La scelta per la pensione integrativa impedisce al coniuge di rivendicare la quota del TFR.

Tribunale di Paola, 13 febbraio 2023
Sezione civile
Il Tribunale ordinario di Paola, riunito in camera di consiglio, nelle persone dei magistrati
Simona Scovotto Presidente
Federica Laino Giudice
Maurizio Ruggiero Giudice estensore
ha emesso il seguente
DECRETO
nel procedimento per l’attribuzione della quota di indennità di fine rapporto ex art. 12 bis l. 898 del
01.12.1970 promosso da OMISSIS nei confronti di OMISSIS e OMISSIS nonché OMISSIS e OMISSIS, tutti
rappresentati e difesi come in atti, ed iscritto al n. 491/2021 del R.G.V.G.
MOTIVAZIONE IN FATTO E IN DIRITTO
Con ricorso depositato in data 8.6.21, OMISSIS ha dedotto: che in data 07.04.1984, in Paola (CS), contraeva
matrimonio concordatario con il sig. OMISSIS , per come risulta dall’Estratto per Riassunto del Registro degli
Atti di Matrimonio di detto Comune, giusta annotazione al n. OMISSIS, parte OMISSIS, Serie OMISSIS, anno
1984; che con Sentenza n. 65/17 emessa in data 25.01.2017 dal Tribunale di Paola, pubblicata il 27.01.2017,
passata in giudicato in data 28.07.2017, veniva posto a carico del sig. OMISSIS in favore della sig.ra OMISSIS
un assegno divorzile ex art. 5 L. 898/70; che il sig. OMISSIS, durante tutto il periodo matrimoniale, è stato
dipendente dell’Istituto di Credito OMISSIS, così sino al momento della quiescenza dall’attività lavorativa,
verificatasi dopo la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio, in cui oggi versa; che la sig.ra
OMISSIS non ha mai più contratto nuove nozze; che il sig. OMISSIS percepiva l’indennità di fine rapporto,
oppure ad oggi si trova ancora in attesa di liquidazione della stessa; che, ricorrendone i presupposti ai sensi
dell’art. 12 bis della Legge n. 898 del 1.12.1970, è diritto della ricorrente il riconoscimento dell’attribuzione
della quota del 40% della liquidazione dell’indennità di fine rapporto, dovuta al sig. OMISSIS, riferita agli anni
in cui il rapporto di lavoro è coinciso con la durata del matrimonio; che la ricorrente ha fondato timore di
perdere la garanzia del proprio credito per comportamenti negativi addebitabili al sig. OMISSIS; timore
comprovato dal mancato riscontro a formale richiesta di riconoscimento di quanto in oggetto, inoltrata per
il tramite del procuratore costituito a mezzo Racc. A/r, n. 152250967736 del 28-09/10/2020, regolarmente
recapitata in data 07.11.2020 e rimasta del tutto inevasa.
La ricorrente, pertanto, ha domandato: riconoscere e disporre in favore della sig.ra OMISSIS, ai sensi e per gli
effetti dell’art. 12 bis della Legge n. 898 del 1.12.1970, tenuto conto del periodo di coincidenza del
matrimonio con il rapporto di lavoro, l’attribuzione della quota percentuale dell’indennità di fine rapporto
dovuta al sig. OMISSIS. Per l’effetto, ordinare all’Istituto di Credito OMISSIS (quale ex datore di lavoro del
OMISSIS), nella persona dell’amministratore pro tempore, quale ente erogatore della liquidazione, di pagare
direttamente alla ricorrente la percentuale dell’indennità di fine rapporto spettante al sig. OMISSIS così come
attribuita alla sig.ra OMISSIS. In subordine, qualora l’importo relativo al trattamento di fine rapporto sia stato
già erogato in favore del sig. OMISSIS, ordinare a quest’ultimo di pagare in favore della sig.ra OMISSIS la
percentuale dell’indennità di fine rapporto così come alla stessa attribuita.
