Servono nuovi, giustificati motivi per la revoca dell’assegno, tanto più se le condizioni del beneficiario non consentono una prognosi positiva.

Tribunale di Milano, 31 maggio 2018
Rilevato che con ricorso ex art. 9 L. 898 del 1/12/1970 depositato in data 22/12/2017 da (omissis) nei
confronti di (omissis), iscritto al numero di ruolo di cui sopra il medesimo, premesso in fatto che il
Tribunale di Milano, con sentenza di divorzio n. 7210/2004 aveva disposto, tra l’altro, il concorso del
marito al mantenimento della moglie in Euro 620,00 mensili chiedeva la revoca del predetto assegno o, in
via subordinata, la sua riduzione ad una cifra simbolica.
A fondamento di tale richiesta il ricorrente, narrate le pregresse vicende personali ed economiche, ha
posto la circostanza di trovarsi in una situazione economica modificata in peius rispetto al tempo del
divorzio; di aver costituito una nuova famiglia, diventando padre di due figli ancora minorenni e bisognosi
di crescenti esborsi ed, infine, di avere spese fisse per il mutuo della casa di abitazione. Riferiva di aver
sempre adempiuto all’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile – nonostante le difficoltà – per
obbligo anche morale verso l’ex moglie, affetta da sclerosi multipla e di aver appreso che la stessa svolge
regolare attività lavorativa, seppure parziale, ed è intestataria di vari immobili siti in Milano, tra cui anche
la casa di abitazione. Chiedeva quindi la revoca dell’assegno divorzile.
Rilevato, altresì, che parte resistente si è costituita con memoria difensiva nella quale, contestando le
affermazioni dell’ex marito, preliminarmente evidenziava di essere affetta da sclerosi multipla in stato
avanzato, con notevole incidenza di tale situazione sulla propria autonomia, sia fisica che economica.
Sottolineava come il proprio reddito fosse rimasto immutato dall’epoca del divorzio, ma di dover incorrere
(pur contenendole al massimo) in notevoli ed esorbitanti spese necessarie per il soddisfacimento delle
proprie esigenze quotidiane e di essere stata costretta a cambiare casa dovendo trovare un alloggio
idoneo alla mobilità in carrozzina (cui è attualmente obbligata) utilizzando per l’acquisto tutti i propri
risparmi (compresi i soldi ricevuti a titolo di corrispettivo della cessione al marito della quota di proprietà
della casa coniugale e la piccola eredità materna). All’udienza del 4/4/2018 precisava di percepire Euro
765 mensili a titolo di retribuzione; di percepire una pensione di invalidità con assegno di
accompagnamento pari a complessivi Euro 865 mensili e di godere di redditi provenienti dalla locazione di
un immobile di proprietà pari ad Euro 670 mensili. Infine, di aver goduto per l’anno 2017 di un buono
sociale di Euro 350 mensili. Di contro, faceva rilevare come il marito mai le aveva riconosciuto la
rivalutazione ISTAT (per effetto della quale l’assegno oggi ammonterebbe ad Euro 751,44 mensili e per la
quale avrebbe maturato arretrati per circa Euro 12.000), mentre i redditi del sig. (omissis…) non
avrebbero subito diminuzione alcuna dal momento che il medesimo, che precedentemente era lavoratore
autonomo, ora svolgerebbe la propria attività attraverso la società (omissis…) srl dallo stesso partecipata
al 90% (la restante quota fa capo all’attuale moglie) della quale ricoprirebbe anche la carica di
amministratore unico. Inoltre, che i figli erano già nati al momento del divorzio e che pertanto questa
circostanza era già stata tenuta presente nella determinazione delle condizioni di divorzio; nonché di
poter contare, l’ex marito, sull’aiuto e sull’appoggio, anche economico, della moglie. Chiedeva quindi il
rigetto del ricorso.
Rilevato che le parti sono state sentite personalmente dinanzi al GOT delegato dott.ssa Angelamaria
Serpico alle udienze del 4/4/2018 e dell’8/5/2018 anche ai fini di un tentativo di conciliazione e che
questo rimaneva infruttuoso, non avendo accettato il sig. (omissis) la proposta del giudice e la sig.a
(omissis…) la controproposta del ricorrente. La causa veniva quindi rimessa alla decisione del Collegio.
