Il magistrato deve improntare il proprio comportamento al canone di leale collaborazione
Cassazione Sez. Un. Civili, 26 Luglio 2018, n. 19873. Est. Lucia Tria.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Svolgimento del processo
1. Il dottor *, quale Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’appello di * assegnato al “settore demolizioni”, è stato incolpato dei seguenti illeciti disciplinari:
a) illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, artt. 1 e 2, comma 1, lett. d), per avere, nell’esercizio delle sue funzioni, mancando al corrispondente dovere, tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti dell’Avvocato Generale, impegnato nella ricognizione del suddetto settore e del suo corretto funzionamento, rispondendo in modo evasivo, con tono polemico e irridente ad una nota in data 8 luglio 2016 dell’Avvocato Generale con la quale si chiedevano dettagliate notizie sul funzionamento del settore medesimo, con particolare riferimento, al ruolo delle società * e *. – diverse dai soggetti ufficialmente incaricati delle demolizioni – nell’ambito di due specificate procedure RESA (Registro Esecuzione Sentenze Abbattimenti) all’epoca oggetto di verifica da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di * (che poi aveva trasmesso gli atti per competenza alla Procura della Repubblica di Roma) nonchè di chiarire a chi fossero stati liquidati i compensi per le demolizioni eseguite nell’ambito di certe procedure, onde stabilirne i reali esecutori (primo addebito);
b) illecito disciplinare di cui al D.Lgs. n. 109 del 2006, art. 2, lett. ff), per avere, nell’esercizio delle sue funzioni, adottato provvedimenti indebiti sulla base di grave e inescusabile negligenza, costituiti da indebite nomine (seguite da indebiti decreti di liquidazione dei compensi) di consulenti tecnici nell’ambito di due procedure di demolizione (secondo addebito).
2. Sulle incolpazioni la Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura s’è pronunciata con sentenza n. 1 del 2018, depositata l’8 gennaio 2018, con la quale ha assolto il * da entrambe le incolpazioni ascrittegli per essere rimasti esclusi gli addebiti.
3. In sintesi:
a) il primo addebito è stato escluso per la ritenuta esaustività della risposta fornita dall’incolpato al superiore gerarchico, anche alla luce della effettiva notorietà della regolamentazione ed attuazione delle procedure di demolizione stabilite e attuate dallo stesso Ufficio che aveva chiesto al magistrato incolpato gli elementi di conoscenza in contestazione. Si è aggiunto che, di conseguenza, con la nota dell’8 luglio 2016 di fatto il dottor * era stato chiamato rispondere del proprio operato, sicchè le proprie esigenze difensive giustificavano il contenuto e il tono delle risposte, comprese quelle soltanto “negative”, le quali peraltro sono state considerate “esaustive”, in quanto era pacifico che le società * e * non fossero state incaricate delle demolizioni in oggetto e che il concetto di “subappalto” fosse estraneo all’incarico conferito dall’Autorità Giudiziaria;
b) il secondo addebito è stato escluso, sull’assunto secondo cui il magistrato non poteva fare altro che liquidare i compensi ai consulenti tecnici nominati. In particolare, esaustiva è stata considerata, ai fini di una compiuta risposta al quesito relativo ai soggetti beneficiari delle liquidazioni dei compensi, la produzione da parte dell’incolpato dei provvedimenti di liquidazione concernenti le suddette procedure, non essendovi spazi per legittimare il mancato pagamento dei compensi alle ditte formalmente incaricate, pur in presenza di un subappalto, essendo altrimenti ipotizzabile un indebito arricchimento dell’Amministrazione.
3. Contro la suddetta sentenza ricorre il Procuratore Generale presso questa Corte di cassazione chiedendone l’annullamento per due motivi 4. Resiste, con controricorso, il dott. *, mentre il Ministro della Giustizia resta intimato.
Motivi della decisione
1 – Sintesi delle censure.
1. Il ricorso è articolato in due motivi, con i quali si denunciano, rispettivamente:
1.1. inosservanza ed erronea interpretazione delle norme del codice di procedura penale che disciplinano la nomina dei consulenti tecnici da parte del Pubblico ministero, per quanto concerne l’esclusione del secondo capo di incolpazione (art. 359 cod. proc. pen.) – primo motivo;
1.2. vizio di motivazione, come mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, con riferimento all’esclusione del primo capo di incolpazione – secondo motivo.
