Il giudice può provvedere in merito all’educazione religiosa del minore nel giudizio di separazione.

Cass. civ. 30 agosto 2019, n. 21916; Pres. Giancola; Rel. Bisogni.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
L.E., elettivamente domiciliata in Roma, via Giulio Aristide Sartorio 60, presso lo studio dell’avv.
Marco Camarda, che la rappresenta e difende nel presente giudizio, giusta procura speciale in calce
al ricorso, unitamente all’avv. Valerio Borghesiani e dichiara di voler ricevere le comunicazioni
relative al processo agli indirizzi p.e.c. marcocamarda(at)ordineavvocatiroma.org e
valerio.borghesiani(at)ordineavvocatibo.pec;
– ricorrente –
nei confronti di:
M.V.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 3332/2016 della Corte di appello di Milano, emessa il 29 giugno 2016 e
depositata il 25 agosto 2016, n. 2107/2015 R.G.;
sentita la relazione in camera di consiglio del relatore cons. Dott. Giacinto Bisogni;
letta la requisitoria del P.G., in data 11 luglio 2018, con la quale il sostituto procuratore generale,
cons. Dott. SORRENTINO Federico ha chiesto l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso.
Svolgimento del processo
Che:
1. Con sentenza n. 2028/2014 il Tribunale di Como ha pronunciato la separazione personale dei
coniugi L.E. e M.V., affidato il figlio minore G. (nato il (OMISSIS)) congiuntamente ai due
genitori, con le precisazioni di cui in motivazione circa la sua educazione religiosa, ha fissato la sua
residenza presso la madre e disciplinato il diritto di visita del padre cui ha imposto un assegno
mensile di 600 Euro a titolo di contributo al mantenimento del figlio, oltre al 50% delle spese di
istruzione, cura ed educazione. Ha compensato interamente le spese processuali.
2. Ha rilevato il Tribunale che il sig. M. ha espresso decisamente il proprio dissenso a che il
bambino (che è stato battezzato nella Chiesa Cattolica) riceva dalla madre l’istruzione religiosa
propria della dottrina geovista e partecipi con lei alle relative cerimonie presso la Sala del Regno
frequentata dalla L. preferendo che egli esperisca fino alla Cresima il percorso di educazione
religiosa e introduzione ai sacramenti della Chiesa Cattolica, sì da poter conoscere i fondamenti di
detta fede e poter effettuare, da adulto, una scelta consapevole. Ha ritenuto quindi il Tribunale che
stante il contrasto fra i genitori spetta al giudicante la decisione ex art. 337 ter c.c. e ha pertanto
affermato che, “pur astenendosi da ogni intento di discriminazione per ragioni religiose deve
ritenersi che la scelta paterna sia maggiormente rispondente all’interesse del piccolo, consentendogli
più agevolmente la integrazione nel tessuto sociale e culturale del contesto di appartenenza, il quale,
benché notoriamente secolarizzato, resta pur sempre di matrice cattolica (basti pensare al
patrimonio artistico italiano ispirato alla dimensione religiosa cattolica, alla aggregazione giovanile
suscitata a livello parrocchiale con iniziative per bambini e adolescenti legate al catechismo,
oratorio, grest, ecc.); pur con il dovuto rispetto per le credenze della L. non può sottacersi la natura
settaria della comunità religiosa cui ella aderisce, chiusa in sé stessa e ostile al confronto con
qualsivoglia altro interlocutore, essendo legata a una interpretazione formalistica e parziaria di
taluni testi vetero-testamentari, che non ha ispirato (almeno in Italia) alcun prodotto letterario o
artistico avente dignità culturale.
Ovviamente il padre, coerentemente con la sua dichiarata intenzione anche con sacrificio personale
dovrà accompagnare il bambino nel percorso di educazione religiosa da lui prescelto, favorendone
l’inserimento nella comunità parrocchiale di appartenenza e la frequenza alla pratica religiosa via
via richiestagli anche in giornate e orari diversi dal protocollo di visita, se necessario; mentre
correlativamente la madre dovrà responsabilmente astenersi, onde non destabilizzare il bambino,
dall’impartirgli ulteriori insegnamenti della dottrina geovista e dal condurlo alle relative cerimonie”.
