Maltrattamenti in famiglia. I fatti nuovi acclarati in dibattimento devono sempre essere contestati all’imputato

Cass. Pen., Sez. II, Sent., 04 ottobre 2023, n. 40368; Pres. Agostinacchio, Rel. Pellegrino
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 07/12/2022, la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della pronuncia
resa in primo grado dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bari in data 18/01/2022
all’esito di giudizio abbreviato, appellata dall’imputato A.A., ritenute le già concesse circostanze
attenuanti generiche prevalenti sull’aggravante contestata, rideterminava la pena in anni due, mesi
dieci e giorni venti di reclusione ed Euro 1.666,67 di multa in relazione ai reati di maltrattamenti in
famiglia ed estorsione aggravata, con revoca dell’interdizione dai pubblici uffici e conferma nel resto
della sentenza di primo grado.
2. Avverso la predetta sentenza d’appello, nell’interesse di A.A., è stato proposto ricorso per
cassazione, per i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex
art. 173 disp. att. c.p.p..
Primo motivo: mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
sussistenza del requisito dell’abitualità della condotta, necessario per la configurazione del delitto di
cui all’art. 572 c.p. I giudici di merito, al fine di ritenere integrato il presupposto dell’abitualità della
condotta hanno valorizzato i comportamenti assunti dal prevenuto nel 2019, arco temporale non
contestato nel capo d’imputazione che, invece, focalizza il tempus commissi delicti dal gennaio 2021
al 24/06/2021. In tal modo risulta violato il diritto di difesa dell’imputato che non è stato messo nelle
condizioni di difendersi da siffatte risalenti condotte in quanto mai contestate. La querelante ha
descritto solo due episodi, in nessuno dei quali vi è stata oggettiva e concreta minaccia o violenza tali
da ledere o compromettere l’incolumità personale, la libertà o l’onore di una persona. L’assenza di una
vera abitualità ed assiduità della condotta e l’esistenza di soli due episodi esclude la sussistenza
dell’elemento oggettivo.
Secondo motivo: mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
sussistenza dell’elemento della minaccia e della violenza necessario per la configurazione del delitto
di cui all’art. 629 c.p.. Non vi è prova della condotta minacciosa e violenta assunta dal prevenuto in
occasione delle asserite richieste di danaro formulate dal A.A. nei confronti della madre.
L’aggressione verbale non attesta la commissione di un atto violento o comunque minaccioso, in
assenza di una precisa descrizione delle condotte agenti.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato con riferimento ad entrambi i motivi proposti e il suo accoglimento impone
l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Bari per
nuovo giudizio.
2. In relazione alla contestazione di cui all’art. 572 c.p., evidenzia il Collegio come la consolidata
giurisprudenza di legittimità, cui si intende dare ulteriore corso, abbia ripetutamente affermato che il
reato di maltrattamenti sia necessariamente abituale, caratterizzandosi per la sussistenza di una serie
di fatti, per lo più commissivi, ma anche omissivi, i quali, isolatamente considerati potrebbero anche
essere non punibili (ad esempio, atti d’infedeltà, di umiliazione generica, ecc.) ovvero non perseguibili
(ad esempio, ingiurie, percosse o minacce lievi, procedibili solo a querela), ma acquistano rilevanza
penale per effetto della loro reiterazione nel tempo; ne consegue che il reato de quo si perfeziona
allorchè si realizza un minimo di tali condotte collegate da un nesso di abitualità e può formare
oggetto anche di continuazione ex art. 81 cpv. c.p., come nel caso in cui la serie reiterativa sia
interrotta da una sentenza di condanna ovvero da un notevole intervallo di tempo tra una serie di
episodi e l’altra (cfr., la risalente ed ancora attuale, Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995, Cassani, Rv.
201148; v., più recentemente, Sez. 6, n. 51212 del 12/11/2014, F., in motivazione; Sez. 6, n. 15146
del 19/03/2014, D’A., Rv. 259677; Sez. 6, n. 13422 del 10/03/2016, 0, Rv. 267270).
