
alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, c. 6, al fine di accertare se
l’eventuale rilevante disparità economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del
vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di
matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione
dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata, fattore di cruciale
importanza nella valutazione del contributo di ciascun coniuge alla formazione del patrimonio comune
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e/o del patrimonio dell’altro coniuge, oltre che delle effettive potenzialità professionali e reddituali
valutabili alla conclusione della relazione matrimoniale, anche in relazione all’età del coniuge
richiedente ed alla conformazione del mercato del lavoro”.
L’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni
oggettive deve, dunque, essere saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei
rispettivi ruoli endofamiliari, i quali, alla luce del principio solidaristico che permea la
formazione sociale della famiglia, di rilievo costituzionale, costituiscono attuazione della rete
di diritti e doveri fissati dall’art. 143 codice civile.
Questo accertamento “non è conseguenza di una inesistente ultrattività dell’unione matrimoniale,
definitivamente sciolta tanto da determinare modifica irreversibile degli status personali degli ex coniugi”
ma diviene necessario in quanto è la stessa norma regolatrice del diritto all’assegno che
attribuisce rilievo alle scelte e ai ruoli della vita familiare; tale rilievo ha “l’esclusiva funzione di
accertare se la condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre eziologicamente alle
determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari, in relazione alla durata del matrimonio e all’età del
richiedente”, di modo che, ove la disparità reddituale abbia questa specifica radice causale e sia
accertato, con assolvimento di un onere probatorio che le Sezioni Unite richiedono
espressamente sia “rigoroso”, “che lo squilibrio economico patrimoniale conseguente al divorzio derivi
dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato
esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contributo fattivo alla
formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge”, di tale specifica caratteristica della
vita familiare si tenga conto “nella valutazione della inadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità del
coniuge richiedente di procurarseli per ragioni oggettive”. In buona sostanza, dunque, “la funzione
assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende
direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà e che conduce al
riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-
patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di
autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in
concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare,
in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in
considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente. Il giudizio di adeguatezza ha,
pertanto, anche un contenuto prognostico riguardante la concreta possibilità di recuperare il pregiudizio
professionale ed economico derivante dall’assunzione di un impegno diverso. Sotto questo specifico profilo
il fattore età del richiedente è di indubbio rilievo al fine di verificare la concreta possibilità di un
adeguato ricollocamento sul mercato del lavoro”.
In definitiva, le Sezioni Unite affermano in modo chiaro che “l’eliminazione della rigida
distinzione tra criterio attributivo e criteri determinativi dell’assegno di divorzio e la conseguente
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inclusione, nell’accertamento cui il giudice è tenuto, di tutti gli indicatori contenuti nell’art. 5. c. 6 in
posizione equiordinata, consente, … senza togliere rilevanza alla comparazione della situazione
economico-patrimoniale delle parti, di escludere i rischi d’ingiustificato arricchimento derivanti dalla
adozione di tale valutazione comparativa in via prevalente ed esclusiva, ma nello stesso tempo assicura
tutela in chiave perequativa alle situazioni, molto frequenti, caratterizzate da una sensibile disparità di
condizioni economico-patrimoniali ancorché non dettate dalla radicale mancanza di autosufficienza
economica ma piuttosto da un dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle
parti nella conduzione della vita familiare”.
Il parametro dell’adeguatezza dunque contiene in sé una funzione equilibratrice e non solo
assistenziale-alimentare. La piena ed incondizionata reversibilità del vincolo coniugale non
esclude il rilievo pregnante che tale scelta, unita alle determinazioni comuni assunte in ordine
alla conduzione della vita familiare, può imprimere sulla costruzione del profilo personale ed
economico-patrimoniale dei singoli coniugi, non potendosi trascurare che l’impegno
all’interno della famiglia può condurre all’esclusione o limitazione di quello diretto alla
costruzione di un percorso professionale-reddituale.
Il legislatore impone sì di accertare preliminarmente l’esistenza e l’entità dello squilibrio
determinato dal divorzio mediante l’obbligo della produzione dei documenti fiscali dei redditi
delle parti, anche attraverso il potenziamento dei poteri istruttori officiosi attribuiti al giudice,
nonostante la natura prevalentemente disponibile dei diritti in gioco e, all’esito di tale
preliminare e doveroso accertamento, può venire già in evidenza il profilo strettamente
assistenziale dell’assegno, qualora una sola delle parti non sia titolare di redditi propri e sia
priva di redditi da lavoro. Possono, tuttavia, riscontrarsi più situazioni comparative
caratterizzate da una sperequazione nella condizione economico patrimoniale delle parti, di
entità variabile. Secondo la Suprema Corte, quindi deve essere prescelto un criterio integrato
che si fondi sulla concretezza e molteplicità dei modelli familiari attuali.