3. Ha proposto appello la sig.ra L.E. censurando unicamente le prescrizioni in ordine all’educazione
religiosa del figlio di cui ha chiesto la sospensione e la revoca. Ha affermato l’appellante che
l’ordine impartitole contrasta con i principi della Costituzione italiana e con quello della laicità dello
Stato e, in mancanza di individuazione dell’effettivo, concreto e grave pregiudizio che
dall’insegnamento della dottrina da lei professata deriverebbe al minore, anche con le norme del
diritto comunitario e internazionale. Secondo l’appellante la sentenza è del tutto carente con
riguardo alla motivazione del provvedimento inibitorio, non individuando alcun pregiudizio che il
minore subirebbe per effetto degli insegnamenti religiosi materni; essa inoltre si pone in contrasto
con il principio di bi-genitorialità e con il diritto della madre di trasmettere i propri valori così da
consentire al figlio, una volta raggiunta la necessaria maturità, di effettuare una scelta consapevole
in merito al credo religioso. Infine la sentenza è nulla in quanto affetta dal vizio di ultrapetizione
perché basata sulla necessità di dirimere un conflitto fra i genitori, in realtà insussistente.
4. Il sig. M.V. si è costituito contestando la fondatezza dell’appello e ne ha chiesto il rigetto. Ha
rilevato che il conflitto era insorto dopo la cessazione della convivenza fra i genitori e in seguito
alla adesione della L. alla confessione dei testimoni di Geova. M.G. aveva ricevuto esclusivamente
una educazione religiosa cattolica ed era stato di comune accordo battezzato secondo il rito
cattolico. Ha giustificato la propria opposizione alla trasmissione degli insegnamenti della dottrina
geovista e alla frequentazione delle cerimonie religiose presso la Sala del Tempio ribadendo il
proprio convincimento in ordine all’inopportunità di esporre il bambino a insegnamenti contrastanti
e confusivi.
5. La Corte di appello di Milano, con sentenza n. 3332/2016 ha respinto l’impugnazione della sig.ra
L. e ha compensato interamente le spese processuali anche per il giudizio di appello. La Corte di
appello ha escluso la dedotta nullità per vizio di ultrapetizione essendo emerso chiaramente un
conflitto genitoriale nel corso del giudizio. Ha ritenuto accertato che G. sia stato battezzato secondo
il rito cattolico e che la scelta comune dei genitori, sino all’adesione, successiva alla fine della
convivenza, della L. alla dottrina geovista, sia stata quella di inserire il figlio nella comunità della
Chiesa Cattolica. Ha ritenuto la Corte territoriale che sia rispondente all’interesse del minore
mantenere tale iniziale libera e comune scelta dei genitori consentendo a G. di completare la
formazione religiosa cattolica sino al sacramento della Cresima (e cioè sino ai 12-13 anni), senza
ricevere altri insegnamenti contrastanti con quelli della religione cattolica e senza frequentare
contemporaneamente le adunanze della Sala del Regno.
6. Ricorre per cassazione L.E. affidandosi a tre motivi di impugnazione illustrati da memoria
difensiva.
7. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione del preminente interesse del minore ad una
relazione significativa con entrambi i genitori e a ricevere la loro eredità culturale e religiosa, in
assenza di danni per il minore e dei presupposti legali per proibire alla mamma di G. di coinvolgerlo
nelle sue attività religiose di Testimone di Geova.
8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione della libertà religiosa, del principio di non
discriminazione e di laicità; violazione degli artt. 3, 7, 8, 9, 10, 19, e 101 Cost., degli artt. 8, 9, 14
della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, in
relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
9. Con il terzo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e cioè che la sig.ra L. è
sempre stata Cristiana Testimone di Geova sin da prima il matrimonio e ha trasmesso i suoi valori
religiosi al figlio sin dalla nascita.
