No all’annullamento del matrimonio per disforia di genere.
Tribunale di Livorno, sentenza 12 luglio 2024, Est. Azzurra Fodra
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE ORDINARIO di LIVORNO
SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, in composizione collegiale nelle persone dei seguenti magistrati:
dott. Gianmarco Marinai Presidente
dott. Azzurra Fodra Giudice Relatore
dott. Nicoletta Marino Giudice
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al n. r.g. 3629/2022 promossa da:
T. P. (c.f. ___), con gli avv. ti ALICE DOMINICI e ALESSANDRO DI TEODORO
ATTORE/I
contro
G. F. (c.f. ___), con gli avv. ti ALBERTO GUALANDI e ANNALISA D’AMICIS
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In data 7/3/2024 la causa veniva posta in decisione sulle conclusioni
precisate dalle parti come da note in sostituzione di udienza depositate in data
6/3/2024
CONCISA ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO
DELLA DECISIONE
1. Con atto di citazione ritualmente notificato, T. LE P. conveniva davanti al
Tribunale di Livorno G. Di F., al fine di sentire accogliere le seguenti
conclusioni:
“Voglia l’Ill.mo Tribunale adito, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione:
in via principale pronunciare, con effetti ex tunc, l’annullamento del
matrimonio contratto in data 02.08.2003 tra il Sig. T. Le P. e la sig.ra G. Di F.,
iscritto nei registri degli atti di matrimonio del Comune di Livorno, anno 2003,
parte 1, serie 2003, e per l’effetto ordinare al competente Ufficiale dello Stato
Civile di Livorno di provvedere alle prescritte annotazioni. In ogni caso con
vittoria di spese di giudizio oltre accessori”.
A sostegno della domanda, l’attore premetteva di aver contratto matrimonio
civile con l’odierna convenuta il 2/8/2003 in Livorno e di non esser dall’unione
matrimoniale nati figli, poiché, secondo quanto riferito dalla Di F. al Le P., la
stessa negli anni ‘90 avrebbe dovuto subire l’asportazione dell’utero a causa di
una malattia che l’avrebbe colpita in giovane età.
Parte attrice premetteva, altresì, che, in seguito ad un periodo di crisi
intervenuto successivamente alla richiesta di adozione, da parte dei coniugi, di
F. B. (pratica che, peltro, non venne mai formalizzata), le parti addivenivano
alla pronuncia della separazione, ove veniva stabilito, a carico del Le P.,
l’obbligo di contribuire al mantenimento della moglie mediante un assegno di €
650,00 mensili, somma quest’ultima parzialmente modificata in sede di appello
in € 450,00 mensili.
Ciò posto, il Le P. deduceva che nel giugno 2022, nel procedere all’ispezione
ipotecaria e catastale dei beni immobili intestati all’odierna convenuta, scopriva
che la Di F. prima di conoscerlo era un uomo e che, dunque, i riferiti problemi
di infertilità erano in realtà riconducibili a detta circostanza, come risultante
dalla sentenza di mutamento di sesso n. 96 del 27.10.1992 emessa dal
Tribunale di Livorno, ove la convenuta veniva appunto autorizzata alla rettifica
dei dati anagrafici con correzione del sesso da “maschile” a “femminile” e con
modifica del nome da “G. Di F.” a “G. Di F.”.
Secondo l’assunto attoreo, la fattispecie in esame sarebbe riconducibile all’art.
122 c.c., secondo cui il matrimonio può essere annullato, tra l’altro, in caso di
errore essenziale sulle qualità personali dell’altro coniuge, atteso che il Le P.,
laddove avesse sin dal principio conosciuto la verità in ordine alla qualità della
persona della Di F. ed alle reali motivazioni della impossibilità di procreare, non
avrebbe contratto il matrimonio con l’odierna convenuta.
2. Radicatosi il contraddittorio, si costituiva in giudizio G. DI F., la quale
chiedeva l’integrale reiezione della domanda attorea, eccependo in via
preliminare l’inammissibilità della domanda medesima, stante l’impossibilità di
ricondurre la fattispecie in esame all’art. 122 c.c. e, conseguentemente, di
esercitare da parte del Le P. la relativa azione.
Ed invero, secondo la prospettazione dell’odierna convenuta, se è vero che la
norma invocata dall’attore prevede che il matrimonio possa essere impugnato
ove il consenso sia stato dato per effetto di errore sulla identità della persona o
errore essenziale sulle qualità personali dell’altro coniuge, cionondimeno, al
momento del matrimonio con il Le P. e per tutta la durata dello stesso, non vi
sarebbe stato alcun errore che riguardasse una malattia fisica o psichica, né
una anomalia o deviazione sessuale tali da costituire un vizio nella formazione
del consenso.
