Dichiarazione giudiziale di maternità: anonimato e diritto alle origini

Trib Roma, sez. I civ., sentenza 12 maggio 2017 (Pres. Mangano,
rel. Ciavattone)
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
Con atto di citazione ritualmente notificato X X ha citato innanzi
all’intestato Tribunale i signori Y Y e Y Y, in qualità di eredi di X Z, nata a
Roma il …. ed ivi deceduta il ….per sentir dichiarare che la defunta X Z
era la madre dell’attore, con ogni conseguente annotazione sull’atto di
nascita del medesimo, originariamente registrato con il nome di X …
A sostegno della domanda ha dedotto di essere nato a Roma presso la
clinica … il …, registrato quale figlio di donna che non consente di essere
nominata, ed appellato con nome e cognome di X …; di essere stato
affidato in via provvisoria dapprima ad una famiglia e poi in via definitiva
ai nonni materni X X (… il ..) e .. (…), con attribuzione del cognome X in
luogo di quello assegnatogli alla nascita; di essere vissuto, sin dal …, con i
nonni e con la propria madre, considerata una sorella maggiore, che lo
aveva sempre accudito insieme ai propri genitori e che nel … aveva
contratto matrimonio con Y Y, dando alla luce un altro figlio, Y ..; che
l’esame genetico a cui spontaneamente le parti si erano sottoposte
riconosceva il legame genetico tra i fratelli, figli della stessa madre.
I convenuti, rispettivamente marito e figlio di X Z, premesso di essere
venuti a conoscenza che X Z fosse la madre biologica dell’attore solo
successivamente alla morte della stessa, ritenendo fino ad allora che
l’attore fosse figlio dei coniugi X X e …, come era stato loro raccontato,
non hanno contestato la domanda.
Istruita con produzioni documentali, la causa è stata rimessa al Collegio
per la decisione all’udienza del 10.5.2017, previa rinuncia delle parti ai
termini di cui all’art.190 c.p.c.
§§§
L’azione promossa nel presente giudizio ai sensi dell’art. 269 c.c.
(dichiarazione giudiziale di maternità) non è finalizzata alla conoscenza
delle proprie origini e della storia della propria nascita, perché l’attore si
è dichiarato, pur soggettivamente, certo dell’identità della propria madre,
quanto piuttosto ad ottenere il riconoscimento dello status di figlio nei
confronti della presunta madre, ormai defunta, che al momento del parto
aveva chiesto di non essere nominata.
Occorre premettere brevemente che il diritto all’anonimato della madre è
previsto espressamente dal nostro ordinamento; infatti, l’ordinamento
dello stato civile vigente al momento della nascita dell’attore (R.D. n.
1238/1939, art.73) prevedeva che il riconoscimento, per l’ipotesi di figlio
nato da unione illegittima, dovesse essere fatto soltanto per il genitore o
per i genitori che rendessero personalmente la dichiarazione, o che
avessero fatto constatare per atto pubblico il proprio consenso ad essere
nominati. La disposizione è rimasta sostanzialmente immutata nel testo
dell’ordinamento dello stato civile dapprima modificato dalla legge n.
127/1997, quindi confluito nel D.P.R n. 396/2000 che all’art. 30, comma
primo, dispone che “la dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori,
da un procuratore speciale ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra
persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della
madre di non essere nominata”.
Il fondamento costituzionale di tali disposizioni, come chiarito dalla
Corte Costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 425/2005), riposa sull’esigenza
di tutelare la gestante che versi in situazioni particolarmente difficili dal
punto di vista personale, economico o sociale ed abbia deciso di non
tenere con sé il bambino, offrendole la possibilità di partorire in una
struttura sanitaria appropriata ed in condizioni ottimali e di mantenere al
contempo l’anonimato nella conseguente dichiarazione di nascita.
La natura e la portata del diritto all’anonimato della madre sono state
oggetto di diversi interventi della Corte Europea dei diritti dell’Uomo
(caso Godelli c. Italia del 22.9.2012) e della Corte Costituzionale
(sentenza n. 278 del 2013) che, sebbene relativi all’esame delle ipotesi di
accesso alle informazioni che riguardino l’origine e l’identità dei genitori
biologici di soggetti adottati (art. 28 della legge n. 184/1983), diverse
quindi dal caso di specie, hanno espresso un principio di portata generale
censurando l’irreversibilità del segreto circa l’identità della madre,
prevedendo la necessità di indagare la persistenza della volontà della
donna di non volere essere nominata.
