Le conseguenze della nuova convivenza sull’assegno di mantenimento e divorzile. Il nuovo arresto delle Sezioni Unite della Cassazione n. 32198/2021

di Cesare Fossati
1. L’evoluzione della giurisprudenza in merito agli effetti della nuova convivenza sull’assegno di
mantenimento
Nella materia che ci occupa è forse più evidente che altrove lo scollamento fra la realtà sociale, il sentire
comune ed il dato normativo, così come l’interpretazione che di tale dato viene fatta dagli interpreti.
Quando poi i dubbi emergono a livello apicale, presso il massimo consesso della giurisprudenza, la Suprema
Corte, dal quale dipende la funzione nomofilattica, lo sconcerto è inevitabile.
Il legislatore, sia della separazione sia del divorzio, non ha previsto nulla in relazione alle eventuali
convivenze more uxorio, iniziate dall’avente diritto al contributo ex art. 156 c.c. ovvero ex art. 5 L. divorzio.
La giurisprudenza, nel silenzio della legge, ha compiuto un percorso interpretativo diretto ad armonizzare il
dettato legislativo alla realtà sociale in evoluzione.
Vediamo brevemente le tappe di questo percorso.
1. In un primo tempo si è sostenuto per lo più che la nuova convivenza non escludesse, di per sé,
l’assegno, ma che potesse semmai essere valutata sotto il profilo delle capacità economiche
dell’avente diritto1. La conseguenza che se ne ritraeva era quella di un possibile ridimensionamento
dell’assegno, a fronte della dimostrazione che da quel rapporto di convivenza il coniuge destinatario
ricevesse dei benefici economici.
2. In un secondo momento si è affermato che l’instaurazione di una nuova convivenza poteva porre
l’assegno di mantenimento in una fase di quiescenza2.
3. Risale al 3 aprile 2015 la decisione della Suprema Corte (n. 68553) che assimilando gli effetti della
convivenza alla contrazione di nuove nozze dichiarava l’estinzione del diritto all’assegno divorzile
1 La cessazione, ai sensi dell’art. 5 comma 5 legge n. 898 del 1970, dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di
divorzio in caso di nuove nozze del beneficiario non può essere invocata, neppure in via analogica, nell’ipotesi di
convivenza more uxorio con un terzo, solo potendo rilevare quest’ultima nella valutazione delle relative condizioni
economiche e, quindi, dal punto di vista della componente assistenziale dell’assegno, Cass. civ., sez. I, 20 novembre
1985, n. 5717 in Foro it. 1986 , I,1369; Cass. civ., sez. I, 9 aprile 2003, n. 5560, in Famiglia e diritto 2003 , 487; Cass.
civ., sez. I, 22 ottobre 2011, n. 22337, in Diritto e Giustizia online 2011, 27 ottobre.
2 Cass. civ., sez. I, 11 agosto 2011, n. 17195, in Dir. famiglia 2012, 2 , 592; nonché Cass. civ., sez. VI, 26 febbraio 2014,
n. 4539, in Diritto & Giustizia 2014, 27 febbraio.
3 In Foro it. 2015, 5, I , 1527 con nota di CASABURI.
2
senza alcuna possibile riviviscenza. La decisione trovò poi numerose conferme4.
4. Siffatto orientamento afferente l’assegno di divorzio venne poi esteso a ricomprendere anche
l’assegno di separazione5.
5. Più recentemente si è sostenuto che la costituzione di una “famiglia di fatto” seppure caratterizzata
da coabitazione solo discontinua o incostante determina il venire meno del diritto all’assegno6.
2. Il dato normativo
Si assiste a quanto appena detto a indice normativo invariato: l’art. 5 comma 10 della legge 898/70 prevede
che se il coniuge richiedente l’assegno passa a nuove nozze l’assegno si estingue. Un dato normativo certo ed
incontrovertibile, peraltro risalente e dobbiamo ritenere che sia questo il motivo per cui il legislatore di allora
non avesse inteso includere anche la convivenza di fatto fra le conseguenze.
