Per individuazione dell’erede legittimario si fa riferimento alla legge del momento dell’apertura della successione e non a quella del momento della nascita del presunto erede.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
Svolgimento del processo
Con atto di citazione ritualmente notificato M.V.P. ed M.E., premesso che in data
1.4.2009 era deceduta a (*) la signora M.M.F. di cui affermavano essere eredi
legittimari, in quanto figli del premorto M.R.F., figlio della de cuius cui erano
subentrati per rappresentazione ex art. 467 c.c., e dato atto che la de cuius aveva
istituito con testamento olografo redatto in data 14.10.2005 e pubblicato in data
4.5.2009 presso il Registro Immobiliare di Sassari – sezione distaccata di Tempio
Pausania, quale unica erede universale la signora D.F., convenivano in giudizio
quest’ultima al fine di sentir accertare la loro qualità di eredi legittimari, dichiarare
la violazione della quota di legittima ad essi spettante e conseguentemente
pronunciare la riduzione della disposizione testamentaria in favore della signora
D.F. in quanto lesiva della legittima.
Si costituiva in giudizio la convenuta, chiedendo il rigetto delle domande per
carenza di legittimazione passiva, non avendo gli attori dimostrato la loro qualità di
eredi legittimari.
Il Tribunale di Cagliari, con la sentenza n. 2147/2012 rigettava le domande degli
attori e li condannava alle spese di lite.
Avverso suddetta sentenza proponevano appello i signori M.V.P. ed M.E..
La Corte d’Appello di Cagliari con la sentenza n. 29/2014, in riforma della
pronuncia di primo grado, accoglieva la domanda e riconosceva agli attori la qualità
di legittimari, rimettendo le parti dinanzi il Tribunale di Cagliari per la
determinazione della quota di legittima lesa.
Avverso detta sentenza, propone ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi,
D.F..
Resiste con controricorso M.V.P..
M.E. non ha svolto nel corso del presente giudizio attività difensiva.
In prossimità dell’odierna udienza D.F. ha depositano memoria illustrativa ex art.
378 c.p.c..
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione della L.
n. 218 del 1995, art. 33, nonchè dell’art. 334 Code Napoleon, quale norma
richiamata nel nostro ordinamento in forza delle disposizioni di diritto
internazionale privato, per non aver la Corte d’Appello applicato, ai fini della
determinazione dello status di figlio di M.R.F., la legge nazionale di quest’ultimo
vigente nel 1935, vale a dire al momento della nascita, facendo riferimento alla
disciplina entrata in vigore successivamente.
Viene altresì denunciata, in via subordinata, la falsa applicazione degli art. 311.25,
311.14 Code civil, dell’art. 254 c.c., nonchè la contraddittorietà della motivazione,
per avere la Corte territoriale omesso di applicare, giusto rinvio delle disposizioni
del Code civil citate in epigrafe (artt. 311.25 e 311.14), la legge della nazionalità
materna.
Il motivo di ricorso è infondato.
La materia del contendere s’incentra sull’accertamento dello status di figlio naturale
della de cuius, M.M.F., di M.R.F., nato a (*) e di nazionalità francese, padre di * e
M.V.P., i quali, sul presupposto della loro qualità di eredi legittimari della de cuius
ex art. 467 c.c., quali discendenti di M.R.F., hanno proposto azione di riduzione del
testamento che ha istituito quale erede universale la signora D.F..
La Corte territoriale, ai fini dell’attribuzione della qualità di figlio naturale, ha
correttamente fatto riferimento, in forza dell’art. 33 l. 218/1995, alla legge nazionale
del figlio e dunque alla legge francese.
Secondo la prospettazione della ricorrente, peraltro, in forza del rinvio dell’art. 33,
su citato, il giudice di appello avrebbe dovuto applicare la legislazione francese
vigente alla data di nascita del rappresentato del cui status si controverte (1935),
vale a dire l’art. 334 Code Napoleon. Tale disposizione non ricollegava alla
indicazione del nome della madre nella dichiarazione di nascita a cura della persona
che aveva assistito al parto, l’acquisto dello status filiationis, essendo necessario un
successivo atto di riconoscimento; riconoscimento che nel caso di specie non era
mai intervenuto.
Tale assunto non può essere condiviso.
Conviene premettere che ai fini dell’accertamento della qualità di legittimari
occorre fare riferimento alla data di apertura della successione, vale a dire, nel caso
di specie, l’1.4.2009.
