Inammissibile l’azione di riduzione promossa dal legittimario che non abbia compiuto l’inventario nei termini di legge.

Corte d’Appello di Lecce, Sentenza del 19 novembre 2024,
n.940, Relatore Brocca
Presidente Esposito – Relatore Brocca
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1144 emessa il 14.07.2022, pubblicata il 20.07.2022, il
Tribunale di Brindisi, in composizione collegiale, decidendo sulla domanda
formulata da R.A., N.M. e N.F., con atto di citazione notificato nei confronti di
S.P.G., così provvedeva: “Condanna S.P.G. alla restituzione della somma di
euro 26.532,14 in favore della massa ereditaria, per le causali di cui in
premessa; Dispone lo scioglimento della comunione ereditaria sulla ridetta
somma di euro 26.532,14 secondo le regole della successione legittima,
attribuendo a ciascuno dei tre coeredi la somma di 8.844,04 e condanna per
l’effetto S.P.G. al pagamento in favore di N.F. e N.M. della somma di euro
13.266,07 per ciascuno di essi, oltre ad interessi legali dalla domanda al
soddisfo; Accoglie per quanto di ragione la domanda proposta da R.A., e per
essa dai suoi eredi N.F. e N.M., in relazione alla reintegra della quota di
legittima spettante alla stessa sull’eredità di N.G., deceduto il 16.09.2009; Per
l’effetto, dichiara che la donazione disposta in favore di S.P.G. da N.G. con il
testamento olografo del 24.07.2009 e pubblicato il 23.04.2010 dal notaio L.CH.
in Grottaglie, lede la quota di legittima spettante a R.A. (e per essa ai suoi
eredi N.F. e N.M.) nella misura di euro 30.350,91, alla stregua del valore del
patrimonio ereditario stimato dal CTU ing. F.D’A. nella relazione peritale; Per
l’effetto, dispone la reintegra di detta quota di legittima, condannando S.P.G. al
pagamento in favore di R.A., e per essa dei suoi eredi N.F. e N.M., della
somma di euro 30.350,91 oltre interessi legali sulla somma rivalutata anno per
anno dal dì dell’apertura della successione alla pubblicazione della presente
decisione, a decorrere dalla quale saranno dovuti i soli interessi legali sino al
soddisfo; Condanna la convenuta alla refusione delle spese di lite in favore
dell’attore in misura di 2/3, dichiarandole compensate per il resto e con
distrazione in favore dei difensori distrattari ex art. 93 c.p.c., spese liquidate
per l’intero in complessivi euro 13.411,83, di cui euro 411,83 per esborsi, oltre
rimborso spese generali al 15%, iva e cpa come per legge; Spese di CTU a
carico degli attori in misura di 1/3 e della convenuta in misura di 2/3”.
Con atto di citazione dell’8.03.2011, R.A., N.M. e N.F., rispettivamente moglie
e figli di N.G., deceduto in Villa Castelli (Br) il (omissis), convenivano innanzi al
Tribunale di Brindisi S.P.G. per far accertare e dichiarare l’inefficacia nei loro
confronti della disposizione contenuta nel testamento olografo redatto dal de
cuius in data 24.07.2009, in quanto lesiva della quota di riserva loro spettante,
con riconoscimento del diritto alla reintegra della stessa e con condanna di
S.P.G. al risarcimento del danno in loro favore nella misura di € 30.110,47 in
ragione degli illegittimi ed immotivati prelievi effettuati dal conto corrente del
de cuius.
Esponevano gli attori che il de cuius, successivamente alla separazione di fatto
dalla moglie R.A., aveva intrattenuto una relazione sentimentale con S.P.G.
convivendo con la stessa presso l’abitazione sita in Villa Castelli (Br) alla
(omissis), di proprietà esclusiva del de cuius.
Era accaduto, poi, che N.G. si fosse ammalato di una grave malattia polmonare
che lo aveva costretto nel suo ultimo anno di vita a diversi ricoveri nei mesi di
agosto, settembre e dicembre 2009 e lo aveva portato alla morte in data
16.12.2009.
Successivamente, essi eredi erano venuti a conoscenza del fatto che il de cuius
aveva disposto con testamento olografo della abitazione di Via Kennedy in
favore della S.P.G., con lesione della quota legittima ad essi spettante e senza
nulla disporre in merito alla mobilia ivi presente, e che nel periodo del ricovero
del N.G. da agosto a ottobre 2009, la convenuta aveva eseguito prelievi e
spese con il bancomat dal conto del de cuius, tanto che avevano sporto nei
suoi confronti denuncia querela per appropriazione indebita. Promuovevano,
pertanto, azione di riduzione per lesione della quota legittima spettante a
ciascuno di essi, chiedendo disporsi CTU al fine di calcolare la quota disponibile
e quella legittima del patrimonio relitto dal de cuius, nonché la restituzione alla
massa ereditaria delle somme acquisite senza titolo da S.P.G..
