Cambio di fede, se le violazioni sono oggettive c’è l’addebito.

Cass. civ., sez. I, ord., 10 luglio 2023, n. 19502
Presidente Genovese – Relatore Pazzi
Rilevato che
1. Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 8280/2019 del 20 settembre 2019,
pronunciava la separazione personale dei coniugi C.R. e R.V., rigettava le
reciproche domande di addebito presentate dai coniugi e poneva a carico del R.
l’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie e del figlio nella misura,
rispettivamente, di Euro 400 e Euro 250 mensili.
2. La Corte d’appello di Napoli, a seguito dell’impugnazione presentata da R.V.,
riteneva che la frequentazione di una congregazione religiosa a parte della C. ,
di per sé, non potesse assumere rilievo determinante per la pronuncia di
addebito, dato che non risultava dimostrato che un simile comportamento
avesse comportato una violazione dei doveri coniugali e assunto rilievo causale
nel provocare l’intollerabilità della convivenza
Reputava, inoltre, che non sussistessero i presupposti per revocare o ridurre
l’assegno di mantenimento previsto dal tribunale in favore della C. e del figlio.
3. Per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello, pubblicata in data 21
febbraio 2022, ha proposto ricorso R.V. prospettando tre motivi di doglianza.
L’intimata C.R. non ha svolto difese.
Considerato che
4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 e
5, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 155-ter c.c. e 9 l.
898/1970, perché la Corte di merito non ha disposto la revoca dell’assegno di
mantenimento in favore del figlio D., benché l’appellante avesse prodotto, in
sede di precisazione delle conclusioni, documentazione attestante che il
giovane era stato assunto con contratto a tempo indeterminato.
5. Il motivo, da interpretarsi come volto a denunciare l’omesso esame
dell’estratto contributivo prodotto in sede di precisazione delle conclusioni, è
fondato.
Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione nel
caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della
controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la
prova di circostanze di portata tale da invalidare, con un giudizio di certezza e
non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno
determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio
decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (v. Cass. 16812/2018, Cass.
19150/2016).
Il documento in discorso dimostra lo svolgimento, da parte di R.D., di una
attività lavorativa retribuita quale lavoratore dipendente a partire dal 9
dicembre 2020.
Esso assumeva rilievo di certo decisivo al fine di verificare l’esistenza di un
obbligo di mantenimento a carico del padre, dato che costituiva un elemento
rappresentativo della capacità del figlio di procurarsi un’adeguata fonte di
reddito e, quindi, della raggiunta autosufficienza economica.
Nè è possibile dubitare del fatto che la Corte territoriale fosse tenuta ad
esaminarlo, benché prodotto soltanto in sede di precisazione delle conclusioni.
In vero, la nuova formulazione dell’art. 345, comma 3, c.p.c., introdotta dalla
novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella l. n.
134 del 2012, pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in
appello, senza che assuma rilevanza l'”indispensabilità” degli stessi e ferma per
la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel
giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (Cass. 26522/2017).
La produzione di questi ultimi documenti deve poi avvenire, a pena di
decadenza, mediante specifica indicazione nell’atto introduttivo del secondo
grado di giudizio, salvo che la loro formazione sia successiva e la loro
produzione si renda necessaria in ragione dello sviluppo assunto dal processo,
rimanendo comunque preclusa una volta che la causa sia stata rimessa in
decisione (Cass. 12574/2019).
Nel caso di specie il documento prodotto attestava l’esistenza di un rapporto di
lavoro che aveva preso avvio il 9 dicembre 2020; ne discende che esso non
poteva essere certo presentato con l’atto introduttivo del giudizio di appello
(risalente al 10 marzo 2019) e risultava ritualmente depositato in sede di
precisazione delle conclusioni.
6. Il secondo motivo di ricorso prospetta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3
e 5, c.p.c., la violazione dell’art. 143 c.c., in quanto la Corte di merito ha
tralasciato di valorizzare, ai fini dell’accoglimento della domanda di addebito, il
fatto che la C. avesse aderito a un credo religioso diverso da quello praticato
dal R. e, a causa di questa pratica, avesse assunto un comportamento
contrario ai doveri conseguenti al rapporto matrimoniale, secondo la
ricostruzione delle vicende familiare offerta dal teste C. .