Ha chiesto, inoltre, il sequestro conservativo dell’indennità di fine rapporto dovuta al sig. OMISSIS – c.f.:
OMISSIS, nato il OMISSIS a OMISSIS, limitatamente alla quota dovuta alla ricorrente ex art. 12 bis della Legge
n. 898 del 1.12.1970; per come ancora dovuta dall’Istituto di Credito OMISSIS (quale ex datore di lavoro),
oppure qualora già erogato in favore del sig. OMISSIS direttamente sulla disponibilità dello stesso.
Con comparsa di risposta depositata il 05/08/2021 si è costituita in giudizio la società OMISSIS la quale, in
riferimento a quanto dedotto e richiesto dalla ricorrente e in esecuzione dell’ordine di esibizione pronunciato
dal Tribunale, ha prodotto il prospetto di liquidazione del TFR maturato dal sig. OMISSIS alla data della
cessazione del rapporto di lavoro, dal quale si evince, tra l’altro: – che il dipendente, durante il rapporto di
lavoro, aveva percepito anticipazioni sul trattamento di fine rapporto per complessivi €.18.446,91 lordi; – che
lo stesso, da una certa data, aveva optato per il versamento delle quote di TFR maturate sul Fondo Pensione
Complementare, per complessivi €. 57.400,43 lordi; – che in conseguenza di tali eventi, residuava presso
OMISSIS un importo di TFR ancora dovuto pari ad €. 12.927,35 lordi. Ha dedotto: – che il suddetto importo di
€. 12.927,35 lordi è stato pagato al sig. OMISSIS nel mese di agosto 2020, mediante accredito sul conto
corrente a lui intestato, come emerge dalla busta paga del mese di agosto 2020; – che il rapporto di lavoro
tra la Banca e il sig. OMISSIS era iniziato in data 8/11/1982 ed è cessato il 31/7/2020, come si evince dal
prospetto di liquidazione del TFR depositato nonché dalla specifica dichiarazione rilasciata dal Responsabile
del Direzione Centrale Affari Sindacali e Politiche del Lavoro – Amministrazione e Operations HR – Servizi
Amministrativi del Personale in data 12/7/2021. Alla luce di quanto esposto, OMISSIS ha dichiarato di non
possedere alcun importo di spettanza del sig. OMISSIS a titolo di TFR, avendo già versato quanto era in suo
possesso al momento della cessazione del rapporto di lavoro ed essendo stata conferita in precedenza la
maggior parte del TFR al Fondo Pensione Complementare.
Con comparsa di risposta depositata il 15.11.21 si è costituito in giudizio OMISSIS, precisando il quantum da
dover corrispondere alla sig.ra OMISSIS per il predetto titolo, offrendo spontaneamente il relativo importo a
mezzo assegno circolare alla stessa intestato e da rilasciare banco iudicis, ovvero con la diversa modalità
ritenuta dovuta nonché chiarendo il motivo del ritardo nell’adempimento.
Ha dedotto che il ritardo della corresponsione della quota del tfr, che la legge riserva al coniuge separato
percettore di assegno divorzile, non è dipeso da mancanza di volontà da parte del sig. OMISSIS, ma dal tempo
trascorso per riuscire ad ottenerne la sua esatta determinazione. Durante tutto il periodo della pandemia
conseguente all’infezione virale SARS-Cov 2, il resistente ha avuto difficoltà a recarsi al patronato, per capire
quanto eventualmente deve corrispondersi all’ex coniuge ed a prendere appuntamenti con lo stesso,
essendo per diversi periodi chiuso al pubblico.
Ha dedotto che in data 30.04.1998, il sig. OMISSIS richiedeva ed otteneva dal OMISSIS, allora datore di lavoro
dello stesso, l’anticipo del 75% del tfr sino ad allora maturato, ex £ 38.718,200 per l’acquisto
dell’appartamento sito in Paola alla via OMISSIS, assegnato e tutt’ora abitato dalla OMISSIS e che la sentenza
con cui veniva dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio è la sentenza n. 546/2015 pubblicata
dal Tribunale adito in data 25.05.2015. Pertanto, la sig.ra OMISSIS, ex art. 12-bis c.1 della Legge n. 898
dell’1.12.1970 ha diritto alla quota di indennità del 40 %, del Tfr maturato dal marito rapportata ai 31 anni di
periodo matrimoniale, nel caso di specie, dal 07.04.1984 al 25.05.2015, diversamente da quanto dalla stessa
precisato relativamente al termine finale da prendere in considerazione. All’atto della cessazione del
rapporto di lavoro al OMISSIS veniva corrisposto a titolo di tfr il complessivo importo lordo di € 12.927,35.