2.1. Trattandosi di reato abituale (e non permanente), ne consegue l’inapplicabilità, nella fattispecie,
del principio secondo cui l’intrinseca idoneità del reato permanente a durare nel tempo, anche dopo
l’avverarsi dei suoi elementi costitutivi, comporta che l’originaria contestazione cd. aperta (ossia senza
indicazione della data di cessazione della permanenza) si estenda all’intero sviluppo della fattispecie
criminosa, con la conseguenza che l’imputato è chiamato a difendersi, oltre alla parte di contestazione
già realizzata anche di quella successiva emersa all’esito dell’istruttoria dibattimentale.
Al contrario, proprio perchè il reato di cui all’art. 572 c.p. è abituale, i fatti nuovi acclarati in
dibattimento devono sempre essere contestati all’imputato, sia che servano a perfezionare o ad
integrare la fattispecie criminosa enunciata nel capo d’imputazione, sia – a maggior ragione – che
costituiscano una serie autonoma unificabile alla precedente per vincolo di continuazione (Sez. 6, n.
4636/1995, cit., Rv. 201149; nello stesso senso, Sez. 6, n. 9235 del 14/02/2001, Vitiello, Rv. 218514).
In applicazione del principio, ai fini della perseguibilità, pari contestazione formale devono ricevere
i fatti acclarati in dibattimento di cui si è accertata la commissione in data antecedente a quella della
contestazione.
2.2. Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come, nella fattispecie, al A.A. sia stata contestata
la condotta maltrattante ai danni della madre (B.B.) e della sorella (C.C.) commessa nel periodo
compreso tra (Omissis). E’ stato accertato come, in relazione al periodo in contestazione, gli eventi
maltrattanti sarebbero stati commessi solo nei mesi di (Omissis), in quanto in epoca successiva,
l’imputato si sarebbe astenuto da qualsivoglia condotta illecita.
La Corte territoriale ha censurato (o, quantomeno, ritenuto opinabile) la decisione dell’Accusa di
limitare la condotta maltrattante solo nel primo semestre del 2021 ed ha ritenuto che la circostanza
“non impedisce di valutare nella sua completezza la condotta antecedente tenuta dal A.A. (in quanto)
gli episodi a partire dall’anno 2019… non possono essere ritenuti avulsi dal contesto, cioè privi di
valore specifico a valutare la condotta nella sua interezza. Infatti dagli stessi si trae in tutta evidenza
che le condotte maltrattanti dei primi mesi del 2021, hanno solo portato all’esasperazione la povera
B.B., al punto da non poter più fare a meno di denunciare il proprio figlio. E’ proprio la decisione di
sporgere denuncia che in gran parte neutralizza le parole con le quali la B.B. ha cercato ancora una
volta di edulcorare i comportamenti del figlio, sostenendo che nell’ultimo periodo si stava
comportando bene. Diversamente da quanto opinato dalla difesa, inoltre, quanto alla “neutralità” degli
episodi inerenti il periodo (solo formalmente) in contestazione (cioè l’anno 2021) narrati dalla B.B.,
vi è peraltro prova di ulteriori condotte violente e minacciose anche nel periodo in contestazione
effettiva…”.
2.3. Ritiene il Collegio che l’individuazione da parte dei giudici di merito del presupposto
dell’abitualità della condotta in taluni comportamenti vessatori tenuti dall’imputato nell’anno 2019, in
presenza di contestazione chiusa escludente il periodo antecedente al primo semestre del 2021 ed in
mancanza altresì di modifica dell’imputazione, non consente di ritenere utilizzabili sotto il profilo
probatorio tali condotte a ragione di un’evidente violazione del diritto di difesa non solo attuale
(l’imputato non è stato messo in condizione di difendersi da tali ulteriori accuse) ma anche futuro
(l’imputato potrebbe subire condanna per fatti che, formalmente estranei al perimetro di questo
procedimento, potrebbero tuttavia essergli contestati con una nuova futura incolpazione nei confronti
della quale non potrebbe far valere il presente giudicato).
