In caso di divorzio il parametro a cui fare riferimento per l’assegno non può essere costituito dal tenore di vita pregresso.

Cass. civ. Sez. I, 9 agosto 2019, n. 21228
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17744/2017 proposto da:
F.P., domiciliato in Roma, piazza Adriana 5, presso lo studio dell’avvocato Michele Rossetti, che lo rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Lorenzo Iacobbi, giusta procura in atti;
– ricorrente –
contro
C.C.;
– intimata –
Avverso sentenza della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 28/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2019 dal cons. Dott. MAURO DI MARZIO;
Udito il Pubblico Ministero che ha concluso per il rigetto.
Svolgimento del processo
1. – Con sentenza del 28 aprile 2017 la Corte d’appello di Roma ha respinto gli appelli proposti in via principale da C.C. ed in via incidentale da F.P. avverso la sentenza del Tribunale di Velletri che, per quanto ancora rileva, aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto dai due, ponendo a carico del F. un assegno divorzile della misura di Euro 300,00 mensili, da rivalutarsi annualmente secondo gli indici Istat.
Ha osservato la Corte territoriale:
-) che nel periodo di convivenza coniugale la coppia aveva mantenuto un buon tenore di vita grazie al patrimonio immobiliare, successivamente diviso tra i due in forza di accordo transattivo, e dalla retribuzione del F., ufficiale della Guardia di Finanza, mentre la C. aveva svolto l’attività di parrucchiera soltanto nei primi anni di matrimonio, essendosi in seguito dedicata alla famiglia;
-) che occorreva accertare se la C. fosse nelle condizioni di poter mantenere analogo tenore di vita attraverso i suoi mezzi attuali anche potenziali;
-) che ella non aveva oneri locativi, poiché abitava uno degli appartamenti di cui era divenuta proprietaria esclusiva, era proprietaria di ulteriori due immobili, suscettibili di essere messi a reddito, e svolgeva inoltre l’attività di parrucchiera sia presso la propria abitazione che al domicilio delle clienti;
-) che i guadagni realizzabili attraverso l’attività di parrucchiera dovevano presumersi modesti e dunque inidonei ad assicurare alla C. il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, con conseguente suo diritto all’assegno di divorzio;
-) che il F. doveva contribuire al mantenimento di un figlio nato da una nuova unione;
-) che, in definitiva, poteva confermarsi la statuizione del primo giudice in ordine alla quantificazione dell’assegno della misura di Euro 300 mensili, tenuto conto della disparità reddituale tra gli ex coniugi e del nuovo onere familiare del F..
2. – Per la cassazione della sentenza F.P. ha proposto ricorso per due mezzi.
C.C. non ha spiegato difese.
3. – Con ordinanza del 28 marzo 2019, numero 8705, questa Corte ha rinviato la causa alla pubblica udienza ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., u.c., ritenendo che essa dovesse essere discussa con specifico riferimento alla questione della compatibilità della sentenza impugnata con la sentenza delle Sezioni Unite numero 18287 dell’11 luglio 2018, secondo cui la funzione riequilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
4. – Il P.G. ha concluso per il rigetto.
Motivi della decisione
1. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dellaL. n. 898 del 1970,art.5, comma 6, così come modificata dallaL. n. 74 del 1987, avendo la Corte d’appello erroneamente ritenuto che la C. abbia diritto all’assegno di divorzio in quanto priva di mezzi di sostentamento adeguati ove rapportati al tenore di vita tenuto dalla coppia in costanza di matrimonio.
Il secondo motivo denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’appello omesso di considerare adeguatamente la modificazione del quadro degli oneri familiari del F. in ragione della nascita nel 2016 di un figlio nato dalla relazione con l’attuale compagna.
2. – Il ricorso va accolto nei limiti che seguono.
2.1. – Il primo motivo va accolto.
La sentenza impugnata, pronunciata prima di Cass. 10 maggio 2017, n. 11504 e, da ultimo, di Cass., Sez. Un., 11 luglio 2018, n. 18287, ha fondato la propria decisione sull’orientamento giurisprudenziale, all’epoca discusso in dottrina, ma sufficientemente fermo in giurisprudenza, sulla scia di Cass., Sez. Un., 29 novembre 1990, n. 11490, secondo cui l’assegno di divorzio, nonostante la molteplicità di parametri indicati dallaL. n. 898 del 1970,art.5, comma 6nel testo tuttora vigente, ha natura assistenziale e deve essere concesso tutte le volte in cui il coniuge richiedente non dispone di mezzi sufficienti a mantenere il “tenore di vita” goduto durante la vita coniugale.
