SOSPENSIONE DELLA PRESCRIZIONE

SOSPENSIONE DELLA PRESCRIZIONE
(tra coniugi, tra parti dell’unione civile, tra conviventi di fatto)
di Gianfranco Dosi

I. La sospensione della prescrizione tra coniugi (art. 2941, n. 1, c.c.) si applica anche ai coniugi separati?
II. C’è sospensione della prescrizione tra parti dell’unione civile?
III. C’è sospensione della prescrizione tra conviventi di fatto?

La sospensione della prescrizione tra coniugi si applica anche ai coniugi separati?
L’art. 2941 c.c. prevede al n. 1 la sospensione della prescrizione tra coniugi la cui ratio è pacificamente ricondotta alla inopportunità che tra marito e moglie ci si debba fare causa o si debbano compiere atti interruttivi della prescrizione per evitare che un eventuale diritto in contestazione resti prescritto.
Fino al 2014 la giurisprudenza ha monoliticamente ritenuto che la sospensione della prescrizione “trova applicazione anche durante il regime di separazione personale, il quale non implica il venir meno del rapporto di coniugio, ma solo una attenuazione del vincolo” (Cass. civ. Sez. III, 1 aprile 2014, n. 7533; Cass. civ. 23 agosto 1985, n. 4502; Cass. civ. Sez. I, 19 giugno 1971, n. 1883).
Era stata la Corte costituzionale a impostare l’orientamento in questione allorché aveva dichiarato “infondata la questione di costituzionalità dell’art. 2941, n. 1, cod. civ., per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui dispone che rimane sospesa la prescrizione fra coniugi anche se legalmente separati” (Corte cost. 19 febbraio 1976, n. 35). In tale occasione era stata ipotizzata dalla Corte d’appello di Palermo la violazione del precetto costituzionale dell’eguaglianza, sul rilievo dell’ingiustificato privilegio che verrebbe riconosciuto al coniuge separato, nei rispetti della generalità degli altri cittadini, con l’esonero da ogni attività o cura e persino dalla semplice messa in mora per la tutela dei propri diritti nei confronti dell’altro coniuge. La Corte ritenne la questione infondata osservando che, pur tenuto conto delle limitazioni degli effetti del vincolo matrimoniale che il regime di separazione personale comporta, è indubitabile che, nei rapporti reciproci (anche patrimoniali), la posizione dei coniugi, finché il matrimonio non sia dichiarato nullo o sciolto per le cause previste dall’ordinamento giuridico, resta, comunque, qualificata dal perdurante (anche se in forma attenuata) vincolo coniugale. Tale qualificazione – diversificando la situazione esaminata da quella del rapporto che intercorra tra soggetti non coniugati – esclude, evidentemente, che sussista la dedotta violazione dell’art. 3 della Costituzione: in quanto appunto, le situazioni comparate non sono tra loro omogenee. La disciplina impugnata – continuavano i giudici – appare, d’altra parte, pienamente legittima anche sotto il profilo della intrinseca razionalità. Ed infatti lo stato di separazione pur rivelando una incrinatura dell’unità familiare, non ne implica la definitiva frattura: potendo anche evolversi nel senso della ricostituzione (mediante la conciliazione) della coesione familiare. E non è irrazionale che, per salvaguardare, appunto, nei limiti del possibile, tale ultima eventualità, il legislatore comprenda nella disciplina della sospensione della prescrizione dettata dall’art. 2941, n. 1, cod. civ. l’ipotesi che i coniugi siano separati, esonerandoli così dal compiere atti – come quelli necessari ad interrompere la prescrizione dei rispettivi diritti che potrebbero, invece, inasprire le ragioni del contrasto.
A questo orientamento si adeguò anche la giurisprudenza di merito Trib. Bologna Sez. I, 21 maggio 2004; Trib. Milano, 10 febbraio 1999 anche se non sono mancate prese di posizione contraria come Trib. Bari Sez. II, 28 febbraio 2012 secondo cui la sospensione della prescrizione è da considerare sussistente ed operante solo fino a quando lo stato del coniuge coincida con la convivenza coniugale “dovendo ritenersi oramai superata l’interpretazione che riteneva applicabile la sospensione anche dopo l’intervenuta separazione”.
Nel 2014 con due sentenze della prima sezione civile la Corte di cassazione aderisce improvvisamente all’orientamento che limita il periodo di sospensione fino alla separazione.