Si costituiva in giudizio S.P.G., con comparsa di costituzione e risposta
depositata il 3.6.2011, eccependo preliminarmente l’inammissibilità della
domanda di riduzione ex art. 564 c.c. per non avere gli attori preventivamente
accettato l’eredità di N.G. con beneficio di inventario e instando, nel merito,
per il rigetto della domanda.
In particolare, deduceva che gli attori avevano già colmato la quota di riserva,
avendo ricevuto in donazione l’appartamento sito in Taranto alla Via Veneto n.
116, che, per dimensioni e caratteristiche nonché per posizione, era da
considerarsi di notevole valore economico.
Formulava altresì domanda riconvenzionale per l’importo complessivo di €
155.965,99 quale retribuzione maturata per l’attività di natura domestica e di
assistenza domiciliare prestata in favore del de cuius, oltre interessi e
rivalutazione.
Veniva disposta la separazione della causa avente ad oggetto la domanda
riconvenzionale per competenza del Giudice del Lavoro e, in attesa della sua
definizione, sospesa la causa principale che, una volta intervenuta la decisione
del Tribunale di Brindisi – Sezione Lavoro di rigetto della domanda di S.P.G.,
veniva riassunta da N.M. e N.F., in proprio e anche quali eredi di R.A. nelle
more deceduta, ed istruita con prove orali, interrogatorio formale di S.P.G. e
con una CTU tecnica e una CTU contabile.
Precisate le conclusioni, previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.,
la causa veniva decisa con la sentenza in epigrafe.
Il primo giudice preliminarmente rigettava, ritenendola infondata, l’eccezione
di inammissibilità dell’azione ex art. 564 c.c. per aver gli attori documentato di
aver accettato con beneficio di inventario l’eredità di N.G. in data antecedente
all’instaurazione del giudizio.
Osservava, in particolare, che, comunque, l’art. 564 c.c. nulla prescriveva in
ordine al fatto che l’accettazione beneficiata dovesse essere effettuata prima
della dichiarazione di successione che, peraltro, rilevava solo sotto il profilo
fiscale.
Riteneva parimenti infondata e meritevole di rigetto, oltre che tardiva in
quanto sollevata solo in comparsa conclusionale, l’eccezione di improponibilità
della domanda di riduzione per la mancata redazione dell’inventario nei termini
di legge, sul presupposto che l’art. 564 c.c. fa salva l’ipotesi dell’erede che
abbia accettato col beneficio di inventario e che ne sia decaduto, non
prevedendo in tal caso l’inammissibilità dell’azione di riduzione.
Quanto al merito della domanda attorea, la riteneva fondata e meritevole di
accoglimento. Osservava che il de cuius, avendo donato in favore della S.P.G.,
con testamento olografo del 24.7.2009, l’immobile sito in Villa Castelli e ai figli,
con atto del 31.10.2006, la nuda proprietà dell’immobile sito in Taranto –
riservando per sé l’usufrutto- aveva di fatto così esaurito tutto il suo
patrimonio e totalmente pretermesso la moglie R.A., attrice deceduta in corso
di causa e di cui gli attori erano gli unici eredi.
Quanto alla donazione in favore dei figli, riteneva che la stessa dovesse
qualificarsi come ordinaria donazione in conto di legittima – attesa la
contraddizione testuale relativa alla clausola di dispensa da imputazione ex se
in essa contenuta e la non chiara ed inequivoca volontà del donante di
dispensare i donatari dall’imputazione – e che, dunque, gli attori N.F. e N.M.
dovessero imputare alla propria quota di riserva la donazione ricevuta in vita
dal de cuius.
Richiamando le risultanze della CTU dell’ing. D’A. in quanto condivise, per cui
l’asse ereditario di N.G. era pari ad un valore di € 204.000,00, reputava che,
detratte le spese funerarie per € 3.000,00, dovessero aggiungersi € 26.532,14,
appartenenti al de cuius e di cui la S.P.G. aveva disposto ingiustificatamente.