Invero, secondo la contestazione, il A.A. avrebbe maltrattato la madre e la sorella conviventi “…
insultando costantemente la prima con epiteti quali troia e puttana, estorcendole continuamente
piccole somme di denaro (20/25 Euro al giorno) che usava per drogarsi, aggredendola fisicamente in
caso di rifiuto a consegnargli i soldi, cagionandole lesioni che la donna era costretta a celare con abiti
e trucco, denigrandola con frasi quali “non sei buona a fare nulla, non sai nemmeno cucinare”
costringendola a comprargli una macchina che poi lui vendeva falsificando la firma della genitrice,
sottomettendo sia la madre che la sorella e costringendole ad un regime di vita infernale, aggredendo
fisicamente e strattonando la sorella ogniqualvolta tentava di difendere la madre, od anche colpendola
con schiaffi per futili motivi, offendendo la sorella con farsi quali “sei una puttana, sei una troia”,
ovvero intimandole di non intromettersi in difesa della madre, ed inoltre perchè, con le violenze sopra
descritte e mediante la minaccia costante di aggressione qualora le sue richieste economiche non
fossero state soddisfatte… costringeva la madre convivente a consegnarli quotidianamente 20/25
Euro, procurandosi quindi il corrispondente ingiusto profitto con pari danno per la menzionata parte
lesa. Con l’aggravante di aver commesso il fatto in casa, in uno dei luoghi di cui all’art. 624-bis c.p.;
con la recidiva reiterata infraquinquennale”.
2.3.1. In realtà, il processo avrebbe consentito di far emergere, nel periodo gennaio-febbraio 2021 –
unico, come detto, a far registrare episodi asseritamente maltrattanti con riferimento all’ambito
temporale oggetto della contestazione formale ed all’interno del quale vanno riscontrate le contestate
condotte di reato – solo due fatti astrattamente idonei a sostegno dell’Accusa: il primo, relativo
all’acquisto da parte dell’imputato di un cane marca pitbull (poi allontanato da casa dopo una
settimana su richiesta della madre); il secondo, relativo alla rivendita di un’autovettura acquistata in
comproprietà con la madre ad opera del solo imputato, responsabile di aver falsificato la firma di
quest’ultima.
Altre pretese condotte violente e/o vessatorie del A.A., quali riferite rispettivamente dalla sorella e
dal fratello della madre (B.B. e D.D.) non è stato chiarito in quale contesto temporale ebbero a
verificarsi, ossia se nel periodo di contestazione formale ovvero in quello (indefinito) antecedente ad
esso.
2.3.2. Orbene, potendosi escludere che le due condotte certamente verificatesi nel 2021 (acquisto del
cane e rivendita dell’autovettura), poste in essere in danno della sola madre, possano costituire prova
della condotta di maltrattamenti, non essendo state precisate quali ulteriori condotte denigratorie di
violenza e/o minaccia le avrebbero accompagnate, dovrà essere accertato da parte del giudice del
rinvio se altre accertate e non sporadiche condotte maltrattanti che siano manifestazione di un
atteggiamento di contingente aggressività (cfr., Sez. 6, n. 6126 del 09/10/2018, dep. 2019, C., Rv.
275033), astrattamente idonee ad integrare il tipo di reato in contestazione, abbiano trovato la loro
(ad oggi incerta) collocazione temporale nel periodo 1.1.2021-24.06.2021, unico scrutinabile.