Ma ci ha pensato il cd. diritto vivente: abbiamo infatti, come detto, una prima decisione della Cassazione del
2011 che afferma che la convivenza di fatto, stabile e duratura, porta l’assegno divorzile in uno stato di
quiescenza. Qualche anno più tardi, nel 2015, la Cassazione elimina lo status di “quiescenza” dell’assegno ed
afferma a pieno titolo che l’instaurazione di una famiglia di fatto che abbia i caratteri dell’affettività della
stabilità e della durata, estingue automaticamente l’assegno di divorzio.
Cosa succede oggi? La giurisprudenza ha continuato a dire che l’instaurazione di una convivenza, di una
nuova famiglia di fatto, determina l’estinzione dell’assegno di divorzio.
Quale famiglia di fatto rileva ai fini dell’estinzione?
Certamente non solo la famiglia di fatto registrata ai sensi della legge 76/2016 (cd. Cirinnà), sia per il
numero insignificante delle registrazioni, sia perchè sarebbe troppo agevole aggirare la norma.
Nella legge sulle unioni civili e le convivenze troviamo la definizione di queste ultime: è convivenza di fatto
quella costituita da due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e da reciproca
assistenza morale e materiale.
Del resto non si può neppure dire che coloro che portano avanti una convivenza occulta siano esonerati da
questa estinzione, quando si comportano in realtà ufficialmente come conviventi.
Siccome in presenza di figli (avuti nel corso della precedente unione coniugale) è raro che i nuovi conviventi
vadano a vivere insieme, il dato della residenza comune, come si dice sotto lo stesso tetto, non è decisivo7.
3. La soluzione interpretativa delle Sezioni Unite 11.07.2018 n. 18287 e la giurisprudenza successiva
Prendiamo la lettura che dell’arresto delle Sezioni Unite 18287 del 2018 fa la Corte d’Appello di Bologna,
con sentenza del 24.09.20218:
All’assegno di divorzio va riconosciuta funzione, in pari misura:
1) assistenziale;
2) perequativa, volta ad assicurare la conservazione di un certo equilibrio nelle condizioni economiche degli
ex coniugi per garantire il rispetto delle legittime aspettative maturate in relazione all’impegno profuso per la
4 Cass. civ., sez. I, 9 settembre 2015, n. 17856, in Diritto & Giustizia 2015, 9 settembre; Cass. civ., sez. VI, 5 febbraio
2018, n. 2732, in Diritto & Giustizia 2018, 6 febbraio.
5 Cass. Civ. Sez. I 19 dicembre 2018, n. 32871, la quale osserva: «In tema di separazione personale, la formazione di un
nuovo aggregato familiare di fatto ad opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, operando una rottura
tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale ed il nuovo
assetto fattuale, fa venire definitivamente meno il diritto alla contribuzione periodica»; nonché Cass. Civ. Sez I, 27
giugno 2018, n. 16982
6 Cass. Civ. 16 ottobre 2020, n. 22604; Trib. Alessandria, 17 agosto 2017; Trib. Ancona, 21 maggio 2018, (Revocato
l’assegno divorzile anche se la nuova relazione dell’ex coniuge è un mero legame di fatto, in ilFamiliarista.it); Trib. La
Spezia, 1° giugno 2016; Trib. Milano, 30 gennaio 2018
7 F.D. BUSNELLI, La famiglia e l’arcipelago familiare, in Riv. dir. civ., 2002, p. 509 ss., spec., 512, secondo il quale “la
famiglia non è più l’isola lambita dal mare del diritto, bensì un arcipelago di relazioni familiari”.
8 Il nuovo orientamento sull’assegno mira a premiare il contributo fornito. Corte d’Appello di Bologna, 24 settembre
2021 in https://www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17511322/il-nuovo-orientamento-sullassegno-mira-premiare-il-
contribut.html
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famiglia;
3) compensativa, dei sacrifici fatti dal coniuge che avesse rinunciato alle proprie occasioni di crescita
professionale;
4) è definitivamente abbandonato il parametro del tenore di vita;
5) il parametro dell’adeguatezza dei mezzi ha carattere intrinsecamente relativo, da fondarsi sui criteri dati
dalle: condizioni economico-patrimoniali delle parti, durata del matrimonio, contributo alla formazione del
patrimonio comune, potenzialità professionali e patrimoniali.
