Mantenimento dei figli e spese straordinarie

Cass. Civ., Sez. I, Ord., 19 novembre 2021, n. 35710; Pres. Acierno, Rel. Cons. Scalia
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5426/2018 proposto da:
L.L.S., elettivamente domiciliata in Roma, Via Gregorio VII, n. 242 presso lo studio dell’avvocato F.
L. e rappresentata e difesa dagli Avvocati C. L., M. R. L. L. e D. C. per procura speciale in calce al
ricorso;
– ricorrente –
contro
M.G., domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la cancelleria civile della Corte di cassazione e
rappresentato e difeso dall’Avvocato R.S. per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di Palermo, n. 2196 del 2017, depositata il
22/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/10/2021 dal Cons. Laura Scalia.
Svolgimento del processo
1. La signora L.L.S. ricorre, con cinque motivi, illustrati da memoria, per la cassazione della sentenza
in epigrafe indicata con cui la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del
Tribunale di Agrigento, appellata da M.G. e, in via incidentale, dalla stessa L.L., ha rigettato in toto
la domanda proposta dalla ricorrente di riconoscimento di un assegno divorzile che, già attribuitole
in primo grado nella misura di Euro 1.200,00, l’appellante chiedeva di incrementare fino ad Euro
3.000,00.
La Corte di merito ha poi confermato l’impugnata sentenza che, pronunciando sulla domanda di
cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti, aveva disposto l’affido condiviso
ai genitori delle due figlie minori, con assegnazione alla madre della ex casa coniugale ed obbligo del
padre di contribuire al mantenimento delle minori con un assegno di Euro 1.800,00 mensili nonchè
alle spese straordinarie nella misura del 50%.
I giudici di appello, in accoglimento dell’impugnazione proposta dall’ex coniuge, hanno infatti escluso
il diritto de L.L. a percepire l’assegno divorzile e tanto, in ragione: dell’attività libero professionale
dalla stessa svolta come ingegnere gestionale e quindi quale titolare di un reddito che, pur non elevato,
è stato ritenuto, nel tempo, incrementabile in ragion dell’aumentato impegno nell’attività lavorativa;
della disponibilità di una abitazione, in gran parte di proprietà dell’ex coniuge, situata in zona di
prestigio di Agrigento; della titolarità di un cospicuo patrimonio.
Si è così escluso ogni rilievo, invece ritenuto dal primo giudice, all’esigenza di preservare il tenore di
vita goduto in costanza di matrimonio e tanto muovendo dal principio di auto-responsabilità
economica gravante su ciascun coniuge come affermato dalla più recente giurisprudenza di legittimità
(Cass. nn. 11504 e 15481 del 2017).
2. Resiste con controricorso M.G..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione della L. n. 898 del 1970,
art. 5, comma 6, e successive modifiche, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La Corte d’appello di Palermo, nell’escludere il diritto della ricorrente al riconoscimento dell’assegno
di divorzio, aveva erroneamente valutato i presupposti indicati dalla L. n. 898 del 1970, art. 5, comma
6, omettendo di apprezzare, debitamente, il contributo dato dalla ricorrente alla conduzione familiare
e, segnatamente, all’accudimento dei figli, rispettivamente di 18, 14 ed 8 anni, per un impegno che
avrebbe dovuto essere valutato in termini di spese sostenute per soddisfare le esigenze dei figli stessi
e, ancora, di energie distolte all’eventuale attività lavorativa, con conseguente riduzione della capacità
reddituale del genitore.