Ciò posto, la Di F. eccepiva, altresì, che l’odierno attore sarebbe stato
perfettamente informato, da parte della medesima, ben prima di contrarre
matrimonio e fin dall’inizio della loro relazione sentimentale, dell’intervenuto
procedimento di rettificazione del sesso che la aveva riguardata.
Al termine dell’istruttoria, espletata mediante produzioni documentali, le parti
precisavano le conclusioni, come da verbale di udienza del 7/3/2024 e il
Giudice tratteneva la causa in decisione, a norma dell’art. 281 quinquies c.p.c.,
assegnando i termini di cui all’art. 190 c.p.c. per il deposito delle memorie
conclusionali e delle memorie di replica.
3. Occorre preliminarmente osservare che il presente giudizio ha ad oggetto
l’annullamento del matrimonio inter partes e la questione controversa attiene
alla riconducibilità della fattispecie in esame all’art. 122, commi 2 e 3, c.c.,
secondo cui “il matrimonio può essere impugnato – tra l’altro – da quello dei
coniugi il cui consenso è stato dato per effetto di errore sull’identità della
persona o di errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge.
L’errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le
condizioni dell’altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo
consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l’errore riguardi
l’esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione
sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale”.
Nel caso di specie, dunque, ai fini della decisione, va in primis verificata, in
capo all’attore, la mancata conoscenza, prima della celebrazione del
matrimonio, dell’intervenuta rettificazione del sesso subita dalla convenuta.
In secundis, una volta risolta positivamente la predetta questione, occorre
valutare se l’errore in ordine al transessualismo e, dunque, all’intervenuto
procedimento di rettificazione del sesso sia qualificabile – astrattamente e nel
caso di specie – come errore sulla identità della persona ovvero, in alternativa,
come errore essenziale sulle qualità personali dell’altro coniuge; in tale
seconda ipotesi, va, altresì, riscontrata la c.d. essenzialità dell’errore,
ricorrendo, detta essenzialità, qualora si accerti sia che l’attore non avrebbe
prestato il proprio consenso se avesse esattamente conosciuto le qualità
personali taciute, sia che l’errore sia riferibile ad una malattia fisica o psichica o
ad una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della
vita coniugale.
Tanto premesso, la domanda va rigettata per le motivazioni che seguono.
3.1 Sotto il primo profilo, nel caso in esame, può ritenersi adeguatamente
dimostrata – sia pure nei termini di seguito meglio precisati – la mancata
conoscenza, in capo al Le P., del fatto che la moglie, prima della celebrazione
del matrimonio, fosse nata di sesso maschile.
Ed invero, dalla registrazione audio relativa ad una conversazione telefonica
avvenuta tra le parti in data 19/7/2022 (cfr. doc. 6 parte attrice), emerge che
l’odierno attore effettivamente non era stato messo direttamente a
conoscenza, da parte della di F., del fatto che ella aveva intrapreso il
procedimento per la rettifica del sesso e del nome. Infatti, in tale
conversazione, la convenuta nega più volte di essere stata prima di sesso
maschile e prospetta persino che i dati risultanti dal registro catastale possano
essere frutto di un errore.
Tuttavia, dalla medesima conversazione, si desume pure che la Di F. omise di
rendere edotto il Le P. del proprio passato, in quanto egli stesso, di fronte alla
possibilità offertagli dalla convenuta di conoscere in maniera più chiara le cause
della incapacità della medesima convenuta di avere figli, disse alla Di F. di non
voler “approfondire” (cfr. minuti 2:20 e 16:40 della conversazione telefonica in
atti). Pertanto, se è vero che, nel caso di specie, l’attore non fu messo a
conoscenza dell’avvenuta rettificazione del sesso da parte della convenuta, è
altrettanto vero che tale mancata conoscenza non sembra essere riconducibile,
in termini giuridici, ad un errore ai sensi dell’art. 122 c.c., in quanto, come
detto, imputabile allo stesso Le P., che preferì “non approfondire” le cause
dell’incapacità a procreare dell’odierna convenuta, di cui invece sin da subito
venne edotto.
3.2 In ogni caso, anche ove si volesse qualificare tale mancata conoscenza in
termini di errore, la domanda deve essere comunque respinta. Infatti, tale
errore non risulta qualificabile né come errore sulla identità della persona né
come errore essenziale sulle qualità personali dell’altro coniuge.
