Tramonta la logica del gratuito patrocinio in favore del principio del patrocinio a carico dell’erario.

Corte Costituzionale, 1^ottobre 2019
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 131, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica
30 maggio 2002, n. 115, recante: «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
spese di giustizia. (Testo A)», promossi dal Tribunale ordinario di Roma, con ordinanze del 21 giugno e del
17 settembre 2018, iscritte rispettivamente al n. 154 del registro ordinanze 2018 e al n. 8 del registro
ordinanze 2019 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno
2018 e n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2019.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 giugno 2019 il Giudice relatore Aldo Carosi.
Ritenuto in fatto
1.– Con ordinanza del 21 giugno 2018 (r. o. n. 154 del 2018), il Tribunale ordinario di Roma ha sollevato, in
riferimento agli artt. 1, 3, 4, 24, 35, primo comma, e 36 della Costituzione, questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 131, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115,
recante: «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. (Testo
A)».
Riferisce il rimettente che, nel corso di un procedimento regolato dall’art. 696-bis del codice di procedura
civile, per l’espletamento di una consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione di una lite e in
presenza di una fattispecie di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, è stato conferito un apposito
incarico ai consulenti tecnici.
Nel corso del procedimento sarebbe emerso che gli onorari dovuti ai predetti consulenti non potevano
essere corrisposti perché anche la parte (il coniuge dell’ammesso al patrocinio) a carico della quale erano
stati posti gli oneri della consulenza non era in grado di ottemperarvi e che si doveva pertanto applicare
l’art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002.
Tale disposizione stabilisce, al riguardo, che gli onorari dovuti al consulente tecnico di parte e all’ausiliario
del magistrato sono prenotati a debito, a domanda, anche nel caso di transazione della lite, se non è
possibile la ripetizione dalla parte a carico della quale sono poste le spese processuali, o dalla stessa parte
ammessa, per vittoria della causa o per revoca dell’ammissione.
Secondo il rimettente, la previsione sarebbe irragionevole perché si fonderebbe sul principio, confermato
dal diritto vivente, per cui i consulenti tecnici del giudice debbono lavorare gratuitamente nel caso in cui
una parte sia stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato e non vi siano altri soggetti sui quali possa
farsi gravare il diritto al compenso per il lavoro svolto.
1.1.‒ In ordine alla rilevanza, premesso che si tratta del procedimento disciplinato dall’art. 696-bis cod.
proc. civ., procedimento che non sarebbe destinato a concludersi con una pronuncia sulle spese in base
all’art. 91 cod. proc. civ., trattandosi di fattispecie riconducibile al quinto comma del predetto art. 696-bis, il
giudice a quo deduce che soltanto attraverso la pronuncia di illegittimità costituzionale potrebbe essere
garantito un compenso ai consulenti nominati nel procedimento al suo esame.
Infatti, disposta la prenotazione a debito ed emesso il decreto di liquidazione, non sarebbe comunque dato
corso al pagamento da parte del Ministero della giustizia (come chiarito, in proposito, dalla circolare 8
giugno 2016, recante «Quesiti relativi all’interpretazione dell’art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 30
maggio 2002 e successive modificazioni») in virtù delle disposizioni che regolano il procedimento di
prenotazione a debito, alle quali si atterrebbe il medesimo Ministero, nel rigoroso rispetto della lettera
della legge.
1.2.‒ Il rimettente si dichiara consapevole del fatto che la norma censurata è stata più volte sottoposta
all’esame di questa Corte con esito negativo; tuttavia, ritiene che gli specifici profili di incostituzionalità
inerenti alla fattispecie concreta siano diversi e ulteriori rispetto a quelli vagliati dalla pregressa
giurisprudenza della Consulta.
Il Ministero della giustizia avrebbe emanato la già menzionata circolare 8 giugno 2016, che il rimettente
afferma di condividere, in cui sarebbe stata data contezza del fatto che l’amministrazione non dà seguito ai
decreti di liquidazione dei giudici in favore dei consulenti tecnici nei procedimenti in cui vi sia stata
ammissione al patrocinio a spese dello Stato e prenotazione a debito e non sia possibile ottenerne il
pagamento a carico delle parti. Tale pagamento non seguirebbe necessariamente la richiesta di
prenotazione a debito da parte del consulente, poiché non vi sarebbe alcun automatismo tra la
prenotazione a debito e il pagamento degli onorari, che risulterebbe meramente eventuale, essendo
normativamente condizionato all’effettivo recupero della somma prenotata a debito da parte dell’ufficio
giudiziario (la norma dell’art. 3, lettera s, definisce «prenotazione a debito» l’annotazione «a futura
memoria di una voce di spesa, per la quale non vi è pagamento, ai fini dell’eventuale successivo recupero»).
In conclusione, rammentata la differenza tra la prenotazione a debito, che consiste, appunto,
nell’annotazione a futura memoria di una voce di spesa per la quale non è possibile realizzare la correlata
entrata, secondo il giudice rimettente la norma in esame assimilerebbe alle “spese” non sostenute dallo
Stato, per le quali la prenotazione a debito sarebbe appropriata, “spese” che, per definizione, non
dovrebbero essere condizionate dal previo recupero, vigendo il nuovo orientamento legislativo del
patrocinio a carico dell’erario.
Non osterebbe a una pronuncia nel merito l’esercizio della discrezionalità legislativa perché questa incontra
il limite della ragionevolezza e della coerenza interna del sistema normativo.
Il rimettente, anche se ritiene le precedenti argomentazioni già idonee a decidere la questione sollevata,
aggiunge la considerazione che, in via generale, appare difficilmente sostenibile la ragionevolezza del
diverso trattamento che riceve il consulente tecnico nel giudizio penale, al quale vengono anticipati
compensi, rispetto al trattamento riservatogli nel giudizio civile. Inoltre, con specifico riferimento al
procedimento di cui all’art. 696-bis cod. proc. civ., evidenzia che non è configurabile la soccombenza in
detto giudizio, dal momento che esso si conclude o con la conciliazione o con il deposito della relazione; né,
come già detto in precedenza, sarebbe configurabile una posteriore regolamentazione delle spese, anche in
considerazione del fatto che la successiva fase del giudizio è meramente eventuale.
2.− è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, che ha concluso per l’inammissibilità o la manifesta
infondatezza della questione sollevata.
Essa sarebbe astratta e meramente ipotetica, e dunque irrilevante, dal momento che non risulterebbe che i
consulenti tecnici abbiano chiesto l’immediato pagamento dei rispettivi compensi, tanto più che non
sarebbe loro consentito – come si evince dall’art. 63 cod. proc. civ. e dall’art. 366 del codice penale –
rifiutare di prestare la relativa attività, avendo manifestato, con l’iscrizione all’albo, un consenso preventivo
alla nomina (al riguardo è citata la sentenza di questa Corte n. 136 del 2016). La rilevanza della questione
non potrebbe derivare dal fatto che il rimettente ha attribuito ai consulenti un fondo spese: infatti, l’art. 83
del d.P.R. n. 115 del 2002 prevede che la liquidazione delle spese e dei compensi debba avvenire al termine
di ciascuna fase processuale.
Inoltre il giudice rimettente avrebbe omesso il doveroso tentativo di interpretazione adeguatrice della
disposizione in esame.
Nel merito, la questione, affrontata più volte da questa Corte, sarebbe manifestamente infondata.
Il senso della disposizione sarebbe infatti quello di onerare l’ausiliario del giudice della riscossione del
compenso dalle parti e, solo qualora ciò non fosse possibile, ammettere la riscossione mediante
prenotazione a debito. Per tale motivo, la Corte avrebbe escluso il paventato vulnus anche nel caso in cui
risulti preclusa la possibilità di recuperare l’onorario dal soccombente o nel caso in cui la consulenza venga
disposta in un procedimento di volontaria giurisdizione.
Dovrebbe, inoltre, escludersi la lesione dell’art. 3 Cost. per disparità di trattamento tra l’ausiliario del
giudice e il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, stante l’eterogeneità delle
figure processuali messe a confronto, così come tra l’ausiliario del giudice nel processo penale e nel
processo civile, per l’ontologica diversità dei due tipi di processo.
3.− Il medesimo Tribunale ordinario di Roma, con ordinanza del 17 settembre 2018 (r. o. n. 8 del 2019), nel
corso di un altro procedimento instaurato ai sensi dell’art. 696-bis cod. proc. civ., ha sollevato identica
questione di legittimità costituzionale.
In punto di rilevanza, in particolare, dal momento che era emerso che i ricorrenti godevano del patrocinio a
spese dello Stato, il giudice rimettente espone che «prospettandosi la certezza che lo svolgimento
dell’impegnativo lavoro che andava a richiedere ai due professionisti C.T.U. sarebbe stato […]
surrettiziamente a titolo gratuito, si riservava di provvedere».
4.− Anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri che ha concluso per
l’inammissibilità o l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale con motivazioni
sostanzialmente analoghe al precedente intervento. In particolare, ne ha sostenuto l’infondatezza sul
rilievo che la disposizione censurata dovesse essere interpretata in modo tale da garantire il compenso al
consulente tecnico.
Considerato in diritto
1.– Con due ordinanze di analogo tenore (r. o. n. 154 del 2018 e n. 8 del 2019) il Tribunale ordinario di
Roma, nel corso di due procedimenti promossi ai sensi dell’art. 696-bis del codice di procedura civile, ha
sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 131, comma 3, del decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante: «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia. (Testo A)», deducendo la violazione degli artt. 1, 3, 4, 24, 35, primo comma, e
36 della Costituzione.
La disposizione censurata stabilisce che gli onorari dovuti al consulente tecnico di parte e all’ausiliario del
magistrato sono prenotati a debito, a domanda, anche nel caso di transazione della lite, se non è possibile
la ripetizione dalla parte a carico della quale sono poste le spese processuali, o dalla stessa parte ammessa
al patrocinio a spese dello Stato, per vittoria della causa o per revoca dell’ammissione. Analoga disciplina è
disposta per gli onorari del notaio per lo svolgimento di funzioni demandategli (nei casi previsti dalla legge)
dal magistrato, nonché per l’indennità di custodia del bene sequestrato.
Essa consente, dunque, la prenotazione a debito del compenso del consulente (e dei soggetti assimilati)
successivamente alla richiesta del relativo pagamento alle parti del giudizio.
Secondo il Tribunale rimettente, l’art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002 violerebbe, tra gli altri
parametri, l’art. 3 Cost., in quanto irragionevolmente, nel caso in cui una parte sia stata ammessa al
patrocinio a spese dello Stato e non vi siano altri soggetti sui quali possa farsi gravare il pagamento degli
onorari dovuti, non garantirebbe all’ausiliario del giudice un compenso per la prestazione svolta.
2.− In ragione della comunanza di oggetto, le ordinanze possono riunirsi, per essere decise con unica
sentenza.
3.− Preliminarmente, va dichiarata la manifesta inammissibilità della questione sollevata dal Tribunale
ordinario di Roma con ordinanza del 17 settembre 2018 (r. o. n. 8 del 2019).
Il rimettente ha sollevato la questione «prospettandosi la certezza che lo svolgimento dell’impegnativo
lavoro che andava a richiedere ai due professionisti C.T.U. sarebbe stato […] surrettiziamente a titolo
gratuito», sospendendo il giudizio. Sotto questo profilo la questione è dunque astratta e ipotetica, perché
prematura, e risulta priva di rilevanza, dal momento che il rimettente non è chiamato a decidere sul
compenso, nemmeno determinato in via provvisoria (art. 8 del d.P.R. n. 115 del 2002) del consulente
tecnico.
4.− Le ulteriori eccezioni sollevate dall’Avvocatura generale dello Stato devono essere respinte.
Non è condivisibile l’affermazione circa l’asserita carenza del requisito dell’incidentalità. Il giudizio
introdotto dall’ordinanza r. o. n. 154 del 2018 risulta, difatti, connotato da un petitum distinto e autonomo
rispetto alle questioni di legittimità costituzionale sollevate, in quanto volto all’accertamento
dell’inadempimento di obbligazioni sanitarie da parte dell’ente ospedaliero mediante espletamento di una
consulenza tecnica preventiva.
È, inoltre, infondata l’ulteriore eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato,
secondo la quale il giudice a quo non avrebbe adeguatamente vagliato la possibilità alternativa di
interpretare la disposizione censurata in modo conforme a Costituzione. Il rimettente, difatti, esclude tale
possibilità in considerazione del tenore letterale della disposizione.
Egli precisa che, per effetto della definizione legislativa della «prenotazione a debito», non è possibile che,
nella specie, lo Stato si accolli gli onorari delle consulenze, in assenza di un debitore da esso proficuamente
escusso. È costante l’orientamento di questa Corte, secondo cui «[a] fronte di adeguata motivazione circa
l’impedimento ad un’interpretazione costituzionalmente compatibile, dovuto specificamente al “tenore
letterale della disposizione”, […] “la possibilità di un’ulteriore interpretazione alternativa, che il giudice a
quo non ha ritenuto di fare propria, non riveste alcun significativo rilievo ai fini del rispetto delle regole del
processo costituzionale, in quanto la verifica dell’esistenza e della legittimità di tale ulteriore
interpretazione è questione che attiene al merito della controversia, e non alla sua ammissibilità” (sentenza
n. 221 del 2015)» (da ultimo, sentenza n. 12 del 2019).
Infine, il petitum risulta individuato, in via gradata, come si esprime il rimettente, nella «strada maestra
della dichiarazione di incostituzionalità» o «quantomeno» nella sentenza interpretativa di accoglimento
della questione che dichiari l’illegittimità della disposizione nel solo significato difforme dalla Costituzione.
5.− Ai fini della decisione da assumere è utile premettere un quadro riassuntivo dell’evoluzione normativa e
della giurisprudenza costituzionale in materia.
5.1.− L’art. 131 del d.P.R. n. 115 del 2002, nel prevedere gli effetti dell’ammissione al patrocinio a spese
dello Stato, enumera, al comma 2, le spese prenotate a debito e, al comma 4, quelle anticipate dall’erario.
Al comma 3, primo periodo, invece, prevede per gli onorari dovuti al consulente tecnico di parte e
all’ausiliario del magistrato, la prenotazione a debito, a domanda, anche nel caso di transazione della lite,
se non è possibile la ripetizione dalla parte a carico della quale sono poste le spese processuali, o dalla
stessa parte ammessa, per vittoria della causa o per revoca dell’ammissione. Il successivo periodo dispone,
inoltre, che lo stesso trattamento si applichi agli onorari di notaio per lo svolgimento di funzioni ad essi
demandate dal magistrato nei casi previsti dalla legge e all’indennità di custodia del bene sottoposto a
sequestro.
La disposizione censurata consente, dunque, la prenotazione a debito solo successivamente alla previa
infruttuosa intimazione alle parti del giudizio che, secondo la costante giurisprudenza di legittimità (ex
multis, Corte di cassazione, sezione sesta, ordinanza 9 febbraio 2018, n. 3239; sezione seconda, sentenza
12 novembre 2015, n. 23133) sono solidalmente tenute al pagamento delle spese della consulenza.
L’art. 3, comma 1, del medesimo d.P.R. definisce, alla lettera s), «“prenotazione a debito” […] l’annotazione
a futura memoria di una voce di spesa, per la quale non vi è pagamento, ai fini dell’eventuale successivo
recupero»; alla lettera t), «“anticipazione” […] il pagamento di una voce di spesa che, ricorrendo i
presupposti previsti dalla legge, è recuperabile».
Infine, in base all’art. 133 del d.P.R. n. 115 del 2002, il provvedimento che pone a carico della parte
soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione delle spese processuali a favore della parte ammessa
dispone che il pagamento sia eseguito a favore dello Stato. Qualora lo Stato non recuperi, il successivo art.
134 dispone che se la vittoria della causa o la composizione della lite ha posto la parte ammessa al
patrocinio in condizione di poter restituire le spese erogate in suo favore, su questa lo Stato ha diritto di
rivalsa.
Le disposizioni da ultimo richiamate trovano evidentemente applicazione nelle ipotesi in cui il processo dia
un esito positivo per la parte ammessa al patrocinio a carico dello Stato, mentre qualora quest’ultima sia
soccombente non vi sarà pagamento della parte abbiente in favore dello Stato delle spese processuali, né
successivo recupero di dette spese. In questo caso, difatti, nulla potrebbe chiedersi alla parte abbiente,
perché è risultata vittoriosa, e nulla alla parte non abbiente, che è rimasta soccombente nella lite.
La relazione illustrativa che accompagna lo schema del menzionato d.P.R. n. 115 del 2002, in maniera
significativa, segnala, relativamente al comma 3 dell’art. 131, quanto segue: «- in generale, l’ipotesi della
prenotazione a debito successivamente all’infruttuosa escussione da parte del professionista, appare
un’ipotesi di scuola piuttosto che una concreta possibilità, ma in tal senso è la norma originaria; – in
particolare, per quanto attiene ai consulenti tecnici: i soli onorari (le spese sostenute per l’incarico e le
spese e indennità di trasferta sono anticipate, v. comma successivo) sono a domanda prenotati a debito e
riscossi con le spese solo dopo la vana escussione del condannato alle spese non ammesso e dell’ammesso
in caso di revoca dell’ammissione, cui è equiparata la vittoria della causa. Rispetto al r. d. del 1923, la
disciplina incorporata nel testo unico è uguale per le spese, mentre è diversa per gli onorari, perché prima
erano automaticamente prenotati a debito e recuperati nei confronti del condannato non ammesso e
dell’ammesso in caso di revoca o di vittoria a certe condizioni. Oggi, il consulente tecnico agisce
direttamente e, solo se non recupera, chiede l’annotazione a debito e prova il recupero nelle forme
ordinarie delle altre spese».
5.2.− Questa Corte ha già scrutinato la disposizione oggi censurata e, sin dalla sentenza n. 287 del 2008, ha
ritenuto che «[i]l rimettente muove dal presupposto interpretativo secondo cui, nei casi di ammissione di
una parte al patrocinio a spese dello Stato, la disposizione censurata può comportare, in materia civile, che
l’ausiliario del magistrato svolga la sua opera gratuitamente. Al contrario, tale disposizione disciplina il
procedimento di liquidazione degli onorari dell’ausiliario medesimo, predisponendo il rimedio residuale
della prenotazione a debito, a domanda, proprio al fine di evitare che il diritto alla loro percezione venga
pregiudicato dalla impossibile ripetizione dalle parti del giudizio».
Quindi, la successiva ordinanza n. 408 del 2008 ha ribadito «che questa Corte, con la sentenza n. 287 del
2008, ha affermato che l’art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel disciplinare il procedimento di
liquidazione degli onorari dell’ausiliario, prevede il rimedio residuale della prenotazione a debito (con
conseguente pagamento da parte dell’Erario), proprio al fine di evitare che il diritto alla loro percezione
venga pregiudicato dall’impossibile ripetizione dalle parti processuali», fornendo una interpretazione degli
artt. 3 e 131 del d.P.R. n. 115 del 2002 nei termini già riportati e poi confermati nelle successive ordinanze
n. 195 del 2009, n. 203 e n. 88 del 2010.
Tale indirizzo è stato ribadito in relazione agli onorari del consulente tecnico, precisandosi che «sono
manifestamente infondati i connessi dubbi in ordine alla concreta possibilità […] di vedersi corrisposti i
propri compensi [dal momento che] questi o graveranno sui soggetti di cui al citato articolo 131 del d.lgs. n.
115 del 2002 ovvero, laddove sia impossibile ripeterli da costoro, se ne potrà chiedere la prenotazione a
debito, con successiva liquidazione a carico dell’Erario» (ordinanza n. 12 del 2013 e, nello stesso senso,
ordinanza n. 88 del 2013).
Secondo le menzionate decisioni, dunque, il professionista, esperito infruttuosamente il tentativo di
recupero nei confronti delle parti, ha diritto a vedersi corrispondere il suo onorario, con “liquidazione” a
carico dell’erario, non subordinata al previo recupero da parte dell’erario stesso. Tale interpretazione,
tuttavia, si pone in contrasto con la disciplina della prenotazione a debito, che non consente il pagamento
degli onorari se non attraverso la previa realizzazione del credito erariale.
