I “valori” della cultura rom non rilevano laddove siano in contrasto con la tutela dei minori

Cass. Pen., Sez. I, Sent., 01 marzo 2022, n. 7140; Pres. Casa, Rel. Cons. Talerico
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.V.C., (C.U.I. (OMISSIS)) nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 28/10/2019 della CORTE APPELLO di CATANZARO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere TALERICO PALMA;
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore ZACCO FRANCA, ha concluso, per
iscritto, chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente all’applicazione
dell’esimente di cui all’art. 54 c.p., con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro;
l’avv. A.F.E., in difesa dell’imputato, ha concluso, per iscritto, chiedendo l’annullamento della
sentenza impugnata.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 28 ottobre 2019, la Corte di appello di Catanzaro – per quanto qui rileva –
confermava la pronuncia del Tribunale di Cosenza in data 5.6.2017, con la quale A.V.C. era stato
ritenuto responsabile del reato di cui all’art. 600 octies c.p. e, conseguentemente, previa concessione
delle circostanze attenuanti generiche, era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, la
cui esecuzione era stata sospesa ai termini e condizioni di legge.
2. Avverso detta sentenza, l’avvocato A.F.E., difensore di fiducia dell’imputato, ha proposto ricorso
per cassazione, formulando tre distinti motivi di impugnazione.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente ha dedotto “inosservanza o erronea applicazione della legge
penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi del
combinato disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per violazione del combinato
disposto di cui agli artt. 192 e 533 c.p.p.”.
Secondo la difesa, la sentenza impugnata si fonderebbe su “una erronea ricostruzione dei fatti e, in
ogni caso, su una erronea applicazione delle norme di diritto”; dalle testimonianze rese in sede di
istruttoria non sarebbero emersi elementi che potessero far propendere per il riconoscimento di una
penale responsabilità dell’imputato; l’assistente di polizia C. aveva dichiarato di avere visto una
bambina chiedere l’elemosina e un uomo a cui consegnava il denaro ricevuto dai passanti, ma in
nessun modo si sarebbe dimostrato che la bambina fosse stata sottoposta a sofferenze e mortificazioni;
l’accattonaggio è usualmente praticato dagli zingari e, più in generale, in diverse comunità etniche,
per le quali la richiesta di elemosina costituisce una condizione di vita tradizionale molto radicata
nella mentalità delle stesse; sarebbe stato, quindi, “necessario riflettere sulle situazioni di fatto,
piuttosto che sull’applicazione astratta di un principio giuridico, e non criminalizzare condotte che
rientrano nella tradizione culturale di un popolo”, tenuto anche conto della previsione di cui all’art. 2
Cost., che valorizza il pluralismo sociale.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente ha dedotto “inosservanza o erronea applicazione della legge
penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi del
combinato disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), per mancanza degli elementi
costitutivi dell’ipotesi di reato contestata ovvero per mancata applicazione dell’esimente dello stato di
necessità ex art. 54 c.p.”
Secondo la difesa, l’imputato avrebbe commesso il reato in stato di necessità in ragione della profonda
situazione di indigenza in cui versava, come sarebbe risultato dalle dichiarazioni del teste C., il quale
aveva riferito in ordine alla povertà dell’ A., costretto a vivere in una baracca, senza servizi igienici,
e a usare vestiti di “recupero”.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente ha dedotto “inosservanza o erronea applicazione della legge
penale, nonchè mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ai sensi del
combinato disposto di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione alla mancata
applicazione dell’art. 131-bis c.p., introdotto dal D.Lgs. n. 28 del 2015”.
Il ricorrente ha, in proposito, osservato che la Corte territoriale avrebbe rigettato la richiesta di
applicazione della causa di non punibilità in parola facendo unicamente riferimento al “disvalore
sociale della condotta”.
3. Si è proceduto alla trattazione del processo con contraddittorio scritto, ai sensi del D.L. n. 137 del
2020, art. 23, comma 8 e successive proroghe, in mancanza di richiesta delle parti di discussione
orale; il Procuratore generale di questa Corte, d.ssa ZACCO Franca, ha concluso, per iscritto,
chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente all’applicazione dell’esimente di
cui all’art. 54 c.p. con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio,
nonchè l’inammissibilità del ricorso nel resto; l’avvocato A.F.E. ha concluso, per iscritto, chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata con tutte le conseguenze di legge.
Motivi della decisione
1. Il ricorso non merita accoglimento per le ragioni di seguito esplicitate.
Quanto al primo motivo di impugnazione, la penale responsabilità dell’imputato in ordine al reato
contestatogli è stata affermata – secondo la concorde ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di
merito – sulla base delle precise dichiarazioni dell’assistente capo C.F., in servizio presso la Squadra
Mobile di (OMISSIS), il quale aveva chiaramente riferito di avere notato dinnanzi al Tribunale della
città una bambina chiedere l’elemosina ai passanti sotto la pioggia battente, nonchè a poca distanza
un uomo – identificato, poi, nell’attuale imputato – al quale la predetta consegnava, via via, il denaro
ricevuto.