E’ cosa nota che la citata pronuncia del 2017, ha sancito l’abbandono dell’indirizzo di cui si è detto, secondo il quale il giudizio di adeguatezza previsto dal citato art. 5, comma 6 (“dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”) andrebbe formulato in relazione al parametro del “tenore di vita”, ed ha stabilito, in breve, che, in punto di an, l’assegno non spetta al coniuge economicamente autosufficiente: il giudizio di adeguatezza, che per le Sezioni Unite del 1990 andava rapportato al “tenore di vita”, va viceversa parametrato, per la decisione del 2017, all’autosufficienza economica del coniuge richiedente.
L’aspetto saliente della decisione del 2017, la quale si pone in continuità con il precedente del 1990, laddove attribuisce all’assegno funzione essenzialmente assistenziale, risiede in ciò, che il giudizio in ordine al diritto all’assegno si articola in due fasi nettamente distinte, l’una, attinente all’an, incentrata sul principio di autoresponsabilità e tradotta nella regola applicativa testé menzionata, fondata sulla verifica dell’autosufficienza economica del coniuge richiedente, l’altra, concernente il quantum, e destinata ad avere ingresso solo in caso di esito positivo della prima, e cioè di non autosufficienza del coniuge, basata sull’applicazione dei criteri elencati dalla norma al fine della concreta determinazione dell’assegno: condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi, durata del matrimonio.
Le Sezioni Unite hanno per gli aspetti centrali dato continuità alla decisione del 2017, mentre, per altri aspetti, hanno integrato i principi da essa formulati:
-) la continuità sta in ciò, che la decisione delle Sezioni Unite ha confermato il definitivo abbandono del parametro del “tenore di vita”, e, profilo non meno significativo, ha condiviso il riparto degli oneri probatori definito nel 2017, sicché il coniuge richiedente deve provare la situazione che giustifica la corresponsione dell’assegno;
-) la novità sta in ciò, che la sentenza del 2018 ha riconosciuto all’assegno di divorzio una funzione non già soltanto assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non gli garantisca l’autosufficienza), ma anche riequilibratrice, ovvero, come pure vi si afferma, compensativo-perequativa, ove ne sussistano i presupposti (ossia alla condizione, necessaria ma come si dirà non sufficiente, che le situazioni economico-patrimoniali dell’uno e dell’altro coniuge, all’esito del divorzio, siano squilibrate, quantunque entrambi versino in situazione di autosufficienza), per la cui verifica è bandita la separazione tra criteri attributivi, tali da incidere sull’an del diritto all’assegno, e criteri determinativi, da utilizzarsi solo successivamente ai fini della fissazione del quantum.
Ferma in ogni caso la funzione assistenziale, in ipotesi di ex coniuge non economicamente autosufficiente, volendo sintetizzare, le Sezioni Unite hanno giudicato eccessivamente rigido il congegno fissato nel 2017, scandito dalla netta separazione del giudizio sull’an da quello sul quantum, ed hanno evidenziato taluni aspetti non coperti dall’applicazione del nuovo indirizzo, in particolare non idoneo a far fronte a quei casi in cui l’ex coniuge richiedente, massime nel quadro di un rapporto matrimoniale protrattosi per lungo tempo, pur versando all’esito del divorzio in situazione di autosufficienza economica, si trovi rispetto all’altro in condizioni economico-patrimoniali deteriori per aver rinunciato, in funzione della contribuzione ai bisogni della famiglia, ad occasioni in senso lato reddituali, attuali o potenziali, ed abbia in tal modo sopportato un sacrificio economico, a favore del coniuge, che meriti un intervento, come è stato detto, compensativo-perequativo. Difatti, affermano le Sezioni Unite, “l’impegno all’interno della famiglia può condurre all’esclusione o limitazione di quello diretto alla costruzione di un percorso professionale-reddituale”, sicché occorre tener “conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente”.
Ora, se è pur vero che la pronuncia delle Sezioni Unite riafferma, in tal modo, l’esistenza di un dovere di solidarietà post-coniugale (Cass. 23 aprile 2019, n. 11178) che la decisione del 2017 aveva circoscritto entro un ambito ridotto, quello della correzione delle sole situazioni di non autosufficienza, sarebbe tuttavia un errore enfatizzare eccessivamente tale aspetto e leggere nella pronuncia delle Sezioni Unite una netta presa di distanza, un’inversione di tendenza rispetto a quella del 2017. Le Sezioni Unite, difatti, confermano e ribadiscono, come si diceva, il punto centrale, ossia, se così si può dire, che ciò che è finito è finito, quod vides perisse perditum ducas, sicché non ha alcun fondamento la pretesa di un ex coniuge di mantenere il tenore di vita precedente: “L’accertamento del giudice non è conseguenza di un’inesistente ultrattività dell’unione matrimoniale, definitivamente sciolta tanto da determinare una modifica irreversibile degli status personali degli ex coniugi”, sicché: “il… profilo perequativo non si fonda su alcuna suggestione criptoindissolubilista… ma esclusivamente sul rilievo che tale principio assume nella norma regolativa dell’assegno”, occorrendo infine prendere atto della “piena ed incondizionata reversibilità del vincolo coniugale”. E dunque, sciolto il vincolo coniugale, ciascun ex coniuge, almeno in linea di principio, volendo esprimere il concetto con le parole del BGB, deve provvedere al proprio mantenimento. In forza della norma sull’assegno tuttavia, tale principio è derogato, oltre che nel caso di non autosufficienza di uno degli ex coniugi, nel caso in cui il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale divenuto ingiustificato ex post dall’uno all’altro coniuge, spostamento patrimoniale che, in tal caso, e solo in tal caso, va corretto attraverso l’assegno, in funzione compensativo-perequativa.