10. Non svolge difese M.V.
11. Con requisitoria scritta, depositata in data 11 luglio 2018, il Pubblico Ministero ha chiesto
l’accoglimento per quanto di ragione del ricorso sulla base delle seguenti motivazioni che qui si
riportano: “in materia di famiglia fondata sul matrimonio, vige il principio costituzionale secondo
cui “il matrimonio è ordinato sulla eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti
dalla legge a garanzia dell’unità familiare” (ex art. 29 Cost., comma 2). Prima ancora, è tra gli stessi
diritti inviolabili dell’uomo che si annovera il diritto di libertà religiosa, garantito dalla Costituzione
sia come singolo sia nelle formazioni sociali (art. 2 Cost), in ciò includendosi la famiglia, quale
primo nucleo di naturale aggregazione sociale dell’uomo (ad es. C. Cost. n. 138/2010). Tale diritto
involabile trova anche una sua duplice declinazione da un lato nell’affermazione del principio di
eguaglianza, là dove espressamente garantito (dall’art. 3 Cost.,) anche sotto il profilo religioso,
stante la pari dignità davanti alla legge di tutte le confessioni religiose (art. 8 Cost., comma 1),
dall’altro nella specifica affermazione della libertà religiosa (“tutti hanno diritto di professare
liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda
e di esercitarne in privato o in pubblico il culto”, cfr. art. 19 Cost.) Tale diritto di libertà del
singolo cui corrisponde un diritto-dovere di ciascun genitore di istruire ed educare i figli (art. 30
Cost ., comma 1) può incontrare un limite proprio nel pari diritto dell’altro genitore che abbia un
credo religioso diverso, e, quindi, in un possibile contrasto tra i genitori stessi sul punto, limite che,
là dove sfoci in un insanabile stallo, appare superabile alla luce delle specifiche disposizioni di
legge, adottate sulla base della previsione costituzionale secondo cui si prevede che “nei casi di
incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti” (cfr. art. 30 Cost.,
comma 2) e, comunque, in modo da assicurare adeguata protezione dell’interesse del minore (cfr.
art. 31 Cost., comma 2). Ed è in forza di tali generali disposizioni costituzionali che è prevista
dall’art. 316 c.c.) e, in caso di separazione, dall’art. 337 ter c.c., la soluzione, affidata al giudice, del
contrasto insorto tra i genitori su questioni di particolare importanza (qual è quella appunto relativa
all’educazione religiosa del figlio minore), soluzione che, per legge, va adottata “con esclusivo
riferimento all’interesse morale e materiale” dei figli ad una crescita sana ed equilibrata (cfr. art.
337-ter c.c.), “sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche l’adozione di
provvedimenti” limitativi di pratiche o incontri propri di una determinata confessione religiosa,
come tali “contenitivi o restrittivi di diritti individuali di libertà dei genitori, ove la loro
esteriorizzazione determini conseguenze pregiudizievoli per il figlio che vi presenzi,
compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo” (Cass. n. 12954/2018). Detti principi di
eguaglianza e di libertà di religione sono garantiti anche, come invocato dalla ricorrente, dalla
Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (artt. 14, 8 e 9),
principi di libertà che, secondo la stessa CEDU, possono essere limitati dalla legge da misure
“necessarie, in una società democratica, per la sicurezza pubblica, la protezione dell’ordine, della
salute o della morale pubblica o la protezione dei diritti e delle liberà altrui” (si veda la sentenza
della Corte EDU, del 12 febbraio 2013, Vojnity v. Hungary, secondo cui, in materia di contrasto tra
genitori sull’educazione religiosa da impartire a figli minori, si è ritenuto non accettabile un
“differente trattamento, senza un’obiettiva e ragionevole giustificazione” ovvero basato “sulla sola
differenza di religione”). Orbene, la Corte di appello di Milano (pure superando la motivazione del
giudice di primo grado, che era fondata anche su un’inaccettabile valutazione di disvalore della
religione dei Testimoni di Geova, è incorsa ugualmente in una falsa applicazione dei richiamati
principi di eguaglianza e di libertà religiosa, dando rilievo preminente alla originaria scelta di
entrambi i genitori di battezzare il proprio figlio. Invero la libertà di religione, quale diritto
inviolabile dell’uomo, implica anche la piena libertà di mutare le proprie credenze, senza che
pregresse determinazioni o convinzioni possano costituire un pregiudizio o un limite all’esercizio di
tale libertà. Ciò è del resto esplicitato dall’art. 9, primo paragrafo, della CEDU allorché si stabilisce
che “ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; questo diritto
importa la libertà di cambiare religione o pensiero (…)”. La valutazione dunque della Corte di
appello di ancorare la propria decisione ad una scelta pregressa (anche) della madre (quella cioè di
acconsentire al battesimo), senza considerare l’attualità delle determinazioni religiose della stessa,
non sembra rispettosa dei richiamati principi di libertà. Inoltre la Corte di appello è incorsa in una
seconda falsa applicazione di legge (segnatamente dell’art. 315 bis c.c., comma 3, ed anche dell’art.