Ebbene – posto che esula dai poteri della Corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di
merito, potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest’ultimo abbia dato adeguatamente conto,
attraverso l’iter argomentativo seguito, delle ragioni che l’hanno indotto a emettere il provvedimento
– ritiene il Collegio che le argomentazioni dell’impugnata sentenza non possono dirsi manifestamente
illogiche, nè contraddittorie, nè parziali, nè, infine, in contrasto con i dati acquisiti.
Esse perciò, resistono alle censure con cui il ricorrente, in buona sostanza, ha riproposto la tesi
difensiva già esposta nel corso dei giudizi di primo e di secondo grado, con cui sostiene che la
condotta accertata è usualmente praticata dagli zingari e, in genere, in diverse comunità etniche per
le quali la richiesta di elemosina costituirebbe una condizione di vita tradizionale molto radicata nella
mentalità delle stesse.
La dedotta connotazione culturale della pratica di chiedere l’elemosina, però, non può certamente
condurre – come evidenziato nell’impugnata sentenza – a “decriminalizzare” la condotta posta in
essere dall’imputato; e in vero, i “valori” della cultura rom non rilevano quando – come nel caso di
specie – contrastino con i beni fondamentali riconosciuti dall’ordinamento costituzionale, quali il
rispetto dei diritti umani e la tutela dei minori.
Inoltre, per l’integrazione del reato contestato non è richiesto che il minore sia sottoposto a “sofferenze
e/o mortificazioni”, come risulta chiaramente dal tenore della norma incriminatrice, che punisce,
“salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque si avvale per mendicare di una persona minore
degli anni quattordici e, comunque, non imputabile”.
2. Non merita accoglimento neppure il secondo motivo di ricorso.
La prospettazione difensiva, secondo cui l’imputato avrebbe commesso il fatto per esservi stato
costretto dalla profonda situazione di indigenza in cui versava, non integra l’invocata ricorrenza della
scriminante di cui all’art. 54 c.p.
E in vero, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, “l’esimente dello stato di necessità
postula il pericolo attuale di un danno grave alla persona, non scongiurabile se non attraverso l’atto
penalmente illecito, e non può quindi applicarsi a reati asseritamente provocati da uno stato di bisogno
economico, qualora a esso possa comunque ovviarsi attraverso comportamenti non criminalmente
rilevanti” (Cass. Sez. 3, n. 35590 del 11/05/2016, Rv. 267640 – 01; conformi, tra le tante: Cass. Sez.
5, n. 3967 del 13/07/2015, Rv. 265888, secondo cui “la situazione di indigenza non è di per sè idonea
a integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell’attualità e
dell’inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è
possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale”; Cass. Sez. 1, n. 11863 del
12/10/1995, Rv. 203245, che ha affermato che “lo stato di necessità non può essere riconosciuto al
mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perchè la possibilità di ricorrere all’assistenza degli
enti che la moderna organizzazione sociale ha predisposto per l’aiuto agli indigenti ne esclude la
sussistenza, in quanto fa venir meno gli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo grave
alla persona”).
3. Infondato è, infine, il terzo motivo di ricorso.
La Corte territoriale, nel rigettare la richiesta dell’imputato, tendente a ottenere l’applicazione della
causa di non punibilità prevista dall’art. 131 – bis c.p., ha affermato che essa non poteva “essere accolta
stante il forte disvalore sociale della condotta posta in essere dall’ A.V.C. in rapporto alla natura degli
interessi protetti dalla disposizione incriminatrice, ovvero le esigenze di tutela dei soggetti di minore
età”; tale giudizio va esaminato congiuntamente alla complessiva motivazione delle sentenze di
merito, dalle quali emergono le modalità dell’accertata condotta dell’imputato e, in particolare, la
circostanza che la bambina di soli sei anni rivolgeva ai passanti la richiesta di elemosina sotto una
pioggia battente e, quindi, consegnava il denaro ricevuto all’imputato posizionato a pochi metri di
distanza.
Posto che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede
una valutazione complessa, che ha a oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del
pericolo valutate ai sensi dell’att. 133 c.p., cioè una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità
della fattispecie concreta, la decisione adottata è esente da vizi giuridici di sorta perchè ha avuto
riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento dell’imputato al fine di valutarne
complessivamente la gravità e l’entità del contrasto rispetto alla legge.
4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
5. In caso di diffusione del presente provvedimento, occorre omettere le generalità e gli altri dati
identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione
del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n.
196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.