Rimane, tuttavia, fermo il principio in base al quale deve essere rispettata
la volontà della madre di rimanere anonima, qualora non vi sia
espressione di una diversa determinazione da parte della stessa.
Nel caso in esame, l’adesione alla domanda da parte dei convenuti, quali
eredi della presunta madre biologica che aveva chiesto l’anonimato, fa
venir meno le ragioni di tutela della scelta a suo tempo compiuta dalla
donna, per cui deve darsi atto che ad oggi non sussistono interessi
contrapposti delle parti, che chiedono congiuntamente il medesimo
accertamento.
Del resto, di recente, anche la Suprema Corte, nel caso di cd. parto
anonimo, ha riconosciuto il diritto del figlio, dopo la morte della madre,
di conoscere le proprie origini biologiche mediante accesso alle
informazioni relative all’identità personale della stessa, “non potendosi
considerare operativo, oltre il limite della vita della madre che ha
partorito in anonimo, il termine di cento anni, dalla formazione del
documento, per il rilascio della copia integrale del certificato di assistenza
al parto o della cartella clinica, comprensivi dei dati personali che
rendono identificabile la madre che abbia dichiarato di non voler essere
nominata, previsto dall’art. 93, comma 2, del d.lgs. n. 196 del 2003, che
determinerebbe la cristallizzazione di tale scelta anche dopo la sua morte
e la definitiva perdita del diritto fondamentale del figlio, in evidente
contrasto con la necessaria reversibilità del segreto (Corte Cost. n. 278
del 2013) e l’affievolimento, se non la scomparsa, di quelle ragioni di
protezione che l’ordinamento ha ritenuto meritevoli di tutela per tutto il
corso della vita della madre, proprio in ragione della revocabilità di tale
scelta” (cfr. Cass. n.15024/2016; n.22838/2016).
Venendo quindi al merito della questione, deve essere precisato che
l’attore, pur avendo avuto un rapporto filiale con i signori X X e …. (nonni
materni) ed avendo assunto il cognome del primo in forza del
provvedimento di affiliazione del Giudice Tutelare nel …, non ha
acquisito rispetto agli stessi lo stato giuridico di figlio legittimo (non
trattandosi di adozione), ragion per cui l’assenza di un pregresso legame
giuridico filiale rende ammissibile la presente azione, posto che l’art 253
c.c. prevede che in nessun caso è ammesso un riconoscimento in
contrasto con lo status di figlio in cui la persona si trova.
Le prove genetiche eseguite in via stragiudiziale dall’attore e dal
convenuto Y … in data ..2016 hanno provato senza margini di incertezza
la consanguineità (fratello-fratello) delle parti, figli della stessa madre
biologica. In difetto di elementi contrari ed in assenza di contestazione
alcuna, avendo tutte le parti concordato sull’esito dell’indagine genetica
espletata, deve ritenersi che tali indagini siano state eseguite con
modalità tecniche adeguate e con appropriate competenze, per cui non vi
è motivo alcuno per dubitare della loro affidabilità.
Il Collegio ritiene del tutto condivisibile l’indirizzo giurisprudenziale in
base al quale “le prove emato-genetiche sono prove in senso proprio,
giacché l’attuale livello della ricerca ed esperienza scientifica consente di
esprimere, grazie ad esse, sufficienti garanzie nel ritenere decisivo il loro
contributo nell’attribuzione della paternità o maternità di un soggetto,
conseguendo risultati dotati di un alto grado di probabilità prossimo alla
certezza (cfr. App Milano 9/11/2001, cfr. anche Corte Costituzionale n
266/06 con riguardo all’art. 235 c.c).
Deve, perciò, ritenersi raggiunta la prova del rapporto di filiazione e deve
essere conseguentemente dichiarato che l’attore è figlio di X Z, nata …..
ed ivi deceduta il …., con ogni conseguente obbligo da parte del
competente ufficiale dello stato civile.
La natura e l’esito del giudizio, in relazione alla condotta processuale
delle parti, legittimano l’integrale compensazione della spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale, definitivamente pronunciando, così provvede:
– dichiara che X X, n. a … in data … è figlio di X Z, nata a … ed ivi
deceduta il …;
– ordina all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Roma di provvedere
all’annotazione della presente sentenza in calce all’atto di nascita del
predetto;
– dichiara interamente compensate le spese di lite.