Niente permesso per il detenuto la cui figlia è affetta da una forma “lieve” di autismo

Cass. Pen., Sez. I, Sent., 01 febbraio 2022, n. 3609; Pres. Tardio, Rel. Cons. Renoldi

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.A., nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Cagliari in data 4/5/2021;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dr. Carlo Renoldi;
letta la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Tassone
Kate, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con provvedimento del 2.01.2021, il Magistrato di sorveglianza di Cagliari rigettò l’istanza di
permesso di necessità proposta, ex art. 30 Ord. pen., da C.A., detenuto nella Casa di reclusione di
(OMISSIS), al fine di incontrare la figlia minore, nata il (OMISSIS), affetta da “severi disturbi di
comportamento con tendenza alla chiusura relazionale di tipo autistico e depressione” conseguenti a
fenomeni di bullismo scolastico e all’assenza della figura paterna (come da certificato rilasciato
dall’UOC di Neurologia II dell’Azienda Ospedaliera Universitaria della Campania in data 4/1/2020).
Ciò in quanto l’impossibilità, per la minore, di recarsi in carcere per effettuare colloqui visivi a causa
di tali disturbi non configurava un “evento eccezionale di particolare gravità” contemplato dall’art. 30
Ord. pen.; e, in ogni caso, il detenuto aveva effettuato 19 colloqui visivi via Skype e WhatsApp con
la figlia tra il (OMISSIS); sicchè erano state soddisfatte le esigenze connesse al mantenimento della
relazione affettiva con la minore.
1.1. Nel corso del giudizio di impugnazione, C. ha prodotto, per mezzo del difensore, un certificato
medico dell’ASL Napoli I Centro, Distretto (OMISSIS), attestante che la minore presentava disturbi
comportamentali con difficoltà di instaurare relazioni e una “lieve forma di autismo”, da imputarsi
all’assenza della figura paterna e a situazioni di bullismo. Inoltre, la difesa ha chiesto la concessione
del beneficio di cui all’art. 21-ter Ord. pen..
All’esito del giudizio, il Tribunale di sorveglianza di Cagliari, con ordinanza in data 4/5/2021, ha
rigettato il reclamo. Secondo il Collegio, infatti, il disturbo comportamentale di tipo autistico che
affligge la figlia del detenuto non rientrerebbe fra gli “eventi familiari di particolare gravità” di cui
all’art. 30, comma 2, Ord. pen. Ciò in quanto, da un lato, la forma lieve di autismo da cui la minore è
affetta impedirebbe di configurare un evento familiare di “particolare gravità”; e, dall’altro lato, la
natura perdurante del relativo disturbo comportamentale sarebbe incompatibile con la nozione di
“evento”, che richiama accadimenti specifici e circoscritti, con tendenziale esclusione delle situazioni
destinate a protrarsi nel tempo, salvo che il loro peggioramento determini una incidenza nella vita del
detenuto. Quanto all’istanza di concessione del beneficio di cui all’art. 21-ter Ord. pen., anche a non
volerla considerare inammissibile trattandosi di nuova domanda proposta in sede di impugnazione
(tra l’altro solo nella fase di discussione), la stessa è stata rigettata per l’assenza di una situazione di
imminente pericolo di vita o di handicap grave accertato con le modalità richieste dalla norma e non
ricorrendo “gravi condizioni di salute” della minore, posto che la certificazione attesterebbe la
presenza di disturbi comportamentali con difficoltà di instaurare relazioni e con una “lieve forma di
autismo”. In ogni caso, secondo il Tribunale C. avrebbe potuto fornire un supporto psicologico ed
emotivo alla figlia grazie ai 20 colloqui effettuati con il sistema di videochiamata, interrotti
arbitrariamente dal detenuto, in assenza di qualunque valutazione specialistica e, anzi, a fronte di una
certificazione sanitaria che raccomandava la possibilità che la giovane potesse “interagire” con la
figura paterna.