2. Nel primo motivo si sottolinea come le ragioni esposte nella sentenza a sostegno dell’esclusione dell’addebito rappresentano una “deviazione dai principi del processo penale” in base ai quali il consulente tecnico del PM non è un qualsiasi fornitore di servizi privatistici – che sono quelli evocati nella sentenza attraverso il richiamo della figura del subappalto – infatti si tratta di un “pubblico ufficiale incaricato dell’esercizio di una funzione ausiliaria dell’ambito dell’esercizio della giurisdizione”. Ne deriva che negli uffici – così come alla Procura Generale di * all’epoca dei fatti – sono previste, con varie modalità, delle elencazioni dei professionisti nominabili come consulenti, per requisiti tecnici e giuridici (in primo luogo: incensuratezza e assenza di situazioni di conflitto di interessi), sicchè viola clamorosamente la legge un comportamento, come quello posto in essere dall’incolpato, consistente nell’accettare la sostituzione di fatto del consulente tecnico nominato con altro qualunque soggetto neppure conosciuto e poi oltretutto considerare doverosa la liquidazione del compenso al consulente nominato, che però non ha svolto alcuna attività, paventando incredibilmente l’eventuale indebito arricchimento dell’Amministrazione Giudiziaria, come si afferma nella sentenza impugnata.
3. Con il secondo motivo si rileva che l’assoluzione dal primo capo di incolpazione è stata pronunciata dalla Sezione disciplinare del CSM sulla base di una ricostruzione dei fatti che non corrisponde a quanto è accaduto.
Infatti, l’Avvocato Generale con la richiamata nota in data 8 luglio 2016 aveva chiesto al dottor * non notizie sui protocolli riguardanti le procedure di demolizione, ma specifiche notizie relative alle procedure RESA (Registro Esecuzione Sentenze Abbattimenti) n. 14/2007 e n. 87/2012 con riferimento alla posizione di due società rispettivamente: * srl e * srl – che avevano operato in esse senza essere quelle originariamente incaricate delle demolizioni. Poichè all’epoca tali procedure erano oggetto di verifica da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di * Nord (che poi aveva trasmesso gli atti per competenza alla Procura della Repubblica di Roma), l’Avvocato Generale voleva precise informazioni al riguardo, intendendo sapere se comunque tali società avessero o meno un’autorizzazione della Procura Generale per svolgere la loro opera, se questo fosse accaduto in altri casi e a favore di chi fossero stati liquidati i compensi per le demolizioni.
Il dottor * su questi punti qualificanti della nota si è limitato a dare “risposta negativa”.
In questa situazione, la Sezione Disciplinare, anzichè considerare tale risposta irriguardosa – perchè reticente – ha ritenuto tutte le risposte “comunque esaustive”, visto che “era pacifico che le società * e * non fossero state incaricate”.
2 – Esame delle censure.
3. Il ricorso è da accogliere, nei limiti di seguito esposti.
4. Il primo motivo va respinto, ma la relativa motivazione deve essere puntualizzata.
4.1. In particolare, dall’accertamento dei fatti quale risulta dalla sentenza impugnata – e non è specificamente contestato, sul punto, nel ricorso – si evince, nell’ambito delle due procedure RESA in argomento, il ruolo delle società * srl e * srl non incaricate delle demolizioni è stato marginale e accessorio essendo stato appurato che esse si trovavano nei cantieri soltanto per svolgere l’attività di trasporto dei rifiuti prodotti dai cantieri stessi e non per effettuare l’attività di demolizione formalmente affidata ad altre società.
In particolare, nella sentenza impugnata (v. p. 11) si precisa che lo stesso Avvocato Generale aveva evidenziato che la società * (poi divenuta *) per la ditta incaricata delle demolizioni avrebbe soltanto effettuato il trasporto dei rifiuti prodotti dal cantiere.
Questo porta ad escludere che possa essere addebitato all’incolpato di avere, sulla base di grave e inescusabile negligenza, adottato nell’esercizio delle proprie funzioni, provvedimenti indebiti, costituiti da indebite nomine (seguite da indebiti decreti di liquidazione dei compensi) di consulenti tecnici nell’ambito di due procedure di demolizione, come indicato nel secondo capo di incolpazione, visto che non risulta provato che vi sia stata una vera e propria sostituzione per l’attività di demolizione delle società affidatarie con quelle rinvenute nei cantieri e tanto meno che tale sostituzione sia stata scientemente “accettata” dal *.
Pertanto, nella situazione data, non si poteva fare altro che pagare le ditte che erano state incaricate delle demolizioni, come si afferma nella sentenza impugnata.
4.2. Va, tuttavia, rilevato che a questa esatta conclusione nella sentenza si perviene con una motivazione nella quale si afferma che non vi erano spazi per legittimare il mancato pagamento dei compensi alle ditte formalmente incaricate, pur in presenza di un subappalto, essendo altrimenti ipotizzabile un indebito arricchimento dell’Amministrazione.
