Rendere noto a terzi il contenuto di una corrispondenza bancaria contenuta in busta chiusa indirizzata esclusivamente all’altro coniuge è reato

Cass. pen. Sez. II, 12 gennaio 2018, n. 952
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
dalla parte civile B.M., nato il (OMISSIS);
nel procedimento a carico di:
P.L., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 10/12/2015 della CORTE APPELLO di ANCONA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO FILIPPINI;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. BALDI Fulvio, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
Udito il difensore del ricorrente avvocato D’AGOSTINI ROMINA che insiste per l’accoglimento del ricorso della per B. e deposita le conclusioni e la nota spese.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza in data 10.12.2015 la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale di Macerata datata 24.2.2014 che, nei confronti dell’imputata P.L., aveva dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione rispetto alla accusa di essersi appropriata indebitamente di corrispondenza chiusa (una lettera contenente comunicazioni bancarie) e indirizzata, nel 2005, al solo coniuge separato B.M. (capo A), mentre aveva assolto la medesima, ai sensidell’art. 530 c.p.p., comma 2, perchè il fatto non costituisce reato, in relazione alle ulteriori accuse (capo B) di sottrazione e rivelazione indebita della stessa corrispondenza mediante produzione documentale, avvenuta nel 2009 ad opera della P. nell’ambito di un giudizio civile.
1.1. La Corte territoriale respingeva l’appello proposto dalla parte civile B.M., essenzialmente incentrato sul capo B, a proposito del quale si eccepiva l’assenza di quella “giusta causa” che sola poteva scriminare la rivelazione del contenuto della corrispondenza utilizzata a fini processuali in data 15.10.2009 nell’ambito di una controversia civile tra la P. ed il B.; l’appellante aveva anche contestato che si potesse ipotizzare la buona fede in capo all’imputata (e dunque dubitarsi circa la presenza del necessario elemento soggettivo del reato), trattandosi di corrispondenza relativa a rapporto bancario intestato esclusivamente al B.. Non si formulavano invece specifiche doglianze a proposito degli argomenti relativi alla dichiarazione di prescrizione del reato sub A, fondata dal primo giudice sul rilievo che il reato si era consumato nel 2005, epoca alla quale risaliva la corrispondenza bancaria di causa. La Corte territoriale, confermando la decisione del primo grado, respingeva l’appello sul rilievo che, in base alla istruttoria documentale e testimoniale, poteva ravvisarsi la carenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputata, avendo la stessa verosimilmente agito in buona fede allorché ebbe ad aprire la corrispondenza indirizzata all’ex coniuge nella convinzione (peraltro plausibile, ad avviso della Corte d’appello) che si trattasse di questioni bancarie relative ad investimenti che (anche) suoi. E, quanto alla condotta di divulgazione della corrispondenza (art. 616 c.p., comma 2), integrata tramite la produzione in giudizio, il giudice di secondo grado ha parimenti escluso la sussistenza di prova adeguata del dolo, potendo ravvisarsi la buona fede in capo alla P. che vantava pretese sulla provvista economica con la quale sono stati effettuati gli investimenti bancari di cui alla comunicazione bancaria in questione.
2. Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per Cassazione, tramite difensore munito di procura speciale, la parte civile B.M., articolando due motivi.
2.1. Con il primo censura la sentenza per violazione di legge e vizio della motivazione, in considerazione della ravvisata presenza della “giusta causa” che, ai sensidell’art. 616 c.p., comma 2, scrimina la rivelazione della corrispondenza. Il ricorrente ribadisce in questa sede che, come affermato da giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 585/2014), la “giusta causa” capace di rendere legittima la produzione in giudizio del contenuto della corrispondenza di cui la P. si era appropriata avrebbe potuto ravvisarsi solo in caso di dimostrazione della “stringente necessità” di quella produzione, di inevitabilità della stessa, aspetto nella specie non ricorrente poiché i medesimi risultati difensivi potevano essere ugualmente ottenuti dalla P. con la richiesta, nella sede civile, dell’ordine di esibizione exart. 210 c.p.c..Inoltre, quanto alla ritenuta carenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputata, il ricorrente lamenta che tale affermazione si fonda sulla errata ricostruzione fattuale della vicenda, avendo la Corte territoriale omesso di rilevare che il denaro personale che la P. vorrebbe porre all’origine degli investimenti cui si riferiva la corrispondenza di causa, in realtà era già stato dalla stessa recuperato tramite prelevamenti già effettuati (altra provvista giacente presso la (OMISSIS)).