2
Il principio viene affermato dapprima da Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2014, n. 7981 secondo cui l’interpretazione della legge deve e può avere anche una funzione evolutiva ed adeguatrice, nel cui ambito ben può realizzarsi un risultato di tipo restrittivo, nel senso di ritenere, con riferimento al caso in esame, che la norma contenuta nell’art. 2941 c.c., n. 1, si riferisca alla vincolo coniugale pienamente inteso, con esclusione del regime della separazione personale.
In sintesi, la Corte ritiene contraddittorio rinvenire la stessa “ratio” nelle diverse ipotesi delle azioni esercitabili fra coniugi nel corso della convivenza matrimoniale e dopo la separazione “in quanto, mentre nel primo caso appare giustificata la riluttanza ad esperire azioni giudiziarie nei confronti del coniuge convivente, così turbando l’armonia familiare, nel secondo, non solo all’armonia – laddove si prescinda da una eventuale riconciliazione, in realtà abbastanza rara – è subentrata una situazione di crisi conclamata, ma, proprio nell’ambito di essa, sono state necessariamente esperite le azioni giudiziarie correlate alla crisi coniugale. Deve anzi porsi in evidenza come negli ultimi anni l’evoluzione del quadro normativo e l’elaborazione giurisprudenziale (si pensi alla responsabilità endo-familiare) abbiano favorito l’accrescersi delle azioni giudiziarie relative alla soluzione di controversie correlate alla crisi familiare, cui ha fatto riscontro, anche sotto il profilo procedurale, un significativo processo di unificazione dei termini e delle modalità di esperimento delle azioni relative alla separazione personale e allo scioglimento del matrimonio o alla cessazione dei suoi effetti civili. Laddove, poi, viene richiamata la mera attenuazione, nel regime di separazione, del vincolo matrimoniale, non sembra che si sia considerato come, al tenue filo della speranza di una riconciliazione, siano da contrapporre effetti di natura giuridica che in realtà depongono nel senza di una sostanziale esautorazione dei principali effetti del vincolo stesso. Non rileva, invero, soltanto il venir meno della convivenza, circostanza già di per sé non ostativa all’instaurazione fra coniugi separati di azioni giudiziarie, che di certo, come già rilevato, non possono determinare una crisi familiare già conclamata, quanto la sopravvenienza alla separazione di rilevanti conseguenze di natura giuridica, tali da consentire una sostanziale assimilazione alla situazione che caratterizza gli ex coniugi, come il venir meno della presunzione di paternità ove la nascita di un figlio intervenga dopo il decorso di trecento giorni, ovvero la sospensione degli obblighi della fedeltà e di collaborazione.
L’interpretazione viene poi ripresa e confermata subito dopo da Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18078 la quale, dopo aver ribadito – in sintonia con la giurisprudenza sul punto – che il termine di prescrizione del diritto all’assegno di mantenimento ha ad oggetto più prestazioni autonome, distinte e periodiche, e decorre non unitariamente dal provvedimento che ha previsto quell’assegno, bensì da ciascuna delle singole scadenze di pagamento” aggiungeva “senza che operi tra i coniugi separati la sospensione della prescrizione disposta dall’art. 2941, n. 1, c.c.”. La motivazione di quest’ultima affermazione è che deve prevalere sul criterio ermeneutico letterale un’interpretazione conforme alla “ratio legis”, da individuarsi tenuto conto dell’evoluzione della normativa e della coscienza sociale e, quindi, della valorizzazione delle posizioni individuali dei membri della famiglia rispetto alla conservazione dell’unità familiare e della tendenziale equiparazione del regime di prescrizione dei diritti post-matrimoniali e delle azioni esercitate tra coniugi separati. In questa prospettiva nel regime di separazione non può ritenersi sussistente la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, collegata al timore di turbare l’armonia familiare, poiché è già subentrata una crisi conclamata e sono già state esperite le relative azioni giudiziarie, con la conseguente cessazione della convivenza, il venir meno della presunzione di paternità di cui all’art. 232 cod. civ. e la sospensione degli obblighi di fedeltà e collaborazione.