Riteneva, infatti, il Tribunale, con riferimento alla domanda attorea di
risarcimento del danno ex art. 2043 per gli illegittimi prelievi effettuati dal
conto corrente del de cuius, da qualificarsi in realtà quale azione di rendiconto,
che, per quanto accertato dal CTU dott. MA., della somma oggetto di
prelevamento pari ad € 30.110,47, appariva giustificata alla luce della
documentazione depositata dalla convenuta, solo la spesa di € 3.000,00 per
spese funerarie e di € 578,33 per il pagamento di bollette, non avendo per la
restante parte la N.G. dato prova rigorosa che gli importi fossero stati usati
nell’interesse del de cuius.
In particolare, sotto tale profilo risultava ingiustificato il prelevamento della
somma di € 9.137,00 mediante assegno circolare emesso in favore di Compass
s.p.a. e le dichiarazioni rese al riguardo della teste C.B. apparivano
scarsamente credibili e inverosimili, oltre che non suffragate da ulteriori
elementi di prova.
Riteneva, pertanto, che la S.P.G. fosse tenuta alla restituzione della somma di
€ 26.532,14 che doveva essere devoluta secondo le regole della successione
legittima e divisa in parti uguali tra gli attori, con conseguente condanna della
convenuta al pagamento in favore di N.F. e N.M. della somma di € 13.266,07
ciascuno in virtù della ripartizione in parti uguali fra gli stessi anche della quota
della loro madre R.A., deceduta nelle more.
Ricostruito l’asse ereditario per un valore pari ad € 227.532,14 (valore stimato
dal CTU in € 204.000,00, sottratti € 3.000,00 per spese funerarie e aggiunti €
26.532,14 da restituirsi da parte della S.P.G. all’asse ereditario) e stimato il
valore della quota disponibile (pari a ¾ del totale in 170.649,10), la quota di
riserva per ciascuno degli attori risultava pari ad € 56.883,03.
Stante il valore dell’immobile ricevuto in vita da N.F. e N.M. stimato in €
117.000,00 (58.500,00 per ciascuno), reputava che nessuna lesione della loro
quota di riserva potesse ravvisarvi, anzi per effetto della restituzione delle
somme ad opera della S.P.G., essi venivano a ricevere una quota in eccedenza
(58.500,00+8.844,04 quale quota parte di € 26.532,14).
Riteneva, invece, che la quota di legittima spettante a R.A., erede
pretermessa, era stata lesa in conseguenza della donazione disposta dal de
cuius in favore di S.P.G., e ne disponeva, pertanto, la riduzione con reintegra
in favore della R.A. nella misura di € 48.038,99 (sottraendo dalla quota di
riserva € 56.883,03 l’importo di € 8.844,04 pari ad 1/3 di € 26.532,14) e, per
effetto della riduzione delle quote legali ab intestato di N.F. e N.M. pari ad €
17.688,08 (8.844,04 ciascuno), nella misura di 30.350,91, con condanna della
convenuta al pagamento di detto importo in favore degli eredi F. e M., oltre
interessi e rivalutazione e alle spese del giudizio in misura di 2/3, compensate
per il resto tra le parti.
Avverso la suddetta sentenza ha proposto appello S.P.G. con citazione
notificato il 19.10.2022, articolando diversi motivi di gravame, più avanti
sintetizzati, ed insistendo nelle originarie deduzioni e richieste, previa richiesta
di sospensione dell’esecutività della impugnata sentenza.
Si sono costituiti in giudizio, con comparsa depositata in data 29.12.2022, N.M.
e N.F., chiedendo il rigetto dell’appello in quanto infondato e la conferma della
sentenza di primo grado, con vittoria di spese della presente fase di giudizio.
All’udienza del 18.06.2024, precisate dalle parti le conclusioni, la causa è stata
trattenuta per la decisione con concessione dei termini di cui all’art.190 cpc.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di appello parte appellante si duole dell’ingiustizia e
illegittimità della sentenza nella parte in cui rigetta l’eccezione di
inammissibilità ed improponibilità dell’azione di riduzione per mancato
compimento dell’inventario, per violazione degli artt. 564 e 487 c.c. ed erronea
valutazione delle risultanze processuali.
Avrebbe errato il primo giudice, in primo luogo nel ritenere improponibile la
detta eccezione poiché tardivamente sollevata dalla convenuta, odierna
appellante, solo in sede di comparsa conclusionale, laddove, invece, sin dalla
comparsa di costituzione e risposta del 3.06.2011, S.P.G. aveva eccepito che
gli attori legittimari, pur essendosi dichiarati eredi e rivendicando l’eredità
anche dei beni mobili dell’ultimo domicilio del de cuius, non avevano accettato
l’eredità con beneficio di inventario, e, a seguito dell’allegazione di parte attrice
della accettazione avvenuta in data 27.12. 2020, non allegata all’atto di
citazione, e senza redazione dell’inventario, per come dedotto dagli stessi, alle
udienze istruttorie del 3.06.2019 e del 3.10.2019, insisteva per
l’inammissibilità della domanda di riduzione ai sensi dell’art. 564 per
intervenuta decadenza dal beneficio d’inventario non avendo compiuto
l’inventario nel termine prescritto dall’art. 487 c.c.