7. Il motivo è fondato, nei termini che si vanno ad illustrare.
La Corte di merito ha ricordato che il mutamento di fede religiosa e la
conseguente partecipazione alle pratiche collettive del nuovo culto,
configurandosi come esercizio dei diritti garantiti dall’art. 19 Cost., non
possono di per sé considerarsi come ragione di addebito della separazione, a
meno che l’adesione al nuovo credo religioso non si traduca in comportamenti
incompatibili con i concorrenti doveri di coniuge previsti dall’art. 143 c.c., in tal
modo determinando una situazione di improseguibilità della convivenza (Cass.
14728/2016); ha poi ritenuto che la violazione dei doveri coniugali ascritta alla
C. , in termini di atteggiamenti di indifferenza verso il marito (tanto da non
occuparsi più delle faccende domestiche), non trovasse adeguata conferma
nella deposizione testimoniale raccolta, sottolineando anche che la scelta della
stessa di dedicarsi alla congregazione religiosa o di trascorrere tempo davanti
al computer non aveva avuto un’effettiva incidenza causale, intervenendo in un
progetto di vita di separati in casa.
Un simile rilievo si presta a una duplice censura.
Non vi è dubbio che la dichiarazione di addebito della separazione implica la
prova che l’irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile in via esclusiva al
comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri
nascenti dal matrimonio di uno o entrambi i coniugi, ovverosia che sussista un
nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi
dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza; cosicché, in caso di mancato
raggiungimento della prova in relazione al fatto che il comportamento contrario
ai predetti doveri tenuto da uno dei coniugi, o da entrambi, sia stato la causa
efficiente del fallimento della convivenza, legittimamente viene pronunciata la
separazione senza addebito (si veda in questi termini, per tutte, Cass.
40795/2021).
Il giudice di merito, tuttavia, laddove intenda sostenere che una determinata
condotta, che di per sé varrebbe a integrare una violazione dei doveri
conseguenti al matrimonio, non sia idonea a giustificare l’addebito della
separazione ai sensi dell’art. 151 c.c., essendo non la causa del fallimento
dell’unione matrimoniale ma la conseguenza di una situazione di crisi già
irrimediabilmente in atto, deve fondare una simile constatazione su una
compiuta descrizione della situazione di vita invalsa fra i coniugi in epoca
precedente al verificarsi della condotta di cui intende sminuire il valore
eziologico; ciò onde dar conto dei termini e dell’epoca in cui il rapporto
matrimoniale aveva avuto la sua deriva.
Nel caso di specie la Corte di merito, al fine di sostenere che l’allegata
violazione dei doveri coniugali fosse la conseguenza di una rottura dell’unione
matrimoniale già avvenuta e non la causa del fallimento della stessa, ha inteso
valorizzare una situazione di “reciproca sostanziale autonomia di vita”
testimoniata dal fatto che i due coniugi dormivano separati, ma non ha
spiegato se una simile situazione risalisse ad epoca antecedente al momento in
cui le condotte denunciate si verificarono.
Ne discende che la negazione dell’esistenza di un nesso di causalità tra i
comportamenti lamentati ed il determinarsi dell’intollerabilità dell’ulteriore
convivenza è rimasta affidata alla constatazione di una situazione di fatto priva
di sicura collocazione temporale in un’epoca idonea a giustificare la ravvisata
esclusione del nesso di causalità.
Peraltro, il teste escusso – come rileva il mezzo in esame – non si è limitato a
riferire di atteggiamenti di disaffezione costituiti dal fatto che la C. si era
rifiutata di cucinare, di occuparsi della casa e del bucato, ma ha raccontato
pure di continue denigrazioni e richieste. Queste condotte, del tutto ignorate
dalla Corte di merito, ove fossero consistite in un comportamento moralmente
violento dovevano essere considerate ontologicamente incompatibili con gli
obblighi di assistenza morale e materiale e collaborazione nell’interesse della
famiglia a cui ciascuno dei coniugi è tenuto ex art. 143, comma 2, c.c. ed
assumevano incidenza causale effettiva e preminente rispetto a qualsiasi causa
eventualmente preesistente di crisi dell’affectio coniugalis (Cass. 7388/2017).
8. L’accoglimento del precedente motivo comporta l’assorbimento dell’ultima
censura, concernente il contributo al mantenimento dovuto dal R. alla C. .
9. La sentenza impugnata deve essere dunque cassata, con rinvio della causa
alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai
principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del
giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in
motivazione, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in
relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte d’appello di Napoli in
diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del
giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli
altri titoli identificativi a norma dell’art. 52 D.Lgs. n. 196 del 2003 in quanto
imposto dalla legge.