Onere della prova dell’impossibilità lavorativa in capo al richiedente l’assegno divorzile

Cass. civ. Sez. I, 11 maggio 2017, n. 11538
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
D.C.C., elettivamente domiciliato in Roma, alla via della Conciliazione n. 44, presso lo studio dell’Avv. Salvino Mondello, rappresentato e difeso dall’Avv. Gennara Basile del Foro di Catania, come da mandato a margine del ricorso;
contro
B.C., rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe Torrisi del Foro di Catania;
– resistente –
avverso la sentenza n. 511/2009 della Corte d’appello di Catania del 25.3.2009, depositata il 16 aprile 2009;
sentita la relazione svolta dal Presidente Dott. Di Palma Salvatore;
non essendo comparsi i difensori;
udite le conclusioni del P.M., Dr. Ceroni Francesca, che ha chiesto la cassazione con rinvio della decisione contestata.
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata, n. 511 del 25 marzo 2009 (dep. 16.4.2009), la Corte d’Appello di Catania ha riformato la decisione pronunciata in primo grado dal Tribunale di Catania con sentenza del 26.3.2007.
Il Tribunale aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto il 4.6.1990 da B.C. e D.C.C. ed aveva affidato ad entrambi i genitori le figlie minori (nate il (OMISSIS) ed il (OMISSIS)) con collocamento presso la madre, ponendo un assegno di mantenimento per le sole figlie (complessivi Euro 480,00 mensili) a carico del padre, oltre a regolamentare le visite di quest’ultimo ed a disciplinare il riparto delle spese straordinarie. Il giudice di prime cure aveva quindi rigettato la domanda di assegno divorzile per il proprio mantenimento, proposta dalla B., rilevando che la stessa non aveva provato il proprio stato di disoccupazione. Il Tribunale aveva infine dichiarato compensate tra le parti le spese di lite.
Era stata proposta impugnazione da B.C., che aveva insistito nel domandare l’attribuzione di un assegno divorzile anche per sé. Aveva resistito il D.C., proponendo inoltre appello incidentale in materia di spese di lite. La Corte di merito ha riconosciuto alla ricorrente il diritto ad un assegno mensile di Euro 200,00 ed ha posto le spese di lite del grado di giudizio a carico del D.C..
La Corte territoriale ha osservato che la ricorrente non aveva prodotto la richiesta documentazione fiscale, avendo peraltro dichiarato di non aver presentato dichiarazione dei redditi, poiché aveva lavorato soltanto qualche mese in un cali center. La Corte di merito ha quindi ricordato che l’impugnante aveva evidenziato che un assegno mensile, del cui versamento era stato gravato il D.C., le era stato riconosciuto in sede di separazione dei coniugi e, non essendo intervenuta alcuna modificazione dello stato di fatto, ne domandava la conferma. Il D.C. aveva invece depositato la dichiarazione dei propri redditi, e da questi emergeva che egli lavorava quale dipendente percependo un reddito di Euro 2.500,00 al mese circa. La Corte d’Appello ha in proposito sottolineato la natura assistenziale dell’assegno divorzile, che non consente la riproduzione automatica in sede di divorzio delle statuizioni patrimoniali adottate in sede di separazione personale dei coniugi. La Corte territoriale ha poi ricordato che la B. viveva con le figlie in una casa dei suoi genitori, ed aveva evidenziato che il D.C., oltre a percepire un reddito quale lavoratore dipendente, è anche titolare di possidenze immobiliari ed appariva in grado di poter contribuire anche al mantenimento della ex moglie, oltre a provvedere al mantenimento della nuova famiglia che si era formato.
Avverso la decisione della Corte d’Appello di Catania ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro articolati motivi, completati dall’enunciazione del quesito di diritto, D.C.C.. Non si è costituita B.C..

Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto, ai sensidell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dellaL. n. 898 del 1970,art.5. In sostanza, il ricorrente critica la decisione della Corte di merito per non aver tenuto in conto adeguato la natura assistenziale dell’assegno divorzile, che ha quale presupposto l’accertamento che la parte la quale ne domanda l’attribuzione all’ex-coniuge non dispone di redditi, adeguati, “essendo necessaria la prova dell’inesistenza assoluta di possibilità di lavoro”. Diversamente, la resistente è donna cinquantenne in possesso di diploma magistrale e può trovarsi un’occupazione redditizia, come “lo svolgimento di lezioni private o l’attività di doposcuola”.
2. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto, ai sensidell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che “l’impugnata pronuncia è sorretta da una motivazione confusa, incongrua e contraddittoria”, in particolare nella parte in cui avrebbe dovuto provvedere alla comparazione dei redditi delle due parti. La Corte d’Appello avrebbe trascurato infatti, nella prospettazione del D.C., di tener conto delle possidenze immobiliari della ex moglie e che la moglie non aveva provato il proprio stato di disoccupazione. La Corte di merito, inoltre, non avrebbe valorizzato nella misura dovuta, per quanto attiene all’odierno ricorrente, il fatto che egli ha una nuova famiglia, non è un imprenditore – come sostenuto in precedenza dalla B. – ed è pure gravato da cospicuo debito tributario.
