Mancata esecuzione dolosa di provvedimenti del giudice (art. 388, co.2. c.p.)

Cass. pen. Sez. IV – 2, 2 maggio 2017, n. 20801
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
C.M., nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 16/06/2016 della Corte di appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Ersilia Calvanese;
udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Di Leo Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Stefano Antonio Scaduto, che ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. C.M. ricorre per l’annullamento della sentenza indicata in epigrafe, che ha confermato la sua condanna per il reato di cuiall’art. 81 c.p.eart. 388 c.p., comma 2, per aver eluso in più occasioni quanto stabilito, con il provvedimento di omologazione della separazione, in merito al diritto di visita dei due figli minori da parte del coniuge M.R., non consentendo a quest’ultimo di vedere i figli (reato commesso in (OMISSIS)).
Nel ricorso si deducono i seguenti motivi, enunciati nei limiti di cuiall’art. 173 disp. att. c.p.p.: violazionedell’art. 388 c.p., comma 2, per aver ritenuto efficace l’accordo dei coniugi omologato nel 2008, quando invece concordemente questi ultimi avevano deciso con la scrittura privata del 19 giugno 2009 di privare ad esso efficacia (pertanto, relativamente ai giorni e agli orari di visita previsti dall’accordo originario, non poteva configurarsi, almeno dal punto di vista soggettivo, l’elusione delittuosa ad opera dell’imputata); vizio di motivazione, perché la Corte di appello non avrebbe risposto alla censura in cui si lamentava il ricorso da parte del primo giudice a valutazioni di tipo civilistico in ordine alla validità dell’accordo modificativo; vizio di motivazione in relazione al rapporto tra i due accordi intervenuti tra i coniugi, quanto al diritto di visita dei figli minori accordato al M. e alle modalità di esercizio; vizio di motivazione in ordine all’attendibilità della persona offesa; vizio di motivazione sui riscontri degli episodi denunciati.
2. Il ricorso è inammissibile.
I motivi sono infatti, oltre che manifestamente infondati, anche diversi da quelli consentiti, prospettando – a fronte di un duplice conforme specifico apprezzamento in fatto dei due Giudici del merito, sorretto da motivazione non apparente ed immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà che, soli, rilevano ai sensidell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), quello del Giudice d’appello in dimostrata rivalutazione autonoma del materiale probatorio deduzioni difensive che si risolvono nella mera sollecitazione ad una diversa valutazione, del tutto preclusa in questa sede di legittimità.
In particolare, la Corte palermitana ha motivato le ragioni dell’infondatezza delle censure difensive sui punti ora solo riproposti e le deduzioni del ricorso (con il riferimento diretto a parti di atti dell’istruttoria) si risolvono all’evidenza in affermazioni di mero precluso merito.
Va al riguardo ribadito che, in sede di legittimità, non è censurabile una sentenza per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame quando la stessa è disattesa dalla motivazione della sentenza complessivamente considerata. Pertanto, per la validità della decisione non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicché, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (tra tante, Sez. 2, n. 29434 del 19/05/2004, Candiano, Rv. 229220).
Deve anche ribadirsi che il vizio più volte evocato dalla ricorrente del travisamento della prova sussiste solo quando vi sia una incontrovertibile antinomia tra i risultati obiettivamente derivanti dalla prova assunta e le conseguenze che il giudice di merito ne abbia tratto. Tale vizio è configurabile soltanto quando l’accertata distorsione disarticoli effettivamente l’intero ragionamento probatorio e, alla stregua dei parametri di rilevanza e decisività, renda illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato probatorio trascurato o travisato (tra tante, Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte). Pertanto, non rientrano nel suddetto vizio né le critiche al “significato” opinabile di un dato probatorio né le censure riguardanti elementi probatori privi della suddetta decisività.
2.1. Sul primo motivo è sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di legittimità, puntualmente citata dalla Corte di appello, sulla possibilità dei coniugi di modificare le disposizioni contenute nel decreto di omologazione della separazione ovvero nell’ordinanza presidenziale exart. 708 c.p.c.(Sez. 2 civ., n. 298 del 12/01/2016, Rv. 638452). La necessità dell’intervento del giudice sull’accordo modificativo è posto in funzione di tutela dei diritti indisponibili del soggetto più debole e dei figli.
E all’evidenza un accordo modificativo, come quello nel caso in esame, che non stabilisca le modalità di visita dei figli a favore del genitore non affidatario può risultare per la sua assoluta genericità pregiudizievole per i preminenti interessi del minore, alla cui tutela i suddetti provvedimenti devono essere essenzialmente rivolti.
Quanto alla rilevanza dell’accordo modificativo sul dolo, la Corte di appello ha ben evidenziato che era stata la stessa imputata a contestarne l’efficacia proprio per le suddette ragioni.
Né l’accordo modificativo può comunque aver influito nella individuazione della condotta elusiva, posto che gli episodi oggetto di contestazione si riferivano pur sempre a situazioni previste da entrambi gli accordi.
2.2. Il secondo, terzo e quarto motivo, ruotanti anch’essi sulla validità o efficacia dell’accordo modificativo, sono all’evidenza privi di fondamento, insistendo su aspetti del tutto irrilevanti, per quanto si è detto poc’anzi, con argomenti tra l’altro anche perplessi.
Il reato di cuiall’art. 388 c.p., comma 2, presuppone un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di minori, che va individuato nei termini sopra indicati, con la precisazione che l’elusione deve sostanziarsi in qualunque comportamento che ne ponga nel nulla o aggiri le finalità, il cui contenuto ed i relativi obblighi devono essere valutati non in termini letterali, ma alla luce dell’interesse del minore che vi è sotteso e che ne costituisce la ragion d’essere (tra tante, Sez. 3, n. 24294 del 07/04/2010, D. S. B., Rv. 247871).
2.3. Anche il quinto motivo, sulla credibilità ed attendibilità della persona offesa, si rivela inammissibile nella misura in cui mira ad isolare “chirurgicamente” dal ragionamento del Giudice dell’appello aspetti che non incidono sulla logicità e completezza complessiva della risposta ai motivi di gravame.
E’ sufficiente osservare che il suddetto tema è stato ampiamente affrontato dalla Corte di appello, analizzando tutte le obiezioni difensive, che la ricorrente reitera in questa (dichiarazioni del M. sulla efficacia dell’accordo tra le parti; deposizione della teste P.; relazione dell’assistente sociale sulla frase pronunciata dalla figlia minore della coppia; contenuto delle querele; rilievi sul contenuto della deposizione del M.; episodio dell'(OMISSIS); motivi di astio e rancore) e che risultano rigettate con argomenti privi di illogicità o errori giuridici.
Né può aver rilievo in sé quanto accertato in un separato giudizio riguardante la “piena attendibilità” del M., posto che in quella sede il Giudice si è limitato (come si evince dallo stesso ricorso, pag. 21) a rilevare la mancanza di riscontri alle sue dichiarazioni e non certo a bollarne la inverosimiglianza o addirittura la falsità.
2.4. Miglior sorte non ha l’ultimo motivo.
Va ribadito che le dichiarazioni della persona offesa, anche se costituita parte civile, possono da sole, senza la necessità di riscontri estrinseci, essere poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità penale dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve, in tal caso, essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (Sez. 5, n. 1666 del 08/07/2014, dep. 2015, Pirajno, Rv. 261730). È stato altresì affermato che può essere opportuno in questi casi corroborare il controllo dell’attendibilità del racconto con “altri elementi” (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte, Rv. 253214), che tuttavia non devono avere il carattere richiestodall’art. 192 c.p.p., comma 3.
Pertanto, è irrilevante stabilire, come pretende la ricorrente, se la teste P. abbia riscontrato i singoli episodi indicati nelle querele del M., essendo sufficiente, come la sentenza impugnata rileva, che la teste abbia riferito che “quasi tutti i giorni” la persona offesa si era lamentato con lei che non riusciva a vedere i figli e che gli stessi bambini le avevano esternato la mancanza del papà ed il desiderio di dormire a casa con lui (circostanza quest’ultima ribadita anche nella relazione dell’assistente sociale) e che, alle contestazioni dalla stessa fatte alla C., quest’ultima non abbia negato gli episodi, ma soltanto frapposto “impegni improvvisi”.
Quanto alla natura arbitraria degli impegni opposti dalla ricorrente, va rilevato che correttamente la Corte di appello ha richiamato il consolidato orientamento di legittimità, secondo cui il motivo plausibile e giustificato che può costituire valida causa di esclusione della colpevolezza per il reato mancata esecuzione di un provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento di un figlio minore, è solo quello che, pur senza configurare l’esimente dello stato di necessità, deve comunque essere stato determinato dalla volontà di esercitare il diritto-dovere di tutela dell’interesse del minore, in situazioni, transitorie e sopravvenute, non ancora devolute al giudice per l’eventuale modifica del provvedimento di affidamento, ma integranti i presupposti di fatto per ottenerla (Sez. 6, n. 7611 del 11/12/2014, dep. 19/02/2015, D. L., Rv. 262494).
È al riguardo sufficiente evidenziare che nell’appello l’imputata si era limitata a contestare soltanto la natura “ostile” della frase riferita dalla teste P., senza tuttavia giustificare la natura degli impegni, nei termini sopra espressi.
3. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a normadell’art. 616 c.p.p.la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma a titolo di sanzione pecuniaria, che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 1.500.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500 in favore della Cassa delle ammende.