Il resistente, pertanto, ha chiesto dichiarare che la quota ex lege spettante alla ricorrente per il titolo azionato
è di € 3.301,12 e, per l’effetto, dando atto dello spontaneo pagamento della suddetta somma da parte del
medesimo, rinviare l’udienza in presenza delle parti così da consentire al sig. OMISSIS di corrispondere banco
iudicis l’importo suddetto mediante la consegna di assegno circolare intestato alla sig.ra OMISSIS, o con quel
diverso mezzo ritenuto dovuto, nonché valutare la ricorrenza di giusti motivi per disporre la compensazione
delle spese di lite.
Il Collegio ha rigettato, con provvedimento del 15.6.21, l’istanza di sequestro conservativo formulata da parte
ricorrente. L’emissione di un provvedimento di sequestro conservativo presuppone l’esistenza sia del fumus
boni iuris – ossia di una situazione che consenta di ritenere probabile l’esistenza della pretesa in contestazione
– sia del periculum in mora, ossia del fondato timore di perdere le garanzie del credito, con la conseguenza
che la carenza anche di uno solo dei suddetti requisiti impedisce la concessione della misura cautelare in
questione (Cass. n.8279/97). Al riguardo, il secondo presupposto testé enunciato non è provato dalla
ricorrente, non potendo desumersi dalla mera deduzione del timore per asseriti “comportamenti negativi
addebitabili al sig. OMISSIS”, né dal mancato riscontro a formale richiesta di riconoscimento di quanto in
oggetto. Non risulta dimostrato, pertanto, il fondato pericolo di dispersione del patrimonio da parte del
debitore.
L’intestato Tribunale, inoltre, rilevato che la OMISSIS ha dedotto che “per quanto è stato possibile accertare,
il sig. OMISSIS solo nel 2007 ha aderito al Fondo di Previdenza di OMISSIS (oggi denominato Fondo Pensione
a prestazione definita del gruppo OMISSIS), che è un soggetto distinto dalla banca resistente, ha esteso il
contraddittorio anche al menzionato Fondo Pensione, invitando quest’ultimo a precisare, anche mediante
allegazione documentale, da quale data il OMISSIS ha esercitato la detta opzione per il versamento delle
quote di TFR maturate sul Fondo Pensione Complementare; nonché a precisare se la somma accantonata sul
fondo pensione dal OMISSIS è stata al medesimo corrisposta al momento della cessazione del rapporto di
lavoro dello stesso.
Il certificato in atti attesta lo stato libero della ricorrente, mentre con sentenza n. 65/17 emessa in data
25.01.2017 dal Tribunale di Paola, pubblicata il 27.01.2017, passata in giudicato in data 28.07.2017, è stato
riconosciuto l’assegno divorzile in favore della OMISSIS.
Il rapporto di lavoro del sig. OMISSIS è iniziato in data 8/11/1982 ed è cessato il 31/7/2020, come si evince
dal prospetto di liquidazione del TFR depositato, dalla busta paga allegata nonché dalla dichiarazione
rilasciata dal Responsabile del Direzione Centrale Affari Sindacali e Politiche del Lavoro – Amministrazione e
Operations HR – Servizi Amministrativi del Personale.
La durata di tale rapporto, indi, è pari a 37 anni ,8 mesi e 23 giorni.
Il matrimonio tra le parti è stato contratto in data 07.04.1984 ed è formalmente cessato in data 28 dicembre
2015, al momento del passaggio in giudicato della sentenza n. 546/2015 del Tribunale di Paola, pubblicata il
25.05.2015, con cui veniva pronunciata la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti.