I giudici di appello, nell’escludere il diritto all’assegno, avevano ritenuto l’incrementabilità, nel tempo,
dell’attività lavorativa della ricorrente per un giudizio ipotetico, privo dei requisiti di attualità,
coerenza ed effettività, secondo il quale la richiedente avrebbe potuto tornare a percepire i redditi
degli anni di imposta 2002/2003, a tal fine non considerando: a) che nei redditi già goduti confluivano
i frutti dell’esercizio di un’attività dell’impresa familiare costituita dai coniugi, relativa alla farmacia
del M. formatasi nel 1998 e cessata nel 2003; b) che l’attività professionale della ricorrente negli
indicati anni si avvantaggiava del fatto che la stessa lavorasse presso lo studio del padre, deceduto
nel 2009, e che ella si trovasse ad avere avesse una sola figlia, operando, poi, in una realtà siciliana
ben diversa da quella attuale.
Non erano state considerate le effettive e personali possibilità di lavoro in relazione ad età, sesso e
condizioni del mercato di lavoro e la riduzione della capacità lavorativa che, ampia solo in astratto,
sarebbe stata assorbita dall’adempimento dei compiti materni.
I redditi complessivi lordi per gli anni di imposta 2013 e 2014 attestavano, poi, come su quello
complessivamente goduto dalla ricorrente incidesse in gran parte l’assegno divorzile del coniuge.
2. Con il secondo motivo si denuncia una ulteriore violazione dell’art. 5, comma 6, cit. con riferimento
al patrimonio immobiliare della richiedente che la Corte di merito aveva erroneamente apprezzato
non considerando che la ricorrente era titolare della sola nuda proprietà, usufruttuaria la madre, e che
era gravata dell’onere di provvedere alle riparazioni straordinarie e alla relativa imposizione fiscale
dei beni.
3. Con il terzo motivo la ricorrente deduce l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex art. 360
c.p.c., comma 1, n. 5.
La ricorrente in sede di appello incidentale aveva richiesto:
a) l’aumento del contributo al mantenimento delle tre figlie;
b) l’incremento della percentuale delle spese straordinarie, da fissarsi al 75%, anzichè al 50% come
indicato dal giudice di primo grado.
La Corte di appello aveva affermato, in modo laconico, l’insussistenza di ragioni tali da imporre che
le spese straordinarie non facessero carico ad entrambi i genitori là dove la ricorrente, quale appellante
incidentale, aveva dedotto che il M. rifiutava di corrispondere le spese straordinarie nella misura del
50%, affermando che le stesse rientravano nell’assegno di mantenimento, ragione per la quale la prima
aveva richiesto ai giudici di appello di pronunciare su detta posta, forfettizzandola in Euro 3.000,00
annui.
La conferma della sentenza di appello nella parte in cui revocava l’assegno divorzile avrebbe reso non
proporzionato alla condizione reddituale attuale del padre l’onere del contributo al mantenimento che,
invece, per la ricorrente sarebbe divenuto insostenibile, con danno per le figlie, private dell’agiatezza
familiare a cui avevano diritto.
3. Con il quarto motivo la ricorrente fa valere ancora l’omesso esame di un fatto decisivo per il
giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la violazione dell’art. 337 ter c.c., commi 4, 5
e 6, degli artt. 315 bis e 148 c.c., e degli artt. 112 e 342 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma
1, n. 3.
La Corte territoriale non aveva debitamente apprezzato che, al netto degli assegni versati all’ex
coniuge, il signor M. dichiarasse un reddito di Euro 61.487,00 annui, ed aveva violato il principio
della proporzionalità, secondo il quale ciascun genitore contribuisce al mantenimento dei figli in
proporzione alle proprie sostanze.
I giudici di appello non hanno tenuto conto che il genitore collocatario del minore deve gestire il
contributo al mantenimento dell’altro provvedendo, in più ampia misura, alle spese correnti ed
all’acquisto di beni durevoli che non necessariamente attengono alle spese straordinarie.
Inoltre la Corte d’appello ha posto a carico del M. un contributo al mantenimento dei figli, ritenutane
la congruità pur dopo aver rilevato una certa” opacità nelle sue dichiarazioni fiscali e nella
documentazione volta alla ricostruzione della sua pagazione 19/11/2021 economica” (p. 8 sentenza),
affermazioni a cui avrebbe dovuto far seguito, invece, un approfondimento istruttorio sulla
consistenza e redditività del patrimonio immobiliare del primo.
La sentenza, in violazione delle norme indicate, non aveva pertanto tenuto conto: delle attuali
esigenze di vita delle figlie minori; dei tempi di permanenza presso ciascun genitore; delle risorse
economiche dei genitori e della valenza economica dei compiti domestici e di cura da ciascuno
assunti.
5. Con il quinto motivo si fa valere la violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360
c.p.c., comma 1, n. 3.
Il dispositivo, con cui la Corte d’appello aveva rigettato la domanda di L.L.S. “volta al riconoscimento
di un assegno divorzile in proprio favore”, confermando “nel resto l’impugnata sentenza”, non faceva
chiaro il comando giudiziale a fronte della domanda dell’appellante principale, il M., di revoca
dell’assegno e della richiesta della odierna ricorrente dell’aumento, invece, dell’assegno divorzile e di
quello di contributo al mantenimento della prole e non del loro riconoscimento.
6. Il primo motivo di ricorso, proposto dalla ricorrente per censurare la revoca dell’assegno divorzile
disposta dalla Corte d’appello di Palermo, è fondato.
Va dato atto che la sentenza d’appello è stata depositata il 2 novembre 2017, epoca in cui, a definizione
dei presupposti di riconoscimento dell’assegno divorzile L. n. 898 del 1970, ex art. 5, comma 6 questa
Corte si era pronunciata, in applicazione del principio dell’auto-responsabilità, destinato a valere in
sede di divorzio nell’assetto da darsi ai rapporti economici tra ex coniugi, con le decisioni n. 11504
del 10/05/2017 e n. 15481 del 22/06/2017, in una prospettiva di piena valorizzazione del principio
indicato ai fini del riconoscimento stesso dell’assegno.
Nelle impugnate conclusioni di merito, il godimento di un reddito da parte della ricorrente, apprezzato
all’attualità della pronuncia, e quindi al 2017, è stato ritenuto dai giudici di appello come adeguato e
suscettibile di aumento nella stimata ragionevole possibilità di incremento, nel tempo, dell’attività
professionale svolta dalla richiedente, ingegnere gestionale, libero professionista, e tanto sino a
raggiungere i favorevoli livelli del passato, ancorati dalla Corte territoriale, nella loro definizione,
alle dichiarazioni dei redditi degli anni 2003 e 2004.
La sentenza di merito ignora, pertanto, in ragione dell’epoca stessa in cui essa è stata pronunciata, il
tenore dei principi di cui si è fatta portatrice questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287
del 11/07/2018.
Per siffatta pronuncia, dalle cui ragionevoli affermazioni di principio, che nel tempo hanno trovato
reiterata applicazione e puntualizzazione in altre pronunzie di questa Corte (ex multis: Cass.
23/01/2019, n. 1882; Cass. 09/08/2019, n. 21234; Cass. 28/02/2020, n. 5603), non si ha motivo di
discostarsi, si ha che: “l’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, connotato dalla funzione
assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 5,
comma 6, ai fini del suo riconoscimento e quindi della sua quantificazione richiede l’accertamento
dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni
oggettive, rilevando all’indicato fine, in modo equiordinato, i requisiti richiesti dalla norma che
costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione che sulla
quantificazione dell’assegno”.
Ecco che il giudizio sul riconoscimento dell’assegno divorzile va rinnovato, come rilevato nella
memoria illustrativa dalla stessa ricorrente, ed espresso all’esito di una valutazione compravendita
delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal
richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonchè di
quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all’età
dell’avente diritto.