Pertanto il principio oggi che appare prevalente nella giurisprudenza – senza naturalmente che si possano escludere nuovi cambiamenti interpretativi – è nel senso che dopo la separazione non sussistono più le ragioni che possono giustificare la sospensione della prescrizione tra coniugi. E’ appena il caso di aggiungere che a tal fine si deve evidentemente fare riferimento al giudicato sullo status (anche conseguente a sentenza non definitiva) ovvero alla data dell’accordo di negoziazione. A tale ultimo proposito si ricorda che l’art. 3 della legge sul divorzio come modificata dall’art. 12, comma 4, del Decreto-legge 12 settembre 2014, n.132, con le correzioni apportate dalla legge di conversione 10 novembre 2014, n. 162 prevede come termine di decorrenza degli effetti della separazione quello della “data certificata nell’accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita dagli avvocati” ovvero quello della “data dell’atto contenente l’accordo di separazione concluso innanzi all’ufficiale dello stato civile”.
II
C’è sospensione della prescrizione tra parti dell’unione civile?
La risposta positiva all’interrogativo se tra le parti dell’unione civile trovi applicazione la sospensione della prescrizione analogamente a quanto per i coniugi prevede l’art. 2941, n. 1, c.c. è abbastanza semplice.
Infatti la legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) all’art. 1 comma 18, prevede espressamente che “La prescrizione rimane sospesa tra le parti dell’unione civile”, con ciò eliminando qualsiasi dubbio sulla risposta all’interrogativo.
Un problema analogo a quello visto per i coniugi, se cioè la sospensione operi solo nel corso del rapporto nemmeno si pone per le unioni civili in quanto il legislatore non ha previsto l’istituto della separazione ma solo la morte e il divorzio 1e pertanto si può ritenere che soltanto questi eventi determino la cessazione del periodi di sospensione della prescrizione. In caso di divorzio la sospensione consegue al giudicato sullo status (ovvero coincide con la data certificata dell’accordo di negoziazione o con la data della dichiarazione davanti all’ufficiale di stato civile) e non alla comunicazione ex art. 1, comma 23, legge 76/2016 della volontà di scioglimento effettuata all’ufficiale dello stato civile o alla domanda giudiziale.
III
C’è sospensione della prescrizione tra conviventi di fatto?
Nel 1996 il Tribunale di Bolzano sollevò la questione di costituzionalità dell’art. 2941, n. 1, c.c. nella parte n cui non prevede che la sospensione della prescrizione trovi applicazione ai conviventi di fatto, determinando così una un’irragionevole disparità di trattamento tra coniugi e conviventi more uxorio.
La Corte costituzionale dichiarò la questione non fondata (Corte cost. 29 gennaio 1998, n. 2) osservando che l’istituto della prescrizione è finalizzato ad un obiettivo di primaria importanza, che è quello di garantire certezza dei rapporti giuridici, facendo venir meno il diritto non esercitato per un determinato periodo di tempo. In tale prospettiva la sospensione della prescrizione si caratterizza per la peculiarità costituita dalla tassatività dei casi previsti dalla legge. Se infatti ogni diritto, salvo specifiche eccezioni, “si estingue per prescrizione, quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge” (art. 2934 cod. civ.), ne deriva coerentemente che non è possibile riconoscere ipotesi di sospensione che non siano espressamente regolate dal codice civile o da altre norme speciali in materia. È per questo che l’art. 2941 cod. civ. contiene un elenco ben determinato di casi, enucleabili in base a rigorosi criteri formali e giustificati dalla particolarità delle situazioni ivi previste.
Ciononostante il carattere eccezionale della sospensione della prescrizione non impedisce di vagliare la legittimità costituzionale di ingiustificate omissioni da parte del legislatore sotto un diverso profilo ed entro precisi limiti. Già in materia di privilegio – istituto assimilabile a quello in esame sotto l’aspetto della eccezionalità – la Corte in passato aveva rilevato (Corte cost. 84/1992) che “mentre è possibile, in tesi, sindacare – all’interno di una specifica norma attributiva di un privilegio – la ragionevolezza della mancata inclusione, in essa, di fattispecie identiche od omogenee a quella cui la causa di prelazione è riferita, certamente non è consentito invece utilizzare lo strumento del giudizio di legittimità per introdurre (…) una causa di prelazione ulteriore”. In altre parole, se esorbita dai compiti del giudice delle leggi quello di creare una nuova fattispecie di sospensione della prescrizione, deve ritenersi lecito sindacare l’omissione legislativa nell’ambito di un’ipotesi già determinata; ma in questo caso, com’è ovvio, la norma richiamata deve costituire un valido tertium comparationis, tale da rendere illegittima l’omissione e conseguentemente doverosa la sentenza additiva della Corte.
