Minaccia la moglie con un martello per ottenere il reddito di cittadinanza: condannato per estorsione

Cass. Pen., Sez. II, Sent., 02 maggio 2022, n. 17012; Pres. Messini D’Agostini, Rel. Cons.
Recchione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Presidente –
Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere –
Dott. RECCHIONE S. – rel. Consigliere –
Dott. CERSOSIMO Emanuele – Consigliere –
Dott. MONACO Marco M. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R.S., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 27/10/2020 della CORTE APPELLO di NAPOLI;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRA RECCHIONE;
Il procedimento si celebra con contraddittorio scritto ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma
8, il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FRANCESCA CERONI ha depositato
conclusioni scritte chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1. La Corte di appello Di Napoli confermava la responsabilità del R. per il reato di estorsione. Si
contestava al ricorrente di avere minacciato di morte la moglie impugnando un martello e di averle
scagliato contro una lampada intimandole di consegnargli il denaro del reddito di cittadinanza (a lui
intestato ed unica fonte di sostentamento del nucleo familiare) per acquistare sostanza stupefacente.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, che deduceva:
2.1 violazione di legge e vizio di motivazione: si contestava l’assenza degli elementi costitutivi
dell’estorsione ed, in particolare, della minaccia rivolta contro la persona dato che dalle prove raccolte
sarebbe emerso che l’aggressione sarebbe stata rivolta unicamente nei confronti delle cose e si sarebbe
risolta in una sorta di “sfogo” dovuto alla situazione di astinenza nella quale versava il ricorrente.
2.2 Violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica del fatto: il
ricorrente avrebbe agito esclusivamente per entrare in possesso del denaro proveniente dal reddito di
cittadinanza a lui intestato, pertanto il fatto avrebbe dovuto essere definito come esercizio arbitrario
delle proprie ragioni.
Motivi della decisione
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile: si risolve nella proposta di una lettura alternativa delle
emergenze processuali, e non individua fratture logiche manifeste e decisive del percorso
motivazionale.
Il collegio in materia di vizio di motivazione ribadisce che il sindacato del giudice di legittimità sulla
motivazione del provvedimento impugnato deve essere volto a verificare che quest’ultima: a) sia
“effettiva”, ovvero realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della
decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, perchè sorretta, nei suoi punti essenziali, da
argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia
internamente “contraddittoria”, ovvero esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti
o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente
“incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente
nei motivi posti a sostegno del ricorso) in misura tale da risultarne vanificata o radicalmente inficiata
sotto il profilo logico (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516); segnatamente: non sono
deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta
illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o
affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per
cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza
di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano
una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano
ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello
spessore della valenza probatoria del singolo elemento (Sez. 6 n. 13809 del 17/03/2015,0., Rv.
262965).
Nel caso in esame, contrariamente a quanto dedotto, dal compendio motivazionale integrato
composto dalle due sentenze di merito emergeva che il tentativo di aggressione rivolto contro la
persona offesa – e non solo contro le cose – era stato osservato dagli operanti intervenuti, circostanza
che rende particolarmente solido il quadro probatorio a carico ricorrente (pag. 4 della sentenza
impugnata).
La motivazione offerta dalla Corte territoriale è priva di vizi logici manifesti e decisivi e si presenta
coerente sia con le indicazioni ermeneutiche offerte dalla Corte di legittimità, che con le emergenze
processuali: si sottrae pertanto ad ogni censura in questa sede.
2. Il secondo motivo di ricorso è infondato.
Il collegio rileva che, sebbene la carta che consentiva l’accesso al reddito di cittadinanza fosse
intestata al ricorrente, il suo impossessamento non si risolve nella apprensione di un bene “proprio”,
tenuto conto del fatto che il reddito di cittadinanza è un sussidio che soccorre l’intero nucleo familiare,
come si evince dal fatto che viene elargito sulla base di certificazioni relative alla posizione reddituale
di tutti i componenti della famiglia.
Si ritiene cioè che, quando il reddito è stato concesso sulla base della valutazione della posizione di
un intero nucleo familiare, la apprensione illegittima della carta che consente l’accesso allo stesso
riguarda somme destinate a tutti i componenti della famiglia e non solo all’intestatario del reddito; il
che, nel caso di specie, consente di ritenere integrata l’estorsione, dato che la violenza esercitata dal
R. era diretta ad apprendere somme destinate al sostentamento non solo suo, ma dell’intera famiglia.
La Corte di appello, in coerenza con tale interpretazione, rilevava che destinataria dell’assegno era la
famiglia anagrafica dell’intestatario comprensiva dei coniugi separati o divorziati residenti nella
stessa abitazione e dei figli sotto i ventisei anni non conviventi a carico dei genitori e riteneva,
pertanto, integrata l’estorsione (pag. 7 della sentenza impugnata).
2. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso la parte che lo ha proposto
deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2022.
Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2022