In breve, l’assegno risponde anzitutto e per lo più ad un’esigenza assistenziale, esigenza che – il punto non ha bisogno di essere sottolineato – le Sezioni Unite non hanno affatto inteso cancellare e danno invece per scontata (v. sul profilo assistenziale Cass. 5 marzo 2019, n. 6386). In taluni casi, però, l’assegno può rispondere, in tutto o in parte, ad una finalità compensativo-perequativa, tanto in ipotesi in cui il coniuge richiedente sia economicamente autosufficiente, ed allora la finalità sarà solo compensativo-perequativa, tanto in ipotesi in cui il coniuge richiedente non sia economicamente autosufficiente, ed allora la finalità sarà compensativo-perequativa ed assorbirà quella assistenziale.
Nell’esaminare la domanda di assegno occorre perciò procedere come segue:
-) il giudice deve verificare se, a seguito del divorzio, si sia determinata tra gli ex coniugi, come dicono le Sezioni Unite, una “rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale”, sicché, se non v’è disparità, o se la disparità non è rilevante, non v’è assegno;
-) se invece la disparità c’è, può darsi che l’uno dei coniugi versi in situazione di non autosufficienza economica, autosufficienza, beninteso non certo da intendere quale parametrata allo standard della mera sussistenza, come ritenuto da qualche fin troppo zelante decisione di merito, ma ancorata ad un criterio di normalità (Cass. 7 febbraio 2018, n. 3015), come tale necessariamente relativo, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive, nel qual caso l’assegno deve essere adeguato a colmare lo scarto tra detta situazione ed il livello dell’autosufficienza come individuato dal giudice di merito;
-) in presenza di una situazione di “rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale”, può accadere altresì che detto squilibrio sia “da ricondurre eziologicamente alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari”, e cioè che gli allora coniugi abbiano, di comune accordo, convenuto che uno di essi sacrificasse le proprie realistiche prospettive professionali-reddituali agli impegni casalinghi, così da ritrovarsi, a matrimonio finito, nella condizione di casalingo-casalinga e non in quella alla quale tale coniuge avrebbe potuto ambire;
-) occorre in tale eventualità stabilire se tale squilibrio economico-patrimoniale abbia le sue radici nelle scelte compiute dagli allora coniugi nell’indirizzare l’assetto del mènage matrimoniale, tali da sacrificare le prospettive economico-patrimoniali dell’uno a favore di quelle dell’altro, sicché non rilevano squilibri economico-patrimoniali, pur sopravvenuti al matrimonio, che abbiano altra fonte, qual è, tra le altre, la maggiore attitudine dell’uno a produrre ricchezza;
-) nell’eventualità ora menzionta, tenuto conto delle circostanze del caso, e comunque della durata del matrimonio e dell’età del richiedente, ove il contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole abbia inciso sulla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi, l’assegno è dovuto in misura adeguata ad operare il necessario riequilibrio, riequilibrio che, mirando a porre il coniuge richiedente nella posizione in cui si sarebbe trovato se non avesse affrontato il sacrificio di cui si è detto, assorbe, come accennato, la funzione assistenziale.
Ora, è del tutto evidente che l’accertamento che il giudice effettuava nello scrutinate il tenore di vita non è l’accertamento che occorre compiere al fine di verificare se sussistano i presupposti per il riconoscimento dell’assegno in funzione compensativo-perequativa (in tal senso v. già Cass. 23 aprile 2019, n. 11178, in motivazione).
Nell’un caso era necessario e sufficiente stabilire quale fosse il tenore di vita della coppia in costanza di matrimonio e quale fosse il tenore di vita che poteva permettersi l’ex coniuge richiedente dopo il divorzio. Nell’altro caso occorre oggi stabilire, superato lo scrutinio del profilo dell’autosufficienza, ove vi sia una prospettazione in tal senso, se, a causa del matrimonio, si sia determinato uno spostamento patrimoniale, meritevole di riequilibrio attraverso l’assegno, da un coniuge all’altro. Per il che, come accennato, bisogna verificare:
i) se tra gli ex coniugi, a seguito del divorzio, si sia determinato o aggravato uno squilibrio economico-patrimoniale prima inesistente ovvero di minori proporzioni;
ii) se, in costanza di matrimonio, gli allora coniugi abbiano convenuto che uno di essi sacrificasse le proprie prospettive economico-patrimoniali per dedicarsi al soddisfacimento delle incombenze familiari;
iii) se tali scelte abbiano inciso sulla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi, giacché, in c. contrario, non vi è alcuno spostamento patrimoniale da riequilibrare, con la precisazione che l’onere della prova sul punto ricade sul coniuge richiedente, il quale potrà se del caso avvalersi del sistema delle presunzioni, purché nel rispetto del paradigma di gravità, precisione e concordanza, sicché non potrà il giudice di merito presumere, così e semplicemente, che il non avere un coniuge svolto alcuna attività lavorativa sia da ascrivere ad una concorde scelta comune ad entrambi i coniugi, e men che meno che abbia senz’altro contribuito al successo professionale dell’altro;
iv) quale sia l’entità concreta dello spostamento patrimoniale, e la conseguente esigenza di riequilibrio, causalmente rapportabile “alle determinazioni comuni ed ai ruoli endofamiliari”;
v) se e in che misura l’esigenza di riequilibrio non sia già coperta dal regime patrimoniale prescelto, giacché, se i coniugi abbiano optato per la comunione, ciò potrà aver determinato un incremento del patrimonio del coniuge richiedente, tale da escludere o ridurre la detta esigenza.
Insomma, la correzione delle Sezioni Unite non sta a significare, mai e in nessun caso, che l’uno ex coniuge possa vivere a rimorchio dell’altro, ma soltanto che nessuno dei due ex coniugi può lucrare sulle rinunce dell’altro.
In definitiva, il giudice deve quantificare rassegno rapportandolo non al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata innanzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l’indipendenza economica del coniuge non autosufficiente, intendendo l’autosufficienza in una accezione non circoscritta alla pura sopravvivenza, ed inoltre, ove ne ricorrano i presupposti, a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato, in funzione della contribuzione ai bisogni della famiglia, a realistiche occasioni professionali-reddituali, attuali o potenziali, rimanendo in ciò assorbito, in tal caso, l’eventuale profilo assistenziale.
Nel caso in esame, alla Corte territoriale è stato sufficiente, in applicazione dell’indirizzo giurisprudenziale al tempo seguito, osservare che la richiedente, la quale aveva svolto l’attività di parrucchiera nei primi anni di matrimonio, per poi dedicarsi all’organizzazione familiare, aveva ripreso a svolgere la stessa attività, ma solo presso la propria abitazione o a domicilio, ricavandone presumibilmente un reddito modesto. Con la conseguenza che la donna non poteva godere del tenore di vita preesistente.
Occorre invece stabilire, in ossequio all’indirizzo segnato dalle Sezioni Unite, e nel rispetto del riparto degli oneri probatori cui si è accennato: a) se tra i coniugi vi sia uno squilibrio nella situazione economico patrimoniale; b) se tale squilibrio sia rilevante; c) se esso preesistesse al matrimonio oppure se sia stato determinato dall’avere i coniugi convenuto, in costanza di matrimonio, che la C. lasciasse la propria attività per dedicarsi alle incombenze della vita familiare; d) se l’avere la C. lasciato la propria attività abbia inciso sulla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi; e) quale sia l’ipotetica, eventuale misura che l’assegno debba avere, tenuto conto dell’insieme dei parametri normativamente considerati, nonché dell’assetto economico che, nella vicenda in discorso, le parti si sono date.
Tra i detti parametri – occorre osservare per il rilievo che il punto ha in riferimento al secondo motivo – sono considerate anche le “condizioni dei coniugi”, le quali hanno ad oggetto molteplici aspetti, tra cui è senz’altro ricompresa anche l’eventualità che ciascuno di essi abbia formato una nuova famiglia, con tutto quanto ne consegue in ordine alla considerazione degli oneri economici da tenere a mente per i fini della verifica della sussistenza della situazione di disparità economico-patrimoniale.
2.2. – Di guisa che, nella specie, il secondo motivo è assorbito.
3. – La sentenza impugnata è cassata e rinviata alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, che si atterrà a quanto dianzi indicato e provvederà anche sulle spese di questo giudizio di legittimità.
4. – Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione; dispone l’oscuramento.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile il 4 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 9 agosto 2019