336-bis e del combinato disposto di cui agli 337-ter e 337-octies c.c.) allorquando ha ritenuto, nella
valutazione dell’interesse del minore, di adottare il provvedimento inibitorio di cui trattasi (e cioè di
inibire alla madre di “impartire al figlio (prendendo ella stessa l’iniziativa) insegnamenti contrastanti
con quelli della religione cattolica) sulla base di mere affermazioni, non riscontrate da adeguati
elementi: la Corte di appello motiva infatti la decisione “al fine di non creare confusione nel minore,
proponendogli contemporaneamente insegnamenti differenti, con il rischio di disorientarlo, e al
contempo di non “appesantirlo” eccessivamente sotto il profilo della formazione religiosa, con la
contemporanea frequenza sia del catechismo, sia delle riunioni dei Testimoni di Geova”. Anche in
disparte il fatto che la asserita “confusione” o il “rischio di disorientamento” o di “appesantimento”
non individuano, in sé, una scelta di campo tra le due professioni religiose, se non in forza di un
“pregiudizio” nei confronti della religione geovista rispetto a quella cattolica, la ricorrente
fondatamente sottolinea con il primo motivo che “non vi è nessuna prova che le pratiche religiose
della L. siano pregiudizievoli” e con il secondo motivo che “i giudici di merito non hanno ritenuto
necessario né disporre l’audizione del minore né richiedere l’ausilio di una consulenza tecnica
d’ufficio che era stata addirittura richiesta dal M.”. In effetti, il procedimento in questione è stato
instaurato in primo grado in data 5/10/2011 e quindi anteriormente al 1/1/2013 data di entrata in
vigore della legge. n. 219 del 2012, abrogativa dell’art. 155- sexies c.c.. Dalla predetta nuova
disciplina normativa l’ascolto del minore è previsto dall’art. 315-bis c.c., comma 3, e, dopo l’entrata
in vigore (7 febbraio 2014) del D.L.gs. n. 154 del 2013, anche dall’art. 336-bis e dagli 337-ter e
337-octies c.c.. Peraltro l’obbligatorietà dell’audizione del minore anche nel regime giuridico
previgente era stata sancita dal fermo orientamento della Corte (tra le più recenti Cass. 11687 del
2013, ribadito da Cass. n. 6129/2015). In particolare è stato affermato (cfr. Cass. 19202 del 2014,
richiamata da cit. Cass. n. 6129/2015) che l’audizione è “una caratteristica strutturale del
procedimento, diretta ad accertare le circostanze rilevanti al fine di determinare quale sia l’interesse
del minore ed a raccoglierne opinioni e bisogni in merito alla vicenda in cui è coinvolto”. L’iniziale
qualificazione giuridica dell’ascolto come un elemento necessario dell’istruzione probatoria nei
procedimenti riguardanti i minori è stata ritenuta del tutto riduttiva al fine di comprendere la natura
e la funzione dell’adempimento. L’ascolto costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di
riconoscimento del diritto fondamentale del minore ad essere informato ed esprimere la propria
opinione e le proprie opzioni nei procedimenti che lo riguardano, costituendo tale peculiare forma
di partecipazione del minore alle decisioni che lo investono uno degli strumenti di maggiore
incisività al fine del conseguimento dell’interesse del medesimo, tanto che anche nella vigenza
dell’art. 155 sexies c.c., l’audizione doveva essere disposta in caso di minore dodicenne ovvero
anche se di età inferiore ove ritenuto capace di discernimento (Cass. S.U. 22238 del 2009; 5547 del
2013, 11687 del 2013). L’importanza dell’obbligo di ascolto del minore infradodicenne capace di
discernimento – direttamente da parte del giudice ovvero, su mandato di questi, di un consulente o
del personale dei servizi sociali -, è tale che, secondo Cass. n. 19327 del 2015 (proprio in tema di
separazione personale), esso “costituisce adempimento previsto a pena di nullità ove si assumano
provvedimenti che lo riguardino, salvo che il giudice non ritenga, con specifica e circostanziata
motivazione, l’esame manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore” (cfr. da
