Impedire l’accertamento della paternità porta al risarcimento del danno a favore del padre e del figlio.

Corte d’Appello di Venezia, 11 settembre 2019
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Corte D’Appello di Venezia
Sezione Terza Civile
La Corte, riunita in camera di consiglio nelle persone dei magistrati:
dott. Fabio Laurenzi Presidente
dott. Giovanna Sanfratello Consigliere
dott. Enrico Stefani Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
nella causa civile promossa da:
CAIA con l’avv. P. L. e l’avv. D.S.G. con domicilio presso il difensore;
APPELLANTE
contro
TIZIO con l’avv. M. A., con domicilio eletto presso lo studio del
difensore;
B.M. L. CURATORE DEL MINORE SEMPRONIO con l’avv. L.B. M., con domicilio
eletto presso lo studio del difensore;
APPELLATI
P.G. presso la Corte d’Appello di Venezia che ha concluso per la conferma
integrale della sentenza gravata.
Oggetto: Appello avverso la sentenza del Tribunale di Verona n. 1343/2017
del 23.5.2017, pubblicata in data 30.5.2017.
Conclusioni di parte appellante. Il procuratore della sig.ra CAIA precisa le
seguenti conclusioni: In via preliminare: disporsi la sospensione della
provvisoria esecutorietà dell’impugnata sentenza del Tribunale di Verona n.
1343/2017 del 23.5.2017, pubblicata in data 30.5.2017, notificata in data
11.7.2017; Nel merito: riformarsi l’impugnata sentenza del Tribunale di
Verona n. 1343/2017 del 23.5.2017, pubblicata in data 30.5.2017, notificata
in data 11.7.2017, all’esito della controversia iscritta al n. 8982/2014
R.G. e per l’effetto in via principale: – dichiararsi nulla e/o annullabile
la sentenza impugnata, nel capo in cui procede all’automatica aggiunta del
cognome paterno a quello attuale del minore Sempronio ed, in ogni caso,
revocarsi l’aggiunta del cognome Tizio a quello attuale del minore
Sempronio, confermandosi in capo al minore Sempronio l’attribuzione del
solo cognome materno; revocarsi la condanna della convenuta Caia al
pagamento, in favore di Tizio, della somma di euro 6.500,00, nonché al
pagamento della somma di euro 6.500,00 in favore del figlio Sempronio, ex
art. 96 co 3 c.p.c.; – compensarsi le spese del giudizio di primo grado
tra le parti. In ogni caso: – con compensazione delle spese del secondo
grado di giudizio (anche in via di rimborso forfettario) e competenze di
lite, oltre accessori previdenziali e fiscali. In via istruttoria: Con
riserva di ulteriormente e dedurre anche in via istruttoria, anche in
considerazione del comportamento processuale delle parti appellate. Si
rifiuta il contraddittorio sulle domande nuove.
Conclusioni di parte appellata TIZIO. 1. Rigettarsi la richiesta di
sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza n. 1343/17 emessa dal
Tribunale di Verona e pubblicata il 30.5.2017; Dichiararsi inammissibile la
domanda volta ad ottenere la nullità, ovvero l’annullamento della sentenza
o comunque la revoca nel capo in cui prevede l’aggiunta del cognome paterno
a quello attuale del minore Sempronio, per difetto di interesse ad agire o
comunque di legittimazione attiva in capo all’appellante;
In via principale: Rigettarsi l’appello promosso dalla CAIA avverso il
dispositivo della sentenza n. 1343/2017, pubblicata il 30.5.2017 dal
Tribunale di Verona relativamente al capo in cui prevede l’aggiunta del
cognome paterno a quello attuale del minore Sempronio, nonché ai capi
contenenti la condanna al risarcimento per lite temeraria in favore del
sig. Tizio per l’importo di € 6.500,00, la condanna alla rifusione delle
spese di lite in favore del medesimo Tizio per l’importo di € 3.284,00
oltre 15% spese generali, iva e epa e la condanna alla rifusione delle
spese sostenute dal sig. Tizio per la c.t.u. disposta, per i motivi su
indicati e comunque perché infondato e per l’effetto confermarsi
integralmente la sentenza impugnata. In ogni caso: Con vittoria di compensi
e spese di lite, oltre rimborso forfettario 15%, c.p.a. ed IVA come per
legge per il primo e secondo grado di giudizio.
Conclusioni di parte appellata Sempronio. 1. Respingersi la richiesta di
sospensione della provvisoria esecuzione della sentenza del Tribunale di
Verona n. 1343/2017 pubblicata il 30 maggio 2017 nel procedimento RG n.
8982/2014, non sussistendo gravi e fondati motivi richiesti dall’art. 283
epe.
2. Condannarsi Caia alla corresponsione di una pena pecuniaria ex art. 283,
II comma, cpc. rimessa nel quantum alla determinazione di Codesto Giudice.