Poste queste premesse, la Corte osserva che – anche sotto questo profilo – la questione è infondata per un duplice ordine di considerazioni: a) perché la famiglia legittima, essendo una realtà diversa dalla famiglia di fatto, non costituisce un adeguato tertium comparationis; b) perché la sospensione della prescrizione implica precisi elementi formali e temporali che si ravvisano nel coniugio e non nella libera convivenza.
La Corte ribadisce che il rapporto coniugale implica, secondo quanto previsto dalla legge, una serie di potenzialità che non si esauriscono nel mero dato materiale della convivenza accompagnato dall’affectio pur verificabile anche nel rapporto more uxorio. I diritti e i doveri inerenti al matrimonio si caratterizzano per la certezza e la disciplina legale del rapporto su cui si fondano; e da ciò consegue che la non omogeneità delle due situazioni non consente di estendere dall’una all’altra le regole sulla sospensione della prescrizione.
D’altronde la stessa natura della prescrizione – istituto finalizzato a conferire stabilità a rapporti patrimoniali – impone per il decorso dei termini l’adozione di parametri di riferimento certi ed incontestabili, quali possono essere offerti soltanto dall’esistenza o dal venir meno di un vincolo giuridico quale il matrimonio.
Da quanto esposto deriva che nella norma denunziata non sussiste alcuna violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Il giudizio di non fondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 2941, n. 1, c.c., nella parte in cui non prevede la sospensione della prescrizione tra conviventi, viene, perciò, fondato, in sostanza, in questa sentenza, sugli stessi principi utilizzati nella stragrande maggioranza dei casi in cui la Corte costituzionale ha tenuto separati matrimonio e convivenza di fatto, ritenendoli due contesti di vita, il primo con proprie regole e il secondo senza regole, tra loro non equiparabili. Pertanto non potrebbe la Corte, in questa situazione, scrutinare la eventuale illegittimità dell’esclusione dell’applicabilità della norma sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza.
Dopo la legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) siamo proprio sicuri che questa conclusione possa ancora valere?
Già prima di tale legge la convivenza di fatto era stata al centro negli ultimi decenni di una progressiva attribuzione di rilevanza giuridica come formazione sociale (art. 2 Cost.) all’interno della quale vanno garantiti doveri di solidarietà familiare e diritti fondamentali della persona. Ed è oggi affermazione ormai assolutamente pacifica che l’art. 2 della Costituzione e l’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo tutelano il diritto alla vita familiare non limitatamente alle relazioni basate sul matrimonio.
Nella stessa legislazione, ancorché in maniera disorganica, sono nel tempo emersi segnali sempre più significativi, in specifici settori, della rilevanza della famiglia di fatto. Sotto tale profilo vanno richiamate naturalmente in primo luogo la riforma della filiazione operata con legge 10 dicembre 2012, n. 219, con cui è stata abolita ogni residua discriminazione tra figli “legittimi” e “naturali”; la legge 8 febbraio 2006, n. 54, che, introducendo l’affidamento condiviso dei figli in sede separazione e divorzio, ha esteso la relativa disciplina ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati; la 1egge 19 febbraio 2004, n. 40, che all’art. 5 prevede l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita da parte delle coppie di fatto; la legge 9 gennaio 2004, n. 6, che, in relazione ai criteri, di cui all’art. 408 c.c., per la scelta dell’amministratore di sostegno, prevede anche che la stessa cada sulla persona stabilmente convivente con il beneficiario, nonché, all’art. 5, prevede, in relazione all’art. 417 c.c., che l’interdizione e l’inabilitazione siano promosse dalla persona stabilmente convivente; la legge 4 aprile 2001, n. 154, che ha introdotto nel codice civile gli artt. 342-bis e 342-ter, estendendo al convivente il regime di protezione contro gli abusi familiari; la legge 28 marzo 2001, n. 149, art. 7, che, sostituendo l’art. 6, comma 4, della legge 4 maggio 1983, n. 184, ha previsto che il requisito della stabilità della coppia di adottanti risulti soddisfatto anche quando costoro abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni.
Ebbene in questo contesto la legge la legge 20 maggio 2016, n. 76 amplia in modo sensibile le tutele e le garanzie già riconosciute, costruendo uno statuto giuridico della convivenza di fatto che, pur differenziandosi rispetto a quello da quello del matrimonio o dell’unione civile, costituisce tuttavia una regolamentazione completa di un assetto di relazioni umane primarie (art. 2 della Costituzione) con proprie “regole giuridiche” e una propria disciplina della “stabilità”, esattamente i due aspetti che la Corte costituzionale ha sempre ritenuto finora mancanti per costruire assonanze con il matrimonio idonee a scrutinare disuguaglianze irragionevoli e pertanto illegittime (art. 3 della Costituzione).
Il legislatore definisce, infatti, i conviventi di fatto come persone unite stabilmente da legami affettivi di “reciproca assistenza morale e materiale” definendone i presupposti e le regole di visibilità e di certezza 2.
Questo è il nuovo statuto giuridico dei conviventi di fatto
1) In primo luogo lo status di convivente di fatto è equiparato a quello di coniuge per tutta una serie diritti connessi alla vita sociale (diritti spettanti al coniuge nell’ordinamento penitenziario e nel settore in senso ampio sanitario: commi 38 – 40).
2) In secondo luogo il convivente di fatto acquisisce un diritto di abitazione – sia pure di durata limitata – in caso di morte del convivente proprietario, nonché un diritto di successione nel contratto di locazione in caso di recesso del convivente conduttore e altri diritti nel settore dell’assegnazione di alloggi di edilizia popolare (commi 43 – 45).
3) Il convivente di fatto acquista il diritto agli utili, agli acquisti e agli incrementi se collabora stabilmente nell’impresa familiare del partner (comma 46 che introduce nel codice civile l’art. 230-ter).
4) Il convivente di fatto è equiparato al coniuge nel settore dell’interdizione e dell’amministrazione di sostegno (commi 47 e 48).
5) Il convivente di fatto è equiparato al coniuge in caso di decesso derivante da fatto illecito altrui quanto ai criteri di risarcimento del danno (comma 49).
6) I conviventi di fatto possono regolamentare alcuni reciproci rapporti patrimoniali (specificamente le sole modalità di contribuzione alla vita in comune e il regime della comunione dei beni) con efficacia erga omnes attraverso un “contratto di convivenza” (commi 50 – 64).
7) Il convivente in stato di bisogno acquisisce al momento della cessazione della convivenza il diritto ad una prestazione alimentare a carico dell’altro sia pure proporzionata alla durata della convivenza (comma 65).
A tutto questo – che è l’effetto della nuova legge – si aggiungono i diritti collegati allo stato di convivente già riconosciuti dalla giurisprudenza.
La nuova legge contiene un’elencazione di diritti che hanno natura inderogabile e che non esauriscono lo statuto giuridico della convivenza di fatto in quanto la legge integra con le nuove norme uno statuto giuridico che è più ampio perché comprende anche diritti di natura personale e patrimoniale già riconosciuti ai conviventi, come su prima detto, da leggi precedenti, oltre che da una cospicua giurisprudenza.
Rimangono perciò confermati tutti i diritti riconosciuti altrove ai conviventi. Per esempio nel settore degli ordini di protezione contro gli abusi familiari, nel campo della procreazione medicalmente assistita, nel settore dei trapianti di organi, nel computo del triennio di vita comune previsto per i coniugi per l’adozione legittimante, e in tutti gli altri contesti in cui alla convivenza è attribuita dall’ordinamento già da tempo rilevanza giuridica.
In particolare rimane certamente confermato il principio, ribadito più volte dalla giurisprudenza, secondo cui la violazione dei diritti fondamentali della persona è configurabile anche all’interno di una convivenza di fatto (nei termini di stabilità precisati dalla nuova legge), in considerazione dell’irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti riconosciuti ai sensi dell’art. 2 della costituzione (Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2013, n. 15481).
Ove non siano indicati infatti specifici diritti e doveri e questi non siano o non siano stati ancora riconosciuti o siano stati addirittura negati anche dalla giurisprudenza, non è affatto da escludere una funzione promozionale della nuova legge. Si pensi per esempio, appunto, alla sospensione della prescrizione tra coniugi, ma anche ai patti di famiglia, alla pensione di reversibilità.