6) Non può essere attribuito rilievo, ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile, alle condizioni di
agiatezza, e perfino di ricchezza, dovendosi aver riguardo alle sole condizioni economico reddituali dei
coniugi, senza tener conto dei benefici derivanti dalle eventuali elargizioni delle famiglie d’origine della
parte obbligata.
Nel caso deciso dalla Corte felsinea, nonostante le parti avessero entrambe capacità lavorativa, il Tribunale
ha riconosciuto comunque alla moglie un assegno divorzile con funzione espressamente qualificata
compensativa, da valutarsi unitamente al beneficio del godimento della casa familiare e di tutte le spese e
utenze relative alla stessa.
La Suprema Corte, prendendo le mosse dal principio costituzionale di pari dignità dei coniugi e della
solidarietà e autoresponsabilità che caratterizzano la società familiare, ha valorizzato la funzione
equilibratrice e perequativa dell’assegno di divorzio, con la precisazione che il giudizio volto al suo
riconoscimento impone una valutazione composita e comparativa che trova nella prima parte dell’art. 5 sesto
comma della legge sul divorzio i suoi vari indicatori.
Conseguentemente, all’assegno divorzile viene attribuita una natura del pari assistenziale, compensativa e
risarcitoria con la quale particolare rilievo è dato al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla
formazione del patrimonio comune e personale in relazione alla durata del matrimonio, alle potenzialità
reddituali e future e all’età dell’avente diritto.
4. I dubbi della VI Sez. della Corte di Cassazione (9273/21) e la rimessione alle SSUU.
Il caso. La ex moglie proponeva ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di
Venezia, la quale – in parziale riforma della decisione di primo grado di cessazione degli effetti civili del
matrimonio e in accoglimento del gravame proposto dall’ex marito – oltre a disporre l’affido condiviso della
figlia – escludeva l’obbligo dell’uomo di versare alla signora un assegno divorzile, avendo questa intrapreso
una nuova stabile convivenza con un altro compagno, dalla quale peraltro era nata un’altra figlia. Il giudice di
secondo grado si era semplicemente uniformato al principio di diritto costantemente affermato sino ad allora,
a partire dalla sentenza 6855/2015 della Suprema Corte surricordata, ai sensi della quale l’instaurazione da
parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, anche se di fatto, rescindendo ogni connessione con il
tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire meno
definitivamente ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge,
sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso.
La ricorrente articolava le censure in sede di cassazione sulla base di quattro motivi. In particolare, con il
secondo motivo lamentava il fatto che la Corte territoriale avesse affermato espressamente che la semplice
convivenza more uxorio con un’altra persona provocasse l’immediata soppressione dell’assegno divorzile,
escludendo qualsiasi valutazione discrezionale del giudice.
L’Ordinanza interlocutoria di rimessione alle Sezioni Unite della Sezione Sesta della Corte di Cassazione – 7
aprile 2021 n. 9273 – pone il problema degli effetti sulla solidarietà post coniugale di una situazione para-
familiare costituita da una coppia di conviventi non risiedenti anagraficamente nella stessa abitazione.
I profili rilevanti della “convivenza” sono dati certamente dal risvolto affettivo, dall’atteggiarsi a conviventi,
dal comportamento dei partners che determina obblighi di solidarietà equivalenti agli obblighi coniugali.
Quale il motivo individuato dalla giurisprudenza sinora vigente per sostenere il venire meno
dell’obbligazione?
Alla solidarietà post coniugale se ne sostituisce un’altra, quella che fa capo al nuovo convivente.
Del resto la famiglia di fatto, ai sensi della CEDU, seppur differente sotto alcuni profili da quella fondata sul
matrimonio, è pur sempre anch’essa una comunità di tipo familiare, nella quale si sostituisce la solidarietà
4
post coniugale con un altro tipo di solidarietà.