Rilevato che il sig. (omissis) ha documentato in causa i seguenti redditi netti percepiti l’anno del divorzio
(PF 2004): Euro : (omissis) (imponibile: Euro (omissis); imposta netta Euro (omissis): addizionali a Euro
(omissis) pari ad Euro (omissis) circa netti mensili. Per l’anno di imposta 2016 ha documentato i seguenti
redditi (CU 2017): Euro (omissis…) (imponibile: Euro (omissis) imposta netta Euro (omissis) addizionali a
Euro (omissis…) pari ad Euro (omissis) circa netti mensili. Non vi è altra produzione fiscale per tale anno
di imposta. Il finanziamento per il riferito acquisto della casa di proprietà (mutuo ipotecario non fondiario)
è stato stipulato il (omissis) per l’importo di Euro 200.000, ed è cointestato al ricorrente ed all’attuale
moglie.
Rilevato che quanto alla situazione reddituale della sig.a (omissis) all’epoca del divorzio, risultano
comprovati in giudizio i seguenti redditi netti relativi all’anno di imposta 2002 (730/2003) Euro

(imponibile Euro (omissis) imposta netta Euro (omissis); addizionali Euro (omissis) pari ad Euro (omissis)
circa netti mensili. Per l’anno di imposta 2016 (PF 2017) risultano i seguenti redditi netti: Euro (omissis)
(imponibile Euro imposta netta (omissis), addizionali (omissis).L’assegno del coniuge dichiarato ammonta
ad Euro (omissis) pari ad Euro (omissis) circa netti mensili comprensivo quindi dell’assegno rimessole dal
coniuge. La sig.a (omissis) risulta altresì proprietaria di quattro fabbricati, di cui uno locato con canone di
locazione pari ad Euro 3.420;
osservato che non è contestazione la condizione di patologia specifica da cui la resistente è affetta non
essendo questa circostanza contestata neppure dal ricorrente il quale, nelle dichiarazioni rese davanti al
GOT delegato, ha confermato di aver sempre prestato assistenza alla ex coniuge- affetta da sclerosi
multipla- per 18 anni e di esserle ” stato vicino da 38 anni”: sono documentati i rilevanti costi
necessariamente connessi alle terapie – con rilevante costo- necessarie per la resistete oltre che ai costi
connessi al suo mantenimento (tra cui quelli per il personale di servizio per la necessaria assistenza);
osservato che il ricorrente, fonda la propria richiesta sui criteri interpretativi dettati dalla sentenza della
Suprema Corte n. 11504/17 e, applicando la chiave di lettura innovativamente fornita dalla nuova e
recente pronunzia , ritiene che la resistente debba essere considerata economicamente autosufficiente
per effetto dei propri beni e dalle sostanze di cui la medesima dispone che —a dire del ricorrentegarantirebbero
alla medesima di provvedere in via autonoma al proprio mantenimento in condizione di
piena indipendenza economica;
rilevato che la recente statuizione della Cassazione richiamata dal ricorrente – al momento della presente
decisione sottoposta, peraltro, al vaglio delle sezioni unite che sul punto sono stato chiamate a
pronunziarsi- ha ribadito la natura assistenziale dell’assegno divorzile;
osservato che, sempre la suprema Corte di Cassazione con la pronunzia n. 15481/2017 ha ribadito che la
“nuova” valutazione della sussistenza dell’autosufficienza economica necessaria per escludere il diritto alla
percezione dell’assegno divorzile è applicabile anche ai procedimenti per modifica delle condizioni di
divorzio sempre che si sia in presenza di “giustificati motivi” che innovino il quadro economico
patrimoniale di riferimento: in altri termini è ben possibile che il Tribunale sia chiamato a rivalutare la
sussistenza di una condizione di autosufficienza/indipendenza economica di un ex coniuge (già
beneficiario di un assegno divorzile), purché tale giudizio si innesti sulla prova oggettiva del presupposto
per ottenere una modifica delle statuizioni in essere. In altri termini, la sola pronunzia seppur autorevole
della Cassazione che impone di prescindere, ai fini della valutazione della indipendenza/autosufficienza
economica dei coniugi dal tenore di vita, potrà essere utilizzato nei giudizi di modifica solo e sempre sé
via sia “in concreto” una modificazione che giustifichi il ricorso all’autorità giudiziaria ossia allorché sia
data la prova di un deterioramento significativo della posizione economica dell’onerato, ovvero di un
significato miglioramento della posizione economica dell’ex coniuge già titolare di assegno divorzile.