Parimenti erroneo sarebbe, a dire dell’appellante, il successivo passaggio della
sentenza in cui ritiene comunque l’eccezione infondata nel merito sul
presupposto che l’art. 564 c.c., facendo salva l’ipotesi dell’erede che abbia
accettato col beneficio d’inventario e che ne sia decaduto, non prevede in
siffatta ipotesi l’inammissibilità dell’azione di riduzione.
Evidenzia l’appellante che perché possa dirsi perfezionata la fattispecie di cui
all’art. 564 c.c., trattandosi di fattispecie a formazione progressiva, è
necessario il compimento di entrambi i momenti che la costituiscono, quello
dichiarativo di formalizzazione dell’accettazione e quello fattivo di concreta
esecuzione dell’inventario (entro tre mesi dall’apertura della successione),
entrambi secondo le modalità di legge.
Pertanto, si deduce, avendo gli attori meramente accettato l’eredità con
beneficio di inventario ma senza provvedere alla redazione dello stesso, tale
omessa redazione avrebbe comportato il mancato acquisto del beneficio e non
la decadenza dal medesimo, con la conseguenza dell’inammissibilità della
domanda di riduzione per carenza del presupposto al riguardo richiesto dall’art.
564, comma 1, c.c., cioè l’accettazione con beneficio d’inventario. Parimenti
erronea sarebbe la sentenza nella successiva parte in cui fonda ancora
l’infondatezza dell’eccezione della convenuta sulla circostanza che R.A. non
aveva ricevuto alcunché rimanendo totalmente pretermessa dalla successione
del marito, avendo questi esaurito tutti i suoi beni con la donazione a S.P.G.
dell’immobile di Villa Castelli e ai figli dell’immobile in nuda proprietà sito in
Taranto.
Deduce l’appellante che, in realtà, nella fattispecie si verterebbe in un’ipotesi di
successione ab intestato apertasi con la morte del N.G. e con la quale N.M.,
N.F. e R.A. hanno assunto la qualità di legittimari sull’universalità dei beni
mobili ed immobili relitti in successione, come confermato anche dalla
circostanza che gli attori hanno rivendicato con la citazione introduttiva del
giudizio i beni mobili del de cuius presenti nell’immobile donato alla S.P.G.
La disposizione testamentaria olografa del 24.07.2009 avrebbe disposto un
mero legato in favore della S.P.G., avente ad oggetto l’immobile sito in Villa
Castelli, senza che il testatore abbia inteso assegnare quel bene come quota
del patrimonio complessivo. Con la conseguenza che la R.A. non era stata
totalmente pretermessa dall’eredità del N.G. in quanto ad egli era succeduta
per successione legittima sugli altri beni mobili relitti (la mobilia
dell’appartamento donato alla S.P.G., oggetto di valutazione da parte del CTU).
Conclude l’appellante chiedendo, in riforma della sentenza impugnata, una
pronuncia di declaratoria di inammissibilità della azione di riduzione spiegata
dagli eredi N.G.
2. Con il secondo motivo di appello parte appellante reputa ingiusta ed
illegittima la sentenza di primo grado per erronea valutazione delle risultanze
processuali, violazione di legge in relazione all’art. 132 c.p.c. e per apparente
e/o carente motivazione in relazione alle risultanze della CTU.
Deduce l’appellante che il primo giudice avrebbe acriticamente letto e fatto
proprie le risultanze della CTU dell’Ing. D’A. – relative alla stima del valore
dell’immobile sito in Taranto alla Via Veneto n.116 ed oggetto di donazione del
N.G. in favore dei figli – in contrasto con le risultanze istruttorie emerse in sede
di controdeduzioni alla CTU, omettendo la valutazione delle deduzioni tecniche
offerte dalla convenuta.
In particolare, le valutazioni compiute dal CTU sarebbero incomplete e del tutto
inattendibili in quanto rese in assenza del rituale sopralluogo e solo sulla base
di fotografie prodotte dagli attori che nelle more avevano alienato l’immobile,
senza aver acquisito il prezzo di vendita applicato dagli stessi in sede di
vendita e senza considerare il valore di mercato del bene al momento della
successione (2009).
Sul punto, la sentenza di primo grado sarebbe priva di valida motivazione.