I riferimenti al regolamento anagrafico contenuti nella nuova legge sono poi decisivi per ritenere esistenti anche precise regole di visibilità, di certezza e di accertamento della stabilità, anche se, naturalmente, a differenza di quanto previsto per il matrimonio e per le unioni civili l’accesso alla convivenza di fatto non prevede obblighi costitutivi come avviene in altri Paesi dove le convivenze devono obbligatoriamente
L’ordinamento anagrafico (legge 24 dicembre 1954, n. 1228 e regolamento approvato con DPR 30 maggio 1989, n. 223, modificato dal DPR 17 luglio 2015, n. 126) stabilisce che in ogni Comune deve essere tenuta l’anagrafe della popolazione residente e prevede l’obbligo per chiunque di chiedere per sé “e per le persone sulle quali esercita la patria potestà o la tutela”, l’iscrizione nell’anagrafe del Comune di dimora abituale e di dichiarare alla stessa i fatti determinanti mutazione di posizioni anagrafiche. L’ufficiale d’anagrafe che sia venuto a conoscenza di fatti che comportino l’istituzione o la mutazione di posizioni anagrafiche, per i quali non siano state rese le prescritte dichiarazioni, deve invitare gli interessati a renderle. In caso di mancata dichiarazione, l’ufficiale d’anagrafe provvede di ufficio, notificando all’interessato il provvedimento stesso. Contro il provvedimento d’ufficio è ammesso ricorso al prefetto. Il Regolamento anagrafico della popolazione residente prescrive gli adempimento per la “raccolta sistematica dell’insieme delle posizioni relative alle singole persone, alle famiglie ed alle convivenze che hanno fissato nel comune la residenza, nonché delle posizioni relative alle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio.
L’anagrafe è costituita da schede individuali, da schede di famiglia e dalle schede delle convivenze comunitarie. Le convivenze di fatto cui si riferisce la nuova legge sono quelle indicate nell’art. 4 del regolamento, che precisa il concetto di “famiglia anagrafica” (Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune.
Le dichiarazioni anagrafiche obbligatorie sono quelle per a) trasferimento di residenza da altro comune o dall’estero ovvero trasferimento di residenza all’estero; b) costituzione di nuova famiglia o di nuova convivenza, ovvero mutamenti intervenuti nella composizione della famiglia o della convivenza; c) cambiamento di abitazione; d) cambiamento dell’intestatario della scheda di famiglia o del responsabile della convivenza; e) cambiamento della qualifica professionale; f) cambiamento del titolo di studio.
Per quanto concerne la formazione delle schede anagrafiche l’art. 20 del regolamento prevede che a ciascuna persona residente nel comune deve essere intestata una scheda individuale, sulla quale devono essere obbligatoriamente indicati il cognome, il nome, il sesso, la data e il luogo di nascita, il codice fiscale, la cittadinanza, l’indirizzo dell’abitazione. Da questa scheda sono tratte le indicazioni che vanno riportate nel certificato di residenza. Nella scheda sono altresì indicati altri elementi che rimarranno sempre solo nella scheda e non comunicati a terzi e cioè la paternità e la maternità, gli estremi dell’atto di nascita, lo stato civile, ed eventi modificativi, nonché gli estremi dei relativi atti, il cognome e il nome del coniuge, la professione o la condizione non professionale, il titolo di studio, gli estremi della carta d’identità, il domicilio digitale, la condizione di senza fissa dimora. Per ciascuna famiglia residente l’art. 21 prescrive che “deve essere compilata una scheda di famiglia, nella quale devono essere indicate le posizioni anagrafiche relative alla famiglia ed alle persone che la costituiscono”. Da questa scheda saranno tratte le indicazioni che vanno riportate nel certificato di stato di famiglia.
Da quanto sopra si può dedurre che ai fini probatori e di certezza della stabilità la convivenza di fatto risulta non tanto e non solo dalle certificazioni anagrafiche relative alle schede personali (dichiarazione di residenza) da cui può risultare tuttavia la residenza nella medesima abitazione, ma soprattutto dalle schede di famiglia (certificazioni di stato di famiglia).