3. Con un terzo motivo, il ricorrente ha ulteriormente contestato, ai sensidell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, che la decisione della Corte d’Appello sarebbe incorsa nella violazione del disposto di cui agliartt. 115 e 116 c.p.c., eartt. 2729 e 2697 c.c., per aver formulato il proprio giudizio sulla spettanza dell’assegno divorzile alla ricorrente “sulla base di circostanze estranee al giudizio di primo grado, irrilevanti, frutto di mere affermazioni labiali dell’appellante, oltre che prive di alcun riscontro probatorio”. Ha sottolineato al proposito che la documentazione offerta dalla B. in primo grado (modello ISEE ed alcune foto) era stata dichiarata inammissibile perché prodotta tardivamente, insieme alla memoria di replica.
4. Con un quarto motivo il ricorrente ha contestato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, comma 3, la violazione degliartt. 91 e 92 c.p.c.da parte dei giudici a quibus, per aver rigettato l’appello incidentale da lui proposto in materia di spese di lite, che impongono “la condanna della parte soccombente al rimborso delle spese in favore dell’altra parte”. Essendo l’odierno ricorrente risultato totalmente vittorioso in quel grado del giudizio, e non concorrendo giusti motivi per disporre la pur decisa compensazione delle spese di lite, la pronuncia dei giudici dell’appello sul punto dovrebbe considerarsi illegittima. Evidenzia ancora il ricorrente che le richieste patrimoniali della B., la quale in primo grado aveva domandato il riconoscimento di un complessivo assegno mensile pari ad Euro 1.200,00, per sè e per le figlie, non erano alfine state accolte dal Tribunale e neppure dalla Corte di merito.
I primi tre motivi d’impugnazione possono essere trattati congiuntamente, tenuto conto della loro attinenza al riconoscimento del diritto all’assegno divorzile in favore della B., sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione. Occorre allora osservare che non appare corretto interpretare la normativa vigente nel senso che la stessa esige sia fornita, dal richiedente l’attribuzione di un assegno divorzile, la ben difficile prova dell’inesistenza assoluta di ogni possibilità di lavoro, come invece sostenuto dal ricorrente. L’assegno divorzile ha indubbiamente natura assistenziale e deve essere disposto in favore della parte istante la quale disponga di redditi insufficienti a condurre un’esistenza libera e dignitosa, e deve essere contenuto nella misura che permetta il raggiungimento dello scopo senza provocare illegittime locupletazioni. B.C. – sono dati processuali incontestati – non dispone di un impiego fisso, e neppure beneficia dell’abitazione presso la casa coniugale, disponendo di un’abitazione messale a disposizione dai suoi genitori, nella quale vive insieme alle figlie. La donna non risulta percepire un reddito regolare, mentre la titolarità da parte sua di un quarto di un immobile di cui è per il resto proprietario il D.C., pur essendo stata invocata dal ricorrente a supporto delle proprie difese, conferma invero lo squilibrio esistente tra le capacità patrimoniali delle parti. La B. ha anche dichiarato – affermazione non contestata da controparte – di essersi impegnata a svolgere attività lavorativa, essendo stata impiegata presso un call center.
Ricordato che il D.C. dispone di possidenze immobiliari e percepisce uno stipendio mensile di circa 2.500,00 Euro, i dati necessari per pervenire ad una decisione informata da parte della Corte d’Appello erano quindi stati raccolti. Tanto osservato può concludersi che il modesto assegno mensile che è stato riconosciuto alla odierna resistente dalla Corte di merito, 200,00 Euro rivalutabili, e del cui versamento è stato gravato l’ex marito ed odierno ricorrente, deve intendersi come un mero contributo al mantenimento della B., che le è stato motivatamente riconosciuto dalla Corte di merito tenuto conto delle complessive disponibilità economiche delle parti, in misura che non appare inadeguata.
I motivi di ricorso in esame devono essere perciò respinti.
Non merita accoglimento neppure il quarto motivo di ricorso, mediante il quale il ricorrente contesta la compensazione delle spese di lite disposta dal Tribunale all’esito del giudizio di primo grado, con pronuncia confermata dal giudice dell’appello. La Corte di merito ha spiegato sul punto che “la compensazione delle spese processuali disposta in primo grado, attiene non solo all’accoglimento o meno della domanda bensì alla valutazione complessiva della causa nonché alla natura della stessa”. Questa motivazione, pur succinta, non merita censure in sede di giudizio di legittimità. Avendo il ricorrente proposto la propria critica invocando la violazione di legge, poi, occorre aggiungere che, per costante orientamento di questa Corte, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese. Con riferimento al regolamento delle spese il sindacato della Corte di Cassazione è pertanto limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa – fenomeno che non si è verificato nel caso in esame – con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi (cfr., ex plurimis, Cass. n. 14349/12, nn. 17145 e 25270 del 2009), sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti. Nel caso di specie, peraltro, neppure l’affermazione del ricorrente secondo cui egli sarebbe risultato completamente vittorioso nel primo grado del giudizio può condividersi, essendo sufficiente osservare che l’importo dell’assegno di cui è stato gravato per il mantenimento delle figlie minori è stato incrementato dal Tribunale rispetto a quanto da lui offerto.
Anche questo motivo di ricorso deve essere pertanto respinto.
Nulla deve provvedersi in materia di spese di lite nel presente grado, in ragione della mancata costituzione della resistente.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso.