Atti sistematici e reiterati di violenza fisica e psicologica: maestra condannata per maltrattamenti

Cass. Pen., Sez. VI, Sent., 16 novembre 2021, n. 41745; Pres. Fidelbo, Rel. Cons. Riccio
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.G., nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia del 30/06/20;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Stefania Riccio;
udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto procuratore generale Dott. LORI
Perla, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
lette le conclusioni rassegnate dalle parti civili F.M. e T.M., genitori esercenti la responsabilità sul
minore T.G. che hanno chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza di
condanna per il reato di cui all’art. 572 c.p., pronunciata dal Giudice per l’udienza preliminare del
Tribunale di Vicenza il 1 febbraio 2017 in esito a rito abbreviato, nei confronti di P.G., rideterminava
la pena alla stessa irrogata nella misura di anni 1, mesi 1 e giorni 10 di reclusione, previo
riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, riduceva l’entità del risarcimento in favore
delle costituite parti civili ad Euro 3.500,00 per ciascuna di esse e confermava le ulteriori statuizioni.
La responsabilità dell’imputata, maestra in una scuola per l’infanzia, è stata ritenuta per avere la stessa
maltrattato i propri alunni, di età tra i tre e i cinque anni, in un arco temporale compreso tra il mese
di ottobre 2014 ed il mese di marzo 2016, con atti sistematici e reiterati di violenza fisica e
psicologica, tali da determinare sofferenze pregiudizievoli per il loro equilibrio psicofisico (siccome
risultati essere bersaglio di percosse sulla testa e sulle mani, strattonamenti, trascinamenti per le
orecchie e per i capelli, insulti ed intimidazioni, tra i quali l’odiosa minaccia di dover mangiare le loro
feci se mai si fossero sporcati, sputi in viso).
2. Propone ricorso l’imputata, deducendo i motivi di seguito sintetizzati nei limiti funzionali alla
motivazione, ex art. 173 disp. att. c.p.p.
2.1. Contraddittorietà ed illogicità manifesta della motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma
1, lett. e), con riferimento alla valutazione della prova a carico.
Viene dedotta l’inattendibilità delle dichiarazioni rese dalle colleghe dell’imputata, le cui segnalazioni
risultano tardive rispetto al momento di verificazione dei fatti ed amplificano oltre misura gli
atteggiamenti autoritari di lei, siccome espressive del livore nutrito nei confronti dei suoi metodi
educativi e della sua superiore esperienza nonchè suggestionate dai contrasti tra la stessa e il dirigente
scolastico, da poco insediato, che soprattutto le docenti in prova e sottoposte a valutazione, con le
loro false accuse, avevano inteso compiacere.
Nel dettaglio si assume che:
– L.S. rimase ripetutamene assente e per lunghi periodi durante l’anno scolastico 2014/15, perchè
affetta da una lieve forma depressiva;
– S.C. acquisì conoscenza dei fatti solo de relato, per quanto riferitole dalla madre di un alunno;
– C.C. ebbe ad assistere a pochi episodi, sicuramente non consoni al ruolo educativo di un insegnate,
ma non connotati da violenze fisiche, che la stessa ha definito come sintomatici, al più, di abuso di
mezzi di correzione;
– D.P.S. fu spettatrice di due soli episodi di intemperanza verbale della maestra P., la quale aveva
alzato la voce nel redarguire due alunni, e così pure S.M., la quale escluse di avere personalmente
assistito a violenze fisiche;
– Z.M. dichiarò di avere solo sentito l’imputata sgridare i bambini.
La difesa richiama, altresì, le dichiarazioni dei genitori degli alunni che avrebbero direttamente subito
condotte maltrattanti ( D., M., M.), evidenziando come gli stessi non avessero inizialmente registrato
significative anomalie nel comportamento dei bambini, salvo poi mutare versione; rappresenta che,
nella informativa riepilogativa redatta dai Carabinieri che procedettero alle riprese audiovisive, si
dava atto del comportamento autoritario della imputata, siccome connotato da reazioni eccessive ed
inopportune nei confronti dei bambini più vivaci, per certo confliggenti con il codice deontologico di
una educatrice, al tempo stesso ponendosi tuttavia in risalto come tale modalità relazionale fosse
sostenuta da animus corrigendi, e come, nondimeno, ella riuscisse ad esercitare sui piccoli affidati
alle sue cure un forte ascendente.
Si evidenzia, da ultimo, come la dirigente scolastica P.M. avesse avviato un procedimento disciplinare
nei confronti di P.G., concluso con l’archiviazione all’esito dell’audizione della interessata e
dell’acquisizione delle dichiarazioni (scritte) di tre genitori su quattro, tutte a lei favorevoli.
2.2. Violazione di legge, con riferimento alla qualificazione giuridica dei fatti.
Difetterebbe, nella specie, il requisito di abitualità previsto dalla norma incriminatrice, atteso il
carattere sporadico delle condotte, e non vi sarebbe prova che esse abbiano causato sofferenze fisiche
o indotto un reale disagio psichico nelle persone offese.
In subordine, si sostiene che la condotta della imputata debba essere riqualificata nel reato di abuso
di mezzi di correzione, in quanto i comportamenti tenuti, espressivi di uno stile educativo poco
consono, ma indotto dalle difficoltà di “gestione” di alunni molto vivaci, sarebbero comunque scevri
da vessatorietà e sorretti dalla sola finalità educativa.

Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
2. Le censure sulla inattendibilità delle fonti dichiarative, talora prospettate in forma di travisamento
della prova, reiterano pedissequamente quelle dell’atto di appello, senza rapportarsi ai passaggi
argomentativi della sentenza della Corte territoriale, che aveva dato ad esse puntuale riscontro.
Sminuendo la portata offensiva dei singoli gesti, ovvero le dichiarazioni di testimoni che non hanno
assistito direttamente a comportamenti vessatori, ovvero hanno registrato ben poche espressioni di
intemperanza da parte della imputata, la difesa sviluppa censure in fatto, che non si confrontano con
la condanna ed indebitamente parcellizzano le risultanze istruttorie.
Al riguardo, occorre premettere che il vizio di nullità della sentenza, rilevante in questa Sede, non
può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa, costituendo la
pronuncia un tutto coerente ed organico, in cui ogni punto va posto in relazione agli altri, potendo la
ragione di una determinata statuizione anche risultare da altri punti della sentenza ai quali sia stato
fatto richiamo, sia pure implicito. (Sez. 2, n. 38818 del 07/06/2019, M., Rv. 277091). Nè sono
ammissibili, innanzi a questa Corte, doglianze che sollecitino un diverso apprezzamento delle prove
o una differente comparazione dei significati dalle stesse traibili (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021,
Caradonna, Rv. 280747; Sez. 6, Sentenza n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 7, n. 12406
del 19/02/2015, Miccichè, Rv. 262948).
Nel caso in esame, la lettura coordinata dei diversi elementi dimostrativi, come argomentata dalla
Corte di merito, convalida, senza distonie logiche, l’ipotesi accusatoria.
In particolare, in uno alle fonti dichiarative, vi sono le registrazioni audiovisive ritraenti l’aula della
maestra, per una finestra temporale più limitata (circa un mese), ma comunque significativa, a
restituire gesti violenti e gratuite vessazioni (trascinamento dei bambini per le orecchie e per i capelli,
calci, percosse), non quotidiani, ma che si reiteravano con cadenza costante nelle classi monitorate.
La motivazione con cui si giustificano le ragioni dell’iniziale, mancato rilevamento di criticità da parte
dei genitori degli alunni, nel comportamento della maestra, non appare illogica, nè contraddittoria.
Al contrario, gli assunti difensivi sulla scarsa attendibilità delle altre docenti, siccome mosse dal solo
intento di assecondare l’impostazione colpevolista della dirigente, ovvero da un marcato livore verso
la più autorevole e temuta maestra P., costituiscono un puro enunciato difensivo.
Mancano, dunque, i presupposti per ritenere il prospettato travisamento della prova nei casi di duplice
statuizione conforme di responsabilità, avuto riguardo al consolidato principio di diritto per il quale
tale vizio ricorre solo nelle ipotesi in cui il giudice di appello, per rispondere alle critiche contenute
nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dal primo giudice, ovvero
quando entrambi i giudici del merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze
probatorie acquisite, ma in forma di così macroscopica o manifesta evidenza da imporre, in termini
inequivocabili, il riscontro della non corrispondenza delle motivazioni di entrambe le sentenze di
merito rispetto al compendio probatorio acquisito nel contraddittorio delle parti (Sez. 4, n. 35963 del
03/12/2020, Tassoni, Rv. 280155). Al riguardo, giova ribadire che il vizio motivazionale deducibile
innanzi a questa Corte deve essere desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti
del processo specificamente indicati dal ricorrente, ed è ravvisabile e determinativo di nullità solo se
l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la
motivazione per la essenziale forza dimostrativa dell’elemento frainteso o ignorato, fermi restando il
limite del devolutum e l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (Sez. 5, n.
48050 del 02/07/2019, S., Rv. 277758).
2. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.
L’abitualità della condotta maltrattante della imputata è rivelata dalla serialità o reiterazione dei suoi
comportamenti, puntualmente ricostruiti nelle sentenze di merito e protrattisi per un intero anno
scolastico ed oltre, stando ai contributi dichiarativi acquisiti; abitualità che qui certamente ricorre in
uno alla volontà sopraffattrice, quale elemento intenzionale che affascia e cementa i singoli episodi,
evincibile dalla orgogliosa affermazione della stessa ricorrente riferita dalle colleghe che hanno
segnalato le sue intemperanze – di seguitare nel proprio collaudato stile “educativo”, siccome assai
efficace e premiante in termini di disciplina della classe.
La Corte territoriale ha dunque fatto corretta applicazione del principio, ampiamente sedimentato, ed
al quale va data continuità, per cui il paradigma delineato dall’art. 572 c.p., esige il compimento di
una sequenza di fatti, per lo più commissivi, ma anche di natura omissiva, i quali isolatamente
considerati possono anche essere non punibili (atti di infedeltà, di umiliazione generica), ovvero non
perseguibili (ingiurie, percosse o minacce lievi), o procedibili solo a querela, ma che acquistano
rilevanza penale per effetto della loro reiterazione nel tempo; sicchè può affermarsi che la condotta
si perfeziona allorchè si realizza un minimum di tali condotte, collegate da un nesso di abitualità (Sez.
6, n. 56961 del 19/10/2017, F., Rv. 272200; Sez. 6, n. 4636 del 28/02/1995, Cassani, Rv. 201148). E
non è necessario che tali atti, delittuosi o meno, vengano posti in essere per un tempo prolungato,
essendo, invece, sufficiente la loro ripetizione anche se perimetrata entro un limitato contesto
temporale; mentre non rileva in senso ostativo alla configurabilità del reato, proprio in ragione della
sua natura abituale, che durante tale periodo siano riscontrabili nella condotta dell’agente periodi di
cosiddetta “normalità” e anche di intesa con il soggetto passivo (in tal senso, con riferimento ad una
fattispecie in cui la condotta era stata attuata nel corso di soli tre mesi di convivenza con la vittima,
frammezzata da periodi di quiete, v. Sez. 3, n. 6724 del 22/11/2017, dep. 2018, D.L., Rv. 272452).
3. Di contro, non ha fondamento la invocata riqualificazione, avanzata dalla difesa in linea gradata,
della condotta accertata nel reato previsto dall’art. 571 c.p.
Essa è contrastata da un indirizzo anch’esso assestato, che il Collegio condivide e ritiene
convintamente di ribadire.
Si è osservato, al riguardo, che l’elemento differenziale tra il reato di abuso dei mezzi di correzione e
quello di maltrattamenti non può individuarsi nel grado di intensità delle condotte violente tenute
dall’agente, in quanto l’uso della violenza per fini correttivi o educativi non è in nessun caso
consentito.
In alcuni arresti, specificamente riferiti ad insegnanti di piccoli allievi, si è puntualizzato che il reato
di abuso dei mezzi di correzione presuppone l’uso non appropriato di metodi o comportamenti
correttivi, che però in via ordinaria devono essere consentiti, individuabili, in via esemplificativa,
nella esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche, nella imposizione come obbligo di
condotte riparatorie o nel ricorso assai mortificante a forme di rimprovero non riservate (Sez. 6, n.
11777 del 21/01/2020, P., Rv. 278744; Sez. 3, n. 17810 del 06/11/2018, dep. 2019, B.P., Rv. 275701).
Nulla di paragonabile a quanto accertato nel caso in scrutinio.
L’assunto difensivo secondo il quale le condotte della ricorrente sarebbero state ispirate da finalità
puramente educative non merita, poi, alcuna considerazione. I comportamenti della imputata
costituiscono, anzi, l’antitesi di un corretto metodo educativo, il quale presuppone che l’insegnante
crei, o si adoperi per creare, condizioni favorevoli all’apprendimento ed all’armonico sviluppo psico-
fisico dei soggetti che sono affidati alle sue cure. D’altro canto sono intuibili, e non abbisognano di
particolare dimostrazione, gli effetti imitativi che possono derivare, soprattutto nei bambini in
tenerissima età, da agiti sistematicamente aggressivi, e ciò anche a prescindere dal rilievo che la
violenza sia da essi solo percepita e non anche subita; come non richiedono dimostrazione, alla
stregua di una massima di esperienza consolidata, le negative ripercussioni che hanno sul processo di
sviluppo della personalità dell’individuo e sulla costruzione delle relazioni interpersonali future le
esperienze vessatorie ed umilianti che si collocano nella infanzia.
Insostenibile, infine, è il rilievo che, nell’accudimento di bambini, specie così piccoli, i comportamenti
violenti del docente possono essere scriminati da stanchezza e tensione legate alla difficile tenuta di
una classe vivace.
4. Al rigetto consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 settembre 2021.