3. Fondato è anche il secondo motivo afferente alla condotta estorsiva.
La stessa, sulla base dell’edito accusatorio, consisterebbe nell’avere l’imputato preteso dalla sola
madre (e non anche dalla sorella) la somma di Euro 20/25 al giorno (denaro destinato al successivo
acquisto di stupefacente), aggredendola – in mancanza di consegna – con epiteti offensivi e con
condotte materiali che avrebbero cagionato alla stessa lesioni personali. Dette condotte avrebbero
visto il loro perimetro temporale nel primo semestre del 2021.
La sentenza, sul punto, è alquanto criptica, dal momento che, dopo aver rilevato che – testualmente –
“la stessa persona offesa… già in denuncia-querela aveva espressamente riferito le frasi minacciose a
lei rivolte (“Tu sei una puttana, una troia, lo ti ammazzo”), per poi affermare, in occasione
dell’escussione a s.i.t., che dopo un principio di “violenze” verbali estrinsecatesi essenzialmente in
forma offensiva, comunque il A.A., quando lei si rifiutava di dargli il denaro richiesto, la “aggrediva”
verbalmente. Nella parola “aggredire” vi è l’attestazione inequivoca di un atto “violento” o, comunque
“minaccioso”…”.
3.1. Rileva il Collegio come la Corte territoriale abbia ritenuto sufficiente, ai fini della configurabilità
del reato, la sola condotta di aggressione verbale del reo, ritenendola manifestazione di violenza e/o
di minaccia, senza inoltre chiarire se tali condotte vessatorie, integranti alternativamente o
cumulativamente violenza e/o minaccia, siano intervenute nell’ambito temporale in contestazione: in
ogni caso, il giudice di merito è pervenuto a dette conclusioni in termini del tutto assertivi,
insufficienti per pervenire ad una pronuncia di condanna.
3.2. Come è noto, la condotta di estorsione si caratterizza per l’uso, da parte dell’agente, di violenza o
minaccia, diretto, prima a creare uno stato di costrizione psichica e, poi, ad ottenere un profitto
ingiusto per sè od altri, con altrui danno. Tra vis e costrizione deve esistere un rapporto strumentale
ed eziologico: di tal che, la costrizione, senza vis, attraverso – per esempio – altre forme di pressione
o di convincimento, non costituisce estorsione.
3.2.1. La giurisprudenza ha riconosciuto come il contenuto della nozione di violenza (sia propria, cioè
volta a vincere la resistenza della vittima con l’impiego diretto di qualsiasi mezzo di coazione fisica
o impropria, cioè attuata mettendo taluno nell’impossibilità di determinarsi liberamente con un’attività
insidiosa o esercitando, comunque, con azioni od omissioni giuridicamente rilevanti e non
riconducibili allo schema della minaccia o del semplice inganno, una apprezzabile pressione psichica
sul soggetto passivo, tale da indurlo a comportamenti che egli in condizioni normali non porrebbe in
essere) deve essere ricavato dal raffronto e dalla conseguente reciproca delimitazione della sfera di
operatività della minaccia. In tal senso, va considerato che, per la sussistenza del delitto di estorsione,
non si richiede che la volontà del soggetto passivo, per effetto della minaccia, sia completamente
esclusa, ma che, residuando la possibilità di scelta fra l’accettare le richieste dell’agente o subire il
male minacciato, la possibilità di autodeterminazione sia condizionata in maniera più o meno grave
dal timore di subire il pregiudizio prospettato: ciò che conta è l’idoneità del comportamento, da
valutare con giudizio ex ante, a coartare Ira libertà di determinazione: detti accertamenti sono stati
totalmente omessi da parte del giudice di merito.
3.2.2. Fermo quanto precede, il giudice del rinvio dovrai, pertanto, chiarire quale mezzo di coazione
e con quali modi e forme di estrinsecazione è intervenuto nel periodo contestato e se lo stesso abbia
prodotto nella vittima quell’effetto intimidatorio previsto dalla fattispecie incriminatrice.
4. Da qui l’annullamento della sentenza impugnata ed il rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione
della Corte di appello di Bari.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello
di Bari.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a
norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge