Adozione, stato di abbandono e salute mentale di un genitore

Cass. civ. Sez. I, Ord., 31 ottobre 2019, n. 28207 – Pres. Giancola, Rel. Cons. Tricomi
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27596/2018 proposto da:
B.B., nella qualità di genitore esercente la patria potestà sulla minore Ba.El., elettivamente
domiciliata in Roma, Via G. Spontini n. 22, presso lo studio dell’avvocato Tutti Arnaldo che la
rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.L., nella qualità di curatore speciale della minore Ba.El., elettivamente domiciliata in Roma, P.zza
Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato
Graziola Marco, che la rappresenta e difende giusta procura in calce all’atto di costituzione;
– resistente –
contro
Procuratore Generale della Repubblica Presso la Corte di Appello di Torino, Tutore Provvisorio
della Minore Ba.El.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 8/2018 della CORTE D’APPELLO di TORINO, del 13/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/10/2019 dal cons. TRICOMI
LAURA.
Svolgimento del processo
CHE:
La Corte di appello di Torino, sezione minorenni, con la sentenza impugnata ha respinto l’appello
proposto da B.B. (genitrice) avverso la sentenza del Tribunale per i Minorenni di Torino che aveva
dichiarato lo stato di adottabilità per la minore Ba.El. (n. il (OMISSIS)), rappresentata in giudizio
dal curatore speciale.
La Corte di appello, dopo avere rammentato che la CTU effettuata dalla Dott.ssa P. aveva condotto
alla diagnosi di un “disturbo paranoideo di personalità” nei confronti della madre della minore, tale
da comportare “importanti deficit nella strutturazione del sè e nel funzionamento interpersonale”
(fol. 4) e da richiedere una presa in carico da parte dei Servizi territoriali di Psichiatria e
Neuropsichiatria, ha rimarcato che la ricorrente – pur non contestando tale grave inquadramento
diagnostico – non aveva accolto i tentativi di contatto condotti dai servizi territoriali, dichiarandosi
anzi non disponibile ad effettuare nuove visite in occasione dell’incontro del 27/1/2016, ed aveva
dichiarato di non avere alcun contatto con il Centro di Salute Mentale.
La Corte territoriale ha quindi analiticamente evidenziato le ragioni per cui tale patologia
comportava una severa compromissione delle sue capacità genitoriali, evidenziando i
comportamenti della madre osservati nella Comunità presso la quale era stata temporaneamente
accolta unitamente alla bambina, segnatamente “ambivalenza e incongruità educativa; rimproveri
svalutativi ed inducenti vissuti abbandonici rivolti alla figlia nei momenti di nervosismo, ricorrenti
sbalzi di umore, gravi disattenzioni ed ipostimolazione psico-linguistica” (fol. 6); di contro ha
considerato che l’inserimento in comunità della bambina – alla quale era stato diagnosticato un
“Disturbo Reattivo dell’Attaccamento, in comorbilità con Disturbo da Comportamento Dirompente
e Oppositivo con prevalenti aspetti oppositivi”, caratterizzato dalla difficoltà di costruire una
relazione di fiducia – aveva promosso un evidente miglioramento delle sue condizioni di vita e, in
particolare, che l’inserimento in una Comunità per soli minori le aveva permesso di incominciare ad
esprime i primi nuclei di individualità e a recuperare delle competenze significativamente,
migliorando la sua espressione linguistica.
B. propone ricorso articolato su due mezzi; la curatrice della minore ha depositato atto di
costituzione e memoria.
Motivi della decisione
CHE:
1. Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, art. 8,
comma 1, lamentando che la dichiarazione di adottabilità sia stata pronunciata non in presenza di
fatti gravi integranti i presupposti dello stato di abbandono, morale e materiale, ma solo sulle
asserite problematiche psicologiche o mentali della madre.
La ricorrente sostiene che l’insufficienza o la malattia mentale non basta, laddove non si traduca in
comportamenti pregiudizievoli per la crescita dei figli e che non si è tenuto conto della sua volontà
a recuperare il rapporto con la minore, di cui viene dato atto nella relazione del CTU Dott. P..
2. Con il secondo motivo si denuncia la violazione dell’art. 8 della CEDU e della L. n. 184 del 1983,
art. 2, perchè la Corte territoriale aveva tralasciato di considerare il diritto della minore a crescere ed
essere educato nella famiglia di origine, e si rammenta il carattere eccezionale e residuale del
provvedimento da applicare solo ove risultino impraticabili altre misure di sostegno alla
genitorialità. La ricorrente sostiene che la sua eventuale inidoneità a prendersi cura della figlia è
suscettibile di essere superata mediante la prosecuzione del già benefico percorso in comunità.
3. I motivi possono essere trattati congiuntamente per connessione e vanno dichiarati infondati.
Contrariamente a quanto assume la ricorrente la Corte territoriale non ha dichiarato lo stato di
adottabilità in ragione delle patologie di tipo psichiatrico sofferte dalla madre – che peraltro,
nemmeno in ricorso, mostra di averne acquisito consapevole cognizione visto che non le affronta, se
non incidentalmente per svalutarne la rilevanza ma della severa compromissione che ne è derivata
alla capacità genitoriale, sia per quanto riguarda la cura materiale della minore (la meno
pregiudicata), sia – soprattutto – per quanto attiene alle cure psicologiche e affettive “in quanto le
capacità emotive ed empatiche sono molto scarse, tali da non riuscire a trasmettere sufficiente
calore, malgrado possa sentirsi affezionata ai figli…. la sig.ra B. ha grosse difficoltà a concepire i
figli in modo separato da sè, non può offrirsi come modello per apprendere un adeguato controllo
degli impulsi.” con la precisazione che “La madre ha uno stile genitoriale incoerente, spesso
distaccata e altrettanto spesso intrusiva: non riesce a far sentire la bambina competente in nulla e
invalida continuamente le sue iniziative, correggendola. La bambina non si sente capita non solo
per le sue difficoltà di linguaggio ma anche perchè la sua mamma sistematicamente nega o
ridicolizza i suoi vissuti negativi quali rabbia, tristezza, angoscia, invidia e terrore.” (fol. 5/6 sent.
imp.).
Tale negativa valutazione trova la sua significativa premessa nell’accerta volontà della B. di non
attivarsi per seguire un percorso psicoterapeutico personale, circostanza non contestata nemmeno in
ricorso e sulla quale la ricorrente sorvola.
Inoltre la Corte torinese ha dato conto dell’esito parzialmente positivo dell’inserimento congiunto di
madre e figlia in una Comunità, laddove ha sottolineato che ” E. aveva cominciato ad esistere
psicologicamente, anche per la madre, solo grazie all’inserimento in comunità”, rimarcando che tale
passaggio aveva sicuramente influito sulla consapevolezza dell’identità della figlia da parte della
madre, ma – soprattutto – ha valorizzato i ben più significati progressi maturati dalla bambina, sia in
termini di competenze che di capacità di espressione linguistica, dopo l’inserimento in una
Comunità per soli minori. Quindi, dando contezza del percorso attivato per favorire l’acquisizione
delle competenze genitoriali da parte della B., ne ha rappresentato le incerte prospettive di
miglioramento.
Le censure formulate in maniera generica ed astratta non colgono nel segno, nè si soffermano su
questi passaggi motivazionali.
4. Invero la decisione risulta immune dai vizi denunciati poichè sono stati correttamente applicati i
principi secondo i quali “Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità
ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure
materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della
sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale
essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psico – fisico del
minore, secondo una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di
merito ed è incensurabile in cassazione (nella specie il giudice di merito aveva ritenuto sussistente
lo stato di abbandono in base ai seguenti elementi: rifiuto del padre di avere l’affidamento del
minore, incapacità della madre di reperire un’abitazione e un lavoro e di occuparsi del figlio senza
un sostegno continuo, misure di sostegno dei servizi sociali integranti non il supporto per il
superamento di una situazione transitoria ma una completa supplenza dei genitori)”. (Cass. n. 5580
del 04/05/2000) e che “Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre
allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali,
calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua
personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo
quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psico fisico del minore,
secondo una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito”.
(Cass. n. 4503 del 28/03/2002): ciò perchè “il ricorso alla dichiarazione di adottabilità costituisce
solo una “soluzione estrema”, essendo il diritto del minore a crescere ed essere educato nella
propria famiglia d’origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, tutelato
in via prioritaria dalla L. n. 184 del 1983, art. 1, il giudice di merito deve operare un giudizio
prognostico teso, in primo luogo, a verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero delle
capacità e competenze genitoriali, con riferimento sia alle condizioni di lavoro, reddituali ed
abitative, senza però che esse assumano valenza discriminatoria, sia a quelle psichiche, da
valutarsi, se del caso, mediante specifica indagine peritale, estendendo detta verifica anche al
nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di
sviluppare rapporti con il minore, avvalendosi dell’intervento dei servizi territoriali.” (Cass. n. 7559
del 27/03/2018).
5. In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese vanno compensate tra le parti costituitesi, per la peculiarità delle questioni affrontate.
Va disposto che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e
dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, art. 52.
Non sussistono i presupposti di cui all’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115
perchè il processo risulta esente.
P.Q.M.
– Rigetta il ricorso;
– Compensa le spese del giudizio di legittimità tra le parti costituitesi;
– Dispone che in caso di diffusione della presente sentenza siano omesse le generalità delle parti e
dei soggetti in essa menzionati, a norma del D.Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, art. 52;
– Dà atto che non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1
quater, perchè il processo risulta esente.
Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019