Orbene, alla luce di tutti gli elementi disponibili, ritiene il Collegio che la vicenda sottoposta al vaglio del
Tribunale non possa in alcun modo giustificare e fondare la richiesta del ricorrente di revoca dell’obbligo di
corrispondere alla resistente un assegno divorzile, né giustifichi una riduzione dell’ammontare
dell’assegno come stabilito in sede di divorzio (e oggi rivalutato). Ed invero la puntuale ricostruzione della
posizione reddituale e patrimoniale dell’obbligato consente di affermare che vi sia stato un minimo e non
significativo scollamento nella posizione reddituale di cui il ricorrente dispone: il medesimo peraltro, è
socio al 90% con l’attuale moglie della (omissis…) srl e proprio per la qualifica e il ruolo ricoperto può
pressoché integralmente determinare l’ammontare dei proprio emolumenti. Ad oggi è impegnato
nell’attività lavorativa nella predetta società – che per sua stessa ammissione- produce utili che il
ricorrente” ripartisce”. La quota societario, in ogni caso, rappresenta ad oggi un valore. Non sono
comprovati maggiori esborsi ed oneri di mantenimento per carichi familiari potendo peraltro il ricorrente
contare, anche per la suddivisione degli oneri medesimi, sulla propria moglie, in possesso di integra
capacità lavorativa e in salute.
Se nessuna variazione può quindi ravvisarsi nella posizione dell’obbligato, deve al contrario rilevarsi che la
resistente ha mutato successivamente al divorzio la propria coesistenza patrimoniale: grazie alle somme
percepire in sede di separazione, e con gli introiti derivati dall’eredità materna ha potuto acquistare un
immobile ” adatto” alla propria attuale condizione patologica: l’acquisto dell’immobile, lungi dal
rappresentare un “lusso” è una necessità connessa alla invalidante patologia da cui la medesima è

affetta. L’acquisto del nuovo immobile, peraltro, ha determinato la possibilità di locare la vecchia
abitazione come pacificamente dichiarato in atti. Ora ritiene il Collegio che la posizione della resistente
non sia affatto migliorata rispetto all’epoca del divorzio dal momento che il descritto incremento
patrimoniale e il flusso di cassa connesso alla messa a reddito dell’immobile in precedenza adibito a
propria residenza è stato solo parzialmente compensato dai maggiori costi e oneri che la resistente deve
necessariamente sostenere per la propria patologia. Ora non può tacersi che le condizioni di salute della
resistente, proprio per la tipologia di patologia da cui è affetta (neppure lontanamente paragonabile ai
problemi di salute- diabete- dedotti dal ricorrente), non consentano di formulare una prognosi evolutiva
positiva né dell’evoluzione della malattia – si tratta notoriamente di patologia degenerativa- né di
riduzione dei costi di cura e di vita che, invero, è poco verosimile affermare possano in futuro ridursi
rispetto agli attuali. Proprio le condizioni oggettive – di vita (età) e di salute (grave patologia
degenerativa)- della resistente inducono il Collegio ad affermare che la Sig.ra (omissis) – pur dotata di
redditi e di un patrimonio- non è oggi economicamente auto sufficiente, dal momento che i beni e i redditi
di cui dispone non le consentono, in via autonoma, di condurre una esistenza libera e dignitosa (Cass. n.
11538/2017: in altri termini, non le consentono di far fronte, – proprio in ragione della significativa entità
degli esborsi che la stessa deve sostenere per il fatto stesso di poter vivere- a quanto necessario per
poter affrontare con dignità la proprio vita ” come singola” e non più come parte di quella coppia che,
cessato il vincolo coniugale, non c’è più. Non si tratta di tenore di vita, si tratta di “necessarietà” dei costi
essenziali ed incomprimibili del vivere dai quali non può prescindere il curarsi e il doversi occupare, in
autonomia, di sé.
Alla luce di tutte le considerazioni sopra esposte, la domanda del ricorrente, infondata in fatto e in diritto,
deve essere rigetta.
Alla soccombenza consegue la condanna del ricorrente alla rifusione in favore della resistente delle spese
di lite che, in assenza di note specifiche, si liquidano in Euro 2.700,00 oltre 15% rimborso forfettario, cpa
e iva come per legge.
P.Q.M.
1. Rigetta il ricorso ex art. 9 l. 898 del 1/12/1970 depositato in data 22/12/2017 da (omissis), nei
confronti di (omissis);
2. Condanna (omissis) al pagamento in favore di (omissis) delle spese processuali che, liquida in Euro
2.700,00 oltre 15% rimborso forfettario, cpa e iva come per legge.