2. C.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso il predetto provvedimento per mezzo del difensore
di fiducia, avv. A.M.B., deducendo, con un unico motivo di impugnazione, di seguito enunciato nei
limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. c.p.p., la mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Nel dettaglio, il ricorso denuncia, ai sensi
dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), che l’ordinanza impugnata non abbia approfonditamente
valutato il contemperamento tra le esigenze di salute mentale e di serena crescita della minore e le
esigenze trattamentali di C.; nè sarebbero stati valutati i benefici che l’instaurazione di uno stabile
rapporto padre-figlia potrebbe comportare. La minore, infatti, soffrirebbe di depressione e di gravi
disturbi comportamentali con tendenza alla chiusura relazionale di tipo autistico, legati sia a fenomeni
di bullismo scolastico, sia alla mancanza della figura paterna nel corso della sua infanzia e
adolescenza, come certificato dalla visita neurologica effettuata il 4/1/2021 presso la II Clinica
Neurologica, Policlinico (OMISSIS), e dalla visita medica effettuata in data 26/3/2021 presso la ASL
di Napoli.
Dai dati clinici disponibili emergerebbe che la minore non possa recarsi presso la struttura carceraria
a causa della sua comprovata fragilità psichica e che l’instaurazione di un legame affettivo stabile con
il padre potrebbe rivelarsi di fondamentale importanza per tutelarne la salute psicologica. La
motivazione fornita dal Tribunale di sorveglianza in merito all’idoneità dei video-colloqui a sopperire
alle esigenze della minore non spiegherebbe perchè tali modalità di incontro fossero adatte al caso
specifico.
3. In data 9/11/2021 è pervenuta in Cancelleria la requisitoria scritta del Procuratore generale presso
questa Corte, con la quale è stato chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato, pertanto, deve essere respinto.
2. L’art. 30 Ord. pen. dispone, al comma 1, che nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare
o di un convivente, il magistrato di sorveglianza può concedere, ai condannati e agli internati, il
permesso di recarsi a visitare l’infermo; e, al comma 2, che analoghi permessi possono essere concessi
“eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravità”. Secondo la giurisprudenza della Corte
di cassazione, condivisa da questo Collegio, ai fini della concessione del permesso di necessità
previsto dall’art. 30, comma 2, Ord. pen., devono sussistere i tre requisiti del carattere eccezionale
della concessione, della particolare gravità dell’evento giustificativo e della correlazione di tale evento
con la vita familiare; e il relativo accertamento deve essere compiuto tenendo conto dell’idoneità del
fatto a incidere significativamente sulla vicenda umana del detenuto (Sez. 1, n. 46035 del 21/10/2014,
Di Costanzo, Rv. 261274-01; Sez. 1, n. 15953 del 27/11/2015, dep. 2016, Vitale, Rv. 267210-01).
In tale ambito, la giurisprudenza di legittimità è solita ricomprendere accadimenti che riguardano la
nascita e la morte di soggetti che intrattengano relazioni qualificate con il detenuto, riconducibili alla
nozione di “prossimi congiunti”, nell’accezione offerta dall’art. 307 c.p., comma 4, (Sez. 1, n. 49898
del 14/10/2015, Gagliardi, Rv. 265547-01). Eventi che possono riguardare la nascita di un figlio,
costituente episodio eccezionale e insostituibile nell’esperienza di vita dell’interessato (Sez. 1, n.
48424 del 26/5/2017, Perrone, Rv. 271476-01), oppure la morte di un nipote del detenuto (Sez. 1, n.
49898 del 14/10/2015, Gagliardi, Rv. 265547-01) o di un fratello (anche quando la richiesta di
permesso di necessità sia formulata per consentire ai detenuto di recarsi a pregare sulla tomba del
congiunto, prematuramente scomparso: così Sez. 1, n. 15953 del 27/11/2015, dep. 2016, Vitale, Rv.