L’ordinanza di rimessione n. 9273 del 2021 pone il problema di come valutare però i sacrifici che sono stati
fatti da uno dei coniugi.
Dobbiamo allora chiederci se il profilo compensativo lo ritroviamo in tutte le famiglie.
Come pure chiederci se tale profilo sia prevalente, se possa “camminare” da solo.
Se non c’è lo squilibrio economico, perché entrambi sono economicamente autonomi, ma un coniuge ha fatto
sacrifici per molti anni, poniamo per trent’anni, avrà diritto all’assegno divorzile nella sua componente
compensativa?
La risposta pareva dovesse essere negativa, perchè il presupposto dell’assegno dovrebbe essere lo squilibrio
economico fra le parti.
All’indomani dell’uscita della sentenza a Sezioni Unite della Cassazione 18287 del 2018 si discorreva della
prevalenza dei profili compensativo e perequativo, dimenticandosi del profilo assistenziale, tanto che il Prof.
Bianca ricordò la natura assistenziale dell’assegno di divorzio, perchè il presupposto applicativo di questo
assegno è che vi sia uno squilibrio economico fra le parti e coniugò una nuova accezione della solidarietà
post coniugale, parlando di solidarietà coniugale in concreto9.
Nell’ultima proposta di legge (Morani10, ex Ferrante) si trova una norma che esclude il risorgere di un
assegno di divorzio, non solo in caso di nuove nozze o unione civile, ma anche in caso di convivenza anche
non registrata (la registrazione delle convivenze non ha una valenza costitutiva, bensì meramente
dichiarativa)11.
5. La soluzione offerta da Cassazione Sezioni Unite 5 novembre 2021 n. 32198
Le Sezioni Unite della Cassazione tornano ad occuparsi della natura dell’assegno divorzile, producendo un
terremoto per certi versi analogo a quello determinato dalla pronuncia della Prima Sezione n. 11504 del 10
maggio 2017, finendo per rimettere in discussione persino la soluzione che pareva sistematica delle Sezioni
Unite n. 18287 del 11 luglio 2018.
In questa nuova luce l’assegno ex art. 5 legge divorzio non sarebbe in realtà da ritenersi di natura
fondamentalmente solidaristica, modulabile secondo i profili assistenziale, perequativo e compensativo,
quanto piuttosto costituito da diverse e distinte componenti e tra queste si evidenzierebbe quella
“compensativa”, ciò che parrebbe dar vita ad una sorta di ristoro a favore del coniuge, senza che sia
precisato come distinguere tale componente dalle altre.
La signora nel caso di specie affermava che negli anni del matrimonio aveva rinunciato a lavorare e si era
dedicata interamente ai figli e alla famiglia, consentendo al marito di costruire il proprio successo
professionale.
Sollecitava pertanto i giudici di legittimità ad una revisione dell’orientamento invalso sino ad allora e
condiviso dalla Corte veneziana.
All’esame quindi è ancora una volta la questione relativa alla sorte dell’assegno di divorzio nell’ipotesi in cui
l’ex coniuge che ne beneficia abbia instaurato una convivenza con una terza persona, connotata da stabilità e
continuità.
Gli Ermellini giungono a ritenere non condivisibile la soluzione adottata dalla sentenza impugnata,
affermando che non sussistono i presupposti per estendere analogicamente l’effetto automatico ed integrale
della perdita del diritto all’assegno divorzile, conseguente alle nuove nozze, alla diversa e più precaria ipotesi
dell’instaurazione da parte del coniuge beneficiario di una nuova convivenza.
In assenza di un dato normativo certo, non può applicarsi l’automatismo dato dalla revoca dell’assegno
all’instaurarsi di una nuova convivenza.
9 C.M.BIANCA, Le Sezioni Unite sull’assegno divorzile: una nuova luce sulla solidarietà postconiugale, in Famiglia e
Diritto n. 11/2018.
10 Nella proposta di legge n. 506 (XVIII), presentata alla Camera dei Deputati ad iniziativa dell’on. Morani il 12 aprile
2018 ed approvata in prima lettura il 14 maggio 2019, si prevede la possibilità di “predeterminare la durata dell’assegno
nei casi in cui la ridotta capacità reddituale del richiedente sia dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili” (art.
