Non è ravvisabile un rapporto di natura obbligatoria dei coeredi con i beni della comunione ereditaria.

Cass. civ. Sez. II, Sent., 9 settembre 2019, n. 22444; Pres. Petitti; Rel. Giannaccari
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2927/2015 proposto da:
M.V., M.A., V.A.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NIZZA 59, presso lo studio
dell’avvocato ASTOLFO DI AMATO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato
FULVIO SANTORELLI;
– ricorrenti –
contro
S.L., S.E., S.A., M.G., MO.AN., S.F., SO.LA., M.M.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA
OVIDIO 10 C/O ST ROSATI, presso lo studio dell’avvocato ANNA BEI, rappresentati e difesi
dall’avvocato FILIPPO MASSARA;
B.M.T., B.L., B.A. ex art. 86 c.p.c., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA MONTESANTO 52,
presso lo studio dell’avvocato B.A., che le rappresenta e difende;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 3013/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 01/07/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/02/2019 dal Consigliere Dott.
ROSSANA GIANNACCARI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso
per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato DI AMATO Astolfo, difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del
ricorso;
udito l’Avvocato Carlo Domenico MASSARA con delega depositata in udienza dell’Avvocato
Filippo MASSARA, difensore dei resistenti S.L. + 7, che si riporta agli atti depositati;
udito l’Avvocato B.A. difensore delle resistenti e di se medesimo ex art. 86 c.p.c., che si riporta agli
atti depositati.
Svolgimento del processo
Il giudizio trae origine dalla domanda di scioglimento della comunione del compendio ereditario di
M.A., che era deceduto il (OMISSIS), lasciando come eredi la moglie Me.Vi. ed i figli Gi., I., G.,
M.A.V. ed An..
Il giudizio veniva introdotto da B.G., M.T. ed A., quali eredi di M.I., e, per quel che ancora rileva
nel presente giudizio, i convenuti V.A.M., M.A. e M.V., eredi di Mo.Gi., chiedevano accertarsi in
via riconvenzionale l’usucapione da parte del loro dante causa di un immobile sito in (OMISSIS).
Il Tribunale di Napoli, con sentenza non definitiva n. 6375/2010, rigettava la domanda di
usucapione, ritenendo che non vi fosse prova di un atto di interversione del possesso da parte del
coerede Mo.Gi., il quale, con atto del 26.9.1988, aveva chiesto un contributo per la ristrutturazione
dell’immobile in (OMISSIS), oggetto della domanda riconvenzionale, anche a nome degli altri
comproprietari, in tal modo riconoscendo l’altrui comproprietà.
Proponevano appello V.A.M., M.A. e M.V., eredi di Mo.Gi., cui resistevano le controparti.
La Corte d’Appello di Napoli, con sentenza dell’1.7.2014, respingeva il gravame.
La corte territoriale escludeva che Mo.Gi. avesse avuto il possesso esclusivo dell’abitazione in
(OMISSIS). Era emerso dall’istruttoria che nel 1946, al momento dell’apertura della successione,
egli occupava l’immobile unitamente alla madre e anche quando dopo il suo matrimonio, nel 1967,
lo aveva abitato con la sua famiglia, vi era stato il consenso degli altri coeredi. Era emerso dalla
documentazione prodotta in giudizio che il M. aveva gestito non solo la proprietà immobiliare in
(OMISSIS), oggetto della domanda riconvenzionale di usucapione, ma anche numerosi immobili
siti in (OMISSIS), per conto degli altri fratelli. Ulteriori elementi probatori, indice dell’assenza di un
possesso esclusivo, erano costituiti, secondo il giudice d’appello, dalla richiesta di contributo del
29.6.1998 per la ristrutturazione dell’immobile, che egli aveva sottoscritto anche a nome degli altri
coeredi, dalla circostanza che questi coeredi avessero pagato le imposte ed indicato in comproprietà
l’immobile in (OMISSIS) nella dichiarazione di successione.
La corte territoriale, pur ritenendo superfluo l’esame del motivo d’appello riguardante la scrittura del
luglio 2005, con la quale il complesso di (OMISSIS) veniva ricompreso nel progetto di divisione
della comunione ereditaria, lo esaminava e ravvisava in tale atto una rinuncia tacita all’usucapione.
Per la cassazione della sentenza d’appello, hanno proposto ricorso V.A.M., M.A. e M.V. sulla base
di sette motivi, indicati dal numero due al numero otto.