ultimo anche Cass. n. 12957/2018). Orbene, al tempo del giudizio di appello conclusosi nel 2016 il
minore aveva già compiuto sette anni, ma la Corte di appello (a ciò obbligata, Cass. n. 15365/2015)
non ha proceduto ad alcuna audizione, né direttamente, né attraverso esperti, non dando alcuna
contezza di tale mancanza. In effetti, nei più recenti precedenti della Corte di cassazione, che hanno
affrontato analoghe questioni di contrasto nell’educazione religiosa di figli minori tra genitori di
differente credo religioso (cattolico e geovista), i giudici di merito avevano sempre proceduto a
c.t.u. sul minore (anche di anni 4/5, Cass. n. 9546/2012, nonché Cass. n. 12954/2018) ovvero
acquisendo una relazione da parte dei servizi sociali del Comune (Cass. n. 24683/2013). In carenza
di tali elementi il ricorso appare fondato anche sotto i menzionati profili.
Motivi della decisione
Che:
12. I tre motivi di ricorso devono essere esaminati congiuntamente per la loro evidente connessione.
13. La Corte ritiene la requisitoria del Procuratore Generale pienamente condivisibile e coerente alla
giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. civ., sezione I, n. 12594 del 24 maggio 2018, n. 9546 del 12
giugno 2012, n. 24683 del 4 novembre 2013) secondo, cui in tema di affidamento dei figli, il
criterio fondamentale cui deve attenersi il giudice nel fissare le relative modalità, in caso di conflitto
genitoriale, è quello del superiore interesse del minore, stante il suo diritto preminente ad una
crescita sana ed equilibrata, sicché il perseguimento di tale obiettivo può comportare anche
l’adozione di provvedimenti, relativi all’educazione religiosa, contenitivi o restrittivi dei diritti
individuali di libertà dei genitori, ove la loro esplicazione determinerebbe conseguenze
pregiudizievoli per il figlio, compromettendone la salute psico-fisica o lo sviluppo.
14. Tuttavia la possibilità di adottare simili provvedimenti restrittivi, in presenza di una situazione
di conflitto fra i due genitori che intendano entrambi trasmettere la propria educazione religiosa e
non siano in grado di rendere compatibile il diverso apporto educativo derivante dall’adesione a un
diverso credo religioso, non può essere disposta dal giudice sulla base di una astratta valutazione
delle religioni cui aderiscono i genitori e che esprima un giudizio di valore precluso all’autorità
giudiziaria dal rilievo costituzionale e convenzionale Europeo del principio di libertà religiosa. Né
tale possibilità può basarsi sulla considerazione della adesione successiva di uno dei due genitori a
una religione diversa rispetto a quella che precedentemente era seguita e praticata da entrambi e
che, originariamente, è stata trasmessa al figlio o ai figli come religione comune della famiglia
perché tale criterio astratto lederebbe il mantenimento di un rapporto equilibrato e paritario con
entrambi i genitori rimanendo insensibile alle scelte di vita in divenire dei genitori. Ne deriva che la
possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti
individuali di libertà dei genitori in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo è
strettamente connessa e può dipendere esclusivamente dall’accertamento in concreto di conseguenze
pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo e tale
accertamento non può che basarsi sull’osservazione e sull’ascolto del minore in quanto solo
attraverso di esse tale accertamento può essere compiuto.
15. Il ricorso va pertanto accolto affinché la Corte di appello rivaluti la controversia alla luce dei
principi di diritto sopra enunciati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano
che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone
omettersi qualsiasi riferimento alle generalità e agli altri elementi identificativi delle parti nella
pubblicazione della presente sentenza.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 14 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 30 agosto 2019