La quota del 40% della liquidazione dell’indennità di fine rapporto, dovuta al sig. OMISSIS, è riferita agli anni
in cui il rapporto di lavoro è coinciso con la durata del matrimonio, pari a 31 anni ,8 mesi e 21 giorni, essendo
la durata del matrimonio interamente ricompresa nel predetto rapporto di lavoro.
Tanto precisato, il procedimento de quo sottende la controversa questione della possibilità di riconoscere ex
art. 12 bis l. 898 del 1.12.1970 all’ex coniuge divorziato una quota del TFR che sia stato fatto confluire in un
fondo pensione.
In proposito, si evidenzia l’esistenza, nella giurisprudenza, anche di legittimità, di due opposti approdi
ermeneutici.
In una recente ordinanza (Cass. civ., n. 12882/2017) la Corte di Cassazione, sulla scia di alcuni pregressi arresti
(Cass. civ., sez. V, n. 4425/2010 e Cass. civ., sez. V, n. 8200/2007), ha riconosciuto che il diritto all’attribuzione
di una quota dell’indennità di fine rapporto, percepita dall’altro coniuge, in favore del coniuge divorziato
possa essere esteso anche agli ulteriori emolumenti che siano comunque correlati all’attività lavorativa
dell’ex coniuge, indipendentemente dal fatto che siano stati fatti confluire su un fondo pensione.
A tale conclusione la Corte è giunta rilevando che le somme confluite nel fondo pensionistico, essendo
destinate ad essere corrisposte dopo la cessazione del rapporto di lavoro, troverebbero in quest’ultimo la
loro ragione giustificatrice. Inoltre, in quanto finalizzate a compensare la perdita di redditi futuri,
radicherebbero in tale funzione la loro natura di “retribuzione differita” tale da giustificare l’applicabilità del
regime fiscale previsto per il TFR, nonché della disciplina di cui all’art. 12-bis, l. n. 898/1970.
Secondo l’opposto orientamento giurisprudenziale, “il diritto dell’ex coniuge a una quota del TFR dell’ex
congiunto, ai sensi dell’art. 12-bis l. 898/1970, non compete con riguardo a quelle somme che risultino essere
destinate a un fondo di previdenza complementare. Infatti, premesso che l’art. 12 bis l.898/1970 riconosce
al coniuge divorziato titolare di assegno divorzile la quota del 40% del TFR “percepito” alla cessazione del
rapporto di lavoro, è evidente che quanto accantonato su fondo pensione non viene riscosso alla cessazione
del rapporto di lavoro. Ciò per il fatto che nel caso in cui il Tfr viene conferito ad un fondo di previdenza
complementare, la liquidazione non è riconosciuta alla cessazione del rapporto di lavoro, ma alla
maturazione dei requisiti per la pensione. Inoltre, le somme versate non sono riconosciute come liquidazione,
ma come pensione integrativa, che viene erogata, nella maggior parte dei casi, in forma di rendita ed in alcuni
casi in forma di capitale. In definitiva, tale istituto rientra nella previsione dell’art. 2123 c.c., quale forma di
previdenza integrativa, e non nella previsione dell’art. 2120 c.c., al quale si riferisce l’art. 12 bis della legge
n.898/1970” (Tribunale di Milano sez. IX civ., sentenza del 18 maggio 2017).
A tale conclusione è pervenuta anche una parte della giurisprudenza di legittimità applicando
analogicamente la disciplina prevista per i versamenti effettuati in favore del fondo pensione ai versamenti
di eventuali quote di TFR alla previdenza complementare: avendo i primi natura non retributiva ed essendo
liquidabili solo al momento di maturazione dei requisiti per il pensionamento, anche i secondi, di
conseguenza, non sarebbero più imputabili al TFR (cfr. Cass., n. 8228/2013; Cass. civ., S.U., n. 4949/2015;
Cass. civ., n. 8995/2012).
In particolare, la stessa Suprema Corte ha ritenuto che i versamenti in favore del fondo pensione, avendo
una natura spiccatamente previdenziale, non incrementerebbero il patrimonio del lavoratore (Cass. civ., n.