Non sarebbe stato valutato, in tal modo, il valore dell’immobile in relazione alla
posizione semicentrale e signorile della città che comporterebbe, a dire
dell’appellante, un valore di mercato a mq compreso tra € 1.300,00 e €
1.700,00 e non già di € 875,00 euro al mq come stimato dal CTU, con la
conseguenza che la stima effettuata dal CTU per un valore dell’immobile pari
ad € 117.000,00 non sarebbe attendibile, aggirandosi invece il reale valore al
momento dell’apertura della successione intorno ai 210.000,00 euro.
Chiede, pertanto, la rinnovazione nella presente fase di giudizio della CTU per
rideterminare il valore della donazione del de cuius in favore dei figli M. e F.
N.G., ai fini della riunione fittizia dei beni e della imputazione in conto di
legittima con il supero sulla disponibile.
Parimenti inattendibile sarebbe, inoltre, la CTU con riferimento alla stima
dell’immobile legato dal de cuius a S.P.G. con il testamento olografo del
24.07.2009, valutazione acriticamente fatta propria dal primo giudice senza
considerare, e conseguentemente accertare, se per il detto immobile,
accatastato come locale uso deposito C/2 e utilizzato di fatto a fini abitativi,
potessero trovare o meno applicazione i valori relativi ad un’abitazione civile
A/3.
Il valore dell’immobile, pertanto, sarebbe stato sovrastimato in € 87.000,00 e,
in conseguenza, erroneamente determinati, in percentuale su tale eccessivo
valore, gli oneri per la sua sanatoria.
Anche con riferimento all’immobile donato dal de cuius a S.P.G., pertanto,
l’appellante chiede la rinnovazione della CTU.
3. Con il terzo motivo di appello si impugna, per erronea valutazione delle
risultanze processuali, la parte della sentenza che ha condannato S.P.G. a
restituire in favore degli eredi legittimi le somme prelevate dal conto corrente
bancario del de cuius, pari a complessivi € 26.532,14, nel periodo da agosto
2009 fino al 9.12.2009, data del decesso di N.G.
Parte appellante reputa che, anche con riferimento alla domanda restitutoria
e/o di rendiconto, il primo giudice abbia recepito acriticamente le valutazioni
del CTU dott. MA. – che ha verificato unicamente la presenza di partite in
entrata ed in uscita sul conto corrente bancario del de cuius e quindi l’esistenza
o meno di pezze contabili a giustificazione delle uscite effettuate dal conto –
senza considerare che il de cuius, il quale aveva sempre conservato le piene
facoltà cognitive, ben poteva materialmente eseguire le operazioni di prelievo
direttamente dallo sportello bancomat; che, in virtù del rapporto affettivo tra il
N.G. e la S.P.G., il conto corrente del de cuius veniva dalla stessa movimentato
in numerose occasioni con prelievi di modesti importi per far fronte alle
esigenze della vita quotidiana del compagno e ciò anche nei periodi in cui lo
stesso non era ricoverato ed era in grado di procedere materialmente alla loro
esecuzione, peraltro senza considerare che i ricoveri ospedalieri del N.G. non
erano avvenuti con soluzione di continuità ma con diverse interruzioni e che
nei periodi di ricovero si sono registrati unicamente quattro prelievi di somme
pari e/o superiori ad euro 1.000,00.
4. Con il quarto motivo di appello, l’appellante reputa errata la sentenza nella
parte in cui ha ritenuto non giustificato il movimento effettuato sul conto
corrente del de cuius con l’emissione di un assegno circolare di euro 9.137,00
in data 26.08.2009 in favore di Compass Spa.
Avrebbe errato il primo giudice a valutare inattendibili le dichiarazioni rese
dalla teste C.B. sul presupposto che non fosse credibile la circostanza, in
assenza di documentazione che la comprovasse, che la stessa fosse creditrice
del N.G., alla luce del fatto che questi si trovava in buone condizioni
finanziarie, e fosse contraddittorio che la C. dapprima avesse contratto un
finanziamento con Compass Spa e allo stesso tempo avesse prestato soldi in
contanti al N.G., in realtà omettendo di considerare che le dichiarazioni della
teste collocano il prestito non nell’anno 2009, ma nell’anno precedente. A ciò si
aggiunge, a dire dell’appellante, che l’assenza di documentazione a supporto
del prestito effettuato in favore del de cuius è ricollegabile alla natura dei
rapporti in essere tra le parti, in considerazione della relazione di vita
ultraquarantennale tra il N.G. e la S.P.G. che ha necessariamente coinvolto
anche i figli di questa e che avrebbe dovuto portare a ritenere giustificato il
detto esborso.