Le Sezioni Unite del 2018, sulla base delle approfondite argomentazioni sino a qui
testualmente riportate, ritenute coerenti anche con il quadro normativo europeo ed
extraeuropeo, sono quindi pervenute all’affermazione del seguente principio di diritto
enunciato conclusivamente, da leggere alla luce di quanto spiegato al paragrafo 10 della
decisione stessa: “Ai sensi dell’art. 5 c. 6 della L. n. 898 del 1970, dopo le modifiche introdotte con la
legge n. 74 del 1987, il riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione
assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza
dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei
criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto
per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa
delle condizioni economico patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal
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richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di
ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto”.
Al fine del calcolo dell’assegno di divorzio di cui all’articolo 5 della L. 1 dicembre 1970, n.
898 occorre dunque tenere in considerazione non il tenore di vita, ma diversi fattori,
attraverso un criterio c.d. “composito” che, alla luce della valutazione comparativa delle
rispettive condizioni economico-patrimoniali, dia particolare rilievo al contributo fornito
dall’ex coniuge richiedente alla formazione del patrimonio comune e personale, in relazione
alla durata del matrimonio, alle potenzialità reddituali future ed all’età dell’avente diritto (si
veda, tra le numerose successive pronunce della Suprema Corte intervenute dopo le Sezioni
Unite, Cass. Civ. Sez. I, ordinanza 23.01.2019, n. 1882 nella quale si è ribadito che “il
riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione
assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi dell’art. 5, comma 6, della legge n.
898/1970, richiede, ai fini dell’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante, e
dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, l’applicazione dei criteri contenuti nella prima
parte della norma, i quali costituiscono, in posizione equiordinata, i parametri cui occorre attenersi per
decidere sia sull’attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudizio, premessa la valutazione
comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, avrà ad oggetto, in particolare, il
contributo fornito dal richiedente alla condizione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio
comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio
ed all’età dell’avente diritto”; con più specifico riguardo alla durata del matrimonio, Cass. Civ.
Sez. I, 07.05.2019, n. 12021 ove si osserva, in conformità a quanto statuito da una pronunzia
della Corte di Appello di Palermo (oggetto di gravame) che “la breve durata della vita in comune,
non caratterizzata dalla nascita dei figli, era tale da escludere che avesse avuto efficacia condizionante
sulla formazione del patrimonio delle parti, ove ritenuto astrattamente valutabile quanto all’an
debeatur” nonché Cass. Civ. Sez. ord. 05.06.2020, n. 10647, che si è espressa in termini di
“limitata durata del vincolo matrimoniale” con riferimento ad un matrimonio di anni sei; Cass.
Civ. Sez. I, ordinanza 28.02.2020, n. 5603 secondo cui “in tema di assegno di divorzio, la natura
perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di
solidarietà, conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente, non il
conseguimento dell’autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il
raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione
della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate. La funzione
equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anche essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è
finalizzata, peraltro, alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo
e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della
famiglia e di quello personale degli ex coniugi”. Secondo la più recente giurisprudenza, dunque,
l’assegno divorzile ha oggi una “funzione equilibratrice del reddito”, riconoscendo all’ex
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coniuge l’assegno quando non abbia mezzi adeguati e non possa procurarseli per ragioni
obiettive, ed è finalizzato non già al mantenimento del tenore di vita goduto in costanza di
matrimonio, bensì al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge
economicamente più debole nel matrimonio (da ultimo, Cass. Civ. Sez. VI-I ordinanza
09.12.2020, n. 28104; Cass. Civ. Sez. VI – I, ordinanza 02.10.2020 n. 21140; Cass. Civ. Sez. I,
ord. 30.04.2021 n. 11472 ove si afferma in modo chiaro che “la funzione equilibratrice del
reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla
ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito
dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello
personale degli ex coniugi”; Cass. Civ. Sez. VI-I, ord. 07.10.2021, n. 27276 secondo cui lo
squilibrio economico tra le parti ed anche l’alto livello reddituale del coniuge onerato non
sono, di per sé considerati, elementi autonomamente decisivi per il riconoscimento e la
quantificazione dell’assegno divorzile, posto che i criteri fondanti su cui accertare la
sussistenza del diritto a percepire l’assegno divorzile sono costituiti dalla non autosufficienza
economica insieme alla eventuale necessità di compensazione del particolare contributo dato
dal coniuge richiedente l’assegno durante la vita matrimoniale, della cui prova è onerato il
richiedente).