E’ a tale data dunque che bisogna riferirsi per verificare se vi fossero uno o più
soggetti tra quelli ai quali, ai sensi dell’art. art. 536 c.c., comma 1, la legge riserva
una quota di eredità, ferma la disposizione dell’art. 536 c.c., comma 3, secondo cui,
in favore di discendenti dei figli legittimi o naturali, i quali vengono alla successione
in luogo di questi, spettano gli stessi diritti riservati a questi ultimi.
Ora, alla data del 1.4.2009 era già vigente nell’ordinamento francese il principio
secondo cui il rapporto di filiazione è costituito per effetto della indicazione del
nome della madre nell’atto di nascita, senza necessità di un ulteriore atto di
riconoscimento formale.
Con l’Ordonnance n. 2005/759 del 4 luglio 2005. entrata in vigore il 1.7.2006, è
stata infatti introdotta la Riforma della filiazione, in forza della quale, ai sensi
dell’art. 311 c.c., comma 25, il rapporto di filiazione è stabilito, nei confronti della
madre, per effetto dell’indicazione di questa nell’atto di nascita del bambino, salvo il
diritto della madre a non essere nominata.
L’art. 20 delle disposizioni finali e transitorie dell’Ordonnance ha altresì stabilito
che detta disciplina sia applicabile ai figli nati sia prima che dopo la sua entrata in
vigore, salvi i casi definiti con sentenza passata in giudicato.
Sulla base di tale espressa previsione di efficacia retroattiva della Riforma, ispirata
con tutta evidenza al favor filiationis, deve ritenersi che la disciplina applicabile al
caso di specie sia appunto quella da ultimo introdotta nell’ordinamento francese,
rendendo dunque validamente costituito lo status filiationis di M.R.F., in forza
dell’indicazione del nome della madre nel suo atto di nascita, ancorchè alla data
della nascita fosse in vigore altra disciplina.
Appare al riguardo irrilevante il fatto che il figlio sia premorto alla madre e sia
deceduto prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni.
In assenza di un contrario accertamento, con sentenza passata in giudicato, sul suo
status filiationis, e ferma restando la legittimazione dei suoi eredi a proporre la
relativa azione di status, il rapporto di filiazione non può che essere regolato dalla
disciplina vigente al momento in cui tale presupposto è stato fatto valere ex art. 536
c.c., comma 2, a titolo di rappresentazione, dai suoi discendenti, cui la legge riserva
gli stessi diritti dei figli legittimi o naturali del de cuius.
Deve del resto ritenersi discriminatoria e non conforme a ragionevolezza una
differente disciplina transitoria, che, in contrasto con il principio del favor
filiationis, avesse limitato l’efficacia delle nuove disposizioni di maggior tutela, ai
soli figli nati dopo l’entrata in vigore della Riforma. Non appare inoltre pertinente il
richiamo all’art. 311-11 Code civil, che si applica al solo caso di conflitto di leggi,
mentre nel caso di specie la fattispecie è disciplinata dalla specifica disposizione
della legge francese che regola lo status di figlio.
In ogni caso, pur ritenendo applicabile al caso di specie la legislazione italiana, si
osserva che, secondo la nostra legislazione, già in base al codice civile del 1865,
come nel codice del 1942 e nella legislazione attuale, ai sensi dell’art. 181 – il
riconoscimento del figlio naturale si fa nell’atto di nascita (o in atto autentico
successivo o posteriore), con la conseguenza che la dichiarazione della madre
nell’atto di nascita implica riconoscimento della filiazione naturale, senza necessità
di un ulteriore atto formale di riconoscimento.
Con il secondo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 396
del 2000, art. 30, comma 1, dell’art. 254 c.c., e dell’art. 311.25 Code Civil in
relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. per avere la Corte territoriale erroneamente
ritenuto che l’indicazione del nominativo materno nell’atto di nascita assurgesse a
riconoscimento automatico della filiazione.
Il motivo di ricorso è inammissibile per difetto di decisività e comunque infondato.
La censura è priva di decisività in relazione alla dedotta violazione del D.P.R. n. 396
del 2000, art. 30, comma 1, e dell’art. 254 c.c., posto che, per quanto già
evidenziato, ai fini della determinazione dello status del figlio occorre fare
riferimento alla legislazione francese.
In ogni caso, come già rilevato, alla medesima conclusione, in ordine alla sufficienza
della indicazione del nome della madre nell’atto di nascita ai fini del
riconoscimento, si giunge anche ritenendo applicabile la legislazione italiana, sia
quella attuale, che quella vigente al momento della nascita di M.R.F..