5. Con il quinto motivo di appello, rubricato “rideterminazione dell’asse
ereditario e conseguente rigetto della domanda di riduzione e di restituzione”,
parte appellante, dalle argomentazioni svolte con i precedenti motivi di appello
fa discendere la rideterminazione dell’asse ereditario sulla scorta di una diversa
valutazione dei beni relitti, senza riduzione della disposizione testamentaria
effettuata in favore di essa appellante e con rigetto della domanda di
restituzione somme a titolo di rendiconto.
Conseguentemente chiede, in riforma della impugnata sentenza, il rigetto della
domanda di riduzione del legato disposto in favore di S.P.G. per violazione
della quota di riserva; con vittoria di spese di giudizio della fase cautelare e di
entrambi i gradi del giudizio di merito.
– Questo Collegio ritiene che vada accolto il primo motivo di appello e vada
dichiarata la inammissibilità della domanda di riduzione.
L’art 564 c.c prevede la accettazione con beneficio di inventario quale
condizione di ammissibilità della azione di riduzione rivolta nei confronti di terzi
non coeredi (come è nel caso in esame). Si tratta non di requisito costitutivo
ma appunto di condizione di ammissibilità, né può il legittimario sanare la
situazione con successiva accettazione beneficiata, essendo egli ormai erede
puro e semplice, in quanto ha accettato l’eredità con il fatto stesso di aver
proposto l’azione. Il difetto dell’accettazione dell’eredità con beneficio
d’inventario, quale condizione di ammissibilità dell’azione di riduzione delle
liberalità in favore di persone non chiamate alla successione come eredi, non è
oggetto di un’eccezione in senso tecnico, sicché la mancanza di tale condizione,
come per tutte le altre condizioni dell’azione, deve essere rilevata d’ufficio dal
giudice, anche in grado di appello (Cassazione civile, sez. II, 19/10/2012, n.
18068).
Osserva il Collegio che in tema di successioni “mortis causa”, l’art. 484 cod.
civ., nel prevedere che l’accettazione con beneficio d’inventario si faccia con
dichiarazione, preceduta o seguita dalla redazione dell’inventario, delinea una
fattispecie a formazione progressiva di cui sono elementi costitutivi entrambi
gli adempimenti ivi previsti; infatti, sia la prevista indifferenza della loro
successione cronologica, sia la comune configurazione in termini di
adempimenti necessari, sia la mancata di una distinta disciplina dei loro effetti,
fanno apparire ingiustificata l’attribuzione all’uno dell’autonoma idoneità a dare
luogo al beneficio, salvo il successivo suo venir meno, in caso di difetto
dell’altro. Ne consegue che, se da un lato la dichiarazione di accettazione con
beneficio d’inventario ha una propria immediata efficacia, determinando il
definitivo acquisto della qualità di erede da parte del chiamato che subentra
perciò in “universum ius defuncti”, compresi i debiti del “de cuius”, d’altro
canto essa non incide sulla limitazione della responsabilità “intra vires”,che è
condizionata (anche) alla preesistenza o alla tempestiva sopravvenienza
dell’inventario, in mancanza del quale l’accettante è considerato erede puro e
semplice (artt.485, 487,488 cod. civ.) non perché abbia perduto “ex post” il
beneficio, ma per non averlo mai conseguito. Infatti, le norme che impongono
il compimento dell’inventario in determinati termini non ricollegano mai
all’inutile decorso del termine stesso un effetto di decadenza, ma sanciscono
sempre come conseguenza che l’erede venga considerato accettante puro e
semplice, mentre la decadenza è chiaramente ricollegata solo ed
esclusivamente ad alcune altre condotte, che attengono alla fase della
liquidazione e sono quindi necessariamente successive alla redazione
dell’inventario (e di seguito si illustreranno).
Se invece il legittimario, dopo aver dichiarato di accettare con il predetto
beneficio, non compie l’inventario nei termini di legge, l’azione di riduzione, nei
casi previsti dall’art 564 c.c., non può essere esercitata: e ciò perché in tal
caso non si verifica una decadenza dal beneficio, bensì manca la fattispecie da
cui deriva l’applicazione di esso. L’omessa redazione dell’inventario comporta il
mancato acquisto del beneficio e non la decadenza dal medesimo, ne consegue
che all’erede, il quale agisce contro i terzi non chiamati alla successione, è
precluso l’esperimento dell’azione di riduzione, non sussistendo il presupposto
al riguardo richiesto dall’art. 564 primo comma ultima parte cod. civ., cioè
l’accettazione con beneficio d’inventario (v Cass.civ. 16739 del 09/08/2005).
Ad avviso della dottrina assolutamente prevalente il fondamento della norma,
dell’art 564 c.c. che pone una condizione di procedibilità dell’azione di
riduzione, è individuato nella tutela dei donatari e legatari estranei, per i quali
è necessaria la preventiva constatazione ufficiale della consistenza dell’asse
ereditario. Altre sono le ipotesi di decadenza che, come dispone l’ultimo inciso
del primo comma dell’art 564 c.c., non fanno perdere all’erede il diritto di
chiedere la riduzione: si tratta delle ipotesi previste dagli artt 493 e 494 c.c.
(alienazione dei beni senza autorizzazione e infedeltà o omissioni
nell’inventario ).
La legge intende subordinare l’esercizio dell’azione al fatto che la consistenza
dei beni ereditari venga accertata per mezzo dell’inventario, e ciò al fine di
tutelare i donatari e i legatari i quali, se una parte dell’attivo ereditario venisse
loro occultata, correrebbero il rischio di subire una riduzione non giustificata.
Ciò spiega l’esclusione del requisito in caso di azione contro coeredi in quanto
costoro, se il legittimario non si comporta correttamente, possono promuovere
essi stessi la redazione dell’inventario.
Pertanto erra il Tribunale quando sostiene che la disposizione del primo comma
non si applica nel caso di specie perché l’erede è decaduto dal beneficio di
inventario per non averlo redatto nei termini.
In realtà il richiamo operato dall’ultimo inciso del primo comma dell’art 564
non si riferisce all’ipotesi de qua della mancata redazione dell’inventario ma,
come sopra illustrato, alle ipotesi di decadenza previste dagli artt 493 e 494
c.c.
Si ribadisce che invece la fattispecie della mancata redazione dell’inventario
comporta l’effetto della accettazione pura e semplice e quindi ricade
pienamente nella regola della inammissibilità della azione di riduzione verso i
terzi.
Va anche sgombrato il campo da eventuali dubbi sulla natura di terzo da parte
della S.P.G.. Infatti dal tenore letterale della disposizione testamentaria si
evince la costituzione di un legato e non la istituzione di erede. L’atto contiene
una disposizione particolare a titolo gratuito senza che il testatore abbia inteso
assegnare quel bene come quota del patrimonio complessivo.
Infine coglie nel segno la censura relativa alla inammissibilità della azione
anche con riferimento alla posizione di R.A.
E’ noto il principio per cui a norma dell’art. 564 cod. civ., il legittimario che
abbia la qualità di erede non può esperire l’azione di riduzione delle donazioni e
dei legati lesivi della sua quota di legittima ove non abbia accettato l’eredità
con beneficio d’inventario, non potendo tale condizione valere, invece, per il
legittimario totalmente pretermesso, il quale può acquistare i suoi diritti solo
dopo l’esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento
(v per tutte Cass Civ. n. 24836 del 17/08/2022). La pretermissione del
legittimario può verificarsi anche nella successione “ab intestato”, qualora il
“de cuius” si sia spogliato in vita del suo patrimonio con atti di donazione.
Tale fattispecie è stata erroneamente richiamata nel caso in esame laddove la
stessa R.A. e poi i suoi eredi, hanno sin dall’atto introduttivo del giudizio di
primo grado, allegato la presenza di beni mobili relitti. La circostanza che il
CTU abbia attribuito ai beni mobili un valore esiguo di 2.000-3.000 euro, non
fa venire meno la natura di relictum e il diritto dei terzi (legatari e\o eventuali
creditori) alla redazione dell’inventario.
Ma a ben vedere, nel caso in esame, il relictum è costituito anche dal denaro
esistente sul conto corrente. Lo stesso giudice di primo grado scrive (a pag 4 e
a pag 6 ) che l’importo di euro 26.532,14 (proveniente dal conto corrente del
de cuius) va aggiunto all’asse ereditario. Detto denaro deve entrare nella
massa ereditaria ai fini della determinazione della quota di legittima e della
successiva riduzione della donazione.
Anche sotto questo profilo, esistendo un relictum, la R.A. e per essa i suoi
eredi, non potevano ritenersi totalmente pretermessi e quindi erano soggetti
alla regola dell’art 564 comma primo ed erano tenuti all’inventario.
Resta da valutare se la inammissibilità della domanda di riduzione, produca i
suoi effetti anche sulla ulteriore domanda avente ad oggetto l’accertamento
dell’illecito prelevamento delle somme dal c.c. bancario intestato a N. G. e, per
l’effetto, di condanna al risarcimento del danno arrecato nella misura
corrispondente a detto prelevamento.