1, co. 2).
11 Sia consentito il richiamo a FOSSATI, La proposta di legge di riforma in materia di assegno spettante a seguito di
scioglimento del matrimonio o dell’unione civile, in Osservatorio sul Diritto di Famiglia, n. 2-2019, pag. 97,
https://www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17508653/il-n-22019-della-rivista-dellosservatorio.html
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Né – secondo gli ermellini – può farsi ricorso all’analogia.
Poi però la sentenza cerca affannosamente dei rimedi per evitare che l’assegno – com’è inevitabile a dato
normativo invariato – si trasformi in una rendita sine die.
“L’impossibilità di condividere il più recente orientamento giurisprudenziale di legittimità, laddove avalla la
perdita automatica ed integrale del diritto all’intero assegno di divorzio all’instaurarsi di una nuova
convivenza, non conduce infatti ad un mero recupero degli orientamenti più tradizionali”.
Pertanto, se si prova l’instaurarsi di una stabile convivenza il diritto alla componente assistenziale (solo
quella) dell’assegno verrebbe meno.
L’ex coniuge economicamente più debole che instauri una convivenza stabile, giudizialmente accertata, con
una terza persona, con la quale intraprende un diverso progetto di vita, non potrà continuare a pretendere la
liquidazione della componente assistenziale dell’assegno di divorzio, in quanto il nuovo legame, (solo?) sotto
questo profilo, si sostituisce al precedente. Ciò anche per il futuro, per la serietà che deve essere impressa al
nuovo impegno, anche se non formalizzato, e per la dignità da riconoscere alla nuova formazione sociale.
Discorso diverso – secondo la Corte – quanto alla componente compensativa dell’assegno, che sarà
quantificata tenendo conto della durata del rapporto matrimoniale e purché il richiedente fornisca la prova
del contributo offerto alla compagine familiare, dell’eventuale rinuncia concordata tra i coniugi ad occasioni
lavorative e di crescita professionale in costanza di matrimonio e dell’apporto alla realizzazione del
patrimonio familiare e personale dell’ex coniuge.
Non convince francamente la spiegazione basata sulla distinzione fra le varie “anime” dell’assegno,
operazione che trasforma la questione in un problema di matrice tipicamente aritmetica, lontano dai risvolti
sociali e culturali, ineludibili.
In merito, infine, alle modalità più idonee di corresponsione dell’assegno, le SSUU si spingono ad indicare
come soluzione più funzionale quella di una somma una tantum equitativamente determinata da attribuire
all’ex coniuge debole, in funzione compensativa, un piccolo capitale di ripartenza, in soluzione unica o
distribuito su un numero limitato di anni, sotto forma di assegno temporaneo che, però, essendo allo stato
non ancora legislativamente contemplato, potrà essere disposto soltanto previo accordo delle parti.
Si richiama, a questo proposito, l’operato propositivo e collaborativo dei giudici, degli avvocati e dei
mediatori familiari per il raggiungimento di soluzioni che siano il più possibile soddisfacenti per entrambe le
parti.
La stessa Corte dimostra di avere dubbi sulla tenuta della (propria!) decisione sotto il profilo della equità,
laddove da un lato richiama le norme degli ordinamenti stranieri a noi vicini, che escludono la sopravvivenza
di qualsiasi tipo di assegno in presenza di successiva convivenza di fatto (così il diritto francese, spagnolo,
tedesco) e dall’altro, rileva la incongruità tra la previsione di un assegno a tempo indeterminato e la
necessaria determinabilità della componente compensativa, proprio perché componente attuatasi nel passato
e ormai esaurita.
Molte le incongruenze e i passaggi a dir poco disorientanti:
Al punto 23.7 si legge: “L’affermazione del venir meno del diritto alla componente assistenziale dell’assegno
qualora si intraprenda una nuova convivenza stabile si coerenzia e si bilancia con la previsione normativa di
una, per quanto limitata, copertura di tutela per l’ex coniuge nel caso in cui anche il nuovo progetto di vita
non vada a buon fine in capo al nuovo convivente: la L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 65, prevede il diritto
di ricevere un assegno alimentare dall’ex convivente qualora versi in stato di bisogno.