Ciò posto, aderendo nella fattispecie in esame all’opzione ermeneutica prospettata dalle
Sezioni Unite, si svolgono le seguenti considerazioni, partendo da semplici dati fattuali e
documentali e dalle risultanze dell’istruttoria di causa: – il ricorrente, X, attualmente di anni
46, e la resistente Y, di anni 40, si sono sposati il 20.05.2002, l’unica figlia della coppia, D., è
nata in data 01.06.2004; all’epoca della separazione, il marito, in possesso di diploma di
scuola superiore, era già sotto-ufficiale dell’Esercito Italiano e la moglie, anche essa diplomata,
lavorava come maestra elementare precaria, svolgendo periodi di supplenza e lavori saltuari
non in regola mentre negli ultimi anni ha avuto incarichi più lunghi (anche annuali) con
guadagni più elevati ed ha acquistato un’unità immobiliare a Forlì (non è noto il prezzo
dell’immobile e se per l’acquisto dello stesso sia stato stipulato un eventuale mutuo
ipotecario). Orbene, in base alle circostanze fattuali sopra descritte, devono essere svolte
quantomeno due osservazioni. La prima è rappresentata dalla circostanza che la Y, al tempo
della separazione maestra precaria con un reddito di circa € 4.600, lavora a fare tempo
dall’anno 2014, con una certa regolarità, come insegnante di scuola primaria pubblica, in
forza, il più delle volte, di contratti che coprono l’intero anno scolastico e percepisce uno
stipendio che le permette di avere mezzi adeguati, già nell’anno 2015 il suo reddito
complessivo ammontava ad € 18.400, l’ultima dichiarazione dei redditi versata in atti e
relativa all’anno 2019 riporta un reddito imponibile pari ad € 20.385 e la resistente dopo la
separazione ha comprato un immobile a Forlì, palesando con ciò, sia pure in mancanza di
informazioni precise circa tempi e modi dell’acquisto, una non trascurabile disponibilità
economica. La seconda è l’osservazione che la Y, di anni 40, dotata di capacità lavorativa
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specifica, avuto riguardo anche all’età della figlia con lei convivente, ha potenzialità di carriera
e redditualità future. Deve altresì essere escluso, avuto riguardo alle allegazioni e deduzioni di
entrambe le parti, che Y abbia contributo alla realizzazione della vita familiare sacrificando le
proprie aspirazioni ed aspettative professionali, consentendo al marito di formare un
patrimonio – l’attività svolta dal marito è infatti sempre stata quella di militare presso il ***
Reggimento fanteria “***” dalla quale ha ricavato un reddito rispetto al quale evidentemente
la moglie non ha contributo così come il marito non ha contribuito alla carriera e alle entrate
della moglie -.
In base a quanto sopra esposto ed ai principi giurisprudenziali illustrati, può fondatamente
ritenersi che non ricorrano i presupposti per riconoscere assegno divorzile in favore della
resistente, disponendo questa di redditi e mezzi adeguati al proprio mantenimento e non
trovando la comunque non elevata differenza reddituale tra i coniugi giustificazione nel
modello di vita familiare adottato durante la convivenza matrimoniale, peraltro di breve
durata (circa sette anni).
Deve quindi essere rigettata la domanda di assegno divorzile avanzata dalla resistente, con
conseguente revoca dell’obbligo già posto a carico del ricorrente di corrispondere alla Y
assegno mensile di € 80,00. La disposta revoca opera non già dalla data della domanda come
richiesto dal X ma del mese di gennaio 2021, potendosi affermare che trascorso anche l’anno
2020 il lavoro della moglie, pur sempre precario, ha assunto una certa stabilità.
Va comunque esclusa la ripetibilità dell’assegno mensile eventualmente corrisposto a tale
titolo, medio tempore, dal marito, stante la natura alimentare di detto contributo, utilizzato
dalla moglie per provvedere al proprio mantenimento e alle spese di casa in cui abita con la
figlia della coppia.
* * *
La parziale, reciproca soccombenza sulle questioni economiche e la formulazione di identiche
domande circa il regime di affidamento e collocazione della figlia minore giustificano la
compensazione per l’intero delle spese processuali tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Forlì in composizione collegiale, ogni diversa istanza, domanda ed eccezione
disattesa, vista la sentenza parziale n. 677/2017 emessa in data 28.06.2017 e pubblicata il
29.06.2017 con la quale è stato dichiarato lo scioglimento del matrimonio, definitivamente
decidendo nella causa avente ad oggetto divorzio contenzioso promossa da X nei confronti di
Y con ricorso depositato l’11.01.2017, così provvede:
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– STABILISCE l’affidamento condiviso della figlia D. ai genitori X e Y , con esercizio separato
della responsabilità genitoriale limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria
amministrazione nei periodi di permanenza della minore presso ciascun genitore e
collocazione abitativa stabile e prevalente presso la madre;
– RIMETTE ad accordi da prendersi direttamente tra la figlia ed il padre le giornate, tempi ed
orari dei loro incontri;
– STABILISCE e DETERMINA in € 400,00, annualmente rivalutabili secondo gli indici
ISTAT, l’importo dell’assegno mensile posto a carico del padre a titolo di contributo al
mantenimento della figlia minore D. e da versarsi alla madre entro il giorno 5 di ogni mese;
– STABILISCE che il padre e la madre provvedano al pagamento delle spese straordinarie da
sostenersi nell’interesse della figlia D. nella misura del 50% ciascuno, attenendosi all’art. 15
del Protocollo di intesa per la gestione dei processi in materia di famiglia del Tribunale di
Forlì, del 27.07.2016, da intendersi qui integralmente richiamato;
– RIGETTA la domanda di assegno divorzile avanzata dalla resistente, REVOCANDO, a
decorrere dalla mensilità di gennaio 2021, l’obbligo posto a carico del ricorrente X di versare
alla Y assegno di € 80,00 mensili, esclusa la ripetibilità delle somme eventualmente
versate medio tempore a tale titolo dal ricorrente;
– COMPENSA integralmente le spese di lite tra le parti;