Hanno resistito, con distinti controricorsi, B.M.T., L. ed A. da una parte e M.M.A., An. e G., S.A.,
E., La., L. e F. dall’altra.
Il Pubblico Ministero nella persona del Dott. Carmelo Sgroi ha chiesto il rigetto del ricorso.
In prossimità dell’udienza, le parti hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
Con il secondo motivo di ricorso – che introduce il ricorso per cassazione – si deduce la violazione e
falsa applicazione degli artt. 714, 1102, 1140 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la
corte territoriale errato nel qualificare i coeredi come compossessori, sostenendo che fossero
detentori dei beni ereditari e che, solo in caso di godimento separato di parte dei beni ereditari,
sarebbe necessario un atto di interversione del possesso.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame
di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, consistente in fatti e
documenti, da cui risulterebbe che il M. non avesse avuto alcun mandato da parte dei coeredi per
eseguire opere di ordinaria e straordinaria manutenzione, per richiedere autorizzazioni
amministrative e per godere in modo-esclusivo dei relativi frutti.
I motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
Diversamente da quanto assume il ricorrente, i coeredi non sono detentori dei beni ereditari, in
quanto non è ravvisabile un rapporto di natura obbligatoria con i beni della comunione ereditaria,
sicché non è necessaria la prova di un atto di interversione del possesso ai fini dell’usucapione di
beni ereditari, ma la prova del possesso ad excludendum, vale a dire una situazione nella quale il
rapporto materiale del coerede con i beni ereditari sia tale da escludere gli altri coeredi dalla
possibilità di analogo rapporto. A tale riguardo, non è univocamente significativo che egli abbia
utilizzato ed amministrato il bene ereditario, e che i coeredi si siano astenuti da analoghe attività,
sussistendo la presunzione iuris tantum che abbia agito nella qualità e operato nell’interesse anche
degli altri coeredi (Cassazione civile sez. II, 16/01/2019, n. 966; Cass. 04/05/2018, n. 10734; Cass.
25/03/2009, n. 7221).
La corte territoriale ha correttamente ritenuto che i coeredi fossero compossessori e non detentori
del bene ereditario e che Mo.Gi. non avesse dato la prova del suo possesso esclusivo.
Né è sussistente il vizio di omessa motivazione, sindacabile in sede di giudizio di legittimità nei
limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5, avendo la corte esaminato, con giudizio di fatto
insindacabile in questa sede, gli elementi istruttori in base ai quali il M. non aveva provato il
possesso esclusivo del bene ereditario (Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n. 8053).
Con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità, il giudice d’appello ha accertato che
nel 1946, al momento dell’apertura della successione, Mo.Gi. abitava l’immobile di (OMISSIS)
unitamente alla madre, che era titolare di usufrutto sui beni ereditari; anche quando, dopo il suo
matrimonio, aveva ivi vissuto con la sua famiglia, vi era stato il consenso degli altri eredi. Ulteriore
conferma del compossesso veniva ravvisata dalla gestione dei beni ereditari per conto degli altri
fratelli, e, in particolare, nella richiesta di contributo per la ristrutturazione dell’immobile, anche per
conto dei coeredi, nonché nell’indicazione della loro qualità di comproprietari contenuta nella sua
denuncia di successione, in tal modo dimostrando di utilizzare ed amministrare il bene comune
nell’interesse di altri, con il loro consenso tacito (Cass. 7075/99).
Il godimento dei beni ereditari non era, quindi, avvenuto uti dominus, ma con il consenso degli altri
coeredi, che avevano delegato al M. la gestione e l’amministrazione dei numerosi beni ereditari,
costituiti da circa 53 immobili, ubicati non solo a (OMISSIS), ma anche a (OMISSIS).
Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c., in
relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la corte territoriale rigettato la richiesta di prova
testimoniale, volta dimostrare che negli anni 80 Mo.Gi. non avrebbe permesso alla sorella l’utilizzo
del complesso di (OMISSIS) per la celebrazione del matrimonio della figlia e per depositare alcuni
mobili. La corte territoriale non aveva, inoltre, ammesso i capitoli di prova riguardanti la
circostanza che il M. avrebbe eseguito opere straordinarie sull’immobile ed avrebbe curato un lungo
contenzioso amministrativo riguardante l’immobile in questione, circostanze che confermerebbero il
riconoscimento da parte degli altri coeredi della sua esclusiva proprietà del complesso di
(OMISSIS).
Con il quinto motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame di una serie di documenti, che
dimostrerebbero il possesso esclusivo dell’immobile in (OMISSIS), come l’esecuzione di opere di
ordinaria e straordinaria amministrazione, l’ottenimento di autorizzazioni amministrative e
l’acquisto dei frutti.
Con il sesto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1158, 1164 e
2944 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere attribuito al documento del 29.6.1988, con il
quale Mo.Gi. chiedeva la concessione di un contributo a nome degli altri coeredi, valore di
riconoscimento del diritto altrui.
I motivi, da esaminare congiuntamente, non sono fondati.
I numerosi documenti, richiamati genericamente da pag. 27 a pag. 31 del ricorso, non sono decisivi
per dimostrare il possesso ad excludendum degli altri coeredi, ma unicamente l’utilizzo e la gestione
dei beni ereditari, che implicava la richiesta di autorizzazioni amministrative, la realizzazione di
opere, la stipulazione di contratti di locazione ed il pagamento di sanzioni amministrative.
Anche i capitoli dedotti con la prova testimoniale, con l’quali si intendeva provare che il M. si era
sempre ritenuto proprietario dell’immobile in (OMISSIS) e che tale era stato considerato dai
coeredi, sono stati correttamente ritenuti inammissibili dalla corte territoriale, perché diretti a
provare la gestione dei beni ereditari da parte del M., irrilevanti ai fini della prova del possesso
esclusivo, sia perché implicanti manifestazione di giudizi non consentiti ai testimoni, ai sensi
dell’art. 244 c.p.c.
Anche le richieste di prova formulate nei capitoli 19 e 20, trascritte in ricorso, volte a dimostrare
che negli anni 80 Mo.Gi. non avrebbe permesso alla sorella l’utilizzo del complesso di (OMISSIS),
per la celebrazione del matrimonio della figlia e per depositare alcuni mobili, sono generiche, non
solo perché non individuano la data in cui i fatti sarebbero avvenuti, ma anche perché prive di
decisività alla stregua della valutazione, da parte del giudice di merito, di altri elementi istruttori che
escludevano il possesso esclusivo del bene da parte del M..
La corte ha ritenuto che vi fosse un espresso riconoscimento dell’altrui diritto, attraverso
l’interpretazione della richiesta del 29.6.1998, avanzata dal M., del contributo per la ristrutturazione
dell’immobile sito in (OMISSIS), da cui evinceva la sua volontà di agire anche per conto dei
coeredi, oltre che da altri dati esterni, quali il pagamento delle imposte da parte dei coeredi.
Le doglianze del ricorrente censurano l’interpretazione plausibile attribuita dalla corte all’atto del
29.6.1998, senza alcuna deduzione della violazione dei canoni ermeneutici violati.
– Con il settimo motivo di ricorso, si. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,
1165 e 2937 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver la corte territoriale erroneamente
ravvisato un atto di rinuncia all’usucapione nel progetto di divisione dei beni ereditari del 9.7.2005,
che comprendeva il complesso di (OMISSIS), sostenendo che tale atto era volto unicamente a
comporre in via bonaria la controversia.
Con l’ottavo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 183
c.p.c., artt. 1165, 1362, 2937 e 2967 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; la corte territoriale
avrebbe erroneamente ritenuto che fosse tardiva la contestazione, avanzata in grado d’appello, da
parte di V.A.M. e M.V., relativa al potere di rappresentanza del fratello M.A. nella redazione
dell’atto del 9.7.2005, mentre, trattandosi di mere difese, non sussisterebbe alcuna preclusione.
I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili per carenza di
interesse.
Si tratta, infatti, di motivazione “ad abundantiam”, ovvero di un “obiter dicta”, in quanto la corte
territoriale, pur ritenendo superfluo l’esame del motivo d’appello relativo all’interpretazione della
scrittura privata del luglio 2005, lo ha esaminato, ritenendo che l’inclusione del complesso di
(OMISSIS) nel progetto di divisione della comunione ereditaria, integrasse una rinuncia tacita
all’usucapione (Cassazione civile sez. lav., 22/10/2014, n. 22380, Cass., civ., sez. lav., 22 novembre
2010 n. 23635, Cass. civ., sez. III, 5 giugno 2007 n. 13068).
Il ricorso va pertanto rigettato Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, va dato atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5200,00
in favore di ciascun gruppo di controricorrenti, di cui Euro 200,00 per spese ed Euro 5000,00 per
compensi, oltre spese forfettarie, Iva e Cpa come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di
Cassazione, il 21 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 settembre 2019