L’obbligo di diligenza impone all’avvocato di assolvere sin dall’atto del conferimento del mandato al dovere di informazione del cliente

Cass. Civ., Sez. VI – 2, ord., 17 novembre 2021, n. 34993 – Pres. Lombardo, Cons. Rel. Scarpa
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17769-2020 proposto da:
P.R., rappresentato e difeso dall’avvocato RENATO PULCINI;
– ricorrente –
contro
D.L.A.M., D.L.G., D.L.M., rappresentati e difesi dall’avvocato PASQUALE CAPOBIANCO;
– controricorrenti –
e contro
D.L.M., D.L.G.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1190/2020 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 08/07/2021 dal Consigliere
SCARPA ANTONIO.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. L’avvocato P.R. propone ricorso articolato in unico motivo avverso la sentenza n. 1190/20120 della
Corte d’appello di Napoli, pubblicata il 27 marzo 2020.
Resistono con controricorso D.L.A.M., D.L.G. e D.L.M..

2. La Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza del Tribunale di Nola del 23 gennaio 2015,
accogliendo il gravame proposto da D.L.A.M., D.L.G. e D.L.M., ha condannato l’avvocato P.R. al
risarcimento dei danni per responsabilità contrattuale nell’importo di complessivi Euro 31.841,25
oltre interessi e rivalutazione. La domanda risarcitoria era stata proposta in via riconvenzionale da
D.L.A.M., D.L.G. e D.L.M. nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo per crediti professionali
intimato dall’avvocato P.. La pretesa di risarcimento era correlata alle spese di soccombenza subite
dai signori D.L., assistiti dall’avvocato P., in un giudizio civile intrapreso nei confronti della Bartolini
Casa s.r.l. a seguito del decesso del loro congiunto D.L.R., avvenuto per intossicazione da ossido di
carbonio sprigionato da una stufa prodotta dalla indicata società. L’inadempimento dell’avvocato P.
è stato ravvisato nella mancata informazione ai propri clienti dell’esito delle indagini penali e della
consulenza tecnica ivi espletata, che avevano escluso la responsabilità della Bartolini Casa s.r.l. per
il cattivo funzionamento della stufa, attribuendo la causa dell’evento letale allo stesso defunto
D.L.R., il quale aveva inserito una moneta nel dispositivo di sicurezza dell’utensile per evitare che
andasse in blocco. Le conclusioni del procedimento penale, a dire della Corte d’appello, avrebbero
dovuto indurre il legale ad avvisare i propri clienti delle scarse probabilità di accoglimento della
loro domanda verso la Bartolini Casa s.r.l.
L’unico motivo di ricorso dell’avvocato P.R. allega che non è stata considerata dalla Corte d’appello
di Napoli la sentenza n. 465/2011 del Tribunale di Brescia, nella quale l’uso della moneta per bloccare
il meccanismo di spegnimento veniva descritta come una ipotesi dei periti del PM, non essendo stata
più reperita la stufa utilizzata da D.L.R.. Il ricorrente sostiene altresì che i signori D.L. erano stati da
lui informati della archiviazione avvenuta già in data 20 dicembre 2001, essendo poi stato il giudizio
risarcitorio intrapreso soltanto il 10 gennaio 2003 ed avendo i clienti non di meno insistito per
promuovere la causa civile.

4. Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la
conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma
1, n. 1), il Presidente ha fissato l’adunanza della Camera di Consiglio.
Il ricorrente ha presentato memoria.

5. Il ricorso è inammissibile. La censura svolta da pagina 6 a pagina 8 non risulta delimitata da
motivo munito di autonoma rubrica, in maniera da assumere una funzione identificativa
condizionata dalla sua formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal
codice di rito. Sotto questo profilo, il motivo non possiede i caratteri della tassatività e della
specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, risolvendosi in una critica generica della sentenza
impugnata, formulata sotto una molteplicità di profili di fatto tra loro confusi e inestricabilmente
combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dall’art. 360 c.p.c. Il ricorso
auspica dalla Corte di cassazione un diverso apprezzamento degli elementi istruttori valutati dalla
Corte d’appello.
Peraltro, ove si volesse riferire la doglianza al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è da
evidenziare che questo, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del
2012, contempla soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato
un esito diverso della controversia. Il ricorrente, viceversa, espone il mancato esame di alcuni
passaggi motivazionali della sentenza del Tribunale di Brescia, quanto alla causa del
malfunzionamento della stufa, il quale comunque non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di
un fatto decisivo, visto che i fatti storici, rilevanti in causa, sono stati tutti comunque presi in
considerazione dalla Corte d’appello.
Nè il ricorrente, secondo quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, indica in quali atti dei
pregressi gradi di merito avesse provveduto tempestivamente (e dunque nel rispetto delle
preclusioni assertive di primo grado e dell’onere di riproposizione delle questioni in appello) ad
allegare i relativi specifici passaggi argomentativi della sentenza n. 465/2011 del Tribunale di Brescia.
Il motivo di ricorso non supera nemmeno lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1 (cfr. Cass. Sez. U,
21/03/2017, n. 7155). La Corte di appello di Napoli ha deciso la questione di diritto in modo conforme
alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nell’adempimento dell’incarico professionale
conferitogli, l’obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 1176
c.c., comma 2, e art. 2236 c.c., impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del
mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, (anche) ai doveri di sollecitazione,
dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le
questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o
comunque produttive del rischio di effetti dannosi; di richiedergli gli elementi necessari o utili in
suo possesso; di sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente
sfavorevole. A tal fine incombe su di lui l’onere di fornire la prova della condotta mantenuta,
insufficiente al riguardo, dovendo ritenersi il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie
all’esercizio dello “jus postulandi”, attesa la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente
deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione
da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno d’iniziare un
processo o intervenire in giudizio (cfr. Cass. Sez. 3, 19/07/2019, n. 19520; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n.
14597).
Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente a rimborsare ai
controricorrenti le spese del giudizio di cassazione nell’importo liquidato in dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,
art. 13, comma 1-quater, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le
spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro
200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti
processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di
cassazione, il 8 luglio 2021.