2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla declaratoria di prescrizione del capo A, affermando che la data di consumazione della appropriazione indebita dovrebbe individuarsi nel momento in cui il documento è stato prodotto in sede civile (dunque nel 2009), non già nel 2005, epoca nella quale la Banca mittente ebbe a spedire la corrispondenza indirizzata al B. presso l’indirizzo della ex casa coniugale, quando era oramai occupata solo dalla ex moglie. Infatti, la data di consumazione deve individuarsi nel momento in cui l’agente compie un atto di disposizione uti dominus sul bene, ravvisabile nella fattispecie non quando l’imputata ha ricevuto la corrispondenza, bensì solamente allorchè l’ha prodotta in giudizio.
3. Con memoria pervenuta in data 7.11.2017 il difensore dell’imputata ha chiesto dichiararsi inammissibile o comunque infondato il ricorso.
Motivi della decisione
Il ricorso appare fondato nei limiti sotto indicati.
1. Quanto al secondo motivo, relativo alla dichiarazione di prescrizione del capo A, intervenuta già in primo grado, va rilevata l’inammissibilità. Invero, dalla disamina dell’atto di appello e dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata, non risultano dedotti argomenti né in merito alla ricostruzione del fatto, operata in primo grado, circa la data di appropriazione della corrispondenza (collocata dal primo giudice nel 2005) nè in merito ai criteri giuridici che presidiano la individuazione della data di consumazione del reato di appropriazione indebita; la doglianza dunque non risulta conforme a quanto prescritto a pena di inammissibilitàdall’art. 606 c.p.p., comma 3.
1.1. Pertanto, come già correttamente rilevato dal giudice di appello, la parte civile, che non abbia contestato con i motivi di appello la prescrizione del reato dichiarata con la sentenza di primo grado (del 24.2.2014) relativamente al capo A, non è legittimata a impugnare l’omessa pronuncia sulle relative statuizioni civili. E comunque, anche ove la parte civile avesse contestato la già intervenuta prescrizione, difetterebbe comunque l’interesse ad impugnare, trattandosi di deliberazione che, ai sensidell’art. 652 c.p.p., non pregiudica l’esercizio dell’azione civile nella sede propria (Sez. 4, n. 3789 del 19/01/2016, Rv. 265741).
2. Quanto al primo motivo, invece, occorre in primo luogo distinguere tra le due differenti condotte che parimenti possono integrare il reato di cuiall’art. 616 c.p..
2.1. Invero, come parimenti rilevato in appello, la condotta sanzionata dal primo comma della norma in questione (e cioè il prendere cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrarla o distrarla), deve considerarsi, al pari dell’appropriazione indebita, già prescritta anteriormente alla sentenza di primo grado per le stesse ragioni ravvisate dai giudici del merito a proposito del capo A dell’imputazione, trattandosi di azioni risalenti al 2005.
2.2. A proposito invece della condotta di cui al comma 2, della norma in parola, e cioè il rivelare, senza giusta causa, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, il motivo di ricorso, ad avviso del Collegio, merita accoglimento.
Invero, i giudici di appello hanno posto a base della decisione impugnata una ritenuta carenza di prova circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, posto che, sulla base della ricostruzione del fatto recepita in sentenza (si vedano infatti le affermazioni relative all’oggetto della corrispondenza in questione contenute nelle pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata), hanno considerato che l’imputata potesse versare nella ragionevole convinzione che la documentazione bancaria in questione riguardasse prodotti finanziari acquistati in tutto o in parte con suo denaro, seppure formalmente intestati al coniuge. Da ciò i giudici dell’appello, conformemente al primo grado, hanno tratto la convinzione che non potesse sussistere dimostrazione adeguata della consapevolezza, in capo all’imputata, di violare e divulgare corrispondenza destinata esclusivamente ad altri soggetti.
2.3. Tuttavia, tale argomentazione appare del tutto carente ed apodittica, poiché trasferisce alla condotta di rivelazione della corrispondenza gli stessi argomenti utilizzati a proposito della condotta di cuiall’art. 616 c.p., comma 1, senza avvedersi che, come contestato con l’atto di appello, trattasi di condotte completamente diverse.
Ed infatti, se al momento della apertura della corrispondenza indirizzata all’ex coniuge può anche ritenersi ipotizzabile un qualche legittimo dubbio dell’imputata sull’effettivo contenuto della lettera e dunque in merito alla possibile inerenza degli investimenti ivi descritti rispetto a denaro in tutto o in parte proprio (in ciò fondandosi l’incertezza sulla presenza del dolo di reato), non altrettanto può automaticamente dirsi per la condotta di divulgazione di un contenuto oramai conosciuto come relativo a conti intestati esclusivamente al marito. In sostanza, al momento della divulgazione della corrispondenza di causa, nessun legittimo dubbio poteva più sussistere in relazione al fatto che si stesse rendendo noto a terzi il contenuto di una corrispondenza bancaria contenuta in busta chiusa e indirizzata esclusivamente al B., così integrandosi con evidenza la fattispecie ascritta.
È ben vero che in sede dibattimentale la difesa dell’imputata ha insistito sulla tesi della appartenenza alla P. (in tutto o in parte) dei fondi che hanno costituito la provvista degli investimenti decritti nella corrispondenza in questione (tesi giudicata non implausibile dalla Corte territoriale), ma è anche vero che la prova adeguata di tale circostanza non è stata certo raggiunta, essendosi solo ravvisato, dai giudici del merito, un legittimo dubbio al riguardo.
Tuttavia, a ben vedere, tale dubbio non coglie l’aspetto della condotta materiale integrativa del reato (rivelazione di corrispondenza chiusa indirizzata ad altri), bensì esclusivamente l’esistenza di un diritto su diverso bene (il denaro impiegato per l’acquisto di strumenti finanziari) che solo indirettamente viene in questione.
Il dubbio dunque non riguarda un elemento costitutivo della fattispecie addebitata, ma aspetti esterni alla stessa, e dunque non rileva rispetto alla divulgazione.
2.4. Né può ritenersi sussistere, ad avviso del Collegio, la speciale causa di non punibilità contenuta nella previsione normativa in esame (la “giusta causa” della rivelazione). Infatti, secondo il condiviso orientamento di legittimità (cfr. Sez. 5, n. 35383 del 29/03/2011, Rv. 250925, relativa a fattispecie analoga alla presente, nonché Sez. 5, n. 585 del 2014, non massimata) il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza (art. 616 c.p.) può essere integrato anche dalla condotta di colui che sottragga la corrispondenza bancaria inviata al coniuge per produrla nel giudizio civile di separazione; e ciò in quanto si è ritenuto che in tal caso non sussista la “giusta causa” di cuiall’art. 616 c.p., comma 2, la quale presupporrebbe che la produzione in giudizio della documentazione bancaria costituisca l’unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge-controparte, evenienza che non ricorre allorché possa essere utilizzato lo strumento di cuiall’art. 210 c.p.c..Ciò si è affermato, come si legge nella motivazione della richiamata sentenza, in primo luogo sulla base di alcune considerazioni evidenziate dalla dottrina giuridica (secondo la quale è sicuramente aperta la questione riguardante la legittimità della produzione processuale di documenti ottenuti illecitamente, tramite la lesione di un diritto fondamentale) e, secondariamente, sull’affermazione secondo cui la giusta causa presuppone che la produzione in giudizio della documentazione bancaria sia “l’unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge controparte”.
Nel caso oggetto di esame, l’imputata non ha dedotto elementi di sorta in tal senso, e dunque ben può affermarsi che avrebbe dovuto esplicare la propria difesa a norma dell’art. 210 c.p.c..
2.5. Di conseguenza, la motivazione della sentenza impugnata risulta manifestamente illogica sul punto e deve essere annullata.
3. Naturalmente, attesa l’intervenuta definitività delle statuizioni penali, gli argomenti sopra indicati hanno valore ai soli fini civili.
3.1. Ai sensi dell’art. 622 c.p.p., trattandosi di annullamento di disposizioni che riguardano la sola azione civile, occorre rinviare al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche in relazione alla liquidazione delle spese della parte civile per la fase di giudizio dinanzi a questa Corte.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata ai soli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.