L’assegno di divorzio ha infatti una funzione non soltanto assistenziale, destinata a valere là dove la
situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non gli garantisca l’autosufficienza, ma
anche riequilibratrice o compensativo-perequativa destinata a rilevare nel caso in cui l’ex coniuge
richiedente, nell’ambito di un rapporto matrimoniale durato per lungo tempo, pur versando all’esito
del divorzio in situazione di autosufficienza economica, si trovi rispetto all’altro in condizioni
economico patrimoniali deteriori, per aver rinunciato, in funzione della contribuzione ai bisogni della
famiglia, ad occasioni in senso lato reddituali, attuali o potenziali, ed abbia in tal modo sopportato un
sacrificio economico, a favore del coniuge, che meriti un intervento, come è stato detto, correttivo
guidato dalla finalità compensativo-perequativo (in termini: Cass. n. 21228 del 2019; più
recentemente: Cass. n. 22499 del 2021).
Posto l’indicato principio, il giudizio formulato dalla Corte palermitana, al fine di apprezzare la
eventuale sperequata condizione economico-patrimoniale degli ex coniugi, sull’adeguatezza del
reddito della richiedente, per richiamo alla sua capacità, in quanto ingegnere gestionale e libero
professionista, di poter ragionevolmente incrementare l’attività già svolta “raggiungendo i livelli – di
reddito – del passato” (dichiarazioni fiscali 2003 e 2004), non vale ad integrare i caratteri
dell’effettività che devono trovare riscontro all’attualità e non in forza di un giudizio ipotetico, le cui
premesse, quanto alla loro verificabilità, restino incerte.
In materia di assegno divorzile, il giudizio sull’adeguatezza dei redditi degli ex coniugi – che nella sua
negativa declinazione è integrativo del prerequisito della consistenza sperequata dei redditi al cui
accertamento consegue l’operatività del meccanismo compensativo-retributivo per la quantificazione
dell’indicata posta deve essere improntato ai criteri dell’effettività e concretezza non potendo esso
risolversi in un ragionamento ipotetico, i cui esiti vengano ricalcati su pregressi contesti individuali
ed economici non più rispondenti, all’attualità, a quello di riferimento.
Come già osservato da questa Corte in materia di separazione personale tra coniugi e correlato
mantenimento, con principio che ben può trovare applicazione in materia di assegno divorzile,
“l’attitudine al lavoro proficuo dei coniugi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce
elemento valutabile ai fini della determinazione della misura dell’assegno di mantenimento da parte
del giudice, qualora venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un’attività
lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale e con
esclusione di mere valutazioni astratte e ipotetiche” (Cass. 09/03/2018, n. 5817; vd., Cass.
04/04/2016, n. 6427).
Il motivo va quindi accolto e l’impugnata sentenza va cassata nei limiti del motivo accolto.
7. Il secondo motivo è inammissibile perchè non autosufficiente ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4,
mancando esso nell’allegazione delle contestazioni portate in appello e, ancora, dei passaggi della
motivazione della sentenza impugnata sulla stima del patrimonio immobiliare della ricorrente in
rapporto agli esiti della sentenza di primo grado.
8. I motivi terzo e quarto attengono alla distinta materia dell’assegno di contribuzione al
mantenimento dei figli e di essa deve darsi trattazione unitaria nella loro intima connessione.
8.1. Il terzo motivo è fondato.
Con esso si contesta la decisione sulle spese straordinarie, per non avere la Corte territoriale
pronunciato sulle domande, pacifiche tra le parti quanto alla loro introduzione in giudizio:
a) di una forfettizzata liquidazione una tantum delle spese;
b) di una loro distribuzione tra i genitori in misura pari al 75% quanto al padre e, nel residuo, quanto
alla madre.
La motivazione della Corte d’appello è, infatti, rispetto all’articolata domanda, del tutto generica là
dove richiama l’insussistenza di “ragioni di tale rilievo da imporre che le spese straordinarie non
facciano carico in misura paritaria ai genitori” e priva, finanche, della esplicitazione delle ragioni di
sostegno.
Ciò posto, il motivo va accolto e la sentenza impugnata cassata. I principi, poi, ai quali il giudice di
rinvio dovrà attenersi sono i seguenti.