Nel merito: 3. Respingersi l’appello promosso da Caia siccome infondato in
fatto ed in diritto per le ragioni sopra esposte e per l’effetto
confermarsi la sentenza del Tribunale di Verona n. 1343/2017 pubblicata il
30 maggio 2017 nel procedimento RG n. 8982/2014.
4. Spese di lite di primo e secondo grado integralmente rifuse.
Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.
1. Il giudizio in esame ha ad oggetto la dichiarazione giudiziale di
paternità ed ha avuto inizio con atto di citazione del curatore speciale
del minore Sempronio (nato a Verona il 22 luglio 2011) curatore speciale
nominato su richiesta del Pubblico Ministero attesa la non coincidenza
dell’interesse del minore con quello della madre – onde procedere
all’accertamento della paternità del minore stesso.
Si costituiva Tizio affermando di aver intrattenuto una relazione
sentimentale con CAIA in un periodo di tempo compatibile col concepimento e
la successiva nascita del minore; proseguiva esponendo che durante la
gravidanza la Caia aveva dichiarato a Tizio che egli era il padre del
bambino che portava in grembo, successivamente l’aveva negato.
In seguito aveva tenuto un comportamento contraddittorio e altalenante al
proposito, sicché egli si era visto costretto a richiedere l’intervento del
Pubblico Ministero in difesa del suo ruolo genitoriale e della condizione
del figlio.
Si costituiva la Caia resistendo alla domanda e formulando una serie di
eccezioni processuali; si opponeva all’espletamento di qualsiasi indagine
clinica volta ad accertare l’eventuale paternità del Tizio sul bambino nel
frattempo nato.
Il tribunale disponeva c.t.u. ematologica i cui esiti accertavano
inconfutabilmente (probabilità di paternità pari a 99,9999%) la paternità
del Tizio; valutava negativamente il comportamento della madre che aveva a
più riprese apertamente ostacolato l’accertamento della verità della
paternità del minore e assumeva pertanto i provvedimenti di seguito
indicati.
In esito al giudizio il tribunale così statuiva: “1) accerta e dichiara che
Sempronio, nato a Verona il 22 luglio 2011, è figlio di Tizio, nato a Verona il 27 maggio 1981,
disponendo 1’aggiunta del cognome Tizio a quello attuale del minore Sempronio; 2) dispone la
trasmissione di copia autentica della presente sentenza all’ufficiale di stato civile territorialmente
competente affinché provveda alle annotazioni di legge; 3) dispone 1’intervento urgente dei servizi
sociali affinché adottino iniziative necessarie all’instaurazione del rapporto padre – figlio indicandone
le modalità più adeguate nell’interesse del minore; 4) condanna la convenuta Caia al pagamento in
favore di Tizio , della somma di €6500,00, nonché al pagamento della somma di € 6500,00 in favore
del figlio Sempronio, ex art. 96 comma 3 c.p.c.; 5) condanna la convenuta Caia alla rifusione delle
spese di lite in favore delle controparti che liquida… 6) pone integralmente a carico della convenuta
Caia le spese di CTU, come liquidate in giudizio, con condanna della stessa alla rifusione di quanto
dalle controparti eventualmente anticipato a tale titolo; 7) dispone la trasmissione degli atti alla
procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni di Venezia per accertamenti sulla
capacità genitoriale di CAIA; 8) dispone la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica
presso il tribunale di Verona per quanto di competenza in ordine all’ipotesi di reato di tentativo di
alterazione di stato del minore, nei confronti di Caia e Tullio.
2) avverso la sentenza proponeva appello la Caia che formulava le
seguenti censure: 1) violazione dell’art. 112 c.p.c.; vizio di
ultrapetizione in relazione alla statuizione che dispone l’aggiunta del
cognome Tizio a Caia; 2) condanna ex art. 96, comma terzo, c.p.c. relativa
al pagamento in favore di Tizio e di Sempronio della somma di € 6500
ciascuno; 3) erronea condanna della convenuta alla rifusione delle spese in
favore delle controparti.
Si è costituito il curatore speciale del minore e Tizio, che hanno
resistito al gravame e ne hanno chiesto il rigetto in quanto infondato in
fatto e diritto e hanno concluso come in epigrafe.
Il procuratore Generale ha concluso per il rigetto dell’appello.
2. Il primo motivo è manifestamente infondato essendo l’attribuzione
del patronimico scelta, anche officiosa, rimessa al prudente apprezzamento
di merito del giudice il quale deve effettuare al proposito le valutazioni
del caso orientate nel senso del preminente interesse del minore ad una
tale attribuzione.
In tal senso è univocamente orientata la copiosa e costante la
giurisprudenza della suprema corte1 sulla base del testo dell’arte 262,
comma quarto, c.c.
Solo in ipotesi di figlio oramai divenuto maggiorenne2 si può porre la
questione della possibilità di una statuizione officiosa.
Gli arresti citati in nota, in particolare il primo e quelli ivi
richiamati, evidenziano come nei confronti di un minore in tenera età
l’esclusione del diritto al cognome paterno potrebbe essere decisa solo in
caso di pregiudizio che ad esso l’attribuzione potrebbe recare, per motivi
che devono essere espressamente enunciati ed essere inerenti ad un
plausibile del danno che al minore ne deriverebbe.
Ad esempio per il discredito sociale che il patronimico porta con sé oppure
in relazione alla situazioni reali di sofferenza o di conflitto
sviluppatesi intorno alla storia di quella singolo nucleo familiare, o,
infine, per altre ragioni parimenti rilevanti e significative tra le quali,
ad esempio, il consolidamento di una identità definitiva del minore nei
suoi rapporti personali e sociali sulla base del solo matronimico.
Nulla di tutto questo emerge – e nemmeno è eccepito in nessun grado – dagli
atti del giudizio.
1 ” Secondo la giurisprudenza di questa Corte, richiamata dallo stesso ricorrente, i criteri di individuazione del cognome
del minore riconosciuto in tempi diversi dai genitori, si pongono in funzione del suo interesse, che è quello di evitare un
danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale, sicché la scelta (anche
officiosa) del giudice è ampiamente discrezionale, con esclusione di qualsiasi automaticità e non può essere
condizionata né dal favor per il patronimico né per un prevalente rilievo della prima attribuzione (v. Cass. n. 12640 del
2015, n. 2644 del 2011, n. 12670 e 23635 del 2009)…”. Estratto dalla motivazione di Cassazione civile sez. VI, 11/07/2017,
n.17139.
2 Cassazione civile sez. I, 02/10/2015, n.1973
3. Gli altri motivi – che per ragioni di connessione logica possono
essere trattati congiuntamente – sono parimenti infondati.
Il tribunale ha ampiamente motivato in relazione tanto alla condanna alle
spese del giudizio, quanto alla condanna ex art. 96, comma terzo, c.p.c.
La specifica pronuncia appare coerente con le evenienze processuali atteso
il comportamento della madre, contraddittorio, altalenante, immotivato
nell’escludere il padre dalla vita del figlio e pregiudizievole per il
figlio stesso, al punto da rendere necessario l’intervento del pubblico
ministero e la nomina di un curatore speciale per promuovere il giudizio
per l’accertamento e la tutela di un diritto ad essa ben noto eppure
reiteratamente negato con condotte finanche ostruzionistiche.
È pur vero che dopo gli esiti degli esami ematologici, la allora convenuta
ha desistito dalla propria condotta, ma è altresì vero che malgrado il
promovimento del giudizio essa ha ancora una volta tentato di impedire
l’accertamento della vera paternità del figlio sostenendo un tardivo
riconoscimento da parte di un soggetto del tutto estraneo alla vicenda, con
espressa richiesta di decisione urgente in ordine a tale riconoscimento.
In un tale agire, la Caia non ha evidentemente ben ponderato gli esiti
della manovra intentata, chiaramente posticcia, che se avesse avuto
successo, avrebbe imposto al minore una paternità falsa.
Se per un verso tale iniziativa è apertamente contraria all’interesse del
figlio, per altro verso ha causato inutili e onerose attività giudiziarie
al padre e al figlio – in tal senso, si osserva che la Caia ha rifiutato la
ragionevole proposta del curatore speciale di Sempronio di procedere ad un
accertamento non contenzioso della paternità del minore – e postergato
senza alcun costrutto l’esito di un giudizio che, anche per lei stessa, era
ben noto.
Le censure proposte appaiono dunque manifestamente infondate e vanno
respinte.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in
dispositivo.
P.Q.M.
La Corte d’Appello di Venezia, definitivamente pronunciando sull’appello
proposto da CAIA contro TIZIO avverso la sentenza del Tribunale di Verona
n. 1343/2017 del 23.5.2017, così dispone:
1) respinge l’appello e per l’effetto conferma integralmente la sentenza
impugnata.
2) Condanna l’appellante al pagamento delle spese di lite in
favore degli appellati costituiti che liquida per competenze
professionali nel presente grado in € 6.615,00, oltre alle spese generali
nella misura del 15% di cui all’art. 2, 2° co., D.M. 55/2014, oltre agli
oneri previdenziali e fiscali se e nella misura del dovuto.
3) Sussistono i presupposti previsti dall’art. 13, comma 1 quater, T.U.S.G.
per l’applicazione a carico di parte appellante dell’obbligo di versare
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per la stessa impugnazione a norma del comma 1 bis.
Così deciso in Venezia, il 15/07/2019.
Il pres. rei. est.
dott. Fabio Laurenzi