267210-01; per un caso sostanzialmente analogo, relativo alla morte della madre, v. Sez. 1, n. 34569
del 24/5/2017, Chianese, non massimata); o, ancora, la severa patologia della moglie, affetta da grave
forma tumorale con metastasi, tale da rendere gli spostamenti pericolosi per la salute (Sez. 1, n. 26062
del 27/11/2017, dep. 2018, Birra, non massimata); sino a ritenersi sussumibile nella nozione di
“evento di particolare gravità” di cui all’art. 30 Ord. pen. anche la strutturazione progressiva di una
condizione che, all’esito di un periodo sensibilmente lungo, si faccia apprezzare in termini di
particolare gravità per la vita familiare del detenuto (Sez. 1, n. 56195 del 16/11/2018, Arena, Rv.
274655-01, relativo alla concessione del permesso, ritenuta legittima, in ragione dell’assenza di visite
dei familiari protrattasi per più di un biennio a causa di oggettive difficoltà dei medesimi di
raggiungere il luogo in cui il congiunto era ristretto).
3. Nel caso di specie, la motivazione offerta dal Tribunale di sorveglianza si connota in termini del
tutto adeguati e pienamente rispondenti alla delineata cornice di principio, non ravvisandosi, nella
situazione allegata, alcun “evento familiare di particolare gravità” nei termini anzidetti, tenuto conto
della eccezionalità che caratterizza l’istituto. La difesa, invero, ha incentrato il ricorso sulla
circostanza che il Tribunale di sorveglianza non abbia valutato il beneficio che il contatto con il padre
produrrebbe per l’equilibrio psico-fisico della minore. Tale deduzione non appare, tuttavia, conferente
rispetto alle puntuali argomentazioni del provvedimento impugnato, che, come ricordato, ha
evidenziato la non riconducibilità delle esigenze poste a fondamento dell’istanza al perimetro della
fattispecie legale. Ne consegue, pertanto, che l’ovvio beneficio che la continuità della relazione con
il genitore produrrebbe sulle problematiche della giovane non vale a colmare il divario tra la
situazione rappresentata e il profilo strutturale-funzionale del permesso di necessità, che non si
attaglia a situazioni permanenti, non qualificabili in termini di particolare gravità e, soprattutto,
riconducibili a esigenze altrimenti soddisfabili. A questo proposito è appena il caso di ribadire che
nonostante la possibilità di effettuare videocolloqui con la figlia, il detenuto, andando di contrario
avviso rispetto alle indicazioni degli operatori sanitari, ha ritenuto di interrompere tale forma di
comunicazione, utilizzata, tra il 24/4/2020 e il 30/1/2021, in ben 20 occasioni, sulla base di una
personale e non riscontrata valutazione di inidoneità del mezzo a soddisfare le esigenze della piccola
di mantenere un contatto assiduo con il genitore.
4. Quanto, poi, all’istanza ex art. 21-ter Ord. pen., va preliminarmente considerato che essa era, ab
origine, inammissibile, atteso che la stessa non costituiva oggetto del reclamo e che la statuizione del
dispositivo dell’ordinanza si riferisce unicamente ad esso e non alla domanda incidentale formulata
in sede di giudizio di impugnazione.
In ogni caso, nel merito le censure sono manifestamente infondate. L’art. 21-ter, comma 1, Ord. pen.
prevede che il genitore detenuto possa essere autorizzato a fare visita al figlio minore in caso di
imminente pericolo di vita di quest’ultimo o qualora il minore versi in gravi condizioni di salute per
la presenza di un handicap grave ex L. n. 104 del 1992, art. 3, comma 3, accertata ai sensi della L. n.
104 del 1992, art. 4. Tuttavia, nel caso in esame, è stata accertata unicamente la presenza di disturbi
comportamentali con difficoltà di instaurare relazioni e con una forma “lieve” di autismo, sicchè il
Tribunale ha condivisibilmente respinto la richiesta della misura.
Inoltre, come già osservato, il detenuto, andando di contrario avviso rispetto a quanto certificato dai
sanitari, i quali raccomandavano che la figlia interagisse con la figura paterna, ha interrotto, del tutto
contraddittoriamente, i colloqui in videochiamata con la piccola, che pure avrebbero potuto
contribuire a realizzare quel supporto psicologico ed emotivo che si vorrebbe perseguire attraverso il
beneficio in parola.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2022