Ebbene, come sottolineato anche dal ricorrente, il richiamo della disciplina (del trasferimento d’azienda e) del subappalto – e di un ipotetico “indebito arricchimento” dell’Amministrazione – è del tutto improprio con riferimento alla peculiare figura del consulente tecnico del pubblico ministero, che a differenza dei consulenti tecnici nominati dalle parti private, chiamati a svolgere un ruolo di ausilio alla difesa e quindi equiparati al difensore, quanto a funzioni e garanzie – ripete “dalla funzione pubblica dell’organo che coadiuva i relativi connotati” (Cass pen. SU 27 giugno 2013, n. 43384 e SU 25 settembre 2014, n. 51824; Corte cost., sentenza n. 163 del 2014).
In particolare, con consolidata giurisprudenza, è stato affermato che tra il consulente tecnico del pubblico ministero e l’Amministrazione della Giustizia si configura un rapporto di servizio, atteso che tale consulente è abilitato a svolgere un’attività del P.M., che questi potrebbe compiere direttamente se avesse le specifiche competenze necessarie e, pertanto, pur se nei limiti posti dalla norma che ne prevede la nomina (art. 359 c.p.p.), il consulente del P.M. concorre oggettivamente all’esercizio della funzione giudiziaria e può anche essere chiamato a rispondere della sua attività dinanzi alla Corte dei conti (Cass. civ. SU 30 dicembre 2011, n. 30786; SU 28 dicembre 2017, n. 31107).
4.3. Ne consegue che, ex art. 384 c.p.c., u.c., la motivazione relativa al secondo capo di incolpazione deve essere corretta nel senso di ritenere la relativa assoluzione come derivante dalla indimostrata sussistenza, nei fatti, della violazione dei principi che, nell’ambito del processo penale, regolano la nomina e le funzioni della particolare figura del consulente del P.M. per non essere emersa la sussistenza di una illegittima sostituzione del consulente formalmente nominato (cioè delle società incaricate delle demolizioni in oggetto).
5. Il secondo motivo deve, invece, essere accolto.
5.1. Tutti i magistrati – e, per quel che qui interessa, quelli in servizio presso gli Uffici di Procura – sono chiamati a svolgere le proprie funzioni improntando il loro comportamento con i superiori, colleghi e il personale dell’Ufficio in cui lavorano al canone di leale collaborazione (vedi, da ultimo art. 2, Circolare sulla organizzazione degli Uffici di Procura – delibera CSM del 16 novembre 2017).
5.2. Ebbene, nella presente vicenda, le reticenze e il tono stizzito ed irridente delle risposte fornite dal dott. * alle specifiche domande rivoltegli dall’Avvocato generale sull’organizzazione dell’Ufficio demolizioni e sulla posizione delle ditte * e * in due procedure non appaiono conformi a tale canone, in quanto:
a) l’effettiva notorietà della regolamentazione ed attuazione delle procedure di demolizione stabilite e attuate dallo stesso Ufficio che aveva chiesto al magistrato incolpato gli elementi di conoscenza in contestazione non può portare a considerare “esaustive” risposte che tali non sono, come risulta dalla stessa sentenza impugnata, e che, quindi, non possono che essere qualificate come effettuate in contrasto con il suddetto canone di leale collaborazione;
b) nè – a differenza di quanto si legge nella sentenza impugnata – simili risposte possono considerarsi giustificate da eventuali “esigenze difensive” (v. p. 10 della sentenza) dell’interessato, visto che seppure -in astratto e soggettivamente – questi riteneva di essere stato “chiamato a rendere conto del proprio operato”, tuttavia dal punto di vista oggettivo – che è quello che conta – non era stata all’epoca intrapresa alcuna iniziativa del genere da parte dell’Avvocato generale, il quale si era limitato a chiedere delle puntuali informazioni, che non gli sono state fornite.
5.3. In particolare, il comportamento del * – che oggettivamente si è tradotto nel non dare all’Avvocato Generale le informazioni richieste nella nota in oggetto, adempimento cui egli era tenuto, a prescindere dalla ipotizzata notorietà della situazione dell’Ufficio e delle procedure, in base al canone di leale collaborazione – non può certamente considerarsi “pienamente in linea” con un ipotetico esercizio del diritto di difesa – come si afferma nella sentenza impugnata, con motivazione poco convincente – in quanto tale diritto non è certamente configura bile rispetto alla nota inviatagli dal suo superiore, trattandosi di dare riscontro ad una informativa del tutto autonoma rispetto alle iniziative assunte dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di * Nord. 5.4. I suindicati vizi di motivazione portano all’accoglimento del secondo motivo di ricorso.
3 – Conclusioni.
6. Alla luce delle suddette considerazioni, il primo motivo del ricorso va respinto con le suesposte precisazioni e il secondo deve essere accolto.
La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura, la quale, in diversa composizione, procederà al riesame e, quindi, deciderà, adeguandosi ai principi e criteri dianzi enunciati (con particolare riguardo a quelli sub 5.1., 5.2., 5.3.).
P.Q.M.
La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo nei termini indicati in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, con rinvio alla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della Magistratura in diversa composizione.