La originaria domanda era stata formulata come richiesta di risarcimento del
danno ed è stata riqualificata dal giudice di primo grado come azione di
rendiconto “ tenuto conto del principio iura novit curia e del fatto che gli attori
hanno dedotto in citazione l’esistenza di tutti i fatti costitutivi della azione di
rendiconto” (v sentenza impugnata).
L’azione di rendiconto è effettivamente esperibile nei confronti di chi, tramite
delega bancaria, svuoti il conto corrente del defunto ed è volta alla condanna
di chi abbia male operato sul conto corrente del defunto, appropriandosi
indebitamente del denaro di quest’ultimo.
Nel caso in esame, tuttavia va rilevato che i prelievi che si assumono indebiti
non sono avvenuti dopo il decesso del N.G., ma mentre questi era in vita.
Osserva la Corte che in realtà la domanda era rivolta non a rendere il conto
della gestione del denaro, bensì a recuperare nella massa ereditaria il denaro
proveniente dal conto corrente de cuius e in tal senso è stata accolta dal
Tribunale. Quindi si trattava di una domanda di natura petitoria volta a
reintegrare la pienezza e l’esclusività del diritto degli eredi sull’asse ereditario
mediante il recupero all’asse ereditario, anche del denaro già depositato su
conto corrente e incassato dalla S.P.G. prima del decesso del de cuius.
La domanda di accertamento e di “risarcimento” è stata esercitata dagli attori-
eredi legittimi non autonomamente ma in maniera connessa alla azione di
riduzione e al fine di comprendere nella azione di riduzione, anche quel denaro.
Per tale motivo ritiene la Corte che anche tale domanda venga travolta dal
giudizio di inammissibilità della azione di riduzione.
In ogni caso appaiono fondate anche le censure nel merito formulate nel terzo
e quarto motivo di appello in quanto, trattandosi di prelievi di somme
effettuate non dopo il decesso ma prima della morte del dante causa, era
necessario provare in maniera rigorosa non solo gli avvenuti prelievi, ma il
dissenso del titolare del conto e la destinazione delle somme contro la volontà
del de cuius.
Il ricovero del N.G., non gli impediva di gestire i suoi beni, la convivenza
quarantennale con la S.P.G. giustifica una presunzione di consenso nell’impiego
delle somme prelevate e gli attori non hanno assolto all’onere probatorio a loro
carico che non era solo quello di provare i prelievi, ma di provare il dissenso
del N.G.
Anche con riferimento all’assegno di euro 9.137,00, la teste C.B. ha illustrato
le causali del versamento. I dubbi sulla attendibilità della teste non portano a
ritenere provata la tesi degli originari attori perché era loro onere fornire la
prova della illegittima destinazione del denaro e, anche a non prendere in
considerazione le risultanze della prova testimoniale, resterebbe non provata la
loro tesi con il conseguente rigetto della domanda nel merito.
Pertanto, in accoglimento del primo motivo di appello e assorbendo ogni
motivo e ogni altra questione e richiesta, la sentenza impugnata va riformata e
va dichiarata la inammissibilità della domanda formulata in primo grado dagli
attori.
La soccombenza degli appellati e la riforma integrale della sentenza di primo
grado comportano la condanna degli stessi al pagamento, in solido tra loro, a
favore della S.P.G., delle spese di entrambi i gradi del giudizio che si liquidano
come in dispositivo.
La complessiva regolamentazione delle spese di lite all’esito della decisione di
merito (con applicazione per la fase di appello di importo superiore al minimo
dello scaglione da 52.001 a 260.000), comprende anche le spese del
procedimento cautelare in corso del presente giudizio, atteso che l’esito della
fase cautelare endoprocessuale non ha un’autonoma rilevanza ai fini della
complessiva regolamentazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Lecce, sezione seconda civile, definitivamente decidendo
sull’appello proposto da S.P.G., con atto di citazione notificato il 19.10.2022
nei confronti di N.M. e N.F., avverso la sentenza di primo grado n. 1144 del
Tribunale di Brindisi pubblicata il 20.07.2022 così provvede:
accoglie l’appello e in riforma della sentenza impugnata, dichiara inammissibile
la domanda formulata dagli attori in primo grado.
Condanna N.M. e N.F. in solido tra loro, al pagamento a favore di S.P.G. delle
spese processuali che liquida in euro 7.200,00 per il primo grado e euro
8.000,00 per il secondo grado, oltre IVA e CAP per legge, rimborso forfetario al
15% e CU del grado di appello.