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 311.25 Code Civil. la Corte territoriale ha
ritenuto che in forza del chiaro disposto di tale norma fosse sufficiente l’indicazione
del nome della madre nell’atto di nascita del neonato al fine di costituire il rapporto
di filiazione, senza necessità di un successivo atto di riconoscimento.
Tale statuizione, come già rilevato con riferimento al motivo precedente, è conforme
a diritto.
Il meccanismo previsto dalla attuale legislazione francese è quello che ricollega lo
status di figlio alla indicazione della madre nell’atto di nascita, e tale disciplina, per
espressa volontà legislativa, ha efficacia retroattiva, con ciò privilegiandosi, per i
figli già nati al momento di entrata in vigore della Riforma, il favor filiationis
rispetto alla piena tutela del diritto all’anonimato della madre, ricollegandosi, anche
per il passato, all’indicazione del nome materno nell’atto di stato civile una implicita
rinuncia all’anonimato.
Con il terzo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 218 del
1995, art. 46, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non aver la Corte territoriale
ritenuto che, secondo la legge italiana applicabile ai sensi della L. n. 218 del 1995,
art. 46, in tema di successione mortis causa, non sussistevano i presupposti per il
riconoscimento della qualità di eredi legittimi dei controricorrenti.
Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie la rullo della pronuncia. Ed invero,
regolato il riconoscimento della qualità di figlio naturale del rappresentato secondo
la legge francese. ai sensi della L. n. 218 del 1995, art. 33. la successione della de
cuius è stata interamente disciplinata dalla legge italiana, i cui istituti sono stati
invocati dagli attori mediante l’esercizio dell’azione di riduzione.
Il quarto mezzo denuncia la violazione e contrarietà della sentenza a disposizioni
inderogabili di ordine pubblico ai sensi dell’art. 16 l. 218/1995.
La ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto in ogni caso
disapplicare l’art. 311.25 Code civil trattandosi di norma in contrasto con l’ordine
pubblico nazionale, in quanto fa discendere l’automatica insorgenza del rapporto di
filiazione per il solo fatto che l’indicazione del nome della madre sia contenuto nella
dichiarazione di nascita, ma senza riconoscimento del figlio.
Il motivo è infondato.
Ed invero, come già evidenziato, non solo l’art. 311.25 Code civil e la disciplina
francese in materia di status filialionis non è in contrasto con l’ordine pubblico, da
intendersi come complesso dei principi fondamentali caratterizzanti l’ordinamento
interno in un determinato periodo storico o fondati su esigenze di garanzia, comuni
ai diversi ordinamenti, di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo (Cass. 19405 del
22.8.2013), ma è anzi pienamente compatibile con il nostro ordinamento.
Infatti, anche nel nostro ordinamento, sin dal codice civile del 1865 lo status di
figlio si prova con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile e senza
necessità di un riconoscimento successivo, mentre l’art. 30 comma 1 Dpr 396/2000
tutela l’eventuale volontà della madre di non essere nominata, facoltà che è del resto
prevista anche dalla legislazione francese.
In ambedue gli ordinamenti, dunque, se la madre non si avvale di detta facoltà, il
rapporto di filiazione è automaticamente riconosciuto.
Tali principi risultano altresì pienamente conformi con quelli di ordine pubblico
internazionale statuiti dagli artt. 8 e 14 della Convenzione Europea per la
Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, dotata di forza
preminente e trova espressione nelle stesse disposizioni della L. n. 218 del 1995, che
all’art. 35, stabilisce che le condizioni per il riconoscimento del figlio naturale sono
regolate dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita o, se più
favorevole, dalla legge nazionale del soggetto che fa il riconoscimento nel momento
in cui questo avviene.
Appaiono, piuttosto. in contrasto con l’ordine pubblico quelle leggi straniere che
pongano limiti o non ammettano l’accertamento della filiazione al di fuori del
matrimonio, come in relazione a quegli ordinamenti che conoscono unicamente
l’istituto della filiazione legittima, affermandosi in tal caso che, ai sensi della L. n.
218 del 1995, art. 16, comma 2, l’accertamento della filiazione naturale dovrebbe
avvenire secondo la legge italiana (Cass., 28.12.2006, n. 27592).
Il ricorso va dunque respinto e le spese, regolate secondo soccombenza, si liquidano
come da dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti
per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13,
comma 1 bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente alla refusione delle spese del presente giudizio, che liquida
in complessivi 5.800,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre a rimborso
forfettario spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso
art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 5 luglio 2018.