Non vi è stato errore sulla identità della persona in quanto il Le P., a tutti gli
effetti, si è unito in matrimonio con la persona che intendeva e riteneva di
sposare, ossia con G. Di F., che all’epoca già risultava donna, tanto
anagraficamente quanto sotto l’aspetto dei caratteri sessuali.
A riguardo, poi, occorre ricordare i principi espressi dalla Corte Costituzionale
in materia di rettificazione dell’attribuzione del sesso, la quale, nel rigettare le
questioni di legittimità costituzionale sollevate in ordine alla L. n. 164/1982 per
potenziale contrasto con gli artt. 3 e 32 Cost., ha in primis riconosciuto “il
diritto all’identità di genere quale elemento costitutivo del diritto all’identità
personale, rientrante a pieno titolo nell’ambito dei diritti fondamentali della
persona ai sensi dell’art. 2, 3 e 32 Costituzione e art. 8 Convenzione Europea
Diritti Uomo” (Corte costituzionale sentenza 24/05/1985); in secondo luogo, la
Consulta ha affermato che il procedimento di rettificazione dell’attribuzione di
sesso, per la persona affetta da disforia di genere, non rappresenta e non dà
luogo ad un reale cambio di identità, bensì rappresenta lo strumento, messo a
disposizione dall’ordinamento, per adeguare l’aspetto esteriore della persona
alla propria identità, sostenendo persino che “per ottenere la rettificazione del
sesso nei registri dello stato civile deve ritenersi non obbligatorio l’intervento
chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali anatomici primari”
(in tal senso, Corte Costituzionale sentenza 221/2015, ma v. anche sentenza
della Corte di Cassazione n. 15138/2015 ).
Facendo applicazione dei superiori principi al caso in esame, quindi, deve
recisamente escludersi che vi sia stato un errore sulla identità della persona,
atteso che l’identità (di genere) della Di F. si è sempre identificata con quella
femminile e non con quella maschile, tanto che, la stessa Di F., in modo
particolarmente significativo, nella conversazione telefonica sopra richiamata,
per più di una volta, nel rispondere alle domande incalzanti del Le P. relative al
fatto se fosse o se fosse stata in passato un uomo, ha ribadito “io non sono un
uomo”, “io non ero un uomo”.
Ad ulteriore riprova della correttezza delle precedenti conclusioni, va altresì
segnalato come nella stessa L. n. 164/1982 (oggi integrata dall’art. 31 del
D.Lgs n. 150/2011), vengono dettate disposizioni in materia di “rettificazione
di attribuzione di sesso” e di “adeguamento dei caratteri sessuali mediante
intervento chirurgico”; anche dal tenore letterale della normativa sopra citata,
la quale appunto utilizza le locuzioni “rettificazione” e “adeguamento”, anziché
“mutamento” (di sesso), si desume che, al fine del conseguimento di un pieno
benessere psichico e fisico della persona, con il procedimento disciplinato in
tale normativa, non si ha alcuna modificazione dell’identità sessuale della
persona, ma, piuttosto, vengono ad essere adeguati i caratteri somatici e le
risultanze anagrafiche alla reale identità dell’individuo ed alla percezione di sé
che l’individuo ha sin dalla nascita.
Ciò posto, va altrettanto escluso che il Le P. sia caduto in errore “essenziale” su
qualità personali dell’altro coniuge.
Ed invero, in tema di annullamento del matrimonio per errore essenziale sulle
qualità personali dell’altro coniuge e relativo onere probatorio, la
giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato il seguente principio di
diritto: “il coniuge che impugna il matrimonio per errore, ai sensi del predetto
art. 122, è tenuto a provare l’esistenza di una malattia fisica o psichica (o di
una anomalia o deviazione sessuale) dell’altro coniuge e la mancata
conoscenza della stessa prima della celebrazione del matrimonio, oltre alla
influenza di detta mancata conoscenza sul proprio consenso, mentre è rimesso
al giudice l’apprezzamento della rilevanza della infermità ai fini dell’ordinario
svolgimento della vita familiare, in relazione alle normali aspettative del
coniuge in errore, da valutare avendo riguardo alle condizioni, alla personalità,
alla posizione sociale del richiedente nonché ad ogni altra circostanza obiettiva
emergente dagli atti, senza che possa, invece, attribuirsi rilievo ai semplici
timori e reazioni dello stesso o ad altri aspetti personali” (in tal senso, Sez. 1,
Sentenza n. del 07/03/2006 (Rv. 590750 – 01), ma v. anche Sez. 6 – 1,
Ordinanza n. del 13/02/2017 (Rv. 643654 – 01)).