8995/2012).
“Le somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare – quale che sia il soggetto
tenuto alla erogazione dei trattamenti integrativi e quindi destinatario degli accantonamenti – non si
computano né nella indennità di anzianità né nel trattamento di fine rapporto” (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n.
8228 del 04/04/2013).
Tali somme, infatti, come osservato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (Cass. civ. S.U., n. 4949/2015), non
possono rientrare nell’ambito di applicazione degli artt. 2120 e 2121 c.c., in quanto il loro ambito applicativo
dovrebbe circoscriversi alla retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore durante gli anni di
svolgimento del rapporto e non anche a contributi da cui i lavoratori non possono trarre alcun immediato
arricchimento.
Inoltre, la pronuncia testé citata ha evidenziato l’autonomia del rapporto previdenziale rispetto al rapporto
di lavoro: in forza del primo, il datore di lavoro è obbligato a versare dei contributi nel fondo pensione e la
disponibilità di tali somme è correlata alla maturazione del diritto del lavoratore al trattamento pensionistico.
“Per quanto concerne i fondi di previdenza integrativa, i versamenti datoriali non sono preordinati
all’immediato vantaggio del lavoratore, ma, proprio in coerenza con la loro funzione, vengono accantonati (e
quindi mai direttamente corrisposti) per garantire la funzione del trattamento integrativo in caso di
cessazione del rapporto di lavoro, ovvero in caso di sopravvenuta invalidità, secondo le condizioni previste
dal relativo statuto… Se è vero che il rapporto di previdenza integrativa ha come necessario presupposto
l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato, è anche vero che l’obbligo del versamento del contributo a
carico del datore di lavoro non si pone nei confronti del lavoratore bensì nei confronti del fondo che è poi
onerato della erogazione della relativa prestazione. Va in proposito osservato che, ove si accedesse alla tesi
secondo cui ogni onere economico posto a carico del datore di lavoro avesse natura retribuiva, si arriverebbe
al risultato che la previdenza complementare sarebbe a carico esclusivo dei lavoratori, risultato non solo
paradossale, ma contra legem, atteso che la natura solidaristica della previdenza complementare è
desumibile non solo da norme primarie (cfr., in particolare, l’art. 2117 c.c.), ma anche dall’art. 38 Cost. La
mancanza di un nesso di corrispettività diretta fra contribuzione e prestazione lavorativa, e quindi, in buona
sostanza, la sostanziale autonomia tra rapporto di lavoro e previdenza complementare, trovano una
conferma decisiva nel rilievo che, in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla pensione integrativa –
il che può verificarsi quando non siano integrati tutti i presupposti per la maturazione del diritto – il
dipendente non ha alcun diritto alla percezione dei contributi versati dal datore di lavoro” (Cass. Sez. U,
Sentenza n. 4684 del 2015).
Da ciò scaturisce che la liquidabilità pro quota delle somme destinate ad un fondo pensione dovrebbe
fondamentalmente escludersi per le seguenti ragioni:
-in primo luogo, perché i contributi o gli accantonamenti versati su un fondo pensione assumono
necessariamente funzione e natura previdenziale, non retributiva;
– in secondo luogo, in considerazione del momento di maturazione del diritto alla loro percezione
(raggiungimento dell’età pensionabile e non scioglimento del rapporto di lavoro);
– in terzo luogo, per la modalità di erogazione, che nella maggior parte dei casi avviene sotto forma di rendita
vitalizia e non di capitale. Tale requisito, tuttavia, non si appalesa determinante ai fini della qualificazione de
qua, poiché la pensione integrativa può essere erogata anche in forma di capitale (Tribunale di Milano sez.
IX civ., sentenza del 18 maggio 2017).