Non è affatto chiaro se la reviviscenza dell’assegno di divorzio consegua al mancato ottenimento nei
confronti dell’ex convivente di un assegno alimentare, che però chiaramente avrebbe solo natura
assistenziale.
E ancora:
28.6 – Il giudice dovrà anche considerare se l’esigenza di riequilibrio non sia già, in tutto o in parte, coperta
ed assolta dal regime patrimoniale prescelto in costanza di matrimonio, giacché, se i coniugi avessero optato
per la comunione legale, ciò potrebbe aver determinato un incremento del patrimonio del coniuge
richiedente tale da escludere o ridurre la necessità compensativa.
Ma dove la sentenza mostra evidenti tutti i suoi limiti è nella parte in cui deve fare i conti con l’assenza di un
termine finale.
30. – Quanto alle modalità di corresponsione dell’assegno, è evidente che una corresponsione che abbia
funzione esclusivamente compensativa, in una situazione in cui l’ex coniuge debole si è ricostruito una nuova
famiglia, mal si concilia con la periodicità a tempo indeterminato dell’assegno, avente ad oggetto una
prestazione complessiva non prevedibile, che è correlata ad un assegno che svolga anche funzione
assistenziale.
Spingendosi a dire:
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30.4 – Sarebbe quindi più funzionale, sia sotto il profilo economico che in un’ottica di pacificazione e di
prevenzione della conflittualità, attribuire all’ex coniuge debole, in funzione compensativa, una somma
equitativamente determinata, un piccolo capitale di ripartenza, in unica soluzione o distribuito su un numero
limitato di anni, sotto forma di assegno temporaneo.
31. – Attualmente, però, non è previsto che l’assegno di divorzio attribuito dal giudice possa essere
temporaneo, essendone espressamente prevista la somministrazione periodica, a tempo indeterminato. L’art.
5, comma 8 della Legge sul Divorzio riserva all’accordo dei coniugi la scelta di optare per la corresponsione
dell’assegno in unica soluzione, salvo un controllo di equità da parte del tribunale, ritenendola una scelta
della quale essi devono rimanere arbitri, nel valutare se la soluzione sia economicamente praticabile per
l’onerato, e confacente al suo assetto di interessi per il beneficiario.
32. – Deve ritenersi che l’assegno temporaneo non possa, allo stato attuale della normativa, essere imposto
per provvedimento del giudice …
Sino ad arrivare a sostenere:
33.2 – E tuttavia, non per questo deve escludersi che il giudice possa avere un ruolo rilevante in questa
scelta: a fronte di una domanda volta al riconoscimento, o alla revisione, dell’assegno di divorzio, del quale
sussistano i presupposti per la liquidazione della sola componente compensativa, il giudice, in sede di
divorzio giudiziale o di giudizio di revisione dell’assegno ben potrà suggerire come soluzione più
soddisfacente per entrambi la formula dell’assegno temporaneo e impegnarsi a discuterne con le parti per
trovare un accordo soddisfacente per entrambi sul punto.
Difficile francamente per l’interprete decriptare il messaggio: ci sta forse dicendo il Supremo Consesso di
utilizzare il potere del giudice di conciliare le parti e di proporre una soluzione transattiva?
Se così fosse tuttavia la norma dell’art. 185-bis cpc prevede che il giudice possa formulare alle parti ove
possibile, avuto riguardo alla natura del giudizio, al valore della controversia, una proposta transattiva o
conciliativa, ma sul presupposto di questioni di facile e pronta soluzione di diritto.
In tutti questi aspetti si colloca la maggiore criticità della soluzione scelta, che si riverbererà quasi certamente
nella maggiore difficoltà di accesso alla procedura di revisione per mutamento delle situazioni di fatto.
Per concludere non si può fare a meno di richiamare l’aforisma di Confucio, secondo il quale “Grande è la
confusione sotto il cielo. La situazione, quindi, è eccellente”.