Violenza sessuale e configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità

Cass. Pen., Sez. III, Sent., 01 giugno 2022, n. 21255; Pres. Sarno, Rel. Cons. Sessa

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SARNO Giulio – Presidente –
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere –
Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere –
Dott. CORBETTA Stefano – Consigliere –
Dott. SESSA Gennaro – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.F.G., nato ad (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 10/09/2021 della Corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SESSA Gennaro;
letta la requisitoria redatta dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
RICCARDI Giuseppe, che ha chiesto che sia dichiarata l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 10/09/2021 la Corte di appello di Torino ha riformato la sentenza del giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Aosta del precedente 22/05/2020 con cui S.F.G., in esito a
giudizio abbreviato, era stato dichiarato penalmente responsabile del delitto di violenza sessuale
pluriaggravata continuata e condannato alle pene ritenute di giustizia, rideterminando la pena
principale in senso meno afflittivo giusta la valutazione delle già concesse attenuanti generiche in
termini di prevalenza sulle contestate aggravanti e sostituendo la pena accessoria dell’interdizione
perpetua dai pubblici uffici con quella dell’interdizione temporanea per la durata massima.
2. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del S., avv.to F. V.,
che ha articolato un unico motivo di doglianza, di seguito sintetizzato conformemente al disposto
dell’art. 173 disp. att. c.p.p.
2.1. Con tale motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), violazione di legge
in relazione a quanto previsto dall’art. 609-bis c.p., comma 3 e vizio di motivazione per
contraddittorietà in punto di denegata applicazione dell’attenuante del fatto di minore gravità.
Sostiene, in specie, che la Corte territoriale, sebbene avesse escluso la sussistenza di un rapporto di
parentela tra l’imputato e la vittima, aveva finito col fondare la mancata concessione dell’indicata
attenuante ad effetto speciale sull’affidamento da quest’ultima riposto nell’agente, in ragione di una
pregressa conoscenza e della comune appartenenza alla confessione dei “Testimoni di Geova”,
valorizzando in tal modo, in maniera del tutto erronea, un presunto “tradimento della fiducia”, assai
difficilmente ipotizzabile rispetto a un soggetto ultraquattordicenne e perciò ben orientato,
destinatario, peraltro, di molestie sessuali reiterate.
3. Il procedimento è stato trattato in udienza camerale con le forme e con le modalità di cui al D.L. n.
137 del 2020, art. 23, commi 8 e 9, convertito dalla L. n. 176 del 2020, cui effetti sono stati prorogati
dal D.L. n. 105 del 2021, art. 7, convertito dalla L. n. 126 del 2021 e, ancora, dal D.L. n. 228 del 2021
art. 16, convertito dalla L. n. 15 del 2022.
Motivi della decisione
1. Il ricorso presentato nell’interesse di S.F.G. è manifestamente infondato per le ragioni che di seguito
si espongono.
2. Destituito di fondamento risulta l’unico motivo di ricorso, con cui si lamenta violazione di legge in
relazione a quanto previsto dall’art. 609-bis c.p., comma 3 e vizio di motivazione per contraddittorietà
in punto di denegata applicazione dell’attenuante del fatto di minore gravità, sostenendo che,
riconosciuta l’insussistenza di un rapporto di parentela tra le parti, si era giustificata la mancata
concessione dell’indicata attenuante ad effetto speciale con l’affidamento riposto nell’imputato dalla
parte lesa per effetto della pregressa conoscenza e della comune appartenenza alla confessione dei
“Testimoni di Geova”, con conseguente erronea valorizzazione di un presunto “tradimento della
fiducia”, che difficilmente si sarebbe potuto ipotizzare con riguardo a un soggetto ultraquattordicenne,
ben orientato e vittima già in passato di attenzioni moleste rivoltegli dallo stesso agente.
Ritiene in proposito il Collegio che, diversamente da quanto sostenuto nell’atto di gravame, la Corte
di appello di Torino abbia esposto, con argomentazioni logiche e coerenti (rinvenibili alle pagg. 6 e
7 della sentenza impugnata), le ragioni fondanti la decisione assunta, che ha indicato nell’età
adolescenziale del soggetto abusato (che aveva quattordici anni allorquando fu perpetrata in suo
danno la prima violenza e quindici anni da poco compiuti in occasione della seconda), nel forte
vincolo che legava da tempo la famiglia della vittima e l’imputato (ascrivibile alla comune
appartenenza alla confessione dei Testimoni di Geova), nella strumentalizzazione, da parte di
quest’ultimo, del rapporto di fiducia instauratosi con i genitori del minore (che, in un primo momento,
non a caso, non credettero al racconto dell’accaduto fatto dal figlio), nell’inganno escogitato dallo
stesso per incontrare una seconda volta la vittima e sottoporla nuovamente a violenza sessuale
(indicativo di callidità ed esecrabile pervicacia) e nella confessione resa nel corso dell’interrogatorio
di garanzia (all’evidenza sintomatico della piena consapevolezza dell’illiceità delle condotte abusanti
reiteratamente tenute).
La decisione della Corte territoriale risulta, quindi, sorretta da un impianto motivazionale congruo e
del tutto scevro da contraddizioni, al cospetto del quale la dedotta doglianza non coglie nel segno,
risolvendosi, oltretutto, nella mera riproposizione di lamentazioni illo tempore prospettate con il
primo motivo di appello.
E’ tuttavia pacifica acquisizione della giurisprudenza di questa Corte che con i motivi di ricorso non
possono essere riprodotte le medesime ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del
gravame, dovendosi, ove ciò accada, ritenere aspecifici i motivi stessi.
La mancanza di specificità del motivo deve essere, infatti, valutata e ritenuta non solo per la sua
genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento
che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di
aspecificità, che conduce, in conformità al disposto dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c),
all’inammissibilità dell’impugnazione (così, ex multis, Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour,
Rv. 277710-01, Sez. 2, n. 11951 del 29/01/2014, Lavorato, Rv. 259425-01, Sez. 5, n. 28011 del
15/02/2013, Sammarco, Rv. 255568-01 e Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 25384901).
Tanto chiarito, deve altresì evidenziarsi che la decisione gravata non presenta neanche il dedotto vizio
di violazione di legge, conformandosi la denegata concessione dell’indicata attenuante ad effetto
speciale all’insegnamento della Suprema Corte, secondo cui “In tema di violenza sessuale, ai fini della
configurabilità della circostanza attenuante del fatto di minore gravità, prevista dall’art. 609-bis c.p.,
comma 3, deve farsi riferimento ad una valutazione globale del fatto, nella quale assumono rilievo i
mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima, le condizioni fisiche e
mentali di questa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, in modo da accertare che
la libertà sessuale non sia stata compressa in maniera grave e che non sia stato arrecato alla vittima
un danno grave, anche in termini psichici” (in tal senso, Sez. 3, n. 50336 del 10/10/2019, L., Rv.
277615-01, nonchè, in precedenza, Sez. 3, n. 19336 del 27/03/2015, G., Rv. 263516-01 e Sez. 3, n.
23913 del 14/05/2015, C., Rv. 259196-01).
3. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile,
con conseguente onere per il ricorrente di sostenere, ai sensi d6ll’art. 616 c.p.p., le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000 e considerato
che non v’è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi in favore della Cassa
delle Ammende la somma, determinata in via equitativa, di Euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Dispone, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52, che, in caso di diffusione della presente
sentenza, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi degli interessati in essa riportati, in
quanto imposto dalla legge.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, il 3 maggio 2022.