Nel caso di specie, anche volendosi ammettere che l’attore non si sarebbe
sposato se fosse stato a conoscenza della rettificazione del sesso della
convenuta, deve escludersi che la precedente condizione della Di F. abbia inciso
sulla vita coniugale delle parti.
Ed invero, il matrimonio tra il Le P. e la Di F., protrattosi per ben 18 anni, prima
che i coniugi addivenissero alla separazione, si è sempre svolto serenamente,
avendo le parti costruito un sincero legame di affetto e di intimità, come anche
emerge dalla relazione della dott.ssa M. B., redatta ai fini della richiesta di
adozione, ove si legge che “la relazione di coppia appare caratterizza da
sentimenti di rispetto e di stima” e che lo stile coniugale, orientato
all’autonomia individuale all’interno della coppia, è legato alla possibilità di
ciascuno di esprimere la propria personalità pur nella condivisione e
realizzazione di progetti” (cfr. doc. n. 3 di parte convenuta).
Inoltre – e soprattutto – le parti hanno condotto una piena vita matrimoniale
anche avuto riguardo alla manifestazione della propria personalità nella sfera
sessuale, atteso che non risulta che la precedente condizione della convenuta
abbia inciso sulla normale vita della coppia, tanto che l’attore anche negli atti
del processo ha sostenuto di non essersi mai reso conto della precedente
condizione della moglie.
Inoltre, l’intervenuta rettificazione non ha in alcun modo leso le aspettative del
Le P. sul futuro della famiglia che stava costruendo con la convenuta, in quanto
risulta pacifico che la Di F., prima di unirsi in matrimonio, aveva informato
quest’ultimo circa la propria impossibilità di avere figli, tanto che le parti
avevano poi deciso di percorrere la strada dell’adozione.
Tali conclusioni non possono essere inficiate dai principi di diritto espressi dalla
giurisprudenza di merito invocata, in maniera inconferente, dallo stesso attore.
Il Tribunale di Milano nella sentenza del 13 febbraio 2013, infatti, nel
pronunciarsi sull’annullamento del matrimonio per omosessualità celata da
parte del coniuge, ha affermato il seguente principio di diritto: “l’errore sulla
omosessualità non riguarda una malattia o anomalia o deviazione sessuale del
marito (ex art. 122 III comma nr. 1 c.c.) nessun lessico giuridico, medico,
sociale ed etico collocando la omosessualità in tale paradigma nosografico, ma
quella sua ‘identità sessuale’ (ex art. 122 II comma c.c.) che ne definisce
l’orientamento e la direzione del comportamento sessuale e che non è, ne può
essere, una mera ‘qualità’ della persona ma ne indica uno degli aspetti che
costituiscono, compongono, definiscono la sua identità complessiva, la
specifica individualità, la sua soggettività”; nella medesima sentenza, il giudice
di merito ha altresì statuito che “l’errore in cui il comportamento silente del
convenuto ha indotto la parte attrice è rilevante non tanto perché riguarda la
sua omosessualità, quanto perché concerne la sua incapacità\impossibilità di
garantire lo svolgimento della vita matrimoniale come luogo di espressione
della sessualità sia come valore sia come bene funzionale alla procreazione”.
Tale pronuncia, in primo luogo, infatti, non riguarda l’ipotesi del coniuge che ha
subito la rettifica del sesso, che – come già detto – è semplicemente lo
strumento offerto dall’ordinamento per permettere alla persona la piena
realizzazione della propria identità e nulla ha a che vedere con le questioni di
orientamento sessuale affrontate nella succitata sentenza.
Inoltre, ed in ogni caso, anche in tale pronuncia ciò che ha determinato
l’accoglimento della domanda non è la celata omosessualità di uno dei coniugi,
bensì il fatto che l’orientamento sessuale di uno dei due avesse impedito una
normale vita intima e sessuale tra le parti, circostanza che, nel caso di specie,
come sopra spiegato, va esclusa.
La domanda va, pertanto, rigettata.
4. Le spese processuali seguono la soccombenza e devono essere liquidate
come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale di Livorno, definitivamente pronunciando sulla domanda proposta
da T. LE P. contro G. DI F., ogni diversa istanza, eccezione e difesa disattesa e
respinta, così provvede:
1) rigetta la domanda attorea;
2) condanna l’attore al pagamento, in favore dello Stato, delle spese
processuali, che liquida in complessivi € 5.430,00, oltre rimborso forfettario
delle spese generali, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Livorno, 12 luglio 2024
Il Giudice Relatore Il Presidente
dott. Azzurra Fodra dott.
Gianmarco Marinai