Il quesito alla base degli esposti orientamenti è se la natura del TFR permanga o meno in caso di destinazione
dello stesso al fondo previdenziale-complementare. Appare preferibile l’esegesi che ritiene prevalente la
destinazione: la funzione della somma confluita nel fondo previdenziale o complementare è di tipo
pensionistico e non retributivo. Del resto, riprendendo la teoria della “causa in concreto” l’interesse
concretamente perseguito dal lavoratore che decida di far confluire tali somme in un fondo di questo tipo è
proprio quella di costituirsi una pensione integrativa. L’accantonamento del TFR su un fondo complementare
conferisce alle somme versate una destinazione ed una funzione differenti. Tale destinazione fa perdere a
questi versamenti la loro natura retributiva e fa loro acquisire carattere previdenziale, tanto che essi non
saranno più corrisposti al lavoratore alla cessazione del rapporto lavorativo, bensì alla maturazione dei
requisiti pensionistici. La percezione dei medesimi, quindi, viene differita non al momento della cessazione
del rapporto di lavoro ma al tempo del verificarsi dei presupposti previdenziali. Perdono, pertanto, la loro
natura di TFR.
La pensione integrativa è una forma di pensione che “è contraddistinta dalla mancanza di un nesso di
corrispettività diretta tra la contribuzione e la prestazione lavorativa, ciò che riscontra la sostanziale
autonomia tra il rapporto di lavoro e questa tipologia di previdenza complementare (Cass., 9 marzo 2015, n.
4684; Cass., 29 maggio 2013, n. 13399; Cass., Sez. U., 1 febbraio 1997, n. 974)” (Cass. Sez. 1, Ordinanza n.
15817 del 07/06/2021).
In ragione delle deduzioni compiute dalla Banca OMISSIS, è stato esteso il contraddittorio anche ai
menzionati Fondi Pensione. Il Fondo Pensione a Contribuzione Definita del Gruppo OMISSIS ha rappresentato
che il sig. OMISSIS è stato iscritto al Fondo dalla data del 01/12/1989 sino alla data del 31/07/2020 di
pensionamento e che in favore dello stesso è stata liquidata la posizione maturata presso il Fondo.
Tanto risulta corroborato dall’allegazione compiuta da quest’ultimo, dalla quale emerge la tipologia di
adesione, collettiva e non individuale, nonché il tipo di erogazione (prestazione previdenziale), il motivo
dell’erogazione (pensionamento) e la percentuale di erogazione in capitale (100%), su richiesta avvenuta il
17.10.20, ossia successivamente alla maturazione dei requisiti di pensionamento, necessari per conseguire
l’erogazione complessiva gradualmente accantonata.
Il pensionamento assurge, quindi, a ragione giustificativa dell’erogazione, come significativamente indicato
nella “comunicazione relativa a richiesta di prestazione previdenziale” prodotta in data 30.11.22.
Inoltre, si rileva da tale documento che sia l’adesione alla forma pensionistica sia l’iscrizione alla previdenza
complementare sono avvenute anteriormente alla proposizione della domanda di cessazione degli effetti
civili del matrimonio. Conseguentemente, non appare che la scelta del resistente di aderire al fondo pensione
sia stata finalizzata a perseguire l’intento elusivo e fraudolento di sottrarre quote di T.F.R. all’eventuale
successiva pretesa della ricorrente.
Come puntualizzato dalla Suprema Corte, “la quota del trattamento di fine rapporto dell’altro coniuge,
riconosciuta dall’art. 12 bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898, a quello titolare dell’assegno divorzile che
non sia passato a nuove nozze, deve liquidarsi sulla base di quanto dal primo riscosso, per tale causale, al
netto delle imposte, altrimenti trovandosi lo stesso a doverla corrispondere in relazione ad un importo da lui
non percepito siccome gravato dal carico fiscale. L’art. 12 bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898, laddove
attribuisce al coniuge titolare dell’assegno di cui al precedente art. 5, che non sia passato a nuove nozze, il
diritto ad una quota del trattamento di fine rapporto dell’altro coniuge, va interpretato nel senso che per la
liquidazione di tale quota occorre avere riguardo a quanto percepito da quest’ultimo, per detta causale, dopo
l’instaurazione del giudizio divorzile, escludendosi, quindi, eventuali anticipazioni riscosse durante la
convivenza matrimoniale o la separazione personale, essendo le stesse definitivamente entrate nell’esclusiva
disponibilità dell’avente diritto” (Cassazione civile Sez. VI sentenza n. 24421 del 29 ottobre 2013).