Con l’importante precisazione che la scheda di famiglia die conviventi di fatto potrà essere formata soltanto se i conviventi fatto adempiono all’onere di richiedere la loro iscrizione anagrafica come conviventi di fatto. Mai l’ufficiale di anagrafe potrà desumere dal fatto che due persone abitano nella stessa dimora che si tratti di conviventi di fatto uniti da vincoli affettivi e di solidarietà. Gli stessi conviventi dovranno segnalare il termine della convivenza di fatto dichiarando il venir meno dei presupposti che ne consentono l’iscrizione nella medesima scheda di famiglia. Pertanto lo statuto giuridico della convivenza di fatto e gli elementi che ne indicano con certezza i limiti anche temporali di vigenza della stessa convivenza – iscritta nella scheda di “famiglia” – lasciano intendere che il modello legale della convivenza di fatto si differenzia da quello matrimoniale e delle unioni civili per elementi che non alterano al sostanziale comune riconducibilità dei tre modelli al medesimo elemento dell’essere relazioni umane primarie indicative in sostanza di modelli familiari diversi ma pur sempre di natura familiare. Ed in verità, anche nella convivenza di fatto sussiste la medesima ragione giustificatrice della sospensione della prescrizione che, come detto, all’inizio, è pacificamente ricondotta alla inopportunità che tra le parti di un rapporto primario di natura familiare ci si debba fare causa o si debbano compiere atti interruttivi della prescrizione per evitare che un eventuale diritto in contestazione resti prescritto.

SOSPENSIONE DELLA PRESCRIZIONE
Giurisprudenza
Cass. civ. Sez. I, 20 agosto 2014, n. 18078 (Famiglia e Diritto, 2015, 4, 350 nota di FAROLFI)
La sospensione della prescrizione tra coniugi di cui all’art. 2941, n. 1, c.c. non trova applicazione al credito dovuto per l’assegno di mantenimento previsto nel caso di separazione personale, dovendo prevalere sul criterio ermeneutico letterale un’interpretazione conforme alla ratio legis, da individuarsi tenuto conto dell’evoluzione della normativa e della coscienza sociale e, quindi, della valorizzazione delle posizioni individuali dei membri della famiglia rispetto alla conservazione dell’unità familiare e della tendenziale equiparazione del regime di prescrizione dei diritti post-matrimoniali e delle azioni esercitate tra coniugi separati; nel regime di separazione, infatti, non può ritenersi sussistente la riluttanza a convenire in giudizio il coniuge, collegata al timore di turbare l’armonia familiare, poiché è già subentrata una crisi conclamata e sono già state esperite le relative azioni giudiziarie, con la conseguente cessazione della convivenza, il venir meno della presunzione di paternità di cui all’art. 232 c.c. e la sospensione degli obblighi di fedeltà e collaborazione.
Cass. civ. Sez. I, 4 aprile 2014, n. 7981 (Foro It., 2014, 6, 1, 1768)
In tema di separazione dei coniugi, posto che il diritto all’assegno di mantenimento ha ad oggetto più prestazioni autonome, distinte e periodiche, il termine di prescrizione non decorre, unitariamente, dal provvedimento che ha previsto quell’assegno, bensì da ciascuna delle singole scadenze di pagamento, senza che operi tra i coniugi separati la sospensione della prescrizione disposta dall’art. 2941, n. 1, c.c.
Cass. civ. Sez. III, 1 aprile 2014, n. 7533 (Foro It., 2014, 7-8, 1, 2124)
La sospensione del decorso della prescrizione tra coniugi opera anche quando gli stessi si trovano in stato di separazione per¬sonale (nella specie, è stata cassata la pronuncia di merito in cui si era affermato che il diritto ad ottenere l’assegno di mantenimento disposto a carico del coniuge separato si prescrive dalle singole scadenze delle prestazioni dovute, negando di fatto l’operatività della predetta sospensione).
Cass. civ. Sez. I, 20 giugno 2013, n. 15481 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La violazione dei diritti fondamentali della persona è configurabile anche all’interno di una unione di fatto, che abbia, beninteso, caratteristiche di serietà e stabilità, avuto riguardo alla irrinunciabilità del nucleo essenziale di tali diritti, riconosciuti, ai sensi dell’art. 2 Cost., in tutte le formazioni sociali in cui si svolge la personalità dell’individuo Del resto, ferma restando la ovvia diversità dei rapporti personali e patrimoniali nascenti dalla convivenza di fatto rispetto a quelli originati dal matrimonio, è noto che la legislazione si è andata progressivamente evolvendo verso un sempre più ampio riconoscimento, in specifici settori, della rilevanza della famiglia di fatto.
