Assegno di divorzio per l’ex marito invalido e disoccupato

Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 02/03/2023) 16-05-2023, n. 13420
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ACIERNO Maria – Presidente –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23663-2021 R.G. proposto da:
A.A., rappresentato e difeso dell’avv. BEJOR-GAJANI MARIO, indirizzo PEC
mario.bejorgajani(at)ordineavvocatiravenna.eu;
– ricorrente –
CONTRO
B.B.;
– intimata –
avverso l’ORDINANZA della CORTE D’APPELLO BOLOGNA n. 2437-2019 depositata il
13/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/03/2023 dal Consigliere RITA E.
A. RUSSO.
Svolgimento del processo
Con ricorso ex L. 898-70, art. 9 A.A. ha chiesto al Tribunale di Bologna la condanna di
B.B. al versamento di una somma mensile non inferiore ad Euro 500,00 a modifica delle
condizioni di divorzio, deducendo di essere invalido e privo di redditi. Il Tribunale ha
ritenuto inammissibile la domanda. A.A. ha proposto reclamo alla Corte d’appello che, pur
ritenuta ammissibile la domanda di assegno divorzile, poichè non si era formato alcun
giudicato sulla stessa, ha respinto il reclamo osservando: a) che non ne sussistono i
presupposti in relazione alla funzione compensativa dell’assegno, poichè entrambi i
coniugi, separati sin dal 1995 senza che fosse previsto alcun contributo economico,
lavoravano (anzi l’A.A. aveva una avviata attività commerciale), dal matrimonio non sono
nati figli e non risulta che il richiedente abbia sacrificato le proprie aspirazioni di attività
professionale per le esigenze della famiglia; b) in relazione alla funzione assistenziale
dell’istituto osserva che sebbene la ex moglie abbia una pensione come insegnante e sia
proprietaria dell’appartamento già costituente la casa coniugale, non che risulta che A.A.
nonostante la documentata invalidità del 46% non possa svolgere attività lavorativa, non
avendo egli provato di aver cercato di reperire un’attività consona alle proprie condizioni
fisiche.
Avverso il predetto provvedimento propone ricorso per cassazione l’A.A. affidandosi a tre
motivi; non si è costituita la intimata. Il ricorrente ha depositato memoria. La causa è stata
tratta alla udienza camerale non partecipata del 2 marzo 2023.
Motivi della decisione
1.- Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 la nullità
sentenza per omessa motivazione, o comunque la sua illogicità e apparenza, per
violazione artt. 132, II c, n. 4, CPC e Cost., art. 111. Il ricorrente deduce che la
motivazione del gravato provvedimento risulta del tutto inidonea a spiegare le ragioni della
decisione con argomentazioni corrette e congrue. La valutazione della diligenza prestata
dal reclamante nella ricerca di un lavoro è stato l’unico, effettivo “accertamento” operato
dalla Corte territoriale e sul punto la motivazione è incongrua, come lo è sulla condizione
di disabilità di esso istante, dimostrata per tabulas.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 l’omesso
esame di fatti decisivi e la violazione degli artt. 115 -116 c.p.c. nonchè degli artt. 2727 e
segg. c.c. La parte osserva che l’apodittica affermazione secondo cui l’attore “non avrebbe
provato, nè offerto di provare di aver cercato di reperire un’attività consona…”, rende
opportuno chiarire come non sussista, in materia, una sorta di probatio diabolica. Le
emergenze processuali dimostrano – specie se esaminate nel loro insieme – come il
ricorrente sia sfornito di tutti i requisiti della autosufficienza, posto che egli è privo di
redditi, nonchè di cespiti di sorta, è documentato che gli sia stata attribuita una invalidità
del 46%, ed è pacifico che ha dovuto trovare ospitalità dal padre, presso la di lui casa, in
(Omissis). Si aggiunga che il ricorrente risulta iscritto da anni nelle liste di disoccupazione
ed è stato comunque diligente nella ricerca di un lavoro. Richiama tutta una serie di
documenti depositati in atti e afferma che la cancellazione -per un breve periodo- dalle
liste di disoccupazione è dovuta ad un involontario errore da parte sua, fatto questo non
esaminato dalla Corte, e che ciò non è sufficiente a dimostrare che egli è in difetto sulla
ricerca di un lavoro, perchè si è comunque di nuovo iscritto.
2.1- Con il motivo II bis si deduce a sensi dell’art. art. 360 c.p.c., n. 4 la nullità sentenza
per omessa/apparente motivazione, con violazione degli artt. 115, e 132 c.p.c. e della
Cost., art. 111.
Deduce che decreto de quo risulta viziato per difetto di motivazione laddove il secondo
giudice, pur dubitando del persistere della inabilità (“non potendosi escludere che le
condizioni del reclamante fossero in seguito migliorate”) e affermando comunque che “non
risulta che…le patologie sofferte non consentano all’odierno reclamante di svolgere una
qualche attività lavorativa” (pag. 7), ha omesso di esaminare e di ammettere i mezzi di
prova ritualmente formulati dal ricorrente, che ben avrebbero potuto accertare la
persistenza della accertata incapacità lavorativa e le sue condizioni di vita, ai fini della
valutazione di quali – eventualmente – lavori gli sarebbero confacenti. Subito dopo, il
secondo giudice soggiunge che “sembra” evincersi che tale disabilità non gli sia stata
riconosciuta, poichè nell’ulteriore attestazione di iscrizione nell’elenco dei disoccupati,
rilasciata dal Centro per l’impiego, non vi era più alcun riferimento alla disabilità, ma senza
indicare in motivazione i motivi razionali per cui si potrebbe seriamente ipotizzare un
miglioramento delle sue condizioni fisiche, pur se la resistente non ha minimamente
contestato che l’inabilità risultante dai documenti sia ancora sussistente e nonostante i
mezzi di prova articolati.
3.1.- I motivi sono fondati nei termini di cui appresso si dirà.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass., s.u. n. 18287 dell’11/07/2018) il
riconoscimento dell’assegno di divorzio, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed
in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5 comma
6, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e
dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equi-ordinati di
cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per
decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno. Il giudice deve
quantificare l’assegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in
misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza o
autosufficienza economica dell’ex coniuge, intesa in una accezione non circoscritta alla
pura sopravvivenza ma ancorata ad un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta
situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive (Cass. 07/12/2021, n.
38928; Cass. 08/09/2021, n. 24250). E’ vero che il richiedente deve dare la prova della
oggettiva impossibilità di procurarsi i mezzi adeguati, ma la prova si può raggiungere
anche tramite presunzioni e con valutazione resa in concreto alla attualità. Il giudizio
sull’adeguatezza dei redditi, infatti, deve essere improntato ai criteri dell’effettività e
concretezza non potendo esso risolversi in un ragionamento ipotetico, i cui esiti vengano
ricalcati su pregressi contesti individuali ed economici non più rispondenti, all’attualità, a
quello di riferimento (Cass. 19/11/2021, n. 35710).
3.2.- Di questi principi la Corte di merito non ha fatto corretta applicazione, poichè nel
valutare i requisiti per riconoscere un assegno con funzione assistenziale, ha svolto un
ragionamento ipotetico, dando rilievo a vicende pregresse, esposte peraltro in termini
dubitativi, osservando che il richiedente “avrebbe (non è chiaro quando) cessato l’attività
lavorativa non essendo dato conoscere neppure se l’attività redditizia di commercio di
materiale fotografico e altro e -parrebbe- la titolarità di quote sociali siano state cedute a
terzi”; considerazioni che vengono collegate al rilievo che nel periodo tra il 1995 ed il 2007
egli ha “certamente avuto qualche risorsa” poichè nessun contributo era previsto in sede
di separazione nè, in via provvisoria, nel giudizio di divorzio. Vicende appunto pregresse,
delle quali -proprio perchè ricostruite in termini vaghi- non si apprezza l’incidenza sulla
attuale condizione economica del richiedente che, come lo stesso giudice d’appello rileva,
ha documentato una invalidità del 46% e ha dedotto di essere privo di redditi e di cespiti, a
fonte invece di una condizione della ex moglie più favorevole (pensionata e con proprietà
della casa di abitazione). Del resto, l’assenza di contributo al mantenimento nelle
condizioni di separazione non è elemento di per sè sufficiente a escludere il dritto
all’assegno divorzile, posto che le valutazioni dell’assetto economico effettuate in sede di
separazione rappresentano, al più, un mero indice di riferimento (Cass. 22/09/2021, n.
25635).
Anche in punto di diligenza del ricorrente nel reperire una attività lavorativa, compatibile
con le sue attuali condizioni di salute, la Corte rende un giudizio ipotetico, non calibrato
alla attualità, perchè ha molto valorizzato la circostanza che l’A.A., iscritto nelle liste di
disponibilità immediata al lavoro sin dal 2010, ne è stato dichiarato decaduto nel febbraio
2015 -vicenda dovuta secondo il ricorrente ad un fraintendimento- senza tener conto che
egli si è nuovamente iscritto in data 4 dicembre 2017 e tale risultava ancora al 18 marzo
2019, e cioè quando ha avanzato la pretesa di revisione delle condizioni di divorzio.
Risultava inoltre ancora iscritto al 28 ottobre 2020, ma senza riferimento alla condizione di
disabilità, il che ha portato la Corte, anzichè a valorizzare la continuità nella ricerca –
infruttuosa- di un lavoro, a rendere un altro giudizio ipotetico e dubitativo (“non potendosi
escludere che il quadro complessivo delle condizioni dell’odierno reclamante sia in seguito
migliorato”), non fondato su certificazione medica o accertamento sanitario, e ciò
nonostante la deduzione del ricorrente di essere stato vittima di un altro incidente stradale
nel 2016, la documentazione prodotta e la richiesta di prove testi e di consulenza medica.
Così operando la Corte non ha in concreto verificato, e nonostante le premesse sulla
ammissibilità della domanda di revisione, se le attuali condizioni del ricorrente fossero
effettivamente quelle dedotte in base alle prove offerte, e tali da richiedere l’applicazione
del principio di solidarietà post- coniugale, che non è esclusa dalla circostanza che per
lungo tempo egli abbia provveduto a sè stesso autonomamente ovvero anche -come da
lui dedotto- con l’aiuto del padre, il cui intervento non varrebbe comunque ad esonerare
l’ex coniuge dai suoi obblighi (Cass. n. 15774 del 23/07/2020; Cass. 14/06/2016, n.
12218).
4.- In sintesi, deve qui ribadirsi che ai fini del riconoscimento dell’assegno divorzile è
sufficiente anche verificare, in concreto e all’attualità, l’esigenza assistenziale, che ricorre
ove l’ex coniuge sia privo di risorse economiche bastanti a soddisfare le normali esigenze
di vita, sì da vivere autonomamente e dignitosamente, e non possa in concreto
procurarsele, pur se in ipotesi abbia già goduto in passato di risorse sufficienti ad
assicurarne il sostentamento nel periodo intercorrente tra la separazione e il divorzio,
posto che tanto la sussistenza di mezzi adeguati che la diligenza spesa nel tentativo di
procurarseli sono da valutare alla attualità, tenendo conto delle condizioni personali, di
salute e del contesto individuale ed economico in cui agisce il richiedente.
Ne consegue, in accoglimento per quanto di ragione dei motivi di ricorso, la cassazione
della ordinanza impugnata e il rinvio alla Corte d’appello di Bologna in diversa
composizione per un nuovo esame, attenendosi a principi sopra enunciati. La Corte di
merito provvederà altresì alle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la ordinanza impugnata e rinvia
per un nuovo esame alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione, cui
demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per
finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di
comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati
identificativi delle parti, riportati nella ordinanza.
Così deciso in Roma, il 2 marzo 2023.
Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2023