Considerato che il dipendente, durante il rapporto di lavoro aveva percepito anticipazioni sul trattamento di
fine rapporto per complessivi €.18.446,91 lordi, che lo stesso aveva optato per il versamento delle quote di
TFR maturate sul Fondo Pensione Complementare, per complessivi €. 57.400,43 lordi; – che in conseguenza
di tali eventi, residuava presso OMISSIS un importo di TFR ancora dovuto pari ad €. 12.927,35 lordi,
corrisposto al sig. OMISSIS nel mese di agosto 2020, mediante accredito sul conto corrente a lui intestato,
come emerge dalla busta paga del mese di agosto 2020, su tale importo occorre computare il quantum
dovuto alla ricorrente, escluse, per le ragioni esplicitate, le anticipazioni sul trattamento di fine rapporto
percepite da OMISSIS prima dell’instaurazione del giudizio divorzile ed escluso il versamento delle quote di
TFR maturate sul Fondo Pensione Complementare.
Dal TFR lordo di € 12.927,35 liquidato al OMISSIS, decurtata l’aliquota applicata del 23,28% (cfr. prospetto
TFR della banca), si ha un importo netto di € 9.917,86.
“L’indennità dovuta deve computarsi calcolando il 40 per cento dell’indennità totale percepita alla fine del
rapporto di lavoro, con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro coincise con il rapporto matrimoniale;
risultato che si ottiene dividendo l’indennità percepita per il numero degli anni di durata del rapporto di
lavoro, moltiplicando il risultato per il numero degli anni in cui il rapporto di lavoro sia coinciso con il rapporto
matrimoniale e calcolando il 40 per cento su tale importo” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15299 del 06/07/2007).
Dunque, dividendo il predetto importo per il numero degli anni di durata del rapporto di lavoro (37),
moltiplicando il risultato (268,05) per il numero degli anni in cui il rapporto di lavoro sia coinciso con il
rapporto matrimoniale (31) si ottiene l’importo di € 8.309,55, il cui 40% è pari ad € 3.323,82.
Alla luce delle esposte considerazioni, si riconosce e si dispone in favore della sig.ra OMISSIS, ai sensi e per
gli effetti dell’art. 12 bis della Legge n. 898 del 01.12.1970, tenuto conto del periodo di coincidenza del
matrimonio tra la medesima e OMISSIS con il rapporto di lavoro di quest’ultimo, l’attribuzione della quota
percentuale pari al quaranta per cento dell’indennità di fine rapporto erogata al sig. OMISSIS; per l’effetto,
essendo stato l’importo relativo al trattamento di fine rapporto già erogato in favore del sig. OMISSIS, si
ordina a quest’ultimo di pagare in favore della sig.ra OMISSIS l’importo di € 3.323,82.
L’evidenziato contrasto giurisprudenziale induce a disporre la compensazione integrale delle spese di lite tra
le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale di Paola, Sezione Civile, definitivamente pronunziando sulle domande proposte nel giudizio n.
491/2021 del R.G.V.G., ogni contraria e diversa domanda ed eccezione rigettata e/o disattesa, così provvede:
-rigetta la domanda di sequestro conservativo ex art. 671 c.p.c. formulata dalla ricorrente;
-riconosce e dispone in favore della sig.ra OMISSIS, ai sensi e per gli effetti dell’art. 12 bis della Legge n. 898
del 01.12.1970, tenuto conto del periodo di coincidenza del matrimonio tra la medesima e OMISSIS con il
rapporto di lavoro di quest’ultimo, l’attribuzione della quota percentuale pari al quaranta per cento
dell’indennità di fine rapporto erogata al sig. OMISSIS;
-per l’effetto, essendo stato l’importo relativo al trattamento di fine rapporto già erogato in favore del sig.
OMISSIS, ordina a quest’ultimo di pagare in favore della sig.ra OMISSIS l’importo di € 3.323,82.
– compensa integralmente le spese di lite tra le parti