8.1.1. Quanto alla domanda sub a) sarà necessario distinguere tra spese straordinarie imponderabili,
e rilevanti nel loro ammontare, e spese straordinarie routinarie che, certe nel loro ordinario e
prevedibile ripetersi, sono integrative, quali componenti variabili, dell’assegno complessivamente
dovuto (vdd. Cass. 15/02/2021, n. 3835; Cass. 13/01/2021, n. 379).
All’esito dovrà poi darsi piana applicazione al principio, saldo nelle affermazioni di questa Corte,
secondo il quale: “in tema di mantenimento della prole, l’inclusione delle spese “straordinarie” che,
per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità, esulano dall’ordinario regime di vita dei figli,
in via forfettaria nell’ammontare dell’assegno, posto a carico di uno dei genitori, può rivelarsi in
contrasto con il principio di proporzionalità e con quello dell’adeguatezza del mantenimento ex art.
337 ter c.c., nonchè recare nocumento alla prole che potrebbe essere privata, non consentendolo le
possibilità economiche del solo genitore beneficiario dell’assegno “cumulativo”, di cure necessarie o
di altri indispensabili apporti” (Cass. 23/01/2020, n. 1562; Cass. 08/06/2012, n. 9372).
8.1.2. Quanto alla domanda sub b) resta poi ferma l’ulteriore regola di diritto secondo la quale: il
concorso dei genitori, separati, divorziati, o della cui responsabilità si discuta in procedimenti relativi
ai figli nati fuori del matrimonio, non va necessariamente fissato in misura pari alla metà per ciascuno,
secondo il principio generale vigente in materia di debito solidale, ma in misura proporzionale al
reddito di ognuno di essi, tenendo conto delle risorse di entrambi e della valenza economica dei
compiti domestici e di cura assunti (vedi, Cass. 14/12/2016, n. 25723 che si esprime in tal senso
sull’art. 148 c.c., ratione temporis applicabile).
8.2. Il quarto motivo è fondato quanto alla dedotta violazione dei criteri di legge nella parte in cui la
Corte palermitana fissa la misura del contributo al mantenimento dei figli pur dopo aver riscontrato
una “certa opacità” in dichiarazioni fiscali e documentazione di supporto del padre.
In tema di contributo al mantenimento dei figli minori nel giudizio di separazione o divorzio, poichè
la tutela degli interessi morali e materiali della prole è sottratta all’iniziativa ed alla disponibilità delle
parti, è sempre riconosciuto al giudice il potere di adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio
di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, e di esercitare, in deroga
alle regole generali sull’onere della prova, i poteri istruttori officiosi necessari alla conoscenza della
condizione economica e reddituale delle parti, con la conseguenza che i provvedimenti da emettere
devono essere ancorati ad una adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle
esigenze di vita dei figli esperibile anche di ufficio (Cass. 24/08/2018, n. 21178; Cass. 12/12/2005,
n. 27391).
La Corte d’Appello di Palermo per una malintesa disponibilità della materia in capo alle parti, pur
formulando un giudizio sulla “opacità” delle produzioni curate dall’appellante in ordine ai redditi
goduti, si è determinata a quantificare l’assegno di contributo al mantenimento dei figli in violazione
dell’indicato principio, mancando di operare i più opportuni accertamenti in via officiosa al fine di
stabilire la condizione reddituale del genitore obbligato e su questa, in ragione proporzionale, la
misura del richiesto contributo.
9. Il quinto motivo è assorbito.
10. In via conclusiva, la Corte accoglie il primo, terzo e quarto motivo di ricorso nei termini sopra
indicati, rigetta il secondo e dichiara assorbito il quinto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa
alla Corte d’appello di Palermo, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Si dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati
identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, terzo e quarto motivo di ricorso nei limiti indicati in motivazione, rigetta
il secondo ed assorbito il quinto, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di
Palermo, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Dispone che ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati
identificativi in caso di diffusione del presente provvedimento.