Trib. Bari Sez. II, 28 febbraio 2012 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Il diritto alla riscossione dell’assegno alimentare soggiace al termine di prescrizione breve quinquennale, vertendosi in un’ipotesi di prestazioni periodiche in termini inferiori all’anno, disciplinate dall’art. 2948, n. 4 c.c. La sospensione della prescrizione, disciplinata dall’art. 2941 c.c., invece, si ritiene sussistente ed operante solo fino a quando lo stato del coniuge coincida con quello di convivente dovendo ritenersi oramai superata l’interpretazione che riteneva applicabile la sospensione anche dopo l’intervenuta separazione non costituendo la separazione un definitivo momento di rottura dell’unità familiare che poteva sempre ricostituirsi.
Trib. Bologna Sez. I, 21 maggio 2004 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
L’articolo 2941 del c.c. che dispone la sospensione della prescrizione tra coniugi deve applicarsi, attesa la tassatività dei casi di sospensione previsti dagli articoli 2941 e 2942 del c.c., sia nel caso che i coniugi abbiano comunanza di vita sia allorché si trovino in stato di separazione personale. Al coniuge non proprietario dei beni per i quali sono stati effettuati esborsi con denaro comune ovvero con suo esclusivo, compete un diritto di credito quantificabile, in assenza di prova contraria, nella metà della spesa sostenuta a vantaggio del bene non facente parte della comunione ma in proprietà esclusiva dell’altro coniuge, sul quale trattandosi di debito di valuta, sono dovuti i soli interessi legali dalla messa in mora, sino al saldo effettivo.
Trib. Milano, 10 febbraio 1999 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La prescrizione tra coniugi è sospesa di diritto durante il matrimonio e tale regola trova applicazione anche durante la separazione personale, che non implica il venire meno del rapporto di coniugio, ma soltanto un’attenuazione del vincolo.
Corte cost. 29 gennaio 1998, n. 2 (Famiglia e Diritto, 1998, 3, 214 nota di FIGONE)
Non è fondata, con riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2941, n. 1, cod. civ., laddove, stabilendo che il corso della prescrizione resti sospeso tra i coniugi , non contiene analoga previsione per i conviventi “more uxorio”, in quanto – posto che l’istituto della prescrizione è finalizzato all’obiettivo primario di garantire certezza nei rapporti giuridici, impedendo al titolare di un diritto di esercitarlo dopo un determinato periodo di tempo; che, in tale prospettiva, la sospensione della prescrizione si caratterizza per la peculiarità costituita dalla tassatività dei casi previsti dalla legge; e che, se esorbita dalle attribuzioni del giudice delle leggi, quella di creare una nuova fattispecie di sospensione della prescrizione , deve ritenersi legittimo sindacare l’omissione legislativa nell’ambito di un’ipotesi già determinata, a condizione che la norma richiamata costituisca “tertium comparationis”, tale da rendere costituzionalmente illegittima l’omissione stessa e, quindi, doverosa la sentenza additiva della Corte – la famiglia legittima, essendo una realtà diversa dalla famiglia di fatto, non costituisce adeguato “tertium comparationis”, ed in quanto la sospensione della prescrizione implica precisi elementi formali e temporali che si ravvisano nel coniugio e non nella libera convivenza.
Cass. civ. 23 agosto 1985, n. 4502 (Dir. Famiglia, 1985, 934)
L’art. 2941, n. 1 c. c., il quale prevede nei rapporti fra coniugi la sospensione del decorso prescrizionale, trova applicazione anche durante il regime di separazione personale tra gli stessi, regime che non implica il venir meno del rapporto di coniugio, ma soltanto una attenuazione del vincolo.
Corte cost. 19 febbraio 1976, n. 35 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
Anche durante la separazione personale, la situazione di coniuge si differenzia da quella di ogni altro cittadino; pertanto, è infondata la questione di costituzionalità dell’art. 2941, n. 1, cod. civ., per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui dispone che rimane sospesa la prescrizione fra coniugi anche se legalmente separati, atteso che il detto articolo non attribuisce al coniuge separato un ingiustificato privilegio rispetto alla generalità degli altri cittadini.
Cass. civ. Sez. I, 19 giugno 1971, n. 1883 (Pluris, Wolters Kluwer Italia)
La norma di cui all’art. 2941 n. 1 c.c., secondo cui la prescrizione è sospesa nei rapporti tra coniugi, trova applicazione anche durante la separazione personale.