Per tale motivo, la suddetta opzione ermeneutica adottata da questa Corte non ha potuto trovare seguito
nella prassi, rendendo impossibile – con riguardo a fattispecie come quella in esame – la liquidazione degli
onorari e delle altre competenze contemplate nell’art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002.
Anche il rimettente ha inevitabilmente aderito all’interpretazione contenuta nella precitata circolare del
Ministero della giustizia 8 giugno 2016, recante «Quesiti relativi all’interpretazione dell’art. 131, comma 3,
del d.P.R. n. 115 del 30 maggio 2002 e successive modificazioni». Quest’ultima, dopo aver ricostruito l’iter
normativo e giurisprudenziale della norma impugnata sottolineando che la liquidazione segue
necessariamente la richiesta di prenotazione a debito da parte del consulente, ha concluso per l’inesistenza
di un automatismo tra la prenotazione a debito e il pagamento a carico dell’erario, poiché detto pagamento
presuppone il previo effettivo recupero della somma prenotata a debito.
6.– Alla luce di tali premesse, la questione è fondata, in riferimento all’art. 3 Cost., sotto il profilo del difetto
di ragionevolezza.
Va chiarito che siffatta pronuncia di accoglimento si muove – fatta salva la diversa interpretazione della
disciplina della prenotazione a debito precedentemente precisata – nel solco della pregressa giurisprudenza
di questa Corte, la quale ha affermato il tramonto della logica del gratuito patrocinio, ormai integralmente
sostituito dal principio del patrocinio a carico dell’erario.
Secondo il costante orientamento emergente dalle pronunce precedentemente richiamate, la finalità del
nuovo istituto del patrocinio a spese dello Stato è quella di assicurare la tutela dell’indigente con carico
all’erario in tutti i casi in cui particolari categorie professionali espletano attività di assistenza nei confronti
dell’indigente medesimo. Ciò esclude che per alcune fattispecie vi possano essere deroghe ispirate alla
superata logica del gratuito patrocinio.
Non può essere invece condiviso il sopra richiamato assunto di tale giurisprudenza secondo cui la locuzione
«prenotazione a debito» possa essere letta come anticipazione degli onorari a carico dello Stato, a ciò
ostando l’insormontabile ostacolo della testuale definizione legislativa della prenotazione a debito, secondo
cui detta prenotazione si risolve in una annotazione a futura memoria ai fini dell’eventuale successivo
recupero.
La disposizione censurata, come correttamente interpretata dal ricorrente, risulta però viziata sotto il
profilo della ragionevolezza proprio perché, in luogo dell’anticipazione da parte dell’erario, prevede, a
carico dei soggetti che hanno prestato l’attività di assistenza, l’onere della previa intimazione di pagamento
e l’eventuale successiva prenotazione a debito del relativo importo («se non è possibile la ripetizione»).
Infatti, tale meccanismo procedimentale, unitamente all’applicazione dell’istituto della prenotazione a
debito, impedisce il rispetto della coerenza interna del nuovo sistema normativo incentrato sulla regola
dell’assunzione, a carico dello Stato, degli oneri afferenti al patrocinio del non abbiente.
L’art. 131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, dunque, deve essere dichiarato costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui prevede che gli onorari e le indennità dovuti ai soggetti ivi indicati siano
previamente oggetto di intimazione di pagamento e successivamente eventualmente prenotati a debito (in
caso di impossibilità di «ripetizione»), anziché direttamente anticipati dall’erario.
7.– Rimangono assorbite le ulteriori questioni sollevate dal rimettente.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 131, comma 3, del decreto del Presidente della
Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, recante: «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in
materia di spese di giustizia. (Testo A)», nella parte in cui prevede che gli onorari e le indennità dovuti ai
soggetti ivi indicati siano «prenotati a debito, a domanda», «se non è possibile la ripetizione», anziché
direttamente anticipati dall’erario;
2) dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale del medesimo art.
131, comma 3, del d.P.R. n. 115 del 2002, sollevata dal Tribunale ordinario di Roma (r. o. n. 8 del 2019), in
riferimento agli artt. 1, 3, 4, 24, 35, primo comma, e 36 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in
epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 giugno 2019.
F.to:
Giorgio LATTANZI, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l’1 ottobre 2019.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Roberto MILANA